Info Rionero, novembre 2012

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Questione Meridionale e Letteratura

Con l'espressione “questione Meridionale” si indica l’ormai secolare dilemma di politica interna, tra il nord e il sud della nazione, determinato dallo squilibrio economico, civile, sociale, culturale. La definizione venne usata per la prima volta nel 1873 dal deputato lombardo Antonio Billia, recependo la dolorosa situazione economica vigente nel Mezzogiorno, in confronto alle altre regioni dell'Italia unificata.

Le origini di tale squilibrio sono lontane, da attribuire, secondo la storiografia ufficiale, a quella mancanza di un periodo “comunale” mai ascritto al sud; ed ancora alla presenza qui di monarchie straniere come la Spagna, di certo non evolute come lo era invece la Francia, occupante il nord dell’Italia. Ma lo squilibrio diviene più evidente dopo l'Unità d’Italia, allorquando verranno a condividere il destino di una stessa nazione regioni industrialmente sviluppate, compresa l’agricoltura, con un

ridotto tenore di analfabetismo. Nel Mezzogiorno, troviamo regioni nelle quali l'analfabetismo toccava addirittura il 90%, con un ceto borghese di là da venire e, soprattutto, troviamo una economia agraria basata sul latifondo.

In un territorio che il meridionalista Giustino Fortunato definiva “sfasciume pendulo”, le infrastrutture come strade, ponti, ferrovie, servizi pubblici, acquedotti, scuole, stentavano in uno stato lungamente embrionale, tale da determinare quel conseguente ritardo storico. “Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, - sottolineava dai banchi del Parlamento il Fortunato nessuno più mette in dubbio.

C'è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gli intimi legami che corrono tra il benessere e l'anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le

consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale.” Dalle parole del Fortunato emerge una rilettura in chiave etica oltre che politica e culturale. Molti sono gli studiosi che si sono appassionati alla Questione meridionale, con tagli diversi, dall’antropologico al socioeconomico.

In una dimensione piuttosto letteraria si vuole approdare in questa sede, con l’intento, ancorché minimale, di rileggere la “Questione” dagli scritti di autori che, con le loro pubblicazioni, hanno divulgato al mondo quel “ritardo” peraltro rintracciabile fino ai giorni nostri.

Una letteratura, quella sul Mezzogiorno, che arriva alla metà del secolo scorso ed oltre, e che conduce a personalità apprezzate e gratificate ovunque: da Giovanni Verga a Tomasi di Lampedusa, da Carlo Levi a Rocco Scotellaro e Francesco Jovine, fino a Carlo Bernari, al marsicano Ignazio Silone e Federico De Roberto; fino a lambire scrittori come il calabrese Corrado Alvaro e il lucano Vincenzo Buccino. Opere di sensibile fattura le loro, ricche di

immagini e di progetti umani; attese, del resto, che rimarranno molto spesso inevase, come lo sarà la stessa “Questione meridionale”, congruamente analizzata dall’ingegno di questi autori.

Su Ignazio Silone prevale l’intreccio fra cultura e politica, a partire dalla rappresentazione dei cafoni, i contadini senza speranza di Fontamara (da cui una versione cinematografica di Lizzani del 1977, con Michele Placido); l’autore rimarrà segnato dal tragico sisma di Avezzano del 1915, nel quale perse la madre. Sarà un flagello, il terremoto, che condizionerà anche altrove lo sviluppo del Mezzogiorno.

Rappresenta da sempre un affresco contro l’ingiustizia e lo sfruttamento quel mondo contadino raccontato da Francesco Jovine. Il suo romanzo Le terre del Sacramento, pubblicato postumo nel 1950, anno della sua scomparsa, rimarrà un emblema di volontà di riscatto, malgrado quei contadini, come dirà il suo protagonista Luca Marano, “si lasciavano intossicare l’anima

senza speranza”. E rimarca un sottofondo di pessimismo, specie quando sottolinea che “domani avrebbero vissuto sfruttando, derubando subdolamente i contadini dei loro villaggi che erano legati alla loro stessa sorte dalla stessa ingiustizia”. Jovine (nato vicino a Campobasso nel 1902) affonda la sua critica nelle promesse non mantenute, in una perpetuata sconfitta di classe, di coloro, gli ultimi, relegati ad un ruolo sempre e comunque subalterno.

Nell’altro suo romanzo Signora Ava il critico Goffredo Fofi intravedrà una sorta di “Gattopardo dei poveri”. L’antecedente di questo romanzo si fa risalire alla novella Libertà di Giovanni Verga, un classico da cui la letteratura incentrata sulla Questione meridionale ha attinto ispirazione. C’è verismo di fondo nelle pagine di Jovine, sulle orme di una tradizione che parte dalla metà dell’800.

“Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d'inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di

fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante.” Così descrive quella vita di sacrificio Corrado Alvaro in Gente in Aspromonte, “un mondo severamente giudicato, in un continuo oscillare tra il moralismo e il lirismo e in un altrettanto continuo contrastare tra l'uomo moderno e l'antico" come annoterà lo scrittore Mario Pomilio.

“I racconti del lucano Vincenzo Buccino (1920-2005), come La mala sorte, I Sanamalati, Lembi di vita, fanno della sua scrittura una elevata testimonianza letteraria.


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