Estratto da: Il Quotidiano della Basilicata - 08.01.2013
PAG. 8
Basilicata Mezzogiorno
10 Primo piano
Martedì 8 gennaio 2013
Mala del Vulture
Trasportava un carico di hashish Preso il 29enne Umberto Di Muro
L’eredità scomoda di Ciola E’ il primogenito del boss Angelo, 3 settimane fa in manette era finito il fratello di LEO AMATO POTENZA - Tre settimane fa era toccato al fratello minore, per ricettazione e droga, giacché i militari arrivati a casa loro per arrestarlo gli avevano trovato una discreta quantità di “fumo” già confezionata in piccole dosi. Quello stesso giorno a Potenza la procura chiedeva l’ergastolo per il padre, accusato dell’omicidio di Bruno Cassotta, e già condannato a trent’anni in primo grado per la morte di un altro Cassotta, Marco Ugo. Domenica sera - invece - è toccato a lui, il figlio maggiore, che il “fumo” se lo stava portando da Foggia: 4 panetti da poco più di cento grammi cadauno. E’ nel carcere di Melfi da 36ore il 29enne Umberto Di Muro, primogenito del boss Angelo detto “ciola” ancora considerato ai vertici del clan ex Delli Gatti assieme al fratello Vincenzo. Umberto, che fino a poco tempo fa risultava anche titolare della ricca impresa di costruzioni di famiglia (bersagliata da una serie di misure patrimoniali su beni mobili e immobili per milioni di euro e cancellata dall’albo della camera di commercio), era di ritorno dalla Puglia con l’auto di un amico, un’insospettabile Fiat 600, ma ad attenderlo ha trovato un posto di blocco dei militari della stazione carabinieri di Lavello. «Già da tempo - spiega la nota diffusa ieri in serata dal comando provinciale dell’Arma - la compagnia di Venosa, al comando del capitano Vincenzo Varriale, stava indirizzando le sue indagini su di un giro di “droga” che, dalla vicina Puglia, veniva “importata” nella zona del Vulture - alto Bradano e del melfese, dove esperti pusher avrebbero poi dovuto “smistarla” nei comuni del circondario». Il comitato d’accoglienza per il figlio del più noto boss della zona sarebbe stato predisposto assieme agli investigatori del nucleo operativo e radiomobile della cittadina oraziana «dopo una preventiva ed articolata attività info-investigativa». Tradotto, vuol dire che con molta probabilità c’è da attendersi risvolti anche nei prossimi giorni: sia per i fornitori che per i pusher che facevano capo a Di Muro «già da tempo “monitorato” dai carabinieri». La droga era nascosta ma non è sfuggita a un’attenta perquisizione. L’auto resta dunque sotto sequestro e non è passato inosservato nemmeno il cognome del suo proprietario, il 33enne melfitano Antonio Caprarella, di cui nei prossimi giorni è probabile che gli investigatori vorranno appurare i rapporti non solo con Di Muro, ma anche con gli omonimi Gerardo e Antonio Caprarella già coinvolti in diverse inchieste sul clan di “ciola” e a loro volta titolari di un’impresa di costruzioni. Il primo in particolare era stato arrestato a dicembre del 2010 assieme al boss per l’omicidio del rivale Marco Ugo Cassotta, capo della costola melfitana dei basilischi, ma a marzo è stato assolto in primo grado e liberato, perciò in attesa dell’appello deve rispondere in un
altro processo soltanto di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il secondo invece, 31enne ed ex consigliere comunale eletto in una civica nell’allora maggioranza di centrodestra, già nel 2008 era finito in un’informativa della polizia per essere stato intercettato al telefono con Umberto Di Muro e aver prestato ad Angelo la sua auto, un grosso Suv. Due anni più tardi è stato anche indicato da un pentito, Alessandro D’Amato, come il referente per i traffici di droga del clan Di Muro nonché il custode delle armi del gruppo, ma si tratta di accuse rimaste senza seguito, a parte le querele dell’ex consigliere comunale nei confronti del collaboratore di giustizia, inclusa quella di aver partecipato alla pianificazione di un attentato contro un membro del clan rivale.
La droga i cellulari e i contanti sequestrati domenica sera dai carabinieri
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LA DROGA AI VIP
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Basilischi di seconda generazione
In aula Morabito, l’interrogatorio di Cossidente slitta L’ACCUSA dovrà depositare i verbali con le trascrizioni integrali degli interrogatori resi dal boss pentito dei basilischi Antonio Cossidente. E’ quanto ha deciso il collegio del Tribunale di Potenza nell’udienza di ieri del processo sui giri di coca nella Potenza “bene” gestiti dagli uomini del clan. A sollevare la questione era stata la difesa di Pietro Morabito, noto rampollo delle ‘ndrine della locride nonché parente del mammasantissima don Peppe detto “u tiradrittu”, assistito dall’avvocato Leo Chiriaco. Ieri mattina Morabito era in udienza in piedi dietro le sbarre a non più di tre metri dal suo grande accusatore, l’ex boss Cossidente, seduto al posto dei testimoni protetto da tre agenti di scorta disposti a scudo umano. Per l’esame e il controesame di Cossidente l’udienza è stata quindi aggiornata al 28 gennaio.
LE RIVELAZIONI DEL PENTITO
Le nuove leve dei rivali: «Hanno nomi pesanti e sono già sulla cattiva strada» «SONO già sulla buona strada, cioé la cattiva». Ha parlato anche dei giovani eredi dei suoi ex “compari”, il boss pentito dei basilischi Antonio Cossidente con gli investigatori che Antonio l’hanno interrogato dopo la sua deCossidente cisione di collaborare con la giustizia, a ottobre del 2010. Nel verbale del 28 gennaio del 2011 li chiama
«le nuove leve» o «giovani esordienti». Si tratta dei rampolli del clan capeggiato da Saverio Riviezzi, l’ex pugile di Pignola (di mestiere taglialegna), condannato di recente a 13 anni proprio nel processo sulla sua scalata ai vertici del crimine nel capoluogo dopo la ritirata di Cossidente a Nola. L’ex boss pentito fa i nomi del figlio di Riviezzi, Vito, di un non meglio precisato «marocchino Kebir», e di Giuseppe Campanella, figlio di Carmine che sta scontando una condanna definitiva a 15 per droga e associazione mafiosa, ed è considerato il gancio tra il clan e l’ex vicepresidente della giunta regionale Agatino Mancusi, sotto inchiesta per concorso esterno. Per Cossidente sarebbero loro a portare avanti gli affari illeciti del clan, dato che gli altri - a partire dal boss Saverio Riviezzi - negli ultimi anni sono finiti in carcere colpiti dalle operazioni di polizia e carabinieri. «Quando vengono in tribunale - spiega ancora il pentito sempre nello stesso verbale - comunicano ai maggiorenti detenuti le novità e
l’andamento delle attività illecite. A volte gli stessi comunicano anche solo con gli sguardi e/o con la mimica». Altri «giovani criminali emergenti» farebbero partedi una banda di Malvaccaro, il popoloso quartiere nella periferia del capoluogo, «coordinata» da Rocco Santarsiero alias “pupetto”, già condannato in primogrado a11anni direclusione per cocaina con Carmine Campanella. Santarsiero avrebbe continuato a trafficare droga ma è finito anche in alcune intercettazioni in cui si parla di estorsioni a imprenditori e commercianti di Potenza. Ma questa è un’altra storia per cui sono finiti in carcere due degli ultimi basilischi della vecchia guardia ancora in circolazione, Carlo Troia e FrancoMancino. Toltiloro aPignola resterebbe soltanto Pasquale Marino 39enne fedelissimo di Saverio Riviezzi, condannato a 9 anni di reclusione sempre nel processo sulla scalata al crimine del capoluogo. Poi la scena sarebbe tutta per i ventenni. lama
Per Andrea, 24 anni, l’accusa è di ricettazione e droga: aveva i gioielli del colpo a un “compro oro” di Melfi
Il più piccolo tradito dalla refurtiva di una rapina I CARABINIERI ai comandi del capitano Giovanni Diglio erano andati per arrestarlo con l’accusa di ricettazione, ma ha dato in escandescenze così hanno pensato bene di fare un controllo più approfondito ed è saltata fuori la droga già confezionata e pronta per lo spaccio. Lo scorso 14 dicembre era finito ai domiciliari nella casa del padre, dove fino a ieri conviveva anche col fratello più grande, Andrea Di Muro, 24 anni, figlio minore di Angelo “ciola”. Con lui c’era anche un altro ragazzo di Melfi, Mario Arturo, 23 anni, «già noto» alle forze dell’ordine, mentre un terzo ventenne «in ragione anche dell’assenza di precedenti penali o di polizia» aveva ottenuto soltanto l’obbligo di presentazione giornaliera presso il locale comando dell’Arma.
La scoperta durante la perquisizione a casa: le dosi erano già confezionate e pronte per lo spaccio I tre sono accusati del reato di ricettazione di monili in oro, asportati nel corso di una rapina ad un negozio “compro oro” di Melfi avvenuta nella serata del 30 novembre, ad opera di due giovani formalmente ancora da identificare, benché il sospetto è si nascondano proprio tra di loro. Quella sera, i due malviventi, col volto coperto da un passamontagna, mentre il commesso del negozio si accingeva alla chiusura, avevano fatto irruzione cogliendolo di sorpresa e si erano impossessati di monili in oro e soldi contanti per
un valore di alcune migliaia di euro, per poi dileguarsi nei vicoli della città. I militari della stazione comandata dal luogotenente Salvatore Santoro, immediatamente intervenuti hanno avviato le indagini del caso e con il supporto tecnico dei colleghi del nucleo operativo hanno monitorato per giorni presunti ricettatori e negozi “compro oro” dell’intera area del Vulture-Melfese. Così che nel giro di pochi giorni hanno identificato i tre giovani, che avevano venduto parte della refurtiva, proprio presso un negozio “compro
oro” nel vicino comune di Rionero in Vulture. Di qui la denuncia per ricettazione alla procura della Repubblica di Melfi. Il gip aveva emesso a carico dei tre un’ordinanza di custodia cautelare per quest’accusa, ma i militari, non appena fatta irruzione nell’abitazione di Di Muro, avrebbero avvertito subito «una profonda insofferenza » che ha scatenato il sospetto che potesse nascondere qualcosa. Il giovane infatti è stato trovato in possesso di un cospiquo quantitativo di sostanza stupefacente di tipo hashish, già suddiviso in dosi e pronto per lo spaccio, nonché di denaro contante considerato il provento dell’atti - vità illecita, e per questo sottoposto a sequestro. Restano ancora in corso le indagini per dare comunque un nome agli autori della rapina.