PELAGOS: IL SANTUARIO DEI DISASTRI?

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Grafica di Valentina Braccia

di

Valentina Braccia


Indice

. Presentazione Capitoli

1. Genesi del Santuario dei Mammiferi Marini “Pelagos”

pag.

1

2. Istituzione: legge n.391/‟01 3. Biodiversità del Santuario e riferimenti legislativi

3 8

4. Specie di cetacei presenti e loro status.

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5. Inquinamento del Santuario

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5.1 Fonti inquinanti .Sostanze tossiche – incidente nave “Eurocargo venezia” .Rifiuti solidi .Scarichi di origine tellurica .Inquinamento termico .Eutrofizzazione .Specie alloctone - Caso “Ostreopsis ovata” - Caso “Caulerpa Taxifolia”

33 33 39 43 46 48 54 55 58

.Scarichi accidentali di idrocarburi - Caso “petroliera HAVEN” - Caso “ Costa-CONCORDIA”

61 64 69

.Scorie radioattive sommerse

76

.Aspetti impattanti dell‟acquacoltura

77

.Inquinamento acustico - Progetto Solmar .Rigassificatori

84 86 89


6. Sfruttamento intensivo delle risorse

96

- Pesca pelagica 7. Specifiche minacce 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7

101

Contaminanti Pesca intensiva e bycatch Rumore Traffico marittimo e collisioni Patologie Spiaggiamenti Whale watching

8. Strategie per la prevenzione e la lotta allâ€&#x;inquinamento

102 105 107 111 118 120 130 132

8.1 Accordo RAMOGE 9. Strategia per la tutela e la conservazione dei cetacei del Santuario. 9.1 Progetto GIONHA . Monitoraggio

134 143 144 145

. Conclusioni

147

. Sitografia . Riferimenti bibliografici

150 151


Presentazione

Il Santuario dei cetacei “PELAGOS”, nasce con un Accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco nel 1999 e verrà ratificato dal Governo italiano con la legge n.391/‟01. L‟obiettivo della sua istituzione, era e dovrebbe ancora essere, quello di proteggere c.a 87.500 kmq di mare, che ospitano una elevata biodiversità, rappresentata principalmente, dalla più alta concentrazione di cetacei che popolano il Mediterraneo. Sebbene il Santuario, nel 2002, sia stato classificato come Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo (ASPIM), è fortemente minacciato nella sua integrità da varie fonti inquinanti e negli ultimi anni, è stato teatro dei principali disastri marittimi. Poco è stato fatto, di realmente specifico, per prevenire e eliminare l‟inquinamento delle acque del “PELAGOS”, per limitare i rischi di collisione dei cetacei con le imbarcazioni, per ridurre il rumore e il traffico marittimo, cosi come la pesca illegale e per tutelare la fascia costiera. Continuano invece, ad essere rilasciati scarichi urbani e industriali lungo la costa e scarichi navali in Alto mare, si effettuano esercitazioni militari, si realizzano rigassificatori off-shore, si svolgono attività “estreme” di whale watching e si registrano anche, terribili episodi di caccia di specie protette. Nonostante, siano state messe in atto, strategie per la prevenzione e la lotta all‟inquinamento (Accordo RAMOGE) e strategie per la conservazione delle specie più sensibili (Progetto GIONHA); è necessario che le Autorità competenti, sottopongano il Santuario, a un regime di reale tutela e gestione appropriata e che diffondano maggiore sensibilizzazione sulle tematiche dell‟inquinamento marino nella società, compito per ora svolto principalmente dalle Organizzazioni Non Governative (ONG). Solo un‟adeguata governance e un rigido rispetto delle norme potrà garantire la tutela del Santuario “Pelagos”e la mitigazione degli danni, affinché l‟area marina protetta più grande d‟Europa sia tale, non solo sulla “carta”, e conservi la sua “ricchezza” per le generazioni future.


1. GENESI DEL SANTUARIO DEI MAMMIFERI MARINI “PELAGOS” La nascita del Santuario dei mammiferi marini, denominato “PELAGOS”, rappresenta il termine di un percorso durato dieci anni, caratterizzato da una serie di tappe fondamentali. Nel 1989, l‟Istituto Tethys, organizzazione no-profit di rilievo internazionale dedita allo studio ed alla conservazione dell‟ambiente marino, propone il Progetto “Pelagos”con il fine di istituire un‟area marina protetta nel Mar Ligure e nell‟alto Tirreno, in ragione della sussistenza del più importante habitat per i cetacei nella regione mediterranea. Tale progetto viene promosso anche da organizzazioni non governative e associazioni ambientaliste, come WWF e Greenpeace. Nel 1991, il Progetto Pelagos viene presentato a Monaco, grazie alla promozione dell‟A.E.R.A (Associazione Europea Rotary per l'Ambiente onlus). In questo incontro si propone la nascita di una Riserva della Biosfera nel bacino Corso - Ligure - Provenzale. La Riserva della Biosfera è una qualifica internazionale assegnata dall‟UNESCO per la conservazione e la protezione dell'ambiente all'interno del programma sull'Uomo e la biosfera MAB (Man and Biosphere). Le riserve della Biosfera sono aree costituite da ecosistemi terrestri costieri e marini che devono essere tutelati attraverso una gestione sostenibile delle risorse naturali. Nel 1993, viene firmata a Bruxelles, dai Ministri dell‟Ambiente italiano, francese e monegasco, una “Dichiarazione di intenti per l‟istituzione di un Santuario Internazionale dei Cetacei”. Nel 1995, si arriva dalla dichiarazione suddetta, alla formulazione di un protocollo per le ASPIM (Aree Specialmente Protette di Interesse Mediterraneo) . Tale protocollo ASP,verrà adottato dalla Convenzione di Barcellona (1979), divenuta proprio nel 1995, "Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo", comprendendo anche le acque marine interne e le aree costiere del Mediterraneo, nel suo ambito di applicazione. Nel 1998, il governo italiano riconosce la necessità di istituire un‟area protetta per i mammiferi marini nel Mar ligure e alto Tirreno. Il 25 novembre del 1999, è la data in cui i Ministri dell‟ambiente italiano, francese e il Ministro di Stato del Principato di Monaco si incontrano a Roma, per firmare l‟accordo ufficiale di creazione di un Santuario per la protezione dei mammiferi marini nel Mediterraneo. 1


Sempre nello stesso anno, diventa operativo il Progetto Solmar (Sound Ocean and Living Marine Resources ). Si tratta del progetto più complesso di ricerca sui cetacei, a livello mondiale, coordinato dalla NATO. Il progetto Solmar è terminato nel 2010 ed ha fornito importanti dati sulle condizioni oceanografiche e biologiche del Santuario. Nel Novembre 1999 viene firmato dai Ministri dell‟Ambiente di Italia, Francia e Spagna, l‟accordo per le regole relative al Santuario dei Cetacei. Si dovrà attendere il 2001 per la ratifica di tale accordo da parte del Governo Italiano con la legge n.391/‟01. Nel 2002, il Santuario viene inserito tra le ASPIM con l‟istituzione di un team di esperti formanti un “comitato di Pilotaggio del Santuario, per il coordinamento delle attività istituzionali nell‟area interessata.

Fig.1 - Logotipo del Santuario dei mammiferi marini (fonte:Quaderno habitat n.16)

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2. ISTITUZIONE: legge n.391/‟01

Lo scopo principale del Santuario “Pelagos”, come definito dall‟art.4 dell‟Accordo (1999), è di “definire uno stato di conservazione favorevole per i mammiferi marini, proteggendoli, insieme ai loro habitat, dagli impatti negativi diretti o indiretti delle attività umane”. Citando gli altri articoli dell‟accordo nell‟art. 5 è stabilito che le Parti si impegnino ad effettuare il monitoraggio delle popolazioni, delle cause di mortalità e delle minacce che gravano sugli habitat e sulle funzioni vitali degli organismi. Meritano attenzione anche gli impegni relativi al controllo e lotta all‟inquinamento (art.6), così come il divieto e la regolamentazione dell‟attività di pesca (art.7), la regolamentazione delle attività turistiche (art.8), la regolamentazione delle competizioni dei motoscafi off-shore ad alta velocità (art.9). Fatto salvo quanto contenuto negli articoli n. 4-5-6-7-8 dell'Accordo Internazionale, al momento non sono state ancora stabilite da parte Italiana specifiche misure relative alla salvaguardia nell'area, ad eccezione di quanto riportato nell'art. 5 della Legge 391/2001 nel quale si vieta la competizione di barche veloci a motore. L‟articolo 3 dell‟Accordo definisce i limiti del santuario: Il Santuario è costituito da zone marittime situate nelle acque interne e nei mari territoriali della Repubblica Francese, della Repubblica Italiana e del Principato di Monaco, nonché dalle zone di alto mare adiacenti. I suoi limiti sono i seguenti: ad ovest, una linea che va dalla punta Escampobariou (punta ovest della penisola di Giens: 43°01‟70”N, 06°05‟90”E) a Capo Falcone, situato sulla costa occidentale della Sardegna (40°58‟00”N, 008°12‟00”E); ad est, una linea che va da Capo Ferro, situato sulla costa nord – orientale della Sardegna (41°09‟18”N, 009°31‟18”E) a Fosso Chiarone, situato sulla costa occidentale italiana (42°21‟24”N, 011°31‟00”E). La superficie marittima è di 87.500 kmq.

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Fig. 2 - Confini del santuario “Pelagos” (fonte wikipedia.com)

L‟Accordo internazionale per la costituzione del Santuario dei mammiferi marini nel Mar Mediterraneo, viene ratificato dall‟Italia con la legge n.391 del 2001 ed entra in vigore nel 2002 (comunicato di entrata in vigore dell‟Accordo, G.U. n. 67 del 20.03.2002).

Il Santuario è la prima area marina protetta del mondo con la particolarità di comprendere Zone Soggette a Giurisdizione Nazionale (Areas Beyond National Jurisdiction - ABNJ); per questo vanno considerati anche strumenti giuridici regionali, come l‟Accordo ACCOBAMS e il Protocollo ASP, che verranno analizzati in seguito. 4


Le tre parti contraenti si sono impegnate su diversi fronti: - Istituire un segretariato permanente - Istituire un comitato tecnico-scientifico tripartito - Istituire comitati di pilotaggio nazionali - Istituire un piano di gestione - Organizzare quattro incontri tra le Parti Il comitato di pilotaggio viene istituito, a livello di misure nazionali, dall‟articolo 3 della legge 11 ottobre 2001 n. 391 e risulta composto da:     

un rappresentante designato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Mare; un rappresentante designato dal Ministro degli affari esteri; un rappresentante designato dal Ministro delle politiche agricole e forestali; un rappresentante designato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; un rappresentante designato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Purtroppo il Santuario, sin dalla istituzione ha accusato serie problematiche di gestione. Come già citato in precedenza il Santuario “Pelagos” nel 2002 è stato inserito nell‟elenco delle aree ASPIM. Un‟area marina protetta (AMP) per essere inserita in tale lista” deve essere dotata di un ente di gestione dotato di sufficienti poteri, mezzi e risorse umane per prevenire e/o controllare attività ossia l‟esercizio di attività configgenti con le sue finalità istitutive ed agli obiettivi che intende perseguire. Tale necessità è sancita nell‟Annesso 1, D.6 del Protocollo delle aree specialmente protette (ASP).

A tal punto un quesito sorge spontaneo. “Come mai non si è istituito un ente di gestione appropriato per il Santuario “Pelagos”? Il piano di gestione è stato affidato in parte al segretariato dell‟accordo, ed in parte agli Stati membri. Tuttavia il segretariato non dispone né del ruolo, né dei mezzi e risorse umane per garantire, in modo adeguato, la tutela di un‟area cosi particolare.

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Il segretariato, con sede operativa a Genova, è stato creato nel 2006. E' stato in esercizio fino al 2010, poi ha arrestato la sua attività. Nel gennaio 2013, ne è stata ripristinata l‟operaività, sempre con sede permanente a Genova, con la partecipazione di esperti di Francia, Italia e Principato di Monaco.

Nell‟ultima riunione del Comitato di Pilotaggio, (denotante la sola presenza della Regione Liguria), tenutasi a Roma presso il Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare, vi è stata una dichiarata apertura ad allargare la rappresentanza a tutte e tre le regioni (Liguria, Toscana, Sardegna). La saltuarietà del funzionamento del Segretariato ha fatto nascere l‟ipotesi del rischio del trasferimento dello stesso in terra monegasca, che qualora dovesse realizzarsi, determinerebbe per l‟Italia, una notevole perdita di prestigio, proprio sulla capacità di gestione del Santuario stesso, ed al contempo una minore considerazione del ruolo assolto dalle Regioni del nostro Paese, che faticosamente, avevo iniziato ad affermare, il dovuto ruolo istituzionale, con possibile riduzione della capacità di confronto. Rendere di nuovo attivo il segretariato permanente a Genova e ripristinare le funzioni del Comitato di Pilotaggio, rappresenta solo un piccolo passo in avanti per far fronte alle chiare carenze gestorie del Santuario, che dovrebbe in ogni caso essere accompagnata da una piena autorità al Comitato di Pilotaggio. Gestire il “Pelagos”, quella che “dovrebbe essere” l‟AMP più grande d‟Europa, significa ridurre, in modo realmente efficace, le minacce alla biodiversità di un ambiente unico nel bacino del Mediterraneo. La politica di gestione, non dovrà dunque prescindere dall‟ottenimento di un quadro aggiornato relativo alle pressioni come, pesca intensiva, traffico marittimo, inquinamento marino, sviluppo costiero, attività turistiche e militari, effetti dei cambiamenti climatici ecc.. Sarà intanto necessario mantenere un programma continuo di monitoraggio, per comprendere gli effetti di tali pressioni, in particolare sulle popolazioni di cetacei. Una vera gestione sostenibile del sito, richiederà, altresì, un efficace coordinamento tra le tre Parti per rispettare e aggiornare le regolamentazioni, sulla base della dinamicità dei sistemi naturali e dei cambiamenti socio-economici e politici. Solo un completo approccio di sinergica gestione ecosistemica, potrà contribuire decisivamente alla tutela di un habitat marino pelagico così importante. 6


A tal proposito si è tenuta il 4 e 5 Giugno 2013, presso il MATTM, la 5^ Conferenza delle parti contraenti. I punti salienti hanno riguardato: . l‟adozione del resoconto dell‟attività di Segretariato da Gennaio 2013; . l‟analisi dei resoconti nazionali,come ad esempio, il rapporto sugli spiaggiamenti anomali della stenella striata avvenuti nei primi mesi del 2013; . l‟esame del documento della 4^conferenza; . gli studi sui rischi di collisione con la Balenottera comune nel Mediterraneo; . l‟esame del documento francese sull‟iscrizione, attraverso l‟IMO (International Maritime Organization), di Pelagos come PSSA (Particulary sensitive sea area) con relativa previsione di misure restrittive sulla navigazione marittima; . l‟esame dello stato del “Whale Watching” (osservazione dei cetacei nel loro ambiente naturale) e dell‟implementazione del connesso marchio di qualità per i soggetti qualificati a tale attività. Dall‟incontro è emerso il sentito coinvolgimento delle parti contraenti, finalizzato a fornire risoluzioni sia a carattere tecnico-giuridico, sia a carattere operativo, nonostante la diversità delle posizioni assunte, legate a motivi di impostazione culturale e giuridica ma anche alle diverse caratteristiche dei tratti di mare a diversa giurisdizione. In conclusione, il ripristino del funzionamento del Segretariato e del ComitatoScientifico rappresenta un passo avanti per la tutela delle acque del Santuario e della sua biodiversità, anche nelle aree ad esso contigue.

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3. BIODIVERSITA‟ DEL SANTUARIO E RIFERIMENTI LEGISLATIVI

Il Santuario per i Mammiferi Marini “Pelagos” è il miglior esempio di dominio pelagico del bacino del Mediterraneo. Il dominio pelagico è costituito dalla massa d‟acqua sovrastante i fondali marini. Esso rappresenta un ambiente soggetto a continui cambiamenti e molto ampio. La componente biologica è costituita per lo più da organismi con breve ciclo di vita, e, ciò comporta continui cambiamenti che influenzano gli altri anelli della catena alimentare. Le componenti planctoniche e tectoniche mutano nei loro popolamenti a seguito della modificazione delle masse d‟acqua; sono infatti in grato di compiere notevoli migrazioni verticali. Il Pelagos con i suoi 87.500 kmq comprende tutto il Mar Ligure, quasi tutto il Tirreno settentrionale, tutto il Mar di Corsica, una piccola parte del Tirreno centrale e del Mar di Sardegna. Il santuario dal punto di vista geomorfologico può essere diviso in due zone molto diverse, separate da una linea “immaginaria” che unisce Genova a Capo Corso. La porzione orientale è caratterizzata da una notevole estensione della piattaforma continentale dunque le profondità massime non superano i 1000 metri. La porzione occidentale invece, presenta una piattaforma ristretta e grandi profondità vicino la costa. Abbiamo quindi profondità per lo più superiori ai 2000 m.

Fig. 3 – Batimetria dell‟ambiente marino (fonte:quaderno habitat 16)

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Grazie a tali profondità, la porzione occidentale del santuario è stata definita un “oceano in miniatura” con al vertice della catena trofica grandi vertebrati pelagici, come cetacei misticeti e odontoceti, grandi perciformi (tonno, pesce spada) e diverse specie di squali. L‟elevata biodiversità del Santuario è strettamente legata all'elevata quantità di sostanze nutritive, che risalgono dai fondali grazie a caratteristiche oceanografiche che innescano correnti di risalita note come “upwelling”, che a loro volta consentono la formazione di catene trofiche di rilevante abbondanza e diversità, creando le condizioni ideali per l'alimentazione dei cetacei. In particolare è abbondante il krill (Meganactiphanes norvegica) – (fig.4a). Esso costituisce la fonte di cibo per i grandi filtratori del santuario come la balenottera comune (Balenoptera physalus), la manta del Mediterraneo (Mobula mobular) e diversi pesci come il tonno rosso (Thunnus thynnus).

Fig. 4a - Meganactiphanes norvegica (fonte: wikimedia.org) e 4b - correlazione tra krill (cerchi blu) e balenottera comune( quadrati di diversi colori, al colore più intenso corrisponde un numero più elevato di individui) (fonte: quaderno habitat n.16/2)

Elencare e descrivere l‟intera biodiversità del Santuario richiederebbe un volume specifico, dunque riportiamo solo delle tabelle riassuntive della composizione della biomassa del santuario, dalle specie della teutofauna a quelle ittiche, ( alcuni campionamenti sono stati effettuati con la rete mesopelagica IKMT).

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Fig. 5 - Composizione della biomassa e della teutofauna del Santuario (fonte:quaderno habitat 16/2)

I pesci mesopelagici vivono di giorno a profondità comprese tra i 200 e i 1000 metri di profondità, mentre di notte si spostano nei primi 200 metri della colonna d‟acqua. Tali pesci nel Santuario rivestono un‟importanza notevole in quanto sono alimento fondamentale dei grandi pelagici come pesce spada, tonni, squali pelagici e mammiferi marini. Un esempio di grande pesce mesopelagico nel Santuario è il pesce castagna (Brama brama), apprezzato come risorsa di pesca (fig.6).

Fig.6 - Brama brama (fonte wikimedia.org)

In (fig.7) sono elencati i generi e le famiglie di pesci mesopelagici presenti nelle acque del Santuario, divisi sulla base della loro taglia a seconda che questa sia contenuta o superi i 30 cm.

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Fig.7 - I pesci mesopelagici del Santuario raggruppati per genere e famiglia.(fonte: quaderno habitat 16/2)

I grandi pesci pelagici vengono pescati alle grandi profondità, quindi nella zona centrale del Santuario nel quale compiono migrazioni stagionali. Esempi di grandi pesci pelagici sono: il tonno rosso (Thunnus thynnus), il pesce spada (Xphias glaudius) e il pesce luna (Mola mola) (fig.8). Il tonno in particolare non nasce nel Santuario, ma sfrutta il Mar Ligure occidentale come “nursery” per i giovani esemplari, i quali si cibano principalmente di “krill”. Approfondiremo tale argomento più avanti, in merito alla tematica della pesca pelagica nella acque del Pelagos.

a Thunnus thynnus

b Xphias glaudius

c Mola mola

(fonte lenfestocean.org)

(fonte arkive.org)

(fonte fish-jornal.com)

Fig. 8 – Esempi di grandi pesci pelagici presenti nel Santuario. 11


Le acque del Santuario ospitano anche diverse specie di squali e raiformi pelagici. Lo squalo pelagico più comune è senza dubbio la verdesca (Prionace glauca). Questa specie si riproduce nelle acque del Pelagos in quanto è stata evidenziata la presenza di molti esemplari giovani e/o neonati. La verdesca costituisce il 90% delle specie di squali del Santuario svolgendo anche un ruolo fondamentale di “spazzino”nella rete trofica, cibandosi di resti di carcasse di uccelli e cetacei.

Fig. 9 - Verdesca (Prionace glauca).

Le altre specie di squali pelagici sono poco frequenti, tra questi i più abbondanti sono il mako (Isuros oxyrinchus) e lo smeriglio (Lamna nasus). Molti sono i giovani esemplari che vengono accidentalmente raccolti nelle reti a largo, ciò a testimoniare, che anche queste specie si riproducono nelle acque del Santuario. Le segnalazioni confermano una presenza molto meno frequente dello squalo volpe (Alopias vlpinus), dello squalo grigio (Carcharhinus plumbeus), dello squalo ramato (Carcharhinus brachyurus) e dello squalo seta (Carcharhinus falciformis). Lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) è considerata una presenza “rara” nel Santuario, mentre spesso viene segnalata l‟unica specie di trigone pelagica (Pteroplatrygon violacea).

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Nel Santuario sono presenti tutte le specie di selaci protette, tra queste lo squalo elefante (Cetorhinus maximus), grande plantofago pelagico e la manta comune (Mobula mobular), sono annoverate tra le specie protette dalla Convenzione di Barcellona (1979). Anche i rettili sono presenti nel Santuario Pelagos con tre specie di tartarughe. La specie più diffusa è la tartaruga comune (Caretta caretta), come testimoniano le numerose catture accidentali nelle reti da pesca pelagica e gli spiaggiamenti a seguito di collisioni. Risulta difficile stimarne l‟abbondanza a causa delle ampie migrazioni che compiono. Occasionalmente sono presenti nel Santuario anche la tartaruga verde (Chelonya mydas) e la gigantesca tartaruga liuto (Dermochelys coriacea).

a

(Caretta caretta)

b

(Chelonya mydas)

c (Dermochelys coriacea)

Fig.10 - Specie di tartarughe presenti nel Santuario Pelagos (fonte ARPAT 2010).

Dedicheremo il capito successivo all‟elenco delle specie di cetacei presenti, alla cui tutela si deve l‟istituzione del Santuario Pelagos. Seguono gli aspetti normativi sulla tutela della biodiversità con particolare riferimento ai cetacei nei Mari Italiani, secondo la cronologia e il grado di protezione delle specie. 1973

Convenzione di Montego bay La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, o UNCLOS acronimo del nome in inglese United Nations Convention on the Law of the Sea, è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la gestione delle risorse naturali. In Italia è entrata in vigore con la legge n.689 del 2 dicembre 1994. 13


In particolare tale legge stabilisce che gli Stati hanno il diritto di limitare, regolarizzare o impedire lo sfruttamento dei mammiferi marini. Inoltre, gli Stati devono cooperare tra loro per garantire la tutela, la gestione e lo studio dei cetacei.

1975

Convenzione internazionale di Washington sul commercio internazionale di specie minacciate di flora e fauna - CITES In Italia è entrata in vigore il 31 dicembre del 1979, regola il commercio internazionale, l‟introduzione di specie e/o parti di specie in acque che si trovano in zone soggette a giurisdizione nazionale (ABNJ). Dunque è da considerarsi anche la regolamentazione dello scambio di campioni biologici derivanti dall‟attività di monitoraggio e ricerca sui cetacei

1981

Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell‟ambiente naturale d‟Europa - Convenzione di Berna Adottata a Berna nel 1979 è entrata in vigore in Italia nel 1984, in particolare in Allegato III, le specie di fauna selvatica elencate, devono essere oggetto di regolamentazione al fine di non compromettere la sopravvivenza di tali specie (divieto temporaneo o locale di sfruttamento, regolamentazione del trasporto o della vendita, ecc.). Le parti contraenti vietano il ricorso a mezzi non selettivi di cattura e di uccisione che potrebbero provocare la scomparsa o compromettere la tranquillità della specie.

1983

Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica - Convenzione di Bonn (CMS). Recepita in Italia con la legge n.42/‟83, prevede la difesa delle specie migratrici siano esse terrestri e/o marine. Riguardo alle specie di cetacei porterà all‟Accordo ACCOBAMS.

1992

Convenzione sulla diversità biologica. Firmata nel 1992 a Rio de Janeiro, è ratificata in Italia con la legge n.124 del 14 febbraio 1994. Gli obiettivi sono di tutelare e conservare la biodiversità su scala mondiale attraverso un uso più sostenibile delle risorse. In materia di tutela dei cetacei del Mediterraneo, la convenzione spinge verso la creazione di aree marine protette (AMP) nelle Zone Soggette a Giurisdizione Nazionale (ABNJ), 14


in quanto nel nostro bacino sono le principali zone - habitat di cetacei e tartarughe. 1992

Direttiva relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche - Direttiva del Consiglio Europeo “Habitat” E‟ la prima direttiva comunitaria sulla protezione delle specie di flora e della fauna e dei loro habitat, recepita in Italia a partire dal 1997. Grazie a tale strumento legislativo si rende necessario individuare zone speciali per la conservazione delle specie elencate in allegato II e la protezione delle specie in allegato IV, dove sono inserite tutte le specie di cetacei. “Natura 2000” è il principale strumento della politica dell'Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell'Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario.

Nell‟articolo uno, sono date due definizioni ai fini dell‟applicazione della direttiva: S.I.C. Z.S.C.

Sito di Importanza Comunitaria Zona Speciale di Conservazione

Fig. 11 – organizzazione della RETE NATURA 2000

Il S.I.C. è un sito di importanza comunitaria che contribuisce a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale (allegato I) o una specie (allegato II) in uno stato di buona conservazione. 15


I S.I.C sono poi designati come Z.S.C. il più presto possibile e comunque entro il termine massimo di sei anni, dando priorità ai siti più minacciati e/o di maggior rilevanza ai fini conservazionistici. La rete Natura 2000 è costituita da Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 79/409/CEE "Uccelli". Purtroppo la direttiva “habitat” è inefficace in materia di tutela dei Cetacei, infatti considera ZPS marine solo quelle strettamente costiere. In Allegato II sono elencate solo due specie di cetacei costieri, il tursiope (Tursiops Truncatus) e la focena comune (Phoceba phocena), di cui solo il primo è regolarmente presente nel Santuario Pelagos. 1998

Convenzione di Washington sulla regolamentazione della caccia alle balene Ratificata dall‟Italia nel 1998 con conseguente entrata del nostro Paese nell'International whaling commission (IWC) nello stesso anno.

1999

Protocollo relativo alle Zone Particolarmente Protette e alla Diversità Biologica nel Mediterraneo della Convenzione di Barcellona – Protocollo SPA/DB. La convenzione di Barcellona del 1978 ha come obiettivo la protezione del mar Mediterraneo dall‟inquinamento ed è stata riformata nel 1995 con la denominazione di “Convenzione per la protezione dell‟ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo”. L‟Italia ne prese parte nel 1979; l‟attuazione della convenzione è demandata a una serie di protocolli, tra cui il protocollo ASPIM. L‟obiettivo del protocollo è quello di tutelare, sia le aree che le specie. E‟ dunque fondamentale istituire aree specialmente protette e aree specialmente protette di interesse fondamentale (ASPIM). Le ASPIM sono inserite in una lista specifica. L‟annesso I definisce i criteri di selezione e gestione di un' ASPIM. Il Protocollo prevede che l‟istituzione di un‟ASPIM può avvenire anche in aree ABNJ (Zone Soggette a Giurisdizione Nazionale), ciò ha consentito al Santuario Pelagos, iscritto dal 2001 nella lista ASPIM, di estendere il rispetto delle regole ai Paesi che aderiscono al Protocollo, anche nelle sue zone ABNJ. 16


L‟obiettivo di istituire aree marine protette nell‟ABNJ viene auspicato anche nel Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (World summit on sustainable development, Johannesburg 2002).

Fig.12 - Aree marine protette e Mediterranea (ASPIM) (fonte:Unep)

Aree

Specialmente

Protette

di

Importanza

Gli annessi II e III del Protocollo sono relativi alla lista delle specie in pericolo o minacciate e quelle che necessitano di regole in merito allo sfruttamento. Il Protocollo elenca ben 18 specie di cetacei nell‟annesso II. In più le Parti della Convenzione di Barcellona adottarono nel 1991 anche un piano per la conservazione dei cetacei nel Mediterraneo (UNEP MAP) ormai superato dall‟accordo ACCOBAMS. Nel protocollo SPA/DB viene demandato al RAC/SPA in Turchia (Regional Activity Center for Specially Protected Areas), il ruolo di futura Unità subregionale di coordinamento di ACCOBAMS nel Mediterraneo.

2004

Regolamento CE 812/2004 che stabilisce misure relative alla cattura accidentale di cetacei nell‟ambito della pesca Uno degli obiettivi è quello di garantire lo sfruttamento delle risorse acquatiche vive in condizioni sostenibili dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Dunque bisogna ridurre al minimo l'impatto delle attività di pesca sugli ecosistemi marini, in particolare in materia di tutela delle popolazioni di cetacei e tartarughe marine. 17


2005

Accordo regionale per la conservazione dei cetacei del Mediterraneo e del Mar Nero (ACCOBAMS) L'accordo di Monaco per la Conservazione dei Cetacei del Mar Nero, del Mediterraneo e delle zone Atlantiche adiacenti , firmato nel 1996 ed entrato in vigore nel 2001, ha lo scopo di proteggere le 21 specie di questi animali segnalate nell'area, migliorando la conoscenza scientifica e riducendo le minacce che attualmente gravano su di loro. L'accordo è l'espressione della diffusa volontà di proteggere queste importantissime specie attraverso l'approvazione di norme specifiche (ad es. sulla pesca), l'analisi dell'impatto delle attività umane, la creazione di zone di particolare tutela, la ricerca scientifica, la vigilanza e il pronto intervento in caso di esemplari feriti, malati o in difficoltà. L'Accordo è il risultato della cooperazione dei Segretariati di tre Convenzioni internazionali: Barcellona, Berna e Bonn. L'accordo è stato recepito dall'Italia con una legge del 2005. Come affermato in precedenza, per lo svolgimento delle sue attività, l‟accordo si avvale del Centro Regionale per le Aree Specialmente Protette del Mediterraneo (RAC/SPA).

2006

Regolamento CE 1967/2006 del Consiglio del 21.12.2006 relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo Citiamo uno dei punti del regolamento in cui è specificato che, gli attrezzi di pesca troppo dannosi per l‟ecosistema marino o che portano al depauperamento degli stock, devono essere vietati o regolamentati in modo rigoroso.

2008

Direttiva 2008/56/CE (direttiva quadro sulla strategia dell‟ambiente marino A seguito delle pressioni antropiche esercitate sull‟ambiente marino, la direttiva stabilisce un quadro all‟interno del quale gli Stati Membri devono adottare misure necessarie per ottenere “ un buon stato ecologico dell‟ambiente marino” entro il 2020.

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Tra le strategie marine adottabili la direttiva ritiene importante istituire aree marine protette (AMP). Entro il 2016 ogni Stato membro dovrà rendere operativo un piano strategico per la tutela dell‟ambiente marino.

Per raggiungere il GES (Good Environmental Status) dell‟ambiente marino, la direttiva elenca 11 descrittori qualitativi nell‟Annesso I, tra questi alcuni hanno come obiettivo la tutela delle specie di cetacei.

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4. SPECIE DI CETACEI PRESENTI E LORO STATUS I mammiferi marini che fino a un secolo fa popolavano le acque del santuario erano rappresentati non solo dai cetacei ma anche da un pinnipede, la foca monaca (Monachus monachus ). Tuttavia la foca monaca non vive più nelle acque del Santuario, sono rari anche gli avvistamenti nel bacino del Mediterraneo. Secondo una stima della International Union for Conservation of Nature (IUCN) il numero di esemplari di Monachus monachus presenti in Mediterraneo ammonta a pochissime centinaia: ecco perché si tratta di una specie ad altissimo rischio di estinzione (in Italia negli anni ‟80 fu dichiarata estinta). L‟ISPRA ha accertato che, le principali minacce per questo focide, sono costituite dalla nautica da diporto (eliche e scafi), dalla pesca (palamiti, reti e nasse) e dall‟accumulo di contaminanti. Si stimano nel Mediterraneo circa 300 esemplari distribuiti prevalentemente nelle isole greche e turche ma che oggi sembrano frequentare anche le coste dell'Arcipelago Toscano e le cronache riportano di un avvistamento a luglio del 2010 a Portofino. Ricordiamo anche, il famoso avvistamento nel 2009 di un esemplare all‟isola del Giglio e dopo pochi mesi presso le acque dell‟isolotto Gavi nell‟arcipelago pontino. Questi avvistamenti sono probabilmente legati alla fase giovanile della dispersione e non alla certezza che la foca monaca stia ripopolando i Mari Italiani. Certamente il miglioramento dello stato ecologico delle nostre acque e la tutela delle aree marine protette rappresenta una valida speranza.

Fig. 13 – Esemplare di foca monaca (Monachus monachus) avvistata nelle acque dell‟Isola del Giglio

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Ad oggi, la foca monaca è ritornata a vivere nei nostri mari. Più precisamente in Sicilia, nell‟area marina protetta delle isole Egadi, da dove era “scappata” intorno a metà degli anni „70 a causa dell‟inquinamento e della caccia. Ora i ricercatori dell‟Ispra, in collaborazione con il gestore della riserva, hanno scoperto, fotografato e studiato un esemplare di femmina adulta che ha scelto come rifugio una grotta sulla costa di Marettimo, una delle Isole Egadi, al largo di Trapani.

Fig. 14 – Esemplare di foca monaca ripreso con foto- trappola nell‟AMP delle isole Egadi. (Fonte: Ispra, 2013)

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I cetacei, mammiferi perfettamente adattati alla vita acquatica, sono suddivisi in due sottordini : gli odontoceti e i misticeti. Tale suddivisione è basata principalmente sulla presenza o meno di una dentatura. Le specie che popolano il Mediterraneo vengono definite abituali e occasionali. Le abituali sono quelle che compiono tutte le fasi del ciclo vitale in questo bacino, le occasionali invece, sono dei visitatori rari o occasionali.

Fig.15 – classificazione delle specie di cetacei presenti nel mar Mediterraneo

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Le specie di cetacei regolarmente presenti nel Mediterraneo e principalmente nelle acque del Santuario sono otto. La loro presenza e distribuzione è legata alle diverse condizioni ambientali. In relazione all‟habitat preferito, si possono suddividere le otto specie in tre gruppi: 1) Specie pelagiche: vivono a profondità medie superiori ai 2000 m come lo zifio, la stenella, la balenottera comune e il globicefalo; 2) Specie di scarpata profonda: vivono tra i 1000 e 1500 m di profondità, come il capodoglio e il grampo; 3) Specie neritiche: vivono a profondità inferiori ai 500 m, sono dunque specie costiere come, il tursiope e il delfino comune. Seguono le schede relative alle otto specie abituali, di cui cinque hanno la loro massima concentrazione nelle acque del Santuario Pelagos.

TURSIOPE(Tursiops truncatus) Lunghezza: 3 m circa, peso: 400kg, delfino costiero presente in tutto il Mediterraneo, si nutre di piccoli pesci e calamari.

BALENOTTERA

COMUNE

(Balenoptera physalus) Lunghezza: Femmina 24 m (max), maschio 22 m (max). Specie cosmopolita presente nel Mediterraneo occidentale. Si nutre di krill, pesci e piccoli cefalopodi. Peso 80.000 kg (max)

Tab. 1

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CAPODOGLIO (Physeter catodon) Lunghezza: femmina 12,5 m (max), maschio 18,3 m ( max). Peso 50.000 kg (max). I denti da 7 a 30 sono presenti solo sulla mascella inferiore. Specie cosmopolita presente in tutto il Mediterraneo. Si nutre di calamari.

STENELLA STRIATA (Stenella coeruleoalba). Lunghezza: da 2 a 2,7 m Peso: 150 kg (max). Delfino comune e presente in tutto il Mediterraneo, si nutre di pesci e calamari. Tab. 2

DELFINO COMUNE (Delphinus delphis) Lunghezza: 2 m (max) Peso: 100kg (max). Un tempo era il delfino più comune nel Mediterraneo, oggi è molto raro. Si nutre di piccoli pesci e calamari.

GRAMPO (Grampus griseus) Lunghezza: 3, 5 m Peso: 400kg Sono tipiche le graffiature bianche che aumentano con l‟età, diffuso in tutto il Mediterraneo soprattutto occidentale, si nutre di pesci e calamari Tab. 3

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GLOBICEFALO (Globicephala melas) Lunghezza: 5-6 m Peso: 2000kg Presenta la testa globosa,comune nel Mediterraneo occidentale, meno nel Tirreno. Si nutre di pesci e calamari.

ZIFIO (Ziphius cavirostris) Lunghezza: 6 m peso: 6000 kg I denti sono presenti solo nei maschi adulti, presente maggiormente nel Mediterraneo occidentale, si nutre si piccoli calamari. Tab. 4

NOME VOLGARE

NOME SCIENTIFICO

STATO DI CONSERVAZIONE NEL MEDITERRANEO

Balenottera comune

Balenoptera physalus

Vunerabile (VU- LISTA ROSSA IUSN)

Capodoglio

Physeter macrocephalus

In pericolo (EN- LISTA ROSSA IUSN)

Zifio

Ziphius cavirostris

Dati insufficienti (DD- LISTA ROSSA IUSN)

Globicefalo

Globicephala melas

Dati insufficienti (DD- LISTA ROSSA IUSN)

Grampo

Grampus griseus

Dati insufficienti (DD- LISTA ROSSA IUSN)

Tursiope

Tursiops truncatus

Vulnerabile (VU- LISTA ROSSA IUSN)

Stenella striata

Stenella coeruleoalba

Vulnerabile (VU- LISTA ROSSA IUSN)

Delfino comune

Delphinus delphis

In pericolo (EN- LISTA ROSSA IUSN)

Tab. 5 - Specie di cetacei presenti nel Santuario e nei Mari italiani

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NOME VOLGARE

NOME SCIENTIFICO

PRESENZA

STATUS NEL MEDITERRANEO

Orcinus orca

Orca

Stretto di Gibilterra

Criticamente in pericolo (CRLISTA ROSSA IUSN)

Steno

Steno bredanensis

Mar di Levante

Non valutabile (NE- LISTA ROSSA IUSN)

Focena

Phocena phocena relicta Egeo settentrionale

In pericolo (EN-LISTA ROSSA IUSN)

Tab. 6 - Specie di cetacei presenti nel Mediterraneo ma non nei Mari italiani. N.B: Le specie: Balenottera minore (Balenoptera acutorostrata), Pseudoorca (Pseudoorca crassidens) e Megattera (Megaptera novaengliae), sono da considerarsi solo occasionali nel Mediterraneo e quindi nelle acque del Santuario Pelagos.

Tab. 7 - Specie di cetacei regolari in Mediterraneo (Tab.1) in riferimento alla tutela di principali strumenti giuridici (fonte Notabartolo di Sciara, 2010).

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DM 3.05.89

DIR. 92/43 "HABITAT"

ASPIM

ACCOBAMS

● ●

● ● ● ● ●

● ●

● ●

● ● ● ● ●

● ● ● ●

REG. 1967/2006

BONN App. 1

REG. 812/2004

L. 157/92

BONN App. 2

BERNA App. 2

Misure previste Divieto uccisione/pesca Divieto cattura / detenzione / trasporto Divieto commercio Divieto molestia/disturbo Divieto distruzione siti Deroghe ai divieti

CITES App. I

Strumenti normativi

Tab.8 - Misure previste dai principali strumenti normativi (fonte Notabartolo di Sciara, 2010).

In materia di tutela delle specie in aree protette occorre accennare ad alcune modifiche apportate al codice penale: a) dopo l‟articolo 727 relativo al maltrattamento sugli animali è inserito l‟art.727-bis introdotto dl Dlgs.121/2011 (Uccisione, distruzione, cattura , prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette). Pena con arresto da uno a sei mesi o con ammenda fino a 4.000 euro, salvo in casi in cui l‟impatto arrecato è trascurabile sullo stato di conservazione della specie. b) dopo l‟articolo 733 relativo al danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, è inserito l‟art. 733-bis (Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto). Pena con arresto fino a diciotto mesi e con l‟ammenda non inferiore ai 3.000 euro. Ci si può augurare che la previsioni di sanzioni penali, impediscano il verificarsi di episodi gravi, come quello che vide l‟uccisione di due stenelle striate, nel luglio del 2004, nelle acque antistanti Bordighera (IM). Fu un‟arma a freddo, probabilmente una fiocina, e non un‟arma da fuoco, a uccidere i due delfini; a confermarlo l‟autopsia eseguita dai tecnici dell‟istituto di zooprofilassi di Imperia. 27


Fig. 16 - L‟autopsia dei due delfini barbaramente uccisi nelle acque davanti Bordighera. (fonte: “La Stampa”)

Purtroppo a distanza di quasi 10 anni dal tremendo accaduto, un nuovo episodio mette in luce il mancato rispetto delle normative e dell‟umanità. Nell‟agosto 2013, infatti un delfino della specie tursiope, viene trovato infiocinato e agonizzante (fig. 17), da un dipendente dell‟ente parco dell‟Arcipelago della Maddalena, presso l‟isola di Razzoli. Come riportato dal giornale locale “La nuova Sardegna”- “ Il delfino, ancora in vita al momento del ritrovamento, ha resistito alla grave ferita riportata per poco più di un’ora nuotando stentatamente nelle acque in prossimità del faro, per poi lasciarsi morire sotto gli occhi dei soccorritori. Immediatamente, sono state attivate dall’Ente Parco le procedure per il recupero della carcassa dell’animale, collegate al tentativo di cogliere qualsiasi informazione che consenta di risalire ai responsabili del gesto” . (fonte : http://lanuovasardegna.geolocal.it)

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Fig. 17 – Tursiope ucciso da una fiocina nei pressi dell‟Isola di Razzoli nel Parco Nazionale dell‟Arcipelago della Maddalena. (fonte : http://lanuovasardegna.geolocal.it)

In Italia il Ministero dell‟ambiente, del territorio e del mare, ha la responsabilità primaria in materia di tutela dei cetacei. A tal fine il Ministero può avvalersi del supporto scientifico dell‟ISPRA e anche di organizzazioni e istituti di ricerca nazionali come: ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione dell‟Ambiente) presenti nelle Regioni costiere; ONG ambientali; enti gestori delle AMP; università e musei. La complessa varietà di interazioni tra le attività umane in mare e i cetacei vede coinvolti anche altri settori dell‟Amministrazione come: . Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (in materia di interazione tra cetacei e attività della pesca); . Ministero degli Esteri (in merito agli aspetti internazionali della tutela dell‟ambiente marino); . Ministero della Difesa (in merito agli impatti causati dalle esercitazioni navali sulle popolazioni di cetacei); . Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (riguardo l‟interazione tra traffico marittimo e cetacei e relativi rischi come collisioni col naviglio, inquinamento acustico e sversamento in mare di sostanze pericolose); . Ministero della Salute (in relazione ai fenomeni di spiaggiamenti e inquinamento Marino). 29


All‟inizio del 2013, si è concluso il progetto “monitoraggio e conservazione dei cetacei in Italia”. Finanziato dal Ministero dell‟Ambiente , della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), ha visto la collaborazione tra il MATTM, l‟Università di Pavia (CIBRA) e molti enti di ricerca nazionali e internazionali aventi come “mission” comune la conservazione e la tutela dei cetacei nei mari Italiani.

Fig. 18 – Loghi degli enti di ricerca partecipanti al progetto “monitoraggio e conservazione dei cetacei in Italia”.

Gli obiettivi del progetto possono essere riassunti nei seguenti punti:    

   

Progettazione della ricostituzione di una efficiente Rete di monitoraggio degli spiaggiamenti e di unità operative di intervento (CERT). Costituzione e costante aggiornamento della Banca Dati Spiaggiamenti. Potenziamento della Banca Tessuti Mammiferi Marini dell'Università di Padova. Sviluppo di azioni di monitoraggio visuale e acustico sulle popolazioni di cetacei, con sperimentazione di nuove tecnologie e redazione di progetti di monitoraggio permanente. Redazione di linee guida per un piano di azione nazionale finalizzato alla conservazione dei cetacei. Redazione di linee guida per il monitoraggio del rumore subacqueo. Supporto ad ACCOBAMS per l'implementazione di azioni di conservazione, con particolare riguardo per le linee guida di riduzione dell'impatto da rumore antropico. Redazione di linee guida per la riduzione del rumore antropico. Il progetto nasce proprio sulla base dei diversi accordi che hanno visto l‟Italia partecipe in materia di tutela dei cetacei (Pelagos, ACCOBAMS, IWC, Direttiva quadro sulla strategia dell‟ambiente marino).

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5. INQUINAMENTO DEL SANTUARIO La qualità del‟ambiente marino mediterraneo non è ottimale, tuttavia potrebbe migliorare se le misure previste dalla convenzione di Barcellona fossero attuate in modo regolare. Secondo la definizione ufficiale dell‟O.N.U per inquinamento marino si intende ” l’introduzione diretta o indiretta da parte dell’uomo nell’ambiente marino di sostanze o di energie capaci di introdurre effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque”. Le attività umane sono dunque, responsabili dell‟apporto di molteplici alterazioni all‟ambiente marino, classificabili in quattro tipologie: 1) L‟introduzione o immissione, ad opera dell‟uomo, di sostanze tossiche direttamente in mare o attraverso i fiumi. 2) La rimozione cioè lo sfruttamento delle risorse biologiche (pesca) e non, come il prelievo d‟acqua per il raffreddamento di centrali elettriche o altri impianti, i prelievi di minerali o idrocarburi, i dragaggi ecc 3) Il cambiamento ovvero la modifica dell’ambiente geofisico con opere a mare di vario tipo (moli, porti, strutture per allevamenti) che possono determinare conseguenze negative per i litorali sabbiosi, in seguito all’alterazione delle correnti, o per le biocenosi. 4) Il mescolamento, con il quale si intende l’introduzione di specie da una regione geografica all’altra a causa dell’acquacoltura, delle acque di zavorra (ballast water) rilasciate in mare da navi da trasporto o a causa dell’apertura di barriere naturali, come il taglio di istmi (es. Suez e Panama che hanno modificato le biocenosi preesistenti). In sede internazionale la prevenzione dell'inquinamento marino è regolata da diversi strumenti giuridici che si possono raggruppare come segue: . Convenzioni che pongono il divieto di dispersione di idrocarburi. Il divieto riguarda la dispersione di idrocarburi o sue miscele provenienti da navi o da piattaforme per lo sfruttamento di idrocarburi nel fondo marino, sia fisse che mobili. (Convenzione di Londra del 1954 e Convenzione per la prevenzione della polluzione da navi MARPOL 1973-1978). . Convenzioni che stabiliscono l‟obbligo di protezione delle risorse viventi del mare. Tali convenzioni stabiliscono l‟obbligo per lo stato costiero di adottare misure necessarie a prevenire o attenuare i gravi danni ai lori litorali, derivanti da inquinamento da idrocarburi in seguito a sinistro marittimo. (Convenzione di Bruxelles del 29 novembre1969 e Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay). 31


. Convenzioni che disciplinano lo scarico di rifiuti e altre sostanze nocive in mare. Le sostanze nocive in questione possono essere scaricate da navi, aerei, banchine o di origine tellurica. (Convenzione di Londra dei 1972 e Convenzione di Parigi del 1974 ed in parte la stessa Convenzione Marpol 1973-1978). La legislazione internazionale riconosce dunque, l‟importanza dell‟ambiente marino come patrimonio dell‟umanità, si rende per questo necessaria la cooperazione interstatuale al fine di ridurre gli inquinamenti marini transfrontalieri. Di seguito riportiamo le categorie di inquinanti presenti nel santuario e le loro conseguenze dannose sulla biodiversità marina.

Fig. 19 – Sogliole tossiche nelle acque del santuario (fonte: Greenpeace)

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5.1 FONTI INQUINANTI

. Sostanze tossiche I prodotti finali, come gli ioni metallici non degradabili, della lavorazione industriale se giungono in mare, vengono accumulati negli organismi provocando gravi danni che possono potenzialmente colpire anche l‟uomo. Tali sostanze infatti entrano nella catena alimentare, dal fitoplancton fino ad arrivare ai grossi predatori accumulandosi nei loro organi. Il problema più grave è rappresentato dal fenomeno del “bioaccumulo o biomagnificazione” ossia l‟aumentare della quantità di sostanza tossica passando da un livello trofico all‟altro. E‟ facile dedurre che, i predatori al vertice della catena alimentare, come squali e cetacei, sono gli organismi più “intossicati”. I sedimenti marini conservano anche sostanze chimiche oggi vietate come i pesticidi organo clorati. Nelle acque del santuario è stata accertata la presenza di inquinanti organici persistenti (POP), che non si decompongono e si accumulano nei tessuti degli organismi viventi causando molteplici patologie, come disfunzione del sistema riproduttivo, tumori, alterazioni del sistema ormonale e di quello immunitario. I POP possono avere origine da varie fonti come fiumi, scarichi urbani, industriali, agricoli e dalla movimentazione dei sedimenti portuali.

. Incidente nave “Eurocargo VENEZIA” All‟alba del 17 dicembre 2011 si verifica un incidente, nelle acque del Santuario, a largo di Livorno che da luogo a numerosi interrogativi. La nave “Eurocargo Venezia” della flotta Grimaldi Lines, aveva lasciato il porto di Catania diretta a Genova, con a bordo tra le merci del carico, anche catalizzatori esausti provenienti, dal polo petrolchimico di Priolo Gargallo di Siracusa destinati a una ditta lussemburghese, per la loro rigenerazione. Come mai la nave “Eurocargo Venezia”, carica di materiale inquinante, si trovava nel bel mezzo del Santuario, quando le condizioni marine erano proibitive? Si pensi che in un‟ ASPIM dovrebbero essere bloccati i trasporti di sostanze inquinanti con un mare forza 9/10 e onde di 10 metri.

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L‟incedente, probabilmente determinato da una forte inclinazione della nave in conseguenza di una manovra per evitare la collisione con altra nave, causava lo scivolamento in mare di 198 fusti per 40 tonnellate circa di catalizzatore Ni.Mo (nichel-molibdeno).

I fusti in questione finiscono sul fondale vicino l‟isola di Gorgona e a poche miglia dalle acque della Corsica. Nonostante il pronto avviso della Capitaneria di Porto competente,è stato riscontrato un certo ritardo nelle comunicazioni sul territorio, sia circa la presenza di bidoni tossici in mare che circa le indicazioni su come maneggiare le sostanze tossiche, in caso di ritrovamento. Le ricerche del materiale venivano condotte dalla Capitaneria di porto attraverso mezzi aerei e motovedette in perlustrazione, purtroppo senza avere traccia dei fusti perché successivamente rilevati essere ad una profondità tra i 120 e 600 metri; dunque una bomba ecologia sui fondali del santuario dei cetacei. La Procura della Repubblica di Livorno aprì un fascicolo sull‟incidente della nave cargo Venezia, inscrivendo nel registro degli indagati il Comandante. Secondo la Capitaneria di porto i catalizzatori imbarcati erano principalmente a base di nichel e molibdeno, anche se ne esistono di un tipo molto simile a base di cobalto e molibdeno. In ogni caso si tratta di metalli pesanti, sotto forma di solfuri, in granuli di circa 3 millimetri, utilizzati dalle raffinerie per desolforizzare il gasolio. Inizialmente, si è valutato un rischio di contaminazione proveniente solo da bidoni aperti o spiaggiati, dunque un rischio non alto, considerando la diluizione del materiale. Successivamente venne anche considerato il rischio dovuto al tempo di deposizione dei fusti sul fondale, per difficoltà di recupero. Infatti i fusti sottoposti all‟aggressività dell‟ambiente marino, potrebbero liberare una quantità ingente di sostanze tossiche. Si è reso necessario valutare anche i rischi sanitari connessi all‟incidente. - Il rischio di rapida autocombustione del materiale in caso si esposizione all‟aria, a seguito di spiaggiamento sulle coste. A tal proposito si diffuse l‟avvertimento da parte di Prefetture e Capitaneria di Porto, di non toccare materiale rinvenuto sugli arenili. - Il rischio di contaminazione della catena alimentare attraverso gli organismi detritivori, fino ai livelli trofici più alti.

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Ad oggi si può concludere che la riduzione dei rischi dipenda dal recupero del materiale disperso, che compete all‟armatore. Dal 4 febbraio 2012, la Capitaneria di Porto di Livorno ha autorizzato la mappatura e eventuale recupero dei fusti dispersi grazie all‟unità specializzata “Minerva Uno”.

Fig. 20 – Minerva Uno, la nave per la ricerca dei fusti ( Fonte: Arpat)

La nave oceanografica “Minerva Uno” ha individuato 98 fusti, di cui n. 67 risultano intatti, aperti gli altri. In prossimità dei fusti poi sono stati segnalati anche 18 sacchi contenenti i materiali stivati dei bidoni: 13 chiusi, 5 aperti.

L‟ARPAT, insieme alle altre strutture tecniche (Azienda sanitaria e Istituto Zooprofilattico Sperimentale) è stata allertata dalla Regione, per l‟emergenza rifiuti tossici. Nessuna delle strutture regionali ha a disposizione strumenti che consentano di svolgere campionamenti diretti dei fondali in acque molto profonde, come quelle dove si ipotizza si trovi il carico.

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Fig. 21 - Mappa di localizzazione dei fusti e dei punti di monitoraggio effettuati da Arpat e esempio di bidone rinvenuto sul fondale

Eâ€&#x; stato possibile effettuale solo un monitoraggio indiretto dell'ambiente per evidenziare anomalie significative nella presenza dei metalli pesanti contenuti nel materiale disperso. In particolare:

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. Intensificazione del monitoraggio ambientale delle acque marine e costiere: Da oltre 10 anni ARPAT effettua il monitoraggio dei sedimenti marini (1volta/anno) e della colonna d'acqua (ogni 2 mesi) presso 19 punti di monitoraggio, posti tra 500 e 1000 metri dalla costa. Le analisi sono state estese ai metalli pesanti contenuti nel materiale disperso: molibdeno, vanadio, cobalto e antimonio (il nichel viene giĂ monitorato regolarmente).

Tab. 9 - Risultati parziali del monitoraggio effettuato nel 2013 delle acque in 19 punti lungo tutta la costa toscana, in relazione alla perdita in mare da parte dell'eurocargo di bidoni contenenti sostanze tossiche

Le concentrazioni rilevate sono in linea con le concentrazioni attese e coerenti con quanto rilevato da ARPAT nel corso degli ultimi anni.

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. Caratterizzazione chimica delle sostanze trasportate: ARPAT collabora con la Capitaneria di porto e con il servizio chimico del porto per migliorare la caratterizzazione chimica delle sostanze trasportate e per verificarne il comportamento in ambiente marino. Per verificare l‟esatta natura delle sostanze trasportate e la sua solubilità in acqua di mare, le analisi sono state eseguite su campioni di sostanze contenute all‟interno dei fusti trasportati dall'Eurocargo "Venezia" prelevati sulla parte di carico giunta a destinazione nel porto di Genova. . Intensificazione dei controlli su alimenti di origine animale: ARPAT, a bordo di un peschereccio della marineria di Viareggio ha effettuato pesca a strascico su un fondale di circa 450 metri, nell'area nella quale è ipotizzata la perdita dei bidoni tossici, circa 10 miglia a Nord Ovest dell'Isola della Gorgona. A bordo dell'imbarcazione è stato effettuato - seguendo le norme comunitarie in materia - il campionamento del pescato, separando le varie specie di pesci, crostacei e molluschi. Successivamente, a terra e insieme con gli operatori della Azienda USL gli esemplari selezionati sono stati predisposti in appositi contenitori e trasferiti all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS) di Pisa per le relative analisi.

Tab. 10 - Risultati delle analisi effettuate da IZSLT sul pescato campionato da ARPAT nel 2013, in relazione alla perdita in mare da parte dell'eurocargo di bidoni contenenti sostanze tossiche.

Dai dati relativi alle analisi effettuate da IZSLT, non risultano particolari anomalie.

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Ad oggi di quei 198 fusti ne sono stati recuperati 90 pieni, 37 vuoti, 21 sacchetti pieni e mancano all'appello 72 bidoni. "Il monitoraggio - fa sapere la Regione Toscana - proseguirà a carico della Società Atlantica di Navigazione fino al 2015. Risulta costituente presso il Ministero dell‟Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, apposito gruppo di studio per la valutazione del danno ambientale a carico dell‟ecosistema dell‟ampia zona di mare interessata dal sinistro.

. Rifiuti solidi I sedimenti come le sabbie e le ghiaie, che vengono utilizzate per il ripascimento delle spiagge o per ridurre il fenomeno dell‟erosione, possono a volte intorbidire le acque creando seri danni a tutti gli organismi che necessitano di luce per sopravvivere. Un esempio è dato dai danni arrecati alla Posidonia oceanica. Tutti i materiali non biodegradabili come i sacchetti di plastica, la spazzatura, ma anche reti e lenze abbandonate, provocano danni agli organismi costieri sessili e in mare aperto sono un pericolo per molte specie che possono rimanere impigliate nelle reti o ingerire rifiuti scambiandoli per prede. I casi più diffusi sono le tartarughe marine che muoiono soffocate dopo aver ingerito buste di plastica scambiate per prede, o molti delfini che rimangono prigionieri nelle reti.

Fig. 22 – Reti abbandonate e relativi pericoli per la fauna marina.

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Il danno maggiore causato da reti, lenze e rifiuti è quello al substrato a cui restano impigliate. Nel caso delle gorgonie ad esempio, si può verificare un danneggiamento ai tessuti viventi causando lâ€&#x;indebolimento delle colonie,che possono facilmente essere attaccate da alti organismi. Inoltre la copertura algale che si forma sulle reti abbandonate limita la penetrazione della luce a danno delle specie piĂš sensibili. Tali reti se si depositano su una secca, possono con il tempo portare alla desertificazione dei fondali raschiandoli, quando vengono trascinate dalle correnti.

Fig. 23 - Lenze rimaste su alcune gorgonie e un capodoglio impigliato in una rete.

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Cetacei e tartarughe intrappolati nelle reti muoiono per soffocamento e per annegamento non potendo risalire in superficie per respirare. Vittime delle reti sono anche altri organismi nectonici come tonni, squali, molluschi e crostacei che non sono oggetto di pesca.

Nelle acque italiane del Santuario, è stato pescato un quantitativo di rifiuti notevole, oltre una tonnellata in Liguria e quattro tonnellate in Toscana, ossia circa il 7% in peso rispetto al pesce pescato. Questi sono i dati emersi dagli studi realizzati in ambito del progetto “Gionha” (Governance and Integrated Observation of marine Natural Habitat) per la salvaguardia degli habitat marini che sostengono il Santuario Pelagos, nato dalla cooperazione tra le regioni che si affacciano sulle coste tirreniche. La ricerca è stata finanziata dal Programma di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Francia “Marittimo”, 2007-2013, ed è stato presentato da Arpat Toscana. Le frequenze più alte di rifiuti sono state registrate per i sacchetti di plastica (73% dei siti), bottiglie (57%), lattine per bevande (30%) e per alimenti (25%), prodotti sintetici (20%) ma anche scarpe, occhiali, stoviglie, reti da pesca, tessuti o stracci (con una frequenza inferiore al 10%). Ma non sono mancati oggetti curiosi, come una vecchia bicicletta, una manichetta antincendio ancora confezionata, una fotocamera e parti di anfore romane. Si è anche osservato un'occasionale presenza di rifiuti di grandi dimensioni (oltre 50 kg) quali fusti, mine, pneumatici e materassi. Grazie alle campagne di pesca a strascico sperimentale condotte tra il 1986 e il 2011 da Arpat, Cibm e Università di Genova, è stato possibile realizzare una mappatura georeferenziata dei rifiuti antropici nell'area ligure e toscana e il primo dato ad emergere è che tutti i fondali, indipendentemente dalla profondità, sono più o meno inquinati. In Toscana non è stata trovata alcuna relazione con la vicinanza alle foci dei fiumi, come invece osservato nel Mar Ligure.

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rifiuti

Fig. 24 – Mappatura georeferenziata dei rifiuti antropici nell‟area ligure e toscana (fonte: http://sira.arpat.toscana.it)

La distribuzione dei rifiuti è maggiore lungo i percorsi delle navi o vicino alla costa, dove la frequenza delle imbarcazioni da diporto è più alta. Dalle navi, i rifiuti si distribuiscono su una striscia di circa 3-5 miglia di larghezza rispetto alla rotta seguita: i sacchetti di plastica, più leggeri, si spostano quasi ovunque trasportati da onde e correnti; bottiglie, barattoli e lattine affondano praticamente nello stesso punto in cui cadono.

Fig. 25 - Mappatura georeferenziata dei rifiuti antropici in relazione al traffico marittimo totale nell‟area ligure e toscana. (Fonte: http://sira.arpat.toscana.it)

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L'attività di raccolta dei rifiuti dai fondali marini, coordinate per la regione Liguria dall'Osservatorio ligure pesca ambiente (Olpa) nel biennio 2010 e 2011, ha portato alla raccolta complessiva, a opera dei pescatori dello strascico, di 83.100 litri di rifiuti, quella su fondali con profondità inferiore ai 50 metri, 3.250 kg di materiali di vario genere.

. Scarichi di origine tellurica Tra i protocolli della convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dai rischi dell‟inquinamento o convenzione di Barcellona(1978), vi è il protocollo LBS (Land Base Source) relativo all‟inquinamento di origine tellurica. Questo protocollo intende lottare contro l‟inquinamento della zona del Mar Mediterraneo dovuto agli scarichi nei fiumi, emissari, canali o altri corsi d‟acqua, o provocati da qualsiasi altra fonte o attività situata nel territorio degli Stati contraenti. Il protocollo elenca le sostanze il cui scarico è vietato e i fattori da prendere in considerazione per l‟eliminazione dell‟inquinamento dovuto a tali sostanze. Enumera inoltre le sostanze il cui scarico è soggetto al rilascio di un‟autorizzazione da parte delle autorità nazionali competenti. Questa autorizzazione deve in particolare tenere conto delle caratteristiche e della composizione del rifiuto, delle caratteristiche dei costituenti del rifiuto dal punto di vista della nocività, delle caratteristiche del luogo di scarico e dell‟ambiente marino ricettore, della disponibilità di tecniche in materia di rifiuti e infine dei possibili pregiudizi per gli ecosistemi marini e gli usi dell‟acqua marina. Il protocollo prevede inoltre una cooperazione a livello di ricerca e informazione, nonché a livello di adozione di programmi, misure e norme adeguati, volti a ridurre o a eliminare le sostanze interessate. Dal 1996 sono state apportate alcune modifiche al protocollo, che riguardano in particolare l‟applicazione del principio di precauzione, l‟estensione del campo d‟applicazione del protocollo all‟inquinamento di origine tellurica attraverso l‟atmosfera, il sistema di regolamentazione dei rifiuti, la sorveglianza continua dei livelli di inquinamento e l‟assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo.

Tra le principali fonti di inquinamento del Santuario, troviamo proprio quello di origine tellurica, ossia la contaminazione delle acque marine da fonti terrestri.

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Tale tipologia di inquinamento, riconosciuta anche dal Piano di Gestione del Santuario del 2004, è responsabile dell‟accumulo nel tempo di sostanze bioaccumulanti nella catena alimentare, spesso tossiche per gli organismi viventi. Per avere una panoramica ampia sul problema, nel 2010 sono stati effettuati,da Greenpeace, prelievi su diverse matrici: sedimenti marini, sedimenti fluviali, scarichi idrici di alcuni impianti industriali, acqua fluviale e marina. Greenpeace ha effettuato i campionamenti in 11 “hot spot” divisi a metà fra la Toscana e la Liguria. Per “hot spot” – letteralmente aree calde - si intendono le potenziali fonti inquinanti che si trovano lungo la linea costiera del Santuario, ovvero aree portuali, impianti industriali e foci fluviali. Piombino

Piombino

Rosignano marittimo

Livorno

Fiume Arno

Fiume Serchio

SEDIMENTO

SEDIMENTO, ACQUA DI SCARICO

ACQUA DI SCARICO

SEDIMENTO

SEDIMENTO E

SEDIMENTO

(nell’area portuale)

(in prossimità Lucarelli s.p.a)

dell’acciaieria

SEDIMENTO (lungo la costa)

(porto) (presso impianto Solvey)

(foce fiume)

ACQUA

del

(tratto che attraversa Pisa)

SEDIMENTO (al di fuori della linea costiera)

Tab. 11 – I sei punti di prelievo sulla costa toscana Cogoleto

Vado Ligure

Genova

SEDIMENTO E

SEDIMENTO

ACQUA

(foce del torrente Segno)

SEDIMENTO ACQUA

(Torrente che scorre accanto all’impianto della Stoppani)

E

(porto commerciale vicino lo scarico dell’acciaieria Ilva)

Tab. 12 – I cinque punti di prelievo sulla costa ligure

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Fiume Magra

La Spezia

SEDIMENTO

SEDIMENTO

(foce del fiume)

(golfo di spezia,vicino cantiere navale)

La


I test di laboratorio hanno ricercato la presenza di metalli pesanti, di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e di composti organici volatili (COV). Si tratta di composti generalmente provenienti da scarichi industriali, porti, traffico marittimo e si diffondono nella catena alimentare. Risultano pericolosi sia per i predatori al vertice della catena trofica, quale appunto i cetacei, sia per l‟uomo. Non è un caso i cetacei del santuario sono i più contaminati, infatti in stenelle e balenottere comuni dell‟alto Tirreno si sono riscontrati alti accumuli di IPA. Queste sostanze sono carcerogene sia per queste specie che per l‟uomo. E‟ stata esaminata per gli 11 hot spot la presenza di 8 metalli pesanti (As, Cd, Cr, Hg, Ni, Pb, Cu, Zn), diversi COV come il tricloroetano, e tra gli IPA ad esempio il benzo (a) pirene. I metalli pesanti, hanno diversi gradi di tossicità sono per lo più carcerogeni e possono causare gravi patologie e disfunzioni, le loro fonti in particolare sono legate ai processi industriali, ma anche allo smaltimento di rifiuti speciali. Degli 8 ricercati solo 5 sono stati trovati nei campioni: il piombo, il cromo, l‟arsenico, il nichel e lo zinco. In Toscana sui 6 hot spot esaminati, 4 presentavano la resenza di composti pericolosi oltre i limiti di riferimento. Ad esempio benzo(a)pirene oltre il limite a Piombino e Livorno in prossimità delle acciaierie, tricloroetano oltre il limite presso l‟impianto Solvey a Rosignano Marittimo. In Liguria, i dati sono ancora più critici, infatti su 5 hot spot esaminati, 4 presentano sostanze pericolose oltre i limiti. Nel versante occidentale della Liguria, sono stati realizzati due diversi campionamenti a Cogoleto e Vado Ligure. Nel primo caso, è stato prelevato un campione di acqua e uno di sedimento nel torrente che scorre accanto all‟inattivo e obsoleto impianto Stoppani. Considerati i processi industriali operati a suo tempo in quest‟impianto, la ricerca si è indirizzata solo sui metalli pesanti. Cromo totale e nichel sono stati trovati a livelli alti, circa quattro volte il limite, che dimostrano come questo SIN, sito d‟interesse nazionale per la bonifica, è ancora un impianto che inquina il mare e le sue risorse. A Vado Ligure, è stato prelevato un campione di sedimento presso la foce del torrente Segno, all‟Oasi dei Germani. In questo torrente - che sfocia in una spiaggia balneare che potrebbe risentire della sua contaminazione - è stato trovato il cancerogeno benzo(a)pirene due volte oltre la soglia e fra i metalli, arsenico e zinco, di cui il primo quasi due volte sopra il limite di riferimento.

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In Italia non esiste una norma specifica sui limiti di concentrazioni dei contaminanti nei sedimenti, per cui nelle analisi dei dati, sono stati considerati i valori per siti oggetto di bonifica non industriali, essendo il santuario un‟ASPIM.

. Inquinamento termico La principale fonte di inquinamento termico è legata all‟uso dell‟acqua di mare per raffreddare gli impianti industriali e che spesso viene reimmessa a temperature più elevate, determinando squilibri alle biocenosi e favorendo lo sviluppo di organismi più termofili. Ne sono responsabili le centrali termoelettriche, termonucleari e le industrie siderurgiche. L‟inquinamento termico può essere: . diretto, quando la sorgente inquinante provoca un innalzamento di temperatura immediato ed elevato; . indiretto, quando gli effetti si ripercuotono su scala globale, ad esempio come aspetto del riscaldamento globale legato ai cambiamenti climatici. I principali danni agli ecosistemi acquatici causati dall‟inquinamento termico diretto sono: . La diminuzione della solubilità dell‟ossigeno, che associata alla presenza di inquinamento organico, può provocare la perdita di alcune specie più deboli. . La morte della flora batterica, fondamentale nei processi di autodepurazione dell'acqua. . L‟allontanamento o la moria delle specie (di pesci e di crostacei) che sono intolleranti al calore. . La proliferazione delle specie acquatiche che resistono meglio al calore (come le alghe). . La diminuzione di alcune specie e la proliferazione di altre generanti alterazioni nel funzionamento dell‟ecosistema, che sono facilmente intuibili. . Proliferazione di batteri Un modo per prevenire o ridurre l'inquinamento termico sarebbe quello di riutilizzare l'acqua calda per altri scopi sia domestici che industriali (Fig. 26).

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Fig. 26 - Esempio di riutilizzo dell‟acqua calda proveniente da impianto industriale.

Per i corsi d‟acqua la legislazione italiana impone un limite di 3°C come incremento massimo tra monte e valle (rispetto alla sezione di alimentazione dello scarico caldo). Lo stesso limite di 3°C viene imposto per scarichi in laghi e mare intendendosi tale valore come differenza tra la temperatura delle acque con lo scarico caldo e senza. Nei due casi la legge fissa una distanza dal punto di immissione dello scarico (50 [m] per i laghi e 1000 [m] per il mare. La Liguria entra nella classifica dei siti produttivi più inquinanti con quattro stabilimenti: l‟Italiana coke di Bragno, a Cairo Montenotte, le centrali Enel di Genova e La Spezia e infine proprio con la centrale Tirreno Power di Vado Ligure. Inoltre impiegare l‟acqua marina come vettore di calore nei rigassificatori, infatti, implica lo scarico di enormi quantità di acqua fredda, nonché di cloro, nell‟ambiente marino, causando notevoli sbalzi termici e l‟introduzione di enormi volumi di acqua sterilizzata che uccidono micro-organismi quali zoo e fito-plancton. Riprenderemo l‟argomento nel successivo approfondimento sui danni ambientali causati dal rigassificatore di Panigaglia (La Spezia) e il nuovo rigassificatore off-shore di Livorno.

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. Eutrofizzazione L‟eutrofizzazione è un fenomeno che comporta l‟incremento eccessivo di sali nutritivi, quali nitriti, nitrati e fosfati che normalmente contribuiscono alla salinità dell‟acqua di mare; e l‟aumento di sostanza organica con il conseguente sviluppo eccessivo di alghe. La proliferazione delle alghe, determina spesso, una diminuzione della quantità di ossigeno disciolto (anossia) e conseguente alterazione delle catene trofiche (distrofia).

Fig. – 27 fenomeno di eutrofizzazione.

Negli ambienti acquatici si nota un notevole sviluppo della vegetazione e del fitoplancton. Il loro aumento numerico presso la superficie dello specchio d'acqua comporta una limitazione degli scambi gassosi (e quindi anche del passaggio in soluzione dell'ossigeno atmosferico O2). Inoltre, quando le alghe muoiono vi è una conseguente forte diminuzione di ossigeno a causa della loro decomposizione ed i processi di putrefazione e fermentazione associati liberano grandi quantità di ammoniaca, metano e acido solfidrico, rendendo l'ambiente inospitale anche per altre forme di vita. Al posto dei microrganismi aerobici (che hanno bisogno di ossigeno) subentrano quelli anaerobici (che non hanno bisogno di ossigeno) che sviluppano sostanze tossiche e maleodoranti.

Fig. 28 – Apporti antropici dei nutrienti.

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Nei processi di eutrofizzazione si assiste, all‟inizio, a un‟altissima produzione vegetale, che dà luogo al fenomeno delle “fioriture” di microalghe; in concomitanza con favorevoli condizioni fisiche (alte temperature, stratificazione delle masse d‟acqua), si verifica anche la produzione di essudati organici, causata dallo spropositato apporto di sostanze nutritive provenienti dai terreni agricoli (sottoposti a frequenti lavorazioni meccaniche e concimazioni) e dalle acque di scarico inquinanti riversate nei laghi, nei fiumi e in mare. Anche gli effluenti rilasciati dagli impianti di depurazione contengono spesso elevate quantità di fosforo, poiché solo in alcuni casi questo elemento viene rimosso con un apposito trattamento finale. Tab. 13 - numero di scarichi urbani nella regione Liguria

Come esempio, si possono considerare i dati emersi dalla Relazione sullo Stato dell‟ambiente in Liguria dell‟anno 2012 (tab. 13). Gli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue urbane rappresentano attualmente la più alta fonte di pressione sulla matrice ambientale acqua in particolare per i corpi idrici superficiali ( acque dolci), che si riversano in mare. La criticità degli impianti di depurazione dei reflui urbani è legata alla loro localizzazione e alla condizione operativa. La situazione risulta drammatica soprattutto nel periodo estivo a causa del flusso turistico nella regione. Anche la non completa separazione delle reti bianche e nere, condiziona l‟efficienza depurativa del refluo in ingresso. Un esempio è dato dal forte inquinamento delle acque di Vernazzola - Genova, per i reflui fognari che, il rio Vernazza riversa in mare.

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Fig. 29 - Vernazzola (GE), in rosso l‟area con divieto di balneazione (fonte Arpal, 2013)

La L.R. n°. 4/2012 "Misure urgenti per la tutela delle acque" è stata introdotta, quale misura urgente e temporanea, allo scopo di contenere il carico inquinante degli scarichi in quegli agglomerati, individuati nell'ambito dell'applicazione della Direttiva 91/271/CEE, che risultano ancora privi del richiesto livello di trattamento delle acque reflue urbane. In Toscana, secondo la campagna “Goletta verde”, condotta dai ricercatori di Legambiente nel 2011, alcuni siti costieri risultano contaminati da batteri fecali, tali siti sono non conformi alla balneazione, anche secondo gli ultimi dati Arpat del 2013.

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Fig. 30 - Dati emersi dal controllo delle acque costiere presso il lato sud della foce del fiume Albegna, Orbetello (GR).

In particolare, ad Orbetello la foce del fiume Albegna e a Marina di Carrara la foce del Torrente Carione sono risultate gravemente inquinate, dove i valori limite per i batteri fecali esaminati sono stati superati. Anche a Viareggio i valori limite del batterio Escherichia Coli sono stati superati e le analisi realizzate a Lido Camaiore, presso Fosso Abate, hanno classificato il sito come fortemente inquinato. Nel comune di San Giuliano Terme, in località Sterpaia, all'interno del Parco di San Rossore, la foce del Fiume Morto è risultata fortemente inquinata. A Marina di Pisa il campione prelevato presso la Foce Arno su Lungarno G. D'Annunzio ha rilevato un forte inquinamento microbiologico. I campionamenti realizzati in località Ardenza (Livorno) presso la Foce Rio Ardenza hanno evidenziato forti livelli di inquinamento. Infine all'Isola d'Elba sono risultati inquinati i siti Spiaggia del Capitanino e Molo del Pesce. 51


Si riportano le mappe relative ai dati emersi dal monitoraggio, effettuato da Arpat nell‟area del santuario, nell‟ambito del progetto GIONHA (Govenance Integrate Obsarvation On Marine Natural Habitat), sulla base dei parametri dei nutrienti (N e P totali), della clorofilla e dell‟Ossigeno disciolto. Tali parametri sono utili per studiare il fenomeno dell‟eutrofizzazione.

Fig. 31 – Monitoraggio sulla concentrazione di ossigeno disciolto (Fonte: data-base GIONHA,1997-2010)

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• e fosforo •

nel santuario


Fig. 32 – Monitoraggio sulla concentrazione di azoto (Fonte: data-base GIONHA,1997-2010)

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• e clorofilla • nel santuario.


. Specie alloctone L‟inquinamento biologico per introduzione di specie alloctone è una conseguenza della cattiva gestione dei rifiuti naturali, umani e animali. Le fonti principali sono legate all‟inadeguato trattamento delle acque reflue degli insediamenti urbani e dei pascoli lungo i fiumi. Il rispetto della normativa sulle acque di balneazione e sulla gestione delle acque reflue potrebbe ridurre il rischio di tale contaminazione. Le specie alloctone si sono diffuse negli ultimi secoli grazie ai trasporti da un paese all‟altro. Il problema fondamentale sussiste nel fatto che, quando una specie esotica giunge in un nuovo territorio, può trovarsi in situazioni “favorevoli” di sviluppo. Possono infatti, non essere presenti i suoi predatori naturali, ciò può portare alla proliferazione incontrollata della specie “aliena”. Le specie alloctone, creano gravi problemi alle specie endemiche del territorio contaminato. L‟introduzione di specie esotiche rappresenta la seconda causa di perdita di biodiversità, dopo la distruzione degli habitat. E‟ dunque fondamentale occuparsi della gestione delle specie alloctone al fine di tutelare la biodiversità. Nel mare la diffusione di specie “aliene”, avviene principalmente attraverso le acque di zavorra, (fig. 33)

Fig. 33 – Trasporto di specie alloctone attraverso l‟acqua di zavorra. 54


A minacciare le acque del Mediterraneo e dunque anche quelle del santuario sono numerose specie alloctone. Approfondiremo n particolare i casi della proliferazione delle alghe tossiche : Ostreopsis ovata e Caulerpa Taxifolia. . Caso Ostreopsis ovata L‟Ostreopsis ovata è una microalga originaria delle zone tropicali e subtropicali, diffusasi in poco tempo in molte zone costiere del Mediterraneo, in particolare lungo le coste della Liguria e dell‟Alta Toscana. L‟alga diventa tossica durante il periodo della fioritura, in quanto sprigiona tossine che infettano l‟acqua e l‟aerosol marino con gravi conseguenze per specie, ambiente e uomo. Tutte le alghe del genere Ostropsis producono tossine responsabili della ciguatera, ossia una neuro-intossicazione che causa la moria di pesci e invertebrati e sintomi gravi nell‟uomo per ingestione di cibo contaminato sia crudo che cotto; le tossine infatti sono termostabili e non vengono distrutte dalla cottura. L’Ostreopsis ovata ama dunque, le temperature elevate e la luce, per questo le aree di contaminazione sono le coste. Nutrendosi di sali di azoto e fosforo, nelle zone dove, a causa dell‟inquinamento di reflui mal depurati, i nutrienti si concentrano in modo elevato, si ha anche l‟habitat ottimale per la “fioritura” dell‟alga. Tale fioritura algale si verifica solo per la contemporanea presenza di luminosità prolungata, mare calmo, alta pressione e abbondanza di nutrimento. I rischi maggiori infatti, si hanno in estate. In Italia, già nel 1989, si ebbe la presenza dell‟alga nell‟Alto Adriatico, ma nel 2005 ha iniziato a diffondersi anche nel santuario, nelle acque di fonte Genova. Si è pensato che le acque di zavorra siano state la fonte principale, tuttavia è possibile che ci siano state da molto tempo seppur in concentrazioni basse, forse nascoste nel sedimento sotto forma di cisti di resistenza. L‟inquinamento organico, quello termico e i cambiamenti climatici devono avere poi innescato l‟enorme fioritura. Nel 2011, sono stati scoperti in Liguria, da ponente a levante, 24 scarichi non collegati ai depuratori fognari, causa di inquinamento da coliformi fecali e di inquinamento termico. Tali scoli sono infatti, stati individuati da un sistema di telemetria a raggi infrarossi, in grado di leggere l‟aumento della temperatura dell‟acqua.

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Di questi 24, 14 sono stati identificati a Genova.Versano liquami in mare sottocosta, a meno di 1.000 metri dal litorale (al di sotto delle distanze minime previste dalla normativa).

L'innalzamento della temperatura dell'acqua è una delle cause che nei giorni accelera la fioritura dell'alga tossica. Sono stati effettuati 4 mesi di campionamento da Giugno a Settembre per un totale di 108 sopralluoghi. Si è evidenziato in diversi casi il superamento della soglia di allerta (10.000 cell/l) e con scarsa possibilità di fioritura algale (tab.14), mentre in sole 3 stazioni si è evidenziato il raggiungimento del terzo livello di rischio di fioritura, (tab. 15)

Tab. 14 - stazioni dove si è riscontato il supermento della soglia di allerta.

Tab. 15 - le 3 stazioni dove si è raggiunto il terzo livello di rischio di fioritura algale.

Dal 2008 l‟Arpat, attraverso il progetto GIONHA, ha effettuato un monitoraggio dell‟alga, sul litorale toscano. A seguito dei primi fenomeni di comparsa dell‟alga il Ministero della Sanità elaborò delle linee guida per la “Gestione del rischio associato alle fioriture di Ostreopsis ovata nelle coste italiane”. I prelievi e le analisi sono effettuati con frequenza mensile a giugno e settembre e ogni 10-15 giorni a luglio ed agosto (intensificata in caso di fioritura). Oltre ad O. ovata vengono anche monitorate altre due microalghe potenzialmente tossiche, Prorocentrum lima e Coolia monotis.

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ARPAT ha stabilito le aree a rischio ed ha predisposto dei piani di monitoraggio sia per la matrice acqua che per il substrato. Come criterio generale sono state scelte le stazioni che negli anni di indagine hanno evidenziato il superamento - in almeno una campagna di monitoraggio - del limite di 10.000 cell/L nella colonna dâ€&#x;acqua, previsto dalle linee guida ministeriali come soglia di attenzione.

I tratti di costa interessati hanno determinate caratteristiche geomorfologiche (substrato roccioso, ciottoloso, e barriere artificiali, comunque a scarso ricambio idrico, dove le acque raggiungono temperature elevate) e sono localizzati nei comuni di Massa, Pisa e Livorno. I punti di monitoraggio, di norma, coincidono con quelli identificati per il controllo dei parametri microbiologici nelle stesse acque di balneazione. Come si può notare, in uno dei punti di campionamento di riscontrato nel luglio 2012 un picco di proliferazione algale molto alta, (fig. 34)

Fig. 34 – Esempio di monitoraggio Osteopsis o. a Bagno Gorgona (PI). (Fonte: Arpat)

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. Caso Caulerpa taxifolia

La Caulerpa taxifolia è una macroalga verde alloctona, che ha invaso il Mar Mediterraneo. Nel 1984 venne avvistata per la prima volta sui fondali di Monaco, antistanti il Museo Oceanografico. La causa principale della sua diffusione sembra essere legata al trasporto, tramite le pompe di sentina delle navi, dal suo habitat originario, Mar Rosso o Atlantico tropicale. Fig. 35 - Particolare di C.Taxifolia

In Italia, la prima segnalazione risale al 1991 nelle acque di Imperia. Questa alga ama invadere fondali già degradati, in particolare quelli sabbiosi e poveri di specie. Invade dunque, con facilità nicchie ecologiche vuote o semivuote. Presenta una riproduzione sia vegetativa che sessuata molto rapida, l‟asportazione quindi non riduce la sua diffusione. E‟ in grado di popolare sia acque limpide che inquinate, il danno maggiore che provoca, è dovuto alla sua interferenza con le biocenosi marine costiere. La sua rapida invasione limita la crescita delle specie autoctone, portandole anche al rischio di estinzione. L‟esempio più noto, è l‟invasione di Caulerpa taxifolia sulle praterie in degrado di Posidonia oceanica. L‟alga, in questo caso, riesce a raggiungere dimensioni eccezionali tanto da danneggiare la Posidonia, ombreggiandola. L‟espansione dell‟alga, sembra aver creato, la costruzione di nuovi equilibri con organismi epibionti, sia vegetali che animali, che vivono sulle fronde. Come Ostreopsis ovata anche la Caulerpa appartiene alle specie di alghe tossiche. Tra le sostanze tossiche che produce vi è la caulerpenina ossia un terpenoide. Fin ora non sono pervenuti danni alle persone che abbiano ingerito pescie e molluschi che “pascolano” su queste alghe. Il problema non va comunque sottovalutato soprattutto nelle acque del santuario, dove sono state riscontrate tra le più altre concentrazioni.

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Il Protocollo della Convenzione di Barcellona del 1995 sulle aree di protezione speciale e la biodiversità in Mediterraneo, stabilisce che le parti debbano prendere "...tutte le misure necessarie per regolamentare l'introduzione intenzionale o accidentale di specie non indigene ....e proibire quelle che possono determinare un impatto dannoso sugli ecosistemi, gli habitat o le specie che sono già state introdotte quando, dopo una valutazione scientifica, risulti evidente che tali specie causino o abbiano la probabilità di causare danni agli ecosistemi, habitat o specie nelle zone di applicazione del Protocollo”. Tutti i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo devono pertanto adottare le necessarie misure per prevenire e rallentare la diffusione di Caulerpa taxifolia proibendo, ad esempio, la sua commercializzazione o invitando alla pulizia delle ancore, degli strumenti di pesca e delle attrezzature subacquee in situ in modo da limitare il più possibile il rilascio di frammenti e la sua conseguente proliferazione.

Fig. 36 - Diffusione della C.taxifolia nel Mediterraneo occidentale negli anni ‟90, con maggiore concentrazione nelle acque del Santuario.

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Le concentrazioni dellâ€&#x;alga restano elevate in alcuni punti del santuario, anche negli ultimi anni, come si può notare in figura 36, le aree in rosso rappresentano le zone di insediamento della Caulerpa taxifolia.

Fig. 37 – Distribuzione di Caulerpa taxifolia nelle acque del Santuario Pelagos (fonte: B Galil, 2008)

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. Scarichi accidentali di idrocarburi

Gli scarichi accidentali di petrolio dovuti al trasporto o all‟estrazione dello stesso, rappresenta un‟altra grave causa di inquinamento e moria di organismi marini soprattutto costieri. Quando si verifica un incidente, che comporta uno sversamento di greggio in mare, per prima cosa si cerca di limitare l‟espansione della macchia oleosa, che si forma in superficie, per impedire che questa raggiunga le coste. Purtroppo non sempre questa operazione, di solito effettuata con barriere galleggianti,può essere fattibile in tempi rapidi. Infatti le condizioni del mare possono impedire tale manovra. Gli uccelli, sono tra i primi ad essere colpiti perché le sostanze oleose che ne ricoprono il corpo li rendono inetti al volo. La forma più diffusa di inquinamento da petrolio è legata allo sversamento di quest‟ultimo dalle petroliere. Tuttavia, vi sono anche molti casi di scarichi intenzionali di idrocarburi, per pulire le cisterne. Sembra infatti, che secondo alcuni studi, che la quantità di greggio rilasciata in questo modo, sia superiore sino ad oggi, in totale, di quella dovuta alle enormi maree nere accidentali. Il problema in tal caso, dipende dalla difficoltà di individuare le navi autrici dello scarico infliggendo pertanto, le giuste pene. In più, da alcuni anni, vi è la “corsa all‟oro nero” nel Mediterraneo. Dal 2010, il Santuario dei cetacei ha rischiato di essere gravemente danneggiato, dalla ricerca petrolifera. In particolare, per l‟estrazione di gas e petrolio a sud dell‟isola d‟Elba, tra l‟isola di Pianosa e quella di Montecristo. La concessione di ricerca “Elba Sud” di 643 km quadrati, rilasciata alla Puma Petroleum della multinazionale australiana Key Petroleum Ltd, ricadrebbe infatti, nel pieno della zona protetta del Santuario, dove si sono istituite anche le AMP di Bergeggi, Cinque Terre, Portofino, Secche della Meloria, Asinara e i parchi nazionali dell‟Arcipelago toscano e della Maddalena.

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Fig 38 - Mappatura dei punti di estrazione off- shore di petrolio e gas in Italia da parte della Key Petroleum Ltd. 62


Fortunatamente, sempre nel 2010, entrava in vigore il decreto legge n. 128/2010, il cosi detto “correttivo ambientale” approvato all‟indomani del terribile incidente della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Con questo decreto, si introdusse il divieto assoluto di ricerca, prospezione e estrazione di idrocarburi all‟interno delle aree marine e costiere protette e per una fascia di 12 miglia attorno al perimetro esterno delle zone di mare e di costa protette. Inoltre, le attività di ricerca e estrazione di petrolio, furono vietate entro le 5 miglia lungo l‟intero perimetro costiero nazionale. La norma era relativa anche ai procedimenti autorizzativi in corso. Purtroppo nel 2012 le cose cambiano di nuovo, con l‟articolo 35 del decreto “Cresci Italia” ( legge n.1/2012). Infatti, sebbene si estenda a tutta la fascia costiera nazionale, la zona off-limits delle 12 miglia per le nuove richieste di estrazione di idrocarburi dal mare, il decreto consente la l‟esecuzione del divieto a tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio in corso, bloccati a suo tempo dal “correttivo ambientale” del 2010. Inoltre, sebbene la fascia off-limits delle 12 miglia non sia scesa a 5 miglia, con questo decreto partirà dalle linee di costa, ossia dalla battigia e non dalle linee di base, che includono golfi e insenature, a differenza di quanto era stato stabilito dal decreto precedente. Dunque, saranno a rischio ampie porzioni di acque territoriali italiane, anche all‟interno delle AMP. Le aree di mare che rischiano di essere oggetto di trivellazione in Italia sono 40 (22 nel canale di Sicilia, 16 nell‟Adriatico, 2 nel golfo di Taranto). Sono 120 invece le autorizzazioni già rilasciate che minacciano il territorio italiano per un totale di 42.500 Kmq: un vero e proprio assedio da parte delle compagnie petrolifere, dovuto anche alle forti agevolazioni economiche che l‟Italia offre in materia, a differenza degli altri Paesi.

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. Caso petroliera“haven”

La Haven era una petroliera di tipo VLCC (Very large Crude Carrier),ossia una nave cisterna di grandi dimensioni (344 m di lunghezza), per il trasporto del greggio. Fu costruita nei primi anni settanta come la quarta di una serie di quattro gemelle presso i cantieri Asterillos Espanoles di Cadiz, in Spagna. Una flotta di disastri annunciati L‟Amoco Cadiz ha riversato nel 1978 tutto il suo carico (230 mila tonnellate di petrolio) sulle coste della Bretagna. Si trattava di una nave liberiana, gestita da una società greca, con marinai albanesi. La Maria Alejandra è esplosa quattro anni dopo dinanzi alle coste della Mauritania. La Mycene, un mese più tardi, è colata a picco in acque senegalesi. Tab. 16 - Caratteristiche principali della nave Haven

La Haven fu attaccata ben due volte dai guerriglieri integralisti iraniani, furono dunque necessari diversi lavori di riparazione e conseguenti prove per la navigazione. Nel 1991, la nave aveva più di 15 anni e come è noto una petroliera non può navigare per più di 15 anni. Dopo il completamento dei lavori, la nave ripartita a pieno carico il 10 gennaio 1991, fece rotta verso l‟Europa via Capo di Buona Speranza e giunse a Genova l‟8 marzo rimanendo ancorata in rada sino al 7 aprile. Dal 7 al 9 Aprile la Haven si ormeggiò alla piattaforma a mare del Porto Petroli per una discarica parziale del greggio, per tornare quindi in rada. Nelle sue cisterne al momento dell‟incidente erano stivate circa 144.000 tonnellate di petrolio greggio Heavy Iranian Oil e più di 1.200 tonnellate di combustibile (fuel oil e diesel) per la propulsione della nave.

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Fig. 39 – La Petroliera Haven prima dell‟incidente del 1991.

. L‟incidente L‟11 aprile 1991, alle 12.30 circa, davanti al porto petroli di Genova Multedo, si verifica un'esplosione a bordo durante un'operazione di travaso di greggio dalla stiva 1 (a prua) alla stiva 3 (a centro nave). L‟esplosione fa saltare parte della coperta a prua della nave, e il pezzo staccato lungo 100 m (coperta prodiera) sprofonda sul fondale a 94 m diprofondità davanti a Genova Voltri. L‟imbarcazione alla deriva prende fuoco e il greggio inizia a bruciare. Il giorno successivo cominciano i primi interventi per bloccare la chiazza di petrolio in fiamme che fuoriesce dalle cisterne. Il rimorchiatore Olanda aggancia la nave dal timone di poppa e inizia ad avvicinarla alla costa. Nel corso dell‟operazione si stacca la parte di scafo di prua (troncone di prua, lungo circa 100 m e contenente 3 cisterne) che è rimasta priva di coperta, e sprofonda a 460 m di profondità. Alle ore 9.35 del 13 aprile, dalla nave ancora in fiamme (lunga ora 220 m e parzialmente sprofondata e inclinata verso dritta), si ode un forte boato seguito da altre esplosioni. Rimorchiatori e bettoline scaricano intorno alla Haven acqua e solvente ma il petrolio raggiunge comunque le spiagge. Il mattino del 14 aprile, in seguito ad una serie di esplosioni con perdita di greggio, la Haven affonda completamente ad un miglio e mezzo dal porto di Arenzano e si posa sul fondo alla profondità di 80 metri leggermente inclinata sul fianco di dritta (relitto principale). Tra i trentasei componenti dell'equipaggio si contano cinque morti, compreso il capitano Petros Grigorakakis. Più di 140.000 tonnellate di idrocarburi vengono liberate nell‟ambiente: è il più grave disastro ambientale mai avvenuto nel Mediterraneo. Tutti i relitti sono posizionati all‟interno del mare territoriale (entro le dodici miglia da costa). 65


Fig. 40 – Immagini dell‟incidente della petroliera Haven.

Successivamente all'affondamento, il relitto principale della Haven è stato oggetto di numerosi interventi di studio.

Fig. 41 – Rappresentazione delle diverse profondità dove giace il relitto della Haven.

Ad oggi, l‟inquinamento causato dall‟incidente della petroliera Haven, è ancora in atto a distanza di 22 anni. Sono 50.000 le tonnellate di greggio che si trovano ancora sui fondali. Studi dell‟Icram (Istituto centrale di Ricerca sul Mare) hanno dimostrato che i pesci sono malati di cancro e la flora è contaminata. Il pescato si è ridotto del 50%, danni gravi alle fanerogame, al benthos e a tutta la fauna protetta del Mar Ligure.

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Il petrolio infatti anche a distanza di molti anni non si è cristallizzato a causa delle alte temperature del Mediterraneo che non scendono mai al di sotto dei 13 gradi centigradi in profondità.

Di conseguenza il greggio ha mantenuto una fluidità tale da poter scorrere sul fondo o tornare in superficie continuando a minacciare le coste. Tra le persone le più esposte all‟inquinamento sono coloro che risiedono nei pressi delle zone contaminate e che inalano le frazioni gassificate del greggio. Per gli altri il contatto avviene prevalentemente attraverso il cibo contaminato. Gli idrocarburi riversati in mare, hanno colpito, in particolare, il litorale tra Vesima e Varezze e sulle spiagge di Arenzano e Cogoleto, l‟infiltrazione degli idrocarburi nella sabbia, è stata riscontrata oltre i 30 m di profondità. Le opere portuali, inoltre, hanno costituito dei siti di accumulo del greggio e solo parzialmente sono stati bonificati. Sui fondali la situazione è ancor più grave, infatti sono stati rinvenuti ammassi di petrolio rappreso intorno ai 400 metri di profondità e le analisi certificano che provengono dal relitto. Il disastro della Haven resta senza colpevi, infatti la compagnia greca-cipriota responsabile dell‟incidente, è stata assolta e come unico responsabile viene indicato il Comandante, morto nella sciagura. Nel 2011, la magistratura ha messo sotto inchiesta, con accuse che vanno dall‟abuso di atti d‟ufficio alla corruzione, quindici persone tutte dirigenti Arpal, l‟Agenzia per la Protezione Ambientale della Liguria. Inquinare gravemente il Mar ligure, è costato solo 200 miliardi delle vecchie lire all‟armatore Haji Ioannou Lucas. Inoltre il fondo internazionale per l‟inquinamento da idrocarburi (IOPCF) non ha riconosciuto il danno ambientale e i nostri governi non sono riusciti a cambiare la situazione. Diventa difficile pensare, che disastri come quelli della Haven non possano più verificarsi, soprattutto in Aree specialmente protette come il Pelagos. I rischi maggiori infatti, sono legati al transito delle petroliere concentrato in tre aree: nel mar Tirreno (da Genova a Livorno),in pieno Santuario Pelagos, nel nord Adriatico (da Ravenna a Trieste), nella Sicilia orientale (nella zona di Gela-PrioloAugusta e Siracusa-Melilli). L‟Italia è unica nel suo genere: le nostre zone industriali e portuali costiere sono contestualizzate spesso nei centri urbani ed insufficienti risultano le iniziative per una loro delocalizzazione. Quanto alle Bocche di Bonifacio tra Corsica e Sardegna, l‟apposito accordo italo-francese vieta il transito alle navi pericolose non è mai stato fatto rispettare dall‟Italia. 67


Fig. 42 - Transito di navi cisterna (principalmente petroliere) nel 2011, all‟interno dell‟area del Santuario.

Fig. 43 – Esempio di traffico marittimo di navi cisterna ↑ (oil/chimica tanker) che transitano nel Santuario, ottenute in tempo reale. (Fonte: www.marinetraffic.it )

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. Caso “Costa Concordia”

La sera del 13 gennaio 2012, la nave di crociera “Costa Concordia", salpata da Civitavecchia, con a bordo 4.229 fra passeggeri e membri dell‟equipaggio, urta tra le 21:20 e le 21:40 gli scogli a 500 metri dal porto dell'Isola del Giglio. Il naufragio è preceduto da un black out. Nella murata si apre uno squarcio di 70 metri: i morti sono 30, mentre due corpi sono ancora dispersi. Il comandante è prima sottoposto a fermo giudiziario, poi arrestato con l'accusa di omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono della nave. Dopo pochi giorni gli vengono accordati i domiciliari. La vicenda giudiziaria resta ancora aperta.

Fig. 44 – Nave Costa Concordia dopo il naufragio .

A seguito dell‟incidente, il piano di emergenza ha previsto diverse tappe: Gennaio 2012: Operazioni di ricerca e soccorso, piani di monitoraggio e dichiarazione dello stato di emergenza. Febbraio 2012: Incontri con la popolazione e avvio del piano di recupero del carburante. Marzo 2012: Conclusione delle operazioni per il recupero del carburante. Aprile 2012: Aggiudicazione del progetto di rimozione del delitto. Maggio 2012: Passaggio di consegne tra Smit Salvage - Neri e Titan Salvage – Micoperi. Giugno 2012: Istituzione dell‟Osservatorio di monitoraggio. 69


Grazie alla collaborazione tra ISPRA e ARPAT Toscana, si delineano le attività di controllo ambientale che sono ancora oggi in atto e che si condurranno in futuro. Il piano di monitoraggio si è reso necessario, a seguito dell‟alto rischio di inquinamento in un‟area marina dall‟elevata biodiversità, sulla base del Dlgs. 152/2006, Dm 56/2009, Dlgs 260/2010. Tenendo conto dell‟inventario delle sostanze pericolose presenti sulla nave, si è attuato un monitoraggio sia di “emergenza” che di “indagine” per verificare i danni arrecati all‟ecosistema marino nell‟area del naufragio. Il rischio maggiore è dovuto al possibile sversamento di materiali inquinanti presenti sulla nave, come prodotti della raffinazione del petrolio e agenti chimici, con conseguente contaminazione della colonna d‟acqua, dei sedimenti e degli organismi marini. Tale monitoraggio mantiene attivo anche il sistema di prevenzione per la salute umana, in relazione al consumo di prodotti da pesca possibilmente contaminati. Vengono dunque analizzati anche parametri indicatori di contaminazione fecale e chimica in relazione alle acque destinate a consumo umano. Il piano di monitoraggio si è svolto in tre livelli: Livello 1 – Monitoraggio svolto nei pressi della nave (nella fase iniziale) su 5 punti: P1 – Centro nave lato dritta , P2 - Prua nave, P3 – Centro nave lato sinistra, P4 – Poppa nave, P5 – Bianco riferimento 1 miglio a largo. Ha lo scopo di tenere in sorveglianza l‟entità dell‟ inquinamento e la sua diffusione. Sono previste analisi chimico-fisiche di base tramite sonde e strumentazione da campo .

Livello 2 – Monitoraggio per valutazioni di breve e medio periodo di danno ambientale – Programma concordato fra ARPAT e ISPRA tramite battello oceanografico, con indagini chimiche ecotossicologiche, idromorfologiche e biologiche su colonna d‟acqua , sedimento e biota, da effettuarsi nell‟intorno del luogo di affondamento in punti da stabilire in corso d‟indagine e frequenze variabili .

70


Fig. 45 – punti principali di monitoraggio intorno al relitto. (Fonte: Arpat)

Livello 3 – Monitoraggio valutazioni di lungo periodo

per

Monitoraggio svolto presso 5 stazioni della rete di monitoraggio regionale vicine alla zona affondamento con frequenze (al momento) previste dal programma 2012 e con profilo ampliato con parametri chimici pericolosi e elementi di qualità biologica. Le stazioni di monitoraggio “in osservazione” sono le seguenti: Porto Santo Stefano, Montecristo, Foce Bruna, Cala Forno, Elba Sud. FiFig. 46 - I 19 punti di campionamento delle acque per i sedimenti vengono considerate le aree limitrofe 71


Il monitoraggio ha lo scopo di valutare eventuali variazioni dello stato di qualità delle acque marino-costiere rispetto agli standard di qualità previsti dalla normativa vigente. La rete di monitoraggio marino-costiera è costituita da 19 punti di campionamento. I campioni di acqua vengono presi ad una distanza di circa 500/1000 metri dalla riva con cadenza bimestrale. I campioni di sedimenti con cadenza semestrale. Il progetto di parbuckling (ribaltamento) viene ufficialmente approvato in quanto il migliore per la rimozione intera del relitto, per il minor impatto ambientale possibile e per la salvaguardia delle attività turistiche ed economiche dell‟Isola del Giglio; il tutto nella massima sicurezza degli interventi. Una volta riportato nelle condizioni di poter galleggiare, il relitto sarà trainato in un porto italiano. Sarà compito delle società provvedere al ripristino dell'area marina. L‟osservatorio di monitoraggio viene istituito per assicurare l‟esecuzione del progetto di rimozione. Fortunatamente, con un apposito piano di recupero del carburante, sono stati aspirati 2.042,5 metri cubi di idrocarburi, impedendo il grave rischio di dispersione. Successivamente, inizia anche il recupero del materiale ingombrante fuoriuscito dalla nave, intendendo sia quello galleggiante che quello depositato sul fondale e il recupero delle acque nere. Vengono recuperati 240 metri cubi di acque nere.

Fig. 47 – Piano per il recupero di circa 2.200 tonnellate di combustibile presente nelle cisterne della Nave. 72


Nel Giugno 2013, accanto al relitto della Costa Concordia è iniziata la messa in opera dell'ultima delle sei piattaforme subacquee, una delle tre più grandi, che formano insieme alle migliaia di sacchi di speciale malta cementizia il fondale artificiale su cui poggerà la chiglia della Concordia una volta che sarà fatta ruotare di 65 gradi. L'enorme manufatto metallico pesa circa mille tonnellate, misura 32 metri di lunghezza per 22 di altezza ed è sostenuta da cinque pilastri di un metro e mezzo di diametro. La piattaforma verrà immersa a circa trenta metri di profondità, e i suoi pilastri di appoggio dovranno inserirsi nelle sedi scavate nel granito del fondo in questi mesi, a volte con grande difficoltà data la resistenza della roccia." Sul lato emerso del relitto sono già stati posizionati, saldati e fissati due cassoni di galleggiamento. Prima della fase di rotazione ne restano da installare altri 9. I cassoni, costruiti da Fincantieri, sono in acciaio e le loro dimensioni sono di 10,5 metri per 11,5 metri, per 20 o 30 metri di altezza. Successivamente al parbuckling, rotazione, saranno installati altri 4 cassoni per arrivare così al totale complessivo di 15. A seguito del raddrizzamento della nave seguirà l'installazione degli altri 15 cassoni sul lato dritto. L'installazione dei 30 cassoni permetterà il galleggiamento della nave. Contemporaneamente prosegue l'installazione dei sacchi removibili riempiti di una speciale malta cementizia necessari per completare il fondale artificiale sul quale sarà adagiato il relitto.

Fig.48 – fasi del progetto parbuckling applicato alla nave Costa Concordia

Fig. 49 – stabilizzazione e sistemi di ritenuta 73


Fig. 50 – Installazione di supporti subacquei (falso fondale) e cassoni sul lato sinistro.

Fig. 51 – Parbuckling (ribaltamento) e installazione cassoni sul lato destro.

Fig. 52 – Rigalleggiamento.

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Fig. 53 - Situazione dello stato di avanzamento progetto parbuckling, nel Luglio 2013

Ad oggi, oltre ai monitoraggi effettuati da Arpat anche quelli di Greenpeace hanno potuto accertare una condizione “normale” dello stato dei fondali dell‟Isola del Giglio e marcare alcune stazioni con l‟obiettivo di valutare in un secondo momento un eventuale impatto del disastro della Costa. Diverso il caso delle analisi di laboratorio che, invece, indicano una certa contaminazione dell‟acqua di mare (in superficie e presso la costa) da tensioattivi e ammonio, che potrebbe essere dovuta alla dispersione di detergenti, disinfettanti e forse prodotti alimentari immagazzinati nel relitto. Questi ultimi con il tempo potrebbero bioaccumularsi nella catena trofica. Nel marzo 2012, al fine di tutelare le acque del Giglio, site nell‟area del Santuario Pelagos, il governo (Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) ha emesso il “decreto rotte” che prevede: . l‟introduzione di un limite di 2 miglia di distanza che le navi superiori alle 500 tonnellate dovranno rispettare dal perimetro delle aree protette. . l‟introduzione di una disposizione riservata alle navi con carichi pericolosi che transitano nel Santuario dei cetacei: le navi infatti saranno tenute ad adottare sistemi di ritenuta del carico per garantirne la massima tenuta e stabilità, così da prevenire e impedire perdite accidentali 75


. Scorie radioattive sommerse

La contaminazione radioattiva dei mari è stata determinata da esperimenti nucleari e dagli scarichi di impianti nucleari costieri, come è accaduto in Francia a La Hague! Nel Mediterraneo, in particolar modo nel Tirreno sarebbero state affondate più di 30 navi, cariche di scorie radioattive e tossiche per mano della criminalità organizzata. Le Autorità competenti stanno verificando, se quanto dichiarato da un pentito da n‟drangheta, siano stati affondati carichi radioattivi a largo di Livorno in pieno santuario Pelagos. Torna, facilmente alla mente, il caso del 9 luglio 2009 in cui a circa 10 miglia a nord del porto di Marciana Marina all‟Isola d‟Elba, l‟equipaggio dell‟imbarcazione tedesca MS Thalrs, ha incrociato una nave portacontainer “Toscana”,dichiarando che scaricasse in mare dei container, utilizzando le gru di bordo.

Fig. 54 – la nave “Toscana” fotografata dalla MS Thales, si noti le posizioni non a riposo delle gru. (Fonte: Greenreport)

Secondo esperti dello smaltimento illegale di rifiuti tossici, la posizione della zona a nord dell‟Elba – continua – è ideale. Li infatti, ci sono tanti residui della guerra, bombe, aeroplani, sommergibili e relitti segnati sulle carte nautiche, con cui è possibile confondere il frutto dell‟attività illecita. 76


. Aspetti impattanti dell‟acquacoltura

L‟acquacoltura è una pratica molto antica finalizzata ad incrementare la produzione di proteine animali. Si tratta di una produzione controllata di specie diverse. Possono essere allevate specie ittiche (piscicoltura), molluschi (miticoltura, ostricoltura), di crostacei (gambericoltura) e alghe utilizzate sia per scopo alimentare che per fini industriali. In acquacoltura si possono distinguere tre forme di allevamento: . estensivo: dove l‟alimento per le specie allevate proviene dall‟ambiente naturale; . semiestensivo: dove oltre all‟alimento naturale viene utilizzato anche mangime industriale, . intensivo: dove l‟alimentazione è totalmente artificiale condotta in vasche o gabbie con densità elevata di esemplari. In Italia, l‟attività di acquacoltura ha avuto crescita esponenziale negli ultimi anni. In particolare oltre alla molluschicoltura e alla troticoltura si è assistito ad un incremento della pescicoltura mediterranea. Gli impianti in mare più moderni, prevedono l‟uso di gabbie galleggianti o sommerse poste lontano dalla costa, per evitare l‟impatto negativo degli scarichi dei depuratori su quest‟ultima. Tuttavia, se da un lato l‟acquacoltura ha contribuito migliorare la situazione socio economica delle comunità costiere, consentendo anche il ripopolamento di specie decimate dalla pesca industriale; dall‟altro un allevamento intensivo di specie predatrici, come quelle allevate, richiede comunque un depauperamento delle risorse ittiche, come fonte di cibo. Inoltre, in un allevamento intensivo possono insorgere epidemie tra le specie allevate, che richiedono uso di antibiotici. Dunque se l‟attività soprattutto intensiva viene svolta in maniera scorretta può causare inquinamento ambientale. I rischi principali sono, l‟eutrofizzazione, la contaminazione batterica e chimica e gli squilibri ecologici. 77


L‟installazione dell‟impianto intensivo a Lavagna (GE) è stata autorizzata nonostante il parere negativo nello studio della Filera Maricoltura e commissionato dal Parco Scientifico Tecnologico della Liguria. L‟impianto produce un inquinamento dovuto alle feci e al 30% del mangime non consumato dai pesci. Infatti da quanto emerge da uno Studio della America‟s Living Oceans, un allevamento di 200.000 pesci produce una quantità di nutrienti e materia fecale quanto lo scarico di una fognatura non trattata di 65.000 persone .

Fig. 55 – Acquacoltura a Lavagna (GE) (Foto © F.Cardia)

Se si pensa al fatto che il Golfo del Tigullio, dove è sito l‟impianto, ha circa 120.00 abitanti ed ogni località ha il suo impianto di depurazione chimica che risulta obsoleto, fatta eccezione per l‟impianto biologico di Chiavari, si può comprendere come, l‟attività di maricoltura intensiva possa avere impatti notevoli sulla qualità delle acque. Inoltre, nel 2011, l‟Unione Europea ha messo in allerta in merito alla presenza di diossina e antibiotici nei mangimi impiegati in maricoltura. Ciò è emerso dallo studio dei contenuti stomacali di pesci di allevamento, fatti passare per prodotti ittico biologico. 78


La sostenibilità di un impianto di maricoltura si basa sul rapporto tra il mangime introdotto nel sistema e la capacità di questo di eliminare le sostanze residue. Dalla diversa tipologia delle gabbie può dipendere la capacità di auo-depurazione. Inoltre impatti sull‟ambiente sono legati oltre che all‟eutrofizzazione anche alla mescolanza tra pesci fuoriusciti dall‟allevamento e popolazione indigena con conseguente indebolimento della diversità genetica. Il problema più evidente della maricoltura, deriva dal carico organico causato dall‟immissione di cibo e dalle deiezioni dei pesci. Le attività di maricoltura determinano variazioni significative nella funzionalità della comunità microbica sia a livello dell‟acqua che di sedimento. Gli studi riguardanti gli impatti provocati da impianti di maricoltura sulle praterie di Posidonia sono pochi. Tuttavia i risultati sono abbastanza omogenei e mostrano degradi significativi di queste formazioni vegetali in tutti i settori studiati. Generalmente, nei casi in cui sono state posizionate delle gabbie di piscicoltura al di sopra di una prateria, quest‟ultima è stata fortemente deteriorata o è scomparsa. Nei confronti della loro incidenza sull‟ambiente, ed in particolare sulle praterie di Posidonia (specie protetta in molti paesi), l'installazione di nuovi impianti di maricoltura deve tener conto di alcuni fattori: . le caratteristiche del sito dove installare l‟impianto (fattori fisico-chimici e biologici, correntometria in particolare); . le pratiche di sfruttamento previste (specie allevate, tipo di prodotti alimentari, modo di distribuzione, gestione della razione quotidiana, controllo dei rifiuti, prodotti sanitari, ecc..); . la produzione (tonnellaggio) prevista, in relazione alle caratteristiche della località (capacità d'accoglienza, carrying capacity). I regolamenti normativi, concernenti in particolare le praterie di Posidonia oceanica. Di seguito, sono riportati le immagini satellitari della localizzazione degli impianti di maricoltura in Liguria. Si noti come alcuni di questi (Ospedaletti e Borghetto Santo Spirito) siano situati proprio su posidoneti (tab. 19).

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Tab. 17 : impianti di maricoltura presso i comuni di Portovenere, Lavagna e Comogli.

â–Ş

Area di S.I.C

â–Ą= impianti di maricoltura Fonte :http://cartografia.regione.liguria.it

80


Area di S.I.C

Tab. 18 : Cartografia impianti di maricoltura presso i comuni di Bergeggi e Alassio .

□= impianti di maricoltura

Area di S.I.C

Fonte :http://cartografia.regione.liguria.it

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Fanerogame marine Tab. 19 : Cartografia impianti di maricoltura presso i comuni di Borghetto Santo Spirito e Ospedaletti.

PM = prateria di Posidonia oceanica e aree di matte morta P = prateria di Posidonia oceanica C = prateria di Cymodocea nodosa PR = prateria di Posidonia oceanica insediata su roccia

□= impianti di maricoltura Fonte :http://cartografia.regione.liguria.it

Non è opportuno costruire impianti di maricoltura in siti di importanza comunitaria (S.I.C), designati ai sensi della direttiva “Habitat” 92/43/CEE. I S.I.C infatti sono fondamentali per mantenere la biodiversità nella regione biogeografia in cui si trovano. Tuttavia, diversi impianti liguri siano siti proprio in aree istituite come S.I.C.(Tab.12 e 13). Analoghe considerazioni riguardano le Zone di Protezione Speciale (ZPS), introdotte dalla Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE. E‟ buona norma non posizionare impianti in prossimità delle condotte di scarico, impianti di depurazione e non, vicino a siti di bonifica di interesse nazionale (S.I.N) e impianti industriali.

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Fig. 56 - Presenza di

-

condotte di scarico ( ),

. inquinanti ad uso agricolo (–) presso l‟impianto

impianti di depurazione ( ) e area soggetta a

di Borghetto Santo Spirito. Fonte :http://cartografia.regione.liguria.it

La maricoltura è comparsa di recente in Toscana. Gli impianti censiti sono tre, due in provincia di Livorno e uno in quella di Grosseto. Tra gli impianti Livornesi, uno si trova all‟Isola di Gorgona ed è provvisto di gabbie sommerse, l‟altro all‟Isola di Capraia con una gabbia galleggiante e due gabbie sommerse. L‟impianto viene supervisionato regolarmente dall‟ARPAT per valutare l‟impatto ambientale. Ad oggi non sono state riscontrate alterazioni dell‟ecosistema. L‟impianto di Grosseto è di tipo intensivo ed è costituito da tre gabbie sommerse. I risultati del monitoraggio dell‟ARPAT, sebbene su breve scale di tempo, dimostrano come gli impianti di maricoltura se realizzati in zone con buon idrodinamismo e fuori dalla fascia bentonica a posidonia, non causano alterazioni dell‟ecosistema e rappresentano una alternativa importante alla pesca .

Fig. 57 – Maricoltura off-shore nel Gofo di Follonica (Fonte: Acqua Azzurra spa) 83


.

-

Inquinamento acustico

Il Mar Mediterraneo è un sistema complesso dal punto di vista acustico e in esso sono presenti segnali sonori di diversa intensità e durata. Tali suoni possono essere classificati quantitativamente in due gruppi: . suoni derivanti da sorgenti naturali . suoni derivanti da sorgenti antropiche. . le sorgenti naturali, come il vento, la pioggia, l‟attività sismica e vulcanica, occupano una porzione ampia dello spettro sonoro, con delle frequenze caratteristiche che vanno dai pochi Hz fino a centinaia di kHz. La sorgenti antropiche vengono a loro volta distinte in base alle modalità di rilascio dell‟energia sonora, in: impulsive (SONAR, indagini geosismiche ecc.), continue (traffico navale). Nelle sorgenti impulsive l‟energia acustica viene rilasciata molto rapidamente, producendo solitamente livelli piuttosto elevati. Ad esempio i sonar sono sistemi che introducono intenzionalmente l‟energia acustica negli ambienti marini, con lo scopo di investigarli: recuperare informazioni su oggetti presenti nella colonna d‟acqua, sul fondale o all‟interno dei sedimenti marini. I sonar più pericolosi per i mammiferi marini sono quelli ad alta intensità (> 20 kHz). Le indagini geosismiche dei sedimenti marini vengono realizzate mediante array di airguns (pistola ad aria compressa), trainati a una profondità di 4-10 metri di profondità, mentre la catena idrofonica (per la rilevazione dei segnali riflessi) viene posizionata a circa 12 metri di profondità e a una distanza di alcuni chilometri dalle sorgenti. Ogni singola airgun è in grado di produrre una serie di impulsi sonori (Frequenze: 10-300 Hz) in grado di interessare aree distanti fino a 50-75 km (in acque poco profonde, 20-25 m). Altre sorgenti impulsive sono i deterrenti acustici utilizzati per tenere lontani i cetacei dalle reti, e le operazioni di dragaggio, i cui suoni possono estendersi per diversi chilometri dalla sorgente. Il rumore e le vibrazioni prodotte in mare dalle attività umane possono interferire in vario modo con la vita animale. Possono limitare la capacità degli animali di comunicare, di chiamarsi e di riconoscersi, ad esempio, nel periodo riproduttivo, ma anche di segnalare situazioni di pericolo o di individuare ostacoli tramite il biosonar. Il rumore può quindi produrre alterazioni del comportamento, diminuire la capacità riproduttiva o indurre l‟allontanamento da determinate aree, con gravi implicazioni ecologiche.

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Le sorgenti continue generano al contrario un rumore diffuso e prevalente, in grado di alterare sensibilmente i livelli di fondo nel campo delle basse frequenze (fino a 100 Hz).

L‟energia sonora prodotta dal traffico navale non può essere ristretta ad un‟area, in quanto le basse frequenze emesse da queste sorgenti, in presenza di canali di focalizzazione, possono propagarsi a notevoli distanze dalla sorgente. Le aree costiere sono le zone in cui il rumore antropico raggiunge i livelli più alti), a causa degli elevati volumi di traffico (imbarcazioni da pesca, turistiche e commerciali).

Fig. 58 – Mappe di rumore per il Santuario Pelagos. Le mappe sono state collocate alle frequenze di 63 Hz (a sinistra) e 125 Hz (a destra), a 10 metri di profondità e sono rappresentative del rumore immesso durante l‟anno2009. (Fonte: Arpat)

Circa il 90% dell‟energia che l‟uomo immette nell‟ambiente marino viene prodotta dagli impianti di propulsione delle imbarcazioni. Le dimensioni del natante, la sua velocità e l‟efficienza delle componenti meccaniche dei motori sono tutti fattori che concorrono a determinare il livello complessivo prodotto da una qualsiasi imbarcazione. Diversi studi hanno evidenziato come nel corso degli ultimi cinquanta anni, accanto di una forte crescita dei volumi di traffico (sia nel numero complessivo di imbarcazioni che nel tonnellaggio totale), il rumore legato alla componente navale sia aumentato 85


Il Progetto GIONHA, ha sviluppato il tema dell‟inquinamento acustico negli ambienti marini, al fine di individuare zone critiche per i mammiferi marini nel Santuario Pelagos, analizzando nel dettaglio il rumore prodotto dal traffico navale. Approfondire questi aspetti ha una grande importanza nella formulazione di nuove norme per la navigazione e per le attività potenzialmente dannose soprattutto nelle aree tutelate quali Parchi e Riserve marine. Verrà approfondito questo tema nel capitolo inerente alle specifiche minacce alle specie del Santuario Pelagos.

. Progetto Solmar

E‟ stato presentato a Genova nel 2004, all'Acquario di Genova il bilancio di sei anni di attività del Progetto Solmar (Sound Ocean and Living Marine Resources), la più grande ricerca mai condotta per studiare il mondo complesso dei mammiferi marini del Mar Mediterraneo. Il progetto nasce nel 1999, grazie all'azione aggregante del Saclant Undersea Research Centre di La Spezia, il più avanzato laboratorio scientifico europeo per le ricerche di acustica subacquea afferente alla NATO. Al progetto hanno partecipato negli anni, 150 ricercatori e tecnici di enti di ricerca di 12 nazioni diverse. La ricerca si è sviluppata grazie ad una serie di crociere scientifiche, denominate Sirena e Zifio, nel Santuario dei Cetacei, a bordo di 9 navi da ricerca della NATO, dell'Istituto Idrografico della Marina Militare Italiana, del CNR, del Conisma e dell'Icram e attraverso l'uso di altri sofisticati mezzi quali elicotteri, aerei e satelliti. Sono state condotte attività di studio quali avvistamenti, registrazioni acustiche, marcature e indagini oceanografiche in più di 300 stazioni per un totale di oltre 20.000 miglia coperte. Il risultato concreto più rilevante finora prodotto dal progetto è la procedura che le Marine Militari di diversi paesi stanno approntando per limitare le esercitazioni potenzialmente pericolose. Da ora in poi, le navi militari sono tenute a verificare la presenza di cetacei e nel caso di rischio a sospendere o rimandare le attività. Grazie a questo studio, inoltre, si sono messe a punto tecniche di identificazione acustica e visiva dei cetacei particolarmente efficaci. La Marina Militare Italiana, che già dal 1995 applica tecniche di salvaguardia dei cetacei (ad esempio, non effettuando più esperimenti potenzialmente pericolosi nell'area del Santuario), sarà una delle prime ad usufruire di queste tecniche e tecnologie. 86


I risultati non si limitano però a questo; grazie al contributo dei diversi enti che hanno partecipato, è stata infatti creata la più ampia banca dati esistente sui cetacei del Mar Mediterraneo (su sistema GIS - Geographic Information System) che consentirà, una volta esaminata nel dettaglio, di approfondire la conoscenza sull'etologia di questi animali. Inoltre, sono stati scoperti numerosi segreti che riguardano la vita dei cetacei. Tra questi, per la prima volta, è stato possibile registrare il suono emesso dallo zifio mentre, grazie al primo esperimento di marcatura non invasiva effettuato nel Mediterraneo, si è potuto definire la soglia di disturbo per il capodoglio e si sono scoperti i trucchi che consentono una più efficace immersione del capodoglio. Purtroppo, nonostante l‟importanza del progetto Solmar, alcuni episodi testimoniano che le esercitazioni militari continuano a svolgersi nelle acque del “Pelagos”. Ricordiamo, il caso dello scorso anno relativo ai boati uditi dagli abitanti di Marciana Marina, all‟Isola d‟Elba. Diverse furono inizialmente le possibili ipotesi, ma oggi,la più probabile è la conduzione di esercitazioni militari NATO e la possibile sperimentazione di nuovi sistemi d‟arma. A ciò si aggiunge il rischio dovuto al traffico di sostanza nucleari nei porti di Genova e La Spezia, senza che la popolazione residente venga coinvolta nelle esercitazioni previste nei piani obbligatori di sicurezza atomica. Non è poi nuovo il caso di esercitazioni militari nella zona dell‟Isola d‟Elba, infatti, sembra esserci una correlazione con l‟incagliamento della nave Alliance, avvenuto nel 2005. La nave Alliance della Nato naufragò proprio a Pianosa mentre effettuava, insieme all‟altra nave Leonardo, una missione scientifica sottomarina, o almeno questa fu la versione ufficiale che non spense mai i sospetti legati alla natura militare di tale missione. Questo ha portato all‟installazione di diversi sismografi.

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Fig. 59 - Luogo di naufragio della nave NATO Alliance e immagine della nave prima dell‟incidente. (Fonte: http:// informareperresistere.fr)

Oggi sappiamo che la nave Alliance, non portava avanti studi scientifici sulla Posidonia oceanica, ma testava i robot “kayak”. Il Robot “kayak” serve ad immergere siluri telecomandabili della lunghezza di 3 metri e del peso di 300 chilogrammi, capaci in autonomia telecomandata di navigare ad una distanza di 500 chilometri e ad una profondità di oltre 5.000 metri, prima di colpire il bersaglio. La NATO ha ottenuto nell‟isola un edificio dove sono stati immagazzinati tali dispositivi. Questi test sono stati effettuati in numero elevato nell‟area del Santuario comprendente aree a protezione integrale come Montecristo e Pianosa fino all‟Arcipelago della Maddalena. Dai dati della NATO le due navi Alliance e Leonardo non erano certo impegnate in programmi scientifici, quanto in attività di intelligence. La Guardia Costiera di porto, di Portoferraio non ha potuto nemmeno avviare un‟inchiesta amministrativa sull‟incidente, a causa dello status giuridico della nave, soggetta alla tutela dei trattati segreti Italia-USA. (Fonte: http:// informareperresistere.fr) Una recente interpretazione del Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha di fatto chiarito l‟insussistenza della possibile esimente della tutela degli interessi di difesa nazionali per l‟applicazione del Codice dell‟ambiente (D.Lgs. n. 152/06 e ss.mm.ii) ai rifiuti residuati dalle operazioni esercitative di tiro pure in mare, con la conseguenza che tali materiali devono essere comunque recuperati. 88


. Rigassificatori

Nel nostro Paese esistono già due attivi ma diversi sono già stati approvati e alcuni sono in fase di progetto. Quelli attivi sono a Panigaglia (La Spezia) e a Porto Viro (Rovigo) e sta per attivarsi anche il rigassificatore di Livorno.

Fig. 60 – Impianti di rigassificazione presenti in Italia, tra quelli in funzione, approvati e in progetto. (Fonte: Ansa)

Il rigassificatore di Panigaglia

Il Rigassificatore di Panigaglia è un rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL).

impianto

per

la

ricezione

Costruito intorno agli anni settanta dall'allora Esso a Panigaglia, del Golfo della Spezia nel territorio del Comune di Porto Venere.

e

località

Attualmente è di proprietà della GNL Italia, una società costituita per ricevere, detenere e gestire le attività svolte da Snam Rete Gas relative alla rigassificazione di gas naturale liquefatto. Fino al Maggio 2009 è rimasto l'unico impianto di rigassificazione, di questo tipo, attivo in Italia. In seguito al blocco della costruzioni di altri impianti di rigassificazione nel territorio italiano, la proprietà, nel Giugno 2007, ha proposto la possibilità di aumentare la capacità produttiva dell'impianto di Panigaglia, sollevando enormi polemiche sul territorio e manifestazioni degli abitanti. 89


Al settembre 2007, tutti i comuni del golfo spezzino (Lerici, La Spezia e Porto Venere) si sono dichiarati contrari a qualsiasi ipotesi di ampliamento dell'impianto. La proposta è stata definitivamente bocciata nell'agosto 2008, con il voto congiunto di Comune di Porto Venere, Provincia della Spezia e Regione Liguria. Ciò nonostante, il 22 settembre 2010, i ministri Prestigiacomo e Bondi firmano il decreto per il via libera al quasi triplicamento del rigassificatore. La normativa nazionale tende a favorire il permanere dell‟impianto di Panigaglia compreso il suo ampliamento, ma la nuova Direttiva europea sul controllo e la prevenzione degli incidenti rilevanti nelle industrie va in direzione esattamente opposta dimostrando la incompatibilità del rigassificatore nell‟attuale sito e la necessità di valorizzare il ruolo attivo della cittadinanza locale relativamente alla attuale gestione dell‟impianto e ad ogni decisione futura su di esso.

Fig. 61 – Impianto di Panigaglia, sono visibili il ponte di attracco e i due serbatoi, uno verso mare e uno verso monte (Fonte http://wikipedia.org).

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L‟avanzamento del pontile per ulteriori 50 metri e l‟attracco di gasiere più grandi (145.000 m3 contro gli attuali 70.000) è quindi inconciliabile con l‟intero sistema Golfo. Infatti il Golfo di La Spezia ha un porto commerciale che continua a crescere, un porto militare dove attraccano anche unità a propulsione nucleare tanto che La Spezia è uno dei pochissimi porti italiani in cui esiste un Piano di Emergenza Nucleare (del quale la popolazione non sa assolutamente nulla). Per la presenza dell‟Arsenale Militare e della base del Varignano, il Golfo è spesso teatro di esercitazioni aeree con elicotteri della M.M. Inoltre bisogna tener conto dell‟attività cantieristica, diportistica e crocieristica del Golfo che tende ad incrementare. Dunque, Il rischio di incidenti o eventuali attacchi terroristici non può essere escluso. L‟ampliamento richiesto, con conseguente aumento delle dimensioni e del numero delle gasiere, che dovrebbero manovrare in uno spazio inadeguato, condizionerebbe in senso negativo la vita all‟interno dell‟intero Golfo, come espresso anche dalla Capitaneria di Porto. Per consentire l‟attracco di tali super gasiere il progetto prevede di dragare una vasta area del Golfo, sia all‟interno che all‟esterno della diga foranea, ma non chiarisce modalità di dragaggio, tecniche di raccolta, stoccaggio e smaltimento dei materiali dragati rinviando alle future procedure di legge in materia. Nel progetto si legge che “durante le operazioni di dragaggio e le attività necessarie all‟adeguamento del pontile si potrebbe generare una torbidità dell‟acqua. Ci si chiede dunque: “che fine faranno le praterie di Posidonia, le specie ittiche e i mitili negli impianti di miticoltura?” Ricordiamo che l‟impianto oltre a sorgere nel Santuario dei cetacei è all‟interno del Parco Naturale Regionale di Portovenere . L'intera area, dichiarata nel 1997 Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'UNESCO attraverso l'istituzione del Sito "Porto Venere Cinque Terre e Isole", è inclusa in 3 aree SIC (Siti di Importanza Comunitaria ai sensi della Direttiva CE 92/43 Habitat) a sottolineare l'importanza della biodiversità presente nell'Area Protetta. Attualmente il progetto dell‟ampliamento del rigassificatore resta fermo alla luce di un no di Intesa della Regione Liguria.

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Il rigassificatore di Livorno L‟impianto di rigassificazione off-shore di Livorno, della società OTL, presenta rischi che non sono stati valutati correttamente e implica l‟ubicazione di zone industriali in mare aperto. Di conseguenza il rischio di sversamento in mare di sostanze pericolose è alto, in particolare in una ASPIM. Il rigassificatore è destinato a ricevere GNL (gas naturale liquido) dall‟estero e renderlo fruibile per le reti italiane. Un'opera mastodontica quella che stazionerà davanti alla città, a 22 km al largo.

Fig. 62 – Nave metaniera e rigassificatore off-shore di Livorno (Fonte: http://lanazione.it)

E‟ arrivato. dopo otto anni e più di 800 milioni di euro spesi per la sua costruzione, il 31 di luglio scorso il rigassificatore “Fsru Toscana” è comparso al largo del versante tirrenico e si è infine posizionato a 22 chilometri dalla costa livornese. Si tratta della terza infrastruttura di questo tipo in Italia. Quando la fase di collaudo sarà ultimata e il terminale offshore sarà a regime, avrà una capacità di rigassificazione di 11 milioni di metri cubi di gas al giorno, ovvero 3,75 miliardi di metri cubi all‟anno, pari al quattro per cento dell‟intero fabbisogno nazionale. Per quanto riguarda l„impatto ambientale del terminale, dal sito della “Olt offshore Lng Toscana” si legge che: “Tutti gli aspetti legati alle possibili conseguenze sull‟ambiente esterno sono stati analizzati e sono state approntate le necessarie misure atte a rendere minimo l‟impatto, così come riconosciuto da tutte le autorità competenti che hanno concesso le indispensabili autorizzazioni”. Rassicurazioni che non soddisfano molti livornesi. Il Comitato “No offshore” (di cui fanno parte diverse associazioni livornesi) ha organizzato un corteo chiamato “il funerale del mare” proprio poco dopo l‟arrivo della nave metaniera, come protesta e lutto cittadino per un mare devastato.

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Il progetto della “Olt offshore Lng Toscana” ha previsto la conversione di una nave metaniera (la norvegese Golar frost) in un terminale galleggiante saldato al fondale marino attraverso sei àncore in maniera permanente a 22 chilometri dalla terraferma. Le navi metaniere si affiancheranno al terminale “Fsru Toscana” e grazie a dei bracci di carico mobili il gas naturale liquido verrà travasato nei quattro serbatoi della nave gasiera dell‟Olt. A questo punto il suo compito sarà quello di rigassificare, ovvero riportare il Gnl (gas naturale liquido) allo stato gassoso. Una volta fatto questo, il gas, tramite un sistema di tubazioni che si trovano a 120 metri di profondità, raggiungerà la terra ferma e la rete nazionale di Snam Rete Gas. Per quanto riguarda l‟impatto che il rigassificatore potrebbe avere sull‟ecosistema del “Santuario dei Cetacei“, il fattore che desta maggiore preoccupazione tra le associazioni ambientaliste riguarda gli effetti dell‟acqua clorificata sulla fauna e la flora marina. Infatti, per il processo di rigassificazione del Gnl viene utilizzata acqua di mare che permette di riscaldare il gas liquido riportandolo allo stato gassoso. Per evitare che l‟acqua di mare danneggi l‟impianto di rigassificazione, la Olt utilizzerà cloro che lo “ripulisce”. Una volta utilizzata, l‟acqua viene riversata in mare. Dal sito della Olt Offshore si legge che: “Le concentrazioni di cloro attivo libero allo scarico saranno significativamente inferiori a quelli previsti dalla normativa nazionale”. Le limitazioni allo scarico di cloro attivo libero nell‟ambiente marino sono state definite dalle autorità competenti, con il rilascio delle autorizzazioni necessarie. Il rispetto di tali limiti sarà, comunque, oggetto di controllo nel corso delle attività del Terminale da parte delle autorità preposte. Si tratta comunque, di volumi notevoli, dell‟ordine di circa trecentomila metri cubi al giorno, sottoposti a choc meccanico, che provocheranno la formazione di schiume come accade all‟impianto di rigassificazione di Rovigo e che vengono trattate con cloro attivo e con conseguente rilascio di sostanze tossiche: i cloro-derivati organici. Si tratta di enormi masse d‟acqua sterile e quindi incapace di assolvere i compiti eco sistemici che l‟acqua di mare normalmente assolve: habitat per il plancton, processi di auto depurazione, regolazione dei cicli biogeochimici, assorbimento di CO2. Inoltre esistono altri rischi ambientali inaccettabili, che parrebbero essere stati non valutati nella procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) che ha portato all‟autorizzazione dell‟impianto.

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Questi rischi sono relativi a: - mobilitazione dei sedimenti e in particolare di quelli, contaminati, provenienti dal porto di Livorno e a suo tempo sversati nel sito; -popolamento di Posidonia oceanica, che si intende trapiantare senza che sia garantito il buon esito del trapianto; - presenza di cloro negli scarichi dell‟impianto, ignorata nella VIA; - diversa considerazione della dispersione del flusso di acqua fredda emessa dall‟impianto (2,2 m3/secondo) che, secondo la VIA, sparirebbe a brevissima distanza dalla nave; - nessuna analisi sulla rumorosità dell‟impianto industriale e sul suo impatto sulle popolazioni di cetacei residenti e migratori. Se ne deduce cha la VIA per il rigassificatore OLT avrebbe dovuto meglio considerare le seguenti componenti del rischio: movimentazione dei sedimenti; reimpianto della prateria di posidonia; qualità degli scarichi in mare dell’impianto; dispersione in mare degli scarichi dell’impianto; emissioni sonore dell’impianto.

Inoltre, malgrado la puntuale segnalazione della struttura, non v‟è certezza matematica che non si verifichino collisioni di navi o aerei con l‟impianto, considerato l‟elevato numero di navi che transitano nell‟area e le molteplici rotte aeree sovrastanti.

Fig. 63 – Rappresentazione grafica di possibili incidenti nell‟area dell‟impianto di rigassificazione.

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Dal punto di vista naturalistico, ha particolare rilevanza la presenza in zona dell‟area marina protetta Secche delle Meloria, questo è un ecosistema unico per estensione e diversità, caratterizzato da un elevata variabilità morfologica (alternanza di zone rocciose con il caratteristico fondale a catini, e zone con fondali sabbiosi e fangosi), con conseguente insediamento di numerose specie di pesci oltre ad una variegata vegetazione marina.

Nell'area coesistono tra le biocenosi più ricche e produttive del mediterraneo, tra cui le estese praterie di Posidonia oceanica (habitat prioritario della Direttiva Habitat), il coralligeno, popolazioni delle alghe fotofile (Cystoseira) ed il detritico costiero. E' inoltre nota la presenza del prezioso corallo rosso (Corallium rubrum).

Fig. 64 – Posizione del rigassificatore rispetto l‟AMP “le secche di Meloria”. (Fonte: http://youreporter.it, foto © Roberto Malfatti).

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6. SFRUTTAMENTO INTENSIVO DELLE RISORSE . Pesca pelagica La pesca dei grandi pesci pelagici nel Santuario Pelagos si basa su due specie: il pesce spada e il tonno. Si tratta di attività economicamente molto renumerative per i pescatori, in quanto il pescato di pochi mesi, consente loro di affrontare anche i difficili mesi invernali. La pesca delle due specie vede l‟utilizzo di attrezzi molto diversi tra loro. Nel Santuario,per la pesca del pesce spada viene utilizzato dagli anni ‟60, il palamito derivante di superficie e la stagione va principalmente da maggio ad ottobre. Nonostante il miglioramento delle tecnologie la pesca del pesce spada non ha assunto nel‟‟area del santuario il carattere “industriale” tipico del Sud Italia. In passato, veniva usato un altro attrezzo per la pesca del pesce spada: la rete derivante spadara. A seguito del bando europeo nei confronti delle reti derivanti spadare e al piano di riconversione delle unità navali promosso dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, attualmente non esistono “reti spadare” operanti nel Santuario. Nel 1990 le barche attrezzate con la rete spadara iscritte nei compartimenti liguri erano diciassette. A queste però si unirono molte unità dei compartimenti marittimi meridionali. Fu proprio, questa eccessiva presenza di reti spadare responsabili della cattura accidentale di molti cetacei e altre specie protette, che spinse all‟istituzione del Santuario. Sia le reti derivanti che il palamito catturano altre specie, approfondiremo l‟argomento più avanti, nel trattare delle specifiche minacce ai cetacei, in relazione al fenomeno del bycatch.

Fig. 65 – Principali aree di pesca del pesce spada ne Santuario Pelagos e particolare della specie. (Fonti: quaderno habitat e http://wikipwdia.org). 96


La pesca del tonno viene effettuata nel Santuario da tempi molto antichi. Oltre alla rete derivante “Thonnaille” utilizzata dai pescatori francesi per la pesca del tonno, la maggiore quantità di pescato si ottiene con le tonnare volanti e palangari. Si tratta di reti grandi a circuizione dei tonni. L‟area di pesca è molto vasta include quasi tutta l‟area del Santuario soprattutto la zona nord- occidentale e la pesca è effettuata quasi esclusivamente da unità francesi con tonnara volante e unità dell‟Italia meridionale,specie con palangari,invece quelle locali sono drasticamente diminuite.

Fig. 66 – Principali aree di pesca del tonno nel Santuario Pelagos e particolare della specie. (Fonti: quaderno habitat e http://wikipwdia.org).

Il degrado dell'habitat marino, l'inquinamento e la pesca eccessiva stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di 40 specie marine del Mediterraneo. E' l'allarme che deriva dai risultati di studio realizzato dall'Unione internazionale per la Conservazione della Natura (UICN). Secondo l'organizzazione ambientalista, fra le specie minacciate figura quasi la metà degli squali, delle razze e 12 specie di pesci ossei, fra i quali, oltre a delfini, balene e tartarughe, il tonno rosso, la cernia, la corvina, il merluzzo. "C'è una diminuzione stimata del 50% nel potenziale di riproduzione di queste specie negli ultimi 40 anni, provocato dalla eccessiva pesca intensiva", ha spiegato Kent Carpentes, coordinatore della Valutazione globale marina dell'UICN, in dichiarazioni ai media. E' il motivo per cui tali specie sono state catalogate nel rapporto come "minacciate" o "quasi minacciate" di estinzione nel Mediterraneo. Il rapporto evidenzia la necessità di rafforzare la normativa di restrizione della pesca, di creare nuove riserve marine, di ridurre l'inquinamento e rivedere le quote di pesca, sopratutto riguardo la cattura delle specie a rischio.

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La pesca a strascico continua a minacciare l'ambiente marino. Le reti utilizzate con questa metodologia distruggono, trascinano ed impattano notevolmente su qualunque cosa incontrino, dal fondale alle specie ittiche.

I danni più gravi sono quelli recati alle praterie marine di Posidonia – ai pesci e ai molluschi, molti dei quali stanno letteralmente scomparendo dalle nostre coste. Nonostante nel 2010 sia entrato in vigore lo stop europeo per la pesca a strascico entro il limite di 3 miglia dalla costa, le attività illegali continuano in Italia, come nel resto del mondo, a mietere vittime. Il divieto europeo sembra però non aver scoraggiato le azioni di alcuni: dai pescherecci ai privati utilizzatori di rastrelli. L‟attività di controllo specie da parte del Corpo delle Capitanerie di Porto,ha scoraggiato tali pratiche, di fatti, specie nell‟ultimo quinquennio, le autorità marittime periferiche hanno già sequestrato notevoli quantità di attrezzi da pesca illeciti e il prodotto ittico frutto,delle attività illegali. La pesca a strascico non è però l'unico metodo distruttivo utilizzato; anche le "reti a tramaglio" benché non impattanti sui fondali, provocano ulteriori e differenti danni. Uno studio pubblicato dalla LipuBirdLife Italia, dimostra come ben 400 uccelli marini vengano uccisi ogni anno nelle reti a "tramaglio", tecnica di pesca intensiva che va ad aggravare quanto già messo in atto con l'utilizzo di palangari e reti a strascico; il nuovo metodo prevede l'uso di reti fisse in nylon, materiale semi-invisibile che fa impigliare ed annegare gli esemplari. Fino oggi le azioni correttive sono state molto sporadiche, ma il piano d'azione dell'Unione europea, lanciato lo scorso novembre, fa del problema dei tramagli una priorita'. Tuttavia, l'applicazione di questo piano e' attualmente volontaria. Per questo BirdLife sta richiedendo misure vincolanti da includere nell'ambito della Politica comune sulla pesca (Pcp), finalizzate a migliorare la raccolta di dati e a fornire finanziamenti per la ricerca al fine di individuare i migliori metodi per evitare che gli uccelli marini restino uccisi nei tramagli.

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Fig. 67 - Uccello marino rimasto impigliato in una rete a tramaglio.

La pesca intensiva, impoverendo l‟ecosistema marino insieme con i cambiamenti climatici, ha causato anche fenomeni come l‟invasione di meduse. Tale invasione è dovuta alla rarefazione delle specie marine che se ne cibano, gran parte delle quali soggette alla pesca: i maggiori predatori di meduse sono infatti, oltre alle testuggini e tartarughe marine, tonni e pescispada.

Fig. 68 – Spiaggiamento di velelle sul litorale di Savona .

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Di contro, la politica comunitaria di contingentamento dello sforzo di pesca(assegnazione ai pescherecci di quote massime di cattura)ha determinato nel corso del 2013, un caso di sovra-popolamento di tonni nel Mar Ligure. A tal punto, la Lega coop- Lega pesca Liguria ha ritenuto necessario richiedere lo stato di calamità, a seguito degli ingenti danni che i tonni stanno arrecando al pescato. Infatti, si tratta di una specie di grandi dimensioni, che può raggiungere i 150 kg, abile predatore di acciughe che distrugge le reti dei pescatori. Sembra quasi una vendetta dei tonni contro la pesca intensiva che li ha colpiti per molti anni e che ha visto l‟uomo con le sue tonnare avere sempre la meglio sull‟animale, tanto da spingere l‟UE ha prendere delle rapide misure a favore della tutela della specie, che vieta la pesca del tonno, in particolare nel Mar Ligure. Situazioni come queste sono la conseguenza di un passato caratterizzato da uno sfruttamento intensivo delle risorse ittiche determinante forti squilibri nell‟ecosistema marino.

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7. Specifiche minacce La qualità dell‟ambiente marino Mediterraneo e in particolare delle acque del “Pelagos” potrebbe migliorare se le misure previste dalla Convenzione di Barcellona fossero regolarmente applicate. Il Santuario dei cetacei è stato istituito proprio per la tutela di tali specie, che tuttavia sono vittime di molte minacce, legate alle attività umane sia in modo diretto che indiretto.

MINACCE AI CETACEI Contaminanti ambientali Interazioni con la pesca e bycatch Rumore Traffico marittimo Patologie Spiaggiamenti

Fig. 69 – Cartello di protesta di Greenpeace Italia . (Fonte: Greenpeace)

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7.1 Contaminanti ambientali

Nei capitoli precedenti si è già trattato delle diverse tipologie di inquinanti presenti sui fondali del Santuario, da dumping di armamenti chimici della seconda guerra mondiale, a rifiuti pericolosi e radioattivi trasportati da navi affondate. Tra i vari contaminanti che causano serie minacce alla vita dei cetacei abbiamo: - I POP (inquinanti organici persistenti) e i metalli pesanti - Gli idrocarburi - I detriti solidi

Sia i POP che i metalli pesanti vengono assimilati per via alimentare e si accumulano nei loro tessuti in base alla specie, al livello trofico, al sesso e all‟età. La presenza di queste sostanze causa gravi patologie come deficienza del sistema immunitario e riproduttivo fino alla morte. Il carico di POP e metalli pesanti presenti in mare è legato a varie fonti come apporto fluviale, scarichi urbani, industriali e movimenti portuali.

Fig. 70 – Cristalli di mercuri rinvenuti in un‟immagine ottenuta al microscopio ottico a scansione su un campione di fegato di capodoglio. 102


Nel 2001 a Stoccolma è stata firmata, da più di 90 Paesi, la messa al bando dei POPS, in termini però di sola produzione e non di trasporto e di utilizzo; inoltre, resta il problema dello smaltimento degli elevati accumuli di tali contaminanti. Particolarmente dannosi tra i POPS sono i PCB (Policlorobifenili) utilizzati in alcune produzioni industriali. Hanno la caratteristica di avere scarsa solubilità in acqua e buona solubilità negli oli, dunque si accumulano facilmente nei grassi animali. In ambiente acquatico si depositano sul fondo impedendo ai raggi UV l‟azione di degrado. Come per tutti i POPS anche per i PCB si parla di bioaccumulo, dunque i soggetti più colpiti sono i più longevi perché l‟arricchimento di un contaminante avviene durante le fasi fisiologiche di un organismo, dunque gli esemplari adulti sono più contaminanti e ciò si riflette sulle nascite. Anche per i PCB i parla di fenomeno di Biomagnificazione, in quanto i soggetti che occupano il vertice della catena trofica sono i più contaminati (mammiferi predatori e l‟uomo). Oltre a molte popolazioni nordiche come gli Inuit, tra gli animali i più colpiti sono proprio i cetacei. L‟elevata concentrazione di PCB in essi provoca immunodeficienza rendendoli vulnerabili all‟attacco di virus letali come il morbillivirus. Nelle migliaia di esemplari di stenella striata, spiaggiati a causa delle epidemie da morbillivirus, del 1990 e del 1991, sono state trovate contaminazioni da PCB e in alcuni esemplari, morti successivamente, la concentrazione di PCB era così elevata, che le carcasse sono state smaltite come rifiuti tossici. Il 50% del latte materno è composto da grassi, quindi spesso i PCB si insidiano nelle madri e attraverso il latte giungono ai neonati, e diventa difficile il loro smaltimento. Per evitare o ridurre tali contaminazioni sarebbe necessario, rispettare le norme di riferimento e effettuare maggiori studi di biomarker sulle specie di delfini ittiofagi, che sono quelli più a rischio di contaminazione come tursiopi, delfini comune e stenelle; seguono i predatori teutofagi e infine le balenottere.

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La principale fonte di dispersione di idrocarburi in mare è dovuta agli incidenti navali e alle normali operazioni di pulizia delle navi che trasportano greggio. Il petrolio contiene sostanze altamente pericolose per gli organismi come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). E‟ dunque necessario prevenire i disastri invece che intervenire dopo a danno compiuto. I detriti solidi non biodegradabili come la plastica vengono ingeriti da cetacei e tartarughe con conseguente soffocamento, cosi come le reti possono causare gravi danni a un elevato numero di esemplari. In tutti questi casi è necessario essere rigorosi sul rispetto di quanto dichiarato nella London dumping convention a Marpol. E‟ chiaro quindi che per limitare il rilascio di tali sostanze è necessario quanto più possibile attuare i divieti di scarico contenute nelle convenzioni e in particolare nella Marpol 73/78. Al fine di ridurre la presenza di tali contaminanti nel Santuario cosi come nell‟ambiente marino, risulta necessario migliorare gli studi sulla presenza di contaminanti negli organismi. Inoltre effettuare il censimento degli apporti tellurici di inquinanti dannosi per i cetacei e altri organismi marini.

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7.2 Pesca intensiva e bycatch

L‟interazione tra le attività di pesca e i cetacei possono essere di due tipi: - Interazioni operazionali - Interazioni ecologiche Le interazioni operazionali riguardano il fenomeno del bycatch (cattura accidentale di cetacei con attrezzi da pesca) e la depredazione da parte dei delfini in prossimità di impianti di acquacoltura o reti da pesca. La causa principale del bycatch è legato all‟uso delle reti pelagiche derivanti le cosi dette spadare, dichiarate illegali dalla Commissione Europea nel 2002. Tuttavia non solo negli anni passati sono state la causa della moria di numerosi esemplari di stenelle e capodogli, ma ancora oggi, a causa di azioni criminali,tali attrezzi rappresentano un rischio per la conservazione dei cetacei. Infatti molti continuano ad utilizzare le spadare facendole passare per ferettare (tipo di rete simile alla spadara ma con maglie di aperture superiore e lunghezza inferiore e di utilizzo solo in acque costiere). Di conseguenza i controlli risultano poco agevoli e la legge continua ad essere elusa, infatti l‟Italia è stata condannata dalla Corte Europea di Giustizia per tali motivi. Anche la direttiva Habitat, in Allegato IV, riporta per Stati Membri, il monitoraggio delle catture accidentali di cetacei e le relative azioni di mitigatrici. In Italia non sembra che ciò avvenga in maniera adeguata.

Fig. 71 – Esemplare di stenella striata ucciso dal fenomeno del bycatch (fonte: Greenpeace Italia)

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Oltre al bycatch nelle interazioni operazionali, vi sono quelle tra i delfini e la pesca artigianale. Si tratta di un fenomeno che mette a rischio tali animali, vittime di vendette da parte dei pescatori, che subiscono danni alle reti o al pescato. I delfini potrebbero essere spinti alla depredazione a causa della riduzione delle risorse alimentari nell‟ecosistema marino.

Fig.72 – sogliola addentata da un tursiope nelle reti da posta.

Al fine di trovare una soluzione al problema si è ricorsi ai dissuasori acustici (Acoustic Mitigation Devices, AMD), sistemi elettronici applicati alle reti che segnalano acusticamente al delfino la presenza di un ostacolo. Ad oggi non hanno avuto grande successo.

Fig. 73 – Dissuasori per delfinidi nel Santuario (fonte: http://.gionha.eu/) 106


Le interazioni ecologiche riguardano la pesca intensiva che ha causato l‟impoverimento delle specie ittiche che costituiscono la dieta di molti cetacei. Risulta dunque necessario migliorare l‟approccio eco sistemico delle attività di pesca in particolar modo quando vengono esercitate in habitat critici per le specie 7.3 Rumore Grazie alla direttiva quadro sulla strategia dell‟ambiente marino (2008/56/CE), gli stati membri sono tenuti a condurre accurate valutazioni di ciascuno degli 11 descrittori ambientali, come previsto dall‟Annesso I della Direttiva. Tra gli undici descrittori ambientali troviamo anche quello relativo al rumore per avere, entro il 2020, una valutazione sullo stato del mare. Il rumore antropogenico in mare può avere diverse fonti di origine: - Esplosioni - Grandi navi commerciali - Ordigni per l‟esplorazione sismica - Sonar militari - Sonar per la navigazione e ecoscandagli - Fonti acustiche per la ricerca - Dispositivi deterrenti nell‟acquacoltura

acustici

utilizzati

nella

pesca

e

- Perforazioni off-shore e costruzioni costiere - Naviglio minore e da diporto

Tutti queste fonti sono altamente rischiose per le diverse specie di cetacei in particolare per le specie appartenenti alla famiglia zifidae, rappresentate nel santuario da Ziphius cavirostris. Infatti, lo zifio è la specie maggiormente coinvolta in spiaggiamenti insoliti.

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Oggi si pensa che la causa di tali spiaggiamenti sia innaturale e connessa all‟uso di sonar militari. I sonar in questione sono i mid-frequency activ sonar,ossia sonar di media frequenza utilizzati durante le esercitazioni navali, con frequenza tra 1 e 10kHz per l‟intercettazioni dei sottomarini nemici. La conseguenza dell‟uso dei sonar a media frequenza è una mutazione nel comportamento dei cetacei che può quindi indurre allo smarrimento e conseguente spiaggiamento. Dai diversi studi autoptici condotti in particolare da ricercatori spagnoli seguiti dal prof. Antonio Fernadez, si è diagnosticata come causa di morte l‟emorragia celebrale dovuta ad embolia. Infatti i cetacei spiaggiati risulterebbero affetti da una sindrome detta “ Gas and Embolic Sindrome” che genera la formazione di bolle d‟aria negli organi vitali con conseguente e inevitabile decesso. E‟ accaduto che zifidi con questa sindrome siano spiaggiati vivi e morti poco dopo.

Fig. 74 - Particolari del cervello invaso da emorragia, e formazione di bolle d‟aria (frecce) in Ziphius Cavirostris. (Vet Pathol 42:4, 2005 ) 108


Alcuni studi dimostrano come ci sia una correlazione evidente tra spiaggiamenti di zifio e esercitazioni militari con lâ€&#x;utilizzo di sonar (Fig. 75 -76 )

Fig. 75 - Cronologia relativa al rapporto tra esercitazioni militari e spiaggiamenti di Ziphius cavirostris nel Mar Mediterraneo. Le barre blu indicano i periodi di attivitĂ navale,le strisce verticali gli spiaggiamenti di zifi. (fonte: Filadelfo et ali.)

Fig. 76 - Correlazione tra spiaggiamenti di cetacei e utilizzo di sonar nel Mediterraneo. (fonte: Filadelfo et ali.) 109


Dal 2010, la NATO, in collaborazione con la Piaggio e alcune università sta sperimentando la prima rete wireless subacquea al mondo. Il progetto si chiama UAN (Underwater Acustic Network) e l‟attivazione della rete robotica, ha come luogo di sperimentazione le acque dell‟isola di Pianosa, nell‟Arcipelago toscano. Si tratta di un progetto europeo e costoso, ma quali effetti avrà sui cetacei e perché sperimentare questa rete proprio nel Santuario? L‟unica risposta che per ora si può dare è che lo studio di reti intelligenti e autosufficienti è di grande interesse per i Paesi Nato, in quanto punti di partenza per future tecnologie per la sorveglianza e la protezione di aree marittime sensibili.

Fig. 77 – Schema di realizzazione della rete wireless subacquea nelle acque dell‟isola di Pianosa. (Fonte: http:// sulatestagiannilannes.blogspot.com/)

Risulta necessario impedire la produzione di rumore rischioso per i cetacei almeno nei loro habitat critici, tuttavia nel caso ciò non fosse possibile si devono adottare tutte le tecniche per la mitigazione del caso. Inoltre è necessario promuovere progetti per il monitoraggio del rumore in AMP.

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7.4 Traffico marittimo e collisioni

Al momento l‟unico divieto effettivamente operativo nell‟atto istitutivo del Santuario dei cetacei è quello relativo alle gare offshore e non esistono altre interdizioni rivolte alla pesca o al trasporto marittimo per il raggiungimento dell‟obiettivo di tutela. Come emerso in parte dalla 5^ Conferenza delle Parti contraenti, tenutasi a Roma nel Giugno 2013, si rende necessario perfezionare gli accordi con Francia e Spagna, sul traffico marittimo, relativi alla Zona di Protezione Ecologica (ZPE) del Mediterraneo nord-occidentale, del Mar Ligure e del Mar Tirreno, istituita dal nostro Paese con DPR 17/12/2011 n. 293, rendendo effettive le misure di protezione previste, sino ad una distanza di 200 miglia dalle linee di base della costa italiana, riguardanti : a) la prevenzione i tutti i tipi di inquinamento da navi e a piattaforma off-shore, anche provocati da navi battenti bandiera o persone straniere; b) la protezione dell‟ambiente e della biodiversità; c) la protezione del patrimonio culturale rinvenuto sui fondali. Inoltre è fondamentale stabilire regole più restrittive anche per la navigazione nello stretto di Bonifacio, riconosciuta Area Marina particolarmente Sensibile (PSSA) dall‟Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) nel 2011, e ad oggi caratterizzata sia dalla presenza di zone di separazione del traffico, sia da un pilotaggio per le navi con carichi pericolosi. Un grande passo avanti può essere quello di sensibilizzare l‟industria cantieristica italiana a promuovere e costruire navi ecocompatibili e tecnologicamente all‟avanguardia, sulla base dell‟indice di progetto dell‟efficienza energetica (Energy Efficiency Design Index – EEDI) introdotto dall‟IMO che regola le emissioni navali per la salvaguardia dell‟ambiente. Di contro, per rispondere efficacemente alle emergenze da inquinamento connesse all‟innalzamento del rischio di sinistri per l‟incremento di traffico, le istituzioni politiche dovrebbero porsi l‟obiettivo di rinnovare e migliorare l‟operatività della flotte per il pronto intervento sull‟inquinamento marino da idrocarburi e per la vigilanza in mare e nelle A.M.P, affidata in gran parte alle Capitanerie di Porto.

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Gli Stati devono essere ritenuti responsabili verso le comunitĂ internazionali del loro operato in acque internazionali, nella piena applicazione della Convenzione UNCLOS.

Fig. 78 - Hot spot del traffico marittimo nel Santuario Pelagos. (Fonte: Ispra)

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Passenger Vessels Yachts & Others

Cargo Vessels Fishing

Tankers

Tugs, Pilots etc

Unspecified Ships

Fig. 79 - Esempio dell‟elevata densità di traffico marittimo registrata in orario mattutino del 21 Agosto 2013, nell‟area del Santuario ( fonte: http://marinetraffic.it)

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Un‟alta causa di mortalità per i cetacei è data dalle collisioni con il naviglio. Si tratta di un problema mondiale che però nel Mediterraneo è ancor più preoccupante a causa della più alta densità del traffico marittimo, in particolare all‟interno dell‟area del Santuario Pelagos. Più del 30% dell‟intero volume di merci trasportate via mare raggiunge o parte da uno dei 300 maggiori porti del Mediterraneo, a ciò va aggiunto un elevato numero di traghetti, navi militari, da pesca e da diporto, che si stima in breve tempo triplicheranno. Il fenomeno di collisione tra cetacei e imbarcazioni è oggetto di studio della IWC (International Whaling Commision). Le principali specie ad essere coinvolte sono la balenottera comune e il capodoglio a causa delle loro moli, tuttavia anche i delfinidi di dimensioni più piccole ne sono vittime. Il caso più drammatico è rappresentato dalle balenottere comuni nell‟area del Santuario. La causa è dovuta alla contemporanea presenza in Mar Ligure nella stagione estiva di un‟alta concentrazione di cetacei e traffico marittimo. I cetacei spesso non sopravvivono o riportano gravi ferite, ma il problema può riguardare anche le imbarcazioni stesse e i passeggeri. Se le navi di grossa stazza non corrono pericoli e l'impatto con un cetaceo potrebbe non essere avvertito, per le imbarcazioni più piccole il rischio diventa serio. Elaborare strategie di mitigazione per ridurre il rischio di collisione, non ha quindi solo la funzione di tutela dei cetacei ma serve anche a garantire la sicurezza dei naviganti. L'Istituto Tethys (http://www.tethys.org/), grazie a un finanziamento ricevuto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in collaborazione con ACCOBAMS e IWC, sta elaborando una serie di misure di mitigazione per ridurre i rischi di collisione tra imbarcazioni e grandi cetacei in Mediterraneo.

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Amputazioni della pinna caudale

Amputazioni della pinna dorsale

Balenottera comune Balaenoptera physalus

Tursiope Tursiops truncatus Foto © Istituto Tethys

Foto © Istituto Tethys

Cicatrici da collisioni con elica

Cicatrici da collisioni con elica

Capodoglio Physeter macrocephalus Foto © Istituto Tethys

Balenottera comune Balaenoptera physalus Foto © Istituto Tethys

Collisione e morte dell‟esemplare

Collisione e morte dell‟esemplare

Balenottera comune Balaenoptera physalus Foto © David W. Laist

Zifio Ziphius cavirostris Foto © Paola Pino d'Astore

Tab. 20 – Esempi di collisioni 115


Habitat di preferenza della Balenottera comune

Habitat di preferenza del Capodoglio

(in rosso acceso le aree di maggiore concentrazione)

(in rosso acceso le aree di maggiore concentrazione)

Combinazione tra le rotte più trafficate e gli habitat delle due specie.

Aree a più alto rischio di collisione per le due specie. (in rosso acceso le aree di maggiore rischio)

Tab. 21 (Fonte http://tethys.org)

Come si può dedurre dalla tab. 21, l‟area del Santuario risulta tra quelle a maggior rischio di collisione con imbarcazioni, per le due specie di cetacei nel Mediterraneo.

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Tra le ipotesi per ridurre il rischio collisione vi è quella di collocare dei sistemi di telerilevamento del soffio dei cetacei a bordo delle navi oppure delle ''boe intelligenti'' lungo le rotte, che trasmettano la posizione degli animali in tempo reale, dando modo alle imbarcazioni di rallentare. Un'alternativa consiste nell'installare a bordo un sistema di posizionamento dei grandi cetacei appena avvistati da altre navi, permettendo una vigilanza rinforzata. Questo sistema avrebbe anche un vantaggio: permetterebbe una maggiore partecipazione e sensibilizzazione sia del personale di bordo che dei passeggeri, che potrebbero seguire gli avvistamenti su schermi a bordo o anche sul proprio smartphone.

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7.5 Patologie

Le patologie più note che colpiscono i cetacei sono quelle infettive (epizoozie) causate dalla combinazione di due fattori di origine antropica, quello ambientale come il riscaldamento delle acque e la presenza nella catena alimentare di composti inibitori del sistema immunitario. Noto è il caso del morbillivirus che ha colpito le stenelle striate diverse volte. All‟inizio degli anni ‟90 si manifestò la prima grande epidemia seguita da altre di minore intensità, tuttavia proprio nei primi mesi dell‟anno in corso è ripresa la moria delle stenelle nel Mar Tirreno e la causa principale sembra essere di nuovo il morbillivirus. Probabilmente la popolazione mediterranea di questa specie è ormai affetta da questo agente patogeno e sebbene la moria degli ultimi mesi, si sia arrestata, ci sono alte probabilità che si ripresenti in futuro. Tuttavia le stenelle sono morte per diverse concause, come scarsità di cibo, pesca intensiva, inquinamento che causa immunodeficienza, dunque un mare malato a causa dell‟azione umana, e l‟area più colpita è proprio il Santuario. Il fenomeno della moria ha determinato l‟intervento del Cetacean strandings Emergency Response Team (CERT) e del CIBRA (Banca Dati Spiaggiamenti) in supporto all‟attività diagnostica svolta dagli IIZZSS territorialmente competenti soprattutto nella fase di interpretazione, elaborazione e discussione dei reperti postmortem, anche con un continuo confronto con colleghi di Istituzioni straniere I dati degli IIZZSS portano alle seguente conclusione: “considerando tutte le difficoltà diagnostiche che incontriamo viste le scarse conoscenze e la difficoltà di lavorare su queste carcasse, suggeriscono comunque che la causa più probabile sia il Dolphin Morbillivirus, che ha interessato una popolazione naive o comunque con una bassa immunità di popolazione e coinvolgendo comunque soggetti con età inferiore ai 15-20 anni. In tal senso non bisogna scordare gli alti carichi di sostanze inquinanti persistenti riscontrati nei soggetti giovani che possono aver ulteriormente ridotto le capacità difensive nei confronti del virus: le alte cariche parassitarie riscontrate anche in soggetti neonati, suggeriscono un passaggio verticale, sottolineando come anche i genitori sono plausibilmente caratterizzati da una intensa infestazione parassitaria. 118


Tuttavia I decessi sarebbero quindi determinati da patogeni secondari che sfruttano l’azione immunodeprimente del virus. Tra questi, il Photobacterium damselae subsp. damselae, è un patogeno opportunista in tutti i mammiferi o l’Herpesvirus che viene riportato come patogeno opportunista e spesso è associato a Morbillivirus nei cetacei. Da capire inoltre, se il virus abbia cambiato comportamento, manifestando azioni differenti sull’ospite” (Fonte Mazzariol S. et al.,2013).

Fig. 80 e 81 – Mappa spiaggiamenti di stenella striata nel Mar Tirreno e in particolare nell‟area del Pelagos nel periodo dal 1/01 al 30/06 del 2013.

ID:11633 Ente ricognitore:Arpat Fig. 82 e 83 - Esempio di esemplare di stenella striata piaggiato durante l‟epidemia il Lunghezza dell‟esemplare:1,55 26/02/2013 sulla costa di Follonica(Grosseto). Stato : in fase di decomposizione

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7.6 Spiaggiamenti

Nel 1985, nasce in Italia il Centro Studi Cetacei tra le cui finalità vi è quella di pubblicare i resoconti degli spiaggiamenti dei cetacei lungo le coste e in acque costiere italiane, dal 1986 al 2007 con l‟ultima pubblicazione nel 2005. L‟Italia in questo modo ha fornito numerosi dati biologici basati sull‟analisi degli esemplari morti. Purtroppo da alcuni anni si è assistito al frazionamento del Centro Studi Cetacei che ha portato alla nascita di diverse reti che si occupano dei casi di spiaggiamento. Questo frazionamento ha portato a una non efficace collaborazione tra le diverse reti e a volte a una preparazione insufficiente dei volontari che operano per il recupero dei dati. Di conseguenza, può accadere che non ci sia la necessaria trasmissione delle informazioni alle Istituzioni competenti, con la perdita di dati importanti ai fini della ricerca. E‟ stato dunque necessario ricostruire una Rete Nazionale Spiaggiamenti attraverso il progetto “Proposta integrata per l’attività di conservazione e monitoraggio dei cetacei in Italia” finanziato dal Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Nasce cosi nel 2012, a conclusione del progetto una Task Force Nazionale per l‟intervento su spiaggiamenti straordinari di cetacei - “Cetacean stranding Emergency Response Team” - CERT, finanziato con apposita convenzione tra il Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l‟Università degli Studi di Padova. Il Centro è in grado di coordinare la Rete Nazionale Spiaggiamenti in via di completamento, intervenendo in caso di spiaggiamenti di cetacei lungo le coste italiane, che richiedonoo un intervento rapido con attrezzature idonee e competenze scientifiche, soprattutto nel caso di grandi cetacei. Il CERT interviene anche in caso di animali spiaggiati vivi,animali vittime di collisioni con natanti, spiaggiamenti di massa e disastri ambientali.

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Con tale progetto sono stati perseguiti e raggiunti i seguenti 4 obiettivi: 1. interventi in casi di emergenze correlate ad eventi di spiaggiamenti considerati straordinari in quanto coinvolgenti animali di grandi dimensioni (vale a dire di peso uguale o superiore alla tonnellata); 2. interventi in caso di spiaggiamenti di più individui che, per la loro natura, possano essere ricondotti a fenomeni ambientali importanti (eventi di caratteri epidemicoinfettivo, sommovimenti del fondale marino, movimenti ondosi anomali, cambiamenti notevoli delle condizioni dell‟ambiente marino in genere); 3. interventi in caso di animali spiaggiati vivi; 4. interventi nel caso di mortalità di cetacei dovute a cause antropiche che rappresentino un fattore di attenzione o di rischio per la tutela dell‟ambiente (mortalità indotte da sversamenti di petrolio, manovre militari o improvvise fioriture algali). (Fonte: http://minambiente.it)

I dati degli spiaggiamenti in Italia sono raccolti in un unico data-base nazionale geo-referenziato. Tale data-base è stato realizzato grazie ai finanziamenti del MATTM con la collaborazione del CIBRA dell‟Università di Pavia, raccogliendo i dati del CSC e degli enti locali. Seguono i dati riassuntivi degli spiaggiamenti dal 2011 a Giugno del 2013 anno in corso, per avere un quadro complessivo del fenomeno sulle coste italiane e in particolare nell‟area italiana del Santuario Pelagos.

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Esemplare spiaggiato a Bordighera (IM) (Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di Stenella coerulealba (a lato) Da:01/01/2011 A: 01/07/2013

N.tot: 185 N. area “Pelagos”: 55

Spiaggiamenti di Stenella coerulealba Da: 01/01/2011 A: 01/07/2013 nelle varie Regioni d‟Italia.

Tab. 22 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare spiaggiato a Marina di Castagneto (Li) (Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di Tursiops truncatus (a lato) Da:01/01/2011 A: 01/07/2013

N.tot: 90 N. area “Pelagos”: 24

Spiaggiamenti di Tursiops truncatus Da: 01/01/2011 A: 01/07/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 23 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare spiaggiato a Rosignano Solvay (Li) (Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di Balenoptera physalus (a lato) Da:01/01/2011 A: 19/03/2013

N.tot: 8 N. area “Pelagos”: 6

Spiaggiamenti di Balenoptera physalus Da: 01/01/2011 A: 19/03/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 24 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare spiaggiato a Olbia (Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di Globicephala melas ( a lato) Da:01/01/2011 A: 17/05/2013

N.tot: 2 N. area “Pelagos”: 0

Spiaggiamenti di Globicephala melas Da: 01/01/2011 A: 17/05/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 25 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare spiaggiato a Albisola (SV)(Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di Physeter macrocephalus ( a lato) Da:01/01/2011 A: 30/05/2013

N.tot: 4 N. area “Pelagos”: 1

Spiaggiamenti di Physeter macrocephalus Da: 01/01/2011 A: 30/05/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 26 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare spiaggiato Capalbio (GR) (Fonte Cibra)

a

Zonizzazione degli spiaggiamenti di Grampus griseus ( a lato ) Da:01/01/2011 A: 22/03/2013

N.tot: 11 N. area “Pelagos”: 3

Spiaggiamenti di Grampus griseus Da: 01/01/2011 A: 22/03/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 27 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare spiaggiato a Marina di Pietrasanta (LU)(Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di Ziphius cavirostris ( a lato ) Da:01/01/2011 A: 01/07/2013

N.tot: 9 N. area “Pelagos”: 1

Spiaggiamenti di Ziphius cavirostris Da: 01/01/2011 A: 01/07/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 28 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia)

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Esemplare indeterminato spiaggiato Campese, Isola del Giglio (GR)(Fonte Cibra) Zonizzazione degli spiaggiamenti di esemplari “undetermmined” ( a lato) Da:01/01/2011 A: 03/07/2013

N.tot: 64 N. area “Pelagos”: 6

Spiaggiamenti di esemplari “undetermmined” Da: 01/01/2011 A: 03/07/2013 nelle varie Regioni d‟Italia

Tab. 29 (fonte dei dati: www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html; elaborazione grafica di V.Braccia) 129


7.7 Whale watching

Il whale watching è l‟attività umana che consiste nell‟incontrare i cetacei nel loro habitat natuale. E‟ un fenomeno che negli ultimi decenni si è espanso su scala mondiale diventando una vera è propria attività commerciale legata al turismo, molto redditizia in alcuni luoghi. Negli ultimi decenni anche nel Mediterraneo si è diffusa questa attività, soprattutto in Spagna dove viene regolamentata dal 2007. In Italia il whale waching è principalmente attivo nel Mar Ligure, nelle acque del Santuario. In Liguria l‟attività viene svolta con medie imbarcazioni a 15-20 miglia dalla costa, i cetacei infatti popolano qui le acque di scarpata e quelle pelagiche prfonde. Nonostante l‟attività non si svolga sotto costa, vi è il rischio di un incremento eccessivo del whale watching in Mar Ligure che potrebbe arrecare disturbo alle popolazioni di cetacei. È necessario che l‟attività di whale watching venga effettuata nelle aree periferiche degli habitat critici delle specie, soprattutto per quelle come grampo e zifio che hanno habitat più ristretti. Nelle acque francesi del Santuario è stato documentato da Greenpeace un certo tipo di whale watching “estremo”: si utilizza un aereo che serve a localizzare i cetacei, balenottere in particolare, per poi comunicarne la posizione ad un gruppo di imbarcazioni ( almeno quattro) che rapidamente convergono verso la balenottera. A quel punto i turisti possono tuffarsi per nuotare vicino l‟animale. Facile capire che un‟attività di questo tipo oltre ad essere rischiosa per l‟incolumità dei turisti, genera uno stress pesante sui cetacei. Si è affrontato il tema della regolamentazione dell‟attività, nella 5^ conferenza delle Parti contraenti presso il MATTM nel Giugno 2013. Si è discusso sia delle regole necessarie da adottare sia dell‟uso del marchio da attribuire a soggetti qualificati allo svolgimento dell‟attività in mare.

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La Francia e il Principato di Monaco hanno proposto un intevento pubblico dei singoli Stati per disciplinare l‟attività. L‟Italia, invece, ha proposto inizialmente che la regolamentazione sull‟uso del marchio, sia affidata agli strumenti privatistici esistenti, in attesa di istruttoria da parte delle Autorità nazionali. In assenza di regolamentazione anche nei paesi dell‟area ACCOBAMS, ci si affida al Comitato Tecnico Scientifico del Pelagos sul da farsi. ACCOBAMS ha creato una banca dati, per censire le attività di whale watching nella sua area e ha sviluppto delle linee guida per quei governi che volessero leggiferare in materia. E‟ necessario censire, regolamentare e monitorare questa attività in crescita evidenziando i possibili impatti sulle popolazioni di cetacei.

Fig. 84 – Whale watching “estremo”nelle acque francesi del Santuario. (Fonte: www.greenpeace.org)

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8. Strategie per la prevenzione e lotta all‟inquinamento Nel corso di questi ultimi decenni è emersa la consapevolezza che “le pressioni sulle risorse marine naturali e la domanda di servizi ecosistemici marini sono spesso troppo elevate” e che quindi si manifesta “l‟esigenza di ridurre il loro impatto sulle acque marine, indipendentemente da dove si manifestino i loro effetti”. D‟altra parte, “l‟ambiente marino costituisce un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e, ove possibile, ripristinato al fine ultimo di mantenere la biodiversità e preservare la diversità e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi”. Per far fronte a tali esigenze il 17 giugno 2008 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell‟Unione Europea hanno emanato la Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l‟ambiente marino, successivamente recepita in Italia con il d. lgs. n. 190 del 13 ottobre 2010. La Direttiva si basa su un approccio integrato e si propone di diventare il pilastro ambientale della futura politica marittima dell‟Unione Europea. La Direttiva pone come obiettivo agli Stati membri di raggiungere entro il 2020 il buono stato ambientale (GES, “Good Environmental Status”) per le proprie acque marine. Ogni Stato deve quindi,mettere in atto, per ogni regione o sottoregione marina, una strategia che consta di una “fase di preparazione” e di un “programma di misure”. La Direttiva ha suddiviso le acque marine europee in 4 regioni: Mar Baltico, Oceano Atlantico nordorientale, Mar Mediterraneo e MarNero, e per alcune di queste ha provveduto ad un‟ulteriore suddivisione individuando delle sotto-regioni. Nel Mediterraneo sono state individuate tre sub-regioni: a) il Mediterraneo occidentale b) il mar Adriatico c) il mar Ionio e Mediterraneo centrale

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Le acque italiane appartengono a tutte e tre le sottoregioni. Data la natura transfontaliera dellâ€&#x;ambiente marino, gli Stati membri sono chiamati a cooperare per garantire che le relative strategie siano elaborate in modo coordinato per ogni regione o sottoregione marina. Inoltre per assicurare acque marine pulite sane e produttive è indispensabile che tali strategie siano coordinate, coerenti e ben integrate con quelle previste da atti normativi comunitari giĂ esistenti (quali ad esempio trasporti, pesca,turismo, infrastrutture, ricerca) e accordi internazionali. ( fonte: www.strategiamarina.ispra.it)

Fig. 85 - Punti salienti per il raggiungimento di un buona stato ambientale marino entro il 20 133


8.1 Accordo RAMOGE

Nel 1970 il Principe Ranieri III di Monaco ritenne necessario portare avanti azioni comuni per limitare l‟inquinamento marino creando una zona pilota nel Mar Mediterraneo. Il 10 maggio del 1976 questa iniziativa con la fima ufficiale dell‟Accordo RAMOGE tra i governi monegasco,francese e italiano. L‟Accordo prende il nome dalle prime sillabe delle tre città che, allora, ne delimitavano il campo d‟azione: Saint-RAphaël a ovest, MOnaco e GEnova a est. L‟Accordo relativo alla tutela delle acque del litorale mediterraneo rientra nella Convenzione di Barcellona e nel Piano d‟Azione per il Mediterraneo. Con la sua entrata in vigore, nel 1981, si ampliò la zona di competenza da Marsiglia a La Spezia e nel 1993 grazie al Piano RAMOGEPOL, l‟Accordo ha esteso le proprie competenze anche il alto mare. Ad oggi il quadro giuridico europeo si è evoluto molto, tuttavia l‟Accordo Ramoge ha agito nella lotta agli inquinamenti e nella sensibilizzazione sulla tutela del mare. Dalla firma dell‟Accordo sono state emanate nuove convenzioni internazionali, come la Convenzione di Montego Bay o convenzione delle Nazioni Unite sul diritto dl mare (1982); la nascita di ACCOBAMS ossia l‟accordo sulla conservazione dei cetacei nel Mediterraneo, del Mar Nero e dell‟area atlantica contigua (2001); infine l‟Accordo PELAGOS firmato dagli stessi governi dell‟Accordo RAMOGE. La legislazione europea, in particolare la Direttiva quadro sulla strategia per l‟ambiente marino (DQSAM) del 2008 obbliga gli Stati membri che si affacciano sulla stessa regione marittima, a elaborare “in stretta collaborazione” dei piani che garantiscano il “buono stato ecologico” dei rispettivi specchi di mare. A seguito della legislazione europea RAMOGE non può più essere indipendente dal contesto europeo, resta comunque la sua valenza specifica nel Mediterraneo legata al Piano operativo di RAMOGEPOL.

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Il coordinamento degli interventi di Francia, Italia e Principato di Monaco è fondamentale per la tutela delle acque della fascia costiera mediterranea del Santuario. I tre principali obiettivi dell‟Accordo sono: - La gestione integrata delle zone costiere - La prevenzione e la lotta contro gli eventi inquinanti - L‟educazione e la comunicazione

. Gestione integrata delle zone costiere I tre Stati membri dell‟Accordo RAMOGE si sono impegnati ad attuare il protocollo della Convenzione di Barcellona firmato nel 2008 e inerente alla Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC). Già prima che il protocollo fosse redatto i tre Satti si sono è impegnati nei seguenti settori: 

Sostegno alle attività legate ai sedimenti portuali

Studio delle barriere artificiali

Follow-up della problematica Ostreopsis ovata

Gestione ambientale dei porti turistici

Studi sulle zone di ormeggio

Gestione del progetto comune con il santuario PELAGOS

Realizzazione di riunioni di confronto tematico

. Sostegno alle attività legate ai sedimenti portuali Nel 2006 l‟Accordo RAMOGE ha sostenuto il progetto SEDIMAD 83, ciò ha consentito di creare un protocollo di valutazione della pericolosità dei sedimenti e di studiare alcuni metodi per neutralizzarne la tossicità. L‟assenza di un quadro normativo preciso riguardo lo smaltimento dei sedimenti a terra ha reso necessaria la cooperazione tra gli organismi di gestione dei porti e gli studiosi per trovare un‟alternativa valida all‟immersione di tali sedimenti.

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L‟accumulo di sedimenti nei porti, canali di accesso, fiumi, canali e torrenti impedisce la circolazione delle imbarcazioni e altera gli equilibri fisico-chimici delle masse d‟acqua. Dunque gli organismi competenti devono attuare appositi dragaggi. A tal proposito è attivo un nuovo progetto denominato SEDIMED che fino al 2015 avrà l‟obiettivo di controllare e migliorare le filiere di trattamento dei sedimenti portuali. . Studio delle barriere artificiali Nella zona RAMOGE gli Stati si sono impegnati all‟introduzioni di barriere artificiali per ridurre la crisi mondiale della pesca costiera avvenuta nel 2000. Le barriere posso essere efficaci per una gestione sostenibile della zona costiera, perché conciliano sia la conservazione degli ecosistemi marini costieri, sia gli interessi economici come la pesca. I tre paesi membri dell‟Accordo RAMOGE hanno utilizzato barriere artificiali. Sono presenti 18 barriere artificiali nella zona RAMOGE. . Le barriere artificiali della obiettivi raggruppabili in 5 categorie:

zona

RAMOGE

rispondono

a

diversi

1. Obiettivo di produzione ittica 2. Obiettivo di ripristino della biocenosi marina 3. Obiettivo di protezione delle biocenosi marine 4. Obiettivo di intrattenimento 5. Obiettivo di ricerca

Ogni barriera artificiale può svolgere più obiettivi. In base alle loro finalità, le barriere artificiali possono avere due strutture: 

Struttura di protezione

Struttura di produzione

Le strutture si differenziano per i materiali (legno, calcestruzzo, etc.) e la forma (piramide, castello, paniere, etc.)

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In Francia e in Liguria si trovano barriere di produzione,in oggetti riciclati come pneumatici, relitti, paratie di chiuse, blocchi di calcestruzzo e vari materiali da costruzione. Attualmente, le barriere in calcestruzzo sono quelle più correntemente utilizzate. Le loro forme sono tanto complesse quanto varie e rispondono allo stesso obiettivo: ricreare un habitat che attragga la fauna e la flora. La forma varia secondo le specie coinvolte. In Liguria, le barriere sono state costruite secondo l‟esigenza di gestione delle risorse ittiche e contro la pesca a strascico. Attualmente, l‟Italia rimette in discussione l‟efficacia delle barriere. I progetti nuovi sono rari e limitati.

Fig. 86 - Esempio di barriera artificiale nella zona RAMOGE. Barriera artificiale realizzata dal ANB (Monaco)

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. Follow-up della problematica Ostreopsis Si è trattato in precedenza del caso dell‟alga Ostreopsis ovata e dei suoi effetti tossici anche sull‟uomo. Effetti tossici dovuti non solo al diretto contatto con l‟acqua ma anche all‟inalazione delle gocce trasportate dal vento. Grazie al sostegno dell‟Accordo RAMOGE, sono state effettuate ricerche sulle cause e gli effetti della tossicità dell‟alga, ai fini di gestire il fenomeno.

. Gestione ambientale dei porti turistici

RAMOGE considera la costa mediterranea un ambiente ad alto valore patrimoniale e si pone come obiettivo la conservazione e il ripristino degli ecosistemi costieri. Questo obiettivo generico si integra con i tre principali settori economici dell‟area, ovvero turismo, pesca e acquacoltura, che dipendono direttamente dal mantenimento dell‟integrità dell‟ambiente. Nell‟ambito del settore turistico, il diportismo nautico e i porti turistici svolgono un importante ruolo economico nella zona RAMOGE. Questa concentrazione di imbarcazioni ed equipaggi, sia all‟interno dei porti che nei sistemi di ormeggio leggero, causa diversi tipi di inquinamento che occorre prendere in considerazione poiché contribuiscono pesantemente al peggioramento della qualità delle acque costiere. Per tale motivo, nel 2000 la Commissione RAMOGE ha realizzato uno studio per conoscere la situazione dei porti turistici sul tratto di costa che si estende tra Francia, Principato di Monaco e Italia, studiandone i possibili impatti sulla qualità delle acque e dell‟ambiente marino. La Commissione RAMOGE ha evidenziato la necessità di rafforzare le misure di tutela ambientale nei porti turistici, realizzando una guida di gestione ambientale dei porti turistici nell‟ottica di uno sviluppo sostenibile.

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Fig. 87 – Mappa della distribuzione dei piccoli e grandi porti turistici

. Studi sulle zone di ormeggio La zona RAMMOGE essendo una delle più turistiche per i tre Stati coinvolti , si presenta come una meta rinomata per il turismo nautico. Tuttavia l‟eccessivo turismo nautico determina impatti rilevanti sull‟ambiente marino, come il degrado del fondo, i macrorifiuti e le acque di scarico delle navi. In particolare studi sui fondali hanno evidenziato l impatti negativi arrecati ai posidoneti e alle biocenosi marine da parte dell‟ancoraggio delle piccole e grandi imbarcazioni da diporto.

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Lungo la costa mediterranea francese è stato condotto uno studio strategico sulle imbarcazioni da diporto di piccole e medie dimensioni che prevede, nello specifico, la creazione di zone di ormeggio organizzate, Tuttavia sulle grandi imbarcazioni da diporto vi sono ancora poche informazioni di natura qualitativa e quantitativa.

Inoltre, gli ormeggi organizzati esistenti non possono accogliere barche superiori ai 24 m, che trovano rifugio solo presso i porti. A settembre 2012 si è fatto il punto della situazione nella zona RAMOGE, proponendo soluzioni per la realizzazione di zone di ormeggio adeguate alle grandi imbarcazioni da diporto. Inoltre ai fini della tutela delle acque del Santuario, gli Accordi Ramoge e Pelagos hanno rinnovato questâ€&#x;anno la riapertura del Segretariato Permanente.

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. Prevenzione e lotta contro gli agenti inquinanti: IL PIANO RAMOGEPOL

Nel 1993 i tre Stati dell‟Accordo RAMOGE decidono di istituire un piano di intervento per la lotta contro gli inquinamenti accidentali nel Mediterraneo. La zona di applicazione del piano si estende dalla foce del Rodano, ad ovest, al faro di Capo d'Anzio ad est, comprendendo Sardegna e Corsica. La zona comprende due sottozone, la prima in cui la disponibilità reciproca di mezzi è automatica, la seconda in cui l‟intervento congiunto è previsto solo previa richiesta dell‟autorità nazionale competente in base all‟evento inquinante avvenuto. Negli ultimi anni si è dovuto tenere conto dei nuovi piani di intervento sia in Italia che in Francia sulla base del tipo di urgenza, locale o nazionale. Ad oggi,si organizzano incontri tra le autorità e esercitazioni di simulazione di lotta all‟inquinamento accidentale per aggiornare il Piano RAMOGEPOL e ottenere interventi più rapidi ed efficaci.

Fig. 88 - Zona di applicazione del piano RAMOGEPOL. 141


. Educazione e comunicazione L‟Accordo RAMOGE ha tenuto conto, dalla sua nascita, dell‟educazione, sensibilizzazione e partecipazione del pubblico alla conoscenza dell‟ambiente marino e della sua tutela per la lotta alle diverse forme di inquinamento che lo minacciano. Si sono svolte diverse giornate di sensibilizzazione in particolare sull‟elevata presenza dei macrorifiuti nella zona costiera. Inoltre sono state premiate le iniziative di studio inerenti alle tematiche dell‟Accordo.

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10. Strategia per la tutela e la conservazione dei cetacei del Santuario.

Oltre alla necessaria prevenzione e lotta all‟inquinamento marino del Santuario, risulta fondamentale ai fini della conservazione dei cetacei migliorare la valutazione sullo stato di conservazione delle specie e incrementare la sensibilizzazione e comunicazione verso il grande pubblico. In particolare bisognerebbe supportare la valutazione su scala regionale mediterranea di tre specie quali zifio, grampo e globicefalo per le quali non vi sono dati sufficienti. Inoltre è necessario aggiornare le valutazione dello status di quelle specie già iscritte nella Lista rossa dell‟IUCN, iniziando dalle specie a maggior rischio di estinzione: delfino comune e capodoglio (EN- IUCN RED LIST). In merito alla sensibilizzazione e comunicazione il pubblico tende ad ignorare gli sforzi fatti e gli obiettivi raggiunti dalla pubblica Amministrazione, dando maggior attenzione alle ONG che sono più presenti e più efficaci sui media. L‟impegno della pubblica Amministrazione dovrebbe essere più attivo nella comunicazione e sensibilizzazione delle problematiche ambientali. E‟ ancora poco diffusa la conoscenza sulle specie di cetacei presenti nel Santuario e non solo e i rischi a cui sono esposti, per questo bisognerebbe aggiornare la formazione di chi opera in mare. Ad esempio delle forze di polizia ed armate che operano nel rispetto delle leggi del mare, del personale di bordo delle grandi compagnie di navigazione, degli operatori del settore della pesca e dell‟ acquacoltura e delle Amministrazioni regionali e locali competenti.

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9.1 Progetto GIONHA Il progetto GIONHA (Governance and integrated Observation of Marine Natural Habitat), nasce al fine di tutelare e valorizzare il Santuario Pelagos. Il progetto è cofinanziato Dal programma di cooperazione transfrontaliera ItaliaFrancia “Marittimo” 2007-2013. Il progetto si basa su un modello DPSIR che prevede la messa in opera di interventi strutturali,tecnologici oltre ad accurati controlli sulla salute del mare per ridurre gli impatti e produrre delle valide risposte come nuove norme e campagne di sensibilizzazione.

Fig. 89 – Modello DPSIR del progetto GIONHA.

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Monitoraggio

Uno degli aspetti più importanti del progetto è il monitoraggio dello stato dell‟ambiente marino/costiero dell‟area del Santuario, non solo sullo status delle popolazione dei cetacei ma anche su biocenosi di importante rilievo. Il censimento e il monitoraggio dei cetacei è stato reso possibile grazie agli avvistamenti e alla foto-identificazione. La cooperazione tra l Regioni in questo senso ha reso possibile l‟archiviazione di tutti i dati degli avvistamenti e degli individui foto identificati nel data base INTERCET, realizzato dalla Regione Liguria. La foto identificazione è un metodo che si basa sull‟analisi dei segni presenti sul corpo di molte specie di cetacei, i cosi detti “mark”. Questi segni sono le impronte digitali di ogni esemplare e fanno si che la foto identificazione risulti uno dei tipi di censimento più affidabili nello studio dei cetacei. Si cattura con una foto la pare del corpo che presenta più mark in questo modo si facilita il riconoscimento tra i vari individui. Con la foto identificazione si ottengono maggiori vantaggi e assenza di stress per gli animali rispetto alla tradizionale tecnica di cattura-ricattura per la marcatura. Non tutte le specie presentano bio- mark utili alla foto identificazione ma possono presentare cicatrici dovute a interazioni con le attività antropiche. Come si è visto in precedenza alcuni esempi sono le collisioni che possono causare ferite gravi, cosi come i segni lasciati dagli attrezzi di pesca, o cicatrici lasciate dall‟attacco di predatori, quali squali o orche e infine segni lasciati dalle loro prede come i mark circolari lasciati dai tentacoli dei cefalopodi. I mark più comunemente presenti sono le tacche, ossia le parti mancanti di tessuto sul margine posteriore della pinna dorsale, e i graffi di vario colore. Dunque, oltre a scattare fotografie più accurate possibili, vengono registrati i dati di tutte le uscite e, per ciascuna osservazione sono riportate le coordinate geografiche, il nome dell‟animale eventualmente osservato, la struttura del gruppo (annotando eventuale presenza e numero di piccoli), i comportamenti e la durata dell‟osservazione.

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Fig. 90 – Esempio di mark presenti sulla pinna dorsale di un tursiope fotografata da entrambi i lati. (fonte www.gionha.it)

Oltre alla Regione Liguria anche la Toscana e la Sardegna hanno avviato studi per conoscere lo stato di salute dei cetacei e tartarughe attraverso il continuo monitoraggio degli spiaggiamenti e l‟analisi dei contenuti stomacali degli esemplari rinvenuti morti. Il progetto GIONHA è stato orientato anche verso lo studio di habitat particolari, come i posidoneti sia lungo la costa ligure che toscana, e sul monitoraggio ambientale marino effettuato da ARPAT con l‟impiego del battello oceanografico Poseidon, lungo le coste della Toscana. I dati sull'habitat marino/costiero transfrontaliero raccolti dalle varie attività del progetto GIONHA sono, infine, organizzati ed ospitati in un apposito database relazionale georeferenziato che permetterà di visualizzare, su base cartografica, una vasta serie di informazioni ambientali e biologiche correlate in qualche modo alla presenza dei cetacei nell‟area del Santuario Pelagos. Il progetto prende in esame le principali fonti di disturbo antropiche, per cetacei e tartarughe marine nell‟area transfrontaliera. Le fonti principali di disturbo sono quelle di cui si è trattato in precedenza ossia: attività intensiva di pesca, collisioni, inquinamento acustico, macro-rifiuti ecc..

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Conclusioni I problemi che affliggono il Santuario Pelagos sono molti, è dunque necessario che, chi di dovere, si impegni a eliminare o minimizzare tali minacce. Riassumendo le minacce principali hanno due fonti: - Land based (a terra): si tratta di sostanze “nocive” provenienti da fonti terrestri, come emissioni provenienti da processi industriali e agricoli ma anche scarichi urbani, attività portuali varie (compresi i dragaggi) e i veleni rilasciati da siti che da decenni aspettano una bonifica (SIN) come ad es. Cogoleto - Stoppani, Piombino e Orbetello Area ex-Sitoco. - Ship based (in mare): si tratta di minacce provenienti dal mare legate all‟eccessivo traffico marittimo e soprattutto al trasporto di merci pericolose. Ad es.: con la tragedia della Costa Concordia si è messa in evidenza la leggerezza nel rispetto delle norme di sicurezza della navigazione, ma altre criticità permangono in merito alle conseguenze a carico delle specie protette del Santuario quali,gli scarichi in mare da parte di alcune navi e l‟eccessiva velocità dei traghetti sulle nuove rotte definite “Autostrade del mare”. Persino l‟uso estremo del valido supporto del whale watching risulta un ulteriore impatto negativo sulla tutela delle specie. Permanente seppur con effetti ridimensionanti il problema dell‟incidenza dell‟attività illegale di pesca e delle catture accidentali. Sono diverse le misure che dovrebbero essere adottate in tempi rapidi come: - L‟utilizzo di tecnologie innovative e satellitare per consentire un valido controllo ambientale nel Santuario; - Adottare sanzioni specifiche più severe per chi pesca con attrezzi illegali nell‟area del Santuario; - Definire e attuare un piano per la gestione degli scarichi fognari e per eliminare l‟emissioni di tutte le sostanze fortemente inquinanti come metalli pesanti e POP; - Finanziare il completamento, in zona Santuario del sistema di controllo del traffico marittimo, in modo tale da rendere più efficace il tracciamento, a livello periferico specie con riguardo alle navi che trasportano carichi pericolosi, nonché l‟identificazione delle petroliere che lavano illegalmente le cisterne del carico; - Velocizzare la creazione di una PSSA (Particularly Sensitive Sea Area) nel Santuario, con adeguate misure di prevenzione del rischio di incidenti quali: 147


- definizione di un limite massimo di velocità per le imbarcazioni a motore, fin ora sono state vietate solo le competizioni off-shore

- divieto delle sperimentazioni di attrezzature militari ad emissioni sonore dannose; - l‟adozione di un codice di condotta obbligatorio per le attività del whale watching, con sanzioni che possano arrivare al divieto di praticare tale attività, nel caso in cui essa arrechi danno alle specie oggetto di osservazione e in genere: Sebbene non sia semplice rinunciare allo sfruttamento di una grande area marina come il Santuario, soprattutto in acque nostrane, le misure descritte in precedenza, devono essere attuabili in tempi ridotti. Purtroppo, il degrado delle risorse di tutto il Mediterraneo continua, producendo danni irreversibili, per tale motivo, il ruolo delle istituzioni deve essere supportato da una maggiore diffusione nelle comunità della consapevolezza della salvaguardia dell‟habitat marino costiero. La tutela del Santuario “Pelagos” è fondamentale non solo per la preziosa biodiversità che esso presenta, ma anche per la possibilità di migliorare il benessere di tutti creando vantaggi dal punto di vista economico. Quelli che ora sono i settori economici che impattano negativamente sul Santuario, potrebbero invece sfruttarsi per diventare una risorsa sostenibile, al fine di raggiungere una efficienza delle produzioni e ridurre il grave problema della disoccupazione qualificando nuovo personale. In tale ottica anche il ruolo delle A.M.P e una loro efficiente gestione, non sempre attuata, può essere di supporto alle finalità del Santuario e con un preciso orientamento comune delle attività del territorio verso una maggiore sostenibilità. Affinché il “Pelagos” non resti protetto solo sulla carta e non continui ad essere luogo di continui disastri, è necessario intervenire al più presto,a più livelli, per far si che, i cetacei e molte altre specie, abbiano una “casa” sicura, preservando cosi, anche alle generazioni future, un patrimonio naturalistico unico nel Mar Mediterraneo.

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Stenelle striate a largo di Imperia ( Š 2000- foto di Giorgio Mazzei)

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BREVE BIOGRAFIA Nasco a Roma il 14 Dicembre del 1981, a seguito degli studi scientifici, conseguo nel 2007 la laurea in Scienze Naturali con indirizzo in “conservazione della natura e delle sue risorse”, presso l‟Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Nutro particolare interesse per il mondo marino, mi specializzo in cetologia e proseguo gli studi post- laura ottenendo due diplomi di Master, in web design e in etica, sicurezza e sostenibilità ambientale, ottenendo il titolo di esperto nei sistemi di gestione ambientale. Dopo anni di collaborazioni a diversi livelli con numerose associazioni ambientaliste e parchi zoo, sono da tempo guida didattica ambientale, appassionata di fotografia naturalistica e di artigianato artistico.

Valentina Braccia C’è una gioia nei boschi inesplorati, C’è un’estasi sulla spiaggia solitaria, C’è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo, e c’è musica nel suo boato. Io non amo l’uomo di meno, ma la natura di più. (Dal film Into the wild)

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Sitografia

http:// informareperresistere.fr http:// informareperresistere.fr

http:// sulatestagiannilannes.blogspot.com http://.arpal.gov.it/ http://.arpat.toscana.it/ http://.gionha.eu/ http://.marinetraffic.it http://.ramoge.org http://.theparbucklingproject.com http://ansa.it http://cartografia.regione.liguria.it http://greenpeace.org/italy/it/ http://greenreport.it/ http://isprambiente.it http://lanazione.it http://lanuovasardegna.geolocal.it http://minambiente.it http://sira.arpat.toscana.it http://tethys.org) http://wikipedia.com http://youreporter.it www-3.unipv.it/cibra/spiaggiamenti.html

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Riferimenti bibliografici

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