La ricostruzione dopo una catastrofe: da spazio in attesa a spazio pubblico

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straordinarietà di decisioni tecniche (fra tutte: la istituzione del Gruppo Tecnico interdisciplinare centrale che tracciò un percorso tecnico e amministrativo pensato per le opere pubbliche ma applicato da tutti gli operatori nella progettazione, conduzione dei lavori in cantiere, gestione degli appalti), garantendo omogeneità di trattamento. Le une e le altre vennero assunte in situazioni di assoluta emergenza e di difficoltà operative diversissime dalle attuali (si pensi, ad esempio, a quali erano le modalità delle comunicazioni e delle trasmissioni via etere negli anni Settanta e a ciò che era – o meglio, non era – la Protezione civile nel 1976)2. In questo senso possiamo dire, senza dubbio, che trenta e più anni fa in Friuli si è realizzata un’esperienza “unica” per un’intera generazione di friulani (cittadini, amministratori, tecnici) che hanno misurato “sul campo” – e con tutte le difficoltà di percorso – un modo di fare, contribuendo a dare un senso positivo agli avvenimenti che giorno dopo giorno si presentavano, di fronte a una tragedia di cui non sempre si riuscivano neppure a delineare i contorni, l’entità e la durata nel tempo. Se poi questa esperienza sia un “modello” applicabile ad altri disastri e rappresenti un’espressione di valore sociale e civile nella storia dell’Italia, anche meritevole di essere replicato, non è questo il senso di questo intervento. Importante invece è riferire e far conoscere come si è sviluppata l’esperienza friulana, secondo quali modalità operative è stata condotta e quali risultati sono stati raggiunti, dando testimonianza di episodi lontani nel tempo, probabilmente dimenticati, anche a causa di una letteratura tecnica piuttosto povera di pubblicazioni. Anche a causa di un’attività di divulgazione degli esiti di pianificazione e di architettura molto ridotta: si pensi alla scarsità di concorsi di progettazione banditi a fronte di un’imponente attività di ricostruzione svolta fino alla soglia nel nuovo millennio. Parlare oggi di “modello Friuli” non ha, né vuole avere, il solo significato di “ricordo storico”: è un’esperienza da conoscere per inquadrare l’attività di ricostruzione e di sviluppo del territorio, in un quadro di molte luci e di ombre, ma nelle condivise osservazioni che i tempi del ripristino e le somme spese siano stati ben programmati e rispettati. Con la sottolineatura che in Friuli non è stata attivata una “macchina burocratica” con nuove strutture (ispettorati, provveditorati, commissioni…) poiché la gestione dell’emergenza e

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della cultura tecnica e per il controllo tecnico-economico della ricostruzione e restano, per molti versi, strumenti fondamentali ancora oggi. 2 La Protezione Civile (che proprio in Friuli conobbe il “battesimo” sul campo e mosse i suoi primi passi) venne istituita con la legge 8 dicembre 1970, n. 996 "Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità"; la normativa detta disposizioni di carattere generale sulle forme organizzative e sulle modalità operative della nuova struttura preposta agli interventi di primo intervento in occasione di calamità. La direzione e il coordinamento delle attività viene demandata al Ministero dell’Interno, che dispone delle strutture dei Vigili del Fuoco.

della ricostruzione è rimasta in capo alle competenze regionali e comunali. Anzi un ruolo determinante è stato attribuito e svolto dagli amministratori locali (sindaci, in primis) sia nella fase dell’emergenza e sia nella fase della ricostruzione. La fondamentale scelta di delegare i Comuni, e i sindaci (che divennero gli interlocutori immediati, operativi sul posto, dei cittadini terremotati), con la piena disponibilità e la assoluta certezza dei mezzi necessari alla ricostruzione, assegnati con procedure corrette e rapide (senza verifiche contabili di organi superiori3) spiega e motiva i risultati positivi e il tempo relativamente breve della ricostruzione del Friuli. Una prima precisazione Le esperienze positive sviluppate i Friuli sono state realizzate dopo la replica sismica (o meglio il nuovo evento sismico) di settembre: nei pochi mesi successivi il 6 maggio 1976 la grande “voglia di fare” dei terremotati, degli amministratori pubblici e dei tecnici, contrapposta al ricordo ancora vivo della vicenda del Belice e delle sue baraccopoli (esorcizzate, e non a caso, come la peggiore risposta data dalla politica, dalle istituzioni e dai progettisti alle esigenze di riportare alla normalità i paesi siciliani colpiti dal terremoto), aveva creato nell’immaginario collettivo la convinzione di considerare il terremoto un episodio concluso, con tempi di ritorno pluricentenari. Con il risultato che tra maggio e settembre non ci fu una piena e generale presa di coscienza che l’intera comunità regionale con il terremoto avrebbe dovuto convivere, modificando i propri stili di vita e condizionando le tradizionali tecniche di progettazione e di costruzione edilizia. I risultati di questa insufficiente attenzione all’Orcolat (il nome che nelle antica storicistica friulana viene dato al terremoto: l’orco cattivo che frantuma i paesi e miete vittime indifese) furono riparazioni superficiali degli edifici danneggiati e incontrollata dispersione insediativa (di servizi pubblici, abitazioni e attività produttive), con nessuna attenzione alle tecniche costruttive antisismiche e ai luoghi di insediamento. Le riparazioni ebbero un effetto positivo sulla popolazione (tanto che l’inevitabile abbandono dei paesi fu assai limitato, con tutti i vantaggi conseguenti al mantenimento della popolazione e delle maestranze in loco), ma si rivelarono del tutto insufficienti e inefficaci alla replica sismica di settembre. Ciò determinò l’esigenza di mettere a punto metodi di calcolo e di verifica strutturale a carico del patrimonio edilizio 3 Ai sindaci dei comuni terremotati venne assegnato uno o più gruppi di progettazione “B”, formati da tecnici laureati e diplomati, per espletare tutte le operazioni relative alla riparazione degli edifici danneggiati, il cui recupero era stato delegato al Comune. Ai gruppi “B” vennero inoltre chiesti i pareri tecnici (relativamente alla effettività antisismicità delle opere progettate e alla congruità delle spese previste, in vista della determinazione del contributo spettante) dei progetti presentati dai privati. In tal modo l’assegnazione dei contributi venne operata direttamente dai sindaci senza altre ulteriori verifiche: questa fu una delle fondamentali attività attribuite al Sindaco-Funzionario delegato dalla Regione.


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