umana negata, cancellata. Il viaggio inizia tra i colori di un eden perduto e si conclude nel bianco e nero, più nero che bianco, del codice a barre. Il tutto è realizzato con una tecnica che vira dall’acquerello disegnato, ricco di colore e calore, alla meccanica riproduzione del codice. Un’altra serie di carte è dedicata all’invasione dei molteplici simboli di cui sono disseminate le strade, le tv, i monitor, i nostri stessi pensieri. È un mondo policromo, a tratti giocoso, pervaso quasi da un divertito compiacimento infantile. Ma è una scacchiera da cui non si esce vincitori. È una ragnatela abilmente tessuta da cui non c’è un’uscita di emergenza. Eppure, ogni singolo pezzo, ogni scheggia è parte integrante della nostra quotidianità. Quello di Bova è un impetuoso richiamo all’arte, alla sensibilità individuale, alla delicatezza dei sentimenti. Nei suoi lavori c’è tutta la storia di un artista che è partito negli anni Settanta invitando alla partecipazione dell’atto creativo. “Arte nel sociale” la chiamammo. Da allora sono passati vari decenni, la storia, la sua come la nostra, ma anche quella di tutto il genere umano, si è profondamente modificata, arricchendosi di straordinarie potenzialità e opportunità mediatiche, ma perdendo anche pezzi importanti di un percorso culturale e sociale. L’allarme che lancia Raffaele Bova è espressione di un disagio, di una difficoltà a rivendicare il ruolo dell’artista, dell’intellettuale in genere, in un mondo così massificato. E ancora una volta Bova chiama alla partecipazione, alla consapevolezza. Lo fa con la manualità della pittura, con l’attrazione del colore. È una denuncia sociale. C’è voglia di tenerezza, di sentimenti, c’è voglia di piangere! Enzo Battarra