Addio cosa nostra

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Addio Cosa Nostra..txt Pino Arlacchi. Addio Cosa Nostra. La vita di Tommaso Buscetta. Rizzòli. a GIovanni Falcone e Paolo Borsellino. INTRODUZIONE. L'autore di questo libro si è più volte interrogato sulle origini della vicenda che si è conclusa con la sua pubblicazione. Ha deciso infine che Addio Cosa Nostra non è nato nel luglio 1993, in seguito all'autorizzazione agli incontri con Buscetta ricevuta dalla competente commissione del Ministero dell'Interno. Il volume è stato in realtà concepito molto tempo prima. In una limpida mattina del luglio 1984, in una stanza del Tribunale di Palermo, Giovanni Falcone mi annunciò che i miei studi sul fenomeno mafioso, da lui considerati fino allora come la fonte di ispirazione principale delle sue indagini, erano errati in un punto cruciale: nella categorica esclusione dell'esistenza della mafia come società segreta. Pur avendo colto alcuni aspetti fondamentali della evoluzione della mafia negli anni '70 e '80, quali il più stretto rapporto con la politica e la sua identificazione con le forze di mercato, avevo mancato di mettere a fuoco, secondo Falcone, la presenza di una «sostanza nascosta che animava e rendeva intelligibili fatti e dinamiche profonde del mondo della mafia. Questa «sostanza» aveva un nome: Cosa Nostra. Una fonte» di eccezionale portata - della cui esistenza non dovevo neppure lontanamente accennare a chicchessia - glielo aveva rivelato. La mia risposta fu che la letteratura scientifica sul tema - in Italia e negli Stati Uniti - era pressoché unanime nell'escludere l'esistenza della «mafia» intesa in quei termini. E che non avevo fatto altro, nelle mie ricerche, che attenermi a tale valutazione. Lo avvertii di stare in guardia dalle sue fonti", le quali erano forse più smaliziate di quanto lui pensasse, ed insinuai che esse potessero essere influenzate, nel loro modo di vedere e raccontare il mondo della mafia, dall'alluvione di miti, stereotipi e superstizioni su Cosa Nostra prodotta dal successo mondiale del libro e del film Il Padrino. Falcone replicò con un sorriso e con una facile profezia. Il sorriso si riferiva alla sua personale padronanza degli strumenti di accertamento della verità a disposizione di un giudice istruttore. La profezia fu che, una volta diventate pubbliche per effetto della cessazione del segreto istruttorio, le «carte a sua disposizione mi avrebbero convinto che mi ero sbagliato, assieme a tutti i miei illustri colleghi, sulla definizione della natura stessa della mafia. L'incontro si concluse con una scommessa che mi impegnava a riscrivere, nel caso di sconfitta, il mio volume su La mafia imprenditrice pubblicato pochi mesi prima. Né la lettura del testo della celebre deposizione di Tommaso Buscetta né le interminabili, successive discussioni con Giovanni Falcone circa la struttura di Cosa Nostra mi convinsero della necessità di cambiare angolazione nello studio del fenomeno. Mi ero persuaso, nel frattempo, che sia Falcone che Paolo Borsellino e gli altri investigatori del pool'antimafia si fossero lasciati un po' troppo suggestionare, nell'affrontare la questione della formula organizzativa di Cosa Nostra, dalle concezioni del grande giurista siciliano Santi Romano che considerava la mafia come un vero e proprio «ordinamento giuridico alternativo» a quello dello Stato. La mia opinione era che l'universo delle regole e delle istituzioni politiche» interne a Cosa Nostra non fosse altro che una specie di superficiale sovrastruttura. Un paravento ingannevole tramite il quale venivano trasmesse al popolo delle cosche ed alle famiglie meno potenti le decisioni assunte dai poteri forti nelle sedi reali del governo della mafia. Sedi che si trovavano al di fuori della Commissione regionale e delle Commissioni provinciali di Cosa Nostra. La quale, in altre parole, esisteva ed operava come sodalizio segreto, ma non era da prendere troppo sul serio. Gli occhiali del sociologo e dell'economista andavano quindi tenuti ben saldi Pagina 1


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