Numero 21 della rivista EP

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ep n. 21

RIVISTA DELL'EDUCAZIONE PERMANENTE del CTP Caio Giulio Cesare di Mestre

settembre 2011


1 In questo numero

ep RIVISTA PERIODICA Numero 21 - SETTEMBRE 2011 Redattore Capo ALDO GHIOLDI Redazione ANACLETO CALLEGARO ANNAMARIA NARDO CLAUDIA MAGANY GRAZIELLA MAZZONI GRAZIELLA NACCARI GABRIELLA TACCHIA LAURA CARRARO ROBERTA COLDEL SPERANZA VISENTIN Collaboratori ALBA FINZI ALESSANDRO FORT ASS. A.O.I.M.d.V. GABRIELE STOPPANI LUISA DI LUCIA COLETTI MARIO MEGGIATO MARIO ZAMPIERIN MILO POLLES ROBERTA FABRIS ROBERTO BERTON STELIO FENZO VALTER FONTANELLA Coordinamento GIANFRANCO PERETTI GIANCARLO VIANELLO Redazione presso la SMS GIULIO CESARE Via Cappuccina MESTRE www.gcesare.provincia.venezia.it www.nicolasaba.it email: mediagiuliocesare@retectp.provincia.venezia.it

Abbiamo dedicato la copertina ad un’opera del pittore Riccardo Corte per rendere omaggio ad una collaborazione ormai ventennale con l’associazione Nicola Saba. Uno dei suoi allievi “racconterà”, all’interno della rivista, questa ed un’altra delle sue opere, con acume e ammirazione. Questo numero si arricchisce anche della collaborazione di tre scrittori, ai quali i nostri lettori sono sicuramente affezionati: Valter Fontanella, Milo Polles e Alessandro Fort. Di particolare interesse un contributo di Alba Finzi sull’insegnamento della matematica moderna. I lettori non mancheranno di apprezzare anche i resoconti delle numerose attività che si sono svolte nella nostra scuola negli ultimi tempi, nonché le consuete rubriche principalmente incentrate sulla storia e le tradizioni veneziane. E molto altro che lasciamo alla vostra curiosità. Buona lettura.

IN QUESTO NUMERO: Caterina Cornaro Coloro che fecero grande Venezia 3 domande e 3 risposte Sul bufalo d’acqua Mettiamoci in viaggio A to’a co i nostri piati venexiani... Venezia, le Basiliche maggiori I Sindaci di Mestre Caravaggio, pittore del Seicento Senza titolo Proposta per un organo muto Lungo le Zattere Carnevale Fulvio Roiter I danni del fumo Stato sociale e libertà politica in Toqueville Il grande inquisitore Matematica per tutti Globalità dei linguaggi Ricordo di GianMario Vianello I nostri corsi

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D ONNE C ELEBRI

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Il 18 marzo 1489, la Regina lascia per sempre l’isola di Cipro.

Caterina Cornaro a cura di Aldo Ghioldi

Caterina Cornaro (o meglio Caterina Cornèr) nacque a Venezia nel 1454 da antica e nobile famiglia. Figlia di Marco Cornèr fu educata a Padova e divenne famosa per la sua bellezza. Ogni anno la prima Domenica di settembre, a Venezia si festeggia con la Regata Storica, a ricordo dell’accoglienza riservata alla Regina di Cipro.

Caterina Cornaro

A Venezia, tra il Quattro ed il Cinquecento, due sono le figure femminili più in vista del patriziato: Bianca Cappello, Granduchessa di Toscana, e Caterina Cornaro. Fra le due, la prescelta da dare in sposa a Jacques II° di Lusignano, è Caterina, nata da una numerosa ed antica famiglia che aveva grandi interessi economici nell’Isola di Cipro. E’ chiaramente un matrimonio di convenienza sia per i Cornèr, ai quali una figlia regina conferiva una posizione di altissimo privilegio sociale, che per il Re, che era nato illegittimo e che temeva gli intrighi della legittima pretendente Carlotta di Savoia. Inoltre, tra gli interessi che i Cornèr avevano nell’Isola di Cipro, c’erano le proprietà di canna da zucchero, di cotone, di lino, di canapa e di grano. Nel 1468, lo zio Andrea, intimo amico del Re di Cipro, il trentenne Jacques II° di Lusignano, combinò il matrimonio di Caterina con costui, promettendogli in pegno la protezione di Venezia. Il fidanzamento avvenne a Venezia nel luglio del 1468, durante una fastosa cerimonia, alla presenza del rappresentante dello sposo, l’ambasciatore Filippo Mistahel. A Caterina, dichiarata dal Senato veneto “figlia adottiva della Repubblica”, onore mai tributato a nessuna donna prima di lei, fu assegnata una dote di 100.000 ducati d’oro; inoltre la famiglia Cornèr acquistava diritti e privilegi sulle città di Famagosta e di Cerines. Ma fu solo nel 1472 che Caterina venne condotta a Cipro, dove a Famagosta furono celebrate nozze sontuose. Jacques II° (Re Zaco, per i veneziani) morì tra il 6-7 luglio 1473 a causa di una strana malattia dovuta ad uno strapazzo di caccia, poco prima della nascita del suo erede Jacques III°, che a sua volta morì l’anno successivo di febbri malariche. Questo fece sì che l’intera eredità dei Lusignano passasse nelle mani della Regina Caterina. Subito dopo la morte di Jacques II° a Famagosta scoppiò una sommossa, fomentata da più parti per sostituire a Caterina l’erede “legittima” Carlotta, figlia di Janus II, sorella di Jacques e maritata a Ludovico di Savoia. A questo punto Venezia intervenne dirigendo la politica di Caterina, che governò su Cipro assistita da un Consiglio di Reggenza, dallo zio Andrea Cornèr e da due cugini. Dopo la presa del potere da parte di Venezia, la nobiltà cipriota si trovò irreggimentata nel Maggior Consiglio del-


D ONNE CELEBRI

Caterina Cornaro. La deposizione.

l’Isola formato da 145 membri, nel quale i patrizi veneziani che si erano stabiliti a Cipro sedevano di diritto. Il 14 novembre dello stesso anno (1473) un gruppo di nobili catalani, con alla testa l’Arcivescovo di Nicosia, penetrava nel Palazzo Reale e nella stanza stessa della Regina assassinava lo zio Andrea, il cugino Marco Bembo, il medico ed un domestico. Caterina rimase rinchiusa e guardata a vista dopo essere stata costretta a consegnare i soldi ed i gioielli ed il sigillo di Stato. I ribelli intendevano far sposare la piccola “Zarla” (Carlotta), figlia naturale di Re Jacques II° ad Alfonso d’Aragona, figlio di Ferdinando Re di Napoli, costringendo Caterina ed il figlio neonato Jacques III° a cedere i suoi diritti di Re. Ma Venezia, come da accordi, reagisce decisamente. Il 23 novembre, dieci galee agli ordini del Provveditore Vettor Soranzo sono a Famagosta e la flotta agli ordini del capitano Generale Pietro Mocenigo è sul piede di guerra. Truppe veneziane da sbarco occupano rapidamente la città ed i congiurati si danno alla fuga. Il Senato ordina che da ora in poi la Regina venga affiancata da un Provveditore e da due Patrizi veneziani come Consiglieri, che le truppe siano agli ordini del Provveditore e che guarnigioni veneziane presidino Famagosta e Kyrenia. Nessuna decisione però dovrà essere presa senza l’assenso della Regina e soltanto i suoi stendardi potranno sventolare dalle fortezze. Ai nobili ciprioti si dovrà dare l’impressione di essere partecipi al potere. Regina di nome, Caterina, lo è sempre meno di fatto. Gli onori non le mancano, ma è isolata perché il padre Marco Cornèr, che le era stato vicino a Cipro, è morto a Venezia e la madre Fiorenza Crispo ha lasciato l’Isola. Il 21 febbraio 1487 il Senato veneziano decide che il Regno di Cipro venga annesso ai domini

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Venezia. Sbarco di Caterina Cornaro.

della Serenissima. Il Consiglio dei Dieci viene incaricato dell’esecuzione della delibera, anche perché gli intrighi di Alfonso d’Aragona, che non si è ancora rassegnato, inquietano ancora il Consiglio. Il 28 ottobre 1488, i Dieci ribadiscono l’ordine al Capitano Generale Francesco Priuli di ricondurre Caterina a Venezia, pur blandendola dapprima, ma anche minacciandola poi, se necessario. In caso di rifiuto avvertirla che sarebbe stata trattata da ribelle e che le sarebbe stato tolto il ricco appannaggio. Nello stesso tempo ordinano a Giorgio Cornèr, fratello di Caterina, di raggiungere il Capitano Generale a Cipro e di esercitare tutta la sua influenza per convincere la sorella ad abdicare in favore della Serenissima. Giorgio non trova la sorella disposta all’obbedienza e deve passare alle minacce avvertendola che sarebbe sopraggiunta l’Armata veneziana perdendo in tal caso tutti i vantaggi che ne sarebbero derivati per la loro famiglia se invece avesse accettato. Così riuscì a convincerla. Il 26 febbraio 1489 a Famagosta, dopo un solenne “te Deum”, la bandiera dei Lusignano viene ammainata e sale il gonfalone di San Marco. La cerimonia viene ripetuta, alla presenza della Regina, in tutte le città cipriote, compresa Nicosia.Il 18 marzo, vestita di nero, la Regina lascia per sempre l’isola di Cipro. Venezia fu generosissima con sua “figlia” tributandole un’accoglienza memorabile il 6 giugno 1489. C’era anche il Bucintoro, dove Caterina prese posto vicino al Doge, Agostino Barbarigo. Dopo un forte temporale, ma di breve durata, il corteo, accompagnato dal suono delle campane si recò in processione nella Basilica di San Marco dove venne celebrato un solenne pontificale e dove Caterina rinnovò la rinuncia alla corona di Cipro in favore della Serenissima. dal sito: www.Corner/Storiamonete


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Continua l’avventura...

coloro che fecero grande Venezia a cura di Gabriella Tacchia

Si aggiungono a quelle pubblicate nei numeri precedenti, alcune brevi biografie di coloro che governarono la serenissima: i Dogi.

Jacopo Tiepolo detto Scopulo (data nascita sconosciuta – Venezia, 19 luglio 1249). Fu il quarantatreesimo doge di Venezia dal 6 marzo 1229 al 2 o 20 maggio 1249, quando abdicò e si ritirò a vita privata. Uomo risoluto e deciso, dalla sua casata vennero inoltre il doge Lorenzo Tiepolo suo figlio, (1268 – 1275), il famoso notabile Jacopo, suo nipote, e il tristemente noto Bajamonte Tiepolo suo bis–nipote. VITA Di famiglia ricca ed importante, Jacopo presto si distinse per la sua capacità acquisendo fama e ricchezze (tra le quali il dominio sull’isola greca di Scopulos, da cui il soprannome). Abile e gradito a molte persone fu eletto duca di Candia (odierna Creta) e due volte ambasciatore a Costantinopoli. Si sposò due volte ed ebbe quattro figli ed una figlia. Nonostante le sue indubbie capacità, al momento dell’abdicazione del suo predecessore Pietro Ziani i 40 elettori che dovevano scegliere chi far ascendere al prestigioso incarico si divisero esattamente a metà tra lui e Marino Dandolo. Alla fine la modalità di scelta fu quanto mai curiosa e quasi indegna d’uno stato: si sorteggiò il vincitore lasciando al caso la scelta. Si narra che, in seguito a ciò, cominciò l’astio tra Tiepolo e le famiglie più prettamente conservatrici quali i Dandolo ed i Gradenigo, con ripercussioni per tutto il secolo ed anche oltre.

Congiura di Bajamonte Tiepolo

DOGADO Appena assunto l’incarico affrontò di petto le numerose rivolte che erano scoppiate nelle “periferie” dell’impero veneziano. La situazione era grave, soprattutto a Candia, ed il doge inviò ingenti truppe. Il Tiepolo, abile politico oltre che valente soldato, prima di far ciò inviò molti nobili veneziani come podestà in città della terraferma, in modo da placare eventuali guerre che avrebbero potuto danneggiare la città lagunare. Nel 1234 la prima di numerose rivolte a Creta venne finalmente sedata ma quasi subito dopo toccò alla terraferma veneta impegnare la Repubblica con le sue forze militari: Ezzelino da Romano, leader dei ghibellini, infiammò il territorio circostante con le sue campagne militari. In questi anni Pietro, uno dei figli del doge, venne ucciso dai ghibellini. Venezia, schierata con i guelfi per motivi


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politici, fece numerose incursioni nella terraferma e soffocò ogni tentativo della città di sottrarsi alla sua “protezione”. Col tempo, con lo scemare della guerra ed il predominio guelfo nell’Italia del nord, la situazione tornò calma e Venezia poté ritirare le truppe. In quegli ultimi anni di dogato il Tiepolo risistemò il diritto marittimo veneziano e creò nuove istituzioni per aiutare il doge nella conduzione dello stato. Vecchio e stanco, dopo tanti anni al potere, infine decise di ritirarsi il 2 od il 20 maggio 1249. Morì il 19 luglio dello stesso anno; ciò fa supporre che l’abdicazione fosse dovuta a malattia o a vecchiaia, e non a costrizione.

Raniero Zeno (o Renier Zen) (data nascita sconosciuta – Venezia, 7 luglio 1268) figlio di Pietro e di madre ignota, fu il quarantacinquesimo doge di Venezia dal 8 gennaio (o 15 o 25) 1253 alla morte. Il suo dogado fu contrassegnato da scontri con Genova per il predominio del commercio orientale. Fu uomo deciso e risoluto e comandò la Repubblica con capacità. VITA Raniero Zeno, pur con una giovinezza oscura, fu uomo di indiscusso valore e capacità e

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presto ascese alla ribalta delle cronache del suo secolo. Le prime fonti ce ne parlano come uomo di diplomazia con numerosi incarichi in Francia ed in Italia, (dove incorse persino nella scomunica papale per aver sobillato Bologna a non pagare i tributi dovuti) ma anche come un abile combattente. Nel 1240 era al fianco del doge Jacopo Tiepolo nell’assedio di Ferrara e nel 1244 fu fatto capitano da mar (comandante della flotta). Divenne podestà di molte città della terraferma italiana accrescendo la sua fama di uomo saggio e retto. Sposatosi con Aluica di Prata, non si sa quanti figli ebbe. DOGADO Alla morte di Marino Morosini concorse al dogato con Marco Ziani e vinse con 21 voti su 41 disponibili. Al momento dell’elezione era podestà a Fermo e rientrò in città solo dopo circa un mese. Per festeggiare la sua elezione s’organizzò una grande giostra di cavalieri che richiamò l’interesse internazionale e rimase a lungo nella memoria del popolo, come fanno capire le cronache dell’epoca, entusiaste di tale insolito spettacolo. Se il dogado cominciò bene il compito dello Zen si fece subito in salita. Nel 1256 – 1259 la Marca Trevigiana fu scossa dalla guerra tra il papa, sostenuto da Venezia e da Treviso, ed Ezzelino da Romano. Solo con la morte di quest’ultimo, nel 1259, la situazione si placò un po’. Risolta la situazione in Italia esplose subito la guerra con Genova. Le due potenze marinare, divise sul fronte economico – politico, si trovarono a discutere sull’appartenenza del monastero di S. Saba nella città di Tiro: nel 1255 i genovesi ne presero possesso saccheggiando il quartiere veneziano. Lorenzo Tiepolo, futuro doge e all’epoca ammiraglio della flotta, intervenne e nel 1257 distrusse la flotta genovese e pure il monastero, portando a Venezia molte delle sue parti (alcune colonne sono ancor oggi


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visibili presso il Palazzo Ducale, davanti alla Porta della Carta). Genova, sconfitta, decise allora di abbattere l’impero di Costantinopoli, filo veneziano, sostituendo la dinastia allora regnate con quella dei Paleologo, dinastia a cui apparteneva il noto generale Michele II Paleologo (trattato di Ninfeo, 1261). La caduta di Costantinopoli bloccò l’accesso al Mar Nero a Venezia. Venezia rispose armando poderose flotte al comando di Gilberto Dandolo e spedendole contro Genova: due importanti vittorie (Morea 1262 e Settepozzi, 1263) migliorarono la situazione ma non mutarono in modo definitivo la questione. Giunti ad un punto morto nel 1265 Venezia stipulò una tregua quinquennale e, nel 1270, una pace definitiva: pur con numerosi privilegi non aveva più il predominio dei commerci, diviso con Genova. All’epoca Renier Zen era già morto. Sarebbe comunque riduttivo citare questo dogado solo per le numerose guerre combattute; occorre ricordare l’approvazione degli Statuti che, in 129 articoli, crearono una legislazione marittima efficace e moderna. Durante il dogado si cercò di ridurre ogni possibile frattura tra classi sociali, dando origine a quell’armonia tra il popolo e l’aristocrazia che terrà salda la Repubblica veneziana, oligarchica, sino alla sua fine. Reniero Zeno morì il 7 luglio 1268.

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Lorenzo Tiepolo (data nascita sconosciuta – Venezia, 15 agosto 1275) figlio del doge Jacopo Tiepolo fu il quarantaseiesimo doge di Venezia, dal 23 luglio 1268 sino alla morte. Vita Crebbe sin da subito all’ombra del potente padre dimostrando, al pari del genitore, una forte tempra ed una predisposizione per gli affari e la conduzione dello stato. Durante la sua vita accrebbe le fortune familiari e giunse al punto di sposare, in seconde nozze, la figlia d’un re (è ancor dubbio se fosse figlia del re di Romania o di Rascia). Dai suoi matrimoni ebbe due figli, anch’essi accasati con ricche dame. Il Tiepolo, lungi dall’esser famoso solo per i meriti altrui, dimostrò d’esser un abile condottiero quando, nel 1257, durante la guerra con Genova, conquistò S. Giovanni d’Acri dopo una perfetta campagna marittima, escludendo la rivale dai preziosi mercati del Libano ed infliggendole pesanti perdite finanziarie. Nel 1268, alla morte del doge Reniero Zeno, apparve subito chiaro che l’unico vero pretendente alla massima soglia fosse lui ed, infatti, venne eletto il 23 luglio 1268. DOGADO Venne eletto il 23 luglio 1268 con 25 voti su 41; la nuova soglia minima di voti infatti fu stabilita proprio in quell’occasione mentre in precedenze, bastavano appena 21 voti (la maggioranza semplice) per l’elezione. Il numero non sarebbe più cambiato fino alla caduta della Repubblica. Il popolo lo amò e gli tributò grandi feste ed onori, d’altro canto i nobili ed i responsabili dello stato veneziano non poterono approvare certi suoi comportamenti di chiaro indirizzo nepotistico (cariche ed onori concessi ai figli) e, per questo, gli s’affiancò un “Cancellier Grande” col compito di controllarlo (questa


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carica sarebbe esistita fino alla caduta della Repubblica). Il dogato del Tiepolo non fu semplice dal punto di vista della politica estera visto che, se da un lato si firmò la pace con Genova (1270) dopo la lunga guerra che aveva visto le due potenze coinvolte sotto il dogato di Reniero Zeno, dall’altro Venezia dovette lottare per farsi veder riconosciuto il primato sull’Adriatico, conteso da altre potenze minori. Nel 1270 – 1273 dovette affrontare una lega (composta da Bologna, Treviso, Verona, Mantova, Ferrara, Cremona, Recanati, Ancona ed altre città minori) a seguito di dispute commerciali e, dopo una fase negativa, vinse la guerra giungendo ad un proficuo accordo. Sotto il suo dogato, nel 1273, Marco Polo, con i suoi familiari, partì per la Cina; sarebbe ritornato solo attorno al 1295. Lorenzo Tiepolo morì il 15 agosto 1275, compianto da moltissimi.

Giovanni Dandolo (data nascita sconosciuta – Venezia, 2 novembre 1289) figlio di Gilberto Dandolo (famosissimo ammiraglio veneziano di metà del secolo) il 31 marzo 1280 divenne quarantottesimo doge di Venezia, sino alla morte, avvenuta il 2 novembre 1289. Vita Nonostante fosse figlio d’un “eroe”, Giovanni

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non si mostrò inadatto alla fama del genitore ed, anzi, presto intraprese una notevole carriera militare tanto che quando divenne doge era a capo delle truppe veneziane nell’Istria, intento a sedare una rivolta. Nel suo “cursus honorum” contava anche incarichi diplomatici e titoli prestigiosi concessigli dai potenti dai quali s’era fatto ben volere. Si era sposato con una certa Caterina ed aveva avuto da essa quattro figli. DOGADO Eletto il 31 marzo 1280 subito prese in mano le redini dello stato, lasciate dal suo debole predecessore Jacopo Contarini. Nel 1281 fece pace con Ancona e subito dopo riprese la guerra contro i rivoltosi istriani e cretesi. Nel periodo 1282 – 1285 Venezia venne persino scomunicata per non aver voluto contribuire ad aiutare il papato a riconquistare la Sicilia, feudo del papa conquistato dai d’Aragona. Nell’alto Adriatico quegli anni furono convulsi a causa dei numerosi scontri tra Venezia ed i rivoltosi, spalleggiati dal patriarca d’Aquileia. Le cose presto si misero male per Venezia, circondata da troppi nemici, ma si giunse ad una tregua che rinviò la soluzione fino al 1304. Se la politica estera fu travagliata, non da meno lo fu quella interna. Il 31 ottobre 1284 fu coniato il primo ducato, moneta che presto sarebbe diventata una tra le più ricercate nel Mediterraneo. Nel 1286 si propose di ridurre il numero di aderenti al Maggior Consiglio, limitandone l’accesso solo per via ereditaria (Serrata del Maggior Consiglio) facendo svoltare la Repubblica in forma oligarchica; la proposta non passò per l’opposizione del doge ma fu riposta con maggior successo nel 1297. Il Dandolo morì il 2 novembre 1289.


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Pietro Gradenigo (Venezia, 1251 – Venezia, 13 agosto 1311) figlio di Marco, fu illustre uomo politico e dal 25 novembre 1289 alla morte quarantanovesimo doge di Venezia. Fu uomo risoluto e deciso, pronto a mettersi contro il papato ed ad imporre i voleri di Venezia alle città più deboli. Durante il suo mandato si verificò la cosiddetta Serrata del Maggior Consiglio (28 febbraio 1297) ed in seguito a ciò vi furono tentativi da parte dei “borghesi”, esclusi di prendere il potere che si concretizzarono in due tentati colpi di stato (Marin Bocconio, 1299 o 1300 e Bajamonte Tiepolo, 1310). Nel 1310 in seguito a queste congiure nacque il famoso Consiglio dei Dieci. Sotto di lui la Repubblica rischiò di distruggersi in una logorante guerra civile, ma sconfitti gli avversari più potenti riuscì a placare la situazione e a far vincere la sua fazione che plasmò Venezia in senso oligarchico. Vita Pietro Gradenigo apparteneva ad una famiglia che risaliva a quella cosiddette “apostoliche” (le dodici che secondo la tradizione veneziana elessero il primo doge) e quindi, politicamente, apparteneva al partito “conservatore” che desiderava limitare la possibilità d’accesso al Maggior Consiglio da parte delle nuove famiglie di maggiorenti. Questa collocazione gli permise di fare una buona carriera politica ma gli

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alienò la simpatia di parte del popolo che lo vedeva come un “uomo del potere”. Alla morte del doge Giovanni Dandolo nel 1289 nonostante la sua giovane età riuscì a succedergli dopo un’estenuante lotta contro Lorenzo Tiepolo, discendente diretto dei dogi Lorenzo Tiepolo e Jacopo Tiepolo e rappresentante delle classi “minori”, che era stato eletto a furor di popolo ma non secondo la forma stabilita. Il Tiepolo, per evitare una guerra civile, preferì ritirarsi, ma questa divisione rimase insanabile fino alla rivolta del 1310. Il Gradenigo era sposato con Tommasina Morosini. DOGADO L’inizio del dogado, come visto, fu abbastanza convulso e presto il popolo appioppò a Pietro il soprannome dispregiativo di “Pierazzo”. Oltre a questi presto s’aggiunsero nuovi problemi quali; la ripresa della guerra con Genova (1294 – 1299) e la crisi dei mercati orientali. Mentre la guerra proseguiva con alterne fortune il conflitto latente che proseguiva sin dal 1286 esplose nel 1296 con la proposta di ridurre l’accesso al Maggior Consiglio e selezionare i suoi appartenenti, escludendo le classi medie che si stavano appropriando del potere. Curiosamente i più forti oppositori non furono i popolani quanto piuttosto i nuovi entrati nel Maggior Consiglio che così perdevano la certezza di far carriera nell’amministrazione. In mezzo a manifestazioni e proteste il 28 febbraio 1297 avvenne la Serrata del Maggior Consiglio: potevano esservi ammessi solo coloro i quali vi avevano seduto negli ultimi quattro anni e i discendenti di coloro che vi avevano fatto parte sino al 1172. Se dopo l’approvazione del provvedimento si giunse ad una tregua politica presto le contese ripresero in seguito alla grave sconfitta militare avvenuta alla Curzola l’8 settembre 1298 contro i genovesi. La successiva pace (1299), assai dura, lasciò


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A sinistra: Il luogo dove era eretta la colonna d’infamia di Bajamonte Tiepolo. A destra: La colonna d’infamia.

strascichi economici sulla classe media, quella già colpita politicamente dalla serrata. Tutto ciò condusse ad una crisi politico – istituzionale. Crisi e prima congiura: Marin Bocconio 1300 Nel 1300, secondo le cronache, alcuni maggiorenti esclusi dal potere e colpiti dai recenti eventi, decisero di rovesciare violentemente la situazione: uno di essi Marin Bocconio si offrì di entrar in Maggior Consiglio e sterminare tutti i capi delle fazioni conservatrici. Grazie ad un informatore il governo sventò il complotto e giustiziò i congiurati, ma quest’azione invece che far cessare rinfocolò il malcontento ed inasprìlacontesa.Daunaparteormais’ergevano le famiglie Querini – Tiepolo spalleggiate dalle famiglie minori, dall’altro i nobili conservatori. Questa tensione interna si ripercuotè presto anche nelle faccende estere: la guerra contro il papato nel 1308 per questione di confine provocò l’esplodere del bubbone che in quegli anni s’era ingrossato. Ad un passo dall’abisso, seconda congiura: Bajamonte Tiepolo, 1310 Nel 1309, durante la guerra in Romagna contro il papa, il comandante Marco Querini permise alle truppe nemiche di conquistare un prezioso caposaldo (Castel Tebaldo, 28 agosto 1309) e vincere la guerra. Tradotto a Venezia per esser giudicato incassò l’appoggiò di Bajamonte Tiepolo e di parte del clero. Pietro Gradenigo parteggiò chiaramente per una condanna esemplare dell’avversario politico e ciò inasprì gli animi, non si sa se per chiara scelta della fazione “gradeniana” che voleva concludere subito la lotta. Presto si giunse a scontri fisici

durante una seduta del Maggior Consiglio che, in mano ai conservatori, ritennero responsabili i Querini. Una tale situazione, insostenibile sia politicamente che moralmente, sfociò in una seconda congiura. Questa volta a capo di tutto fu messo Bajamonte Tiepolo, nipote dei famosi dogi e uomo rispettato ed amato in molti strati sociali. Alla congiura s’unirono tutte le più grandi ed importanti casate popolari e della bassa nobiltà. Presto si decise di agire nella notte tra il 14 ed il 15 giugno 1310 conquistando i punti nevralgici della città e massacrando i nemici, tra i quali il doge. Qualche ora prima d’agire giunse però la solita soffiata e lo stesso doge, secondo alcuni racconti, guidò una colonna di difensori in piazza San Marco mentre altre squadre intercettavano e massacravano i rivoltosi. La sconfitta dei congiurati fu totale ed il solo Tiepolo riuscì a cavarsela con l’esilio dopo essersi ritirato in una zona sotto suo controllo. Curiosamente la repressione, che poteva attendersi come violenta, fu abbastanza limitata e pochi furono i giustiziati. In seguito a questa congiura nacque il Consiglio dei Dieci (10 luglio 1310) con l’incarico di scoprire e reprimere rivolte simili. Ultimo anno di vita Pietro Gradenigo, risultato vittorioso, poté godersi per poco tempo la sudata vittoria infatti il 13 agosto 1311, a poco meno di sessant’anni, morì improvvisamente. Venne sepolto a Murano. Simbolo dell’oligarchia durante l’occupazione napoleonica il suo sepolcro venne violato ed il suo teschio, infisso in un bastone, portato in giro per la città in segno di derisione. da un articolo di: it.wikipedia.org


D ISCIPLINE O RIENT ALI RIENTALI

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3 domande e 3 risposte a cura di Roberta Fabris

Lo studio delle discipline orientali è stato introdotto tra le materie dell’Associazione Nicola Saba nel 2003 a completamento di un corso sulle tecniche di rilassamento. Negli anni, l’interesse si è rivolto in particolare alla pratica delle discipline cinesi: Qi Gong-Tecnica dell’Energia, Qi Gong Tal Ji, Tai Ji Quan.

Che cos’è il Qi Gong Tecnica dell’Energia? Il Qi Gong (pronuncia Ci Kung), scritto anche Chi Kung, è un’antica disciplina cinese che ha come obiettivo l’ascolto ed il rafforzamento dell’energia per mantenere un buono stato di salute. La parola Qi si traduce con respiro, ma anche energia. Gong significa lavoro, allenamento costante e paziente. Qi Gong si intende dunque come un lavoro con l’energia che richiede tempo e dedizione. Attraverso esercizi adatti a tutte le età ed eseguiti in completo rilassamento, la pratica del Qi Gong abitua ad assumere una postura corretta e una buona stabilità del corpo, elimina la tensione, regolarizza il respiro, calma la mente e consente di percepire e di sviluppare l’energia interna. L’allenamento rafforza la resistenza alla fatica, armonizza la situazione emozionale, incide positivamente sull’umore, sui rapporti con gli altri e con l’ambiente. La pratica quotidiana controlla la pressione arteriosa, favorisce il sonno, aiuta a combattere l’artrosi, l’artrite reumatoide e la sindrome fibromialgica. Tra i numerosi tipi di Qi Gong, è preferibile accostarsi inizialmente ad un Qi Gong morbido in posizione eretta: esercizi statici come lo Zhan Zhuang (Posizione dell’Albero) alternati a sequenze dinamiche come il Ba Duan Jin (Gli 8 Pezzi di Broccato di Seta) e il Wu Qin Xi (Il Divertimento dei 5 Animali) garantiscono una solida base, prima di accostarsi a tecniche più impegnative. Cfr. Qi Gong Tecnica dell’Energia, ep 19, 2009. Il Qi Gong dei 5 Animali, ep 20, 2010.

Che cos’è il Qi Gong Tai Ji (Chi Kung Tai chi)?

Ideogramma cinese del movimento del Qigong Taiji “abbraccia la tigre e torna alla montagna”

Il Qi Gong Tai Ji sperimenta il percorso dell’energia interna attraverso gli esercizi base del Qi Gong (Gli 8 Pezzi di Broccato, II Divertimento dei 5 Animali, Sostenere la Sfera) e le tecniche fondamentali del Tai Ji. La pratica consiste nell’esecuzione di movimenti lenti e continui, rispettosi della naturale struttura del corpo, eseguiti in decontrazione, rilassando la parte fisica, calmando la mente, alleggerendo il cuore.


D ISCIPLINE O RIENT ALI RIENTALI

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La ripetizione delle tecniche favorisce uno stato di tranquillità, permettendo l’aumento del flusso energetico e l’acquisizione di una maggiore resistenza alle malattie. Con l’allenamento si percepisce meglio il proprio corpo e le sue potenzialità, si prende coscienza dei muscoli e delle articolazioni in condizione di rilassamento e di tensione, si riconoscono le contratture e le posture innaturali e si impara a correggerle. La pratica quotidiana migliora l’elasticità sul piano fisico e psichico: l’allineamento corretto della colonna vertebrale e il lavoro attento su muscoli, tendini, legamenti ed articolazioni, si accompagna a un lavoro interno per sviluppare la percezione dell’energia, affinare la propria sensibilità e conseguire un movimento consapevole. Tutti possono apprendere il Qi Gong Tai Ji e trarne vantaggi. Gli esercizi, statici e dinamici, alternati a brevi sequenze, l’utilizzo di semplici attrezzi (bastone, ventaglio), aiutano ad acquisire padronanza dello spazio, attivano la concentrazione e i riflessi, rafforzano l’equilibrio, la stabilità e la sicurezza, permettono di controllare l’aggressività. Che cos’è il Tai Jì Quan (Tal chi Chuan)? Il Tai Ji Quan è un’arte marziale (la parola quan significa pugno) di origine cinese, volta a migliorare la resistenza del praticante ai fini della difesa e del combattimento. La sua fioritura in Cina risale al periodo corrispondente al nostro Medio Evo, quando alla tradizione dell’esercizio terapeutico e alla conoscenza medica della struttura energetica del corpo si aggiunsero tecniche famigliari indirizzate a percuotere, calciare, immobilizzare. Il Tai Ji Quan appartiene al gruppo di arti marziali definite interne, per la grande importanza attribuita alla circolazione dell’energia. Alla base della disciplina è il pensiero filosofico taoista per il quale, in accordo con la teoria yìn e yang, tutti gli opposti sono considerati elementi complementari. La pratica del Tai Ji Quan prevede l’alternarsi di movimenti morbidi e movimenti vigorosi e dinamici, che sviluppano le potenzialità del corpo. Lo studio prende avvio da esercizi semplici, ai quali seguono tecniche preparatorie all’apprendimento della Forma fondamentale del Tai Ji Quan, una sequenza lunga che rappresenta un combattimento contro degli avversari immaginari. Con il tempo, la pratica del Tai Ji Quan si approfondisce e si perfeziona: l’allenamento, se ben motivato, permette di sperimentare l’esecuzione di applicazioni marziali durante le quali si mimano delle azioni di offesa e di difesa, fino ad arrivare, impegnandosi con dedizione, a prove di combattimento libero. Le discipline, Qì Gong-Tecnica dell’Energia, Qi Gong Tai Jì, Tai Jì Quan, sì praticano, da Ottobre a Maggio, presso la Palestra della S.M.S. G.Cesare, via Cappuccina 68, Mestre-Venezia. Per informazioni: Giancarlo Vìanello 3687533016 Roberta Fabris

3932172268 - e-mail rofasto@libero.it


D UBBI

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INTERIORI

Dalla magia delle calli veneziane...

sul bufalo d’acqua di Alessandro Fort

Un giorno potrebbe venir voglia di fare un passo, e poi un altro e poi un altro ancora, senza fermarsi, senza pensare di tornare indietro. Così comincia un viaggio.

È il percorso del protagonista, un docente dell’Università di Venezia, alle prese con una moltitudine di dubbi, sulla vita e sulle persone che lo circondano. Egli già sospetta che l’insoddisfazione nasconda l’esigenza di andare oltre le cose che la società moderna considera irrinunciabili: l’automobile nuova, la bella casa, gli abiti eleganti, le vacanze in luoghi esotici, il denaro. Il giorno del suo compleanno compie però un errore che nessuno dovrebbe fare, per non correre il rischio di dare spazio alle emozioni e alla voglia di libertà: alza lo sguardo al cielo, si ferma a guardare uno stormo di rondini e per la prima volta, prova il desiderio di avere le ali. Dalla magia delle calli veneziane […]un intricato labirinto di passaggi che si insinuano furtivi fra palazzi antichi e abitazioni semideserte. Un continuo sormontarsi di edifici appoggiati l’uno sull’altro, alla ricerca del sole di giorno e della luna con l’arrivo della notte, serie infinita di spigoli improvvisi fatti di muri erosi dal tempo e dalla salsedine… attraverso la malinconica consapevolezza di non riuscire a liberarsi delle proprie abitudini […]chiedendomi per quale motivo l’idea di andarmene non mi venisse così naturale. Le mie maledette abitudini! ...sino al fascino di un paese sconosciuto, lontano, infinito […]la ripetitività di quel suono mi annoiò, spingendo l’attenzione a distrarsi sui profili delle colonne verniciate di rosso, lungo le travature del sottotetto e nelle sottili volute di fumo aromatico esalate dai bracieri. Il risalire di queste ultime era perfetto, regolare, senza alcuna deviazione. L’atmosfera era immobile, trattenuta dal coro, che avvolgeva ogni cosa rendendo fuori luogo il pensare, porsi delle domande o cercare delle spiegazioni. Tutto scivolava nel nulla e il nulla conquistava il valore del tutto… Raggiunta la scelta di cambiare finalmente lavoro, il protagonista sfrutta l’occasione di cominciare una ricerca che lo porterà tuttavia molto lontano dalla meta programmata, sino a condividere la povera abitazione di una famiglia alle prese con la sola, fondamentale necessità: sopravvivere, in un mondo immerso nella sottile polvere del carbone. Violentemente strappato dalla nuova vita, nella terza parte del viaggio, si ritroverà all’interno di un complesso intreccio di personaggi molto diversi fra loro,


D UBBI

INTERIORI

accomunati da ideali frustrati dal mutare degli eventi. Tutto girerà attorno ad una sorprendente quanto ruvida donna anziana custode di un segreto che viene dal passato, un segreto cercato da molto tempo e da molte persone, ma celato in un modo e in un luogo assolutamente improbabili. Nella quarta e penultima parte, in un’improvvisa accelerazione degli eventi, il protagonista precipita in situazioni nelle quali perderà se stesso, ritrovandosi a fare cose che prima non avrebbe mai osato nemmeno immaginare. Quella che normalmente potrebbe essere considerata una serie di episodi avventurosi

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tipici degli eroi, diventa cruda realtà e ciò che poteva sembrare impossibile diviene drammaticamente naturale, quanto disdicevole. Grazie all’ennesimo incontro, il protagonista procederà tuttavia lungo un nuovo cammino. Recuperato il suo passato e sconfitta l’ultima delle sue paure, potrà tornare al punto di partenza del lungo ed inaspettato peregrinare, affidandosi però alla volontà del suo ultimo compagno di viaggio, un grosso bufalo d’acqua. Ma quel che lo aspetta non è per lui una sorpresa, in cuor suo ha già intuito che alla fine di un viaggio, nessuno è uguale a com’era prima.

Alessandro Fort


V IAGGI

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mettiamoci in viaggio di Di Lucia Coletti Luisa

Solo il disagio di un viaggio in autobus su strade sterrate dopo ore di cammino sui sentieri faticosi delle Ande, ci fa godere lo scrosciare lento e sottile della doccia e di un letto pulito.

Mettiamoci in viaggio augurandoci che sia faticoso, ricco di imprevisti, magico e spietato, al punto tale da poter affogare le nostre angosce nel cammino, sperando che sia un cammino della conoscenza e che ne abbia le caratteristiche, sperando che il buio che c’è nel giorno possa dipanarsi e, che le luci della notte possano essere la guida. Sperando di poter vedere lacrime di gioia augurandosi di far tesoro delle ore passare a guardare il finestrino rigato e polveroso di un autobus straniero lento e rumoroso. Partiamo per questo viaggio sperando di aver preso nota di tutto quello che vogliamo scoprire e non vogliamo conoscere, pur sapendo che alla fine, sarà tutto il nostro bagaglio nel viaggio di ritorno partiamo, sapendo che un viaggiatore non accetta mai la fine del viaggio perché è lungo quanto la vita è la sua vita. Partiamo, i bagagli sono pronti inizia la sequenza delle emozioni che risvegliano l’energia della voglia di acclamare il proprio io. Accettiamo il viaggio come verifica della propria condizione, di come siamo in realtà, lasciamo il suolo conosciuto e avventuriamoci nelle segrete del mondo e ci accorgeremo di scoprire una umanità sconosciuta, una semplicità di rapporti, un cameratismo nelle difficoltà. Il viaggio è la risoluzione ai dubbi della vita, alla paura, agli atti di difesa inconsulti, alle meschinità di crederci esseri superiori solo il disagio ci aiuta a godere del benessere.

I monti delle Ande

Solo il disagio di un viaggio in autobus su strade sterrate ci


V IAGGI

fa godere di un letto pulito e dopo ore di cammino sui sentieri faticosi delle Ande gioisci dello scrosciare lento e sottile della doccia che, calda ti avvolge in un velo di torpore rilassante, cammina, cammina la tua vita è un continuo cammino, non puoi rimanere a fissare l’orologio della torre cammina, quanta strada hanno solcato le suole di queste scarpe, erano a Salta in Argentina, erano nelle lande sconfinate dei deserti americani, erano fra i monti del Tibet. Quante luci e colori hanno visto questi occhi quando mi addormento rivedo una miscellanza di immagini che si accavallano lasciando il

Salta - Argentina

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El Alta a la Paz

ricordo di profumi e parole lasciate al vento e termino pensando al mio arrivo all’aeroporto di El Alta a la Paz a 4200 metri, al freddo alla città che si stava imbiancando mentre i propri profili delle Ande mi stavano aspettando. Così’ ricordo il piccolo Tibet infilato fra le gigantesche catene del Karakorum e dell’Himalaya una regione dalle lunghe valli e gole profonde solcate dalle acque vorticose dell’Indo, di cieli cristallini, di cime, di nevi, di colori, di genti fantastiche di strade tutte curve e saliscendi che ho percorso col fiato sospeso, la patria del buddismo tibetano con i suoi monasteri sperduti arrampicati su cime incredibili e così concludo con un tuffo nelle acque fresche della mi amata Corfù e mi rimetto in viaggio. Immagini estratte da vari siti web.


C UCINA

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Una ricetta tradizionale.

a to’a co i nostri piati venexiani... a cura di Speranza Visentin

Chi al giorno d’oggi mangia più il riso cotto nel latte? Eccovi una ricetta solo da provare!

Risi còl late È un piatto che mi ricorda l’infanzia. Era consigliato a noi bambini per la sostanza e la digeribilità, la cottura del riso nel latte, lo rende non solo digeribile ma assai ghiotto per i piccini. Era una sagra quando la mamma ci aggiungeva l’uva passa e i pinoli, cosa che non capitava frequentemente per via delle risorse economiche che spesso mancavano, ma il latte quello no, c’era sempre. Questi ultimi ingredienti facoltativi, ci ricordano i rapporti commerciali di Venezia con il Mediterraneo orientale. Invece il latte, i formaggi e le verdure arrivavano a Venezia dalle case di contadini della terraferma. Erano le donne che attraversavano la laguna su barche a remi, percorrevano la città e vendevano i loro prodotti per le strade quando non svolgevano i lavori dei campi, poiché gli uomini erano impegnati con la pesca.

Ricetta per 4 persone • •

2 litri di latte intero(oggi, anche parzialmente scremato). 350 grammi di riso. Ingredienti facoltativi:

Sale, burro, parmigiano gratuggiato. oppure

• •

Venditrice ambulante di latte.

2 cucchiai di uva passa. 2 cucchiai di pinoli.

Mettete sul fuoco il latte e portatelo a ebollizione. Appena inizia a bollire aggiungete il riso e fate cuocere per circa 18 minuti senza coprirlo. Mescolate ogni tanto per evitare che il riso attacchi sul fondo della pentola. Lasciate cuocere fino a ottenere la consistenza desiderata. A chi piace dolce, servitelo con l’aggiunta degli ingredienti facoltativi.


T OPONOMASTICA

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Venezia, le Basiliche maggiori a cura di Aldo Ghioldi

Dalla Basilica di S. Marco, con le sue cupole di sapore orientale, alla Basilica della Salute, che si specchia maestosa con i suoi bianchì volumi nel bacino di San Marco, alla gotica Basilica dei Frari, semplice e suggestiva con le sue linee pure, alla Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo che ospita numerose tombe dei dogi e condottieri della Repubblica, un itinerario tra le basiliche maggiori di Venezia darà al visitatore un quadro ricco e multiforme della vita spirituale, ma anche politica e artistica della Repubblica.

Basilica di San Marco

Sorge in uno splendido scenario architettonico, sulla piazza che Napoleone definì “il più bel salotto del mondo”, ed è il cuore di Venezia. Secondo la tradizione, l’evangelista San Marco, giunto sulle isole della laguna, sognò l’Angelo che gli disse “Qui avrai pace, Marco, mio evangelista”. Cosi, quando nell’828 la salma del santo, venne sottratta ai maomettani di Alessandria di Egitto e riportata a Venezia da due mercanti, l’esultante accoglienza che il popolo le riservò era iI coronamento di un dovere spirituale assolto, il segno della conquista di una meritata protezione scritta nel proprio destino. L’anno successivo il doge Giustiniano Partecipazio diede avvio ai lavori di costruzione di un tempio, destinato ad accogliere le spoglie del Santo, che fu consacrato nell’832 e fu per secoli “cappella ducale”, divenendo solo nel 1807 cattedrale di Venezia. Basilica della Salute

Venezia

La maestosa costruzione della basilica di Santa Maria della Salute si trova nel sestiere di Dorsoduro, e affaccia sul bacino dì San Marco. Nel 1630 ci furono a Venezia migliaia di vittime a causa della pestilenza e per questo che venne celebrato in San Marco il rito del voto alla Madonna, implorata di liberare i veneziani dalla malattia. La Basilica fu commissionata nel 1631 a Baldassarre Longhena, in ringraziamento alla Vergine per la fine della pestilenza.


T OPONOMASTICA

Nel 1633 si iniziò la costruzione e nel 1653 la struttura della basilica era ormai terminata. L’interno della basilica è costituito da un ampio vano centrale, cinto da colonne su alti plinti e addossate a robusti piloni che sostengono la grande cupola, alta ben 60 metri dal pavimento. Il pavimento, di straordinaria fattura, è a mosaico in marmo policromo a cerchi concentrici con le fasce più esterne che seguono un disegno geometrico, multicolore, con effetti dì illusione ottica, mentre una fascia di trentadue rose che circonda il cerchio centrale, è un richiamo simbolico al Rosario mariano. L’altare è a pianta ottagonale e raffigura, nelle statue in marmo che lo adornano, la cacciata della peste. Al centro, l’immagine della Madonna della Salute, proveniente dalla Cattedrale di Candia e qui collocata nel 1670.

18 terminata verso il 1443, la Basilica dei Frari è la chiesa di Venezia più ricca di opere d’arte dopo quella di San Marco. Sorge nel sestiere S. Polo, affacciando sul campo dei Frari. Alla sobria eleganza dell’esterno fa riscontro la calda luminosità dell’interno. Nel mezzo della navata centrale, davanti al presbiterio, si può ammirare il Coro dei Frati, iniziato in forme ancora gotiche dalla bottega dei Bon e terminato in stile rinascimentale dai Lombardo nel 1475. Sullo sfondo delle finestre dell’abside, sull’altare maggiore, l’Assunta del Tiziano si rivela subito allo sguardo di chi entra in tutta la sua splendida luminosità. Sul portale il monumento barocco a Girolamo Garzoni, morto nell’assedio di Negroponte nel 1688. La sacrestia, fatta costruire dai Pesaro intorno alla metà del cinquecento, ha le proporzioni di una piccola chiesa, ricca anch’essa di tesori d’arte. Fra tutti citiamo la bellissima Madonna in trono col Bambino e Santi, trittico di G. Bellini del 1488, sull’arco dell’abside. L’opera, che è considerata un capolavoro, è racchiusa da una preziosa cornice dorata, intagliata da J. da Faenza.

Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo

Basilica dei Frari Fondata verso la metà del sec. XIII dall’ordine francescano dei Frati Minori, ricostruita poi su progetto di un architetto rimasto anonimo, nelle forme gotiche attuali attorno al 1330 e

Sorge nell’omonimo campo accanto all’Ospedale Civile. La sua costruzione fu iniziata nel 1246 e fu compiuta e consacrata solo nel 1430 e divenne il luogo prescelto per la sepoltura di dogi e condottieri. L’interno della chiesa, dalle ampie arcate ogivali e volte a crociera, colpisce per l’armoniosità e l’imponenza dei suoi volumi e per la suggestiva luminosità. Nel 1867 un incendio l’aveva quasi distrutta. Fu restaurata e restituita all’antico aspetto nel 1913. Da Venezia meravigliosa_Ardo/Edizioni d’Arte


MEMORIE

VENETE

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Il Comune di Mestre dal 1866 al 1926

i Sindaci del Comune di Mestre a cura di Anacleto Callegaro

Con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866, Mestre rimane un Comune autonomo. Ad alcuni sindaci furono intitolate vie, scuole.

Il Comune di Mestre: le origini. Il 16 luglio 1797 le truppe di Napoleone Bonaparte occupano i territori veneti mettendo fine alla Repubblica di Venezia. Caduta la Serenissima, Mestre viene costituita in “Municipalità” indipendente, sia da Treviso (ma resta legata a quella diocesi fino al 1927 quando viene aggregata al Patriarcato di Venezia) che da Venezia. Adeguandosi al modello francese, Mestre si costituisce in “Comune” (1806), retto da un consiglio di quaranta membri e da un Podestà nominato dal governo. Con la fine dell’Impero di Napoleone, Mestre passa sotto il dominio austriaco e incorpora i comuni di Carpendo e Marocco. Con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia (1866), Mestre resta un comune autonomo, soggetto alla normativa per gli enti locali comune a tutta la penisola. Con decreto del Re Vittorio Emanuele III, firmato il 26 agosto 1923, attribuisce a Mestre il titolo di “Città”. Il Decreto durò tre anni circa, in quanto il 15 luglio 1926 un altro decreto deliberava l’unificazione dei Comuni di Mestre, Favaro, Zelarino , Chirignago con Venezia e il 24 agosto dello stesso anno diventano frazioni del comune di Venezia. I sindaci, durante il periodo di vita del Comune di Mestre, che va dal 1866 al 1926 furono: ALLEGRI GIROLAMO fu il primo sindaco di Mestre, dal 1866 al 1870, era un avvocato veneziano che esercitava l’avvocatura principalmente a Mestre. Durante la sua amministrazione iniziarono i lavori per la sistemazione delle strade, per la costruzione del Foro Boario (piazzale Sicilia, ora Donatori del Sangue) e del cimitero monumentale. Poco prima di morire vendette un suo terreno all’amministrazione comunale, per l’apertura del viale verso Carpenedo, intitolato poi a Garibaldi.

Stemma di Mestre

TICOZZI NAPOLEONE fu sindaco dal 1871 al 1881. Nell’ultimo anno della sua amministrazione furono terminati i lavori della costruzione del Viale Garibaldi. Ticozzi aveva capito quanta importanza avesse la centralità del Comune di Mestre in un sistema radiale di trasporti, infatti in un intervento in consiglio comunale spronava i colleghi ad approvare la compartecipazione al finanziamento della costruzione delle linee ferroviarie Mestre–Adria e MestreCastelfranco.


MEMORIE

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VENETE

Pietro Berna

BERNA PIETRO farmacista, fu sindaco dal 1882 al 1892. Durante la sua amministrazione il 3 ottobre 1891 fu inaugurata la nuova tramvia tra Mestre e punta S. Giuliano per un totale di 4.500 metri che si poteva percorrere in circa 15 minuti, accorciando così la distanza tra Mestre e Venezia. TOZZI AGOSTINO fu sindaco dal 1892 al 1893, figlio del farmacista Giobatta, non aveva seguito il padre tra i medicinali, ma si dedicò alla politica e alla gestione del patrimonio familiare. Alcune spregiudicate iniziative immobiliari, anche per proprio tornaconto, minarono la sua credibilità di amministratore pubblico fino ad aprire la strada alla successione al suo principale accusatore, Pietro Berna. BERNA PIETRO fu nominato per la seconda volta sindaco per il periodo dal 1894 al 1899. ROSSI JACOPO fu sindaco dal 1899 al 1902. Il Conte Rossi tentò invano di prolungare la linea tramviaria che partiva da S. Giuliano per arrivare a Piazza Maggiore (Piazza Ferretto) per Carpenedo. Rossi cercò inoltre di svegliare in tutti i modi la sonnolenta Mestre progettando appunto di ampliare la linea tramviaria, lanciando l’idea del nuovo ospedale e dando il via alla realizzazione di un grande edificio scolastico centralizzato (l ’attuale De Amicis). Fu molto chiacchierato per questo suo attivismo, si persero molti soldi e calarono ombre su gli appalti e ben presto si preferì tornare ad una amministrazione più tranquilla affidando la poltrona di Sindaco a Giuseppe Frisotti. FRISOTTI GIUSEPPE fu sindaco dal 1903 al 1906, sotto la sua amministrazione emersero alcuni fattori di novità che cominciarono a dirottare la vita politica mestrina al di fuori di una paesana ed ormai logora lotta fra i soliti

Istituto Berna

potenti. Sul finire del 1905 dovette contrastare la minaccia degli abitanti di Carpenedo di richiedere l’autonomia amministrativa, le acque si calmarono quasi subito, ma era stato lanciato un segnale di insofferenza nei riguardi degli amministratori legato alla concretezza e alla mancata risoluzione di alcuni problemi che i cittadini richiedevano con forza. Fu allora che cominciarono ad emergere nuove figure politiche. Mestre cominciò ad accorgersi delle presenza dei socialisti. La prima vera prova di forza avvenne con lo sciopero generale del 18 e 19 settembre 1904. BERNA PIETRO fu eletto sindaco per la terza volta dal 1907 al 1910. CAVALIERI AURELIO fu sindaco dal 1910 al 1913 e durante la sua amministrazione si sviluppò la rete dei trasporti pubblici con l’attivazione di corse di filobus e si parlò per la prima volta, sempre nel 1910 con il sindaco di Favaro, Giulio Fornoni, di ampliare da Mestre a Favaro la rete tramviaria, che si concretizzò esattamente nel 2010, cento anni dopo. Nel 1912 la “Società delle tramvie” era divenuta la principale azienda industriale di Mestre. ALLEGRI CARLO fu sindaco dal 1914 al 1919 e durante la sua amministrazione si ampliò l’istruzione pubblica con l’introduzione della scuola dell’obbligo e con la programmazione di interventi nell’edilizia scolastica. Si trovò anche ad amministrare la città nei difficili anni della prima guerra mondiale e nei durissimi anni successivi alla rotta di Caporetto. Diede vita a una serie di iniziative di supporto al fronte interno e di primo intervento per i numerosi militari che affollavano le caserme di Mestre. Gestì la fase finale della costruzione del porto in terraferma che implicò lo scorporo dal Comune di Mestre della frazione di Bottenigo,


MEMORIE

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VENETE

Ist. Berna: laboratorio tornitori

mettendo le premesse per la successiva e definitiva annessione di tutto il territorio mestrino al Comune di Venezia. VALLENARI UGO fu sindaco dal 1920 al 1922, era un piccolo imprenditore di fede socialista. Si trovò a gestire l’amministrazione comunale in un periodo caratterizzato da scontri tra fascisti e “rossi”. Dopo la sua attività di sindaco, Vallenari dedicò la maggior parte del proprio tempo all’impresa elettromeccanica che dirigeva, continuando a coltivare la sua passione politica nei contatti personale con amici anche di differenti idee politiche. SORANZO GUSTAVO Il 24 marzo 1923 venne eletto sindaco il liberale Conte Gustavo Soranzo. In giunta comunale furono eletti 10 fascisti, 9 popolari , 7 liberali e 3 indipendenti. Tale giunta non durò molto, all’inizio di maggio si dimettevano i consiglieri fascisti e di seguito i consiglieri popolari e liberali e il 7 maggio tornò il Commissario. Alle elezioni del 29 luglio 1923 fu ripresentato il listone che comprendeva 18 fascisti e 12 personalità di altri partiti. All’inizio del mese di Agosto venne eletto sindaco Massimiliano Castellani.

Ugo Vallenari

Strade e scuole, intitolate a vari Sindaci del Comune di Mestre Al Comm. Pietro Berna è intitolato “l’Istituto Berna” situato in via Bissuola a Mestre. Tale istituto è una istituzione educativo-assistenziale sorta al termine del conflitto mondiale 1915/1918 per dare assistenza agli orfani di guerra. In seguito diventò un istituto a carattere professionale. A Pietro Berna, inoltre, è stata dedicata una piccola strada nascosta e periferica del quartiere di Carpenedo confinante con la campagna. A Napoleone Ticozzi fu intitolata nel 1940 la Scuola Serale di disegno; fondata nel 1871 e situata a Mestre in Via Spalti. Venne chiusa nel 1968. A Ugo Vallenari è intitolata una strada laterale di Via dei Martiri della Liberà, che collega il confine di Carpenedo-Bissuola con Favaro. Note: le fotografie e le notizie riportate in questo articolo sono state tratte in gran parte dal libro dello storico Sergio Barizza “STORIA DI MESTRE” Casa Editrice “Il Poligrafico srl” di Padova.

CASTELLANI MASSIMILIANO, sindaco dal 1923 al 1924. Castellani, accusato di essere troppo debole, si dimise a metà dicembre del 1924. PIOVESANA PAOLINO fu sindaco da 1924 al 1926. Dopo le dimissioni del sindaco Castellani, il governo della città passò nelle mani del primario ospedaliero Piovesana Paolino, uomo di provata fede fascista. Rimase al vertice dell’amministrazione comunale praticamente fino alla soppressione del Comune di Mestre, che fu unificato a quello di Venezia con Decreto del 15 luglio 1925.

Piazza Ferretto


P ITTORE

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IT ALIANO ITALIANO

Caravaggio, pittore del Seicento a cura di Graziella Naccari

Una vita movimentata come poche, vissuta intensamente e senza sosta. Conobbe la fuga, la paura, il disonore, il disprezzo. Cercò la rissa, la violenza e lo scontro. La sua morte sembra uno scherzo della storia.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio

Michelangelo Merisi nacque nel 1571. Non è certo se il luogo di nascita sia stato Milano o Caravaggio, un paese in provincia di Bergamo, dove la famiglia si era trasferita per sfuggire alla peste. È sicuro comunque che egli si firmasse sempre Michelangelo Merisi da Caravaggio. Perse il padre prestissimo e la madre quand’era ancora un giovane ventenne. Nel 1592 lasciò definitivamente la Lombardia e si trasferì a Roma. Qui trascorse qualche tempo come apprendista, presso la bottega di Lorenzo il Siciliano e poi in quella del pittore Antiveduto Grammatica. Entrambe si rivelarono esperienze poco redditizie e soprattutto poco stimolanti: Caravaggio imparò solo a dipingere velocemente e in serie. A questi primi anni, risale una delle sue opere più famose: il Bacchino Malato (1593). A 23 anni entrò nella bottega del Cavalier d’Arpino: un pittore molto apprezzato nella Roma del tempo. Qui Caravaggio dipinse una grande quantità di nature morte con fiori e frutta. Ma l’apprendistato presso il Cavalier d’Arpino non durò a lungo, i due pittori si scontrarono a causa del carattere irrequieto di Caravaggio. Il 1595 è l’anno della svolta. La vita di Caravaggio cambiò quando conobbe il Cardinale Francesco Maria del Monte, il primo a comprendere il grande talento del pittore. Sotto la sua protezione, Caravaggio otterrà numerose committenze e la sua fama si diffonderà per tutta la capitale. Il Cardinale non solo gli commissionò un gran numero di opere private, per sé e per gli amici, ma gli fece anche ottenere le prime committenze pubbliche. La sua attività artistica fu sempre ostacolata dal carattere ombroso del pittore. Assiduo frequentatore di taverne e luoghi poco raccomandabili, era spesso al centro di risse e schiamazzi. Molti erano i suoi nemici anche tra i colleghi. In molti casi, riuscì a venir fuori da situazioni difficili solo grazie all’intervento dei suoi amici potenti, ma nel 1606, durante una rissa in cui anch’egli rimase ferito, Caravaggio uccise Ranuccio Tommasoni, con cui aveva già avuto altre discussioni precedenti. L’omicidio gli procurò la condanna alla decapitazione. L’unica cosa che poté fare fu fuggire immediatamente da Roma. Tra il 1606 e il 1607 Caravaggio è a Napoli. Qui fu accolto con tutti gli onori che accompagnavano la sua grande fama di pittore. Tra le tante opere di questo periodo,


P ITTORE

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IT ALIANO ITALIANO

Giuditta che Taglia la Testa a Oloferne vale la pena di ricordare i Sette Atti di Misericordia e il Davide con la Testa di Golia. Nel 1607 Caravaggio parte per Malta. Qui conosce il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri, che gli fece anche da modello per alcune tele. Nel luglio del 1608 riesce a entrare anch’egli nell’ordine. Si trattò però soltanto di una breve parentesi. Il primo di dicembre dello stesso anno ne fu allontanato: probabilmente giunse a Malta la notizia della condanna a morte che pendeva sulla sua testa. L’espulsione fu motivata definendo Caravaggio un uomo ”foetidum et putridum” (fetido e putrido). Caravaggio si spostò allora in Sicilia. Tra il 1608 e il 1609 fu a Messina, a Catania e a Palermo. Marco Minniti, un vecchio amico del periodo romano, lo aiutò a trovare delle committenze. Ma probabile egli non si sentiva sicuro. La condanna a morte, infatti, diceva che chiunque avrebbe potuto decapitarlo: sull’isola egli temeva per la sua vita.

Testa di Medusa Lasciata la Sicilia, ritornò a Napoli, ospitato dalla Marchesa Costanza Colonna. L’ultimo periodo della vita di Caravaggio è alquanto rocambolesco, in linea, del resto, con tutta la sua vita. Caravaggio, infatti, venne a sapere della possibilità che la sua condanna a morte fosse revocata dal Papa, Paolo V. Si imbarcò segretamente su un traghetto diretto a Porto Ercole, in Toscana voleva arrivare a Palo, in territorio papale ma, per errore, fu arrestato. Rilasciato, tornò a Porto Ercole nel tentativo di recuperare i suoi beni, compresa la tela che gli era necessaria come merce di scambio per la sua libertà. Ma purtroppo la sua nave era già ripartita. In preda alla febbre e alla disperazione per veder svanire le sue speranze di salvezza, Caravaggio vagò delirante sulla spiaggia di Porto Ercole, dove morì, a soli 39 anni, il 18 luglio del 1610. Pochi giorni dopo, giunse a Napoli la lettera che lo sollevava dalla condanna.

Roma. Scuderie del Quirinale “Mostra del Caravaggio”. Entusiasta di questo pittore ho deciso di andare a vedere la mostra e devo essere molto franca, sono rimasta sbalordita di come un uomo, un pittore del 1600, abbia avuto una tale forza espressiva, quei chiari scuri, da trasmettere a noi poveri mortali del 2011, l’energia di quei dipinti è tutta la sua potenza vitale. Mi sono emozionata davanti alla tela “Giuditta che taglia la testa a Oloferne” quelle figure che emergono dalla tela. Giuditta con la spada in mano che taglia la testa a Oloferne, il rosso vivo del sangue che sgorga copioso. Ho provato delle vibrazioni che mi hanno fatto accapponare la pelle. Caravaggio chiamato l’ombroso è stato un grande maestro del passato, ma grande nel vero senso della parola.


A RTE

CONTEMPORANEA

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Martellago, 17 gennaio 2011

“senza titolo” di Mario Zampierin

Commento Il pensare di Corte deriva dall’esperienza estetica, cioè attraverso i tre stadi dell’immaginazione: memoria, percezione e progetto (vale a dire passato, presente e futuro), da cui l’opera d’arte scaturisce come operazione tecnica che assume l’aspetto di oggetto privilegiato. È dal suo pensare artistico che Corte, con “Senza titolo” ci trasporta in un ambiente carico di spiritualità e di terrore, ove l’illusione dell’arte emerge in tutto il suo valore estetico, proponendo nella sua crudezza, il tema della vita e della morte. “Senza titolo” mostra lo sforzo con cui Corte indaga fino in fondo il significato penetrante del colore e lo traduce sulla tela con soave leggerezza unita ad un’inquietante alternanza tonale monocromatica sul tema del blu. Sulla campitura aggiunge inoltre una forma indefinita (bianca e nera) che s’inserisce nel contesto dell’opera come una componente che ne modifica il rigore estetico, l’equilibrio, provocando un senso d’inquietudine, che porta spontaneamente il fruitore a concentrarsi sul particolare indefinito, imprecisato. L’opera è contenuta all’interno di un riquadro nero che oltre ad essere, per natura, il colore classico, rappresenta un sentimento di solidarietà e di formalità: il riquadro funge anche da palcoscenico entro cui si compie l’atto della vita e dei suoi aspetti più terribili e tragici. Il nero è allo stesso tempo il colore dell’autorità e del potere, ma implica anche la sottomissione; simboleggia l’oscurità primordiale, l’inconscio, il vuoto, il male, le tenebre della morte. Se i colori hanno un senso, e in Corte questo senso c’è, allora ci troviamo di fronte alla realtà dell’evento tragico, della forza del male che ingurgita l’essere indifeso che innocentemente cercava, nello spazio legittimo della libertà la sua possibile compiutezza. La morte è inevitabile, a compimento dell’ineluttabile e incomprensibile destino che tutti accomuna. Corte con “Senza titolo” si astrae dalla realtà e attraverso lo studio degli elementi formali, attiva un processo di semplificazione e scomposizione delle forme, eliminando totalmente ogni preoccupazione rappresentativa, e ci racconta con i colori della tavolozza, la sua storia della vita, della predestinazione nella trasformazione della materia. Io vedo in quest’opera anche un contenuto subliminale legato alla speranza; cioè quello che oltre l’inganno, dietro l’agguato fatale, dopo l’inevitabile gabbia maligna della morte, possa, anzi deve esistere quella spiritualità che ci accomuna in un’unica energia, e che in Corte è rappresentata, nell’opera, dallo sfondo blu che simboleggia la purezza infinita che tutto monda, ed eternamente raccoglie in se stessa. (Opera di Riccardo Corte)


A RTE

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CONTEMPORANEA

Martellago, 24 novembre 2010

proposta per un organo muto di Mario Zampierin Commento

(Opera di Riccardo Corte)

Organo muto.

La musica, la scrittura musicale comprende una serie di segni grafici per indicare i valori di durata, sia del suono, sia del silenzio. I valori di durata dei suoni trovano corrispondenza con i valori di durata dei silenzi (pause), sicché ad ogni nota corrisponde una durata e una relativa, uguale pausa. Ora, da un punto di vista filosofico e concettuale, ossia dal punto di vista estetico e della trasmissione d’immagini, se un artista si pone il problema di trasferire in arte il concetto di silenzio, quale opera migliore di quella espressa da Riccardo Corte “Proposta per un organo Muto”, (omaggio a Cage) poteva riassumerne in sé l’essenza? Concettualmente il compito dell’artista deve essere quello non di riprodurre la realtà, perché la realtà è già opera della natura, ma di operare oltre la realtà, vale a dire, fare quello che la natura non ha potuto o voluto fare, questo è il significato vero dell’arte, a cui un artista deve tendere. Ebbene questo compito di creazione, è stato, a mio parere, assolto egregiamente da Riccardo Corte. Nel suo gesto creativo Corte, sfidando la logica e le leggi dell’acustica, è andato oltre ogni immaginazione, concependo una macchina che, attraverso la tecnica della composizione, produce silenzi (pause) musicali. La sua arte, sempre improntata al massimo rigore simmetrico, incarna elementi che vanno dal dadaismo di Duchamp, a quella forma particolare di montaggio propria delle opere di Schwitters, che costituiscono una particolare declinazione del dadaismo stesso, ma che in Corte assumono un valore di funzionalità e di evidenziazione degli opposti. Che dire? un’idea geniale, ben oltre ogni possibile fantasia. Nel titolo Corte dice che la sua opera è un omaggio a Cage, compositore statunitense, uno dei musicisti più innovativi della musica moderna contemporanea. Difatti egli dice: “…il silenzio è una condizione del suono, anzi, è il più sublime dei suoni. È quindi materia sonora a tutti gli effetti, sottolinea e amplifica i suoni, li rende più vibranti, ne preannuncia l’entrata, crea suggestivi effetti di attesa e sospensione, può addirittura invadere il linguaggio”. Il concetto del silenzio (come condizione del suono), è valido anche in letteratura: servirsi del silenzio come mezzo espressivo è indispensabile per far risultare eloquente il


A RTE

CONTEMPORANEA

senso di una frase. Il silenzio, il non detto, è dunque pieno di potenziale significato, e non soltanto in musica o in letteratura. Corte ha costruito la macchina del silenzio, ma solo per rispetto a Cage l’ha chiamata “Organo muto”, al posto del più appropriato titolo “Macchina per la produzione del silenzio”. Se ci lasciamo andare con l’immaginazione, quest’opera ci porta in una dimensione cosmica, ci fa pensare agli spazi immensi dell’universo, dove a dominare la scena della trasformazione della materia non è lo stridore assordante, ma il dilagante silenzio perpetuo; allo stesso tempo Corte ci ripropone, con il suo “Organo muto”, il tema della ineluttabilità della fragilità dell’uomo, quell’uomo che dopo il chiasso della vita terrena dovrà con rassegnazione accet-

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tare la condizione della sua debolezza impostagli dalla “Macchina della natura” che, ad un certo punto della partitura universale, fatalmente, per ognuno, suonerà la nota del silenzio. Concludendo, si può tranquillamente affermare, per quanto pronunciato da Cage, che Corte ha costruito la macchina che esprime il più sublime dei suoni: il silenzio. Ma se il silenzio è il più sublime dei suoni, la macchina che lo produce si pone ad un più elevato livello concettuale, rivelandone la natura creatrice propria dell’arte. Se Back fa dell’organo lo strumento che per eccellenza esprime la potenza del sublime, Corte crea l’organo che esprimere l’immensa estensione tonante (in uno spazio smisurato), del silenzio sublime descritto da Cage.

L’arte contemporanea A corredo e chiusura dei commenti sulle opere di Riccardo Corte: “Proposta per un organo muto” e “Senza titolo”, è scaturita questa, del tutto personale, esposizione sull’arte contemporanea che spero giunga gradita. L’arte, quando si esprime unicamente (o quasi) con i colori e attraverso l’indistinzione della forma, predispone maggiormente ilsoggettofruitorealcontattoconl’anima,conciòchedipiùspiritualec’èinnoi,equindidovenonarrivaimmediatalacomprensione, per mezzo della visione delle immagini, è il nostro intelletto che si predispone a una vista immaginifica e creativa. È proprio in questo senso che l’opera di Corte, astraendosi dalla realtà, ci propone l’immagine della morte nel suo aspetto più feroce, come Arte contemporanea. L’artecontemporanea,peralcuni,partedagliannisessanta(PopArt,NouveauRealisme,ecc.),peraltri,dalsecondodopoguerra (Espressionismo Astratto, Arte Informale, ecc.), per confluire nell’attualità, con artisti come: Joan Baldessari, Hector Zamora chehannopartecipatoalla53°esposizioneinternazionaled’arte,laBiennalediVenezia.Essaassumetuttigliaspetticaratteristici diunmododiconcepireilfattoartisticolontanodaivincoliristrettidiunostile(movimentoocorrente)benconsolidato,adoperando un linguaggio d’ampio respiro, che abbraccia tecniche diverse, anche in combinazione tra loro (classico esempio sono quelle forme particolari di montaggio proprie delle opere di Schwitters, “composizioni artistiche adoperando, oltre alla pittura ad olio, materiali usati di vita quotidiana”. Il concetto è: il materiale decontestualizzato dall’uso pratico, non perde la sua caratteristica formale, siccome l’arte è forma, esso assume valore artistico). L’opera contemporanea di Corte (riprende alcuni aspetti della metafisica e dell’informale anche se una certa forma traspare) è, a mio parere, in grado di catturarci e di farci rivivere emozioni (come se fossimo presenti sulla scena del misfatto) cariche di spontaneità e verità difficili da avvertire nell’arte figurativa; nella sostanza Corte (anche se ci priva della visione della realtà che porta verso il sensibile) ci predispone all’emotività e lascia se stesso, svincolato dal rigore della forma, la più ampia libertà d’espressione emotiva, che solo la purezza del colore (materia non corruttibile) può trasmettere. Oral’artecontemporaneaequellafigurativaonaturalisticasipongonosuunpianod’assolutaidentitàrispettoallafunzionepropria dell’arte stessa: ritrarre la natura, il vero. La mimesi (o imitazione della natura), secondo Aristotele, deve intendersi nel senso non di rifare ciò che la natura ha già fatto, ma fare quel che la natura avrebbe potuto fare e non ha fatto. In altri termini, ogni arte implica la facoltà di far venire all’esistenza una di quelle cose che possono sia essere che non essere ed il cui principio è in chi produce e non nella cosa prodotta. La spiegazione di questo concetto è di fondamentale importanza rispetto al fatto che l’arte contemporanea di Corte non deve essere intesa in senso antinaturalistico; essa si pone, come l’arte figurativa, il problema dell’imitazione della natura o mimesi, intesa in senso aristotelico. La differenza fondamentale che distingue l’arte contemporanea da quella figurativa (anche se non è raro trovare nell’arte contemporanea influssi figurativi: penso a Balthasar K³ossowski de Rola detto Balthus e Lucian Freud) sta nel linguaggio adottato, che si esprime con tecniche che cercano di ridurre all’essenza il disegno e usa il colore e altri componenti, oggetti di vita quotidiana ready-made (traducibile come istantaneo, “detto fatto” di Duchamp), come manifestazione delle emozioni e delle componenti ludiche, ironiche e simboleggianti suscitate dalla natura. Difatti, davanti ad un quadro contemporaneo (come quello di Corte) non si riflette, ma si gode dell’emozione che la sua pittura trasmette: ansie, coinvolgimento in uno stato d’animo partecipativo del fatto, che ci cattura, che ci fa rivivere, probabilmente, le stesse emozioni da lui provate.


R ACCONTI

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L’incontro

Lungo le Zattere – Al calar della sera di Valter Fontanella

Qualsiasi rassomiglianza con fatti o persone realmente esistenti non può essere che puramente casuale.

Le Zattere - Punta della Dogana

“Accidenti!” grida quasi, e scarta svelto verso sinistra. Non è stato rapido a sufficienza però. “Ma perché non guardi dove vai, brutto stron...” comincia a dire a mezza voce, abbastanza infuriato. Subito però ammutolisce e si ferma. L’ha riconosciuta. Con un attimo di ritardo, ma l’ha riconosciuta. Per poco non investiva la cicciona. Ha evitato di finirle rovinosamente addosso proprio per un soffio, pensa sollevato. Comunque la colpa sarebbe stata tutta sua, perché non stava attenta a dove andava. Caspita, una non può andare in giro così, a casaccio, come una stordita, una balorda, una sconsiderata, senza prestare un poco di attenzione almeno a dove la portano quei piedi da papera che si ritrova. E subito si sforza di trattenere la risatina che gli viene spontanea all’immagine di lei dotata di grandi piedi da papera. Poco meno di un’ora prima Alberto Carraro era uscito di casa in tuta e scarpette da corsa e si era incamminato con un bel passo elastico verso le Zattere. Dopo il pomeriggio ventoso e corso da grosse e nere nubi temporalesche, la giornata, mentre si avviava lenta al tramonto, aveva improvvisamente acceso i suoi rossi bagliori e le poche nubi residue si erano d’un subito incendiate. L’orizzonte ripulito aveva mostrato nettamente i contorni dei bassi e lontani Colli Euganei, ben visibili oltre le sottili, nere e inquietanti sagome geometriche delle strutture industriali di Porto Marghera e Fusina. Giunto alle Zattere, Alberto aveva cominciato a correre piuttosto lentamente, per dare tempo e modo alla muscolatura di riscaldarsi adeguatamente. Soltanto quando una leggera sudorazione lo aveva avvisato che il suo organismo era pronto e disponibile alla tensione della corsa, aveva allungato un poco, ma assai decisamente, la falcata e aumentato il ritmo del passo, fino a raggiungere con sicurezza e costanza l’andatura veloce, energica e sciolta che ormai gli era diventata normale e istintiva. Quando aveva cominciato a rallentare un pochino, la corsetta serale era ormai giunta per la seconda volta al giro di boa, al giro ormai rituale intorno al verde lampione posto proprio alla fine della Punta della Dogana, il punto dal quale ogni altra volta era iniziato il ritorno definitivo verso casa. Terminata l’ora di corsa, sarebbe di nuovo passato a una camminata a passo


R ACCONTI tranquillo, ma pur sempre sostenuto, per rilassare i muscoli, fino a quando il corpo non avesse finito di traspirare abbondantemente e si fosse alquanto raffreddato. Soltanto allora sarebbe rientrato in casa. Più tardi, dopo una bella doccia, per lavare sudore, fatica e tensioni, si sarebbe dedicato, da celibe esperto e raffinato buongustaio quale era, alla nobile arte della cucina. In altre parole, avrebbe provveduto con calma alla solita, rapida cena a base di pastasciutta e di qualcos’altro. Di che cosa? Mah, ci avrebbe pensato quando il momento fosse venuto. Oppure poteva sbrigarsela alla svelta con una gustosissima scatoletta di tonno e una ricca insalata mista. Non sarebbe certamente stata la prima volta che lo faceva. La serata mite e ancora luminosa avrebbe invitato a continuare la corsa con una certa larghezza generosa nei tempi e nelle distanze, e invece si era costretto a rispettare con gretta meschinità i tempi previsti dalla tabella di allenamento, che era stata compilata, e successivamente modificata e adattata a nuove condizioni fisiche, seguendo i preziosi consigli di Luigi Grandesso. Da sempre un grande amico e uno spirito ameno, un tempo Luigi era stato anche un grande e temibile avversario in pista. Adesso, passato il tempo delle gare giovanili, era diventato il tenace, appassionato e abile allenatore di giovanissimi talenti, che sperava di trasformare in campioni di mezzofondo. Alberto sa bene di avere ricominciato a correre da troppo poco tempo. Dunque, si ammonisce severo, non può ancora concedersi impunemente di imporre al suo organismo tempi più lunghi e ritmi più serrati di corsa, anche se il suo corpo già potrebbe sopportarli senza ribellarsi. O, per lo meno, si ribellerebbe soltanto un poco. Ma anche di questo ormai si sente veramente sicuro, che riuscirebbe a domare facilmente quella ribellione, rallentando di nuovo, e magari soltanto un pochino, il ritmo. Quando era uscito di casa si sentiva proprio bene, rilassato e quasi in piena forma. In corsa il passo era elastico, sciolto, leggero e ben equilibrato. E ben coordinato era anche il movimento delle braccia. Il respiro tendeva a rimanere controllato anche sotto sforzo. Inoltre, la serata era dolce e affascinante e

28 offriva gradevole distrazione con i colori caldi del tramonto e i lontani suoni cristallini nell’aria fresca, pura e limpida della primavera. Il paesaggio urbano era quello unico e incantevole del Canale della Giudecca e poi, al giro di boa, quello del Bacino di S. Marco, con tutto lo splendido scenario che vi si affaccia. Se si fosse lasciato andare all’istinto del momento, avrebbe potuto tranquillamente continuare a correre ben più a lungo del solito e senza grande sforzo. Lo sentiva. Si era invece imposto di rispettare con rigore i tempi previsti dalla tabella e, raggiunta per la seconda volta la Punta della Dogana e fatto il consueto giro intorno al verde lampione che la orna, mentre abbracciava con un rapido e amorevole sguardo il bacino di S. Marco, aveva deciso di tornare definitivamente indietro per avviarsi quindi, e senz’altro, verso casa, evitando perciò di cedere alla tentazione di allungare il percorso. Ecco, ora doveva lasciare la Fondamenta delle Zattere e imboccare la calle che lo avrebbe riportato verso casa. E allora, proprio nel momento in cui, ancora a buona andatura e senza quasi rallentare il ritmo della corsa, girava svelto e sicuro l’angolo per entrare nella calle, si era quasi scontrato con quella sciagurata incosciente, la cicciona tutta sudata, rossa e affannata, che stava per girare lo stesso angolo dalla parte opposta e in direzione inversa. La casa all’angolo, purtroppo, gli aveva impedito di vederla con un anticipo sufficiente a scansarla del tutto e con tranquillità. Non sapeva bene come, però era riuscito comunque a evitare, seppure di un soffio, lo scontro frontale con la cicciona. Le traiettorie però sarebbero state perfette per un impatto distruttivo, almeno per lui, viste le abbondanti dimensioni corporee di quell’altra e la sua notevole massa d’urto, indubbiamente ottima durante una mischia in una partita di rugby. L’aveva scansata per miracolo e si era proprio spaventato, anche per l’errore che lui stesso aveva commesso. E subito aveva provato disagio e preoccupazione. Se dietro l’angolo della casa invece di quella ci fosse stato un fragile vecchio dal passo impacciato e instabile, oppure un bambino imprevedibile nei movimenti, anche un urto di poco conto avrebbe potuto avere conseguenze ben di-


R ACCONTI verse. Meglio non pensarci, ma ricordarsene per le prossime volte. Doveva ripromettersi di non commettere mai più quell’errore. Mai più doveva rasentare l’angolo e imboccare alla cieca e in velocità la calle. Altrimenti correva il rischio per davvero concreto di travolgere un ignaro passante. In precedenza, tutte le altre volte aveva smesso di correre lungo la Fondamenta, dove era facile controllare i movimenti dei passanti, e poi, camminando, aveva imboccato la calle. Questo era un modo di agire sensato e responsabile. Perché questa volta invece si era comportato diversamente? Ora aveva toccato con mano quali potevano essere le conseguenze di un simile comportamento da irresponsabile. Solo per un miracolo era riuscito a evitarla, scartando veloce di lato. Soltanto le loro braccia si erano toccate rudemente. Eppure si era sentito, e si sentiva, per davvero molto poco in colpa. Lei, mentre finiva di percorrere la calle e imboccava la Fondamenta delle Zattere, girando verso la Punta della Dogana, di dove lui veniva a passo sostenuto, si era tenuta tutta sulla sua sinistra, nello stesso momento in cui lui imboccava con decisione e velocità la calle, tenendosi però tutto sulla sua destra, ovviamente. Eppure si era in una città di mare e quella cicciona avrebbe dovuto conoscere la vecchia norma di comportamento in mare che dice “rosso al rosso, verde al verde, avanti pur che la barca non si perde”, e dunque starsene sulla sua destra. Un solo attimo di incertezza, un piccolo errore di calcolo nel rapido passo laterale subito dettato dall’istinto, una minore capacità di reazione di una muscolatura un poco più stanca e meno reattiva, e la collisione frontale sarebbe stata piena e catastrofica. Per entrambi? Per lei, chissà, forse, probabilmente. Ma per lui, e su questo non nutriva nessun dubbio, lo sarebbe stata di sicuro. Per fortuna non si era verificata. Se disgraziatamente fosse avvenuta, lei, uscitane in condizioni di sicuro migliori, si sarebbe magari sentita in dovere di rianimarlo mediante respirazione bocca a bocca ed energico massaggio cardiaco, frantumatore di ben costruite casse toraciche. C’era di che essere scossi da brividi di terrore al solo pensiero di una simile, angosciosa eventualità. Anche lei si era spaventata. Alberto l’aveva

29 vista alzare il viso proprio nel momento in cui giungeva all’angolo della casa da cui lui era istantaneamente sbucato piuttosto velocemente. Quando lei all’improvviso se lo era visto arrivare addosso, aveva spalancato gli occhi e la bocca, sorpresa e impaurita, e insieme aveva lanciato uno strillo con la sua voce acuta di donna. Lui intanto, con lo sguardo teso in avanti e più attento al percorso, aveva già fatto istintivamente il rapido passo laterale, verso il centro della calle, verso l’inopinata salvezza. Si era spaventata, ma non ha detto nulla, non ha cominciato a inveire come aveva fatto lui, ha dimostrato più educazione, senza dubbio. E lui comincia già a provare rincrescimento per la parola offensiva che istintivamente gli stava scappando di bocca. Forse lei se la meritava, ma è lo stesso una parola che una persona educata non dice a una donna. Magari, ecco, si può forse concedere che perfino una persona educata la possa anche pensare, ma soltanto in certe circostanze particolari. E questa sicuramente non lo è. Quella giovane donna non era del tutto sconosciuta. Più di qualche volta gli era capitato di vederla correre pressappoco alla sua stessa ora, lei pure sempre da sola. Si era anche permesso di ridacchiare mentalmente a quella vista, che trovava piuttosto divertente. Ecco una che voleva proprio, e doveva, dimagrire, aveva pensato, e ce la stava mettendo tutta per farlo, poveretta lei. Chissà con quali risultati poi, così affannata come era ogni volta che la incrociava. Magari poi, una volta tornata a casa, recuperava la fatica e le calorie inutilmente disperse nei rivoli di sudore ingozzandosi di cibo e di pingui, teneri e consolatori dolcetti. Senza tenere conto di tutte le calorie in eccesso ingurgitate giorno per giorno con una dieta troppo ricca, che deposita sul corpo rotoli e rotolini e ciambelle di grasso, che insidia cuore e fegato. Perfino i capelli aveva rossi per lo sforzo evidente della corsa, quella poveretta. E ogni volta gli era venuto da ridacchiare per questa battutina mentale. Una battuta un poco sciocca in verità, a essere sinceri, si diceva subito dopo. Ma che poteva farci, se gli veniva sempre in mente con assoluta spontaneità, quando gli capitava di incrociare la cicciona, che ogni volta gli sembrava tanto affannata?


S PUNTI

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QUOTIDIANI

Carnevale di Milo Polles Sfumava la notte Il merlo ciarliero salta sull’erba chiazzata di neve beccando cose a lui soltanto note. La notte sfuma Sfilandosi dal vestito avanza nuda agli specchi compiaciuta sorridendo nel tepore del salone A memoria gode la rincorsa degli amanti notturni e consumati in reciproca soddisfazione tra danze a turbine e intervalli ardenti di voglia A riprese il falò dei sentimenti bruciò il botto di ogni razzo. Carnevale! Scherzi e lazzi Motteggiano audaci le femmine ma canta lene una, staccatasi.

I maschi per vino speziato ridono, sonori, ammiccando al vuoto con cori già passati – eppure sonnolento il tono roco scava per un affratellamento; non sempre dritto, sussultando si sgancia qualcuno presto dissolto dalla nebbia spessa. Carnevale carnevale! L’albore a sguincio modula un cielo di panna sporca, estesa. Il merlo nero occhieggia nervoso temendo l’agguato e vola altrove portando il piacere guastato Altri uccelli (come ragazzini in gioco) saltellano beccando rimasugli della notte sull’erbe chiazzate di neve

NOTA: Carnevale. Manifestazione sociale e temporale, periodica annuale, cadenzata attraverso le lunazioni alla fine dell’anno astrale precedente la prima luna di primavera! Insomma è un passaggio, un transito fra la eliminazione del precedente e i desideri a venire da attuare. E, qui, scoppia la festa, temporanea, con tutte le sue varianti; infine ti rimane il futuro da conquistare. Periodo proveniente dai SATURNALI, celebrati nella Roma antica precristiana (dal 17 al 23 dicembre): Roma le conquiste romane il mondo latino Colombo le conquiste spagnole e portoghesi. La Sovrapposizione e commistura ad altre forme di carnevale: mangiare, bere, godere…, ironizzare!


T ESTIMONIANZA

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Un gigante della fotografia

Fulvio Roiter di Stelio Fenzo

Fulvio Roiter è ritenuto “il fotografo di Venezia” ed è conosciuto dai più soprattutto per le foto che la ritraggono.

Fulvio Roiter

Sabato 18 dicembre 2010 alle ore 11 circa dentro il bar dell’albergo “Bologna”, davanti alla stazione ferroviaria di Mestre sto aspettando un vecchio amico: FULVIO ROITER. La sera precedente, per telefono, mi aveva comunicato che sarebbe venuto all’appuntamento con gli alunni della scuola “Giulio Cesare” al cinema Dante, provenendo da Reggio Emilia dove la sera prima aveva tenuto un incontro con quei cittadini illustrando non so quale dei suoi libri fotografici. Appena arrivato Fulvio mi dice che l’incontro si era protratto fino alle due di notte ma che era stato molto interessante. Ora quest’uomo di ottantacinque anni che ha questa forza per affrontare dopo una notte piuttosto movimentata la sala di un cinema pieno di studenti mi affascina. In sala tutto è pronto: il prof. Gianfranco Peretti e l’amico Giancarlo Brocca sono pronti per riprendere la manifestazione con le videocamere. Entrano gli studenti e la prof.ssa Gabriella Mazzone, Preside della scuola “Giulio Cesare”, inizia presentando il grande fotografo con il timore, come più tardi mi ha confessato, che gli studenti possano stancarsi ad ascoltarlo. Io sono stato incaricato di presentare Fulvio Roiter e pertanto leggo poche righe che mi ero preparato e sono esattamente queste: Sono Stelio Fenzo ed ho il piacere di presentare un grande fotografo. Un fotografo di fama mondiale: FULVIO ROITER. Un ARTISTA. Fulvio Roiter è nato a Meolo il 1° novembre 1926 e vive al Lido. Ha esordito nel 1954 con un volume in bianco e nero su Venezia (Venise a fleur d’eau), primo libro fotografico di autore italiano. Nel 1956 vince la seconda edizione del Premio Nadar con il libro “Ombrie”, edito per le éditions Clairefontaine. Ha in seguito compiuto numerosi viaggi, dai quali sono scaturite oltre 70 pubblicazioni. Fulvio Roiter è ritenuto “il fotografo di Venezia” ed è conosciuto dai più soprattutto per le foto che la ritraggono. Ricordo “Venezia Viva”, nel 1973. Poi “Essere Venezia” (1977), “Laguna” (1978), “L’Oriente di Venezia” (1980) e “Carnevale a Venezia” (1981). Le foto di Roiter sembrano semplici e perfette; talmente semplici, talvolta, da far pensare “Questa potevo scattarla anch’io”. Talora ci ho provato anch’io, ma . . . . Ma per non rubare del tempo prezioso lascio che sia lui stesso


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32 prof.ssa Gabriella Mazzone, Preside della scuola “Giulio Cesare di Mestre”

Alta marea in Piazza San Marco

a raccontarci la vicenda della sua vita e a commentarci le foto che gentilmente ci ha portato e che verranno proiettate grazie all’aiuto del prof. Gianfranco Peretti.

due raccolti, facevi la fame. Ma per me il desiderio di arte era il vero riscatto».

Ed ora un po’ di cose su questo gigante della fotografia:

«Mio padre mi regalò una Welta alla fine della scuola media e poiché abitavamo vicino alla campagna, ho iniziato a fotografare la natura. Ma io avrei strappato dal collo una Laica a un tedesco! Era la mia macchina dei sogni ma costava dieci volte la Welta… Allora, visto che il mezzo era quello, ho tirato fuori tutto il possibile dalla mia macchinetta. Per guadagnare, poi, facevo soprattutto matrimoni e funerali. La prima volta che ho fatto le foto a un matrimonio decisi di svilupparle da solo. Mi chiusi in camera da letto, studiai i prodotti, cercai di gestire l’iposolfito e misi tutto al buio. Ma sbagliai i tempi di esposizione e… niente foto!».

La prima fotografia è stata scattata nel 1949 sul litorale veneto ed è in bianco e nero. L’ultima, a colori, è datata novembre 2007, realizzata durante la biennale d’arte di Venezia. Fulvio Roiter, il fotografo del rigore formale e della ricerca del bello, mette in mostra un distillato di cinquant’anni di lavoro, alla Galleria BelVedere di Milano. Dal titolo «Infinita Passione», la raccolta di immagini spazia da quelle più famose scattate a Venezia durante il carnevale (tra le gondole e le calli), ai reportage a colori, realizzati in Messico, Egitto, Costa d’Avorio, Iran e Brasile. Il fotografo di Meolo, cittadina a trenta chilometri da Venezia, è cresciuto nel dopoguerra tra quelle riflessioni che legavano la fotografia all’arte contemporanea, anche grazie alla frequentazione del circolo «La Gondola» di Paolo Monti. Le sue immagini in bianco e nero hanno un rigore formale che rimanda alla fotografia francese di Cartier-Bresson. Quelle a colori ricercano la perfezione nella variazione cromatica, attraverso l’occhio di un amante del viaggio. Domande di un’intervista a Fulvio Roiter: Da diplomato in chimica, come è arrivato alla fotografia? Era mio padre che smaniava perché diventassi perito chimico: a Marghera c’era molto lavoro in questo campo. La mia famiglia veniva dalla campagna e nel dopoguerra se andavano male

Quando ha iniziato a fotografare?

Poi ha imparato… «Sì e ho sempre fatto tutto io: scatti, sviluppi e stampe. Oggi con il digitale siamo arrivati a ridurre il tempo d’inerzia, quella frazione di tempo dell’attimo straordinario, decisivo. La fotografia cattura l’attimo fuggente». Cartier-Bresson teorizzava l’istante decisivo. «Sì, infatti. Ma ci vuole anche l’occasione giusta. Cartier-Bresson capitò in India durante i funerali di Gandhi: la vita è casualità e mistero. Se uno sta a letto non fa niente. Veda peresempiolatragediadeldirigibileHindenburg. Il famoso Zeppelin tedesco pieno di idrogeno che nel ’37 attraversava l’oceano in cinque giorni: il giorno che prese fuoco mentre stava atterrando nel New Jersey ha dato l’occasione a molti reporter. Le immagini scattate dal


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33 Il grano delle Assicurazioni Generali a San Marco

Piazza San Marco

E il circolo «La Gondola»?

fotografo che era lì sotto hanno fatto il giro del mondo! Il merito è esserci. Il valore del fotografo è relativo, ha bisogno dell’avvenimento». Ma le sue fotografie non sono solo di reportage. «Mi ha sempre affascinato la quotidianità, quello che noi chiamiamo il banale, che ci portiamo dentro. Non esiste un prontuario delle cose che si possono fotografare: è la realtà che ci sorprende. La differenza è quando e come. Bisogna avere una specie di terzo occhio, la capacità di coordinare il cervello e l’occhio». La foto più antica in mostra è del 1949 ed è dedicata a Paolo Monti, perché? «Il fondatore del circolo “La Gondola” di Venezia per me era come un padre. Quando l’ho conosciuto lui aveva 45 anni e io 23. Non aveva figli e mi apriva la sua casa piena di libri di tutti i tipi, per me tutti interessanti, dai romanzi ai saggi. Amavo la sua cultura. Io in campagna ero isolato mentre a Venezia leggevo le riviste, viaggiavo con la mente. La fotografia, poi, era il mezzo del nostro tempo. Ho scattato la fotografia alla conchiglia sul litorale veneziano, quel giorno, insieme con Paolo Monti. Andavamo in giro per cercare particolari e quella conchiglia l’ho scelta con lui».

«Il circolo era importante per parlare, scambiare idee. C’era una riunione ogni giovedì e la prima volta che sono andato mi sono fatto dare i soldi da mio padre per dormire fuori. Ma le volte successive non potevo permettermelo e allora a mezzanotte andavo alla stazione e dormivo sul treno. Allora il treno era già sul binario dalla sera anche se partiva la mattina. Dormivo in prima classe, sui velluti rossi e appena sentivo il movimento del motore mi spostavo in terza per arrivare prima del controllore a pagare il biglietto». Come ha conosciuto l’editore Guilde du Livre? «Quando ho finito di perlustrare il mio territorio e non c’era un metro quadrato che non conoscevo, sono andato in Sicilia. Era il ’53. Al ritorno ho messo 40 foto in un pacco e l’ho mandato a Guilde du Livre, l’editore svizzero del quale avevo visto alcuni libri pubblicati. Ho aspettato la risposta per giorni e quando la lettera è arrivata non osavo aprirla. Avevo sentito al tatto che aveva più di un foglio: l’editore scriveva che voleva pubblicare le foto per un libro sui bambini. Per l’emozione quel giorno non sono riuscito a mangiare! Risposi subito che stavo partendo per il nord Europa con lo scopo di fare un reportage e potevo passare per la Svizzera per incontrarlo. Non era vero ma prontamente partii e andai a trovarlo. Arrivato a Losanna a luglio, trattai per fare le foto a Venezia e così realizzammo il libro “Venise à fleur d’eau”, uscito nel ’54, che ha venduto 15mila copie. Per un mese andavo a Venezia dalla mattina alla sera, con il treno ci volevano 45 minuti dal mio paese. La foto di quel treno è a pagina 36 del catalogo (Fulvio Roiter, “Infinta Passione”, edizioni BelVedere-


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La barca dei morti

mente veneziana. I sei gradini che scendono al mare sono mezzi puliti e mezzi verdi e danno l’idea della marea. La linea del molo è rigorosa e divide in due la terra dall’acqua. Ma con la stessa attenzione si può esprimere anche la Pampas argentina. Non bisogna conoscere per forza un luogo. Io di solito raccolgo più materiale possibile, ma il primo impatto è quello che crea le immagini migliori. Una buona foto dipende dalla fortuna e dalla luce. Le cose partono da dentro».

Electa, ndr). Per me i libri sono sempre stati migliori di una mostra, perché arrivano a New York, Parigi, girano ovunque». Lei pensa che la fotografia sia un’arte minore? «È il linguaggio del nostro tempo e ha una forza immediata. Anche un analfabeta può leggere le immagini, la politica l’ha capito subito. Se ci fa caso i bambini davanti alle fotografie si ammutoliscono, ne vengono catturati, la fotografia ha il potere di sedurre». Un consiglio a un giovane fotografo? «A un giovane fotografo direi: il bianco e nero è importante per imparare. Il processo creativo è globale, si parte dal cervello, si passa allo scatto e poi alla stampa. Con il colore è diverso. Solo quando la foto a colori esalta il cromatismo diventa efficace, ha un forte impatto. Guardi la mia fotografia scattata a Venezia, all’Arsenale, nel novembre 2007: lì dentro c’è tutta la città con il suo significato. La luce è espressa a puntini sull’acqua, tipica-

“Io sono stato geneticamente programmato per fare il fotografo” dice Fulvio Roiter. “Da bambino mi affascinavano le macchine, la Leica, la Contax che vedevo nelle pubblicità di ‘Vie d’Italia’ e ‘Vie del mondo’. La prima che ho avuto, un regalo di mio padre come ho già detto, era una Welt e costava 600 lire; un decimo di quanto avresti pagato una Leica, che era uno di quegli oggetti da piacere fisico, ad avercela fra le mani. Fotografavo senza logica e senza tecnica, con il ventre... Sa come dice Céline: ”Scrivere con le trippe”, ecco, era la stessa cosa. Avevo vent’anni, intuivo, ma non sapevo spiegare il perché. Adesso che ho superato i settanta (al tempo dell’intervista), ho lo sguardo di allora e l’esperienza dell’età. Dicono che l’abitudine distrugga l’occhio: dove vivi finisci con il non vedere niente. Può darsi, ma non vale per me: mi salva l’emozione, sono ancora in grado di emozionarmi, e la curiosità delle persone, delle cose, dei paesaggi. Il tempo mi ha insegnato a scremare: nelle immagini cerco l’essenzialità, che è un grado di scrittura. Prenda i quadri di Emilio Vedova: se ne tagli metà, non te ne accorgi nemmeno. Io,invece, sono per l’asciuttezza”. Un’immagine rende meglio di una spiegazione. Di là dal vetro punteggiato di gocce di pioggia, si profila l’isola di San Giorgio: a sinistra


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Squero di San Trovaso

s’innalza il campanile sistemato nel 1791 da Benedetto Buratti, e ne indovini la sagoma e ne intuisci il color ruggine dei mattoni. Al centro, la chiesa innalzata dal Palladio. Il grigioverde del mare sembra debba confondersi con quello del cielo, e San Giorgio potrebbe essere un veliero alla fonda o naufragato in laguna. La foto fa parte di Essere Venezia, il terzo dei libri che Roiter ha dedicato al capoluogo veneto, il primo interamente a colori. Se invece di perder tempo con Toscani, Cacciari avesse frugato nella libreria di casa, avrebbe trovato ciò che dà la fragilità e l’unicità della città di cui è sindaco, ne compendia grandezze e miserie. “Io ho stima per Oliviero Toscani, ma Venezia in quella sua campagna pubblicitaria non la vedi. Ci sono due cani che si accoppiano, una pantegana... Anche New York ha i cani e le pantegane... Dicono ‘un modo per richiamare i problemi’. Sarà... Quel che è certo è che io i ‘problemi’, una parola da intellettuali che oggi va tanto di moda, non li fotografo. C’è un filo di lana immaginario, oltre il quale si fa violenza, si mercifica il dolore. Non mi piace e non mi interessa. Passeggio con un amico, una signora anziana lo saluta, ci supera e lui mi fa. ‘Poverina, ha i giorni contati, leucemia’. Mi dispiaccio, ma penso che abbia avuto comunque la sua vita. Poi incrociamo una diciottenne: stesso rituale, anche lei, mi dice l’amico, è molto malata. E allora scatta la ribellione, vorrei mostrarne la bellezza, far capire che è in pericolo, spingere a cercare nuove cure, trovare il medicinale che la salverà. Ecco, per me Venezia è una bellissima ragazza nata alcuni secoli fa. Una ragazza di mare, e quindi più fotogenica e più fotografabile. C’è il riverbero, è immersa nell’acqua, ci sono giornate di tale trasparenza... Il significato letterale della parola fotografia è: ‘Scrivere

con la luce’. “Quel che cerco di fare, trovare attraverso la luce il significato. Naturalmente, non basta la macchina: non è l’obiettivo a suggerire, è l’occhio a vedere e a fare in modo che la macchina ubbidisca, traduca ciò che l’occhio ha visto. Insegnare a fotografare non è un problema, è insegnare a vedere che è difficile. L’ultimo libro di Roiter, appena uscito, (sempre al tempo dell’intervista) si chiama Viaggio italiano (Rizzoli editore), 311 scatti da un capo all’altro della penisola. “Sull’Italia avevo un materiale formidabile, frutto di un quarto di secolo di spostamenti. Il titolo giustifica le scelte, è soggettivo, racchiude ciò che ho visto. Io faccio racconti per immagini. Ho cominciato da professionista, nel 1953, avevo 27 anni, vivevo a Meolo, per fare contenti i miei avevo studiato chimica, mi ero specializzato in idrocarburi. Non c’era metro quadrato del mio paese che non avessi fotografato... Ma per mio padre quello non era un mestiere serio. Feci un patto con lui: andare in Sicilia per un mese, a vedere e a fotografare. Se da quel viaggio fossi uscito come un fotografo in grado di campare con il mio lavoro, bene. Se no, avrei ripreso con gli idrocarburi. Spedii la bicicletta a Palermo, bagaglio a mano. La recuperai alla stazione. Ho pedalato per duemila chilometri, in giro per l’isola, ho fotografato tutto quello che mi sembrava fotografabile. Tornato, ho mandato una scelta a ‘La Guilde du Livre’, la


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Mazorbo

casa editrice di Losanna che era allora il tempio sacro dell’immagine. L’ho accompagnato con una lettera, piena di scuse, di pudori, sa le lettere che si scrivono quando si è agli inizi, credi di valere qualcosa, ma non hai la controprova, non c’è nessuno che crede in te... Per un paio di settimane feci la posta all’ufficio postale: “Toni, gh’è niente per me? Niente Fulvio”. Poi un bel giorno, la risposta. Non so ancora l’inizio a memoria: “Monsieur, vous etes trop modeste”. Da allora non mi sono più fermato. Anni dopo, mio padre andò a cambiare un assegno in banca. “Ha un documento?” gli chiese l’impiegato. “Documenti? Ma se mi conoscono tutti qui a Meolo”. “Mi dispiace ma io sono nuovo e non la conosco, così come lei non conosce me.” “Infatti. Mi presento, ragionier Tovaglia”. Piacere, Roiter. “Roiter come il fotografo?”. “Sono il padre”. “Guardi, le cambio quello che vuole, ma mi deve far conoscere suo figlio”. La sera a casa mio padre mi fece: “Senti un po’, conosci un certo ragionier Tavoglia?” “Mai sentito nominare. Perché?” “No, niente”. A letto disse a mia madre, cui aveva già raccontato tutto: “Meglio non dirgli niente, visto mai, si monta la testa...” Il “non mi sono più fermato” di Roiter significa una trentina di libri: dalle incisioni preistoriche della Valcamonica alla Firenze sportiva, dall’Umbria di San Francesco alla Andalusia di Lorca, Machado, Unamuno, dalla Venezia a fior d’acqua a quella a fior di laguna o in maschera carnevalesca. Senza dimenticare il Brasile, il Messico, la Turchia, Bruges... Per Ombrie. La terre de San Francois, il suo secondo volume, prese il premio Nadar per la fotografia, che in

Francia è come il Goncourt per la letteratura e in Italia come lo Strega, quando lo Strega era ancora un premio. “Nadar, Un genio. I suoi ritratti, pensi a quello di Baudelaire, per esempio. I soggetti dovevano star fermi, immobili, per almeno due minuti. Provi oggi a tenere uno in posa per 120 secondi, e vedrai che faccia da fesso vien fuori. Lui invece tirava fuori l’anima. Allora la fotografia era agli esordi, oggi abbiamo macchine sofisticatissime e pellicole ultrasensibili con cui puoi fare tutto. Eppure, con un milione di immagini al giorno non c’è l’Immagine che Nadar riusciva a condensare in una posa”. Ragazzo, durante la guerra, Roiter ha attraversato ricostruzione e boom, anni di piombo e anni di latta a passo di carica, ma senza troppe illusioni. “Mezzo secolo di ideologia schiantano un tedesco, figuriamoci un italiano. Poi c’è stata la grande menzogna del linguaggio: nessuno come i comunisti ha saputo barare con le parole. Il mercenario che si trasforma in volontario, l’agente speciale in consigliere, il libertario derubricato a provocatore, chi è in disaccordo a controrivoluzionario... Risultato: non sappiamo più chi siamo. C’è il benessere, sì, ma non c’è il tessuto civile che fa la dignità di una nazione. Per cui c’è la compiacenza della miseria, la pietà a buon mercato, quel titillare il basso, il volgare che esiste nell’animo umano, nei singoli come nei popoli. Io invece credo alla virtù terapeutica del bello, al suo valore taumaturgico. Un giorno mi ha scritto una signora da Napoli: il marito operato di tumore e che non ha più gusto per la vita, sempre più chiuso in se stesso. Unico spiraglio, l’amore per la fotografia, una passione per le mie. Vuole aiutarmi, essere mio complice? terminava, una lettera così bella asciutta e commovente che se sapessi scrivere così farei lo scrittore, mica il fotografo...


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Imbarcazione “Caorlina” con vogatori

Be’ per farla breve ho telefonato, sono stato loro ospite, ho visto una persona tornare a vivere. Negli anni, la famiglia si è allargata, è arrivato anche un figlio... Poi dicono che la fotografia non è magia. Lo è amico mio, ma ci vuole fede. La fede nella bellezza”. Dalla sua casa al Lido, dove abita con Louise “Lou” Embo, la bella moglie belga anche lei fotoreporter di fama (Tremiti, Vianello editore, con un testo di Tony Damascelli, firma che i lettori del Giornale ben conoscono, è la sua ultima fatica), l’autore dell’intervista se ne va portandosi via una fotografia. Consegnadomela Roiter la commenta così: “Prima si parlava dell’abitudine, del fatto che a forza di vedere sempre le stesse cose alla fine non ce ne accorgiamo più. ‘Belle comme la belle femme des autres’, diceva Morand per spiegare il meccanismo psicologico che ne è alla base: bella come le belle donne degli altri, della nostra non ce ne rendiamo più conto, ci sta sempre davanti agli occhi. Bene, tempo fa vado a Fossalta di Piave, dove Ernest Hemingway, ferito della Grande guerra, ricevette le prime cure. Un luogo che ho visto mille volte. Questa volta però erano sbocciati dei tulipani. Ho lasciato la casa sullo sfondo e, in controluce, ho messo a fuoco i fiori. Ecco, guardi i petali sembrano gocce di sangue, il sangue di Hemingway. Se le piace, gliela regalo”. L’ho già incorniciata.

un piccione che spesso appare nelle foto. Verso l’una l’instancabile Roiter finisce tra gli applausi di tutti, ma non finisce qui perché gli viene chiesto di soffermarsi ancora per firmare i diari di molti degli studenti che lo circondano. Alla fine ,mentre lo riaccompagno in auto verso Piazzale Roma, Roiter mi dice: “Stelio, quello di stamattina è stato forse uno dei più begli incontri che ho fatto! Grazie!”

Questo è Fulvio Roiter! La mattinata al cinema Dante continua mentre sullo schermo appaiono le immagini del suo ultimo libro su Venezia: ”UNA VITA PER VENEZIA” e l’Autore commenta con entusiasmo immagine dopo immagine. Battimani del giovane pubblico quando lui annota la presenza di

Scala del Bovolo


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i danni del fumo a cura dell’Associazione A.O.I. M.d.V. (Mutilati della voce)

Tra gli obiettivi dell’Associazione A.O.I. M.d.V. (Mutilati della voce), l’impegno morale e civile di sensibilizzare ad un corretto stile di vita, riveste massima rilevanza. Noi laringectomizzati, testimoni “in primis” delle conseguenze nocive del fumo, abbiamo individuato nel mondo scolastico una via preferenziale di approccio, confidando che la nostra testimonianza, quale prova inconfutabile, possa valere più di mille raccomandazioni. La nostra Associazione, quindi, oltre all’attività istituzionale di volontariato presso gli ospedali della Regione Veneto e delle scuole di riabilitazione fonetica, promuove “Non bruciarti la vita”, una campagna educativa contro il fumo e per estensione e analogia contro l’alcol, la droga e le cattive abitudini alimentari. Il messaggio che si vuole trasmettere, anche tramite l’opuscolo informativo “Si possono realizzare i sogni?”, è di estrema attualità, data la drammatica realtà dell’aumento esponenziale del disagio giovanile. Nel 2009 abbiamo conosciuto il nostro “Virgilio”, il prof. Gabriele Stoppani, che ci ha introdotto e accompagnato nella scuola media “Giulio Cesare”, dove la dirigente prof.ssa Gabriella Mazzone ci ha accolto dimostrando un profondo e convinto interesse per la nostra iniziativa secondo lei pregna non solo di valori sociali ma anche di preziose indicazioni educative e formative adatte per i ragazzi studenti del mattino e per gli allievi adulti del CTP. Proprio a quest’ultimi è stata indirizzata la nostra ultima comunicazione. Particolare significato ha infatti assunto l’incontro che si è svolto il 13 aprile u. s. Coadiuvati dalla prof.ssa Luciana Milani: abbiamo intrattenuto studenti “speciali”, di età variabile tra i 16 e 40 anni iscritti al corso di recupero per la licenza di terza media. L’ampia “forbice” del gap generazionale, anzichè rappresentare una discontinuità comunicativa, ha rappresentato un’interessante “cartina di tornasole” con un ventaglio di potenzialità ricettive. Ma non abbiamo incontrato eccessive difficoltà nel proporre il nostro messaggio ad una “platea” di persone più strutturate l’approccio è stato positivo e lo svolgimento proficuo, grazie all’attenzione dei partecipanti preparati all’ascolto dai loro insegnanti. Il prof. Stoppani, con la sua presenza ha agevolato l’incipit dell’incontro ed ha sottolineato con puntuali interventi i passaggi più rilevanti, alla luce della sua più diretta cono-


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Allievi, adulti, dei vari corsi del CTP.

scenza del particolare mondo dei partecipanti. Riguardo a questo incontro, ma direi a tutti gli incontri intrecciati con le varie scuole, vorrei soffermarmi sull’aspetto dei danni del fumo “visti dalla nostra parte”, ossia “visti” da noi portatori del segno indelebile della conseguenza del vizio del fumo. Forse è un’utopia pensare di rompere la corazza della dipendenza, combattere contro un sistema psicologico e sociale che purtroppo ha sostituito i valori e le certezze, che non ha o che non trova, con la sudditanza al fumo, all’alcol, alla droga. Si prova spesso una sensazione di impotenza perché ci si rende conto di combattere “a mani nude” contro un terribile Cerbero subdolo e vorace. Ma basterebbe che un solo giovane buttasse via per sempre la sigaretta, per sentirci orgogliosi e motivati. Ci è stata posta

una domanda solo all’apparenza ovvia: «Perché si continua a fumare, sapendo che fa male?». Per una risposta più articolata sarebbe stata opportuna una figura professionale. Cosa di cui sentiamo spesso la necessità e cercheremo di provvedere. Per quanto ci riguarda, abbiamo risposto che la motivazione a smettere, nei casi più frequenti, è stata dettata dal più nobile e paradossalmente più altruistico degli egoismi: voler bene soprattutto a se stessi.

Le sigarette provocano danni anche alla vista. Gli oculisti della SOI – Società Oftalmologica Italiana, a seguito di numerosi Congressi Internazionali e scrupolose ricerche hanno allungato la già lunga lista dei danni provocati dal fumo di sigarette. Le sigarette ed il fumo prodotto da esse pare non danneggino “soltanto” bronchi, polmoni, cuore, arterie e numerosi altri organi, ma compromettano seriamente anche la vista. A contribuire al peggioramento della vista non ci sarebbe però solo il fumo di sigarette, ma anche l’abuso di alcol e di caffè, tanto che l’abbassamento della vista causato da questi fattori (fumo, caffè, alcol) assume un nome ben preciso: neurite alcolico-tabagica.


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Conferenza della prof.ssa Michela Bernardi

Stato sociale e libertà politica in Toqueville a cura di Mario Meggiato

“La democrazia è stata dunque abbandonata ai suoi istinti selvaggi; essa è cresciuta come quei bambini che, privi delle cure materne, crescono da soli nelle strade delle nostre città non conoscendo della società che i vizi e le miserie (...) il risultato è che la rivoluzione democratica si è effettuata nella materia della società, senza che si operasse nelle leggi, nelle idee, nelle abitudini e nei costumi il cambiamento necessario per renderle utile. Così abbiamo la democrazia senza avere tutto ciò che dovrebbe attenuarne i vizi e farne risaltare i naturali vantaggi; e alla vista dei mali da essa prodotti non ci rendiamo conto dei beni che può darci.” (Tocqueville, La democrazia in America)

Michela Bernardi, dell’Associazione “Alessandro Biral”, nel presentarci il suo libro: Stato sociale e libertà politica in Tocqueville, ci racconta che esiste un filo diretto tra il suo lavoro (a suo tempo presentato come tesi di laurea) e l’insegnamento del professor Alessandro Biral, suo insegnante e relatore: Biral svelava la realtà attuale senza esporre teorie, mostrando luoghi comuni che scontati non sono. Il lavoro di Alessandro Biral richiedeva pazienza e passione. L’intenzione di Michela era quella di approfondire il mondo della democrazia italiana confrontandolo con i principi di uguaglianza e libertà (teoria per eccellenza), ma tale metodo risultava ideologico ed astratto. Biral invece la invita a leggere Tocqueville (autore spesso frainteso perché si muove in una prospettiva che si scontra con le tradizionali interpretazioni storiche che la modernità ha della politica). E’ per questo che si immerge nello studio dei testi dell’autore francese ed in particolare del saggio La democrazia in America e successivamente L’Antico regime e la Rivoluzione, quindi studia autori come Otto Brunner e altri contemporanei interpreti di Tocqueville. La dimensione politica appariva immediatamente lotta fra gli uomini per la difesa di interessi diversi (compresa la competizione elettorale) All’interno delle democrazie improntate sul concetto di uguaglianza e libertà (e quindi di felicità) emergono invece differenze a volte dolorose e persine violente, non corrispondenti al concetto di Polis basata sull’amicizia. Tocqueville, profondo conoscitore di uomini, mostra che la democrazia non è una forma di governo, ma condizione sociale, all’interno della quale si manifestano le abitudini e le passioni degli uomini democratici. Essi non hanno una chiara visione della realtà e la democrazia si risolve in una “espressione di un modo di vita” Essi si trovano al buio e, proprio


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perché pretendono di spiegare il mondo unicamente con la ragione, perdono, in questo modo, la consapevolezza di sé. Tocqueville è convinto che proprio l’atteggiamento democratico fa rimanere l’uomo all’interno della caverna platonica: Egli, che non ama i libri, preferisce guardare le cose vive, senza mai elaborare teorie (come Biral). L’autore francese vede, paradossalmente, proprio nella democrazia il rischio della perdita inconsapevole della libertà da parte dell’uomo col pericolo di divenire addirittura schiavo; insistere sulle idee astratte, infatti, potrebbe comportare un oscuramento del pensiero e produrre l’incapacità di cogliere la vita di noi stessi. Occorre osservare oltre, per vedere le vere caratteristiche degli uomini e per prendere da essi il meglio. Senza essere un conservatore egli sostiene che non sono state le rivoluzioni a portare l’uguaglianza, semmai esse l’hanno “giustificata”. Il XIII secolo, infatti, sanciva la venalità delle cariche pubbliche e produceva quindi la vendita dei titoli nobiliari, con conseguente sconvolgimento dell’ancien regime: I ceti per nascita implicano un modo di essere, un’umanità distinta per classi. I diversi ceti interagiscono; costituiscono diverse parti, ma interdipendenti; anche all’interno della famiglia esistono le differenze che, insieme, costituiscono un tutto anche quando i cuori entrano in contatto ma non s’intendono, convivendo necessariamente nelle loro dipendenze. Tali rapporti si dissolvono con la vendita delle cariche nobiliari e con la nascita del “lavoro”. La divisione della terra tra i figli (terra che costituiva identità) diventa insufficiente alla sopravvivenza e porta l’uomo dall’essere al dover fare: per sopravvivere occorre dunque lavorare. Il lavoro fa perdere la propria identità, esso costituisce il mezzo per raggiungere la ricchezza che diviene fine ultimo. Si forma allora la piccola società (individualistica) che fa dimenticare la grande società con la conseguenza di porre in serio pericolo la nostra libertà producendo una reciproca estraniazione. La società si trova allora ad essere organizzata sulla base delle ricchezze: La

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stessa scuola viene vista come opportunità per raggiungere la ricchezza, tanto che la “sapienza” risulta essere uguale all’ignoranza; ignoranza così attualmente presente e, per certi versi, così diffusa, forse più che nei secoli passati caratterizzati dall’analfabetizzazione. Ecco allora che la caverna platonica potrebbe rappresentare, in qualche modo, la società democratica spezzata in ruoli espressi attraverso la specializzazione del lavoro; l’uomo che lavora non esprime la persona nella sua interezza ma soltanto una parte di se; egli eccelle, infatti, in una parte, e pur vivendo all’interno della società, non ne fa integralmente parte. Quando esprime veramente se stesso, in tale contesto, rischia addirittura di andar “fuori legge”. Ma il fatto più grave è costituito dalla difficoltà di comprendere noi stessi, tanto che spesso usiamo categorie e “concetti teorici” per autodefinirci, rischiando, perciò, di scorgere soltanto le ombre piuttosto che la realtà. Tocqueville sostiene che i diritti stessi che, noi, per abitudine, diamo per scontati, possono divenire “dogmi” (per esempio: il diritto di uguaglianza assunto come valore assoluto). Tale diritto potrebbe rappresentare esso stesso una “teoria” in quanto derivante dalla elaborazione della ragione piuttosto che dalla vita. Se ci siamo trovati uguali, non dovremmo quindi enfatizzare tale condizione, ma piuttosto cercare di comprenderla, attraverso una rigorosa analisi storica. L’autore annota come la religione in America abbia svolto un’importante funzione; in particolare egli osserva che il “puritanesimo” ha agevolato la formazione ed il mantenimento dello Stato democratico. Michela Bernardi, concludendo la propria relazione, ci presenta una visione non ottimistica in quanto la democrazia consente una forma di partecipazione parziale attraverso categorie e concetti che spesso rischiano d’essere vissuti come dogmi, piuttosto che come “verità” guadagnate dalla vita, producendo, di conseguenza, una dicotomia o un contrasto tra i principi e la vita stessa.


SPUNTI

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DI FILOSOFIA

il grande inquisitore di Roberto Berton

Questi sono alcuni passaggi tratti dal celebre racconto di Ivan ne “Il Grande Inquisitore” nel romanzo “I fratelli Karamazov” di F. Dostoevskij sul quale si potrà discutere nel corso di Filosofia 3 condotto dal prof. Pio Roberto Berton.

IMPOSSIBILITÀ E POSSIBILITÀ DELLA LIBERTÀ “Gesù, perché sei tornato? Vattene, io ti accuso e ti condanno. Tu non hai redento gli uomini ma li hai ingannati e oppressi. Pretendendo fosse un dono, hai dato loro una libertà, una capacità di scelta che essi né meritano, né desiderano, né possono portare. Necessariamente delegano agli altri la fatica delle scelte. Nati per essere schiavi, vogliono tutti insieme, senza divisioni, venerare e obbedire a chi prometta loro pane, felicità, pace. Nel deserto (Matteo 4,1-11) non dovevi respingere quello che ti offriva lo Spirito Intelligente e Terribile: trasformare le pietre in pane, costringere Dio a salvarti con il miracolo, obbedendo a lui, prendere il potere sugli uomini e diventare così il loro vero Benefattore e Salvatore. Noi, tuoi Rappresentanti, in tua assenza, correggiamo e completiamo la tua opera. Affermiamo di agire in nome di Dio, in realtà seguiamo le tre proposte dello Spirito Intelligente e Terribile. Non abbiamo sete di potere, amiamo e per questo inganniamo per il suo bene il gregge di tutti gli uomini (non i pochi, gli eletti come hai fatto tu). Ad essi nature imperfette, eterni bambini, che desiderano solo la meraviglia di fronte ai miracoli, le oscurità eccitanti del mistero, e l’obbedienza ai poteri, noi imponiamo la rinuncia alla libertà, peso gravoso e impossibile, che tu, non amandoli, hai imposto sulle loro spalle. In cambio avranno pane e felicità”.


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Considerazioni sull’insegnamento della matematica

matematica per tutti di Alba Finzi

Alba Finzi è persona conosciuta e stimata nella nostra scuola grazie alle testimonianze sulla shoah che da molti anni nel giorno della memoria, con emozione e lucidità, offre a tutti noi, per non dimenticare le angherie i soprusi le torture le tragedie che gli ebrei (e la sua famiglia lei compresa) subirono per mano dei nazisti e dei fascisti, soprattutto dopo la promulgazione delle leggi razziali in Germania e in Italia. In questo suo articolo, che con piacere riceviamo e pubblichiamo, la scopriamo nella veste di docente, il lavoro della sua vita. Con una visione critica iperbolica quanto propositiva e un’analisi rigorosa e serrata, Alba si interroga sul senso dell’insegnamento della matematica nelle scuole ed infine afferma: “E’ necessaria una nuova didattica della matematica, una matematica ordinatrice della realtà; che, intesa nella sua funzione essenziale, quella formativa, porti l’individuo a capire e a criticare in modo intelligente e obiettivo il mondo di cui fa parte…”.

L’argomento qui trattato vuole soltanto rilevare, con alcune osservazioni frutto di esperienza e di buon senso, come sia necessario nell’insegnamento eliminare la frattura che la scuola ha prodotto tra matematica, che è coscienza quantitativa della realtà, (e non una materia a sé stante, carente di spessore interdisciplinare; una sequela di numeri e di simboli senza rappresentazione) e nostra vita, nostro mondo di conoscere, memorizzare e comprendere attraverso la logica; un mondo raffigurato sempre nella scuola soltanto come coscienza qualitativa: il colore, gli oggetti intorno a noi, i nostri sentimenti, si analizzano isolati, senza raffronti con le complessità dell’esperienza e raramente le valutazioni quantitative vengono chiamate in causa per aiutare a dare maggior chiarezza ai risultati della nostra ricerca. Questa la premessa alle nostre osservazioni. Va aggiunto inoltre che oggi, in un mondo diventato così sfuggente per l’accelerarsi dei suoi progressi, è necessario trasmettere a livelli elementari, alcuni concetti che saranno gli strumenti per una giusta interpretazione dell’ambiente, anche nel suo rapido evolversi. Ma entriamo in argomento: noi sappiamo bene che quanto viene insegnato non tratta nozioni statiche, inamovibili; le nostre nozioni, come le nostre scoperte, hanno tutte una storia e sono relative al momento e al luogo in cui viviamo. Un esempio che mi pare chiaro: IL NOSTRO SISTEMA DI NUMERAZIONE E’ ANCORA VALIDO? La sua storia la conoscete; noi lo adoperiamo da dopo la caduta dell’Impero Romano, con l’introduzione delle cifre arabe e dello zero in particolare. E’ un sistema a base 10, basato cioè sul 10 e sulle potenze del 10 ed è posizionale. La posizione di una cifra rispetto ad un’altra ci dice a che potenza di 10 quella cifra è elevata. Un esempio: il 127 Leggiamo come fosse scritto: (1 x 102) + (2 x l0) + 7. Questa convenzione della posizione abbrevia di gran lunga la lettura del numero e i calcoli relativi. Oggi sono molto diffuse le macchine calcolatrici, i cervelli elettronici, i computer..., macchine che tutti conoscono e non solo per esperienza indiretta.


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Funzionano anch’esse con un sistema di numerazione a base 10? No, certo. La macchina deve essere strutturata in modo semplice, perché ci risponde accendendo delle luci. Ora, una lampadina ha due sole possibilità: o è accesa, o è spenta; cioè o la corrente passa, o è interrotta. Ecco che il sistema di numerazione per le macchine è a base due. E’ anch’esso posizionale e la posizione delle luci indica la potenza del DUE a cui quel posto è elevato. E’ questo un sistema di una semplicità enorme, in tutti i processi operativi; ma, naturalmente, essendo a due sole possibilità: 0 (o spento) e 1 (o acceso), produce numeri lunghissimi. Un solo esempio: il 15 significa, a base 10: (1 x 10) + 5. Trasformiamolo a base due; vediamo perciò la più alta potenza di due contenuta nel 15: (16 >15> 8) è 8 che è 23 e avanza 7 (15 - 8 = 7); nel 7 è contenuto il 4, che è 22 e avanza 3 (7 - 4 = 3); nel 3 è contenuto il 2 e avanza una unità. Avremo cosi’ quattro lampadine accese, che significano 23 + 22 + 2 + 1 = 15 a base dieci. Perciò 15 a base dieci, si scrive 1111 a base due. Se l’esempio dato fosse stato il 16 a base dieci, che è due alla quarta con l’avanzo di zero, avremo avuto una sola lampadina accesa in quinta posizione e tutte le altre spente. Un due alla quarta senza resti è 24+0 + 0 + 0 + 0 unità e, a base due, si scrive: 10000. Concluderemo dicendo che il sistema a base dieci è ancora valido se operiamo “a mano”, non è certo usufruibile se operiamo con la macchina. Con questo esempio del sistema di numeri a base due ci sembra anche di aver provato come l’aspetto operativo e utilitaristico della matematica può facilmente scadere: nel caso della macchina basta infatti che l’uomo imposti un programma, cioè un problema; la macchina esegue tutti i calcoli necessari per risolverlo.

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Ecco che viene in luce l’aspetto creativo della matematica; aspetto che la macchina rimanda inevitabilmente all’uomo - essa non può certo autoprogrammarsi - e che perciò dobbiamo tenere in rilievo. E se noi consideriamo preminente questo aspetto della matematica - una matematica costruttrice e ordinatrice di ogni conoscenza, e in conseguenza di ogni materia di studio, una matematica necessaria perciò come il linguaggio e l’espressione, ci accorgiamo che già operiamo continuamente con concetti delle nuove matematiche. Vediamo di dimostrarlo. Credo che tutti noi abbiamo contatti con ragazzi che frequentano scuole secondarie. Tutti perciò abbiamo sentito parlare di insiemi, di insiemistica. Che cosa significa “insieme”? Semplicemente ciò che ci dice la parola: un raggruppamento. Naturalmente non un raggruppamento casuale, ma logico. Il concetto di insieme è un processo logico, basilare, che ha portato - con la sua introduzione nella matematica - grande unità nella struttura interna. Affermavo che si educa questo processo in continuazione, perché esso è base del ragionamento. Esso in parole povere significa poter cogliere una relazione, un legame possibile tra i dati, (chiamateli pure “osservazioni” se vi fa più comodo,) che raccogliamo intorno a noi ed è sicuro che non confondiamo affatto un elemento dei vari gruppi (insiemi) che registriamo, con elementi appartenenti ad altri gruppi. Quando poi voi indicate con una sola parola al singolare un raggruppamento, (esempio: le parole collettive), date esplicitamente il concetto di insieme. Gregge (singolare) = pecore (plurale). Un insieme facilissimo da cogliere perché formato da elementi tutti omogenei. Ma se la parola è “biblioteca”, è evidente che posso arrivare ad intendere anche libri raggruppati per argomento. (Biblioteca = libri di avventure, enciclopedie, romanzi,...) Con questa distinzione arrivo a dare il concetto di sottoinsieme.


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Ma ancora: introduciamo esplicitamente concetti di insiemistica, quando scriviamo una serie di nomi e di aggettivi da porre in relazione, esempio: ghiaccio con freddo caffè amaro zucchero dolce cioè stiamo considerando due insiemi, nomi e aggettivi, in cui è possibile stabilire una relazione tra elemento ed elemento fino ad esaurirli tutti. Un tipo di corrispondenza simile è un concetto altamente significante in matematica; si chiama “corrispondenza biunivoca” - ad un nome corrisponde uno ed un solo aggettivo (e viceversa); uno nel senso di esistenza, un solo nel senso di unicità. E’ un concetto basilare per la logica matematica perché è quello che porta alla caratteristica comune a tutti gli insiemi, siano essi i più eterogenei, quando hanno la stessa quantità di elementi: questa caratteristica comune è il numero che li comprende interamente. Quanti disegni e quante manipolazioni per arrivare a cogliere questo concetto! (quattro stelle, quattro gatti,...) Una precisazione: non occorre che siano finiti due insiemi, per avere corrispondenza biunivoca tra gli elementi che li compongono; per esempio: tutti i numeri naturali e i loro quadrati. Mi sono dilungata in queste esemplificazioni, non tanto per rimandarvi ad alcune considerazioni di insiemistica, ma proprio per porre in luce come un linguaggio e dei concetti matematici entrino nella vita pratica e nel nostro lavoro. Sono considerazioni che chiariscono il legame profondo e inevitabile tra la matematica e lo studio di quelle materie in cui la conoscenza progredisce quanto maggiore è la capacità di raccogliere e valutare i dati. Un solo esempio: la geografia in generale e la geografia vista come ambiente modificato: città, prodotti. Produzione che non sempre è dovuta a caratteristiche climatiche, ma a ragioni economiche che affondano le radici nella storia di quel paese. Da qui paesaggio e fauna messi in discussione da tali cambiamenti. (Argomenti per eventuali dibattiti: “animali domestici e animali selvatici; animali e clima; animali e paesaggio; fasce disabitate; ecc., ecc.”).

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Credo che a questo punto sia evidente l’indicazione didattica di permettere ad ognuno di seguire il proprio processo logico perché questo si sviluppi in maniera completa. E qui entriamo nel campo della psicologia. Sempre valido in questo meccanismo di sviluppo della mente il noto detto cinese: Se ascolto, dimentico Se vedo, ricordo Se faccio, capisco la necessità cioè di lasciar liberi i fanciulli di pensare e di fare le proprie scoperte e, perché questo avvenga, la necessità che essi hanno di “fare”, di “manipolare”; e qui con forza bisogna sottolineare come proprio l’insegnamento dell’aritmetica e della geometria sia nelle nostre scuole il meno individualizzato; ma viene introdotto con concetti già generalizzanti, ordinativi. Nei cicli più avanzati, poi, diventa lezione cattedratica, di ascolto, lezione collettiva: chi riceve? Non sempre la risposta è “i più pronti.”; più adatto è dire “coloro che pensano come noi.” (coloro che hanno lo stesso tipo di coordinate mentali nel processo deduttivo...) L’alunno per conquistare gradualmente l’ambiente e averne padronanza, deve essere lasciato libero nella scoperta delle relazioni tra osservazione ed osservazione. Questa possibilità che noi gli diamo di fare per capire, si rivela efficace perché l’età evolutiva, quella che noi educhiamo, ha proprio, come ragionamento, il ragionamento induttivo, per arrivare a stabilire delle relazioni. Il ragionamento deduttivo implica delle premesse, dei presupposti che queste età non possiedono. Concludendo: vorremmo che queste nostre considerazioni convincessero ch’è necessaria una nuova didattica della matematica. Una matematica, ordinatrice della realtà; che, intesa nella sua funzione essenziale, quella formativa, porta l’individuo a capire e a criticare in modo intelligente e obiettivo il mondo di cui fa parte. Affrontando ogni situazione come un problema, si forma inevitabilmente nell’alunno una tensione psicologica, che si appaga soltanto affinando lo spirito di ricerca. Siamo inoltre sempre più convinti che tale educazione è possibile e si compie attraverso il fare, la manipolazione.


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Una singolare esperienza formativa per docenti e genitori presso la Scuola “Giulio Cesare” di Mestre

globalità dei linguaggi: intervista a Nicola Cisternino

a cura del Laboratorio Multimediale

Il corso di formazione “Integrazione interdisciplinare nella Globalità dei Linguaggi” tenuto dalla dott.ssa Stefania Guerra Lisi si è svolto a Mestre presso l’Istituto Secondario di Primo Grado Caio Giulio Cesare da novembre 2008 a maggio 2009. Scandito in sei incontri, ha coinvolto alunni diversamente abili, genitori, docenti di sostegno e docenti di altre discipline.

Stefania Guerra Lisi, fondatrice della GDL e docente del corso

Professor Cisternino, che cos’è la GDL? La GDL è la Globalità dei Linguaggi: è una disciplina di carattere formativo e fondamentalmente pedagogico, quindi fondata sulla comunicazione, sull’integrazione; ed è una disciplina che si rivolge all’utilizzo di tutte le qualità e di tutte le affinità linguistiche di cui ha capacità l’uomo, attraverso tutti i sensi, per valorizzare in pieno le potenzialità umane. Quindi è in qualche modo una disciplina che cerca di riorganizzare, comunque di rimettere insieme sul piano della comunicazione e dell’integrazione quelle che sono le potenzialità umane. Questa è in termini molto generali una definizione della Globalità dei Linguaggi. Da dove nasce questa disciplina e da chi è stata fondata? Questa disciplina, la Globalità dei Linguaggi, è una ideazione di Stefania Guerra Lisi: Stefania Guerra Lisi è una operatrice, una docente, una ricercatrice soprattutto nell’ambito dell’Arte-terapia. Partendo da una particolare esperienza personale che è quella di essere madre di una ragazza, ormai cinquantenne, nata agli inizi degli anni sessanta, cerebro-lesa molto grave, appoggiandosi ai suoi studi di formazione artistica, (aveva frequentato l’Accademia delle Belle Arti, operato nell’ambito dell’arte scenografica, collaborato con molti artisti a Roma tra i quali Turcato, Fazzini e diversi altri) si è posta il problema, come madre e come artista di come poter sviluppare un percorso proprio e cercare una via che potesse aiutare la sua maternità e la vita con questa bambina. Da lì parte tutto un percorso di Stefania Guerra Lisi che la porta in giro per l’Europa, a frequentare molte attività, seminari e corsi di formazione tra la Germania e la Svizzera comunque nel nord dell’Europa dove già c’erano, agli inizi degli anni sessanta e negli anni settanta, diverse iniziative, diverse correnti di Arte-terapia. Elabora così questa disciplina che adesso costituisce un corpus che si estrinseca in numerose applicazioni fra cui un master di formazione post universitaria presso la Sapienza di Roma, master in arte musicale e musico-terapia.


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Nicola Cisternino, animatore del corso

Su che principi si basa la GDL? Fondamentale nella impostazione della Globalità dei Linguaggi, ed è una sua particolarità, è il lavoro fatto da Stefania Guerra Lisi sugli stili prenatali per i quali lei ha fatto una ricerca molto elaborata che consiste nella ricostruzione, all’interno della vita intrauterina, di sette stili, sette momenti che in qualche modo possono essere individuabili e che rappresentano proprio il ciclo di vita. Questi stili poi possono orientare nell’ambito terapeutico ma anche nell’ambito operativo a ricostruire in qualche modo le fasi di rielaborazione della personalità: si va dal primo stile che è l’annidamento, al dondolamento, al ritmicocatartico fino all’immago-azione che è quello poco prima della nascita, fino allo stile catartico in cui si ritrovano grazie a questa sequenzialità di costruzione dell’esperienza intrauterina, le rielaborazioni di un possibile approccio a determinate problematiche. Questo processo è un qualcosa che caratterizza fortemente la Globalità Dei Linguaggi e la rende, sotto questo aspetto, di grandissima portata terapeutica ma anche pedagogica. Per questo poi si è sentita la necessità anche di integrare l’esperienza pratica con la conoscenza teorica. Ecco perché si è sollecitato molto i partecipanti al corso, sia in fase preparatoria che durante lo svolgimento del corso, ad approfondire la lettura e la conoscenza dei testi della GDL. Su quali teorie ed esperienze formative e pedagogiche si basa la GDL? La Globalità dei Linguaggi, essendo una pratica, una disciplina di correlazioni, e anche di sintesi, per certi aspetti ha nutrimenti di vario tipo: da una prospettiva prevalentemente fondata sugli archetipi junghiani, direi, per cui

c’è naturalmente la base di tutta la teoria e di tutta la operatività fondata sulla potenzialità della ricerca dell’archetipo e del sé che è stata elaborata da Jung. Poi nutrita certamente da esperienze particolarmente significative anche se abbastanza sotterranee nella cultura italiana, di cui ho avuto occasione di parlare anche con Stefania Guerra Lisi, che certamente è qualcosa di edificante ed è il rapporto o comunque l’ascendenza, l’ancoraggio della Globalità dei Linguaggi alla Psicosintesi di Roberto Assagioli: un grande psichiatra, un grande studioso di origine veneziana, di cui nella cultura italiana si conosce molto molto poco. La Psicosintesi, fondata proprio sulla sintesi delle ricerche psicologiche presenti in tutte le culture di varie ascendenze, a cominciare dalla cultura orientale, a tutto quello che è l’apparato psico e psicoterapeutico che si è sviluppato insomma nella seconda metà del 900. Quindi le ascendenze possono essere tantissime altre perché è una disciplina che, agendo anche operativamente oltre che nella teoria e liberando una serie di potenziali dal punto di vista dell’integrazione, e operando sulla personalità nella sua complessità e nella sua stratificazione archetipica, in qualche modo mette in relazione competenze, conoscenze e ascendenze di natura veramente molto ampia. Ciò che ha ereditato dalla cultura psicosintetica è anche un carattere non violento, ambientalista, di rapporto con la natura, di carattere organico, fondato sulla valorizzazione delle potenzialità, sulla possibilità di rigenerazione attraverso l’indagine interiore, attraverso gli archetipi. Quindi una grande valenza simbolica nella rappresentazione e, in questo senso, l’attività della Globalità dei Linguaggi si basa soprattutto sulle fiabe e la lettura, ma anche sull’architettura e l’organizzazione dello spazio che l’uomo si crea intorno: è un qualcosa di estremamente ricco e fertile.


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I ragazzi a lezione di musica

Che metodologie si applicano? Avendo un quadro di riferimento molteplice, di carattere globale, la GDL è un linguaggio sostanzialmente centrato sulla sinestesia cioè sui rapporti sinestetici fra i vari sensi e sulla integrazione e potenzialità di varie facoltà percettive che diventano lo strumento di costruzione della personalità e cercando di rivalorizzare e rimodulare anche su varie fasce, dipende dai soggetti che in qualche modo partecipano all’esperienza, alla reintegrazione di questi rapporti sinestesici. Quindi da tutto ciò che riguarda l’organizzazione visiva, spaziale a tutto ciò che riguarda la musica e quindi l’orecchio; anche la dimensione tattile, la dimensione del gusto, e dell’olfatto sono molto presenti. Proprio Stefania Guerra Lisi raccontava di un livello di operatività della Globalità con i quali stanno facendo una sperimentazione molto interessante all’Università di Lecce operando su diversi casi di coma e di coma profondo proprio attraverso il gusto e olfatto, preparando piatti, facendo cucina che ricostruisse attraverso l’olfatto un gusto che era precedente al trauma. Quindi è la dimensione sinestesica, se vogliamo dire in termini un po’ teorici, ma dove tutti gli strumenti sono assolutamente intrecciati e operativi e quindi riportandosi a quella dimensione originaria archetipica che è particolarmente caratteristica dell’età infantile ma che poi è supporto della personalità anche matura. Come si è svolto e chi ha partecipato al seminario della Giulio Cesare? Il corso si è svolto nell’anno 2008-2009, ed ha coinvolto docenti e insegnanti di tutte le discipline in base al quadro di riferimento sinestesico della Globalità dei Linguaggi. Ci sono stati molti insegnanti, sostanzialmente

una trentina, principalmente insegnanti di sostegno ma anche di varie discipline, hanno partecipato i genitori di alcuni ragazzi portatori di handicap e alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia nell’ambito del corso di Pedagogia e Didattica dell’arte. Il corso si è svolto in tre momenti di incontro: nel tardo autunno, poi in febbraio, infine a maggio e in questi tre momenti di incontro ci sono state due giornate di lavoro in full immersion dalle 8 di mattina fino al pomeriggio ed erano suddivise in una parte laboratoriale (al mattino) in orario scolastico e una parte formativa (al pomeriggio). Erano due scuole a partecipare, ad aver creato questo progetto, che è partito dalla Giulio Cesare, ma ha visto associato l’Istituto Comprensivo Arturo Martini di Peseggia di Scorzè. Quindi gli insegnanti delle due scuole, nella mattinata, assieme al gruppo di ragazzi portatori di handicap certificati, ma anche ad alcuni ragazzi caratteriali o con alcune difficoltà di carattere comunicativo, in tutto una ventina di ragazzi, a rotazione partecipavano a questo laboratorio mattutino che si teneva nell’Aula Magna; abbiamo a questo scopo attrezzato lo spazio come una vera e propria palestra della Globalità dei Linguaggi, con tutti i materiali, l’aula è stata svuotata interamente per avere libertà di movimento. Nel pomeriggio Stefania Guerra Lisi per tre ore teneva lezione e rielaborava diciamo ‘teoricamente’ quello che era stato fatto al mattino, con l’intervento attivo e costante di tutti i partecipanti. Sostanzialmente questo modulo organizzativo dell’evento ha funzionato abbastanza bene ed è stato molto efficace considerando le difficoltà che ognuna delle due scuole ha dovuto gestire, dovendo rimodulare e riorganizzare l’intera attività scolastica degli istituti per il numero consistente di docenti che partecipavano all’iniziativa e gestire poi anche il trasporto dei


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I ragazzi al lavoro nei laboratori

ragazzi, alcuni dei quali venivano da paesi fuori dell’area di Mestre. La partecipazione è stata ampiamente positiva e, direi, proprio in accordo con ciò che insegna la teoria della Globalità dei Linguaggi, è stato fondamentale il coinvolgimento dei genitori per avere partecipe tutto l’assetto formativo della personalità, non solo quello scolastico ma anche di una autentica integrazione scuola-famiglia. Il Corso ha visto poi una giornata conclusiva nel settembre 2009 al cinema Dante in cui si è organizzata una piccola mostra con esposizione dei lavori realizzati all’interno del corso durante la quale Stefania Guerra Lisi ha tenuto una lezione conclusiva per il corso di formazione per tutti gli insegnanti e genitori. A suo parere quali risultati sono stati ottenuti? Il primo risultato è stato il modello organizzativo che nella scuola italiana di questi anni non è facile da realizzare; non solo dal punto di vista dell’impegno anche economico, cioè la destinazione di tutta una serie di risorse alla formazione di insegnanti in quadro di stretto rapporto con le famiglie. La scelta di destinare cospique risorse di due scuole per un anno ad una attività è stato un investimento abbastanza significativo e importante. Altamente qualificante poi il livello professionale dell’esperienza perché è stato un corso tenuto direttamente dalla ideatrice della GDL, Stefania Guerra Lisi, che ha dato una disponibilità straordinaria e generosa al fine di formare più

docenti e genitori del territorio veneziano su queste modalità operative. Quindi il primo risultato è stato quello di riuscire a realizzare il corso sia dal punto di vista economico che gestionale. Un piano, quello della gestione che necessitava di energie, capacità e voglia organizzativa che è già di per sé un’operatività dei potenziali umani ancor prima che professionali, perché già operare per costruire un intervento formativo di questo tipo, è un operare con la GDL. Altri risultati, naturalmente più difficili da valutare, sono quelli di lungo termine e riguardano la ricaduta nella didattica, cioè nella scuola del mattino di esperienze del genere; questo naturalmente è un patrimonio motivazionale oltre che operativo e professionale soprattutto per gli insegnanti che credo vi abbiano trovato abbastanza arricchimento proprio perché è stato un evento formativo fondato sostanzialmente sulla operatività e quindi sulla capacità di lettura di fenomeni, di idee, processi che poi si possono realizzare in classe ad opera degli insegnanti di sostegno in primis ma anche da parte degli insegnanti delle educazioni espressive (arte, musica, tecnologia ecc.), che hanno partecipato al progetto. Ad esempio durante il corso c’è stato un lavoro sulla fiaba di Pinocchio riletto attraverso la dimensione simbolica e archetipica (la balena e l’assenza del grembo materno con la rinascita di Pinocchio e il complesso ruolo paterno) cioè tutta una serie di dinamiche (emo-tonofono-simboliche come le definisce la GDL) che poi sono state rielaborate soprattutto nei corsi di formazione artistica, come anche con attività manuali (tattili) con la ceramica e la creazione dei quattro elementi. La scuola si è dunque dotata di una propria biblioteca, di gran parte dei testi della Globalità dei Linguaggi e che sono a disposizione degli insegnanti con la speranza di poter proseguire


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Stefania Guerra Lisi, fondatrice della GDL, docente del corso con i suoi allievi.

anche su tempi abbastanza lunghi questa esperienza formativa. Inoltre si sta cercando di realizzare una documentazione video, grazie alla collaborazione del laboratorio multimediale del Centro di Educazione Permanente con tutte le ragistrazioni effettuate durante il corso; questo materiale potrebbe rientrare in un progetto per una pubblicazione da realizzarsi grazie ad un contributo della

Banca del Tempo e dell’Associazione Gaia di Mestre per cercare di produrre un documento, quindi un piccolo volume, un piccolo manuale sulla Globalità dei Linguaggi per la promozione di questa esperienza all’interno del territorio e delle scuole nel veneziano. Il Corso infatti è stata pensato come una sorta di esperienza pilota all’interno del territorio per aggregare e diffondere questa importante metodologia didattica e creare al tempo stesso degli strumenti formativi e di documentazione utili per poter continuare ad operare nelle scuole.

Stefania Guerra Lisi Diplomata in Belle Arti. Docente di Disegno e Storia dell’Arte alla scuola magistrale Montessori di Roma. Collaborazione presso gli studi degli artisti Guttuso, Turcato, Fazzini, Montanarini, Mannucci. Seminari sui linguaggi non verbali in varie Università italiane. Dal 1989 docente di discipline pedagogiche e della comunicazione alle Università di Roma La Sapienza e Roma Tre. Esperta della riabilitazione di handicappati sensoriali, motori e psichici, e in particolare nel riveglio dal coma, ha operato in vari Centri e Istituti (a Roma, Arezzo, Pisa, Diacceto, Ostia, Catania, Trento, Genova, Livorno, Firenze, Reggio Calabria, Venezia, Piacenza, San Marino, Canton Ticino), tra cui Cottolengo di Torino, Don Guanella di Roma; Don Gnocchi di Roma e Milano, e varie Istituzioni psichiatriche (Collegno, Frosinone, L’Aquila, Cremona, Siena, Volterra, Pesaro, Roma, Firenze, Lecce), nonché varie Aziende U.S.L. e sedi AIAS, ANFFAS,DOWN,O.D.A.,O.A.M.I.,ANGSAealtre. Ideatrice del Metodo della ‘Globalità dei Linguaggi’, dal 1980 ha tenuto corsi e seminari presso varie istituzioni italiane (CIDI, MCE, MoVI , SIEM, , distretti scolastici o sanitari locali in molte province) e all’estero (Svizzera, Spagna, Finlandia, Francia, Messico). Dal 1982 al 1997 è stata docente al Corso Quadriennale di Musicoterapia della Cittadella di Assisi. Dal 1996 dirige la Scuola Quadriennale di Globalità dei Linguaggi con varie sedi (Bologna, Venezia, Imperia, Roma, Firenze, Lecce, Afragola, Riccione), ed è docente della sua disciplina al Master in “MusicArTerapia nella Globalità dei Linguaggi” all’Università di Roma Tor Vergata. E’ autrice di numerose pubblicazioni e promotrice di Convegni Nazionali annuali della Globalità dei Linguaggi. Madre di Elvira, cerebrolesa, è presidente dell’A.N.I.S. (Associazione Nazionale per l’Integrazione Sociale). © 2009 Università Popolare di MusicArTerapia


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La foza della cultura.

ricordo di GianMario Vianello di Gabriele Stoppani

GianMario Vianello si dimostrava maestro di saggezza, discuteva senza pontificare, insegnava senza imporre, tutt’al più proponendo con la forza della ragione.

GianMario Vianello

Ho conosciuto GianMario a cavallo tra il 2005 e il 2006 in occasione delle tre lezioni magistrali che tenne agli studenti adulti della scuola media “C. Giulio Cesare” su altrettanti temi di grande valore civile e storico intitolati nell’ordine “Guerra e Pace”, “Libertà e Democrazia”, “Società e Giustizia”. In merito ai contenuti abbiamo pubblicato sulla rivista E. P. (Educazione Permanente) redatta dal CTP (Centro territoriale per l’Educazione degli adulti) e dall’associazione Nicola Saba un’ampia relazione a firma del corsista Mario Meggiato, nel settembre del 2006. Furono incontri di storia politica cultura e interazione vivace e partecipata con il pubblico presente, in calce ad ogni lezione. Mi colpì innanzitutto la lucida e serrata argomentazione attraverso la quale GianMario affermava l’imprescindibile legame tra pace libertà e giustizia, unici valori fondanti della democrazia e garanti della “salvezza” dell’uomo in una società civile oggi come ieri; in un’affascinante lettura sincronica del presente, in Italia in Europa e nel mondo, ed in un’altrettanto accurata analisi diacronica degli avvenimenti storici con fermata obbligata sul momento storico che il partigiano GianMario considerava topico nel rinascimento civile e sociale dell’uomo: la lotta di liberazione e la promulgazione della costituzione italiana. Ognuno di noi, ed io per primo, ebbe l’esatta percezione che non si trattava di lezioni cattedratiche, che non si era insomma in presenza solamente di un valido incalzante e solido costrutto razionale, ma di ragionamenti impregnati di vita e di fiducia e fedeltà a valori testimoniati nel passato, nella resistenza e nell’impegno politico, ed affermati nel presente con la forza di un giovane che sa sognare una società diversa dove possano convivere i diversi e le diverse idee, dove soprattutto trovino finalmente adeguata cittadinanza i più deboli, gli umili, in particolare dove tutti gli uomini abbiano pari dignità e non vi siano più sudditi né differenze tra i cittadini in specie tra uomini e donne, padroni e operai. Ricordo che alla fine di ogni lezione il dibattito era vivo e partecipato, ma proprio nel senso del vissuto; chi lo conosceva lo interpellava su vicende e situazioni storiche di Venezia e dell’Italia; i più che lo sentivano per la prima volta erano sollecitati a dialogare con lui su fatti del passato ma anche di estrema attualità come la guerra in Iraq o la


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questione ambientale. GianMario si dimostrava maestro di saggezza, discuteva senza pontificare, insegnava senza imporre, tutt’al più proponendo con la forza della ragione. E talvolta veniva a galla il fiuto politico di chi aveva dialogato molto con la gente del popolo, ma anche di chi sapeva capire l’andamento politico in particolare leggere determinate alleanze e “prevederne il futuro”; eravamo alla vigilia delle elezioni politiche del 2006, una signora gli chiese che ne pensava della vasta alleanza del fronte di “sinistra”, GianMario rispose che non capiva bene che ci stesse a fare un partito con un certo presidente che fino allora aveva condiviso poco delle scelte democratiche di quello schieramento; ebbene quel “signore” chiaramente indicato con tanto di nome e cognome, due anni dopo da ministro della giustizia farà cadere il governo Prodi. Eppure di quelle lezioni io colsi un aspetto che fin da allora mi sembrò fondamentale ed insito nella natura dell’uomo GianMario, connaturato al suo modo di essere e di fare, capace di innestare un connubio spontaneo in lui tra pensare agire ed affermare: l’aspetto culturale. La cultura, si capiva al volo gli era cucita nell’animo…e ne aveva informato la vita. Alcune citazioni furono esplicite, e Meggiato le ha riportate nel suo articolo, si trattava di Norberto Bobbio di Benedetto Croce tra i filosofi ed ovviamente di Tolstoj a proposito di guerra e pace. Ma la preparazione umanistica e letteraria rimaneva tra le righe tra le argomentazioni discorsive irrorate da riferimenti non detti perché la cultura è discreta e saggia dissertazione, mai smaccata erudizione. Vi leggevo anche evidenti predilezioni, per gli illuministi per i filosofi razionalisti come Spinosa e Kant ed i critici inglesi come Locke e Hume; “amori spirituali e culturali” di GianMario, che mi sarebbero stati confermati più avanti nel tempo quando si instaurò tra noi una corrispondenza epistolare e telefonica, dato che il destino, la sua malattia, volle che di persona più non ci incontrassimo. Nel settembre 2007 GianMario mi fece regalo di un opuscolo intitolato “Cultura, politica e classe operaia”. Era un’intervista che aveva rilasciato ad A. Aiello nel 2006 e che la figlia Sabina aveva voluto dare alle stampe. Nella prima pagina bianca del libro GianMario di suo

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pugno mi scriveva “Caro Stoppani, durante la mia permanenza in ospedale Sabina ha voluto stampare “in estratto” una mia intervista del 2006. Sono ricordi/riflessioni abbastanza sinceri e molto meditati su tante vicende personali e politiche degli anni dal 1943 al 2006 (e anche di qualche decennio prima) sulla vita del movimento operaio. Con molta stima e affetto…”. Lo lessi con avidità e lo rilessi con grande attenzione. Capii molto dell’impegno politico umano e sociale di GianMario dalla resistenza alla militanza e alla dirigenza del PCI ed oltre, a favore degli oppressi in nome di una pietà umana, che la madre maestra gli aveva insegnato, e che lui sentiva per l’oppressione che subivano e la miseria che vivevano i lavoratori. Una pietas che gli aveva trasmesso negli anni di università il grande studioso antifascista Piero Martinetti (GianMario da partigiano scelse in suo onore il nome di Piero), un concetto quasi religioso di rispetto per l’uomo, una “religio” laica intesa come legame all’uomo ed ai grandi valori di libertà e democrazia un senso “religioso” della politica come dedizione totale; la pietas “è il fondamento della politica, è il rapporto con gli altri, è il desiderio di poter cambiare il mondo in meglio è la rivolta contro le oppressioni e le ingiustizie che i giovani sentono fortemente…Questa carità umana se diventa fanatismo finisce per svilire la sua portata positiva che poggia su un sentimento di altruismo. Ecco il nesso con la ragione che alla fermezza nell’ideale concilia la freddezza il dubbio metodico che ti consentono sempre un’analisi critica delle tue azioni per coglierne limiti ed errori”. Ma in tutta l’intervista traspariva il grande legame di GianMario con la cultura che come lui stesso dice “deve essere qualcosa di vivente, in continuo divenire. La cultura è ricerca della verità, ha una sola regola: libertà, totale, assoluta di ricerca di espressione. Senza tabù, veti, limiti di qualsiasi tipo imposti da convenienze o da autoritarismi, governi, maggioranze, poteri, religioni”. Mi son fatto l’idea che GianMario non solo si interessava alla cultura ed ai suoi prediletti enciclopedisti illuministi i suoi Spinoza Hume Kant Hegel o il latino Lucrezio o gli scrittori come Omero Villon Moliére Kafka Eliot Montale ecc. ma aveva esercitata nella quotidianità come impegno a


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favore della libertà e della giustizia. Insomma un uomo di cultura prestato alla politica. Nell’intervista infatti afferma: “Fondamentalmente non sono un politico. Forse un uomo di cultura che ha letto e studiato con molta passione: la storia del mio Paese, il senso della storia in generale, come combattere l’odio e la tirannia”. Gli scrissi una lettera per ringraziarlo del libro ma anche per confidargli che non solo condividevo le sue idee sulla cultura ma che in fondo per più di trent’anni le avevo praticate anch’io, certo non con un impegno nelle istituzioni e nel partito così alto ed importante come il suo, ma nella mia vita di insegnante dedicata all’istruzione degli adulti, dalle “150 ore” all’educazione permanente dei CTP, con una stella polare sempre chiara e presente: star dalla parte di coloro che per estrazione sociale od altro erano stati esclusi dalla scuola e dalla conoscenza, a favore di una scuola che permettesse agli umili di appropriarsi di strumenti culturali per contare criticamente di più nella vita. Avevo esagerato in presunzione? GianMario mi smentì subito con una bellissima lettera di risposta che con parole affettuose e soppesate sancivano un’affinità spirituale e forse anche un’amicizia che una persona così colta e di alto spessore morale si degnava riservarmi. Così mi scriveva: “A Gabriele Stoppani- ho ricevuto la cara tua lettera e ti ringrazio per l’apprezzamento così sentito di quelle mie memorie personali e politiche in cui ho cercato di analizzare alcune questioni sul rapporto complesso (e tutt’altro che risolto) fra cultura-verità-politica e partiti (che sono parti). Ho osservato con quanta passione ed acutezza hai commentato e sviluppato questi temi in rapporto alle tue peculiari esperienze, ai tuoi vivi ideali, a un ardore profondo”. Ma GianMario non solo affermava il concetto della cultura e dello studio come ricerca senza fondo per tutta la vita (Socrate e Platone), ma viepiù lo praticava, insomma non si fermava, studiava e produceva pensiero nonostante la malattia. Nel proseguo epistolare così continuava: “Su questi temi spero potremo intrattenerci di persona fra qualche tempo. Per ora la malattia che mi ha colpito togliendomi quasi totalmente la voce mi ha reso così afasico da impedirmi ogni attività che implichi relazioni a

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voce. Un po’ me ne spiace, ma del resto ho già parlato tanto e forse troppo in vita mia finora…con gli inevitabili (e forse no) errori. Ho un eccellente e caro ricordo delle premure affettuose con cui avete accolto l’anno scorso nei nostri incontri a scuola le mie relazioni su pace-guerra, libertà e democrazia… E’ un lavoro che rifarei volentieri con un breve corso di tre nuovi incontri sull’osservazione della natura da Omero a Lucrezio, alle fiabe, 5000 anni attraverso la letteratura e la vita…”. Mi fece pervenire il programma tramite la figlia Sabina e lo conservo come un bene prezioso. Era di una profondità critica e di una visione culturale tanto originali quanto affascinanti. Il tema: l’osservazione attenta della natura è costantemente presente in opere letterarie fondamentali nella storia della cultura umana: la potenza creativa della natura, le origini dell’universo, l’astrologia la geologia la fisica la chimica la biologia/genetica, gli organismi viventi il regno vegetale il regno animale il genere umano (non la razza). Le fonti e i testi delle tre lezioni: Omero e le metafore sulla natura nell’Iliade, la natura secondo Lucrezio desunta dal suo De rerum, la fiaba e il mito in Perrault Grimm Andersen e Calvino. L’attenta osservazione della natura nei testi citati è rivolta a studiare: i “fenomeni naturali (tempeste terremoti ecc) i “comportamenti degli animali” i “comportamenti degli uomini” attraverso i mestieri dei maschi e delle donne. E questa è solo una sintesi; la bozza di progetto era impreziosita da una cospicua dovizia di annotazioni letterarie storiche ed artistiche. Mi impegnai subito ad organizzare il triplice evento considerando tempi spazi e manifesto dell’iniziativa. Ci sentimmo telefonicamente anche per ovviare con ausili audiovisivi al cruccio di GianMario, la mancanza di voce. Le giornate erano già fissate, ma dovemmo rinviare perché la malattia avanzava e la voce vieppiù mancava, finché si spense definitivamente il 18 maggio del 2008. Mi restano il palinsesto delle tre lezioni cui teneva tanto, la sua testimonianza civile e politica, la sua discreta quanto immensa cultura, la squisita sensibilità con cui seppe porsi in relazione con i nostri studenti ed in particolare con me che da lui trassi insegnamento di vita ed arricchimento spirituale.


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Le attività dell’Associazione Nicola Saba APPLICAZIONI (OFFICE 2000) Il corso si rivolge a persone già in possesso di elementari conoscenze dell’ambiente di lavoro Windows 98 o XP e si propone di esaminare le possibilità operative dei programmi Excel, Power Point, Access e le possibilità di trasferimenti dati e connessioni tra essi. Il corso è diviso in due parti: la prima relativa alle applicazioni di Excel, Power Point. La seconda un approfondimento relativo a Power Point e l’applicazione di Access. ARTE APPLICATA Le lezioni di “Arte Applicata”, saranno gestite dalle corsiste in autonomia nei giorni e negli orari già collaudati. La professoressa Donatella Ruggieri garantirà la propria presenza una volta al mese con un calendario prestabilito. In questi corsi si applicano diverse tecniche decorative: pittura su tessuto, legno, vetro e ceramica. Negli ultimi anni si è approfondita la tecnica del mosaico, realizzando pannelli e cornici ed intendiamo applicarci ampiamente a questa tecnica anche l’anno prossimo. I lavori delle corsiste, ogni fine anno accademico, vengono esposti per tre giorni in un’aula della scuola stessa. CONVERSAZIONE IN LINGUA INGLESE Corsi di conversazione in lingua inglese sono tenuti da insegnanti di madre lingua su vari temi. Verranno letti dei libri e/o articoli di giornali Inglesi e Americani per migliorare la capacità di ascolto e comprensione. I corsi saranno suddivisi in base alle capacità dei corsisti. Possibilità di certificazione “Trinity”. DANZE POPOLARI Il repertorio che viene proposto in questo corso è assai vario ed eterogeneo, in particolare si prenderà in considerazione i balli folcloristici dell’area Balcanica e dell’est Europa: Romania, Bulgaria, Grecia, Macedonia, ex Yugoslavia, Turchia, Armenia, Russi ecc. verranno proposte anche danze Israeliane, Francesi, Italiane, danze di animazione e country. Oltre alle danze il corso fornirà delle indicazioni anche sulla musica, sulla strumentazione utilizzata per la sua esecuzione, delle notizie di carattere generale sulla cultura e sulle influenze che questa ha avuto sulla danza. Il corso è tenuto settimanalmente dal signor Leo Rosina. EDUCAZIONE SONORA Nel corso degli anni il progetto didattico del Corso ha sostanzialmente mantenuto, con i necessari adattamenti occasionali, un impianto metodologico di carattere interattivo e animato (lezioni sempre costruite sulla diretta partecipazione degli allievi) e una costante ripresa ciclica delle conoscenze e degli argomenti per approcci e approfondimenti gradualmente più consistenti. In particolare negli ultimi anni si è dato al corso una strutturazione a carattere storico-monografico sul sinfonismo (Mozart, Beethoven, Bruckner, Mahler) mantenendo un taglio prevalentemente antropologico. Una costante attività nel territorio viene svolta dall’intero gruppo di allievi grazie a un rapporto convenzionato con il Teatro La Fenice, con la partecipazione per le intere programmazioni annuali agli ascolti guidati e alle prove generali delle opere e ad alcune altre programmazioni (balletto e concerti sinfonici) programmati nel cartellone del Teatro. Il corso è tenuto dal prof. Nicola Cisternino con appuntamento mensile. FILOSOFIA 1 E’ il corso dedicato a quanti intendono avvicinarsi, per la prima volta alla filosofia ed anche a coloro che avendone già avuto un concreto assaggio negli anni precedenti hanno piacere di ampliare le proprie conoscenze di base. Lo scopo del corso consiste nello spiegare cos’è la filosofia, di che questioni si occupa, che linguaggio adopera e nel delineare il pensiero di quanti dall’antica Grecia ad oggi se ne sono interessati con originalità. Da due anni a questa parte abbiamo dato un taglio specifico per affrontare con semplicità i temi della filosofia soffermandoci sui padri fondatori della medesima: Talete, Anassimandro, Parmenide, Eraclito, Democrito, ecc. fino al grande Platone. Quest’anno continueremo con Aristotele e le grandi scuole filosofiche greche: stoicismo, epicureismo, scetticismo. Ogni lezione verrà aperta con la lettura e il commento di pensieri importanti di filosofi famosi. Il corso è tenuto settimanalmente dal prof. Gabriele Stoppani.


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FILOSOFIA 2 E’ il corso riservato agli “anziani” a quanti cioè da tempo si interessano e masticano di filosofia e che hanno compiuto un percorso di approfondimento del pensiero filosofico dall’antichità ad oggi. Ma è aperto a quanti incuriositi dall’argomento vogliono inserirsi ex novo per saperne di più su alcune specifiche questioni o su particolari autori. E’ uno spazio di studio monografico con lettura, discussione e approfondimento di un’opera. Quest’anno continueremo lo studio “la gaia scienza” di F. Nietzsche, un libro di ampio respiro filosofico (molte sono le tematiche affrontate) e di sicura presa letteraria. Una novità: accanto a Nietzsche leggeremo qualche passo dei “Pensieri” di Blaise Pascal, il famoso matematico e filosofo francese del 1600. Il corso è tenuto settimanalmente dal prof. Gabriele Stoppani FILOSOFIA 3 IL GRANDE INQUISITORE - IMPOSSIBILITÀ E POSSIBILITÀ DELLA LIBERTÀ. Mentre sale il fuoco dei roghi che bruciano gli eretici, il Grande Inquisitore accusa e condanna Gesù, tornato, subito incarcerato e minacciato di morte, a Siviglia in Spagna, in un anno imprecisato del ‘600. È il celebre racconto di Ivan ne “Il Grande Inquisitore” nel romanzo “I fratelli Karamazov” di F. Dostoevskij (nelle molti edizioni dell’opera è il capitolo V del libro quinto. Edizione separata: F.D. “Il Grande Inquisitore. Il peso della libertà”, con una riflessione di G. Colombo. Editrice Salani 2010, euro 10). Addentrandoci in questo racconto (del quale si consiglia una lettura preventiva perché è in parte isolato dall’intero romanzo) si cercherà di mettere a fuoco il senso dei problemi evidenziati in modo così violento dallo scrittore russo: le possibilità e le impossibilità della libertà dei soggetti e dei gruppi nella condizione umana… nella condizione attuale di democrazie spesso solo formali, di strapotere dei pochi forti sui molti deboli… in quali ambiti siano possibili scelte libere, in quali sia fatale l’obbedienza e il conformismo e la rassegnazione… oppure “l’amor fati”, l’amore del destino, di Nietzsche… Un assaggio di questa discussione lo si può trovare all’interno della rivista. Il corso è tenuto settimanalmente dal prof. Roberto Berton. FLAUTO DOLCE Il corso consisterà nell’apprendimento di nozioni teoriche di base, la cui acquisizione sarà costantemente verificata attraverso esercitazioni pratiche graduate, che non avranno mai come fine un arido tecnicismo, ma la produzione di eventi sonori. Sarà data particolare importanza all’esecuzione d’insieme e quindi a più voci. L’attuale gruppo, formatosi nel corso degli anni è ora composto da flauti dolci soprani, contralti, tenori, bassi e flauti traversi. Ciò potrà dare la possibilità di eseguire brani tratti dal repertorio rinascimentale, classico, sinfonico, popolare e di musica leggera. Visto lo sviluppo del corso e l’interesse dei singoli per il raggiungimento di un buon livello di preparazione si ritiene di articolare il corso nel modo seguente: 1° Livello: per i nuovi iscritti e per coloro che vogliano perfezionare le nozioni acquisite iniziando dalle nozioni di base, sia per quanto riguarda il linguaggio musicale che per la tecnica dello strumento scelto (flauto dolce soprano, contralto, tenore, basso). 2° Livello: per coloro che hanno già frequentato i corsi precedenti. Si perfezionerà lo studio sia della teoria musicale che della tecnica strumentale. Le lezioni si articoleranno per gruppo di strumenti: flauti dolci soprani, contralti, tenori e bassi. 3° Livello: riguarderà la musica d’insieme. Gli iscritti verranno suddivisi in gruppi, con un massimo di 8 (due per ogni strumento – soprano, contralto, tenore e basso). Saranno proposte musiche rinascimentali e musiche tratte dal repertorio classico e leggero. Potranno accedere al corso coloro che frequentano il secondo livello. Il gruppo ha preso il nome di “NUOVO MONDO ENSEMBLE” prendendo spunto da un brano di Anton Dvorák denominato Sinfonia dal Nuovo Mondo e adottandolo come sigla nelle proprie esibizioni. Il corso è tenuto settimanalmente dalla professoressa Giovanna Maria Caocci. GINNASTICA DI MANTENIMENTO La comunità dell’età matura, pur nella sua eterogeneità, rappresenta una popolazione ad alto rischio per quanto riguarda l’integrazione sociale; l’isolamento sembra essere uno degli aspetti critici che contribuiscono a rappresentare l’essenza del fenomeno stesso dell’invecchiamento. Pertanto, il programma di salute per le persone di questa fascia d’età prevede l’attuazione di tecniche di coinvolgimento nel lavoro di gruppo finalizzate all’incremento della solidarietà fra i vari componenti; l’esercizio fisico non sarà impostato solo per perseguire obiettivi di mantenimento e recupero fisico-psichico, ma dovrà anche stimolare le componenti relazionali proprie della persona favorendo una stretta correlazione fra buon livello di salute e buon livello di integrazione sociale. Per quanto riguarda la parte operativa si proporranno momenti di lavoro a corpo libero e con grandi e piccoli attrezzi. Il corso è tenuto due volte alla settimana dalla professoressa Cinzia Palumbo.


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I CLASSICI DELLA LETTERATURA Quest’anno ritorniamo a scaldarci… nell’Inferno Dantesco. Rivisitiamo dopo anni i luoghi del perpetuo dolore e del perenne piacere letterario. Quanto ci soffermeremo al caldo demoniaco? Questo dipende dalla voglia… dalle collaborazioni esterne (vedi società dantesca di Venezia) dalle ricerche dei soci iscritti relative ai personaggi danteschi, dal tempo che servirà per l’esegesi estetica della cantica. Potremmo scegliere i passi più importanti così come studiare il testo integralmente. Starà agli iscritti decidere. Che pure possono diventare protagonisti con letture, recite a memoria tesi monografiche e così via. Il corso è tenuto settimanalmente dal prof. Gabriele Stoppani. INGLESE ELEMENTARY ll corso è pensato per dare agli studenti assoluti principianti materiale rispondente alle loro necessità. La metodologia prevede uno studio graduale e sistematico delle quattro abilità linguistiche così da fornire loro gli strumenti per poter usare in futuro la lingua in modo appropriato e disinvolto. Si svolgono due lezioni alla settimana e l’insegnante è il prof. Giuseppe Voi. INGLESE PRE-INTERMEDIATE Il corso è strutturato in modo tale da dare, a chi ha già una discreta conoscenza della lingua inglese, materiale rispondente alle loro reali necessità. La metodologia prevede un percorso graduale e sistematico delle quattro abilità linguistiche così da fornire ai frequentanti strumenti utili per un utilizzo della lingua più appropriato e disinvolto. Si svolgono due lezioni alla settimana e l’insegnante è il prof. Giuseppe Voi. INGLESE INTERMEDIATE Il corso è rivolto a chi ha una discreta conoscenza della lingua inglese. Sarà approfondito lo studio delle strutture linguistiche cercando di fare acquisire ai frequentanti una più disinvolta padronanza dei tempi verbali. Saranno fatte esercitazioni di comprensione di testi scritti ed orali. Si svolgono due lezioni alla settimana e l’insegnante è il prof. Giuseppe Voi. INTAGLIO SU LEGNO È un corso che vuole dare continuità al precedente corso di Artigianato del legno ma con la novità dell’intaglio, arte quasi completamente scomparsa. Sarà articolato in 10 incontri di 3 ore ciascuno così suddivisi: Il disegno – Intaglio geometrico (2 lezioni) – Intaglio curvilineo (4 lezioni) – Intaglio floreale – Lettere e numeri – Trattamento superficie. Il corso è condotto dallo scultore André Ballis. LINGUA SPAGNOLA I corsi di spagnolo propongono di utilizzare la lingua come strumento d’interazione con il fine di soddisfare in ogni caso le necessità concrete degli allievi. Durante il livello iniziale gli alunni vengono esposti alla nuova lingua partendo da una dinamica principalmente comunicativa. Il livello intermedio ha come obiettivo fondamentale quello di consolidare i contenuti grammaticali, sempre inseriti in un contesto comunicativo. Infine, i livelli avanzati mettono in risalto i contenuti tematici esplorando la cultura e le società spagnole e ispanoamericane. I corsi sono tenuti settimanalmente dalla professoressa Rosalba Marilena Rizzetto. LINGUA TEDESCA Come obiettivo generale il corso si propone la formazione ed acquisizione della competenza comunicativa, intesa come capacità di riconoscere e produrre messaggi non solo grammaticalmente corretti, ma personalmente motivati ed appropriati al contesto di situazione, capacità cioè di utilizzare la lingua come strumento reale di interazione sociale. Si punterà pertanto allo sviluppo ulteriore delle quattro abilità linguistiche (cioè capacità di comprendere, di parlare, di lettura intensiva ed estensiva e di espressione scritta corretta) che stanno alla base del processo di comunicazione, ed all’approfondimento della conoscenza dei Paesi di Lingua Tedesca, della loro cultura e civiltà. Sarà completato e approfondito lo studio grammaticale delle strutture morfo-sintattiche, come pure ampliato il bagaglio lessicale. Secondo gli interessi dei corsisti e di quanto emerge nello svolgimento delle varie lezioni verranno inseriti approfondimenti culturali del mondo germanofono, attraverso lettura di alcune poesie o brani della letteratura tedesca, o ascolto dei brani musicali, o anili di testi vari di particolare interesse. Testo: “alles Klar” di Helga Maria Marks, Friedelm Marks, Paola Minacci (completamento volume A ed inizio volume B). Ed. Hoepli. Il corso è tenuto settimanalmente dalla professoressa Luisa Cazzolato.


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MERLETTO DI BURANO La signora Rosetta Annostini insegna la tecnica antica dei merletti della scuola di Burano. Il merletto è eseguito esclusivamente con un semplice ago da cucire e filo. Il disegno va appoggiato su un piccolo tombolo riempito di paglia. I lavori delle corsiste vengono presentati nel corso delle feste organizzate dall’Associazione Nicola Saba e dall’Educazione Permanente. Siamo anche presenti ad esposizioni e concorsi come la Biennale Internazionale del Merletto di S. Sepolcro (Toscana) e l’Esposizione “OPERE D’AUTORE” Merletto ad Ago di Venezia e Burano a Mestre presso il Centro Candiani. Il corso è tenuto settimanalmente dalla signora Rosetta Annostini. PIANOFORTE Prosegue il corso di pianoforte e solfeggio dove si apprenderanno nozioni teoriche di base con esercizi al pianoforte preceduti dal solfeggio al fine di affinare la tecnica imparando i tempi, i ritmi e dando la possibilità di suonare brani di musica classica e leggera. Il corso è tenuto settimanalmente dal M.o Maddalena Franza. POESIA Prosegue il corso monografico intitolato “Poesia dal mondo”. L’idea nasce da una considerazione molto semplice: la comunicazione poetica è un’esigenza dello spirito umano per esprimere pensieri e sentimenti attraverso il linguaggio della discrezione e della verità interiore. Pertanto la poesia accomuna i popoli e traduce in arte la ricchezza della loro cultura. I versi sono presenti dall’antichità ad oggi in tutti i continenti della terra. Nella prima parte del corso termineremo il programma dell’anno passato con lo studio dei poeti: Eminescu, Mallarmè, Paz, Dimitrova. Nella seconda parte faremo un viaggio nella poesia dell’oriente: persiana, indiana e araba. Il corso sarà di 15 lezioni annuali tenute dal prof. Gabriele Stoppani SOCIOLOGIA, ANTROPOLOGIA CULTURALE E PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA Il corso si propone di esplorare i problemi familiari, educazione, rapporto fra culture, conflitti, a partire da alcune suggestioni letterarie e in rapporto al pensiero dei grandi autori delle scienze umane. Non sono necessarie conoscenze precedenti. Il testo di riferimento potrebbe essere: P. WATZLAWICK, “Istruzioni per rendersi infelici”, Ed. Feltrinelli. Altre indicazioni verranno date durante gli incontri. Il corso è tenuto settimanalmente dal prof. Antonio Socal. QIGONG (CHI KUNG) TECNICA DELL’ENERGIA Il Qi Gong è un’antica disciplina cinese conosciuta come “l’arte di nutrire la vita”, perché migliora la condizione personale aumentando le difese immunitarie e rafforzando sia il corpo che la mente. Adatto a tutti, il Qi Gong, attraverso semplici esercizi eseguiti con la mente quieta e in completo rilassamento fisico, permette la percezione e lo sviluppo dell’energia interna e l’acquisizione di una consapevolezza nuova, che consente di interagire in modo positivo con gli altri e con l’ambiente. Il laboratorio-studio di Qi Gong è condotto da Roberta Fabris presso la palestra dell’Istituto C. G. Cesare settimanalmente. Livelli differenziati. QIGONG E TAIJI: PRATICA STUDIO ALLENAMENTO Gli incontri propongono un lavoro “morbido”, adatto a tutti i livelli. La pratica degli esercizi, statici e dinamici, alternati a brevi sequenza in movimento, rafforza l’equilibrio e la corretta postura, attiva i riflessi e la concentrazione. Lo studio delle tecniche, antiche e moderne, approfondisce l’esperienza dei principi fondamentali del Tai Ji e del Qi Gong. L’allenamento con semplici attrezzi, bastone e ventaglio, aiuta a migliorare stabilità e sicurezza ed affina l’ascolto dell’energia interna. Il laboratorio di QUI Gong e Tai Ji è condotto da Roberta Fabris presso la palestra dell’Istituto C. G. Cesare: Incontri settimanali. RICERCA DI SAGGEZZA Per una serenità esistenziale mediante validi suggerimenti di psicologi, sociologi, filosofi, antichi e moderni completato con nove incontri introduttivi su: Aforismi – Imperturbabilità greca – Equanimità inidana – Polarità cinese – Vanità totale – Oltre i confini – Punto di svolta – Errore ed illusione. A cura di Livio Locatelli con la partecipazione di Michela Bernardi. STORIA DELL’ARTE «A» Il corso manterrà la struttura articolata su incontri, finalizzati all’analisi dei vari argomenti oggetto della programmazione, e uscite, specialmente a Venezia.


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I temi possibili sono i seguenti: 1. Continuazione del Mito: il mito di Eracle, gli animali mitologici, il Mito nell’arte moderna e contemporanea. 2. Inizio di un percorso storico-artistico su Venezia, che affronterà architettura, pittura, scultura e, pur nella specificità del linguaggio veneto-veneziano, potrà essere esemplificativo dello sviluppo dell’Arte italiana ed europea nel tempo. 3. Le principali tecniche artistiche. Finire “Donna protagonista – Modella, Musa”. La conoscenza delle opere o degli artisti sarà basata su aspetti storici, linguistici, simbolici, tecnici, con uso di molte immagini. Gli incontri si terranno il mercoledì dalle 16,30 alle 18,00. Il tutto gestito dalla professoressa Mila Di Francesco. STORIA DELL’ARTE RICCARDO 1 Questo il programma per l’anno 2011/2012: Body Art – Arte Concettuale – Analisi, vita, opere di alcuni maestri dell’Arte moderna e contemporanea. Il corso è tenuto settimanalmente il lunedì dal prof. Riccardo Corte. STORIA DELL’ARTE RICCARDO 2 Questo il programma per l’anno 2009/2010: Ripasso momenti particolarmente importanti dell’Arte del ‘900. – Fare Arte Concettuale - Analisi, vita, opere di alcuni maestri dell’Arte moderna e contemporanea. Il corso è tenuto settimanalmente il martedì dal prof. Riccardo Corte. STORIA DELL’ARTE E MATERIA VENETA Il corso si baserà su quattro grandi della pittura veneziana del Cinquecento: Vittore Carpaccio, Giovanni Bellini, Tiziano e Paolo Veronese. Si parlerà della loro vita e della loro produzione, ma sopratutto del collegamento tra quest’ultima e la cultura del tempo, con particolare attenzione agli avvenimenti storici, politici e religiosi che in queste opere hanno lasciato una traccia indelebile. Come punto di contatto tra queste diverse personalità artistiche affronteremo alcune tematiche condivise, come la ritrattistica, o il loro apporto alla decorazione di edifici – chiese o palazzi - ciascuno con la propria distinta maniera. Come negli anni precedenti, vi saranno visite guidate relative alle lezioni, sia nel centro storico di Venezia che nella terraferma veneta. Il corso e l’organizzazione sono gestiti dalla dottoressa Elena Franzon. STORIA D’ITALIA Il corso si propone di attraversare la storia d’Italia in un ampio periodo storico. Gli avvenimenti saranno approfonditi a livello storico, economico, politico e letterario con supporti didattici multimediali. Il corso sarà tenuto settimanalmente dal prof. Giuseppe Albanese. TAI CHI CHUAN Il Tai Chi Chuan è una pratica cinese che ha come scopo la salute del corpo e della mente. Consiste nell’esecuzione di movimenti elastici e leggeri, rispettosi della naturale struttura del corpo. I gesti essenziali del Tai Chi Chuan e la calma nell’esecuzione si riflettono sulla nostra mente che acquista tranquillità e chiarezza. Il Tai Chi Chuan può essere praticato a tutte le età ottenendo sensibili risultati sia a livello fisico che mentale ed emotivo. I giovani imparano a conoscere il proprio corpo e a scoprine le potenzialità. L’anziano vede migliorare la capacità di attenzione e di concentrazione e le prestazioni motorie, acquisendo padronanza dello spazio e del rapporto del proprio corpo con lo spazio. Il corso è tenuto dall’Istruttore Piero Reveanne. TOPONOMASTICA DI VENEZIA Il corso sarà strutturato, come l’anno scorso, in un’unica sessione di due ore per 15 incontri con date prefissate che verranno comunicate all’inizio dell’attività. Sarà rivolto a quelle persone che hanno frequentato negli ultimi due o tre anni massimo e a quelle di nuova iscrizione con sete di novità e curiose esperienze. Il corso è relativo alla toponomastica veneziana cioè legato ai “luoghi” cercando di interpretare l’aspetto storico e urbanistico attraverso la presentazione di diapositive e materiale fotografico con uscite nei luoghi per una conoscenza “fisica” e per “guardare” e legato alla “letture” dei documenti antichi, segni, piante prospettiche con l’ausilio di proiezioni. Le uscite sono in collaborazione con “Gli amici dei musei” e l’Associazione culturale “CHORUS” per le visite ai monumenti peculiari della storia della città (scuole dei mestieri, chiese, musei, ecc.). Particolare attenzione sarà rivolta alla visitazione delle chiese non solo dal punto di vista artistico ma anche da quello dei perché e dei per come (perché là, come mai se non serviva, ecc.). Il corso è tenuto dal prof. Riccardo Buroni.


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Le attività di Informatica INFORMATICA BASE - Prof. Donatella Boscolo Il corso fornisce nozioni elementari sull’uso e il funzionamento del Personal Computer (PC) - Sistemi operativi e gestione dei files - Windows e le sue principali applicazioni (Word). Il corso si svolgerà al mattino. Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. LABORATORIO FOTOGRAFIA DIGITALE - Prof. Luciana Milani Disordine digitale? Fate ordine nelle vostre fotografie con il programma Picasa dedicato a chi non conosce i programmi di fotografia. Organizza e migliora le tue fotografie all’interno del computer. Puoi trasmetterle, ritagliarle, stamparle, correggere i contrasti, sottotitolarle, ritoccarle, aggiungere un testo, ecc. Possibilità di intervenire sul risultato finale dell’immagine, modificando, ridimensionando, applicando filtri, creando fotomontaggi ottenendo risultati inimmaginabili. Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. INTERNET - Prof. Gianfranco Peretti Il corso ha una durata quadrimestrale: primo modulo da ottobre a gennaio; verrà poi ripetuto da febbraio a maggio. Programma: Navigare nella rete, fare ricerche, informarsi. Comunicare con la posta elettronica, le chat. Telefonare via internet gratuitamente (o quasi). Comprare in rete, prenotare vacanze, alberghi, aerei, traghetti. Scaricare musica, film, fotografie. Difendersi da virus, malware e altri attacchi informatici. Risolvere problemi di connessione e molto altro ancora. LABORATORIO DI EDITORIA MULTIMEDIALE È il laboratorio dove viene redatta la rivista che state leggendo. Si raccolgono i testi, si scrivono con un programma di video-scrittura, si raccolgono immagini con lo scanner, si impagina con programma di DTP (Desk Top Publishing). Ci si trova una volta alla settimana e assieme si discute, si scelgono gli “articoli”, si correggono le bozze, si studia l’impaginazione e tutti collaborano per la riuscita della rivista. Il laboratorio sarà unificato al LABORATORIO MULTIMEDIALE, con una frequenza di 3 ore settimanali. Quindi, nella stessa sede si proseguono e si integrano le esperienze del laboratorio di Editoria; vengono presi in considerazione tutti gli aspetti della multimedialità: testi, immagini, animazioni, filmati, suoni. Uno degli scopi del corso è quello di recuperare tutto il materiale di ricerca accumulato in questi anni e pubblicarlo in forma ipertestuale su CD ROM. INFORMATICA PER FAMIGLIE Tutto ciò che serve per utilizzare al meglio il computer di casa: Scrivere correttamente una lettera, un documento, un curriculum... Tenere un bilancio familiare, calcolare la rata del mutuo, comparare le tariffe dei vari servizi anche con l’ausilio di grafici. Costruire un archivio dei propri libri, CD, DVD. Organizzare le foto scaricate dalla fotocamera digitale, correggerle, ritoccarle, creare album e presentazioni, condividerle in rete. Fare dei semplici montaggi video con commento sonoro, sottotitoli, effetti speciali. Tutto questo utilizzando programmi scaricabili gratuitamente da Internet. Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. UTILITY - Prof. Riccardo Palma Tutti i software, le piccole applicazioni, i siti web, costruzione di un sito internet, le impostazioni e i trucchi che ci semplificano l’uso del computer, l’installazione di altri sistemi, i Broswer, i pacchetti applicativi e altro ancora. Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. PORTATILI Corso su Notebook portatili personali, conoscere e sfruttare al meglio la propria macchina, i dispositivi, i programmi, trasferimenti di dati, connessioni a reti wireless, solo su sistemi operativi Windows XP, Vista e windows. Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. APPLICAZIONI (OFFICE) - Prof. Massimo Evangelisti Il corso si rivolge a persone già in possesso di elementari conoscenze dell’ambiente di lavoro Windows 98 o XP e si propone di esaminare le possibilità operative dei programmi Excel, Power Point, Access e le possibilità di trasferimenti dati e connessioni tra essi. Il corso è diviso in due parti: la prima relativa alle applicazioni di Excel, Power Point. La seconda un approfondimento relativo a Power Point e l’applicazione di Access. Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. INFORMATICA BASE Il corso fornisce nozioni elementari sull’uso e il funzionamento del Personal Computer (PC) - Sistemi operativi e gestione dei files - Windows e le sue principali applicazioni (Word). Frequenza: un’ora e mezza la settimana, da ottobre a maggio. IL PRESENTE PROGRAMMA HA CARATTERE INDICATIVO E ALCUNE ATTIVITA’ POTREBBERO SUBIRE VARIAZIONI O CANCELLAZIONI. E’ POSSIBILE CHE NELL’ARCO DELL’ANNO ACCADEMICO VENGANO INSERITE NUOVE PROPOSTE.


60 NORME E REGOLAMENTI NON SARANNO ATTIVATI CORSI CON UN NUMERO DI ISCRITTI INFERIORI A 15, SALVO DECISIONI INSINDACABILI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO. LA RINUNCIA A CORSI GIA’ FREQUENTATI, ANCHE PER BREVE PERIODO, NON GIUSTIFICA IL MANCATO PAGAMENTO DEGLI STESSI. L’ISCRIZIONE PREVEDE L’ACCETTAZIONE INCONDIZIONATA DEL CALENDARIO SCOLASTICO, DELLE CHIUSURE PER SCIOPERI, PRESENZA DEI SEGGI, FESTIVITA’ E CAUSE DI FORZA MAGGIORE, SENZA PRETESE DI RECUPERO LEZIONI O RIMBORSI. LE ISCRIZIONI SI ACCETTANO DAL 27 SETTEMBRE 2011 AL 7 OTTOBRE 2011 (ESCLUSO IL SABATO 1 OTTOBRE) DALLE 10,00 ALLE 12,00 E DALLE 16,00 ALLE 18,00 PRESSO LA SEDE OPERATIVA DI VIA CAVALLOTTI. DOPO TALE DATA, VERRA’ APPLICATO UN SOPRAPPREZZO, AD ECCEZIONE PER I NUOVI ASSOCIATI. LE ATTIVITÀ AVRANNO INIZIO A PARTIRE DAL GIORNO 17 OTTOBRE 2011 E CESSERANNO IL GIORNO 31 MAGGIO 2012 ORARIO SEGRETERIA DURANTE L’ANNO: DALLE 16,15 ALLE 19,00 PRESSO L’ISTITUTO C. G. CESARE. PRENDERE VISIONE DEL CALENDARIO SCOLASTICO 2011/2012 AFFISSO IN BACHECA. PRENDERE VISIONE DELLE NORME DI SICUREZZA AFFISSE IN BACHECA. CONDIZIONI VIAGGI, GITE, ESCURSIONI E SOGGIORNI. Tutte le iniziative sono riservate agli iscritti all’Associazione “NICOLA SABA”. ALLE GITE, SOGGIORNI E TOUR POSSONO ADERIRE TUTTI GLI ASSOCIATI SENZA DISTINZIONI DI ATTIVITÀ. PER LE VISITE GUIDATE ORGANIZZATE DALLE ATTIVITÀ SPECIFICHE (STORIA DELL’ARTE SABINA, STORIA DELL’ARTE MILA E STORIA DELL’ARTE RICCARDO) PARTECIPANO SOLO GLI SCRITTI AL CORSO. SOLO NEL CASO CI SIANO POSTI DISPONIBILI, POSSONO PARTECIPARE ALTRI ASSOCIATI. Le prenotazioni sono valide solo al ricevimento dell’acconto, o del saldo, stabilito dal viaggio, soggiorno, ecc. Per le visite giornaliere al ricevimento dell’importo previsto. Il saldo, ove previsto, dovrà essere versato 30 giorni prima dell’inizio del soggiorno, viaggio, ecc., fatta eccezione per la Calabria ove il saldo verrà versato all’arrivo. In caso di rinuncia per cause di forza maggiore (GRAVI LUTTI FAMILIARI, MALATTIE COMPROVATE DAL CERTIFICATO MEDICO), verranno applicate le seguenti penalità sia sul costo totale sia sull’eventuale acconto: 30% fino a 21 giorni prima dell’inizio del viaggio; 50% da 20 a 3 giorni prima dell’inizio del viaggio; nessun rimborso spetterà a chi rinuncia nei 3 giorni precedenti l’inizio del viaggio o a chi rinuncia a viaggio iniziato. Per usufruire di un’eventuale rimborso totale, per rinunce alle condizioni del precedente comma, è necessario versare una quota di € 30,00 ad esclusione delle gite giornaliere ove il rimborso avviene solo nel caso si sia trovata una sostituzione. Il presente regolamento sulle “CONDIZIONI VIAGGI, GITE, ESCURSIONI E SOGGIORNI,” è stato approvato con delibera del Consiglio Direttivo dell’Associazione nella seduta del 22 dicembre 2004. I PAGAMENTI PER LE ATTIVITÀ CULTURALI AVRANNO LE SEGUENTI SCADENZE: • 1^ rata (equivalente al costo di un corso) e quota associativa: al momento dell’iscrizione. • 2^ rata: entro e non oltre il 15 gennaio • Rimanente: entro e non oltre il 28 febbraio La quota associativa prevede la copertura assicurativa e il diritto a partecipare a tutte le iniziative dell’associazione (gite, tour, etc.).


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