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Alla riscoperta di Lucio Anneo Seneca

di Paola Calabrese

Seneca on the road. Come e perché andare in vacanza con filosofia” è il titolo della conferenza che si è tenuta a Villa Nazareth il 26 maggio 2021. L’incontro ha segnato la conclusione del percorso intrapreso dalla sezione umanistica del collegio, volto alla riscoperta delle Epistulae morales ad Lucilium, ultima opera del filosofo latino Lucio Anneo Seneca. Il lavoro di sezione, che ha occupato il semestre novembre-maggio, si è incentrato sulla lettura e sul commento di alcune epistole significative dell’opera senecana, ponendo una particolare attenzione a tematiche quali l’incommensurabile valore del tempo che fugge e la ricerca del benessere interiore. Proprio quest’ultimo tema è stato il punto focale dell’intervento di Francesca Romana Berno, professoressa di Lingua e Letteratura latina presso Sapienza Università di Roma e relatrice della conferenza conclusiva del progetto. Nel periodo delicato che stiamo vivendo, segnato dalla pandemia da Covid-19, forse per la prima volta decidere se uscire o restare in casa ci è sembrato un dilemma di difficile soluzione, sospeso tra la voglia di tornare alla normale socialità e la paura del contagio. “Per Seneca quello di uscire o non uscire era un problema a prescindere, pandemia a parte!” ha esordito la relatrice.

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Al centro di “Seneca on the road”, infatti, vi è la relazione tra il desiderio smanioso di cambiare luogo, indice di un’agitazione profonda per Seneca, e l’integrità interiore. Tale rapporto è stato investigato nel corso della conferenza attraverso la lettura di brani scelti tratti dalle Epistulae. “[…] nonostante le tue preregrinazioni così lunghe e tanti cambiamenti di località, non ti sei scrollato di dosso la cupezza e il peso che opprimono la tua mente? Devi cambiare d’animo, non di cielo.” Con questo ammonimento Seneca, nell’epistola 28, si rivolge al suo amico e discepolo Lucilio al quale imbastisce, con l’intero complesso di lettere che costituisce l’opera, un percorso di formazione spirituale. Nel passaggio citato si denuncia il continuo spostamento di Lucilio da un luogo all’altro, associando, qui come in altri punti, un valore negativo al movimento e uno positivo alla stasi, segno di saggezza e padronanza di sé. Ma percorrendo le Epistole possiamo notare come anche il restare in casa, un’attività che oggigiorno noi tutti conosciamo fin troppo bene, sia considerato un pericolo per il benessere del proprio animo. Il rinchiudersi nella propria abitazione può portare, infatti, a marcire spiritualmente, a non vivere per nessuno, neanche per se stessi ma solo “per il ventre, per il sonno, per la libidine”(Epistola 55.5), a soddisfare dunque soltanto i bisogni primari, alla stregua di animali: “non vive per sé chi non vive per nessuno”(Epistola 55.5). La soluzione potrebbe essere dunque quella di viaggiare trovandosi però in uno stato di armonia interiore, “nella serenità in cui si distende la mente saggia”, dice Seneca nell’ Epistola 62, una condizione che ha la qualità di essere imperturbabile, anche dinanzi agli invadenti stimoli esterni. Bisogna in ultima istanza riconoscere che il benessere non viene mai dall’esterno, se non in minima parte, ma dall’interno. Per raggiungere questo stato di armonia bisogna essere liberi da occupazioni e soprattutto dal peso che ad esse si associa; infatti nell’epistola 22 il filosofo afferma che nessuno scampa da un naufragio se è carico di bagagli. È nell’opposizione tra pienezza/vuotezza che è possibile distinguere l’errare senza una meta, simbolo di inquietudine e vero elemento condannato da Seneca, e il viaggiare propriamente detto. “Io sono libero Lucilio, libero, e ovunque sono, sono mio. Infatti, non mi affido alle cose, ma mi concedo ad esse, né le inseguo al fine di perdere tempo: e in qualsiasi luogo mi fermi, lì richiamo i miei pensieri e medito nell’animo su qualcosa di salutare.” (Epistola 62) Sorge dunque la necessità di svuotarsi e quindi, seguendo un gioco etimologico, di andare in vacanza. Il termine vacanza deriva dal latino vacantia, da vacare che significa essere sgombro da occupazioni, vacuo. Quando infatti Seneca si definisce “libero” utilizza proprio il termine latino vaco. Il titolo della conferenza risulta accattivante, così come lo è stata l’intera trattazione dell’argomento scelto il quale ha permesso di spaziare tra la contemporaneità a noi più vicina e la filosofia antica che continua ancora a parlare con chiarezza e forza alla nostra sensibilità. •

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