SPORT CLUB APRILE 2021

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BASKET CLUB #basketclub L’anno dopo è a Ragusa, poi a Napoli, poi un’esperienza in Spagna ed ancora a Ragusa prima di approdare lo scorso anno a Schio, realtà assolutamente in primo piano nel panorama del basket femminile. Eppure, malgrado tanta esperienza su parquet prestigiosi italiani ed europei, malgrado le tante e belle soddisfazioni in maglia Azzurra, Sabrina parla come se non avesse fatto poi molto di speciale. Sembra una ragazza qualunque. “Sì, in effetti non solo non mi sento arrivata, ma non mi ci sentirò mai, finchè non muoio. Non mi sento una stella e non mi sento nemmeno troppo a mio agio se qualcuno mi ci tratta.” Del resto, le faccio notare, forse tutta questa umiltà è proprio ciò che le ha permesso di migliorare, di mettersi in discussione, di superare i propri limiti. Non sentirsi arrivati permette di andare avanti. “Sicuramente. Vedo le giocatrici che mostrano di avere un’autostima maggiore spesso sedersi un po’, smettere di crescere. Forse questo mio sentirmi sempre un passo indietro mi ha permesso di essere più versatile e di imparare sempre qualcosa in più. Perché da imparare c’è sempre”. Ed ora finalmente Schio. “Di Schio mi piace moltissimo la cura che società e staff mostrano per ogni loro atleta. In molti posti gli atleti vanno spremuti, devono giocare, in qualunque condizione si trovino. A Schio c’è invece un grandissimo rispetto e una cura per la giocatrice che vale in sé in ottica futura e come persona prima ancora che per la singola prestazione che deve fornire". E dopo? Ci pensi già alla vita che vorrai dopo la pallacanestro? “Sì, chiaramente ci penso, ho iniziato a pensarci molto quando ho compiuto trent’anni, un compleanno che ho vissuto come una tappa importante per fare il punto della situazione. Mi sono sposata la scorsa estate e non ti nego che quindi prima o poi un ritorno a Roma è nei miei pensieri. Nel frattempo ha preso vita un progetto su cui ho lavorato molto, il 360 pursuit, un camp estivo di tre giorni dedicato alle ragazze tra i 14 ed i 17 anni. Volevo che fosse un’esperienza diversa dalle altre, a trecentosessanta gradi appunto, in cui le ragazze avessero modo di approfondire aspetti importanti a livello tecnico come la visualizzazione dello spazio e la fluidità del tiro, ma di capire anche che la vita di un atleta viaggia in parallelo su più binari, da quello tecnico appunto a quello della corretta conoscenza del proprio corpo, dalla giusta alimentazione agli esercizi di prevenzione degli infortuni, ponendo sempre al centro di tutto anche il giusto equilibrio psichico, senza il quale una vita così impegnativa e sottoposta a prove e stress continui non puo’ in alcun modo essere sostenuta in modo vincente. È per questo che durante i tre giorni di camp le ragazze riceveranno consigli anche da un nutrizionista, un fisioterapista, un prepara-

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