Pugni chiusi

Page 1

PUGNI CHIUSI di Francesco Fabrocile Published by ZeugmaPad at Smashwords Copyright 2013 ZeugmaPad Smashwords Edition, License Notes Thank you for downloading this free ebook. You are welcome to share it with your friends. This book may be reproduced, copied and distributed for non-commercial purposes, provided the book remains in its complete original form. If you enjoyed this book, please return to Smashwords.com to discover other works by this author. Thank you for your support.


Indice I SADICI TENTACOLI DEL DESTINO BOLLE DI SAPONE ANNEGARE DEJÀ VU IL CANE DI MURPHY MACELLERIA RUSTICANA TERRA PROMESSA LE IDI DI MAGGIO SHOWDOWN REQUIEM FOR A DREAM


“Dedicato a te, come sempre e per sempre� Francesco


I SADICI TENTACOLI DEL DESTINO Un jab sinistro mi colpì di striscio all’altezza delle tempie, subito seguito da un violento calcio che s’infranse contro la mia guardia. Calcio-diretto-calcio: il mio avversario continuava a far saettare senza tregua braccia e gambe nell’aria umida dell’arena, accompagnato dalle urla feroci degli spettatori. Non potevo perdere. Il dolore, le umiliazioni, questa città di merda: un’ultima vittoria e avrei potuto lasciarmi tutto alle spalle e raggiungere lei. Scattai sulla sinistra, evitando il suo diretto e incrociandolo col mio; il pugno gli si stampò in pieno volto. Il pubblico scoppiò in un boato che fece tremare l’intero Nightrain Club. Il Nightrain era uno dei più grandi night club di New City, punto di ritrovo dei pidocchi arricchiti e dei pezzi grossi della città, tutti desiderosi di affogare le loro grigie esistenze nell’alcol e di rifarsi gli occhi con la giovane carne profumata che si esibiva lì ogni sera al ritmo di musica rock. Spendendo qualche soldo in più (e il nome giusto) potevi perfino goderti “ più a fondo” le bellezze del club, ma non erano queste le specialità della casa. La vera specialità erano gli incontri clandestini di lotta che si tenevano in una grande sala sotterranea dalla forma ovale, chiamata – con molta originalità – il Colosseo. Poche regole, tanta violenza e un florido giro di scommesse: una ricetta perfetta per mandare in estasi gli avventori del locale. Io, come molti altri, ero entrato in quella bolgia per un motivo molto semplice: avevo bisogno di soldi, e il più in fretta possibile. Il club pagava bene, soprattutto quelli che vincevano, più di qualunque altro lavoro avrei potuto trovare alla mia giovane età. L’ideale per me, che avevo contratto debiti con gente pericolosa per pagare le cure di mia madre; gente a cui era meglio non far perdere la pazienza. Liberatomi di loro, avrei potuto lasciare questa fogna e raggiungere Donna. Come le avevo promesso. Un anno dopo la sua partenza, se avessi vinto quell’ultimo incontro, avrei potuto finalmente onorare quella promessa. Ma il destino voleva divertirsi ancora un po’ con me… Andy “La Piovra” Sheen era un buon lottatore. Il suo punto di forza era lo stile dannatamente aggressivo, con le furiose combinazioni di colpi che piovevano sull’avversario quasi senza soluzione di continuità. Ma il suo punto di forza era, allo stesso tempo, anche il suo più grosso limite. Andy mostrava un’incapacità quasi innata di dosarsi: se il suo avversario riusciva a contenere i danni delle sue dispendiose sfuriate nelle prime due o tre riprese, poi aveva l’incontro in pugno. Qualcuno aveva cominciato a chiamarlo anche “Il Missile” e, se pensate sia un soprannome più bello dell’altro, probabilmente non ne avete colto bene il senso. Pensate a un uomo che soffre di eiaculazione precoce. Ecco, bravi… Per due round continuai a muovermi molto per mandare a vuoto i suoi colpi, salvo piazzare qualche preciso contrattacco per spezzare il suo ritmo furioso. Arrivati al terzo round, il povero Andy aveva già gli occhi sparati fuori dalle orbite e la guardia completamente abbassata. Ma il suo problema più grosso era che io, seppur provato, ero ancora in piedi.


Con la disperazione di chi sa che l’incontro gli sta scivolando via dalle mani, Andy iniziò a mettere più potenza nei colpi, finendo per scoprirsi pericolosamente. Durante l’ennesima combinazione a due mani, il suo gancio destro finì decisamente abbondante. Era arrivato il momento dell’affondo decisivo: ogni singola fibra del mio corpo si protrasse per mettere tutta l’energia residua nel montante che scaricai nel suo stomaco, subito doppiato da un preciso gancio al viso. La Piovra stramazzò al suolo, disegnando nell’aria una fine scia di sangue e sudore. Gli spettatori scattarono in piedi, urlando e agitandosi come indemoniati. Ma c’era qualcosa in quel caos che mi fece subito capire di aver commesso un tremendo errore.


BOLLE DI SAPONE Aprii il rubinetto della doccia. L’acqua calda iniziò a scendere sul mio corpo stanco, dandomi un po’ di sollievo. Ma per la mia mente non c’era pace. Immagini, suoni e pensieri continuavano ad attraversarla senza tregua. Il suono della campanella. La voce tonante dello speaker. «Signore e signori, il vincitore: Brian “Black Mamba” Gibson!» Gli occhi verdi di Andy, completamente girati all’insù. Il suo corpo immobile, come in una foto. L’arbitro che scuote la testa. Un urlo angosciante che squarcia il boato del pubblico. Avevo capito subito che Andy non si sarebbe alzato più. Mai più. Lo stomaco mi si era serrato come un tagliasigari ed ero immediatamente tornato agli spogliatoi. Non provavo sensi di colpa. Entrambi sapevamo che, lì nel Colosseo, un evento del genere era un rischio concreto, anche se remoto. Ma ero terribilmente nauseato e incazzato con la vita per avermi messo in quella situazione. E avevo paura. Avevo steso anche l’ultimo figlio di puttana che si frapponeva fra me e l’uscita da quel manicomio. Avrei potuto finalmente scappare da New City e correre da Donna; avrei potuto di nuovo vedere il suo viso, sentire il suo profumo, accarezzare la sua pelle e baciare le sue labbra. Ma ormai quella dolce prospettiva sembrava fragile come una bolla di sapone. Se qualcuno mi avesse denunciato, o se il club si fosse rifiutato di pagarmi, come avrei fatto? Non riuscii più a trattenere le lacrime. Il rumore della porta che cedeva di schianto mi fece trasalire. Vidi due uomini entrare. Uno era alto e robusto, con una lunga coda di cavallo. L’altro aveva tratti asiatici e indossava un paio di vistosi mocassini rossi sotto un elegante completo nero. Dietro di loro, c’era un terzo uomo che fumava un grosso sigaro. Attraverso i suoi occhiali dalla spessa montatura nera, notai che mi fissava con lo sguardo di un cane idrofobo. «È questo lo stronzo che cerchiamo boss?» chiese l’asiatico. «Certo che è lui, Lin. Che cazzo di domanda è? Eri seduto accanto a me durante l’incontro, o mi sto confondendo con un altro muso giallo che porta i tuoi stessi schifosi mocassini?» rispose l’uomo col sigaro. Lin abbassò lo sguardo. «Ehi, ma che cazzo!» protestai. «E tu, chiudi immediatamente quella fogna! Solo un’altra parola e a qualcuno toccherà lavare via il tuo cervello dalle piastrelle.» «…» «Cosa ne facciamo di lui, signor Varianza?» disse quello che somigliava a Steven Seagal.


“Signor Varianza”? Luciano Varianza? Oh Cristo, credevo di aver pestato un gigantesco stronzo, ma in realtà ero immerso nella merda fino al collo. «Non ne sono ancora sicuro Sean, per ora prendete in custodia il nostro campione. Penseremo dopo a cosa fare di lui.» «Signor Varianza» dissi mentre i due sgherri si avvicinavano, «non so in che modo l’abbia offesa, ma forse posso provare a rimediare...» Come se una supplica potesse fermare uno come Varianza. Il boss si lisciò il mento e sorrise a denti stretti: «Vedi Brian, il problema è che tu mi hai portato via qualcuno che mi stava molto a cuore…» «Ma è stato un incidente... non volevo ucciderlo!» «Ma lo hai fatto» disse con gli occhi lucidi, «ed è stato quello il tuo errore. Possiamo sbagliare per diversi motivi: stupidità, imprudenza, orgoglio… ma anche per semplice e terribile caso. Ma la casualità di un errore può cancellarne le conseguenze? Il fatto che sia stato un incidente mi restituirà ciò che mi hai tolto?» Varianza mi fissò negli occhi, ma io rimasi in silenzio. Sapevo che non voleva veramente una risposta. «No… e allora non posso lasciarti andare come se nulla fosse successo. Cristo, il solo vedere la tua faccia mi ricorda che di Andy rimarranno solo polvere e vecchi ricordi. Ogni volta che ci penso, mi sento morire. No, Brian, solo io posso provare a rimediare…» Fece un cenno con la testa e i due sgherri estrassero le pistole. Vidi la fine venirmi incontro come un treno. Con qualche pallottola avrebbero spazzato via da questo mondo me e le mie speranze. “Se solo tutto questo schifo fosse servito per vederti almeno un’ultima volta” pensai. L’asiatico fece una smorfia, poi mi colpì col calcio della pistola. Sprofondai nell’oscurità.


ANNEGARE Dio solo sa quanto tempo dopo, ma riaprii gli occhi. Una luce biancastra mi abbagliò. Ansimavo come se avessi trattenuto il fiato per ore e la testa mi faceva così male che temevo stesse per aprirsi in due. Mi ci volle qualche secondo per riemergere completamente nella realtà. Ero su una sedia di legno, una di quelle da giardino, e avevo le gambe e le mani saldamente legate ai piedi e ai braccioli. Ero nudo e bagnato fradicio. Distante poco più di un metro, una grossa lampada da terra brillava puntata proprio su di me. Nella fitta penombra che si stendeva oltre quell’unico fascio di luce, sentii due persone parlare. Una figura emerse dal buio e si piazzò fra me e la lampada. Aveva con sé un secchio. «Ben svegliato. Mi spiace per la secchiata d’acqua, ma avevamo finito il caffè.» Quell’odore di sigaro. Ogni ricordo riprese il suo ingombrante posto nella mia testa. «Sai, inizialmente avrei voluto solo piantarti una bella pallottola in testa. Ma per me sarebbe stato come voler curare una bronchite bevendo un bicchiere d’acqua. Mentre per uno che ha perso tutto, perfino la sua famiglia, sarebbe stato più un atto di carità che una punizione.» Come cazzo faceva a sapere quelle cose? Sapeva anche di Donna? «No, io non voglio salvarti. Io voglio che tu soffra. Voglio vederti schiacciato dal tuo dolore. Per questo ti toglierò quello che ti ha mantenuto vivo fino ad adesso: la speranza di poter ricominciare. Poi, ti osserverò consumarti, lentamente, come una candela, e godrò di ogni secondo che passerai strisciando nel tuo piccolo inferno prima di spegnerti.» Si chinò, posò il secchio e raccolse qualcosa sul pavimento. Poi mi rivolse un ghigno che mi fece gelare il sangue. Sotto la luce, fra le sue mani, brillava una mazza da baseball. “Coraggio Brian. Accada quel che accada, stavolta non supplicarlo...” «Sai, Brian, Lin è veramente un maestro nell’arte della tortura. Mi ha insegnato alcuni trucchetti che ora sono curioso di sperimentare. Lin, incappuccia il nostro amico.» In pochi secondi il cinese mi fu addosso e mi mise un cappuccio di tela, serrandolo stretto intorno alla mia faccia. Un getto d’acqua mi colpì violentemente sul viso. Provai la terribile sensazione di annegare e un terrore sconfinato. La mia mente crollò dopo pochi secondi. Cominciai ad agitare disperatamente la testa in cerca d’aria e a urlare tutto l’orrore che provavo. Ma le mie grida si spensero nell’acqua. Il getto si interruppe. Ripresi fiato a fatica attraverso il cappuccio bagnato. Tremavo e mi trattenni a stento dal vomitarmi in faccia. Con angoscia e terrore realizzai che era solo l’inizio. «Sean, metti un po’ di musica alla radio» disse Varianza. Si sentì un clic, poi la voce calda del dj uscì dall’apparecchio: «… radio seventies, e questa è Stuck In The Middle With You, degli Stealers…» «No. Metti qualcosa di più cazzuto.»


Di nuovo il clic, ma stavolta si sentì un arpeggio di chitarra elettrica, seguito da un giro di batteria sui tom. Poi, la chitarra proruppe in un riff granitico. «Ora ci siamo! Sei pronto Brian? Dopo stasera, con le mani non potrai più neanche masturbarti.» “Maledetto figlio di puttana...” Cercai di raccogliere tutta la forza possibile dai pochi dolci ricordi che mi restavano. Aggrappato a quelle immagini, aggrappato a lei, attesi l’inevitabile. BAM. Varianza diede un colpo secco sul pavimento. Il bastardo voleva divertirsi fino in fondo. «… wake up! Grab a brush and put a little makeup…» BAM. Più vicino. BAM. Ancora più vicino. BAM. Cercai inutilmente di staccarmi dalla sedia. La morsa delle corde sugli arti accrebbe il mio panico. BAM! Un milione di spilli incandescenti mi attraversò in un lampo la mano destra. Poi, il dolore si propagò rapidamente al resto del corpo. Gridai, come non avevo mai gridato in vita mia. BAM. Sentii le ossa della mano frantumarsi. Anche il bracciolo cominciò a cedere; piccole schegge s’infilarono nella carne. Urlavo come un maiale al macello. «…when angels deserve to die…» BAM. BAM. BAM. L’atroce danza continuava senza alcuna pietà. Ma io, stremato dal dolore, alla fine cedetti e abbandonai il mio corpo al suo martirio.


DEJÀ VU Delle voci lontane fecero breccia nell’oscurità che mi circondava. «Ora dovrebbe essere stabile. La mano era conciata molto male.» «Bene. Il boss non ha ancora finito con questo. È lo stronzo che ha ucciso Andy.» «Buon Dio. Proprio quell’Andy?» «Già… dottore, anche lei sapeva che…» «Tutti lo sanno Sean, anche se nessuno ha voglia di farsi beccare a parlarne in pubblico.» Il buio si schiuse. Fra i suoi scuri petali comparve un letto in cui giaceva una giovane donna. Aveva lunghi riccioli castani, labbra carnose e un sorriso sereno. Era mia madre. Mi avvicinai, ma, arrivato nei pressi del letto, mi bloccai di colpo. Dei tubicini le erano spuntati dal naso ed era collegata ad alcuni macchinari. Mia madre spalancò gli occhi e ansimando mi afferrò il braccio. La sua pelle divenne più opaca e raggrinzita col passare dei secondi, i capelli si fecero più radi e grigi, la faccia si trasformò in una sottile maschera di dolore. Alla fine ne rimase solo lo scheletro. «Perdonami.» Le ossa si frantumarono in finissima polvere. Un soffocante bozzo mi avvolse. La polvere scomparve e io mi ritrovai ragazzino a camminare in compagnia di un uomo per le strade di New City. Alto, con la barba bruna leggermente sfumata di rosso, l’uomo indossava una coppola nera e sorrideva con lo sguardo rivolto verso il sole. Ci fermammo per attraversare la strada. «Aspettami qua Brian» mi disse. «Non andare, papà. Se attraversi la strada morirai!» «Non posso restare figlio mio, devo andare. Non avere paura» rispose accarezzandomi, «io sarò sempre con te, non lasciare che i tuoi occhi t’ingannino. E non piangere più per me. La tua felicità è la mia pace.» Si allontanò sorridendomi, scomparendo in una folla di persone senza volto. Uno sparo rimbombò nella via. Sentii di nuovo la mia vita andare in frantumi in un battito di ciglia. Poi quel dolore, come se ti venisse strappato via un pezzo di anima. Probabilmente uno dei pezzi più belli, sicuramente il più importante. E dover accettare di averlo perduto, per sempre. Scese di nuovo il buio. «Perché piange?» «Un effetto dell’iniezione che gli ho fatto, credo.»


La prima cosa che vidi dopo fu un aereo che volava disegnando cerchi nel cielo. Il pianto di una donna mi raggiunse. Non avrei avuto bisogno di voltarmi per sapere di chi erano quelle lacrime. Mi girai e lei era lì, a un metro da me. Donna si spostò una ciocca bionda dietro l’orecchio e tirò forte su dal naso. Un po’ di mascara le era colato sul viso, ma quelle sbavature non intaccavano la sua bellezza. Anzi, la esaltavano. «Vorrei solo che tu potessi venire via con me, adesso» disse. «Dio solo sa quanto lo vorrei anche io. Ma non posso, né potrei mai chiederti di aspettarmi.» «Ti raggiungerò presto» dissi sforzandomi di sorridere e accarezzandole il viso. «Presto?» Le presi le mani e gliele strinsi. «Presto. Troverò il modo di scappare da questo posto, te lo prometto. Ti ho mai delusa?» Sorrise. «Mai.» La strinsi a me e baciai le labbra per cui ancora volevo vivere. Il rumore di un’esplosione ci interruppe, seguito poi da altri simili in rapida successione. Donna svanì insieme a tutto quello che ci circondava in un bagliore accecante. «Finalmente, cazzo, era ora. Buongiorno principessa.» Vedevo sfocato e mi sentivo dannatamente scombussolato, come se qualcuno si fosse divertito a scoparmi il cervello. In compenso, provavo un piacevole tepore che si irradiava in tutto il mio corpo. Finalmente misi a fuoco qualcosa: due cadaveri. Il più vicino aveva un buco in testa e una lunga criniera tinta di rosso. «Cristo, Brian, sei più fatto di Hendrix a Woodstock.» Alzai lo sguardo verso chi mi parlava, ma riuscii a distinguere solo una folta capigliatura rasta. C’era qualcosa di familiare in lui, ma il mio cervello non voleva saperne di funzionare. Con l’aiuto del mio misterioso angelo custode riuscii a rialzarmi. Del resto era quello che mi riusciva meglio. «Ora dobbiamo darci una mossa» disse. Non vedevo l’ora.


IL CANE DI MURPHY «Forza, manda giù.» Mentre un misterioso intruglio bollente mi scendeva attraverso la gola, la mia mente era impegnata a collezionare interrogativi. Provai a sbrogliare la matassa partendo da una domanda semplice. «Chi sei?» Un ceffone atterrò sul mio viso. Sentii un lieve pizzicore. «Cristo, Brian, sono Peter. Riprenditi!» “Peter, ma certo…” Sorso dopo sorso, ceffone dopo ceffone, riuscii finalmente a ritrovare un minimo di lucidità. Peter Grudge, detto “Pete”. Avevamo fatto il liceo insieme, ma senza cagarci più di tanto. Poi, ci eravamo rincontrati diversi anni dopo al Nightrain, dove lui lavorava come buttafuori. Negli ultimi mesi, Pete era diventato ciò che nella mia vita somigliava di più a un amico. «Ho trovato il tuo borsone al club. Tieni, non ne posso più di vederti il batacchio. Vestiti e facciamo sgommare i tacchi» disse, mentre fumava beato da quello che mi sembrava uno spinello. Il suo corpo pareva volersi dissociare dalla fretta che trapelava dalle sue parole. Lentamente, insieme alla lucidità, tornò anche il dolore. Finito di vestirmi, osservai la mia mano destra, avvolta in una fasciatura insanguinata. Sembrava una bistecca appena incartata. Mi chiesi se sarebbe mai tornata come prima. «Muoviamoci» disse Peter dirigendosi verso la porta della stanza. «Peter…» «Sì?» «Grazie.» Abbassò lo sguardo. «Prima di ringraziarmi, aspetta che i nostri culi siano in salvo.» Pete aprì la porta e uscì. Scavalcai un cadavere – e i suoi orrendi mocassini rossi – e lo seguii fuori. Un’enorme luna piena splendeva quella notte. Le navi si stagliavano come placidi giganti nel cielo notturno, circondate da un mare che sembrava una tavola di ebano intarsiata di avorio. Dovetti sforzarmi per riconoscere in quel quadro suggestivo lo squallido porto di New City. Percorso rapidamente un lungo tratto di banchina, svoltammo verso l’interno del porto e ci ritrovammo a camminare attraverso alcuni blocchi di container. «Che fine ha fatto Varianza?» chiesi improvvisamente. «C’erano solo i due sgherri quando sono arrivato.»


«Perché lo hai fatto, Peter?» «Che vuoi dire?» mi chiese sorpreso. «Voglio dire che hai ucciso due uomini di Varianza e gli hai tolto il suo nuovo giocattolo. In pratica sei un uomo morto in questa città. Ovviamente lo sapevi, ma lo hai fatto lo stesso. Perché?» «Siamo amici.» “Così tanto amici?” «E poi…ti ricordi di Lindsay?» aggiunse, come se avesse percepito la mia perplessità. «La bella spogliarellista con cui uscivi?» «Yessa. Non sei l’unico giocattolo con cui Varianza si sia divertito ultimamente. Dopo che l’hanno vista andare via dal club insieme a quel maiale, circa una settimana fa, di lei si è persa ogni traccia. Ho provato a chiamarla, l’ho cercata ovunque, ma niente da fare. Poi, ieri, un amico mi ha raccontato tutto.» Pete serrò i pugni e sospirò. «Pare che mentre quel pervertito faceva uno dei suoi giochetti con lei, Lindsay sia andata in overdose, e che non ci sia stato un cazzo da fare. Varianza avrà subito fatto sparire il cadavere chi sa dove. Quel maledetto ciuccia cazzi! Non ho potuto neanche accarezzare un’ultima volta il suo dolce viso, bretherin.» Gli occhi di Pete brillarono di dolore e rabbia. «Che schifo.» Non riuscii a dire altro. Camminammo in silenzio per alcuni minuti, fino a quando non giungemmo a un parcheggio. «Siamo arrivati. Quello è il mio furgone» disse Pete indicando un Transporter verde. «Non l’avrei mai detto. Qual è il prossimo passo?» «Dovrem… Brian, chi sono quei cinque simpaticoni che ci vengono incontro?» «Merda! Merda! Merda! Come cazzo ha fatto a trovarmi già.» «Ma chi?» «Pitbull!» Se le cose sembrano andare meglio, c’è qualcosa di cui non stai tenendo conto. Fanculo legge di Murphy, tu e i tuoi corollari. «Scommetto che i suoi soldi non li hai.» «Ero troppo impegnato a farmi massacrare per racimolarli.» «Ah ah ah. Ok, ora prendi questa, simpatica stronzetta.» Da sotto la camicia tirò fuori una Beretta. L’afferrai e, con i denti, levai subito la sicura. Mi ero davvero rotto il cazzo.


MACELLERIA RUSTICANA «Forse dovremmo scappare. Noi siamo due – anzi, uno e mezzo – e loro…» «Al diavolo, Pete. Sono stanco, stavolta tiro dritto.» Fregandomene del rischio di spararmi nelle chiappe, nascosi la pistola nelle mutande e mi incamminai deciso verso la losca cinquina. «Fantastico, cazzo.» Pete alzò gli occhi al cielo e mi seguì. Zack Brooks, meglio conosciuto come “Pitbull”, si era meritatamente guadagnato il suo soprannome in venti anni di strozzinaggio. Una volta, un tal Eddie Black aveva provato a non pagarlo, scappando dalla città e nascondendosi a casa di una zia. Dopo qualche giorno, il postino aveva suonato alla porta della cara zietta e le aveva consegnato un pacco. Alla povera vecchia per poco non prese un colpo quando ne scoprì il contenuto: un dito e una lettera. In questa veniva intimato a Eddie di tornare immediatamente a New City, se non voleva ricevere, di giorno in giorno il resto delle dita di suo fratello Nick. Firmato, ovviamente, “Pitbull”. Eddie fece subito i bagagli e tornò strisciando a New City. Alla fine, Pitbull si vide consegnare tutto, fino all’ultimo centesimo. Ma non era ancora soddisfatto. Fece tagliare la mano sinistra di Eddie e la diede in pasto ai suoi cani, in modo che il messaggio fosse cristallino per tutti. Come una suora morigerata, Pitbull non gradiva la gente che voleva fotterlo. Sguardo minaccioso e sorriso beffardo racchiusi in lunghi riccioli bruni, Zack fece segno ai suoi uomini di fermarsi. Poi, senza fretta, fece un altro paio di passi verso me. «I combattimenti devono essere molto movimentati al Colosseo ultimamente» disse fissando la mia mano, «non ci sono problemi anche nel pagamento, vero?» Rimasi muto e immobile come una statua, lo sguardo fisso, piantato nel suo. Uno dei quattro scagnozzi cominciò a grattarsi la folta barba rossa; un altro, la cui pelata splendeva sotto la luna piena, guardò confuso il suo boss. «Senti coglione, chi cazzo credi di essere? Quando ti faccio una domanda devi rispo…» La mia mano piombò sulla pistola; un attimo dopo era puntata in faccia a Pitbull. «Volevi una risposta?» Uno sparo squarciò il silenzio. La pallottola si fece strada attraverso il volto sorpreso e terrorizzato di Pitbull, scavando un profondo buco sotto l’occhio sinistro. Una scia di sangue e materia cerebrale tinse di porpora l’asfalto. L’eco del primo sparo non si era ancora spenta che la mia pistola era già in cerca di nuove vittime. Anche Pete, dopo un primo momento di sbandamento, prese la mira. Una grandinata di proiettili investì i quattro sgherri, terrorizzati e colti di sorpresa almeno quanto il loro defunto boss. Le nostre pistole, come manovrate da una sola persona, suonarono una roboante sinfonia di morte. Pochi secondi dopo, il silenzio scese di nuovo sul porto. Ai nostri piedi, riversi nel loro sangue, giacevano cinque cadaveri. Quello di Pitbull aveva una strana espressione: sembrava non riuscire ancora a credere che avessi potuto puntargli una pistola contro.


Pete gironzolava intorno ai corpi, lisciandosi il pizzetto con la mano sinistra. Diede un’occhiata ravvicinata a ciascuno di essi, poi, si voltò verso di me e, grattandosi in testa, disse: «Non sapevo che tu fossi un fottuto cecchino, tanto meno mancino, cazzo.» «Non sono mancino.» Pete, confuso, si chiuse nei suoi pensieri per qualche secondo. «Allora ringraziamo Jah per aver guidato la tua mano in questa carneficina. È stata una maledetta macelleria rusticana» disse rompendo il silenzio. «… messicana, Pete.» «E io che ho detto?» prese un altro spinello dal taschino e lo accese. «Lascia perdere» sospirai, «vediamo di muoverci prima che arrivi qualcuno, piuttosto.» Salimmo sul furgone. Pete mise le chiavi nella toppa, accese i fari e mise in moto. «Maledizione, vuoi fare fumare anche me?» dissi. Pete fece un altro profondo tiro, poi mi passò la canna. «E adesso?» chiesi. «Beh, mi sembra ovvio che né io né tu possiamo rimanere un secondo di più in questa città, bredda. Direi che è proprio arrivato il momento di raggiungere Donna.»


TERRA PROMESSA Wikitown sorgeva sul versante sud del golfo di New City. Era una piccola città di nemmeno centomila abitanti, grigia, scialba e senza anima. Ma per me e Pete era la meta più desiderabile del mondo: distava pochi chilometri dall’aeroporto di New City. E non era New City. Arrivammo al porto accolti da una magnifica giornata di sole. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che lo avevo visto? Chiusi gli occhi e inspirai a pieni polmoni l’aria carica di iodio. Sorrisi. Usciti dal porto, attraversammo il quartiere vecchio della città. I bassi palazzi color cenere scivolarono via veloci lungo il finestrino, mentre il furgoncino avanzava sobbalzante sul ciottolato. Nell’ultimo anno, ogni maledetto giorno avevo girato nella mia mente la scena del momento in cui ci saremmo ritrovati. I sorrisi, le parole e i baci, li avevo già vissuti infinite volte nei mie sogni, pregando di poterli vivere un giorno anche nella realtà. Perché, a volte, anche un senza dio come me si scopre a pregare. Ora, finalmente, quel momento era dietro la porta. Ma era così vicino che ero terrorizzato all’idea che qualcuno potesse rubarmelo. Del resto, per quanto ne sapevo, Varianza era ancora vivo. Non potevo farmi fottere di nuovo, non adesso che ero così vicino alla terra promessa. Superata una rotonda, Pete imboccò la rampa di accesso alla tangenziale. Lungo la strada, notai una macchina nello specchietto retrovisore, un’Audi nera. Era lì, dietro di noi, ormai da un po’. Da troppo. Davvero avevo sperato che Varianza ci lasciasse andare senza far nulla? Che idiota. L’Audi continuava a tampinarci. Desiderai essere già sull’aereo. “Perché non sorpassi? Avanti, sorpassaci e vai a farti fottere.” «Tutto bene, bredda?» chiese Pete. «Hmm? Sì, certo.» «Sicuro?» L’Audi mise la freccia e sorpassò. Sospirai. «Davvero Pete, è tutto ok.» «Se lo dici tu. Senti, non è che voglia farmi i cazzi tuoi, veramente, ma ormai mancano due chilometri all’aeroporto. Potrei sapere dove siamo diretti?» «Non te lo avevo ancora detto?» «No.» «Mi sto completamente rincoglionendo. Scusami, vecchio mio. All’isola di Gran Luz, nell’arcipelago delle Palomas.» «Ah, le Palomas. Fantastico, mi godrò un po’ di mare e mi cercherò qualche bella señorita. Tranquillo, non disturberò la tua luna di miele.» Pete sghignazzò. «I miei documenti?» chiesi senza assecondare la sua ilarità.


«Nel tuo borsone. Rilassati, filerà tutto liscio bredda. Credimi.» «Speriamo.» Forse la fortuna era veramente dalla nostra parte. Riuscimmo a trovare due biglietti per un volo in partenza tre ore dopo. Fatto il check-in, Pete andò a pisciare e io mi diressi verso le panchine vicino alle vetrate che affacciavano sulla pista. Mi accomodai vicino a una signora con un bambino seduto sulle ginocchia. Ingannai l’attesa, che diventava ogni secondo più insopportabile, osservando gli aerei che manovravano sulla pista. Un grosso Boeing si era appena staccato dal suolo, quando il mio sguardo si posò su una zona della pista dove erano parcheggiati dei velivoli molto più piccoli. Un uomo passeggiava senza fretta, probabilmente aspettando il momento del decollo. In prospettiva non mi appariva più grande di un’unghia, eppure un piccolo particolare mi giunse nitido agli occhi. Quell’uomo aveva ai piedi un paio di scarpe rosse. “Non può essere. Sto impazzendo, ora vedo anche i fantasmi.” Gelide gocce di sudore iniziarono a corrermi lungo la schiena. Mi voltai verso la mia vicina. «Mi scusi, signora. Anche lei vede…» «Brian?» Vidi Pete venire verso di me. La sua espressione passò rapidamente dalla perplessità alla preoccupazione. «Cazzo. Che ti prende? Sei bianco come un lenzuolo.» Indicai col dito tremante verso la pista. «Credo…credo di aver visto Lin.» «Non dire stronzate, sarà un altro muso giallo.» Scrutò la pista, poi aggiunse: «Io non vedo nessuno.» Anch’io non vedevo più nessuno. «Avvisiamo i signori passeggeri che le operazioni di imbarco per il volo 2505, diretto a Gran Luz, sono cominciate al gate 15.» Pete mi sorrise. «Contento? Finalmente ce la squagliamo!»


LE IDI DI MAGGIO Atterrammo a Gran Luz sei ore dopo, in un caldo pomeriggio di metà Maggio. Il volo era filato via liscio; nel momento in cui l’aereo aveva lasciato il suolo, avevo visto i miei fantasmi salutarmi dalla pista. Si erano fatti sempre più piccoli, fino a sparire. Ci volle un’oretta per lasciare l’aeroporto, grazie a Pete. Prima ebbe un piccolo contrattempo con un cane antidroga. La bestiola abbaiò e scattò minacciosa verso di lui. L’agente che la teneva a guinzaglio a momenti finiva a lucidare il pavimento col muso. «Buono cucciolo.» Pete indicò la sua testa: «Mi creda agente, ormai è tutto qui.» Fortunatamente non mentiva e lo lasciarono andare dopo averlo perquisito. Poi, usciti dal terminal, disse: «Aspettami qui. Torno subito.» Dieci minuti dopo si ripresentò, reggendo nella mano destra un borsone. «Degli amici mi hanno consegnato un kit di emergenza.» Sorrisi. Non avevo la minima idea di cosa stesse parlando ma, dopo quello che era successo col cane, preferii non approfondire la questione. Pete si avvicinò alla strada per chiamare un taxi. Una Fiat Siena gialla accostò e un uomo di mezza età ci fece salire. «Benvenuti a Gran Luz. Dove vi porto?» chiese in un inglese stentato. Sul suo viso abbronzato, la folta barba canuta sembrava splendere. «Calle Cervantes, 14» dissi con voce rotta dall’emozione. Il taxi percorreva la strada che portava alla città, attraversando la rigogliosa pineta che ricopriva la parte interna dell’isola. Il tassista cercò di attaccare conversazione, ma Pete, stranamente, non gli dava corda . Neanche io ero molto loquace, immerso com’ero nei miei pensieri. Donna aveva sempre sognato di vivere in un paradiso come quello. Le avevano offerto il posto da ricercatrice alla facoltà di biologia di Gran Luz pochi mesi dopo che mia madre era morta. Io non potevo partire con lei, e così si trovò, confusa e spaventata, di fronte a un bivio. Voleva quel posto, ma non voleva che ci separassimo. Neanche io l’avrei voluto, ma l’amavo più di ogni cosa, e sapevo qual era la scelta giusta: dovevo farmi da parte e lasciarla partire. «Ti raggiungerò presto. Quanto potrò mai metterci?» Un anno, un mese e due giorni. Con la morte nel cuore e una speranza stretta fra le dita, ero riuscito a sopravvivere a ogni singolo secondo di quei trecentonovantasette giorni di agonia. Ma ora, di tutto ciò che era successo dal Big Bang a oggi, di tutto quello che sarebbe successo fino alla fine del mondo, non me ne fregava più un cazzo. Fra tutte le maledette sabbie del tempo, un solo granello per me aveva importanza: il momento in cui saremmo tornati insieme. Quando i pini lasciarono spazio alle prime case della città, il tassista si era ormai arreso. Eravamo quasi sul lungomare, quando, arrivati in Plaza Mayor, il taxi cambiò direzione, imboccando una stretta stradina che si arrampicava fra le case colorate.


«Mi scusi, ma è sicuro che sia la strada giusta?» Donna mi aveva sempre detto che dal suo appartamento vedeva la spiaggia. «Certo. Non si preoccupi, siamo quasi arrivati.» Dopo pochi minuti, ci lasciammo le case alle spalle e ci trovammo su una strada che si snodava a picco sul mare. Di fronte a noi, su un promontorio roccioso, la figura di un faro si stagliava su uno sfondo che il tramonto aveva dipinto di indaco, oro e vermiglio. «Ma dove cazzo ci sta portando questo?» «Non ti preoccupare, bredda.» «Come no? Che cazzo dici?» La macchina svoltò proprio verso il faro. Sotto di esso, un uomo osservava a braccia incrociate il mare. Quando fummo a poche decine di metri di distanza, l’uomo si girò verso di noi. I capelli lunghi e neri. I lineamenti severi. Gli occhiali spessi. Il sigaro fumante. Varianza alzò la mano in segno di saluto. Il mio cuore si fermò per un attimo. Poi, il panico. Com’era riuscito a trovarmi? Com’era riuscito ad arrivare a pochi metri da Donna? Cristo. C’era un solo modo possibile. Che ingenuo ero stato. «Anche tu… perché? Erano tutte stronzate quelle che mi hai detto?» La mia voce era gelida. Pete abbassò lo sguardo.


SHOWDOWN Il tassista scese dall’abitacolo. Quando ebbe chiuso la portiera, Pete cominciò a frugare nel borsone ai suoi piedi. «Mi spiace bredda, non avevo scelta. Ma non è come credi.» «Ah, no? Cristo, se solo ne avessi la forza, ti farei a pezzi.» Come un soldato, il tassista si portò la mano alla tempia e la riabbassò. «Hola señor Varianza» urlò. «Hola Rodrigo. Hai qualcosa per me?» «L’indirizzo è Calle Cervantes 14, señor.» Gli occhi di Varianza brillarono dietro le lenti; il suo sorriso divenne un ghigno. «Muy bien.» Urlai di rabbia. Stavo per lanciarmi fuori dalla macchina, ma Pete mi afferrò per il colletto. Provai a liberarmi piazzandogli un sinistro in faccia, ma la mano rotta e lo spazio ristretto erano handicap troppo pesanti. Pete schivò il colpo, mi puntò una pistola contro e fece scattare il cane. «Calmati, cazzo. Mi spiace per quello che hai passato, credimi, ma ho un piano e non posso permetterti di mandarlo a puttane. Ora, prendi questa e aspetta il mio segnale. Fidati di me, bredda, almeno un’ultima volta.» Sentii il taxi sgommare via. Dal ciglio del promontorio, Varianza mi osservava divertito trascinarmi verso di lui con la pistola del mio amico puntata addosso. Si stava godendo ogni secondo di quella mia piccola Via Crucis. «Brian, che piacere rivederti.» «Il piacere è tutto tuo, sadico pezzo di merda.» Varianza rise come se avesse visto qualcuno cadere culo a terra. «Che grinta! Così mi piaci, basta suppliche. Voglio sentire urla, bestemmie e minacce, soprattutto quando mi guarderai giocare con… accidenti, come si chiama? Donna?» «Lei non c’entra niente.» «Sì, invece. Lo sai benissimo anche tu. Hai sperato di cavartela solo con una mano rotta per aver ucciso Andy, hai sperato che io non sapessi nulla di lei, ma ti sei aggrappato a queste speranze solo per non dover guardare in faccia la realtà: non poteva finire così.» Varianza avvicinò la bocca al mio orecchio e sussurrò: «Mi hai strappato via l’amore, e io farò la stessa cosa con te. È così che finirà.» «Sapevo che saresti morto piuttosto che tradirla» continuò ad alta voce mentre tornava verso il precipizio, «per questo ti abbiamo rimesso in sesto e abbiamo convinto il buon Pete a darti una mano a scappare. Una volta che avesse avuto la tua completa fiducia, saresti stato tu stesso a portarci da lei. Fortunatamente, l’imprevisto arrivo di Pitbull ha


perfino accelerato le cose. E ora che mi hai portato qui, Brian, non ci resta che andare da lei.» «Non così in fretta» disse Pete, «dov’è lei?» «Calmo, Pete» disse Varianza parando le mani avanti, poi si ficcò indice e medio fra le labbra. Un fischio vibrò nell’aria. La porta sotto il faro si aprì. Uscirono due uomini che trascinavano sotto braccio una ragazza. Aveva grandi occhi verdi e lunghi riccioli rossi, che incorniciavano un viso dai morbidi lineamenti. Uno dei due uomini le stava puntando una pistola alla testa. Lo riconobbi. Poi riconobbi anche l’altro. Sentii il cervello implodermi: erano Sean e Lin. «Eccola, come vedi sono un uomo di parola» disse Varianza. «Stai bene, piccola?» Il suo sguardo era terrorizzato, ma la ragazza fece segno di sì con la testa. «Ma io ho visto i loro cadaveri…» dissi. «Tu credi di aver visto dei cadaveri, ma non è così. Droga e sangue finto, ecco di cosa sono fatte le tue certezze. La tua sicurezza sarà la tua rovina, Brian.» «È in buona compagnia in questo» disse Pete puntando la pistola verso i due sgherri. «Adesso, Brian.» Cacciai la pistola dal pantalone e la puntai contro Varianza. Per la prima volta, il suo sorriso si spense. Sembrava un leone che aveva preso un calcio in faccia da una zebra. «Coglione di un rasta, cosa cazzo pensi di fare?» «Eri così sicuro che tenere Lindsay in ostaggio mi avrebbe costretto a fare il bravo cagnolino che hai abbassato la guardia. Sei venuto qui, dove conti meno di un cazzo, senza neanche impugnare una pistola e solo con quei due ciuccia cazzi. Sei tu quello nella merda, batty man.» Sorrisi. «La tua sicurezza sarà la tua rovina, stronzo.»


REQUIEM FOR A DREAM Lin spinse la canna della pistola contro il viso terrorizzato di Lindsay. La sua faccia era una maschera di odio e furia omicida. Varianza osservò la scena ridendo: aveva ancora un asso nella manica. «Bene, bene… come la mettiamo adesso, ragazzi?» L’unica risposta fu il rumore del mare che s’infrangeva contro la costa. «Non sei stanco, Lin?» dissi rompendo il silenzio. Tutti mi guardarono perplessi. «Ma sì, della tua merdosa vita da schiavetto…» «Chiudi la bocca, stronzo.» «Lin, calmati» disse Varianza. «Chissà, quando siete soli cosa ti costringe a fare questo pervertito…» Lin digrignò i denti. «Eppure non sembri uno a cui piace succhiare uccelli, forse sei semplicemente troppo stupido per fare altro nella vita…» «Ora basta, figlio di puttana!» La pistola di Lin scattò cercando il mio volto, ma, appena ebbe abbandonato quello di Lindsay, Pete aprì il fuoco. La testa del cinese sussultò sotto gli sguardi attoniti di Sean e Varianza, poi il suo corpo rovinò sul terreno. Le mani dei due corsero verso le fondine, in un disperato tentativo di salvarsi la pelle. Si erano appena chiuse attorno alle pistole, quando i nostri proiettili cominciarono a crivellare i loro corpi. Sparo dopo sparo, io e Pete svuotammo i nostri caricatori. Quando l’eco dei colpi si spense, sul promontorio calò un silenzio tombale. Pete corse ad abbracciare Lindsay, mentre io mi avvicinai a osservare i corpi sul terreno. Stavolta era finita davvero. «Che fai? Corri da lei, ci pensiamo noi qui» disse Pete sorridendo. «C’è la loro macchina parcheggiata più giù, lungo la strada. Le chiavi le ha il cinese» disse Lindsay. «Muoviti, cazzone.» «Grazie, Pete.» «No, grazie a te bredda» disse stringendo forte Lindsay fra le sue braccia. Per un anno ero riuscito ad andare avanti solo grazie al pensiero che un giorno quel momento sarebbe arrivato. Adesso, quel momento distava solo una rampa di scale. La affrontai di corsa, fermandomi solo davanti alla porta. Mi diedi una rapida sistemata, feci un bel respiro e suonai il campanello. Un rumore di passi, le chiavi girarono nella toppa, poi la porta si aprì. «Salve, desidera?»


Chi era quell’uomo? Avevo forse sbagliato casa? «Tesoro, chi è?» Quella voce, invece, mi era fin troppo familiare. Aveva riempito di dolcezza i miei ricordi ed era stata la colonna sonora delle mie fantasie. Ora invece suonava come un requiem per me e per i miei sogni: quelle tre parole avevano mandato, in un attimo, tutto in frantumi. Osservai incredulo i cocci del mio amore, mentre un’oscurità senza fine calava su di me. Mi accasciai su me stesso, svuotato. Come potevo vivere senza luce? «Si sente bene?» Perché anche lei? Come aveva potuto farmi questo? Avrei voluto urlare, rompere tutto, picchiare quell’uomo, ma che senso avrebbe avuto? Ammesso ci fosse ancora qualcosa che avesse senso. «Devo aver sbagliato piano…» Mi allontanai di corsa, senza voltarmi, chiedendomi cosa avessi mai fatto di male nella vita per meritare quell’ultima, atroce beffa. Ucciso dalla donna che amavo. Era troppo, anche per me. Mi sedetti vicino alla battigia. I miei occhi, gonfi di lacrime, si persero nelle acque scure. Avrei potuto tuffarmi e lasciare che il mare mi trascinasse a fondo, qualche secondo di agonia, e poi sarei annegato dolcemente. Avrei finalmente smesso di combattere e di soffrire. Avrei finalmente trovato pace. «Ehi, ragazzo triste…» Mi voltai e vidi una ragazza. Mi regalò un sorriso dolce come il miele. «Problemi di cuore?» «Qualcosa del genere…» «E ti ha spezzato anche la mano oltre al cuore?» Scoppiai a ridere. «No, non è stata lei. È una lunga storia…» I primi raggi del sole cominciarono a illuminare il mare, piatto come una tavola. «…se vuoi te la racconto.» «Certo. Potresti cominciare dal tuo nome.» «Brian.» «Maria.» Al diavolo New City, Varianza, al diavolo anche Donna. Al diavolo tutto e tutti. Mi sarei rialzato e avrei ricominciato a combattere ancora una volta. Del resto era quello che mi riusciva meglio.


“Pugni chiusi” è una storia nata su THe iNCIPIT.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.