Vulcano - numero 57

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Il mensile dell’Università degli Studi di Milano numero 57, Giugno 2011

I nuovi discepoli

Il potere di CL in Lombardia

Caro sindaco

intervista a Giuliano Pisapia


Sommario Vulcano numero 57, Giugno 2011 Il mensile della Statale di Milano 3 4 7 9

inchiesta Il potere di CL in lombardia a cura di Gemma Ghiglia

Intervista a Ferruccio Pinotti Gregorio Romeo e Luigi Serenelli

Intervista a Enrico De Alessandri Gemma Ghiglia

MILANO Intervista a Giuliano Pisapia Denis Trivellato

12 REPORTAGE Timor Est

Alessandro Mazza

14 La nuova Bratislava Andrea Fasani

16 CULTURA Top 10 delle multinazionali: il meglio del peggio. Prima parte — Gemma Ghiglia

18 Il Museo del ‘900

Stefano Vallieri, Fabio Paolo Marinoni Perelli

20 Centenario di Tolstoj: il silenzio dalla Russia Danilo Aprigliano

22 RUBRICHE Milano: forse non tutti sanno che… Nepomuceno Sadda

23 Cruciverba Giuditta Grechi 24 Editoriale Gregorio Romeo

Corsivo

Viviamo nel futuro. L’ultima moda nella politica italiana è annunciare la fine dell’era berlusconiana. Lo si fa ad intervalli regolari, e la recente vittoria di Pisapia sulla Moratti ha scatenato una nuova ondata di “Siamo alla fine dell’era berlusconiana!” Di sicuro spero che abbiano ragione. (Quanto lo spero!) Ed è probabile, se non altro per ovvie ragioni naturali, che ci troviamo davvero alla fine del regno italiano di Silvio Berlusconi. Ciò di cui sono molto, molto meno convinto è che ciò che ci attende sia diverso. Sono arrivato a credere che quella che oggi consideriamo l’ubriacatura mediatica causata da Berlusconi… non sia un’ubriacatura mediatica. Questa è la politica del futuro, così è come funzionerà la politica d’ora in poi, dappertutto. È comunicazione politica a prova di adulti cresciuti ad action movie e riviste di gossip. È semplice, colorata, polarizzata — con i “buoni” e i “cattivi”. A prova di idiota. La politica come l’abbiamo in mente noi, non esiste piú. Due mesi fa ho avuto la conferma che temevo. L’assurda campagna mediatico–complottistica di Donald Trump si è conclusa quando Obama ha pubblicato il proprio certificato di nascita. Un vecchio che con la sua società immobiliare extralusso consiglia di fare importanti, enormi investimenti dopo aver annunciato quattro volte bancarotta ha guadagnato abbastanza seguito e credibilità urlando. Donald Trump, Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, sono le avanguardie di come la comunicazione politica funzionerà nel futuro. Ed è un incubo. Alessandro Massone

In copertina: foto Keith Justin Gallagher


CL Il potere di

in Lombardia

a cura di Gregorio Romeo, Luigi Serenelli e Gemma Ghiglia

L

foto teresia

e origini di Comunione e Liberazione risalgono alla fine del 1954, quando Don Luigi Giussani cominciò ad insegnare religione presso il liceo Berchet di Milano, dove diede vita alla compagnia Gioventù Studentesca (GS) che in breve tempo si diffuse ben al di fuori della diocesi ambrosiana. La compagnia prenderà il nome attuale nel 1969, in segno di polemica col mondo culturale del tempo: mentre la cultura di sinistra dichiarava che la rivoluzione era il cammino della liberazione dell’uomo, quelli che da allora saranno conosciuti come “ciellini” affermavano che la vera liberazione fosse possibile soltanto nella comunione cristiana. Secondo don Giussani, la fede dovrebbe riguardare ogni aspetto della vita e per questo motivo sarebbero nati in seno al movimento circoli culturali e cooperative di lavoro, tra cui la Compagnia delle Opere (1986) che riunisce migliaia tra imprenditori ed opere di carattere assistenziale ed educativo ed è forse il più chiaro esempio di quella struttura tentacolare volta a trasmettere l’influenza e il potere di CL nella vita economica italiana. L’esempio diviene chiarissimo se si pensa alla Regione Lombardia, presieduta dal fondatore del Movimento Popolare nonchè ciellino della prima ora, Roberto Formigoni che nel suo incarico, e quindi in posti di lavoro nell’Ente pubblico, si è circondato di simpatizzanti ed aderenti al movimento, escludendo, di fatto, gli oppositori.

INCHIESTA 3


Per rendersi conto del potere e del radicamento di CL nel tessuto sociale, basta dare un’occhiata alla nostra università, dove è lampante il ruolo monopolistico assunto dalla CUSL (Cooperativa Universitaria Studio e Lavoro) nella pubblicazione, soprattutto, di dispense e materiale interno ma anche nella produzione libraria. Sempre in campo universitario, in numerose Facoltà sono presenti Docenti e Ricercatori direttamente affiliati a CL in quantità tali da non lasciare alcun dubbio su canali preferenziali di accesso alle pochissime posizioni di ruolo stabile e dirigenziali, a danno dei non-affiliati. Inoltre, se si pensa che i concorsi universitari sono svolti in modo anonimo, tali canali preferenziali implicherebbero una diretta manipolazione dei concorsi da parte di tali Docenti. Come altri movimenti ecclesiali di grande potere e diffusione (è presente in 70 Paesi), Comunione e Liberazione è stata accusata più o meno velatamente, anche da parte di alcune associazioni cattoliche tradizionali, di essere un’organizzazione settaria, plutocratica ed asservita a scopi politici, con un intento proselitistico particolarmente feroce verso gli ambienti della scuola e dell’università. Gemma Ghiglia

Intervista a Ferruccio Pinotti

Nell’ufficio più importante del nuovo e altissimo grattacielo della Regione siede un memor domini, un religioso laico di Comunione e Liberazione che ha scelto di vivere in povertà, obbedienza e castità, come suggerisce lo statuto del movimento fondato da don Luigi Giussani. È Roberto Formigoni, ultradecennale presidente della Lombardia e leader di CL, il gruppo religioso che coniuga afflato evangelico e fiuto per gli affari. Così, mentre l’associazione imprenditoriale Compagnia delle Opere coordina oltre 34.000 imprese sotto l’abbraccio religioso di CL, il potere politico gestisce appalti, indirizza fondi pubblici e fabbrica convenzioni sanitarie. In maniera non sempre ineccepibile, come denuncia l’ultimo libro di Ferruccio Pinotti – giornalista classe ’59, già autore di alcuni saggi sui poteri forti – La lobby di Dio, inchiesta che mette ai raggi X il movimento religioso più potente nell’Italia di oggi.

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Leggendo la Lobby di Dio sembra che il potere in Lombardia non possa esistere indipendentemente da Comunione e Liberazione. È davvero così? Per certi versi è proprio così. La Lombardia è stata la regionelaboratorio di CL, è qui che il movimento è nato nel 1954 ed ha raggiunto l’estensione massima, anche se ormai coltiva interessi nazionali ed internazionali. In Lombardia Comunione e Liberazione gestisce un potere enorme, dalla politica, alla sanità, fino agli appalti pubblici. La sua spinta riguarda anche la scuola – con una costante crescita dell’istruzione privata – l’energia, i trasporti, i progetti per l’Expo del 2015: una serie di aree molto vaste che danno il segno del potere di CL e del suo braccio economico, la Compagnia delle Opere. Proprio la nascita della Compagnia delle Opere negli anni ‘80 può essere considerato come il momento di svolta per Comunione e Liberazione? Certamente sì: dal 1986/87 si registra un netto cambio di passo. La precedente esperienza politica coordinata da Formigoni, quella del Movimento Popolare, non era riuscita ad incidere fortemente nella società. La Compagnia delle Opere – che per certi versi potremmo definire una Confindustria confessionale – propone invece un modello vincente di lobbying e networking molto coesi, una sorta di cavallo di troia per la conquista del potere. Successivamente, nel 1995, con l’avvento di Formigoni a capo della Regione, segue un altro momento importante. Il neo-presidente aggrega i suoi uomini e li piazza in tutte le poltrone-chiave della Regione, facendo crescere ulteriormente il movimento. Dopo il successo politico di Roberto Formigoni quanto e come è cambiata Comunione e Liberazione? Secondo me è cambiata molto. Nei progetti di don Giussani era qualcosa di diverso. Certamente CL ha dato spazio fin dall’inizio alla dimensione economica, sociale e civile, ma non era un polo di lobbying così forte e capillare. Questa mutazione è dovuta a Formigoni, che ha costituito attorno alla Regione un nucleo di persone e di potere capace di annullare progressivamente l’originaria carica valoriale del

foto Patrick Berry

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movimento. Oggi CL è il network lobbistico che riconosciamo nei reportage dal meeting di Rimini, un incontro più simile al forum economico di Cernobbio che a quello di un’associazione di stampo religioso. Il potere di CL ha un riferimento politico preciso oppure si muove seguendo le diverse congiunture politiche? L’approccio di CL è sempre stato trasversale. Segue chiunque rappresenti il potere. Negli anni ’70 ed ’80 il riferimento naturale era la Democrazia Cristiana. In seguito, è toccato ai socialisti, oggi a Silvio Berlusconi. Il rapporto fra CL e il Premier dura da molto tempo; Berlusconi ha finanziato CL e CL lo ha sostenuto elettoralmente. In passato sono state registrate delle schermaglie fra la Lega Nord e CL ma recentemente le differenti posizioni si sono avvicinate se non sovrapposte. Il progetto è quello comune della destrutturazione dello Stato italiano, sebbene attraverso formule diverse: la Lega punta ad un federalismo spinto, mentre CL vuole raggiungere un livello di sussidiarietà capace di allontanare il più possibile i controlli dello Stato dalla società civile. Ma non possiamo trascurare gli ottimi rapporti di CL anche con settori molto importanti della sinistra. Pierluigi Bersani è un riferimento storico del movimento. Il segretario del Pd, da sempre ospite al meeting di Rimini, rappresenta il potere delle cooperative rosse, centro economico di sinistra in piena sintonia affaristica con la Compagnia delle Opere. Un’affinità confermata perfino dal Presidente di Coop Italia, Vincenzo Tassinari. CL e la Compagnia delle Opere sembrano essere particolarmente legate al tessuto produttivo della Lombardia. È davvero possibile esportare il loro approccio affaristico nel resto d’Italia? Il sistema CL è esportabilissimo, come hanno già dimostrato le carte giudiziarie. In Calabria, ad esempio, l’inchiesta “Why Not” ha rivelato che il potere della Compagnia delle Opere si ramifica in tutta Italia, senza distinzioni. L’appropriazione sistematica di fondi pubblici nazionali ed europei, il lobbying organico, i legami politici e di amicizia, sono prassi molto diffuse. In questi mesi, per esempio, il teatro di fenomeni simili è Bologna, ex roccaforte rossa, dove la Compagnia delle Opere si è inserita nel business degli studentati. Un capitolo del libro è dedicato alla dimensione psicologica di chi aderisce a Comunione e Liberazione. Per trattare questo tema ho fatto ricorso alle testimonianze dirette. Ho intervistato alcuni Memores Domini molto soddisfatti della loro esperienza, mentre altre persone, come Bruno Vergani, hanno motivato la loro scelta di abbandonare il gruppo. Questi ultimi dipingono una realtà piuttosto complessa, fatta di soggetti che intendono aderire ad un ideale totale, ma che poi si ritrovano a subire manipolazioni e pressioni psicologiche. In ogni caso, esiste certamente uno scarto molto forte fra la base, motivata dal punto di vista valoriale, e il vertice del movimento. Dal punto di vista metodologico come hai impostato il tuo lavoro d’inchiesta? È stato un lavoro molto faticoso che ho cercato di svolgere secondo criteri anglosassoni. Niente gossip, nessuna fonte debole, utilizzo oculato del web. Ho operato molto sul campo, cercando di sviluppare anche una ricerca sociologica, dunque realizzando tantissime interviste. In questa fase un team di vari giornalisti mi ha aiutato a fare il punto del fenomeno con corrispondenze da tutte le parti d’Italia. Un altro fronte delle indagini ha riguardato l’analisi delle carte processuali che coinvolgono la Compagnia delle Opere e gli uomini di CL. 6

foto Benjamin Gray


Ho consultato la scarsa letteratura già esistente. Unendo tutti gli elementi ho costruito un quadro che tuttavia rimane parziale; il tema è vasto e si presta ad ulteriori inchieste. Qual è stato l’atteggiamento degli uomini di CL mentre indagavi, e quali le loro reazioni? Mi sarei aspettato maggiore disponibilità al dialogo. Ho inviato delle domande al presidente Formigoni, ho chiesto ripetutamente la sua disponibilità per un’intervista, gli ho anticipato le pagine del libro che lo riguardano, ma non ho ricevuto nessuna risposta. Per quanto riguarda le reazioni, sono state di vario tipo: da alcuni esponenti di CL mi sono arrivati perfino dei complimenti per aver trattato temi delicati con senso di responsabilità, mentre altre persone si sono irritate per le critiche. Però non c’è stata nessuna querela, anche perché nel libro non ho mai usato, a differenza di quanto fanno altri giornalisti, un tono aggressivo, offensivo o di dileggio. Hai lavorato per diversi anni negli Stati Uniti, alla Cnn e all’International Herald Tribune. Come ha influito nel tuo lavoro in Italia il periodo trascorso all’estero? La mia esperienza trascorsa mi ha influenzato molto e positivamente. La scuola anglosassone mette il lavoro di inchiesta al servizio del lettore, al quale vengono forniti dati ed elementi conoscitivi per formulare un punto di vista. Il mio libro può essere considerato sotto molti aspetti un testo critico nei confronti di CL, ma di certo non è un’inchiesta costruita a priori. Insomma, ho voluto offrire ai lettori cifre, fatti ed eventi molto precisi, tutto l’occorrente per capire qualcosa in più di Comunione e Liberazione. Gregorio Romeo e Luigi Serenelli

Intervista a Enrico De Alessandri Enrico De Alessandri è stato Direttore del Centro Regionale Emoderivati e attualmente lavora presso l’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, alla quale ha fatto causa poichè sospeso dal servizio per aver scritto il libro Comunione e Liberazione: assalto al potere in Lombardia. La sentenza del 28 gennaio ha dato ragione a De Alessandri e Roberto Formigoni ha dovuto annullare il mese di sospensione, pagare lo stipendio arretrato e tutte le spese legali. La notizia che il Presidente della Regione Lombardia abbia perso una causa contro un dipendente, che denuncia in un libro lo strapotere di CL, di cui Formigoni fa parte, non ha avuto una risonanza mediatica rilevante. Insomma, a Rai 3 tutto tace e per questo motivo De alessandri ha protestato, in catene, davanti alla sede Rai di Milano il pomeriggio del 1 febbraio, il giorno dopo che la notizia della sua vittoria era stata resa ufficiale. De Alessandri non è nuovo a questo tipo di proteste stravaganti: si era già incatenato il 16 novembre davanti al palazzo della Regione, una settimana dopo aver tenuto in università una conferenza sul potere di CL in Lombardia. Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro di denuncia? Volevo dimostrare l’assoluta fondatezza della tesi di Eugenio Scalfari secondo la quale “Un sistema di potere come quello di Formigoni, CL, e Compagnia delle Opere non esiste in alcun punto del Paese, nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere”. Comunione e Liberazione ha costituito una situazione di potere monopolistico nell’ambito di una importante istituzione pubblica attraverso un’occupazione militare da parte dei suoi esponenti in tutti i centri di potere, dai Direttori Generali ai dirigenti delle Unità organizzative nei più

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importanti Assessorati, alle nomine di primari, di amministratori delegati e di presidenti di società operanti in ambiti strategici come le infrastrutture, la formazione e l’ambiente. Ha costituito, di fatto, una pericolosa situazione di potere “dominante”. Tale capacità di influenza può determinare non solo sudditanza psicologica ma soprattutto situazioni discriminatorie sia per le singole persone (si pensi alle difficoltà di carriera nella sanità pubblica per i medici che non appartengono a CL) sia per le imprese, visto che la istribuzione dei fondi pubblici privilegia in modo schiacciante le imprese della Compagnia delle Opere, braccio economico di CL. Può spiegare brevemente l’iter del libro, dalla creazione alla protesta? Sono stato accusato di aver denigrato la Regione Lombardia, mio datore di lavoro. Il provvedimento di sospensione è firmato dal dirigente del Personale della Regione, Michele Camisasca, nipote del famoso Massimo Camisasca, sacerdote e figura chiave di Comunione e Liberazione. Camisasca è uno dei 32 dirigenti la cui assunzione è avvenuta tramite un bando di concorso annullato dal T.A.R. per la Lombardia, sentenza poi confermata dal Consiglio di Stato. Per tale motivo, il provvedimento di Camisasca nei miei confronti deve ritenersi nullo: se sarà il caso di portare la questione davanti alla Corte costituzionale lo farò. Il fatto che il Presidente Formigoni abbia avallato il provvedimento di sospensione nei miei confronti, a seguito dell’interrogazione di Giuseppe Civati e di Carlo Monguzzi, coinvolge direttamente gli stessi vertici politici in merito alle gravi responsabilità di un provvedimento volto ad impedire ad un cittadino-lavoratore di esprimere liberamente il proprio pensiero. Per questa ragione il 16 novembre mi sono incatenato davanti al Pirellone, sostenuto dal Consigliere regionale Civati, da Carlo Monguzzi e dai rappresentanti di Sinistra Universitaria. Nella premessa a pagina 8 chiede un “Intervento volto a impedire che movimenti settari fondamentalisti possano costituire pericolose situazioni di potere monopolistico nell’ambito delle pubbliche istituzioni”. È questo il suo scopo? Come intende perseguirlo? In Francia si istituiscono commissioni parlamentari per contrastare i tentativi delle sette di infiltrarsi nel cuore delle pubbliche istituzioni; in Lombardia, al contario, si permette a un movimento settario come CL di monopolizzare il potere di una regione con un bilancio pari a quello di un piccolo Stato. Noi lombardi viviamo in un mondo opposto a quello francese: la nostra classe politica si inginocchia di fronte a quei mostri che loro non riescono neppure ad immaginare di avere. Gemma Ghiglia 8 foto Rogier Chang


Caro sindaco

Intervista a Giuliano Pisapia di Denis Trivellato

L

a portata delle ripercussioni a livello nazionale è per ora solo oggetto di congetture, quello che è certo è che si respira aria di cambiamento. L’esito delle elezioni amministrative ha consegnato una pesante sconfitta al centrodestra, con un secondo turno in 86 comuni caratterizzato dalle significative vittorie di Giuliano Pisapia a Milano e di Luigi De Magistris a Napoli. Due vittorie per molti versi inattese, da parte di due outsider dell’opposizione che hanno saputo interpretare, in maniera diversa ed efficace, una necessità di cambiamento fortemente sentita da Nord a Sud. Mentre l’opposizione guadagna terreno da Cagliari a Novara, l’Italia guarda in particolare a Milano, la città che ha dato i natali a Berlusconi e da cui è partita la sua discesa in campo e al suo nuovo sindaco, Giuliano Pisapia. La sua carriera di avvocato penalista è iniziata all’età di trent’anni e l’ha portato ad occuparsi di alcuni tra i processi più importanti di questi ultimi anni: da Ocalan, al processo SME, al processo per il G8 di Genova, fino all’inchiesta Toghe Sporche. “Il mio lavoro” spiega: “mi ha portato a contatto con le ingiustizie, le ineguaglianze e la mancanza di diritti ed è per questo che interpreto la politica non come una carriera bensì come servizio”. Di seguito un estratto della lunga intervista che il nuovo sindaco di Milano ci ha concesso durante il periodo della sua campagna elettorale.

INCHIESTA 9


L’Associazione S.o.S Racket sembra rimanere sempre più sola nella lotta contro le mafie. Del pizzo non se ne parla ad alta voce, ma in molti lo pagano, anche nel centro di Milano. Qual è la sua proposta di contrasto? In un contesto in cui più di 5.000 commercianti milanesi pagano il pizzo e un negozio su cinque è controllato dalle cosche il primo passo è una nuova istituzione della Commissione Antimafia a Palazzo Marino dopo la sua abolizione mesi fa con i voti del centrodestra. Credo nella necessità e nell’urgenza di una commissione con effettivi poteri di verifica e accertamento che controlli le attività dell’Amministrazione comunale, degli Enti e delle società sottoposte al Comune. Il rapporto di Transatlantic Trends evidenzia che in Italia la percezione della percentuale di immigrazione risulta quattro volte superiore rispetto alla realtà. A Milano la temperatura sociale resta calda. Quali crede siano le priorità per stemperare la tensione? Come progetterà di muoversi il Comune per attuare l’integrazione? Un vecchio adagio recita “chi promette ordine non potrà mai darlo perché non smette di organizzarlo”.

A Milano e in Italia il centrodestra si limita ad arginare il fenomeno dell’immigrazione. È invece doveroso governarlo attraverso politiche pubbliche che promuovano la responsabilizzazione e il superamento delle disparità, come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione. Ed è urgente farlo perché si tratta del futuro della nostra Città e del nostro Paese. Il legame civile e sociale si ricostituisce attraverso la condivisione dei diritti e dei doveri. Ne sono convinto.

Purtroppo, rispetto alle grandi città europee, Milano risente di un deficit nel settore del trasporto pubblico, soprattutto nelle fasce notturne e nelle zone periferiche e i prezzi dei taxi sono assolutamente proibitivi. Come intende agire per migliorare il trasporto milanese? Un trasporto pubblico più efficiente, che funzioni anche di notte e meno costoso per i contribuenti è possibile attraverso una tariffazione di scala metropolitana, integrata e flessibile. Milano ha superato i limiti di PM10 per ben 35 volte nei soli primi 38 giorni di quest’anno. Alcuni studi indicano che un S.U.V diesel di ultima generazione (euro 4, euro 5, che quindi non paga l’Ecopass) inquina almeno quanto un euro 2 benzina, che invece deve pagare l’Ecopass. Si potrebbe giungere alla conclusione che chi ha i soldi per comprare una macchina nuova non paga l’Ecopass, chi non ha questi soldi invece lo paga... Pensiamo che l’Ecopass debba essere trasformato in un pedaggio di congestione differenziato per dimensione e cilindrata dei veicoli. Oggi ci sono 3 classi 3, 4, 5 che pagano 2, 5, 10 euro, senza distinzioni tra un SUV e una piccola cilindrata. La rimodulazione dell’ecopass/congestion charge dovrebbe avvenire in base alle emissioni di CO2 e in base alla frequenza di utilizzo. Abbiamo calcolato che le entrate potrebbero aumentare da 11 a 15 milioni. A Milano ci sono moltissime case vuote, sfitte o abbandonate. Quest’anno gli affitti per gli studenti a Milano hanno subito un rincaro del 10%. Quale potrebbe essere la prima azione in merito a tale problema? Avete ragione, le case a Milano ci sono e sono tantissime: 10


80.000 appartamenti e 900.000 mq di uffici sfitti. Per porre rimedio a questa situazione abbiamo pensato ad un’Agenzia per la casa che renda più semplice l’accesso alle abitazioni attraverso una facilitazione fra domanda e offerta e attraverso incentivi fiscali e garanzie giuridico/ amministrative. Cosi potremo favorire un mercato degli affitti a prezzi accessibili e l’autonomia dei giovani e degli studenti. Negli ultimi dieci anni le biblioteche rionali hanno ridotto l’orario di apertura, le associazioni culturali milanesi sono al collasso e i piccoli teatri rischiano di chiudere. Qual è la sua proposta culturale per Milano? Milano città aperta. Questa è una delle immagini più belle che hanno prodotto le centinaia di persone che hanno partecipato alle Officine della Città dove è stato elaborato il programma elettorale per la mia candidatura. Ci impegniamo a rianimare Milano riconsegnando ai cittadini quegli spazi e quelle sedi pubbliche come le scuole e le biblioteche per favorire lo studio, la formazione e l’incontro fra realtà associative, di volontariato e culturali. Estendere l’orario di apertura delle biblioteche è una priorità e per fronteggiare le scarse risorse si potrebbero coinvolgere gli stessi studenti nella gestione. Le università private milanesi sono state ultimamente sede di visite parlamentari, governative e da parte dei membri del governo comunale. Le università statali quali l’Università degli Studi, la Bicocca e il Politecnico invece non sembrano degne di questa passerella. Eppure tra istituti ed enti pubblici dovrebbe esserci una coesione maggiore... L’università non deve trasformarsi in una passerella deve essere invece capace di relazionarsi con le istituzioni in modo trasparente e non saltuario e basato su personalizzazioni. Per questo abbiamo pensato ad una Conferenza permanente tra Comune, Università ed Enti di ricerca che faciliti l’interazione e un approccio interdisciplinario alla soluzione dei problemi. I primi passi? Un censimento della ricchezza delle competenze presenti negli 8 atenei e nei centri di ricerca pubblici e privati della Città. Quali saranno le sue prime tre azioni nei confronti dei Giovani, dell’Università e del Lavoro?

Carta Comunale dello studente per una fruizione agevolata dei servizi e delle opportunità culturali offerte dalla Città, interventi organici in difesa del diritto allo studio, localizzazione e ampliamento di spazi fisici dedicati alla socializzazione, allo sport e alla cultura.

Infine, nonostante non sia diretta competenza del Comune, m’impegno a promuovere politiche a livello nazionale che possano essere precorritrici riguardo al male maggiore che affligge le nuove generazioni: il precariato.

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Timor Est

“S

ono 30 dollari” mi dice il funzionario che ha appena posto il visto di entrata sul mio passaporto. Nel portafoglio ho solo dollari australiani, il doganiere li vuole americani e, alle sei di mattina, non c’è nessuna possibilità di cambio. Quando ormai non so più come risolvere la situazione una soldatessa mi mette in mano tre banconote da dieci “verdoni” l’una e si allontana senza darmi il tempo di darle l’equivalente in valuta estera. Sbigottito torno al gabbiotto dove il funzionario mi aspetta con il passaporto in mano. Dili, la capitale di Timor Est, ha un unico ostello in cui gli ospiti, cooperanti e improbabili viaggiatori, sono coccolati e serviti da Rita e Filomena, le due donne responsabili dell’ostello. Con gli altri ragazzi della guest house viene organizzata subito una gita al promontorio dove sorge la statua del Cristo Re, nel suo genere seconda solo al famosissimo Cristo di Rio de Janeiro, e alla barriera corallina. Il giorno dopo mi è offerta la possibilità di fare un giro in moto per l’isola con Bosh, un ragazzo di Dubay appassionato di campeggio, e Scott, cooperante australiano da due anni e mezzo sull’isola. Accetto di buon grado. Le strade di Timor sono senza dubbio le più difficili e le più lente da percorrere che mi sia mai capitato di incontrare. “Qui non devi ragionare in chilometri, bensì in ore o anche giorni di percorrenza” mi spiega Scott in risposta a una mia domanda sulla distanza tra Dili e Alieu, nostra prima fermata. Nonostante la non eccessiva distanza la durata del viaggio è largamente superiore alle mie aspettative e, data la stanchezza di tutti, ci limitiamo a prendere un tè per ripartire subito ed essere a Maubisse, nostra meta, prima del tramonto. Dopo altre quattro ore in cui le sospensioni sono messe a dura prova arriviamo al villaggio. Maubisse è costruito a 1300 metri di altezza sotto la cima di una montagna che ospita una posada portoghese, retaggio del periodo coloniale, circondata da splendide montagne. “Vedi? Timor ha una grande potenzialità turistica”, mi dice Scott indicando lo splendido panorama, “per ora l’economia si basa tutta sugli aiuti internazionali e questo sta permettendo a gran parte della popolazione di Dili di aumentare il proprio benessere, e sembra anche che stia incominciando una lieve immigrazione dalla parte indonesiana dell’isola, più povera. Ci sono possibilità di crescita”. “Se tu come italiano volessi aprire una pizzeria potresti fare affari” conclude sorridendo. Scendendo dalla posada veniamo salutati da una donna che sta facendo essiccare al sole il suo raccolto di caffè. La donna è colpita da Scott, che parla tetum, la lingua locale, e ci invita a entrare. Dentro casa, arredata solo da qualche sedia e due foto antiche, ci aspetta il marito Alvaro. Alvaro è il capo di una cooperativa agricola. “Qui siamo organizzati in cooperative – ci spiega – nuclei di tre o quattro famiglie mettono in comune il raccolto, caffè o riso, e poi lo si vende assieme”. Dalla stanza accanto esce una ragazza con un neonato in braccio “questa è mia figlia” afferma orgoglioso Alvaro. Dopo pochi secondi fa capolino un ragazzo che ci saluta freddamente. Scott prende per un braccio me e Bosh e ci invita a uscire, salutando la famiglia. Sorpreso chiedo spiegazioni. “Hai visto la figlia? È molto più chiara di carnagione, mentre il ragazzo assomigliava ai genitori, lei è figlia in quanto moglie e lui non ha gradito vedere dei bianchi in casa con la sua donna!”.

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Scendiamo che ormai è buio, prendiamo una stanza nella guest house quasi sempre vuota e andiamo a cercare qualcosa da mangiare. In una capanna attrezzata a minidrogheria e self service si siede di fianco a noi Costantino Escollano, “specialista di politiche di sviluppo economico” originario di Dili. Ciò che mi aveva colpito appena arrivato a Dili era stata la constatazione degli stretti rapporti diplomatici e commerciali che la piccola repubblica ha con l’Indonesia, nonostante il recente passato turbolento e sanguinoso. Colgo l’occasione per chiedere delucidazioni. “Noi di Timor – mi spiega – vogliamo vivere in pace, non portiamo rancore verso il popolo indonesiano, molti di noi hanno parenti strettissimi indonesiani, vogliamo lasciarci le cose brutte alle spalle e guardare al futuro”. Chiaramente ci sono ragioni anche di tipo economico e commerciale, ma questa affermazione è, nel complesso, veritiera. Il giorno successivo partiamo di buon’ora verso la costa meridionale dell’isola ma, dopo pochi chilometri, Scott fora la ruota posteriore. Trasciniamo la moto in una miniofficina in mezzo alla foresta - ancora non mi spiego la fortuna che abbiamo avuto - ma con quella riparazione possiamo solo sperare di rientrare a Dili. Ci prendiamo mezza giornata per ammirare e fotografare la splendida foresta pluviale e poi rientriamo in città. All’ostello mi attende un’altra conferma delle parole di Costantino: è il 17 agosto, il 65esimo anniversario dell’indipendenza dell’Indonesia e Rita, di solito sempre attenta agli ospiti e alle loro richieste, questa volta ha occhi solo per i festeggiamenti trasmessi in televisione. Canta a memoria tutte le canzoni celebrative in bahasa indonesia, la lingua ufficiale indonesiana, e solo durante uno stacco pubblicitario riesco a chiedergli una Bintang, la birra importata, manco a dirlo, da Jakarta. Alessandro Mazza

La leggenda del Coccodrillo

Un tempo un piccolo coccodrillo viveva in una pozza d’acqua in una terra lontana. Lui sognava di diventare un grande coccodrillo, ma il cibo scarseggiava e così, dopo poco, si ammalò e crebbe triste. Un giorno, per realizzare il suo sogno, lasciò l’acqua e si avventurò nell’entroterra in cerca di cibo. Il sole, però, si fece caldissimo e il coccodrillo, disidratato, si accasciò aspettando di morire. Lo trovò un bambino, lo raccolse e lo riportò al mare. “Piccolo – disse il coccodrillo – tu mi hai salvato, se mai avrai bisogno di me, chiamami e sarò da te”. Gli anni passarono e il coccodrillo riuscì a crescere e diventare un grande esemplare, quando un giorno sentì la chiamata. “Fratello coccodrillo – gli disse il ragazzo – anch’io ho un sogno, voglio vedere il mondo, portami via, vai dove sorge il sole!”. Il ragazzo salì sulla schiena del rettile e assieme partirono verso Est. Viaggiarono per gli oceani per anni, finché un giorno il coccodrillo disse: “fratello, abbiamo viaggiato tanto assieme, ma ora è arrivato per me il momento di morire. Per ringraziarti della tua gentilezza diventerò una bellissima isola dove tu e i tuoi figli potrete vivere finché il sole sorgerà dall’oceano”. Appena morì il suo corpo crebbe, la sua schiena striata divenne le montagne e le sue squame le colline di Timor Est. Ancora oggi quando il popolo di Timor nuota nell’oceano, entra dicendo: “non mangiarmi coccodrillo, sono tuo parente!”.

REPORTAGE 13


La nuova Bratisl “Si respira un’aria di nuovo mentre intorno si profilano i palazzi del centro storico riverniciati e ristrutturati”

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lla voce “Bratislava” di Wikipedia si può trovare un profilo fin troppo roseo della capitale Slovacca: un centro storico pieno di castelli, palazzi, musei e luoghi di culto. Le università? Tante e rinomate, come il conservatorio che prepara ottimi musicisti. Per non parlare del numero degli studenti e delle scuole d’obbligo e superiori. Dati alla mano queste notizie sono vere, eppure non esiste solo questa Bratislava. Per capirlo bisogna guardarsi intorno nelle strade di periferia che circondano le bellezze del centro storico. L’impatto è diverso. Dall’autobus sessantuno, che collega l’aeroporto alla città, l’idea immaginaria di Bratislava si modifica. Non ci sono palazzi signorili, ma case cupe in stile comunista. Le università sono scuole piene di graffiti e lasciate andare a se stesse, dove è possibile vedere al massimo un paio di studenti fumare annoiati. La città non è molto grande ma per raggiungere il nostro albergo è necessario prendere un paio di tram. La metro è solo un progetto ancora da realizzare. Senza una guida adatta, si finisce col girare tra i rivenditori per trovare qualcuno che parli inglese: i biglietti vanno a fascia oraria e senza indicazioni trovare quello giusto è impossibile! Avvicinandosi verso il centro l’ambiente non cambia molto, ma la percentuale degli edifici in buono stato rispetto a quelli dall’aspetto pericolante aumenta. Per fortuna l’albergo ha una facciata tranquillizzante e alla reception una ragazza accoglie i visitatori gentilmente. Parla inglese. La strada per il centro è familiare. Mc Donald, negozi di abbigliamento famosi ovunque, gli immancabili ristoranti cinesi e i venditori di kebab. Entrando nel centro si passa sotto alla porta di San Michele, ultima testimonianza delle mura antiche, per essere accolti da una via piena di bar, tavolini e tendoni. Ecco il cuore di Bratislava, Staré Mesto, il quartiere storico. Si respira un’aria di nuovo mentre intorno si profilano i palazzi del centro storico riverniciati e ristrutturati, forse troppo luminosi per trasmettere l’autorevolezza dell’antico. Le statue di metallo scuro conferiscono un aspetto stravagante al paesaggio, mentre gli sguardi sono tutti rapiti da un’altra figura metallica, quella di un uomo che sbuca dal tombino. Sorride tenendo la testa sulle braccia incrociate, come se fosse normale penzolare da un buco nella strada. Davanti al neoclassico Teatro Nazionale si estende una via piena di sculture moderne e una scacchiera gigante permette di improvvisare partite con pedine viventi. Alla fine della passeggiata il celebre ponte UFO, il cui nome si riferisce al ristorante posto sopra al ponte, a forma di disco, che domina il fiume e il centro. Lì la visuale della città, per chi gradisce, si può godere anche dal bagno, dove una scritta in inglese chiede: “Ti piace il panorama?”. Il Danubio scorre al di sotto torbido e giallo. Nell’attraversarlo le persone tremano leggermente: la particolarità del ponte è la sua struttura vibrante, che dà una sensazione di precarietà, assieme al traffico che scorre sopra al passaggio pedonale. Un altro edificio che do-

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foto thom b./minifig


lava mina la città è il castello. Visibile da ogni parte del centro, appare oggi come un edificio in stile austriaco, ricostruito dopo la seconda guerra mondiale. Come tanti altri edifici, è ancora in restauro. In tutta Bratislava i monumenti ricostruiti sono tanti. Alcuni di essi, persi fra le stradine del centro, lasciano vedere più stili stratificatisi nel tempo, amalgamati da restauri recenti. In queste vie dove nuovo e antico si incontrano non sempre armoniosamente, si trova l’anima della città. È visibile solo di notte, quando il centro si riempie di gente. Pub, bar esclusivi e ristoranti raccolgono turisti e slovacchi. Edifici dalle facciate poco solide e sporche aprono gli affollati locali dall’arredamento antico, dove il cibo costa poco e offre diverse buone specialità. Carne, pancetta affumicata, patate e birra artigianale si mescolano al fumo e alle facce scure dei camerieri. Ordinare non è sempre facile: l’inglese è conosciuto da pochi. Si chiede a gesti ricambiati da maniere rozze e poca cordialità. In un locale invitano un gruppo di ragazzi stranieri ad accomodarsi fuori, perché dentro sarebbero fonte di disturbo. Per strada gli abitanti si distinguono subito dai gruppi di turisti. I ragazzi fanno branco accumunati da un fisico robusto e la testa immancabilmente rasata, mentre le ragazze truccate e vestite da sera lanciano sguardi provocanti ai turisti, strappando apprezzamenti e commenti da uomini e donne. Un modo per scappare da questa città, o solo dalla miseria. Sembra un posto chiuso e poco disponibile ad accettare l’altro, come se non avesse altri mezzi per proteggersi dal recente flusso di immigrati e turisti che la coinvolge, al tempo stesso salvezza e condanna

foto emma and steve’s

Andrea Fasani


Top 10 delle mul il meglio del peg parte prima Tra avidità e sfrontata malvagità

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uante volte vi è capitato di leggere sui giornali degli scandali di sfruttamento ad opera delle marche dei vostri prodotti preferiti? Scommetto che avete perso il conto. È un dato di fatto che il Nord del mondo prosperi speculando sul lavoro del Sud, e non è prevista un’inversione di rotta. Tuttavia è possibile fare qualcosa per combattere il lato peggiore della globalizzazione. Un modo semplice ma efficace è quello del boicottaggio: scegliete uno o due prodotti, magari di quelli presentati in classifica, e impegnatevi a non comprarli più. Boicottare tutte le aziende poco virtuose è assai improbabile, meglio allora attenersi ad una lista limitata. Sarebbe un piccolo, ma comunque significativo, atto di protesta e contributo per il cambiamento. Le multinazionali che vi proponiamo sono state scelte in base agli utili, alla diffusione sul territorio italiano e al grado di “boicottabilità” del prodotto. Buona lettura (e buona fortuna)!

10) Hennes&Mauritz (utili 1,5mld €)

Tutti abbiamo comprato qualcosa da H&M almeno una volta nella vita, soprattutto per i prezzi vantaggiosi. Peccato che questi prezzi siano dovuti alle gravi condizioni di sfruttamento nelle aziende fornitrici: in Cambogia, per esempio, il salario di un operaio tessile ammonta a 37€ mensili, che non bastano per sopravvivere, figuriamoci per mantenere una famiglia. Visto il sistematico intralcio all’attività sindacale da parte dell’impresa, è poi difficilissimo dar vita a una protesta organizzata. Ma le cose non finiscono qui: alla fine del 2007, infatti, un reportage della televisione svedese accusò H&M di trarre profitto dal lavoro minorile, specialmente per la coltivazione del cotone.

9) Nike (utili 1mld €)

È una delle aziende di moda più criticate al mondo, e a ragione: in media, lo stipendio di un operaio tessile (uomo, donna, bambino) di un’azienda fornitrice cinese si aggira intorno ai 17 centesimi l’ora. Secondo il rapporto We are not machines in alcune ditte appaltatrici indonesiane le donne erano costrette a spogliarsi di fronte ai medici dell’azienda per dimostrare di essere nel periodo mestruale e, se aderivano a sindacati indipendenti, correvano il rischio di essere licenziate, finire in prigione o subire violenze fisiche.

8) Siemens (utili 5,9mld €)

Tra le maggiori aziende di elettronica ed elettrotecnica, si distingue per la partecipazione alla costruzione di pericolose centrali atomiche insieme al leader mondiale del nucleare 16


ltinazionali ggio Areva NP e per aver forzato ad evacuare, in Cina, 1,4 milioni di residenti in vista della costruzione della diga delle Tre Gole (la più grande centrale idroelettrica al mondo). A questo vanno aggiunti, ovviamente, i danni all’ambiente naturale che la costruzione della diga ha portato con sé.

7) Disney (utili 6,0mld €)

Abbiamo imparato ad amare i personaggi Disney dall’infanzia, ci hanno fatto ridere e divertire, ma possiedono un lato oscuro: alcuni pupazzi sono prodotti in Asia in condizioni tali da farci sperare che si tratti di un film. Ma la verità è un’altra, fatta di lavoro minorile, sfruttamento, violenza fisica e molestie sessuali. Per questa volta niente lieto fine.

6) McDonald’s Corporation (utili 3,0mld €)

Non so se siano peggio il lavoro minorile e le condizioni di lavoro drammatiche in Inghilterra e nelle aziende fornitrici cinesi oppure l’uso eccessivo di carne con effetti negativi dal punto di vista ecologico (vaste zone di foresta pluviale immolate per il bisogno di pascoli della multinazionale) e sociale (vengono importate, in Europa, tonnellate di mangime coltivato in Paesi dove la maggioranza della popolazione soffre la fame).

5) Protecter&Gamble Company (utili 9,0mld €)

Pringles, Lines, Gillette, Oil of Olaz, Pantene, Duracell, Dash, Mastro Lindo e ancora molti altri marchi appartengono a questa multinazionale colossale che può vantare tante accuse quanti prodotti. Si passa infatti dal classico sfruttamento del lavoro minorile per il reperimento di materie prime, al più originale commercio con la dittatura militare del Myanmar, passando per il solito inquinamento ambientale, con annessa distruzione dell’habitat naturale delle popolazioni indigene ad opera delle aziende fornitrici cinesi. E non manca di far testare i suoi prodotti sugli animali. Gemma Ghiglia

CULTURA 17


Il Museo del Novecento

I nomi più eminenti dell’arte novecentesca, a due passi da Festa del Perdono.

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ssere accolti da Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e, pochi passi più avanti, trovarsi di fronte a mostri sacri come Braque, Kandinskij, Matisse, Modigliani e Picasso, tutti nel raggio di pochi metri quadrati, costituisce un’esperienza di un certo impatto, da cui l’occhio del visitatore rimarrà certo spiazzato. Infatti all’inestimabile valore delle opere si aggiunge la consapevolezza, giusto nell’incipit della visita, di trovarsi di fronte ad alcuni fra i nomi più eminenti dell’arte novecentesca, capaci quindi di evocare attese e suggestioni nell’immaginario collettivo. Una consumata consuetudine indurrebbe chiunque nella sua vita abbia almeno qualche volta passeggiato per i corridoi di un museo, a prefigurarsi le opere di tali autori imbandite come succulenta portata principale, oppure quale prelibato dessert al termine di un percorso. Invece qui si tratta soltanto di uno stuzzicante antipasto. Dopo tre anni di lavori, infatti, il 6 dicembre è stato inaugurato il nuovo museo dedicato al Novecento, all’interno della suggestiva cornice “anni Trenta” del Palazzo dell’Arengario. Grazie a questo progetto lo storico edificio conquista appieno, dopo più di settant’anni dalla sua costruzione, quella rilevanza che già naturalmente gli conferiscono l’imponente architettura e l’ubicazione nel cuore della città. L’apertura, tenuta a battesimo dal fu Sindaco Moratti, dal fu Assessore alla cultura Finazzer Flory e dal critico d’arte Gillo Dorfles, è stata accolta con grande entusiasmo dalla cittadinanza. L’afflusso si aggira intorno alle 9.000 persone, in mezzo alle quali si sono mescolate celebrità e intellettuali: ad esempio Ornella Vanoni, Elio Fiorucci e Dario Fo. Presente anche Italo Rota, l’architetto milanese cui si deve il progetto di conversione dell’Arengario in Museo del Novecento, dove ora trova accoglienza un patrimonio di 400 opere d’arte, selezionate fra le oltre 4.000 delle collezioni civiche. Proprio tale depauperante esproprio ai danni di esposizioni “minori” aveva sollevato voci di disapprovazione, per ora messe a tacere dal successo d’esordio del museo. Fiore all’occhiello del design dell’edificio è la rampa elicoidale, simile a quella

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foto Giacomo Carena


del Guggenheim di New York, la quale, scendendo come una radice, mette in comunicazione l’ingresso del Museo con la stazione Duomo della rete metropolitana, quasi a voler ancorare alla città i tre piani dell’esposizione. Superato l’impatto iniziale dell’Avanguardia internazionale, dove Cubismo, Astrattismo e Fauvismo mostrano il nuovo linguaggio e le nuove forme che l’arte assume all’inizio del secolo passato, dinnanzi agli occhi si aprono le sale colonnate dedicate al Futurismo: celebrazione della modernità, del dinamismo, della città e della guerra. Si comincia con il dominante Boccioni, il cui nucleo di opere, testimonianza dell’evoluzione stilistica dell’autore, comprende la celebre scultura ­­Forme uniche della continuità nello spazio. Seguono Severini, che con la sua Chahuteuse inneggia alla danza come espressione del dinamismo futurista, e ancora Carrà, Soffici e Balla, con il suo emblematico Automobile+velocità+luce. Completano il panorama alcuni scritti di F. T. Marinetti, sulla cui onda nel 1910 vide la luce il Manifesto dei pittori futuristi. In un coinvolgente incedere fra i decenni dell’arte secondo il ritmo del proprio passo e del proprio gusto, la rassegna evolve, soffermandosi sui paesaggi e sulle nature morte di Morandi, sui metafisici soggetti di De Chirico (su tutti Il figliol prodigo), sul cupo “ritorno all’ordine” di Sironi, sui colori pastello di Donghi e sulle suggestioni aeropittoriche di Dottori. Se poi fra le opere scultoree predomina la produzione di Martini, già autore dei bassorilievi che decorano la facciata dell’Arengario, si può ammirare anche l’astrattismo delle sculture di Melotti e di Fontana. Ai quadri dell’ultimo è dedicata una sala monografica in cima alla torre. Proseguendo con l’arte degli anni ‘50 e ‘60, si può godere della brutalità materica di Burri, nonché dello psichedelico dinamismo percettivo di Accardi, fino a giungere all’arte puramente concettuale del tanto geniale quanto discusso e dissacrante Manzoni. Concludono il tour gli stroboscopici fenomeni percettivi della Kinetic Art e l’essenzialità compositiva e materiale dell’Arte Povera di Fabro e Kounellis. Insomma, se è vero che Milano è crocevia dei maggiori fermenti artistici e pittorici del XX secolo, una delle più grandi strutture europee consacrate alla cultura, qual è il Museo del Novecento, non può che abitare il cuore di questa città, il cui anelito di modernità, l’anima operosa e l’effervescenza sociale, con le inevitabili contraddizioni, trovano un riflesso proprio ne Il Quarto Stato. Proteso com’è su Piazza Duomo, fra Palazzo Reale, la Cattedrale e la galleria Vittorio Emanuele, il Museo entra a far parte del prezioso circuito culturale meneghino. Tutto questo a due passi da Festa del Perdono: non esistono scuse per non andarci, anche soltanto per ammirare la piazza dall’alto. Stefano Vallieri e Fabio Paolo Marinoni Perelli

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Centenario di To il silenzio dalla R

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Il burattino di Lev Tolst “L’idea dell’eternità è u

empre largiva nel celebrare anniversari, la Russia (in realtà solo quella “ufficiale”) snobba il centenario della morte di Tolstoj. Questo mentre tutto l’Occidente (soprattutto la Germania e gli Stati Uniti) brulica di festival, forum, novità editoriali, film, eventi di ogni sorta. E pensare che per il 150° dalla morte di Cechov, Medvedev si è persino precipitato a deporre dei fiori fino a Jalta (probabilmente ci teneva a rivendicare la “russicità” di un territorio ormai non più russo) e cento anni dopo la sua morte, nel 1837, il poeta Alexander Puskin è stato celebrato in tutto il paese ed è stato anche dato il suo nome a una città. Però per Tolstoj no: non è stato ritenuto opportuno mobilitarsi, nonostante i cento anni dalla sua morte siano caduti ormai il 20 novembre scorso (anche se alcuni hanno festeggiato il 7). Raggiunta l’immortalità letteraria con Guerra e Pace e Anna Karenina, Tolstoj più in là nella vita si cimentò nei trattati spirituali che avrebbero poi portato alla sua scomunica da parte della Chiesa Ortodossa russa, e infine all’età di 82 anni abbandonò la sua famiglia e la sua tenuta di Jasnaja Poljana, fuori Mosca, per morire giorni dopo in una vicina stazione ferroviaria, non essendosi mai ripreso dalla polmonite che lo aveva a lungo tormentato. È la drammatica fine di un romanziere che, con realismo poetico, ha esplorato l’essere umano in tutte le sue manifestazioni e costruzioni, e nei suoi affetti e passioni più intimi. O almeno, è così che viene ricordato in Occidente. In Russia, la scrittura di Tolstoj è sempre e ovunque connessa con il ruolo di filosofo, di predicatore di principi morali, di rinnovatore dell’umanità. Ma allora, perché boicottare il centenario? “Il nostro avo aveva altri valori rispetto a quelli dell’attuale governo”, tenta di spiegare, buttandola in politica, Catherine Tolstoy, del ramo britannico della famiglia. Il grande scrittore propugnava principi come la non violenza, la vita semplice e l’amore fraterno, ed inculcava dubbi sul valore del patriottismo. “Lev Nikolaevic ha posto domande molto scomode – ha detto Fyokla Tolstaya, una pronipote dello scrittore, usando il suo nome e patronimico russo – i problemi su cui egli ha scritto – il militarismo e pacifismo, la giustizia, la religione, il Caucaso – nessuno di loro è stato risolto. È un autore molto difficile per la classe dirigente di oggi”. Relativamente alla scomunica, la posizione ufficiale del Patriarcato di Mosca oggi non è cambiata. “Tolstoj è un non cristiano – ha ribadito un portavoce del comitato per la cultura della Chiesa ortodossa russa – è uno scomunicato, quindi non desta per noi interesse”. La famiglia ha chiesto più volte che la questione venisse riesaminata, ma il rifiuto dei religiosi si è dimostrato categorico: “non vi è stato pentimento”. “La Chiesa fa grande pressione culturale” – ha dichiarato

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foto cortesia di Jim Forest


olstoj: Russia

toj dice: una malattia dello spirito” Boris Felikov, professore associato di religione presso l’Università di Stato russo per le discipline umanistiche – ma non fino a questo punto”, al punto, cioè, da far ignorare un autore così importante. Ma alcuni membri della famiglia Tolstoj sono in netto disaccordo: “il governo è molto amichevole con la Chiesa, come lo era in epoca pre-rivoluzionaria, e fa enorme pressione sulla gestione dello Stato” ha detto Tolstaya. In epoca sovietica, invece, i punti di vista dello scrittore contro la religione organizzata e per il riscatto sociale dei contadini venivano esaltati dal potere comunista al punto che Lenin pubblicò un articolo intitolato Tolstoj come specchio della Rivoluzione. “Ora c’è un approccio diverso – ha detto sempre Tolstaya – non è comodo e non è necessario”. Tutto questo mentre il mondo culturale occidentale ferve: nuove traduzioni dei suoi romanzi, un film sui suoi ultimi giorni di vita (The Last Station) con grande successo di critica, la pubblicazione delle sue lettere. E anche la Russia “non ufficiale” si è data da fare. Studiosi e critici letterari provenienti da dodici Paesi hanno preso parte al forum internazionale dal titolo Tolstoj, gli aspetti filosofici e quelli religiosi-morali del patrimonio del grande scrittore e pensatore, nel villaggio Tolstoj (Astapovo), nella regione di Lipetsk, dove lo scrittore morì. Nella stessa cittadina è prevista anche l’inaugurazione di una mostra nella quale saranno esposte foto e documenti che raccontano gli ultimi giorni della vita dello scrittore russo; e all’università di Tula letture delle sue opere. Celebrazioni anche a Jasnaja Poliana (Radura serena), nella regione di Tula, dove lo scrittore è sepolto e dove sarà deposta una corona di fiori sulla sua tomba. Insomma, solo il governo e le autorità ufficiali hanno optato per l’oblio. Danilo Aprigliano

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Forse non tutti sanno che…

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I puntata, Julian Assange

utti conoscono Julian Assange, il radical geek australiano più odiato dalle diplomazie, dalle donne svedesi e dai produttori di condom. Però forse non tutti sanno che Julian Assange fu protagonista di una sortita nella nostra città, poco prima di imboccare la strada che lo avrebbe portato in galera senza passare dal via (ma con un gradevole imprevisto in un paio di letti Ikea). Nel dicembre del 2009 – quando ancora Wikileaks era soltanto una piccola e promettente stella nana nel firmamento del web – Assange, partito da Sydney e diretto a Londra, fece scalo a Milano dove incontrò un amico programmatore – un ingegnere informatico esperto di banche dati – per passare una piacevole giornata di lavoro e svago. Raggiunto telefonicamente dal sottoscritto, dopo una estenuante ricerca della quale vi risparmio le dinamiche, il giovane ingegnere ha risposto cordialmente alle mie domande previa assicurazione che le sue generalità non sarebbero state svelate. L’ingegnere ospitò Assange nel suo appartamento situato nelle vicinanze di Piazzale Lodi. Dopo un veloce pranzo – pasta al ragù, caffé e panettone - i due discussero per tutto il pomeriggio di alcune questioni riguardanti l’ottimizzazione dei database di Wikileaks. La sera uscirono per visitare Piazza Duomo e cenarono poi in zona Moscova in un ristorante dal nome francese del quale il nostro testimone non ricorda il nome. In seguito Julian insistette per raggiungere una sua amica australiana che si trovava nella discoteca Plastic. Seppure impossibilitato ad entrare a causa dell’interminabile fila all’ingresso, restò comunque pervicacemente nelle vicinanze del locale finché la bionda amica non si palesò attorno alle quattro del mattino – nel frattempo i due amici ingannarono il tempo sorseggiando degli amari alle erbe in un baretto, amari dei quali Assange si professò grande estimatore -. Assange si eclissò con la fanciulla per qualche tempo. Al ritorno disse di avere trovato un piacevole nido d’amore su una delle panchine del parco Largo Marinai D’Italia. L’ingegnere non ha saputo indicare esattamente quale delle panchine sia stata la prescelta ma ritengo che una informazione del genere possa interessare solo ai feticisti perversi e agli agenti dell’Interpol e dunque, secondo le mie stime, solo al 20% dei lettori di questo giornale universitario. Nepomuceno Sadda

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ritratto Jose Mesa

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Orizzontali 1 - Fondatore dell’Unità. 7 - Saluto spagnolo. 10 - Ha reso celebre George Clooney. 11 - Roger Rubbit. 12 - Nell’orso. 14 - È instant per John Lennon. 17 - È in presa diretta su Rai3. 18 - Iniziali della Magnani. 19 - Unità d’assalto della Marina USA. 21 - Esortativo. 23 - Introduce un’ipotesi. 24 - Secondo nome di Poe. Verticali 2 - La fine della bara. 3 - Plutone alla greca. 4 - Headliner dei Bee Hive. 5 - Sistema operativo. 6 - Sono pari nel caso. 8 - Oracolo d’oltremanica. 9 - L’aspirante autore di…romanzi della famiglia Griffin. 11 - Roma. 13 - Woody Allen lo invita a provarci ancora. 15 - Stato di agitazione. 16 - Real Academia Española. 20 - Iniziali di Salieri. 21 - Decreto legislativo. 22 - Accomuna Gore, Pacino e Capone.

Soluzioni del numero 56 Orizzontali 1 – Fiducia. 8 – Orazione. 10 – Striscia. 11 – Sol. 12 – Aum. 13 – Im. 15 – Nas. 17 – Tano. 19 – Ing. 20 – Moon. 22 – Va. 23 – No Verticali 1 – Fossati. 2- Irto. 3 – Darling. 4 – Uzi. 5 – Cisa. 6 – Iocundo. 7 – Anima. 9 – Ea. 14 – Mo. 18 – Ana. 20 – Ma. 21 - On

Registrato al Tribunale di Milano, n. 317, 4 Maggio 2004. Direttore responsabile: Laura Rio. Fondato da: Luca Gualtieri, Andrea Modigliani, Andrea Canevazzi. Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Milano, derivante dal fondo per le attività culturali e sociali, previsti per Legge del 3 Agosto 1985, n. 429


EDITORIALE La foto di Obama alla Casa Bianca durante una cena amichevole, circondato dai creativi informatici che hanno segnato la rivoluzione tecnologica del millennio, dovrebbe farci pensare. Non solo alle persone che di solito circondano il nostro presidente del consiglio durante le sue cene amichevoli, ma anche alla simpatica gaffe di cui è stato protagonista più o meno un anno fa, quando durante una conferenza stampa trasformò la pronuncia del motore di ricerca Google, in Gògol. Certo, nella bocca di un anziano everyman un errore simile avrebbe fatto sorridere, ma qualcosa non torna se è il leader di un Paese del G8 a deformare il nome più famoso di internet. Google trasformato in Gògol diventa il paradigma della distanza che separa una classe dirigente moderna da un gruppetto periferico di gerontocrati ignari perfino della realtà che scorre sotto il loro naso. Un pessimo rapporto con la tecnologia informatica lo hanno avuto anche i despoti mediorientali, il cui monopolio mediatico è stato bypassato dalle nuove autostrade dell’informazione Twitter, Facebook e Youtube. E il tempismo con cui Obama ha brindato insieme ai i guru del web – nuova espressione del soft-power made in Usa – probabilmente non è casuale. Insomma, oltre ad una falsa nipote con Murabak e alla predilezione per gli harem con Gheddafi, Berlusconi e i satrapi del nord-africa hanno un’altra cosa in comune: nessuno di loro sa pronunciare per bene il nome “Google”. Gregorio Romeo

Direttore: Laura Carli Vicedirettori: Giuditta Grechi, Irene Nava Caporedattore: Filippo Bernasconi Impaginazione e Grafica: Alessandro Massone Redazione: Danilo Aprigliano, Denis Trivellato, Luisa Morra, Alice Manti, Elisa Costa, Davide Contu, Massimo Brugnone, Gemma Ghiglia, Elena Sangalli, Daniele Colombi, Alessandro Manca, Francesca Di Vaio, Andrea Fasani, Luca Ricci,Valentina Meschia, Stefano Vallieri, Fabio Pablo Marinoni Perelli, Davide Indovino, Angelo Turco. Collaboratori: Beniamino Musto, Gregorio Romeo, Fabrizio Aurilia, Luca Ottolenghi, Marco Bettoni, Francesca Gabbiadini, Alessio Arena, Luigi Serenelli. Responsabile BachecAlloggi: Giuditta Grechi

La redazione di Vulcano si riunisce ogni giovedì alle ore 13,00 nell’auletta A di via Festa del Perdono 3

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