STORIE DI UN COLPO DI FULMINE

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storie di un colpo di fulmine

valeria de rossi

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Settembre
2017

valeria de rossi

storie di un colpo di fulmine

le favole e le ricette del blog paneperituoidenti.it

Tutto incominciò con un colpo di fulmine…

C’era una volta, nel web, uno spazio in attesa di qualcuno che si accorgesse di lui.

In un’altra realtà, c’era invece una donna che sognava di diventare una blogger. Anche se, un blog, neanche sapeva che cosa fosse.

Un giorno i loro destini si incontrarono.

E fu subito amore.

All’inizio, si frequentarono di nascosto: non erano ancora sicuri che il loro legame avrebbe potuto dare buoni frutti.

Lui, comunque, si fece in quattro per farle conoscere il proprio mondo.

Lei, per non deluderlo, imparò a usare il proprio Mac.

Lui le offrì tutta la propria estensione. Lei rubò del tempo per trascorrerlo insieme.

Il 9 ottobre 2011, una domenica, osarono uscire allo scoperto. Erano emozionantissimi: quello era il loro primo articolo, quello che avrebbe rivelato al mondo la loro storia.

Poche parole di introduzione, una ricetta di quindici righe, una foto terrificante. Ma a loro due sembrò un miracolo.

E rimasero estasiati a guardare la propria creatura.

Passò il tempo.

Lui si gongolava del lavoro di lei. Lei studiava, cucinava, fotografava, leggeva, scriveva…

A quel primo post se ne aggiunsero tanti altri. Con introduzioni sempre più lunghe. Con ricette sempre più articolate. Con immagini un po’ meno brutte.

Un giorno si resero conto di quanto stessero stretti, nella casa dove abitavano. Decisero di traslocare. Valutarono le offerte. Chiesero informazioni. Presero anche qualche – inevitabile – buggerata.

Alla fine, trovarono quello che faceva per loro.

E allora, con l’incoscienza che li contraddistingueva, incominciarono a imballare le proprie cose. Riprenderle in mano una a una fu come fare un tuffo nel passato. Quanto risero, di quei primi, brevissimi articoli in cui la cucina si alternava ad argomenti odontoiatrici! Quasi si commossero, per i piccoli premi vinti qualche tempo dopo. “Guarda” gli disse lei “Da questo post in poi, le foto le ho fatte con la reflex”. “Che comunque, come puoi notare, non sapevi ancora utilizzare” ironizzò lui.

Lei: “Nooo: la mia demenziale storia di Cappuccetto Rosso!” . Lui: “Vedi? Era destino che ti dedicassi alle favole”. Giorni di lavoro. Mal di schiena. Lacrime agli occhi, e non solo per la stanchezza. Alla fine, ci riuscirono: il trasferimento fu completato. Era stata la cosa più faticosa che avevano fatto insieme. Ma anche la più gratificante. La nuova casa era ampia, luminosa, pulitissima e ordinata. Le parole e le immagini, alla luce delle immense finestre, sembravano quasi più belle. Si guardarono a lungo, e si resero conto che, dopo cinque anni, il loro amore e il loro entusiasmo non erano mutati. Anzi…

Il 9 ottobre 2016 era di nuovo una domenica. Lei si alzò di buon’ora, spalancò le imposte della cucina.

Tolse un uovo e la ricotta dal frigo, pesò farina, burro e zucchero. Preparò una torta che non aveva mai fatto. Accese la candelina che vi aveva messo proprio nel centro.

Poi sollevò lo schermo del Mac. Cliccò sull’icona di Pane per i tuoi denti. Guardò sognante l’amato spazio web che si apriva davanti ai suoi occhi. E, soffiando su quell’unica fiammella, sussurrò due parole.

Due sole, ma commosse. E uscite dal più profondo del cuore.

“Amore mio”.

Il profumo del rosmarino

Non se n’era accorto nessuno. Eppure erano fuggiti.

Così, Montecchi e Capuleti, le due famiglie rivali di Verona, si ritrovarono a piangere insieme la scomparsa dei figli.

Solo Anna sorrideva, nascondendo il volto con un lembo del mantello: era l’unica a conoscere la verità.

Anna era l’amica del cuore di Giulietta Capuleti. Si conoscevano fin da quando erano bambine. Avevano condiviso tutto: bambole di pezza, piccoli tegami di rame con il manico di ottone, confidenze, attese per l’avvenire.

Non esistevano al mondo due persone più diverse.

Timida e riflessiva, Anna era alta e snella. I lunghissimi capelli castani le incorniciavano il volto sottile e regolare, gli occhi scuri e l’espressione gentile. Amava scrivere, Anna. Passava ore e ore seduta davanti alla bifora che illuminava la sua stanza, il calamaio poggiato sul davanzale, a vergare con la penna d’oca i grandi fogli di carta che teneva in grembo. Scriveva finché c’era luce, poi al lume di una lampada, e alla fine si addormentava con il capo chino sulle braccia conserte.

Veronica, la sua vecchia nutrice, la trovava spesso così. Le accarezzava allora i capelli e le sussurrava sottovoce all’orecchio “Scrivi, piccola, scrivi! Sono sicura che un giorno una delle tue storie sarà famosa in tutto il mondo”.

Erano le storie di mare, quelle che piacevano ad Anna. Di quel mare di cui aveva letto in Omero. Di quel mare che non aveva mai visto e che tanto l’affascinava. Diceva che avrebbe voluto sentirne il profumo. Veronica le aveva raccontato che l’aroma del rosmarino era in grado di evocare la fragranza del mare, e ogni mattina gliene faceva trovare un rametto sopra il fascicolo dei fogli di carta. Per tutto il giorno, Anna teneva il rosmarino con la mano sinistra. La sera, quando andava a dormire, ne aspirava profondamente il profumo di cui la pelle era impregnata. Giulietta era invece bionda e formosetta. Amava la musica e il ricamo. E viveva nell’attesa del grande amore. Il padre aveva promesso la sua mano al conte Paride, e per farglielo conoscere meglio era stata organizzata una festa. Giulietta ci aveva trascinato anche Anna, a quella festa. E Anna, timidissima, in un angolo a guardare gli altri ballare, si era accorta immediatamente che l’amica si era innamorata. Purtroppo non di Paride. L’aveva vista danzare con il giovane Romeo Montecchi: i due ragazzi si erano scambiati solo poche parole, ma i loro occhi brillavano come braci ardenti. Solo a lei non era sfuggito il loro nascondersi per qualche istante: l’istante, lunghissimo e breve, in cui si erano baciati. Anna era da sempre la confidente di Giulietta. Da quel momento, se possibile, i loro discorsi divennero ancora più intimi. E così, Anna venne a conoscenza di tutto. Della serata al balcone, del matrimonio segreto… Che gioia fu per lei vedere l’amica Giulietta felice e innamorata! Poi ci fu il duello tra Romeo e Tebaldo, e la fuga dell’amato a Mantova. Quanta disperazione aveva consolato! Quante lacrime aveva asciugato! Contro il suo volere, il padre aveva anticipato il matrimonio di Giulietta con il conte Paride. La fanciulla aveva chiesto aiuto a frate Lorenzo. Anna l’aveva accompagnata. Insieme avevano ascoltato il vecchio religioso spiegare di quella pozione: “Bevila e tutti ti crederanno morta, ma sarà solo una morte apparente”. Il giorno in cui si dovevano celebrare le nozze, si scoprì che il cuore di Giulietta non batteva più. Tutta Verona pianse la giovane Capuleti. Anna si finse affranta. Si chiuse nella sua camera a scrivere, davanti alla bifora, con un rametto di rosmarino stretto nella mano sinistra. Questa volta, non furono racconti di mare: scrisse la storia di Giulietta e Romeo.

La penna scorreva veloce, le parole uscivano dalla mente e dal petto come un fiume in piena. Non c’era modo di arginarle. Continuò a scrivere per quasi due giorni. A un tratto, il suo cuore ebbe un sobbalzo: e se l’inviato di Frate Lorenzo non fosse riuscito a informare Romeo che la sua amata non era veramente morta?

Si precipitò allora dalla nutrice: “Ti supplico, Veronica, aiutami a uscire di casa!”.

“Ti aiuterò, piccola, ma tu abbi cura di te”, le rispose la balia. Poi la coprì con il proprio mantello di panno scuro, le diede un bacio leggero sulla fronte, le aprì piano la porta sul retro.

Anna come lei.

LA GALETTE DES ROIS

CHE COSA SERVE?

– 125 g di BURRO

– 150 g di ZUCCHERO

– SALE

– 2 UOVA

– 1 fiala di AROMA MANDORLA

– 150 g di MANDORLE BIANCHE

– 1 FAGIOLO SECCO

– 2 rotoli di PASTA SFOGLIA rotonda

COME FACCIO?

PRERISCALDO il FORNO a 170°C (ventilato).

TRITO le MANDORLE . Devo ottenere una polvere finissima.

MONTO il BURRO con lo ZUCCHERO e il SALE. Aggiungo le UOVA (una alla volta) e monto ancora.

Unisco le MANDORLE tritate e l’AROMA MANDORLA. Continuo a montare. Quella che otterrò è la meravigliosa CREMA FRANGIPANE.

FODERO con il primo foglio di PASTA SFOGLIA una PIROFILA imburrata e infarinata. Bucherello con i rebbi di una forchetta.

Distribuisco la CREMA FRANGIPANE sopra la sfoglia. Inserisco il FAGIOLO secco nella CREMA FRANGIPANE, in un punto a caso, abbastanza vicino al margine della crema.

BAGNO il margine della prima sfoglia con un po’ d’ACQUA, in modo che la sfoglia successiva si attacchi bene.

COPRO con la seconda PASTA SFOGLIA, faccio aderire tra loro le sfoglie lungo tutto il margine della torta, pizzico il margine fino a creare una sorta di “corona”. Bucherello la sfoglia superiore con i rebbi di una forchetta oppune vi pratico una serie di incisioni poco profonde a raggiera, in modo da formare tante fette quanti sono i presenti + una per un ospite.

CUOCIO per 25 - 30 minuti. Servo la galette fredda.

FEBBRAIO Cenerentole e matrigne

Cara Cenerentola, nei giorni scorsi ti ho vista su Sky: ballerine blu, vestituccio azzurro, grembiule impolverato e una fascia usurata a legarti i capelli. Una servetta in piena regola, insomma. Rannicchiata nella cenere davanti al grande camino. Figliastra di quella matrigna cattiva, che tanto male ha fatto alla reputazione della categoria a cui anch’io appartengo. Guardando il film a te dedicato mi sono chiesta come sarebbe stata la tua vita se, al posto di quella donna che “aveva conosciuto la sofferenza” e “la indossava magnificamente”, ci fossi stata io.

Io che indosso tutto, anche la felicità, in maniera dimessa. Io che chiedo “per favore” anche quando devo dare un ordine. Anzi, che gli ordini proprio non li so dare. Io che i miei “tati” –così chiamo i miei figliastri – li amo profondamente. D’accordo, a me mancano quelle due figlie biologiche – peraltro da sponsorizzare a fini matrimoniali – di cui era dotata Lady Tremaine. Mi è quindi difficile comprendere appieno i meccanismi della tua fiaba. Ma, ne sono sicura, se io fossi stata la tua matrigna – che orribile termine, per definire la seconda moglie di un padre risposato! – ti avrei voluto bene. E, forse forse, me ne avresti voluto un po’ anche tu… Che ne diresti, Cenerentola, se, tanto per fare qualcosa di diverso, questa volta una favola te la narrassi io? E se, magari, ti raccontassi proprio la mia favola? Eccola… Quasi quattordici anni fa, quando ho conosciuto il Paffu, entrambi eravamo separati e soli da un bel po’ di tempo. Lui viveva da single in un tristissimo appartamentino ammobiliato, spoglio e – cosa che mi colpì maggiormente – senza tende.

Dopo una scarna dichiarazione, in quattro e quattr’otto, il suddetto Paffu si è trasferito a casa mia. E siamo diventati una coppia. Mi ha regalato quasi subito un anello, un Trilogy. Ricordo il commento di mia mamma: “se prendi lui, prendi anche i suoi due figli, per questo ci sono tre brillanti”. I suoi due figli: Luca e Manu. Non credo che il detto “ogni scarrafone è bello a mamma soja” valga anche per le matrigne: comunque, a me, i “tati” sembrano entrambi bellissimi! Ho voluto bene da subito, a questi ragazzi, e il mio affetto, man mano, è aumentato. Per molti anni, la nostra famigliola si è riunita per le cene della domenica sera e per la vigilia delle feste. Il pranzo, infatti, era dedicato alla loro mamma. Il tempo, intanto, è passato… Un po’ alla volta, il nostro piccolo nucleo si è allargato.

I “tati” hanno messo su casa: si sono aggiunti un genero, una nuora e – cosa ormai risaputa – due deliziosi nipotini. Per i ragazzi, naturalmente, gestire più coppie di genitori era un’impresa non da poco: in ogni occasione, dai compleanni al Natale, si dovevano sorbire un tot di riunioni comprensive di pranzo o cena. L’idea geniale è venuta alla Manu: raggruppare in un’unica festa la mamma, il papà e i rispettivi compagni. All’inizio, lo ammetto, questi incontri non sono stati facili: tra new entry ed ex ci si studiava come fanno i bambini piccoli prima di mettersi a giocare. Un po’ alla volta, però, ci siamo capiti e il nostro rapporto è, ormai da qualche anno, addirittura amichevole. Oggi non perdiamo un’occasione di riunirci: è così bello incontrarci, ridere, scherzare, mangiare tutti insieme!

Ma la cosa che più mi piace è un’altra: insieme affrontiamo anche i problemi e le difficoltà. Ci appoggiamo l’uno all’altro. E ci aiutiamo a vicenda.

Cara la mia Cenerentola, sono certa che ti ci troveresti bene anche tu, in questa combriccola.

La nostra, in fin dei conti, è una compagnia come se ne vedono poche: strana, affamata, rumorosa, allargata. Ma ormai, sempre e comunque… famiglia

LA CREME BRULEE ALL'ARANCIA

CHE COSA SERVE?

- 250 g di PANNA FRESCA

- 1 ARANCIA BIO (la scorza grattugiata)

- AROMA ARANCIA (non più di una-due gocce)

- 3 TUORLI d'UOVO

- 75 g di ZUCCHERO a VELO - 4 cucchiaini di ZUCCHERO di CANNA

COME FACCIO?

PRERISCALDO il FORNO a 150°C (ventilato).

SCALDO la PANNA con l'AROMA ARANCIA e la buccia grattugiata dell'ARANCIA fino a quando non si formano sul bordo delle bollicine. SPENGO e metto da parte per 10-15 minuti.

FRULLO i TUORLI con lo ZUCCHERO a VELO fino a farli diventare spumosi.

AGGIUNGO la PANNA (filtrata!!!) e amalgamo bene. Verso il COMPOSTO in 4 cocottine imburrate.

Dispongo le cocottine in una TEGLIA da FORNO. Metto la teglia nel FORNO, la riempio con ACQUA BOLLENTE e CUOCIO a bagnomaria per circa 40 minuti.

LASCIO RAFFREDDARE a temperatura ambiente. Metto in FRIGO per almeno 4 ore (si conserva fino a tre giorni).

PRIMA di SERVIRE, distribuisco su ogni cocottina un cucchiaino di ZUCCHERO di CANNA e faccio CARAMELLARE lo zucchero scaldandolo con la torcia da cucina (oppure metto le cocottine nel grill fino a quando lo zucchero non si caramellizza).

MARZO La Manu

Avevo sempre pensato che avrei voluto un figlio maschio. Fino al momento in cui la Manu è entrata nella mia vita. Non la dimenticherò mai, quel giorno, accoccolata a quell'orso Yoghi che è suo padre, durante una affollatissima cena in quel di Brescello. Anzi, temo di essermi innamorata di lui proprio in quel momento, comprendendo quanto prezioso poteva essere quell'uomo che tanto amava i propri figli. E, da lì, è poi partito tutto... Manu ha i capelli del più bel rosso Tiziano che possiate immaginare: capelli lucenti, lunghi e corposi che incorniciano uno sguardo birbone. È la miglior commerciante che io conosca, sia quando vende un articolo, sia quando propone (affettivamente parlando) se stessa: proprio non puoi non comprare, proprio non puoi non amarla... Attrice nata, interpreta qualunque ruolo con la massima "nonchalance": ve la lascio solo immaginare nella parte della spagnola sensuale, con il sottofondo musicale di Jessica Rabbit. Manu.

Quando l'ho conosciuta, adolescente, temevo che il nostro rapporto sarebbe stato più difficile rispetto a quello con il fratello Luca. In fin dei conti, un po' di gelosia nei confronti del suo "papino" sarebbe stata comprensibilissima. Invece lei mi ha messa subito a mio agio. E, almeno spero, si è sentita a suo agio con me.

Ricordo con affetto quei primi momenti insieme: la Manu, stravaccata in spiaggia, che mi chiamava “Mammaduelavendetta"; la Manu che mi prendeva in giro per le mie smanie organizzative (ancor oggi, racconta dell'elenco telefonico che portavo in valigia per poter scrivere le cartoline); la Manu che mi diceva, di punto in bianco, e lasciandomi a bocca aperta, "Vale, sei strasimpatica e strabuona"...

Oggi la Manu è una splendida giovane donna alle prese con lavoro, marito e casa.

Ci scambiamo libri, musica e ricette di cucina.

Frequentiamo insieme corsi di teatro e di fotografia.

E, solo scrivendo questo post, mi rendo conto del tempo che è passato, del fatto che la "tata" è cresciuta...

Orgogliosa, mi accorgo di avere, con lei (e non solo), un po' di storia alle spalle.

Come ogni brava "matrigna attempata" che si rispetti, sento nel cuore un po' di nostalgia per la ragazzina che era.

E, mi vergogno un po' ma lo confesso ugualmente, mi si inumidiscono gli occhi per la tenerezza...

CHE COSA SERVE?

- 600 ml di LATTE

- SCORZA di LIMONE

- 100 g di RISO CARNAROLI - SALE

- 50 g di ZUCCHERO VANIGLIATO - 130 g di BURRO

- 4 TUORLI d’UOVO

- BACCA di VANIGLIA (i semi) - 5 ml di RUM

- 90 g di ZUCCHERO SEMOLATO - 200 g di FARINA 00

COME FACCIO?

Preparo il ripieno: Faccio BOLLIRE il LATTE con la SCORZA di LIMONE (che poi toglierò). Quando BOLLE, aggiungo il RISO, il SALE e lo ZUCCHERO VANIGLIATO, mescolando bene. Lascio BOLLIRE per 20 minuti. AGGIUNGO 30 g di BURRO, mescolo bene con un cucchiaio di legno. Faccio RAFFREDDARE nell’abbattitore. UNA VOLTA FREDDO, aggiungo i semi di VANIGLIA, 2 TUORLI e il RUM e amalgamo ancora.

Preparo la pastafrolla: Inserisco nel robot un po' di SCORZA di LIMONE GRATTUGIATA e lo ZUCCHERO SEMOLATO. TRITO per circa 10 secondi. Unisco la FARINA, 100 g di BURRO a pezzetti, 2 TUORLI d’UOVO e un pizzico di SALE. IMPASTO per circa 20 secondi. STENDO la PASTA FROLLA negli STAMPINI (precedentemente imburrati e infarinati o spruzzati con lo SPRAY STACCANTE). Assemblo:

RIEMPIO i "gusci" di pasta frolla con il RIPIENO. ACCENDO il FORNO a 175°C (ventilato). Finché il forno non raggiunge la temperatura, metto i RISINI assemblati in FREEZER o nell’abbattitore già raffreddato. INFORNO e lascio cuocere per 20 minuti. Quando il RIPIENO incomincia a diventare SCURO, SPENGO il FORNO e vi lascio dentro i risini per circa un’ora. Sono OTTIMI già da tiepidi. (Ringrazio il mio amico dott. Gigi Mazzi per la ricetta).

I RISINI

APRILE La porchetta nella valigia

Altro che le petites madeleine di Proust... Il primo assaggio mi ha proiettata indietro nel tempo: anni '60, la birreria dei miei nonni. Sto parlando della porchetta. Sì, di quella porchetta che aveva il sapore del passato.

Ma andiamo per ordine. Sabato scorso, in giardino, abbiamo organizzato un pranzo country. Il numero dei commensali era considerevole, e abbiamo cercato di risparmiare fatica acquistando alcuni piatti pronti.

Il tarlo della porchetta mi frullava in testa già da un po', da quando ho assaggiato il meraviglioso maialino allo spiedo del pranzo di Pasqua.

Ormai mi conoscete, quando mi metto in mente qualcosa, non c'è niente da fare: devo ottenerla.

Così, mi sono messa alla ricerca. Internet mi forniva più di una possibilità, ma ho voluto seguire il consiglio di una paziente chef: l'ho ordinata a Palestrina. La porchetta - arrivata in aereo - si è rivelata un'esperienza esaltante non solo per i sensi, ma anche per lo spirito. Fragrante, morbida, saporitissima. Erano millenni che non ne mangiavo una così: da quando, appunto, il nonno Momi e la nonna Carolina offrivano ai loro clienti quella carne arrostita, ancora ignota dalle nostre parti. E ritorniamo agli anni '60. Dovete sapere che il mio papà - allora poco più che trentenne - era il medico responsabile di un ente con sede a Roma. Per questo, nella Città Eterna, ogni tanto ci doveva andare. Partiva con la sua valigia migliore: quella di cuoio - con le chiusure cromate e una fascia nel mezzo - dono di nozze dei colleghi. Mi piace immaginarlo in treno - che certamente ancora non era Italo - immerso nella lettura del Corriere. Lo leggeva da cima a fondo: dall'editoriale alla pubblicità del Cynar in ultima pagina. Il papi aveva una moglie e due bimbi piccoli da mantenere, e, durante questi viaggi di lavoro, non poteva permettersi ristoranti di lusso. Così, spesso si accontentava di un panino comperato in salumeria o in macelleria. Un giorno, però, in una viuzza, fu attirato da una bancarella che esponeva un intero maialino arrostito: fu il suo primo, folgorante incontro con la porchetta. Papà è sempre stato un entusiasta come e forse più della sottoscritta. Doveva quindi assolutamente condividere quel sapore con il resto della famiglia. A quei tempi non c'erano i cellulari, e si attaccò a un telefono pubblico, inserendovi i vecchi gettoni bruniti, che scendevano uno alla volta tintinnando.

"Pronto?" fu la mamma a rispondere.

"Ciao, Mina, ho trovato una carne buonissima!!!" questo l'esordio ex abrupto del papà. Che continuò, senza preamboli : ”Devo portarla a Verona: in bottega, la venderete di sicuro!". Fu così che i vestiti selezionati per il viaggio finirono in una vecchia federa, gentilmente offerta dai proprietari della pensione in cui alloggiava, e la valigia di cuoio diventò il contenitore per il trasporto di quella porchetta intera, fasciata con tela di sacco, che il papi per primo importò nella nostra città. Il giorno dopo, nella vetrina della birreria di via Quattro Spade, faceva bella mostra di sé un maialino arrostito. Qui nessuno aveva mai visto né assaggiato nulla di simile. Quella carne venata di grasso e di aromi fece furore. Visto il successo, si concordarono con un macellaio di Roma periodiche spedizioni. E, da allora, per anni, la porchetta fu per il negozio dei nonni l'attrazione del sabato... Ecco, questo è il racconto - non so quanto romanzato - che da sempre ci viene propinato dalla mamma. In vita mia, l'ho sentito ripetere almeno un centinaio di volte. Durante il pranzo country, però, ho riascoltato questa storia assaporando una porchetta che aveva lo stesso sapore di quella della mia infanzia. E il ricordo ha assunto un significato particolare. Nel mio cuore, è riapparsa l'immagine del mio giovane papà in viaggio: un ragazzone buongustaio e ostinato che, convinto della bontà della cosa, non ha esitato a portarsi a casa una porchetta nella valigia.

LE PATATE HASSELBACK

CHE COSA SERVE?

- 8 PATATE da FORNO (quelle che si possono servire con la buccia) di media misura - SALE

- AROMI di TOSCANA (una miscela di salvia, rosmarino, alloro, basilico, maggiorana e timo che si trova pronta in commercio; ma si possono usare anche le singole erbe tritate)

- OLIO extra vergine di oliva

COME FACCIO?

LAVO le PATATE, utilizzando sulla buccia uno spazzolino. SCIOLGO in due-tre litri d'ACQUA una bella manciata di SALE. Vi lascio in ammollo le PATATE per 4 ore.

Quindici minuti prima di infornare, PRERISCALDO il FORNO a 180°C (ventilato). Nel frattempo, PREPARO le PATATE:

- le ASCIUGO con un canovaccio;

- inserisco a circa un cm dalla base della patata uno SPIEDINO, mantenendolo parallelo alla lunghezza della patata;

- con un coltello affilato, INCIDO le patate dall'alto verso il basso, perpendicolarmente allo spiedino, creando delle fettine dello spessore di circa 3 mm;

- appoggio le patate sulla leccarda del forno rivestita di CARTA FORNO; - allargo delicatamente gli spazi tra le fettine, li SPENNELLO bene con l'OLIO;

- distribuisco negli spazi il SALE e gli AROMI di TOSCANA; - bagno ancora con un filo di OLIO.

INFORNO e cuocio per 60-70 minuti.

Sono migliori servite immediatamente, ma, eventualmente, possono anche essere riscaldate.

MAGGIO Mamma

La mia mamma

(pubblicato il 10 maggio 2014)

Massimina detta Mina. Bellissima. Intelligente. Decisa. In gamba.

Dopo Grace di Monaco, la mia mamma è stata probabilmente la donna più fotografata del ventesimo secolo.

Per il suo ultimo compleanno, ho raccolto alcune delle sue immagini in un libro: ad assemblarle, ci ho impiegato quasi due mesi!

La mia mamma fa ancora i conti a mente o, al massimo, con la penna. Poi li fa controllare agli altri con la calcolatrice...

La mia mamma era un generale di corpo d'armata. Con gli anni, è retrocessa a colonnello. Ma rimane ai gradi più alti del comando della famiglia.

La mia mamma guida la Panda (anche se solo di giorno).

Non rinuncia al suo posto di segretaria nello studio di mio fratello (studio che, un tempo, era di mio padre).

Fa la spesa dal fruttivendolo anche per me, e mi compera i limoni anche quando dimentico di commissionarglieli.

Tiene il conto dei soldi che mi deve e di quelli che le devo io come farebbe una commercialista affermata.

La mia mamma non smetterà mai di cucinare per i nipoti, che adorano la sua pasta al ragù.

La mia mamma ha ottant'anni.

Ditemi dove devo firmare per poter invecchiare come lei.

Il primo ricordo

(pubblicato il 5 maggio 2016)

Cinquantasette anni fa. Una giornata di sole di fine estate. La cucina dell'appartamento di piazzetta Scala: il pavimento in graniglia impastata, gli infissi bianchi, il tavolo con il piano di marmo. E noi due nella luce che entrava dalla finestra aperta. Indossavi un vestito chiaro e leggero. Il tuo giovanissimo viso era incorniciato dai capelli castani raccolti in una piccola crocchia. Seduta nel vano della finestra, parlavi con la tua bimba di tre anni. Parlavi con me.

"Come vorresti chiamare il tuo fratellino?" mi chiedevi. Non ho idea di quella che fu la mia risposta.

"Ti piace Alessandro?" insistevi. E io pensai che quello era il nome più bello al mondo.

Ecco: tutto qui. Il flash back di qualche istante. Breve ma nitidissimo. Luminoso e dolcissimo. Il primo ricordo di te.

LE ROSE DI MELE E AMARETTI

CHE COSA SERVE?

- 3 MELE GOLDEN DELICIOUS - 2 confezioni di PASTA SFOGLIA rettangolare da 230 g ciascuna - 100 g di CONFETTURA di ALBICOCCHE - 15 AMARETTI sbriciolati - ZUCCHERO a VELO q.b.

COME FACCIO?

PRERISCALDO il FORNO (ventilato) a 160 °C. LAVO le MELE, con l'apposito attrezzo tolgo il torsolo e, senza sbucciarle, le TAGLIO a fettine sottili. Le immergo in acqua precedentemente messa a bollire in un pentolino. Le lascio BOLLIRE per UN MINUTO - in modo che si ammorbidiscano senza sfaldarsi - poi le raccolgo con una schiumarola e le metto delicatamente in uno scolapasta. STENDO la prima SFOGLIA fino a ottenere un rettangolo di cm 36 x cm 30. Con una rotella tagliapasta, taglio parallelamente al lato più corto 6 STRISCE alte circa 6 cm. SPENNELLO su tutta la superficie della sfoglia 50 g di CONFETTURA di ALBICOCCHE. DISTRIBUISCO alcune FETTINE di MELA lungo il bordo della striscia di sfoglia, facendo debordare un po' la parte con la buccia e sovrapponendo leggermente le due estremità. SPARGO sulla rimanente parte della sfoglia una piccola quantità di AMARETTI sbriciolati. RIPIEGO verso l'alto il LATO INFERIORE della sfoglia, in modo da coprire la base delle fettine di mela. ARROTOLO delicatamente la STRISCIA partendo da uno dei lati più corti. INSERISCO nella teglia per muffin i PIROTTINI di carta e, successivamente, metto le roselline nei pirottini, mantenendo il lato con le fettine di mela rivolto verso l'alto. SPOLVERIZZO con ZUCCHERO a VELO la superficie delle roselline. RIPETO il procedimento con la SECONDA SFOGLIA. INFORNO e cuocio per 45 minuti. SONO OTTIME sia tiepide che fredde.

GIUGNO I 90 anni del papi

Intelligente, colto, simpatico, infaticabile, curioso di tutto, buongustaio. Ma soprattutto affettuosissimo. Sei tu, papà. Ci ho impiegato quattro anni abbondanti a dedicarti un post, perché quello che volevo scriverti non mi sembrava mai abbastanza, era sempre inadeguato rispetto a ciò che avresti meritato. Oggi, però, non posso rinviare, perché questo è un giorno speciale: è il tuo novantesimo compleanno. Ti ho preparato un dolce con il cioccolato, l’unico regalo che tu mi abbia chiesto. Lo voglio accompagnare con alcuni ricordi della nostra vita insieme. - Marrachessciolino! Appapà!

C’è una bimba sul pianerottolo del primo piano, sulla scala di un palazzetto anni ’50. Sono io. Un giovane papà, con i capelli spruzzati di Brylcreem e un sorriso dolcissimo, sale i gradini due a due, ansioso di arrivare dalla sua bambina. Sei tu. “Marrachessciolino!” esclami, vedendomi. “Appapà!”, ti rispondo, lanciandomi nel vuoto per farmi prendere al volo. Con tutta la fiducia che mi regala il tuo amore.

- MI scappa la pipì

Erano tempi d’oro: non c’erano pericoli, in strada, praticamente inesistente la criminalità. Tu, giovane medico, mi portavi con te durante le visite a domicilio. Rimanevo in macchina ad aspettarti, tranquilla, canticchiando le canzoncine dello Zecchino d’Oro. Ma, quella volta, il canto si trasformò in un pianto disperato. Sei arrivato di corsa, mi hai trovata in una valle di lacrime. “Che cosa succede?”, mi hai chiesto preoccupato. “Mi scappa la pipì” fu la mia risposta.

- La Vespa

Dura, imparare a guidare la Vespa. Avevo provato per giorni in giardino, ed era arrivato il momento di usarla per andare a scuola. Ero l’unica, al liceo, a possedere una moto di quel colore: un verde acido mai visto prima, peggiorato dal fatto che, con uno degli scampoli ai quali non sapeva resistere, la mamma mi aveva fatto confezionare un cappotto giallo. Avevi voluto per me la Vespa migliore, la Elestart: nessun pedale per accenderla, solo una piccola chiave sul cruscotto. Anche quella, tra i motorini del Maffei, decisamente atipica. Siamo partiti insieme, io in moto, tu in bici. Mi hai scortata per quasi tutto il percorso. È andata benino fino a Ponte della Vittoria. Lì, mi hai abbandonata in mezzo alla strada. Un’accelerata eccessiva ha proiettato la mia Vespa sul marciapiedi. Solo per un miracolo, sono riuscita a tenerla diritta. Avevo le lacrime agli occhi, imprecavo contro tutti i veicoli a due ruote del globo. In quel momento, papà, giuro che ti ho odiato. Ma ho imparato a guidare la Vespa.

- Il primo amore

Innamorata persa. Completamente andata per quel ragazzo della Quinta E: del resto, anche se aveva le gambe spaventosamente storte, era comunque alto, biondo e con gli occhi azzurri. Non lo conoscevo.Nessuno accettava di presentarmelo. Ma io continuavo a fare sogni romantici. Un giorno ti ho parlato di lui. Mi hai consigliato “diglielo, che lo ami”. E io non ho capito che stavi scherzando…

- L’università

“Non ce la faccio!”. Questo, il mantra che mi ha accompagnata per tutta l’università. Ogni volta, ero sicura che l’esame successivo non l’avrei superato. Ogni volta, i fatti mi smentivano. Perché studiavo come una forsennata. E perché tu, durante le nostre passeggiate, mi interrogavi. Hai ripassato con me tutte le materie, comprese quelle più ostiche come anatomia, neurologia, fisiologia. Papà, se sono arrivata alla laurea, lo devo anche a te che mi hai fatto da trainer.

- Odontoiatra

Sei sempre stato un bravissimo medico. E un ottimo dentista. Mi hai guidato non solo nella vita, ma anche nella professione. Quante cose ho imparato da te, papà! Non dimenticherò mai la prima volta che ti ho fatto da assistente durante una seduta di cure odontoiatriche. Neofita dell’argomento, ho rischiato di svenire, toccando con mano denti limati e sangue. Ero bianca come un cadavere, ma tu mi hai tenuta vicino a te. Mi hai rincuorata, mi hai indicato l’approccio corretto in quelle circostanze. Oggi che a operare sono io, davanti ai casi più difficili spesso mi chiedo che cosa avresti fatto tu. E lo faccio.

LA MERINGATA AL CIOCCOLATO

CHE COSA SERVE?

(dosi per 6/8 persone, comunque per uno stampo da plumcake da cm 25 x cm 10 circa)

- 200 g di CIOCCOLATO FONDENTE - 200 g di MERINGHETTE al CACAO - 500 cc di PANNA FRESCA

- TOPPING al CIOCCOLATO q.b. (io ho usato un topping del commercio, ma può essere fatto in casa sciogliendo lentamente 100 g di cioccolato fondente in 200 g di panna )

- LAMPONI freschi oppure FRAGOLE q.b.

COME FACCIO?

Tengo il CIOCCOLATO in frigorifero fino all’ultimo momento. Poi lo spezzetto a SCAGLIE con un coltello.

SBRICIOLO leggermente le MERINGHETTE, facendole scoppiare una a una tra le dita. Conviene fare questa operazione lasciandole nel loro sacchetto, e vi assicuro che è un ottimo antistress...

MONTO la PANNA fino a farla diventare spumosa, ma morbida. Aggiungo alla PANNA MONTATA il CIOCCOLATO a scaglie e le MERINGHE sbriciolate.

MESCOLO delicatamente il tutto con una spatola di silicone. Rivesto una teglia da plumcake con PELLICOLA TRASPARENTE, stendendone due grandi pezzi nei due sensi e lasciandone debordare parecchia dai bordi.

VERSO l’impasto nella teglia, RICOPRO con la pellicola in eccesso, metto nell'ABBATTITORE per un paio d'ore o nel FREEZER per circa 8 ore. Servo DECORATA con TOPPING AL CIOCCOLATO e LAMPONI o FRAGOLE.

LUGLIO Il Pafu

Il mio Paffu è così: i suoi complimenti si limitano a un "sei grassa" pronunciato a mezza voce, mi dà vigorose manate sul sedere (anche per strada) per metterne in risalto le dimensioni, non nasconde che il più grande amore della sua vita sia il lavoro.

Ma poi mi stupisce con gesti inattesi, o con uno "stiamo un po' insieme, non ci stiamo mai", oppure con regali al di fuori di qualsiasi ricorrenza.

Il Paffu ha una fame da lupo, fa grandi abbuffate alle quali contrappone ripetuti e spesso inutili periodi di digiuno, oppure sta ore in poltrona e poi ottimizza quelle lavorative camminando come un maratoneta avanti e indietro per il capannone. Recentemente, il Paffu ha scoperto il contapassi dell’iPhone. Ogni sera, mi mostra il percorso effettuato durante il giorno e controlla il mio: ieri i suoi passi erano venticinquemila, i miei poco più di mille. Peccato che il mio telefono non si schiodi mai dalla scrivania.

Ogni tanto, di sabato, il Paffu viene travolto dalla smania di cucinare. In genere, succede in concomitanza con le mie giornate più pigre. In quei giorni, ci alziamo di buon'ora (sì, avete capito bene: la buonora del sabato!) e facciamo il giro degli acquisti in previsione della maratona culinaria: macellaio, fruttivendolo, supermercato...

Non finirò mai di chiedermi perché il Paffu non sia capace di ricordare la localizzazione domestica delle cose più elementari. "Dov'è il tagliere?”. "Dove tieni la farina?". Per non parlare delle difficoltà con la raccolta differenziata. "Dove butto i vasetti di vetro?”. "E gli scarti delle cipolle?".

Altro problema: il Paffu non è assolutamente in grado di programmare il proprio tragitto coordinandolo con il mio. E così, me lo trovo regolarmente tra i piedi in quasi tutti i passaggi della lavorazione (sinceramente, spero che lo faccia apposta...).

Il meglio di sé, comunque, lo esprime nello sporcare. Una definizione azzeccata? "Il massimo dello sporco con il minimo sforzo”.

A dispetto di ciò, il Paffu è un cuoco provetto.

I suoi risotti nulla hanno da invidiare a quelli di Sergio Barzetti, la qualità del suo barbecue rasenta quella di Igles Corelli. E' proprio nelle cose semplici che il Paffu dà il meglio di sé, dimostrando di essere un grande chef.

Ergo: confrontati con i suoi manicaretti, i miei piatti possono avere un'unica opzione: andare a nascondersi.

LA TORTA SOFFICE DI PESCHE NOCI E AMARETTI

CHE COSA SERVE?

- 3 UOVA

- 125 g di YOGURT alla PESCA

- 250 g di ZUCCHERO di CANNA - 30 g di LIQUORE AMARETTO - SALE

- 150 g di OLIO di RISO - 125 g di FARINA 00 - 125 g di AMIDO di FRUMENTO - 12 g di LIEVITO VANIGLIATO - 3 PESCHE NOCI lavate e tagliate a fettine sottili - 100 g di AMARETTI sbriciolati grossolanamente

COME FACCIO?

PRERISCALDO il forno (ventilato) a 180°C. MONTO a NEVE le chiare d'UOVO. FRULLO bene lo YOGURT con i TUORLI, lo ZUCCHERO, il LIQUORE AMARETTO e il SALE. UNISCO l'OLIO e frullo ancora. AGGIUNGO un po' alla volta, sempre mescolando e dopo averli setacciati, la FARINA, l'AMIDO DI FRUMENTO e il LIEVITO VANIGLIATO. UNISCO infine gli ALBUMI montati a neve e MESCOLO delicatamente. VERSO l'impasto in una PIROFILA bassa, del diametro di circa 30 cm, spennellata con olio di riso e infarinata. DISTRIBUISCO sulla torta gli AMARETTI sbriciolati e le PESCHE avendo cura di farli penetrare leggermente nell’impasto. CUOCIO per circa 40 minuti, o fino a quando il cake tester o uno stuzzicadenti, inseriti nella torta, usciranno puliti. LASCIO RAFFREDDARE completamente prima di servire. Il dolce è molto friabile: conviene servirlo in tavola lasciandolo nella pirofila e tagliare le fette direttamente nello stampo.

AGOSTO I nostri 240 anni

Quattro banchi vicini, nella stessa classe. Quattro ragazze, tanto diverse tra loro che di più non era possibile. Eppure siamo diventate amiche. Un’amicizia vera, di quelle che sfidano il tempo. E oggi siamo qui, a festeggiare i nostri sessant’anni, che, moltiplicati per il numero delle presenti, diventano duecentoquaranta. Ci sono chiacchiere, risate, tuffi in piscina, porchetta e torte con improbabili candeline. Ma, soprattutto, c’è quella voglia di stare insieme che, in tanto tempo, non è mai scemata. Vi guardo, care amiche, e penso a quanto sono stata fortunata ad avervi conosciute. Ringrazio il liceo Maffei che ha creato il nostro gruppo. E mi chiedo, con una punta di inquietudine, come sarebbe stata la mia vita se non vi avessi incontrate…

Di te, Antonella… mi sarebbe mancato quel sorriso dolce e timido, che fai strizzando un po’ gli occhi. Quel sorriso che ancor oggi riesce a stupirmi, in una donna di carattere quale tu sei. Quante volte me l’hai regalato: nei momenti belli e nei momenti bui, in tutte le occasioni in cui sei stata al mio fianco. Mi sarebbero mancate le nostre colazioni. Nella tua cucina, con la radio sintonizzata sul traffico e con una fetta di torta fatta in casa nel piatto. O a casa mia, abbarbicate sugli sgabelli grigi a programmare la giornata. Colazioni fatte di corsa, ma con la voglia di iniziare la giornata insieme. Mi sarebbe mancato quel “Non male” pronunciato a labbra strette quando ti ho presentato il Paffu. Un tuo giudizio apparentemente severo che, per me, ha avuto un valore immenso.

Di te, Nadia… mi sarebbero mancate le chiacchiere al telefono: lunghe, incalzanti, piacevolissime. Quelle conversazioni lisce e senza pause che - una volta superato lo scoglio di quel famigerato “Da quanto tempo non ci sentiamo” - fanno diventare bollente la cornetta. Mi sarebbero mancate le gite alla scoperta della Romagna: San Leo, Bertinoro, Sarsina. Che poi gite non erano, ma escursioni culturali guidate da una meravigliosa insegnante innamorata del bello: tu. Mi sarebbero mancati i tuoi regali, particolari e graditissimi. Doni che conservo con cura perché mi ricordano la nostra amicizia.

Di te, Raffaella… mi sarebbe mancata la generosità, quel tuo darti da fare per far star bene gli altri. Come in quelle vacanze condivise con me per non lasciarmi sola. Vacanze piene di affetto, che non potrò mai dimenticare. Mi sarebbero mancate le nostre passeggiate, durante le quali parlavamo fitto fitto. Le tue traiettorie a zig zag che ti portavano più del dovuto a tagliarmi la strada. E gli scorci mozzafiato che spesso erano il premio alla nostra fatica. Mi sarebbe mancata la tua perenne preoccupazione di fare la cosa giusta. Preoccupazione ingiustificata. Perché tu la cose giuste le fai. Solo che non te ne accorgi. E questa modestia è forse il lato del tuo carattere che io preferisco.

Beh, fortunatamente, la nostra vita ha preso un altro corso: ci ha fatte incontrare sui banchi di scuola e ci ha così permesso di godere per decenni della reciproca presenza. Oggi, che, oltre ai sessanta di età, festeggiamo i quarantaquattro anni di “noi”, voglio esprimervi tutta la mia gratitudine per la vostra preziosa amicizia. Voglio che sappiate quanto ringrazio il cielo per avermi regalato la vostra presenza. Voglio augurarvi di ottenere ancora tutte le gioie e le soddisfazioni che meritate. Anto, Nadia, Raf… grazie! Senza di voi, tutto sarebbe stato molto meno bello.

IL LEMON CURD

CHE COSA SERVE?

(dosi per 4 porzioni; ho usato il Bimby, ma può essere cotto a bagnomaria)

- 2 LIMONI bio piuttosto grandi o 3 più piccoli - 100 g di ZUCCHERO semolato - 80 g di BURRO ammorbidito - 2 UOVA pasta gialla

COME FACCIO?

LAVO e asciugo i LIMONI. Con l'apposito utensile, GRATTUGIO la parte gialla della BUCCIA e la metto nel boccale.

AGGIUNGO lo ZUCCHERO e polverizzo per 10 secondi a velocità 8. SPREMO il SUCCO dai limoni. Lo FILTRO attraverso un colino per eliminare i semi. Ne peso 125 g da utilizzare.

INSERISCO nel boccale i 125 g di SUCCO di limone, il BURRO ammorbidito e le UOVA. CUOCIO per 15 minuti, 90°C, velocità 2.

Tolgo il MISURINO e cuocio ancora un po’: 8 minuti, 90°C, velocità 2. Rimetto il MISURINO e FRULLO 10 secondi a velocità 6 per amalgamare.

Faccio RAFFREDDARE prima di utilizzare.

IL LEMON CURD è molto versatile: tradizionalmente, lo si accompagna a SCONES o a MUFFIN e lo si utilizza per farcire CROSTATE. Io lo adoro servito in un bicchiere da Martini, con FRAGOLINE precedentemente macerate con zucchero e succo di limone (oppure decorato con FRUTTI di BOSCO).

SETTEMBRE Caro Marcello

Marcello: il mio primo, amatissimo nipote. Sei nato in un giorno di giugno di diciannove (anzi, quasi venti) anni fa. Alla notizia della tua nascita ho pianto. Per la commozione. Ma anche perché, nel profondo, avrei tanto voluto che quel bambino paffuto e capellone fosse il mio. Nei primi mesi, se ti prendevo in braccio, frignavi come un ossesso: forse avvertivi la mia paura di farti male (non dimenticare la mia scarsa dimestichezza con i neonati!). Un po' alla volta, però, hai incominciato ad abituarti a questa zia un po' goffa, e da qui è stato tutto bellissimo.

Il tuo primo compleanno ha coinciso con i tuoi primi passi (in giardino, da una sdraio all'altra) e con il tuo primo trattore. Lo guardavo da anni, quel trattore blu, esposto davanti al negozio di giocattoli di via Fincato. E da mesi l'avevo comprato. In seguito, ho scoperto che proveniva dal magazzino all'ingrosso di quello che sarebbe poi diventato il nostro zio Paffu. Sono infinitamente grata ai tuoi genitori per averti permesso, finché eri piccolo, di passare del tempo con me: quanti sono i "nostri" momenti, che ricordo con dolcezza! Quella volta al parco giochi, per esempio. Nessuno voleva credere che tu non fossi mio figlio. "Ma è identico a lei, signora!", mi dicevano. E io a gongolare...

O a casa mia, a vedere il film di Bambi. Con te che correvi per la stanza, scivolando sul pavimento per imitare il cerbiatto dei cartoni. La tua antipatia per il quadro di Jackson Pollock che faceva da testata al mio letto. Dovevo coprirlo con una serie di disegni di paperette, per riuscire a portarti a fare il riposino! Ricordo i nostri tragitti in auto, la mitica Ypsilon blu metallizzata. Ascoltavamo Battiato a manetta: credo che, una delle tue prime canzoni, sia stata proprio "Cuccurucucù", che storpiavi in "Ahiahiahiahiahi, tatana!". Seduto dietro (non erano ancora obbligatori i seggiolini), bevevi succo all'albicocca. Ne versavi una quantità adeguata sul sedile e poi mi chiedevi "Zia, posso spolcale?". Definivi "a confetto" i finestrini a compasso. E ti facevi legare con la "ciuciuna" di sicurezza. Durante i nostri "viaggi", questa perfida zia tentava addirittura di insegnarti l'alfabeto greco: alfa, beta, gamma, delta... Il tutto nella speranza di indirizzarti al liceo classico. Tu hai preferito lo scientifico. Ma Storia, la facoltà che hai scelto, dimostra che le zie hanno sempre ragione.

L'ultimo ricordo di un Marcello bambino è sempre in auto, a ripassare l'anatomia di occhio e orecchio. E una successiva partita a tennis, giocata più sui corridoi esterni che nel campo. Partita di cui, da qualche parte, ci dev'essere ancora una documentazione fotografica.

E poi... è stato come nella canzone di Vecchioni: "Bimbo mio, che strano sogno, voltarsi intorno e non vederti più".

Ora il mio Marcello è un uomo, con tanto di barba e pomo d'Adamo.

Abbiamo passato una settimana insieme, in settembre: mi hai seguito ovunque, dalla mattina alla sera. Arrivavi per colazione, stavi con me in studio e te ne andavi la sera a ora di cena. All'inizio, questa "convivenza" mi è sembrata strana (in fin dei conti, non sono mai stata abituata ad aver ragazzi per casa). Ma è bastato pochissimo perché questa nuova situazione mi coivolgesse. E, ti confesso, ancora oggi mi spiace che sia finita.

Ogni tanto mi telefoni. Ma, povero Marci, pare che i nostri orari non coincidano: mi becchi sempre indaffaratissima! Quando ti richiamo io, sei tu ad avere lezione. Poche parole, di corsa. Ma è bello ugualmente!

Abbiamo frequentato insieme un corso di cucina. Un tot di serate a tema, nell'immensa struttura di un istituto alberghiero. Usavamo teglie e mestoli talmente grandi, che mi sentivo un topino come il Remy di Ratatouille! In quell'occasione, sei stato gentilissimo, e ti sei sobbarcato i compiti a me più sgraditi: pulire il pesce e friggere. La nostra competenza culinaria si è accresciuta. Ci siamo divertiti da matti. Ma la cosa che, più di tutte, ricorderò di quel corso, è la gioia che ho provato a condividerlo con te.

"Cucinare è come amare", ha detto qualcuno. Cucinare insieme a una persona cara è amore puro, aggiungo io. E quando questa persona è un nipote come te, Marcello, è anche una gioia immensa.

LA MANDORLATA DI FICHI

CHE COSA SERVE?

- 300 g di FARINA 00

- 150 g di ZUCCHERO

- 150 g di BURRO ammorbidito - SALE

- 1 cucchiaino di LIEVITO VANIGLIATO - la buccia grattugiata di 1/2 LIMONE bio - 1 UOVO

- 125 g di CONFETTURA di FICHI - 70 g di MANDORLE a LAMELLE

COME FACCIO?

METTO nel boccale del robot FARINA, ZUCCHERO, BURRO (ammorbidito a temperatura ambiente, non nel forno a microonde), SALE, LIEVITO, BUCCIA di limone grattugiata. FRULLO a colpetti fino a ottenere un composto dalla consistenza sabbiosa. AGGIUNGO l'UOVO leggermente sbattuto, FRULLO ancora senza surriscaldare troppo l’impasto. DISTRIBUISCO 3/4 dell'impasto in una TEGLIA del diametro di 24 cm, con il fondo ricoperto di carta forno, imburrata e infarinata. Rialzo un po' i bordi dell'impasto. Copro con PELLICOLA TRASPARENTE sia la teglia che l'impasto che ho tenuto da parte. Faccio RIPOSARE per 15 minuti la teglia nel freezer e l'impasto residuo in frigorifero. Preriscaldo il FORNO (ventilato) a 180°C. DILUISCO la CONFETTURA con qualche cucchiaiata d'ACQUA, riscaldandola leggermente in un pentolino. TOSTO per qualche minuto le MANDORLE nel forno caldo. TOLGO la BASE dal freezer, la BUCHERELLO con i rebbi di una forchetta, vi distribuisco la CONFETTURA e le MANDORLE tostate, la DECORO con la PASTA FROLLA che ho messo da parte. CUOCIO per per circa 35 minuti. Faccio RAFFREDDARE su una GRIGLIA.

OTTOBRE Lettera al nonno Momi

Saresti orgoglioso di me, nonno Momi.

E, ne sono certa, apprezzeresti senz'altro il mio nuovo acquisto: l'accessorio per fare la pasta fresca. Perché, a te, fare la pasta in casa piaceva tantissimo.

Ma odiavi il movimento che la macchinetta Imperia - la "Nonna Papera", per capirsi - faceva, quando si girava la manovella per stendere e tagliare l'impasto. Con le nuove tecnologie è tutto più semplice. E fare la pasta all'uovo è ancora più divertente.

Caro nonno, che bello ricordarti!

Sai? Sono diventata nonna anch'io. E, come te, sono una nonna particolare. Proprio come tra me e te, tra me e i miei nipotini non esiste un vero vincolo di sangue. Ma, proprio come tra di noi, c'è un profondo, smisurato amore. Sono due bimbi bellissimi. Pietro è il mio re. Adele, la mia principessa.

Ti ricordi, nonno? Anche tu mi chiamavi così. Allora non me ne rendevo conto, ma oggi quel tuo "principessa" assume un significato profondo.

Tu non eri il mio vero nonno, ma mi amavi come amavi i tuoi veri nipoti. Forse anche di più.

Sei rimasto nel mio cuore e nella mia mente, nonno. Tanto che, parlando di te, fatico a usare il verbo al passato.

Ricordo il tuo cappello di panama, il papillon e il gilet grigio. I tuoi occhi azzurri che mi sorridevano sempre. La complicità con cui fregavi le tartine dal banco frigo della tua birreria, per regalarle a me, raccomandandomi sottovoce "Non farti scoprire!".

Ricordo il tempo che passavamo a chiacchierare, mentre tagliavi a fettine i funghi. Ti assicuro: nessun apparecchio moderno li potrebbe affettare meglio.

Ricordo i dolcetti alla mandorla e al cioccolato che mi compravi quando venivo a trovarti in "bottega".

Ricordo le nostre partite a briscola: le uniche della mia vita in cui io abbia vinto.

Ricordo le tue entusiastiche esclamazioni - "Bravo, bravo, Mòser!" - rigorosamente con l'accento sulla o - durante le trasmissioni ciclistiche in TV.

Ricordo i fiabeschi racconti sul tuo lavoro di cuoco a Berchtesgaden. E quelli della tua crociera su un'improbabile imbarcazione chiamata "Macaciodi".

Di te, mi rimane un antico libro di cucina, di quelli con dodici uova e seicento grammi di burro negli impasti.

La scatoletta di bachelite in stile littorio acquistata in Germania.

Da qualche parte, forse, una serie di coppapasta arrugginiti.

Ma la cosa più preziosa che mi resta è quell'immagine vividissima e affettuosa di un nonno acquisito che mi ha amata - e che ho amato - come un nonno vero.

CHE COSA SERVE?

- CIPOLLA ROSSA di TROPEA tritata q.b. - 2 o 3 cucchiai di OLIO VEXTRA ERGINE di oliva + un po’ - SALE

- 500 g di FAVE SECCHE sgusciate - 2 litri d’ACQUA BOLLENTE (circa) - 2 cucchiaini di DADO VEGETALE - FINOCCHIETTO SELVATICO q.b.

COME FACCIO?

SOFFRIGGO la CIPOLLA tritata con l’OLIO e un pizzico di SALE nella pentola AMC Secuquick da 4,5 litri. (io ho usato la pentola AMC Secuquick, ma sarebbe preferibile portare le fave a una cottura molto avanzata (quella necessaria per ottenere un ottimo MACCO), utilizzando una tecnica tradizionale. UNISCO le FAVE risciacquate (le fave che ho utilizzato non necessitano di ammollo, quelle di altre ditte necessitano di un ammollo di 2 – 4 ore), l’ACQUA bollente, il DADO vegetale, qualche fogliolina di FINOCCHIETTO SELVATICO. CHIUDO la pentola e la porto alla temperatura TURBO. Una volta raggiunta la temperatura, abbasso la fiamma al minimo e CUOCIO per 40 minuti. Trascorso questo tempo, SPENGO la fiamma e lascio raffreddare qualche minuto a pentola chiusa. Tolgo il coperchio, aggiusto di SALE, eventualmente aggiungo ACQUA bollente e DADO vegetale, unisco qualche fogliolina di FINOCCHIETTO SELVATICO. MESCOLO delicatamente con un cucchiaio di legno. SERVO con un filo d’OLIO extra vergine di oliva. Una volta raffreddato, SI CONSERVA in frigorifero per qualche giorno. Al momento dell’utilizzo, sarà però necessario aggiungere un po’ di brodo vegetale. Si può congelare.

NOTE: il MACCO DI FAVE è una zuppa con fave schiacciate (“maccate”) che ha il sapore struggente della sua terra di origine, la Sicilia.

IL MACCO DI FAVE

NOVEMBRE La "zia" Maria Luisa

Come una zia. Più di una zia. Questo sei stata per me, Maria Luisa. Da sempre amica del cuore della mamma, mi hai voluto bene già prima che io nascessi.

Tuo, il primo regalo per il mio battesimo. Tuoi, doni sempre bellissimi per i miei compleanni: la copertina ricamata, il "Gallo d'oro" di Puskin con preziose decorazioni, la tovaglietta con le papere e il portaburro in porcellana con il mio nome in blu... Ci vedevamo di rado, ma tu e la mamma eravate settimanalmente in contatto: facevate lunghe telefonate la domenica pomeriggio, mentre i rispettivi mariti facevano il tifo per il Chievo.

Non sono molti i ricordi che ho di te e, se scavo nella memoria, affiorano solo sensazioni. L'immagine di una donna sottile, con i capelli scuri. Sobria e curata. Semplice e raffinata nei modi e nell'animo.

Posso invece ricordare perfettamente la tua voce, e il tuo modo di parlare contenuto e affettuoso.

Sai, Maria Luisa, ricordo benissimo il tuo matrimonio. Avevo dodici anni, ero timidissima e con un sacco di complessi. La mamma mi aveva fatto confezionare un vestitino "anni '60", abbinato a dolorose scarpe di vernice e a una piccola borsa di perline gialle. Mostrava a tutti con orgoglio le mie terribili "calze lunghe" bianche a rete irregolare, che, come diceva, erano le prime della mia vita. Mi vergognavo come una ladra e, dentro di me, giuravo che sarebbero state anche le ultime. E poi, al nostro tavolo del ristorante, sei arrivata tu. Con il vestito bianco e un sorriso affettuoso. Entrambi di una semplicità disarmante. Ti sei rivolta a me con la tua consueta dolcezza. E mi sono sentita di nuovo bene.

Hai lasciato un grande vuoto, quando te ne sei andata. Eri una donna speciale, e non poteva essere altrimenti. Ma sei rimasta nel nostro cuore, e nei nostri discorsi. Emanuela, tua figlia, per noi è "la figlia della Maria Luisa". Oggi, lei e io siamo diventate amiche. Anzi, visto che nessuna delle due ne possiede una, abbiamo deciso di considerarci "sorelle".

Ci ripromettiamo sempre di prendere un caffè insieme. Magari anche una pizza. Purtroppo, non ci riusciamo mai. Emanuela è una delle mie fan più accanite. Ed è forse l'unica a ricordare il compleanno di questo blog. E' sempre un piacere chiacchierare con lei, che ti somiglia tanto. E anche la mia mamma, nel profondo, l'ha "adottata".

Mi chiedo perché te lo racconto, cara Maria Luisa. Sono sicura che tu, tutto questo, lo sai già...

LE “DUCHESSE” DI ZUCCA E RICOTTA

CHE COSA SERVE?

(dosi per 25 pezzi; mi sono ispirata a una ricetta di Ilenia Bazzacco) - 500 g di ZUCCA precedentemente cotta al forno - 100 g di RICOTTA di mucca - 75 g di PARMIGIANO - 1 UOVO - SALE - PEPE - NOCE MOSCATA

COME FACCIO?

PRERISCALDO il forno (ventilato) a 200°C. Inserisco nel robot il PARMIGIANO a cubetti, lo FRULLO, aggiungo la ZUCCA cotta in forno per circa un'ora e tagliata a pezzi, la RICOTTA, l'UOVO, il SALE e la NOCE MOSCATA. FRULLO ancora fino a ottenere un impasto morbido ma non fluido. Metto l'impasto in un SAC à POCHE con beccuccio a stella del diametro di circa 1,5 cm, depongo delle roselline di impasto su una TEGLIA foderata di CARTA FORNO. CUOCIO per 15 minuti circa. Servo le “DUCHESSE” calde.

DICEMBRE Le cose che mi rendono felice

La manina del mio nipotino Pietro nella mia. I gorgheggi della piccola Adele. Colazione con la Nutella. O con una brioche in pasticceria.

Terminare un libro, chiuderlo e avere la sensazione che rimarrà per sempre dentro di me. Addormentarmi con la testa sulla spalla destra di Andrea. Andrea che mi sveglia con un bacio prima di andare al lavoro. Scrivere.

Impastare e cuocere muffin perché la Manu possa decorarli. L’apprezzamento di Luca quando (raramente...) lo aiuto in ditta. Parlare con mio padre e sentirlo giovane nonostante l'età. Un timido bacio scambiato tra mio padre e mia madre. Mondrian, Van Gogh, Zamboni. Il mio pensiero che si perde negli occhi del "giovinetto" al Metropolitan Museum. Napoli: il Cristo velato. Il profumo di calicanthus. Quando ti avvolge all'improvviso, in un grigio pomeriggio d'inverno.

L'ordine, l'armonia, le cose ben fatte. Portare a termine quanto prefissato.

L'emozione che mi lascia, il giorno dopo, un buon film.

Girare da sola per le strade di New York, la mattina presto. Trovarmi davanti, all'improvviso, la facciata della Public Library illuminata dal sole e Bryant Park semi deserto. Sentire i vestiti allargarsi quando dimagrisco. Una bella fotografia.

Il mare della Versilia: a tutte le ore, in tutte le stagioni. Il suo colore, i riflessi, il suo rumore, il suo odore. Il mare della Corsica in una notte cristallina: un cielo zeppo di stelle, una piccola falce di luna e le lampare sull'acqua. Il mare.

Lo spirito di squadra con le mie collaboratrici. L'affetto e la fiducia dei miei pazienti. Restituire (fisicamente, intendo) il sorriso a persone che non sorridevano più .

Le confidenze di mio nipote Marcello. Le coccole di Valerio.

La bontà di mio fratello Leonardo.

Un raggio di luce attraverso le imposte.

Cercare l'etimologia di una parola. Trovarla.

La mail di un'amica, il messaggio di un'amica, le parole di un'amica. Il sorriso di un'amica.

Acqua fredda sulla pelle.

Addormentarsi al sole, d'estate.

La prima coperta sul letto, in autunno.

La mattina di Santa Lucia.

Addobbare l'albero di Natale. Accenderne le luci entrando in casa, la sera. E rimanere lì, a guardarlo in silenzio, proprio come facevo da bambina.

CHE COSA SERVE?

- 60 g di MANDORLE sgusciate (con la pellicina scura) - 60 g di NOCCIOLE sgusciate - 30 g di NOCI sgusciate - 50 g di UVETTA

- 50 g di CIOCCOLATO FONDENTE a pezzetti - 1/4 di cucchiaino di PEPE NERO macinato - SALE

- 1/4 di cucchiaino di NOCE MOSCATA in polvere - 10 g di ACQUA - 125 g di MIELE - 175 g di FARINA 00 - 35 g di SCORZA d'ARANCIA CANDITA

COME FACCIO?

PRERISCALDO il FORNO a 160°C, vi faccio TOSTARE per circa 12 minuti le MANDORLE, le NOCCIOLE e i gherigli di NOCE. Faccio raffreddare la frutta secca prima di utilizzarla. Metto ad ammollare in acqua tiepida per circa 20 minuti l'UVETTA. Trascorso questo tempo, la strizzo e la asciugo con un tovagliolo. TRITO nel robot il CIOCCOLATO FONDENTE, il PEPE, il SALE, la NOCE MOSCATA. Metto da parte.

SCALDO in un pentolino, per qualche minuto, il MIELE e l'ACQUA. AGGIUNGO al contenuto del pentolino gli ingredienti precedentemente preparati: UVETTA, MANDORLE, NOCCIOLE, NOCI, CIOCCOLATO, PEPE, SALE, NOCE MOSCATA. Unisco anche la SCORZA d'ARANCIA CANDITA e la FARINA 00. MESCOLO bene con un cucchiaio di legno. Trasferisco l'impasto su una PLACCA DA FORNO foderata con carta forno, formando con le mani inumidite un panetto semisferico. CUOCIO per circa 20 minuti nel FORNO che avevo preriscaldato a 160°C. Faccio RAFFREDDARE su una griglia per 24 ore prima di servire.

IL
PANPEPATO
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