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Feat.




Conte Nitrati e Nitriti vogliono coquistare la S.Bernardo Valley ma non ce la faranno mai...


CONTE NITRATI

DONNA NITRITI

REGINA ACQUA

LA GOCCIA

IL BASSOTTO RESIDUO FISSO

CON LA PARTECIPAZIONE SPECIALE DEL GIUDICE PH NEUTRO

Nitriti <0,002 mg/l Nitrati 1,4 mg/l pH neutro Residuo fisso 34,5 mg/l



EDITORIALE The Forget Issue IS POWERED BY

Vorrei andare in sonno/risvegliarmi la prossima settimana/il prossimo mese/la prossima stagione/in una spiaggia di Ibiza/in un aeroporto/in una stazione Vorrei che la gente non desse peso/ alle mie parole/ alle mie storie/ e dimenticasse Dialoghi d’amore come detriti (pagina 23)/ sensazioni d’amore come vestiti/ tornare vulnerabili a ciclo continuo. Come Karen (pagina 12)/ Rä di Martino fotografa il mare/ che dimentica tutto/ accoglie e dimentica Come noi, oggi Che postiamo/ condividiamo / lasciamo tutto lì/ in un posto che chissà dove è/ ché basta una googlata/ si crede/ e invece poi non si ritrova/ più niente/ Tutto si conserva, tutto si/dimentica/ le credenze la tradizione/una religione Mi dimentico di chiamarti/mi dimentico gli orologi/mi dimentico le cicatrici/gli elogi/gli amici Mi dimentico i giudizi/a cui tengo molto/ma fino a un certo punto Mi dimentico di fare i biglietti dei treni/di sentire i miei genitori/mio nonno Imploro una tregua/uno spazio bianco, pulito/sentirmi come il mare quando si incontrano gli oceani (pagina 45)/ Nel nuovo ciclo non ci sarà bisogno dell’uomo/della sua stupidità, violenza, fragilità (pagina 61) La festa finirà/e il momento migliore saranno quei 5 minuti prima che finisca/quando la gente se ne sta andando già/il deejay è rilassato/ e chi resta/balla/balla leggero/senza posa/con il bicchiere pieno di ghiaccio sciolto in mano e la testa che fischia fischia e fischia M.P.


ARTWORK The Forget Issue IS POWERED BY

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ARTISTA The Forget Issue

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K 1 E S 7, K OR ALA PR SH ES N E U IKO OV V C AK O IN N G DE IO R CA TT

ST E DI REB M EN BE U FA T TE ICA N A «PE SE TE NA R R L M BR LA G GES AGG AR UE ICO IU N E DI RRA CO GE VE R . N RT GIO TR E IL EN CA O M TE TE L’EM IO S CI Ò ALLA ICRA COP CH O N E GUE IA» NO RR . N LO A. È

FA BR I Z FO IO NT AN A

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«Sono sempre alla ricerca di un processo creativo che non prescinda mai dall’idea di gioco. Il gioco riveste un ruolo di primo piano non solo come metodologia d’azione ma anche e soprattutto come indice di discriminazione sociale e codice d’accesso, a un diverso modo di guardare la realtà. Dunque la parola gioco (Jioko) è il refrain al quale ricorro spesso per i titoli delle mie opere nonché delle mie mostre. Quando manca il termine gioco, il titolo è comunque un gioco di parole. Insomma il gioco è utilizzato come strumento: una specie di lente d’ingrandimento cinica della realtà e delle sue contraddizioni. Da sempre ho subìto il fascino degli artisti che si sono approcciati all’arte in modo arguto e ironico. Talvolta ho sentito il bisogno di relazionarmi a questi maestri, di citarne un segno, un’immagine oppure un pensiero. Lavorando tra opere pittoriche, grafiche, plexibox, video e installazioni cerco di volgere verso me stesso quello scherno di cui mi faccio autore. Colleziono oggetti e feticci e li trasformo in immagini che ne modificano la scala e la destinazione. Dagli idoli mediatici, dai personaggi dei cartoons e dai fumetti raccolgo spunti per non restare indifferente alle proposte visive della produzione di massa. Nei miei plexibox allestisco un teatro del quotidiano, pongo diversi interrogativi e questi interrogativi quasi mai hanno delle risposte. L’aspetto giocoso e scherzoso dei miei lavori è in realtà solo un’apparenza: l’opera si esibisce in una mistica allegoria talvolta pungente, probabilmente una realtà nuova, che non cerca di calamitarci al suo interno, ma di farcelo assimilare. Faccio di tutto per servirmi della mia autorità artistica per arrivare al profondo della coscienza; salvarsi dall’essere colpiti, alla fine, risulta impossibile e per raggiungere il mio scopo potrebbe bastarmi davvero poco: sarebbero sufficienti un analgesico per l’emicrania, una coppia di dadi e le mie pantofole blu».


errearepublic.com


S O N O

A L L E R G I C A

A L L A

V I T A

I N T E R V I S T A

KAREN DI

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ELSON

MARCO CRESCI

Ci sono momenti in cui esperienze personali ti portano a essere in sintonia con una persona sconosciuta, con Karen Elson è successo così, ci sono bastate un paio di parole per avvertire un feeling particolare. Seduti nel lussuoso Hotel Principe di Savoia tra giovani ereditiere russe - che si lamentano se la temperatura del tè non è quella giusta - e vecchie rifatte e annoiate, ci ritroviamo a parlare di sentimenti e di come sentirsi a proprio agio in ruoli che ci vengono dipinti addosso ma che non corrispondono alla realtà. Come quando Karen faceva la modella e non riusciva a riconoscersi in nessuna foto, «era come osservare un’estranea». Questo album, Double Roses, che segue a dieci

anni di distanza l’acclamato debutto The Ghost Who Walk (prodotto dall’ex marito Jack White) ha riportato a galla la vera Karen a cominciare

dall’artwork, una foto che la ritrae immersa in un mare burrascoso, fatta da un amico e uscita per caso, ma in cui finalmente riconosce se stessa. Dice: «Scusami sto mangiando una caramella, ho la gola chiusa dall’asma e gli occhi appiccicosi insomma non sono in forma, ho una forte allergia». Mi dispiace, ma a cosa sei allergica? «Mah... alla vita?!» Comincia così il nostro incontro mentre la hall dell’albergo s’illumina della sue radiosità. Nonostante non sia in piena forma Karen, bellissima, è un fiume in piena pronto a straripare la gestazione del suo nuovo album.


INTERVISTA / 1

HO APPENA DETTO DI AVER RITROVATO LA FORZA MA NON PREOCCUPATEVI, PRIMA DI SERA SARÒ NUOVAMENTE VULNERABILE

Cosa sia una rosa doppia non lo so ma nemmeno m’interessa, ma so che quella poesia mi ha fatto sentire improvvisamente forte e mi sono connessa immediatamente con i suoi versi. Ti sei sentita vulnerabile scrivendo questo album anche se hai appena detto di aver ritrovato la forza? Oh non preoccuparti prima di sera sarò nuovamente vulnerabile... è una linea sottile. Ogni volta che prendo la chitarra per

scrivere una canzone mi sento vulnerabile, mi chiedo se sarà un pezzo valido, se comunicherà qualcosa, credo che quando si scrive una canzone vada seguito il subconscio più che il momento, perché le canzoni accadono, non so come ma è così. Quando ho scritto Distant Shore il pezzo che

Continua: «È tutto il giorno che edito il mio primo video, ho fatto la regista per la prima volta e ci tengo che venga un buon lavoro, che corrisponda all’idea che avevo in mente. Volevo ricreare un mondo sommerso cupo e tempestoso come quello dello scatto di copertina». Uno scatto molto suggestivo, immagino non sia stato facile scattare in acqua, chi c’era dietro l’obiettivo? Invece è stato uno scatto casuale, ero sull’oceano a casa del mio amico Phil, ho deciso di fare un bagno e lui mi ha seguito con la macchina fotografica e ha scattato, è stato tutto molto innocente ed è uscita una foto così potente e carica di significato per me, ma questo è il bello della fotografia. E ti dirò di più quando guardo questa foto vedo per la prima volta me stessa, riesco a vedere la mia anima e per questo l’ho scelta perché racconta l’esperienza che ho vissuto

scrivendo questo disco per cui ho nuotato in acque cupe e profonde cercando di restare a galla e raggiungere la terra ferma. Ho moltissime fotografie appartenenti al mio periodo di modella scattate dai più grandi fotografi, ma quando le guardo è difficile per me riuscire a vedere me stessa.

Mi parli di un mondo cupo e sommerso ma hai intitolato l’album Double Roses, qual è il nesso tra un fiore come la rosa sinonimo di amore e il tormento che hai attraversato? La poesia di Sam Shepard ha ispirato il titolo, adoro il suo lavoro, il modo in cui scrive. Un amico mi ha regalato il suo libro

Motel Chronicles che contiene la poesia Double Roses e quando l’ho letta ha smosso qualcosa in me, mi ha parlato delle stesse acque cupe in cui mi trovavo.

chiude l’album avevo appena rotto con un ragazzo con cui uscivo da pochi mesi, mi sono svegliata una mattina e mi sono detta «non posso più frequentare questa persona» e anche se lui ha cercato di trattenermi io me ne sono andata perché ho capito che era una situazione che mi metteva a disagio perché questa persona mi trattava come un trofeo da mostrare, così presa da questo impeto ho scritto i versi «I am alone, I am free. No one's come and conquer me» (io sono sola, io sono ibera. Nessuno potrà arrivare e conquistarmi). Non voglio più stare con un uomo che pianta la sua bandiera su di me come se avesse conquistato la luna, cerco un rapporto egualitario. È facile in una relazione mettere una persona su di un piedistallo ed è sbagliato, questa canzone è il mio statement, è il mio atto di ribellione; certo non volevo scrivere le mie confessioni in stile Taylor Swift, le mie canzoni non parlano di persone ma delle mie esperienze personali e di come le gestisco e fidati spesso lo faccio veramente in malo modo e sto male tanto che devo scrivere una canzone per imparare in futuro a gestirle in modo migliore. Dieci anni per scrivere un album sono tantissimi, tu sarai cambiata anche molto come persona o sbaglio? Certo la vita mi ha cambiato, ma la verità è che non ero pronta, pensare di condividere di nuovo la mia voce mi metteva in apprensione, ho affrontato un divorzio, ho due bambini piccoli e fare la mamma è un lavoro full time, allo stesso tempo non avevo un produttore né un’etichetta discografica ma continuavo a scrivere canzoni senza sapere che fine avrebbero fatto. Più volte ho pensato che forse nessuno avrebbe più visto del potenziale in me, un paio di produttori hanno anche declinato la mia offerta di lavorare al disco e così quelle canzoni sono diventate il mio diario personale e quando me ne sono resa conta ho cominciato a trattarle come se lo fossero realmente. Sono canzoni vere che trasmettono sentimenti. Qual sè l’ultima canzone che hai ascoltato oggi? Mi sono rinnamorata dei R.E.M. e ultimamente non ascolto altro, non molto tempo fa ho cantato una canzone con Michael Stipe per un tributo a David Bowie, Michael è un caro amico, è un puro di cuore e una persona estremamente sensibile. Non ascoltavo i R.E.M. dagli anni 90 e dopo quell’esperienza ho riascoltato Drive e ora non riesco a smettere di ascoltarli. Mi racconti un segreto? Quando ascolto Landslide di Stevie Nicks mi metto a piangere perché il linguaggio metaforico di cui parla è la lotta alla sopravvivenza e io la conosco bene.



SPECIALE DESIGN WEEK 2017 The Forget Issue

1 di 4 FUMATI STI FIORI

PHOTO ALESSIO BERETTA

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BONG 420 MURANOGLASS IN BOROSILICATO PEZZO UNICO LAVORATO E SOFFIATO A MANO È STATO MEDIA PARTNER DELLA DESIGN WEED E LO SARÀ DELL’HEMP FEST IL 20 APRILE A MILANO (LAMBRETTO STUDIOS) WWW.420HEMPFEST.COM


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ACCOLTELLA STA FETTA

COLTELLO DEEJO PERSONALIZZATO CON SCRITTA WRITE HARD FUCK DIRTY. DEEJO.FR


SPECIALE DESIGN WEEK 2017

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INZUPPA STO CAPPUCCIO

VIBRATORE LELO MODELLO GIGI2 DOTATO DI UNA SILHOUETTE SENSUALE CON UNA PUNTA ROTONDA E APPIATTITA


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The Forget Issue

SPECIALE DESIGN WEEK 2017

LIMONATI QUEST’ACQUA

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BOTTIGLIA DI VETRO S. BERNARDO CON 105 GOCCE IN RILIEVO DISEGNATA DA GIORGETTO GIUGIARO | ANELLI DIUMA RINGS WWW.DIUMA-RINGS.COM


INTERVISTA A RÄ DI MARTINO «H O SE M P R E B I S O G NO DI O P P O R M I A L L A F IN Z ION E »

THE SWIMMER #2, 2017 ARCHIVAL PIGMENT PRINT ON BARYTHA PAPER CM 20 X 30


INTERVISTA / 2 The Forget Issue IS POWERED BY

VIDEOARTISTA, FOTOGRAFA E SCULTRICE « T EN D IAMO A D A N D A R E V E R S O CI Ò CHE I M M A G I NI A M O . S E LO IM M AGIN IAM O M AL E …»

DI E L IS ABETTA C ASTELLA R I


IL SECONDO UOMO, 2016 COURTESY OF THE ARTIST, AMACI ASSOCIAZIONE DEI MUSEI D’ARTE CONTEMPORANEI ITALIANI

INCONTRO RÄ DI MARTINO IN UN ANGOLINO DI MILANO, NELL’ENOTECA LE ROSSE, DI CORSO GARIBALDI 79. LA NOUVELLE VAGUE, IL CINEMA DI FANTASCIENZA, IL WESTERN, RÄ HA FONTI E INTERESSI VARI, DISTANTI TRA LORO COME I LUOGHI DOVE SI È FATTA VITA E CARRIERA. NATA A ROMA DA UNA FAMIGLIA DI ARTISTI, HA STUDIATO A LONDRA (AL CHELSEA COLLEGE OF ARTS E ALLA SLADE SCHOOL OF FINE ART) E VISSUTO A NEW YORK, PRIMA DI ARRIVARE A TORINO NEL 2010. VIDEOARTISTA, FOTOGRAFA E SCULTRICE, HA ESPOSTO AL MOMA-PS1 DI NEW YORK E ALLA TATE MODERN DI LONDRA, SPAZI DOVE POCHI ELETTI ITALIANI RIESCONO A ENTRARE. FINO AL 13 MAGGIO È A MILANO ALLA GALLERIA DE CARDENAS (WWW.MONICADECARDENAS.COM) CON LA MOSTRA THE DAY HE SWIMS THRU MARRAKECH, DOVE PORTA UN VIDEO, FOTO E SCULTURE. TUTTE OPERE NATE SOTTO IL SOLE DEL MAROCCO, MENTRE GIRAVA IL SUO PRIMO FILM, CHE USCIRÀ A SETTEMBRE, CON VALERIA GOLINO E FILIPPO TIMI. Il cinema è il punto di partenza del tuo lavoro: prendi monologhi di film famosi e li fai pronuciare da altri personaggi, monti reperti d’archivio con girati freschi, mescoli citazioni da film epici e la narrazione di storie quotidiane. Mi sembra che il tuo argomento sia quello che il cinema lascia dentro di noi. Come s’insinui nella memoria e nel pensiero. Il mio è effettivamente un lavoro di destrutturazione. Cerco di realizzare qualcosa che riveli un meccanismo piuttosto che narrare una storia. Ho sempre bisogno, sottilmente, di oppormi alla finzione. Il cinema per me è un tema più che un aspetto formale. È un filtro attraverso cui passare prima di parlare di qualcos’altro. Hai da poco finito di girare un film, il tuo primo. La dimensione del lungometraggio ha cambiato il tuo lavoro? Questo film, La controfigura (nel cast anche Corrado Sassi), è un po’ la sintesi di tutto quello fatto finora. È la storia di una troupe, la mia, che scende a Marrakech per realizzare il remake di un film del 1968, The Swimmer, con Burt Lancaster. Da un lato quindi c’è la citazione di un film culto, dall’altro è un finto documentario, in cui al grande protagonista è sostituito un personaggio alla buona, scalcinato, che vaga per strade della città in costume da bagno. C’è, quindi, una scomposizione su più piani. Volevo fare un film, ma alla fine è un ibrido. Il trailer è presentato nella tua mostra alla De Cardenas, giusto? Sì e ci sono anche delle sculture nate sul set. Mentre giravamo i responsabili del reparto luci staccavano regolarmente rami di palma per fare ombra sui visi degli attori e li attaccavano ai treppiedi. Mi sono innamorata di questi oggetti. Erano sculture meravigliose e ho pensato a come ricrearle.


INTERVISTA / 2 The Forget Issue IS POWERED BY

Ne ho ricostruite tre in legno, sono dei treppiedi-palme, un tutt’uno. Delle luci molto basiche ne proiettano l’ombra sul muro. Poi ci sono delle fotografie, spesso di stativi e foto di scena. Nel tuo lavoro c’è sempre questa traccia doppia, l’ossimoro visivo che abbina la realtà a contesti stranianti, a un altrove immaginario. Mi piace il loop tra realtà e finzione che si richiamano a vicenda. Spesso il mondo cerca di copiare il cinema, c’è un rapporto reciproco: la cosa più plateale è, ad esempio, come immaginiamo il futuro. Pensiamo a un mondo con i robot e realtà alla Grande Fratello. Poi se guardi gli scienziati vedi che stanno lavorando proprio su queste cose. È la nostra immaginazione. Anche la scienza, se si immagina qualcosa, va verso quella. Poi si informano a vicenda: chi sta scrivendo un film chiede agli scienziati e anche loro si fanno influenzare da quello che le nostre menti fantasticano, che è sempre negativo. È un futuro già immaginato e l’essere umano tende ad andare verso ciò che immagina. Se lo immaginiamo male… Nel 2010 sei andata a filmare il set cinematografico di Guerre Stellari (ep. IV) lasciato dal 1976 nel deserto marocchino. Un’operazione che ti ha fatto amare dai fan della Saga. Ma quello che hai registrato era uno scenario desolato, surreale e un po’ triste. Un amico mi ha detto che mi sto specializzando in Western Melancholy. Nella descrizione della nostalgia per qualcosa che non esiste. Il cinema ti porta in un altrove che non potrai mai raggiungere. Guardare quei ruderi mi ha dato un senso di gioia. Tu dici, vedi, esistono! Quando le esperienze sono reali riempiono di più. Ho visto dal vivo qualcosa che avevo immaginato a lungo. Certo, realizzi che è quasi uno schifo, quasi niente. Ma è quello che hai sognato. Poi ero nel deserto, ero arrivata fin lì. Alla fine ti senti comunque un mezzo eroe. Tanto oggi basta poco, stiamo sempre seduti davanti al pc. Progetti a breve termine?

A settembre presento La controfigura in alcuni musei del circuito Amaci (Associazione Musei d’arte contemporanea italiana) a dei Festival e in eventi -performance in due piscine di Roma e Milano. Una distribuzione creativa. E poi c’è un nuovo video. Un’animazione dove c’è un topo gigante in un deserto che recita brandelli di frasi d’amore. Sono testi presi da soap opera o da film bellissimi. È un po’ la fine del mondo, il detrito di tutti i dialoghi d’amore.


MODA

The Forget Issue

LEI ABITO

MANGO

| LUI PANTALONI

DOCKERS


GIUBBOTTO

SANTORO

UNDERWEAR

CALVIN KLEIN

SCARPE

PHOTO GAUTIER PELLEGRIN FASHION EDITOR FRANCESCO CASAROTTO MAKE UP KASSANDRA FRUA DE ANGELI HAIR CHIARA BUSSEI @CLOSE UP MODELS MOHAMMED @WHYNOT / LAURA M @FASHION FASHION ASSISTANT SIMONA MOTTOLA

CONVERSE




PANTALONI

LEVI’S

VINTAGE CLOTHING CRAZY LEGS LIMITED EDITION UNDERWEAR

CALVIN KLEIN


CAPPOTTO E ABITO

DONDUP

FELPA

ERREÀ REPUBLIC


MANTELLA

WOOLRICH


LEI T-SHIRT

FAUSTO PUGLISI

ORECCHINI

ROSANTICA

| LUI PANTALONI

ENTRE AMIS

SANDALI

ALBERTO GUARDIANI


LEI ABITO

UEL CAMILO

FELPA

ERREÀ REPUBLIC

SCARPE

OXS


LUI PANTALONI

LABO ART

SCARPE

ASICS


#urbanmagazinemilano

#livelikeyoulove

#fuoribarcone17

presenta IL

FUORIBARCONE


COSA I DOVE I QUANDO I come COSA I DOVE I QUANDO I come

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SPECIALE DESIGN WEEK 2017 Tutte le figate nelle zone di Milano più coinvolte dal Fuorisalone.

Traguardare, l’uragano Brexit, i WOO di Napoli (città che merita, godetevi il portfolio

SuperDesign Show in Tortona, Green Island in Isola, Ventura Projects in Centrale e Lambrate da pagina 55), i locali in cui riflettere di avanguardia e la mostra di David Bowie che e A letto con il design in Bovisa + le feste meravigliao dove scroccare lo scroccabile e divertirsi più che una mostra è un racconto della diversità in ognuno di noi come nutrie nel Naviglio della Martesana


CDQC I SPECIALE I DESIGN WEEK 1/6

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VENTURA PROJECTS e quEi magazzini sotto la stazione centrale di giulia laino iniettare nuova vita sotto i binari. ripensare le risorse. scoprire nuovi processi. sono questi gli obiettivi di ventura lambrate e ventura centrale

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Torna da martedì 4 a domenica 9 aprile il Salone del Mobile 2017e promette di stupire ancora con Ventura Projects. Quest’anno al suo evento di punta Ventura Lambrate si affiancherà l’innovativo Ventura Centrale, che porterà il fulcro degli appuntamenti della Design week alla Stazione Centrale di Milano. Infatti, in uno degli hub della stazione, nei magazzini dismessi sotto i binari in via Ferrante Aporti 15, camminare tra le volte pittoresche sarà ancora più suggestivo e offrirà infinite possibilità di creazioni artistiche performative. Questa è stata la sensazione che Margriet Vollenberg, direttore di Ventura Projects, ha sperimentato nel primo sopralluogo del posto, intuendo il potenziale teatrale dello spazio. Ventura Centrale esprime dunque il desiderio di iniettare nuova vita nei magazzini raccordati lungo la stazione ferroviaria

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presentando le installazioni di design site-specific al pubblico. Tra i nomi confermati di Ventura Centrale ci sono Lee Broom, con una giostra incantevole e spettacolari giochi di luce che presentano i prodotti chiave dalla sua carriera re-immaginata in una tavolozza di colori completamente bianca; Salviati in collaborazione con Luca Nichetto e Ben Gorham, con gli impianti di artigianato vetro che interagiscono con forza con la luce dei vecchi magazzini della stazione; Daniel González, un membro regolare della famiglia Ventura che, con una serie di shoppers in cotone personalizzate, mostra le diverse fasi del processo creativo di designer dall’idea al prototipo, al prodotto; e poi ancora Maarten Baas da Lensvelt e Baars & Bloemhoff. MAARTEN BAAS PHOTO CREDIT SIESE VEENSTRA

DANIEL GONZÁLEZ D.G. CLOTHES PROJECT

LEE BROOM PORTRAIT PHOTO CREDIT ART HUR WOODCROFT

CENTRALE

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Mentre Ventura Centrale mira a installazioni spettacolari, Ventura Lambrate guarda al design esterno. Arrivato ormai all’ottava edizione, il progetto coinvolgerà diverse location del quartiere, i più innovativi e visionari designer nordeuropei, ma anche firme nostrane e internazionali. Che si tratti di riflettere su questioni politiche, su rischi e speranze del progresso tecnologico o su sostenibilità, i progettisti di Ventura Lambrate mostrano chiaramente l’intenzione di sostenere il progresso globale. I lavori mostreranno come i designer di Ventura Lambrate sanno ripensare alle risorse, scoprire nuovi processi e discutere le implicazioni del consumo di materiali per l’ambiente. Il visitatore potrà vedere i prodotti finali in mostra come risultato di combinazioni di materiali di utilizzo o di materiali insoliti. Grandi protagonisti di Ventura Lambrate saranno l’Accademia Central Saint Martin, con i progetti dei suoi studenti; Logotel, con un progetto che mostra quanto la tecnologia e l’intelligenza artificiale plasmino la vita umana con due robot wallclimbing che interagiscono nella costruzione di una struttura sospesa; l’Atelier Mendini, che abbraccia le nuove tecnologie e, insieme con il progetto Ecopixel, mostra la volontà di limitare i danni al pianeta attraverso una plastica riciclata accessibile e sostenibile che può essere fusa più e più volte senza perdere le sue proprietà.

LENCKA VACKOVA UMPRUM EPHEMERAL ETERNAL

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E ECOPIXEL FLUO


CDQC I SPECIALE I DESIGN WEEK 2/6

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SUPERDESIGN SHOW 2017: COLORE, COLORE, COLORE di giulia laino

MEDIA PARTNER

GIF ART, TABLEAUX DI VASI GIAPPONESI,FRONTIERE DI SMART CITY, ROOFTOP DI FOOD DESIGN, REALTÁ VIRTUALE. SE IL MONDO STA CAMBIANDO, È ESPOSTO QUI SUPERDESIGN SHOW 2017 inizia il suo conto alla rovescia. L’evento esclusivo nel calendario del design internazionale torna dal 4 al 9 aprile nelle location di via Tortona 27, via Forcella 13 e via Bugatti 9 a Milano, rompendo gli schemi, dialogando con cultura e innovazione e proponendosi ancora una volta come crocevia di arti e mestieri Dopo un’edizione 2016 di grande successo con 130.000 visitatori e 2.270 giornalisti accreditati, SUPERDESIGN SHOW rilancia l’edizione 2017 con un programma tutto da scoprire, in linea con la mission verso qualità e eccellenza e puntando sulla ricerca e le contaminazioni tra classico e avanguardia. SUPERSTUDIO GROUP, l’ente organizzatore guidato da Gisella Borioli in collaborazione con l’architetto Carolina Nisivoccia, ha scelto Time to color! come tema dell’anno per reinventare gli ambienti e invita gli espositori alla personalizzazione di allestimenti e linguaggio con una sferzata di ottimismo e energia. La prepotente voglia di colore sarà declinata in originali elementi di grafica, arte, arredo, fotografia, video, scultura, musica e performance, per rendere l’esperienza stimolante e guidare il visitatore in un mondo che parla di creatività e contemporaneità e che è destinato a crescere e influenzare le scelte estetiche attuali.Tra i protagonisti, l’ultima collezione Flower/Metal di Yokohama Makers Village, con tableaux di vasi di design giapponese; Sunbrella firmata dall’artista e fotografo francese Charles Pétillon; l’installazione Color Pop di Slide a cura di Roberto Paoli; Radici Contract su disegno di Carolina Nisivoccia; la mostra Hand+Art+Design con le personali degli artisti-designer Alessandro Ciffo, Letizia Marino e Daniela Gerini; le mostre delle otto università statali della Polonia e di Keio, la prestigiosa università giapponese. Ma SUPERSTUDIO GROUP propone anche progetti inediti. Discovering: People and Stories apre al mondo degli autori, selezionati da tutto il mondo con un solo oggetto che parli di loro; Materials Village presenta il meglio dell’innovazione dei materiali e, con New Materials for a Smart City, offre una panoramica sulle frontiere per la creazione di una smart city, una città intelligente; Selected Objects espone arredi e oggettistica in piccoli spazi da 4 a 30 mq; Symposium Lab, in collaborazione con Pedini Cucine e la sua Cook Eat, crea un evento a quattro mani tra design e food sulla terrazza di SUPERSTUDIO; The Gifer celebra il tema del

colore con The GIFER-pills, un piccolo assaggio del festival the GIFER (Torino, 2-5 novembre 2017) sulla gif art. Infine SUPERDESIGN SHOW 2017 dedica una sezione specifica a tecnologia e interattività. Dessault Systèmes apre con lo studio del futuro per la progettazione di idee in 3D con rendering fotorealistici; IBM parla di intelligenza artificiale presentando Watson, il robot dalle sembianze umane mentre Gare Tex sfrutta la realtà virtuale per comunicare duttilità e confort dei materiali attraverso LED wall interattivi.

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SELECTED OBJECTS FRATELLI LEVAGGI


CDQC I SPECIALE I DESIGN WEEK 3/6 Isola Design District: il verde sotto al Bosco di GIORGIA DELL’ORTO Sapete che Isola quest’anno è un nuovo design district del FuoriSalone? No. ECCO ORA LO SAPETE. E QUI C’È QUELLO CHE DOVETE ANDARE A VEDERE Mancava solo il tanto amato quartiere sotto il Bosco a ospitare gli artisti e le opere provenienti da tutto il mondo che fanno impazzire Milano ogni anno ad aprile, segnalando l’arrivo della bella stagione e di un sempre rinnovato amore per il design. Dal 4 al 9 Aprile 2017 artigiani, giovani designer e brand emergenti, saranno i protagonisti di Isola Design District, progetto di marketing territoriale patrocinato dal Comune di Milano, dove verranno coinvolte anche le attività commerciali locali, esaltando il patrimonio storico e artistico dell’area. E quindi spazio anche al verde durante questa freschissima edizione di Isola Design District, partendo da una collezione di coprivasi in edizione limitata che uniscono il carattere grafico di Pijama a quello scapigliato ed eclettico del laboratorio botanico Offfi, presentati nei loro spazi di Via Carmagnola e via Pastrengo, passando al Suspended Garden di Bici&Radici, al Milan Design Market in via Pastrengo 14 ed arrivando infine a Botanik, installazione multi-tappa proposta da Green Island, progetto di Claudia Zanfi: da sempre Green Island sviluppa azioni di divulgazione e promozione culturale nell’ambito della tutela ambientale e dell’educazione creativa al tema del verde e della sostenibilità e da sedici anni partecipa alla Milano Design Week. Il focus di quest’anno è appunto il quartiere Isola e la sua espansione culturale e urbana che ha stravolto – in positivo s’intende – la vita dei suoi abitanti. Botanik è costituito da tre tappe alla ricerca delle sculture vegetali dell’artista Emilia Faro, composte da fiori mediterranei, foglie di agavi, piante acquatiche, rami con germogli, frammenti di vegetazione che vengono cristallizzate grazie alla sottile polvere di lava che le ricopre, affascinando chi guarda. La prima delle sculture sarà ospitata dalle vetrine del negozio must per tutti gli amanti del design a basso prezzo, Tiger, in stazione Garibaldi; la seconda troverà casa all’Algranti Lab di via Pepe, dove il designer Pietro Algranti realizza arredi dal forte carattere, partendo dal recupero di materiali come legno, ferro, rame e alluminio; ultima tappa e cuore dell’evento lo showroom di eco-arredamento Riva Viva in via Porro Lambertenghi, che accoglierà un orto botanico naturale. Fonte di suggestione - per l’artista di origine catanese – è sicuramente l’Etna che ricopre tutto di fuliggine durante le sue eruzioni, come fosse un mantello opaco poi spazzato via dal vento, che riporta il verde alla luce. Un po’ come l’inverno che lascia spazio alla primavera. E allora seguiamo il percorso GREEN ISLAND/BOTANIK con foglie verdi dipinte sui marciapiedi del Quartiere Isola e lasciamoci incantare dal potere della natura, dell’arte e dell’eco-design. Dal 4 al 9 Aprile, solo a Isola Design District

ISOLA

GREEN ISLAND - BOTANIK EMILIA FARO - INNESTO

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CDQC I SPECIALE I DESIGN WEEK 4/6

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VOLETE ANDARE A LETTO CON IL DESIGNER? È facile facile di francesca petroni

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Un ostello temporaneo destinato alla creatività per esporre e far convivere i designer con le loro creazioni. È quanto proposto in occasione del Fuorisalone 2017 da A letto con il DESIGN – Design Hostel Il Design Hostel è un luogo in cui la vita quotidiana dei progettisti si mischia alle esposizioni per mostrare come la condivisione può dare forma compiuta alla creatività. L’ostello prenderà vita dall’1 al 11 aprile in Bovisa, con apertura al pubblico da martedì 4 a domenica 9, all’interno di un’ex fabbrica che oggi ospita MakersHub e IDEAS Bit Factory (via Cosenz 44/4) e sarà animato tutti i giorni dalle 10.30 alle 00.30 con ingresso libero, da performance, installazioni, workshop, incontri ed eventi serali. Il pubblico, oltre a fruire delle mostre presenti negli spazi comuni dell’ostello, potrà visitare le stanze degli artisti, lavorare con loro e pernottare nella struttura. L’iniziativa è organizzata da MakersHub e IDEAS Bit Factory con la collaborazione di POLI.design, della Scuola di Design e del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. Il progetto «A letto con il DESIGN» vede trasformare nel distretto dell’innovazione milanese l’ultimo piano di una vecchia fabbrica verticale, in un nuovo modello di ospitalità: camere temporanee pop up in cui i progettisti, selezionati attraverso una call internazionale, vivono con le loro opere. Per l’intera durata della Milan Design Week, lo spazio si dispiega come un inedito ostello ibrido, a metà tra il concetto di casa temporanea e quello di fabbrica abitabile, in cui è possibile visitare le stanze degli artisti e vivere la loro quotidianità. «Ogni designer ospite della struttura potrà personalizzare il suo alloggio a tempo con le sue produzioni, che diventeranno parte integrante della mostra collettiva e passare le giornate con i visitatori - spiega Davide Crippa, curatore di A letto con il DESIGN - come se in mostra non ci fossero solamente le opere, ma anche gli artisti stessi.» Le esposizioni Decorazioni realizzate con antiche macchine tipografiche a caratteri mobili e cliché (creati attraverso stampa 3D e lasercutting) saranno protagoniste dell’arredamento negli spazi comuni dell’ostello per rievocare le suggestioni dell’era analogica. Contestualmente alla presenza delle macchine tipografiche, provenienti dal Museo della stampa e della stampa d’arte di Lodi, saranno esposte installazioni caratterizzate dall’innovazione tecnologica e dall’approccio interattivo. Tra queste: Ephemeral, un video-mapping che sfrutta i tessuti e le trasparenze per dialogare con i gesti umani, a cura di Giacomo Della Pinna di Cyberfreak Creative Studio; M@ is 2.0, installazione dal retrogusto futurista che utilizza lo scoppiettio dei pop-corn per creare composizioni sonore imprevedibili (a cura di Ghigos, Paolo Pasteris, Stefano Baldan); Square Sound, un’opera ludica che, facendo giocare a dadi il pubblico, legge le combinazioni numeriche uscite per mixare in tempo reale i suoni di molteplici strumenti e dare così vita a musiche sempre diverse; Solitaries Cell, un braccio robotico che gioca a dama cinese twittandone i risultati in tempo reale (a cura di Teslab e Fanuc). In mostra anche Canestra di Paolo Deganello, un oggetto ispirato alla celebre opera di Caravaggio che fonde le nuove logiche della stampa 3D e interventi pittorici manuali e la collezione di ventagli Be Fan, realizzata in digital fabrication da Ideas Bit Factory per darsi delle arie. Per richiamare e omaggiare un tema di attualità come la virtuosa economia circolare, saranno presenti anche gli oggetti di Ghigos per recycled stones, realtà impegnata nel rigenerare scarti produttivi lapidei per dare loro nuova vita e nuove funzioni. Seguendo la falsa riga del «fare con poco», si creerà un contrasto tra leggerezza dei progetti lapidei di Andrea Giovannetti e la pesantezza della materia prima utilizzata. Tra le creazioni ironiche e divertenti dei giovani designer ospiti dell’Ostello si potranno visitare anche la MilanoBAG di NineDesign, una valigia che racchiude una casa e la proposta di Rotolab, che disegna un divano che si crede una stanza.

Gli eventi Il programma si suddivide in attività diurne e serali, le prime più orientate all’esposizione e agli incontri, le seconde legate all’intrattenimento. Tutti i giorni, dalle 10 alle 20, si terrà il workshop Industria 4.0 durante il quale verrà realizzato il catalogo dell’iniziativa con le antiche macchine tipografiche, mentre la stampa 3D verrà impiegata per la produzione di sgabelli. Ogni giorno dalle 19 alle 24 sono previsti l’Aperitivo con il Design e la Design night con musica e drink a cura del birrificio La Ribalta. Mercoledì 5, giovedì 6 e venerdì 7 a partire dalle 17 il calendario propone tre talk, rispettivamente su: innovazione tecnologia, sostenibilità innovazione sociale e le cinque start-up selezionate da PoliHub. Per le attività serali Design Hostel lancia una serie di particolari appuntamenti, come la conferenza in pigiama (giovedì 6 alle 20.30), la battaglia coi cuscini (mercoledì 5 alle 22) e spaghettate di mezzanotte (dal 4 al 7 aprile, allo scoccare delle 24). Venerdì 7 e sabato 8 aprile sale in cattedra la musica elettronica con due nottate di dj set a partire dalle 22. L’evento di chiusura di domenica 9, dalle 22, vede protagonista il video-mapping architetturale con proiezioni sull’esterno dell’edificio.

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CDQC I SPECIALE I DESIGN WEEK 5/6 I CLUBBING

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ELITA DESIGN WEEK FESTIVAL DWF12 #walkthrough di ROBerta bettanin Il Design Week Festival, promosso e ideato dalla realtà milanese di Elita, ha accompagnato negli ultimi undici anni la Milano Design Week, diventando parte integrante di questa, tanto che quando si pensa all’una é difficile non pensare anche all’altra. Musica che si interseca con arte e design infondendo alla città un respiro internazionale, una concatenazione di eventi che attira a Milano gente da tutto al mondo. Giunto quest’anno alla sua dodicesima manifestazione, il DWF12 si svolge dal 4 al 9 aprile come sempre in luoghi diversi della cittá - anche se dall’anno scorso ha perso il suo campo base, il suggestivo Teatro Parenti - e attraverso #walkthrough, l’hashtag tematico scelto per l’edizione del 2017, sottolinea l’invito a un consapevole movimento attraverso la personale fruizione della prossima design week milanese. Una sorta di moderno nomadismo urbano che si esprime tramite eventi itineranti all’interno di spazi più o meno conosciuti della città. In linea con il maggiore trend del momento in fatto di musica, anche Elita con il DWF12 vuole esplorare quest’anno un percorso musicale che racconta una storia, una sorta di viaggio che si allontana dal mainstream alla scoperta di suoni di culture esotiche, legate peró fortemente a contesti metropolitani, dove i cittadini del mondo, a prescindere dalle radici etniche, stanno scrivendo una storia comune, quella della musica popolare contemporanea. A dimostrazione di questo la settimana si apre con Okzharp & Manthe Ribane (Hyperdub) originari del Sud Africa e si chiude con Ali Shaheed Muhammad, fondatore e membro di A Tribe Called Quest, band seminale dell’hip hop statunitense (recentemente vista ai Grammy Award con una performance anti Trump). Tra questi due estremi spiccano nuovi protagonisti come Moses Boyd, astro nascente del jazz elettronico, Glenn Astro, produttore della scuderia Ninja Tune, OY, duo che esplora le tradizioni africane per portarle nell’universo dell’elettronica e nan KOLÈ, producer che fonde i nuovi ritmi africani delle periferie ad atmosfere deep. A loro si affiancano le vecchie conoscenze come David Rodigan, star indiscussa della scena reggae internazionale, Sadar Bahar, gigante dell’universo deep house e Rich Medina, DJ e poeta della black culture. In linea con la tradizionale formula del festival che da sempre offre uno spaccato dei migliori talenti della scena da club internazionale troviamo inoltre eventi che coinvolgono, tra gli altri, Âme, Red Axes, Moscoman, Marvin & Guy, Marcellus Pittman, Jackmaster. La serata di apertura, totalmente gratuita, avrà luogo in via Corsico a Milano sul Naviglio Grande ed è ospitata dalla crew di Eurocrash, piattaforma creata dai DJ Protopapa e Sockslove. Special guest Sadar Bahar, un pezzo della storia di Chicago, definito da Theo Parrish «il DJ dei DJ», che porterà lungo il naviglio il suono che ha collezionato negli anni, mescolato a deep house e disco in uno stile che lui stesso ha ribattezzato Soul in the Hole. Il tutto poi si sposta al Rocket con Glenn Astro e lo showcase dell’etchetta Milanese Hormonal Sequenze che presenta i set di Broken English Club, Dies Irae e Samantha. Giovedì 6 aprile invece a farla da padrone il party House District Milan con la leggenda di Detroit Marcellus Pittman, quel matto di Jackmaster e il newyorkese DJ Qu in una location ancora segreta. Venerdì 7 aprile Elita apre la serata in Piazza del Cannone con un pre-party ad orario aperitivo che vede coinvolti DJ cittadini, oltre a Marvin & Guy, che piú tardi torneranno in consolle al Wall di Via Plezzo 16 a fianco agli eroi di Innervision Âme. Anche sabato 8 aprile Elita DWF12 trova casa al Wall, stavolta con gli israeliani Red Axes e Moscoman, patron di Disco Halal. Il Closing Party del Design Week Festival 12 infine sará una celebrazione della black music e vedrà protagonisti Ali Shaheed Muhammad, fondatore e membro dello storico gruppo rap statunitense A Tribe Called Quest, Rich Medina, pioniere della scena soul/funk e hip hop americana e i meneghini Mokambo Brothers.


CDQC I SPECIALE I DESIGN WEEK 6/6 I CLUBBING

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DUDE CLUB DESIGN WEEK 6/7/8/9 aprile @DUDE CLUB

AWESOME TAPES FROM AFRICA 7 APRILE @ ​ NUL

TALABOMAN 7 aprile @VOLT

Dude club mette in atto il suo personalissimo Design Week festival con 4 giorni di eventi dalla line up stellare. Dopo il successo dello scorso anno ripete l’esperienza portando l’ormai di casa Ben Klock giovedí 6 aprile, il quale apre le danze di un fine settimana che si prospetta davvero ricco e che continua venerdì 7 aprile con Surgeon e Lady Starlight impegnati insieme in un set rigorosamente live, un act da non perdere, che mette insieme il tagliente DJ inglese e quella che lui stesso ha definito “sorellina della techno, amica e fashion guru di Lady Gaga. I due saranno accompagnati, come se non fossero già sufficienti da soli, da una delle leggende di Detroit, DJ Stingray. Se già questo sembra tanto, non é ancora finita: a presidiare la data di sabato un altro nome fondamentale della Motor City, tra l’altro pure compagno di scuola di Stingray, osannato e discusso ma imprescindibile nella scena: Moodymann, che divide la consolle con Abstract, Blackswann e Riccardo Bhi. Infine il coronamento della quattro giorni vede domenica schierarsi la formazione britannica Hessle Audio con Ben Ufo, Pangea e Pearson Sound che festeggiano con un tour europeo i 10 anni di attività da quando, ancora studenti, hanno messo in piedi il progetto che mescola il suono UK con house, techno e musica sperimentale, creando un timbro unico che da allora non ha smesso di crescere.

Awesome Tapes From Africa è il nome con cui Brian Shimkowitz porta in giro quello che è un progetto più ampio, una label che ricerca e promuove quello che il nome indica: fantastiche musicassette che provengono dall’Africa. Brian ha studiato in Ghana dove è stato folgorato dalla cultura del luogo attorno a queste cassette. Ha cominciato a collezionarle e non solo, ha messo in piedi una piattaforma di incontro per tutti quegli artisti che, per localizzazione geografica e situazione politico-economica si trovano in una posizione svantaggiata nel promuovere il loro lavoro. Prima come blog, poi come label, grazie alla digitalizzazione è riuscito a far sconfinare i suoni dell’Africa del west per farla arrivare nei club e nei festival di tutto il mondo, creando non solo una fanbase di appassionati del genere che prima non c’era, ma anche un numero crescente di musicisti e produttori. Tutto nasce dalle cassette e è proprio con queste che ATFA porta in giro la musica dell’ombelico del mondo: i suoi set sono rigorosamente su nastro, una pazzia unica nel suo genere.

Talaboman è una sorta di Idra, un mostro a due teste, impersonate dal capo della baracca Hivern Discs John Talabot e dal produttore svedese Axel Boman. I due sono diventati amici dopo un back to back di 10 ore a un festival qualche anno fa e da allora hanno sempre collaborato. Il loro debutto come entità unica - dal nome che perfino loro hanno definito silly - è stato nel 2014 con l’EP Sideral e da allora si sono costruiti una solida reputazione come DJ team: squadra che vince non si cambia, pertanto dopo un massiccio lavoro registrato tra Barcellona e Stoccolma escono adesso con il primo full-lenght, un album uscito il 3 di marzo su R&S dal nome The Night Land, che hanno definito «un viaggio interiore, un tentativo di raggiungere il subconscio e di documentare i nostri sogni», sogni ricchi di synth e percussioni africane. Quella del Volt è la prima data del tour europeo di promozione dell’album. Un’ottima occasione di sentire in anteprima assoluta il nuovo lavoro del duo.

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COSA I DOVE I QUANDO I come COSA I DOVE I QUANDO I come

THE FORGET ISSUE dimenticare e dimenticare e dimenticare. Dargen alle prese con la classica e il Traguardare, l’uragano Brexit, i WOO di Napoli (città che merita, godetevi il portfolio misticismo solitario, i ragazzi di Sweetguest con proprietari di casa esigenti, Kat Von D con tatuaggi da pagina 55), i locali in cui riflettere di avanguardia e la mostra di David Bowie che da cancellare (anche temporanemente), Henry Davies e tutte le sue Vans, il mito della natura buona più che una mostra Per è unaiutarvi racconto della diversità in ognuno noi grazie a un romanzo. vi presentiamo i migliori cocktaildibar del momento

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CDQC I MUSICA QUELLO CHE VORREI CHE SUCCEDESSE È QUEL TRATTO DI MARE DOVE SI INCONTRANO GLI OCEANI: Dargen sulle vibrazioni di UN piano di STEFANO NAPPA In questo disco la poesia di Dargen D’amico è in equilibrio sulle corde di un piano colpite dal tocco di Isabella Turso. Con gli occhiali da sole a ‘specchio sdraiato sulla coda del suo pianoforte’ ci ha svelato cosa c’è realmente dietro al suo nuovo album «VARIAZIONI» Com’è nato il disco? Questo è stato il disco più difficile che abbia fatto in vita mia, nonostante ne abbia fatti sette, otto, duecento, è stato complesso sotto tutti i punti di vista. C’è sempre stato questo sogno di voler fare qualcosa con la musica classica, c’erano stati anche degli esperimenti in passato come Briciole Colorate. Ho sempre avuto dei piccoli flirt con lei poi la fortuna è stata incontrare Isabella che ha questa bellissima passione verso la sperimentazione. Quanto tempo sei stato sospeso su queste corde? Il processo di composizione è stato molto lungo, ha avuto una maturazione artistica durante il percorso. All’inizio sarebbe stato impossibile comporre sulle prime bozze che mi mandava Isabella, poi Tommaso Colliva ha aggiunto questa magia che ha mediato tra i nostri due mondi. In questo disco ci sono sei inediti più delle variazioni di brani che hai già pubblicato, come mai hai fatto questa scelta? Volevo creare un percorso omogeneo, in questo disco, un tragitto che attraversasse anche i dischi precedenti dando comunque delle prospettive diverse sul brano. Volevo fare semplicemente un percorso che toccasse tutti i dischi che ho fatto in precedenza con brani che nel tempo avevo un po’ lasciato da parte ma poi quando li ho ripresi mi sono detto: «Ah, però sai questo non è male!», lo ricordavo peggio. Gli altri dischi per me sono stati sempre un cesareo invece questo è stato un parto naturale. Se nella tua vita non ci fosse la musica, cosa faresti? Quando la musica sarà finita forse farei il copywriter pubblicitario. Perchè comunque ho cominciato molto presto a scrivere, anche molto prima del 97, diciamo poco prima dell’uscita del disco dei Sangue Misto io già scrivevo le mie canzoni. Ho sempre avuto il bisogno di scrivere e la magia è capitata con il primo disco rap che ho comprato: Public Enemy - Yo! Bum Rush the
Show. In questo disco l’ultima traccia è strumentale, da qui ho iniziato a scrivere però io lo facevo già dalle elementari grazie a una maestra bravissima che ci faceva fare un’ora di poesia in cui tu potevi scrivere i tuoi versi. Cosa dobbiamo aspettarci dai tuoi concerti? Sul versante live per me sarà molto importante la visione dal pubblico, dato che anch’io sono il pubblico, voglio capire cosa succederà. Quello che vorrei che succedesse è quel tratto di mare
dove s’incontrano gli oceani. Come dialogano le musiche. Io poi non sono mai stato fan dei generi musicali, cioè dopo i venticinque chi ha un solo genere musicale preferito un po’ mi spaventa.

Stai per pubblicare anche un libro, di cosa si tratta? È il backstage delle mie canzoni. Non le scrivo mai di getto le tengo in testa per tutto il tempo necessario. Questo significa che alcune cose te le dimentichi ma quelle più importanti rimangono e poi hai un’idea coerente nella testa di quello che vuoi dire. Però nei periodi in cui ragiono sui testi scrivo e se vuoi farti un’idea di quello che succede dovresti entrare nel camerino delle mie canzoni. Ma la ragazza nel brano Un’Altra Cosa ha un nome? Si ha un nome ma non te lo dico. Poi sto cercando di arrivare a una purezza mistica, infatti nel brano parlo della clausura che prima o poi diventerà la mia strada. Quindi il tuo storytelling è ispirato dalla tua vita? Certo, è tutto ispirato dalla mia vita ma non c’è niente della mia vita. Nel senso che non c’è una perfetta corrispondenza, magari cambio i colori o i dati. In un testo scrivi di aver scritto alla Madonna un sms? La Madonna risponde sempre, è solo che noi non sappiamo ascoltarla.

Cameron Avery – Ripe Dreams, Pipe Dream

FUTURE ISLAND – The Far Field

– Semper Femina (Kobalt Music Group)

Non ama le pause e su questo non ci piove. Da tempo pilastro della scena psych australiana, Cameron Avery, co-fondatore dei Pond e di diversi altri progetti, nonché bassista in pianta stabile dei Tame Impala, non vuol proprio saperne di fermarsi. Tanto che tra un disco e l’altro ha trovato il tempo non solo di partecipare ai tour mondiali di amici come The Horrors e The Last Shadow Puppets, ma anche di uscirsene col primo disco solista. Ed è proprio dalla band di Alex Turner e Miles Kane, un progetto che omaggia una certa corrente melodica anni 50 e 60, che sembrerebbe venire l’influenza maggiore di questo Ripe Dreams, Pipe Dreams. Niente rock and roll, niente psichedelia, niente - o quasi - distorsioni, ma ribalta quasi assoluta per sinfonie di archi, ballate struggenti e richiami ai grandi crooner alla Dean Martin e Frank Synatra e Elvis. Il tutto condito da testi ironici e ricchi di humour, ben sintetizzati nell’espressione «you can get me in a pack of two», quando in una americanissima «Disposable», Avery si descrive in tono ammiccante come un tubetto di dentifricio o un rotolo di nastro isolante. Nulla a che vedere insomma con tutto quanto aveva messo su un nastro precedentemente, il che ne evidenzia la genuinità, l’urgenza cioè di fare una cosa diversa e senza compromessi. «I didn’t get a record deal until after recording the album» ha recentemente dichiarato a DIY, «I selffunded it. It was basically me just wanting to record stuff». Ettore dell’orto

Il pubblico se lo sono guadagnato alla vecchia maniera: facendo belle canzoni e bei dischi, curati artigianalmente nei particolari e portandoli in giro con tour e concerti altrettanto ricchi di dedizione, dei quali era certo solo l’inizio, ma mai la fine. Al quinto disco di inediti e a quasi tre anni dal successone di Singles il trio di Baltimora mantiene la rotta e non mostra segni di cambiamento, nonostante la recente crescita esponenziale di audience e notorietà (merito anche di una esibizione nel 2014 da David Letterman, passata alla storia per la loro performance parecchio vivace, ai limiti del posseduto). Già al primo play The Far Field è un potenziale colpo di fulmine per i fan e gli amanti del synth pop: si parte con Aladdyn, primo gioiellino che mette in mostra il marchio di fabbrica dei Future Island: cassa incalzante, giri di basso in faccia e melodie sintetizzate che restano subito in testa. Con Sam Herring e la sua voce ingrugnita che non si fa mai desiderare, costantemente in primo piano com’è giusto che sia. Per tutto il resto dell’album la sensazione è quella che ogni pezzo sia il potenziale prossimo singolo per le radio, cosa che con tutta probabilità e conoscendo minimamente la storia della band, è tutt’altro che cercata o pensata a tavolino. Basta pescare dal mazzo e Ran ha lo stesso tiro e la stessa presa della già famosa Cave, di North Star col suo incedere un po’ tribale e della stessa Black Rose, che ha l’unico neo di comunicare che il disco è finito. Ettore dell’orto

Dopo il podcast, un disco. È senza discussione la donna il tema centrale attorno al quale ruotano gli ultimi lavori di Laura Marling. Così dopo aver prodotto un podcast intitolato Reversal Of The Muse nel quale discuteva insieme ad altre amiche la creatività femminile nel campo dell’arte, la cantautrice inglese torna a imbracciare la chitarra per fare quello che da dieci anni le viene tanto bene, vale a dire sfornare un disco. Prende così le mosse da un famoso passo dell’Eneide di Virgilio («Varium et mutabile semper femina», appartiene alla donna l’essere cosa varia e mutevole), per mettere insieme canzoni nelle quali diverse protagoniste sono rappresentate senza filtri o giudizi, semplicemente per come sono mentre affrontano diversi momenti della vita. L’unica presenza maschile nella lavorazione è rappresentata da Blake Mills, chitarrista e produttore, tra gli altri, di John Legend e Alabama Shakes, scelta quanto mai azzeccata: la sua predilezione per gli strumenti a corda pizzicati è perfetta per vestire con eleganza i testi intimi, delicati e istintivi della Marling; che a sua volta mette a disposizione un bagaglio che spazia dal folk tradizionale britannico alle armonie acustiche del sud della California (dove si è trasferita e vive da tempo). A ventisette anni e con già cinque dischi all’attivo Laura Marling riesce a tenere il piede in due scarpe, mantenendo identità stilistica e la giusta apertura creativa sullo stesso livello di importanza. Ettore dell’orto

LAURA MARLING

(4AD Records)

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(Anti- Records)


CDQC I DANZA DIMOSTRARE OGNI GIORNO DI VOLER DIFENDERE I PROPRI SOGNI: QUESTO è LO STILE DI MOMA STUDIOS

DA SINISTRA: IVAN, FRANCESCO, SILVIA E PIETRO

di FRANCESCA PETRONI

Perché hai scelto Francesco e Silvia per l’intervista? Ivan: Ho scelto loro due perché sono entrambi del terzo anno ma sono due allievi completamente diversi. Lei è arrivata tramite il virale, quindi ha scelto di venire in accademia tramite audizione, per entrare qui, invece Francesco è stato scelto tramite un workshop giù in Sicilia a cui lui ha partecipato, l’ho notato perché spiccava fra gli altri e l’ho voluto qui in Momacademy tramite borsa di studio. Come hai scoperto la danza? Francesco: Mia madre seguiva corsi di danza caraibica e per puro caso mi ha portato con lei per provare, così ho iniziato a farle da partner, scoprendo un mondo totalmente diverso da quello che vivo adesso. Da lì mi sono approcciato alla danza, ho iniziato a studiare in una scuoletta di provincia, facevo contemporaneo e qualche lezioncina di hip hop. Poi ho cominciato a capire che lo street urban era quello che volevo fare. Un giorno mi è arrivata voce di questo workshop tenuto da Ivan e dopo aver vinto la borsa di studio a 17 anni dovevo scegliere se salire su quel treno e mollare tutto, la scuola, gli amici, la famiglia. Allora lì mi sono fermato e mi sono chiesto «ma io davvero cosa voglio fare?» e ho deciso di partire per Milano. Ero piccolo è stato difficile, ero molto spaventato da questa scelta. Una volta arrivato qui è stata solo questione di iniziare, più andavo avanti e più capivo che questa è stata la scelta giusta. Ho subito capito che il Moma mi stava aiutando. Qui dentro ho sempre preso una persona come esempio, Ivan, perché è stato lui a trascinarmi qui, a scommettere in me e ha visto qualcosa che gli altri non vedevano. Infatti quando ero giù in Sicilia, nessuno ha mai creduto in me, solo la mia famiglia.

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Come hai iniziato a studiare danza? Silvia: Io per puro caso. Passando da una piazza ho visto dei ragazzi che facevano breaking, quindi con la break dance, ma poi mi sono resa conto che non era totalmente la mia disciplina. Ho fatto un percorso hip hop, fino a quando non sono arrivata qua, dove ho trovato tante discipline da arricchire il mio bagaglio. Adesso posso dire che questa è un’esperienza che ti cambia la vita. Non solo come ballerino ma anche come persona, ti mette davanti tante prove, tante sfide. Ti rende una persona responsabile, matura, educata, insegna a stare in mezzo alle persone, quindi ti completa a da tutti i punti di vista. Poi i sacrifici sono tanti ma vengono tutti ripagati, nella vita, nella danza, nelle amicizie, nella famiglia. Come vi vedete fra vent’anni? Francesco: Naturalmente come un ballerino professionista. Silvia: Anche io e ci stiamo già riuscendo. Ivan: Una cosa importante da sapere di Silvia è che lei è entrata come allieva ma adesso è parte del corpo docenti dell’accademia. Insegna popping, ai ragazzi di pre accademia, anche al primo anno del Momacademy. Silvia: Questa per me è una grande responsabilità e non posso che essere orgogliosa di questo traguardo. Come nasce questa scuola e perché indirizzarla verso lo stile Urban? Pietro: Allora Moma Studios e Momacademy sono due cose un po’ diverse. In primis nasce Moma Studios. Sono venticinque anni che faccio questo lavoro, sono stato otto anni in Francia e quando sono tornato ho trovato questa occasione.

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Ci hanno raccontato cosa sono le Accademia Moma e Moma Studios. Abbiamo parlato di cosa significa vivere danzando e danzare per vivere. Dove c’è danza c’è determinazione, sacrificio, sudore e un’irrefrenabile passione. Le loro parole mi hanno messo una carica esagerata. Mi sono venuti in mente quei film che vedi da adolescente, un po’ quelle robe in cui tutti alla fine realizzano i loro sogni, in cui sai bene che la realtà è ben diversa ma un po’ ci speri che la vita vada esattamente nella direzione giusta. I ragazzi del Momacademy sono la vita vera. Dimostrano ogni giorno di voler difendere i loro sogni, senza credere nel destino o in una botta di culo. I risultati si raggiungono solo con il lavoro, l’impegno e la dedizione.

Silvia come sei arrivata in Moma? Silvia: Io ho scoperto Moma per caso. Anche io ho iniziato danza a livello provinciale. Poi dopo aver finito il liceo, ho iniziato un percorso universitario ma non ero felice, perché dentro di me volevo che la mia professione fosse la danza. Quindi fare di quello che amo un lavoro. I miei genitori dopo poco se ne sono accorti, stavo male e non ero felice. Mi chiesero «Silvia tu vuoi ballare nella vita? E allora vai!». Così ho iniziato a fare le mia ricerche su internet e il primo risultato è stato Momacademy, senza pensarci troppo mi sono iscritta all’audizione. Quando ho ricevuto la chiamata che mi diceva che ero stata presa, mi si è aperto un mondo e da Genova sono partita per Milano. Anche per me ha significato mollare tutto, amici, famiglia e un fratello che sta attraversando l’adolescenza e mi sarebbe piaciuto stargli vicino, mi dispiace non vederlo crescere. È stato difficile ma se tornassi indietro rifarei tutto.

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Abbiamo intervistato Francesco e Silvia, due ragazzi di MomaCADEMY, il loro insegnante Ivan SpinellA, direttore artistico e docente della MomAcademy, e Pietro Froiio, direttore MOMA STUDIOS


Perché la scelta di una compagnia di solo uomini? Ivan: È partita da me. Un giorno mi sono trovato in sala a montare con soli uomini, di lì

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Come l’hanno interpretato questo progetto le donne dell’accademia? Mi danno del maschilista, che non sono per niente. Con altri lavori abbiamo vinto diversi premi nei concorsi a cui abbiamo partecipato e la stessa Milly Carlucci ci ha voluti ospiti nella sua trasmissione. Qua i progetti non mancano e anche il lavoro. Loro iniziano la mattina e finiscono la sera, pranzano qui e cenano qui. Spesso tiriamo avanti fino all’1 di notte per provare. Cosa pensi dello scenario italiano in cui si colloca la danza? Tanti fuggono dal nostro paese, è giusto secondo te? Ivan: I ballerini italiani in Europa sono visti molto bene. Io sono stato anche negli Stati Uniti, ho vissuto a Parigi a New York e devo dire che noi siamo molto apprezzati all’estero, sia dal punto di vista artistico che personale. Fuori si hanno molte più possibilità di lavoro. Siamo in netto ritardo rispetto al resto d’Europa, c’è però da aggiungere che l’Italia sforna ottimi talenti. Cosa pensi dei talent show? P: Se parliamo di talent tipo Amici o Dance Dance Dance penso due cose. Che sono positivi perché portano la danza sui principali media, ma anche che dovrebbero far passare di più il messaggio che non è così facile fare il ballerino, significa una vita di sacrifici. Non esistono serate per te, giornate per te o weekend per te. Quale consiglio dareste a tutti quelli che vogliono fare della danza il proprio mestiere? Pietro: Oltre a quello di studiare sempre, auguro a tutti di trovare la propria strada che sia sul palco o fare l’insegnante, auguro sempre a tutti di trovare il loro posto in cui si sentono bene. Magari tramite lo studio del proprio corpo capire che questo non è il posto adatto a loro, però almeno farlo con consapevolezza.

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Quali opportunità offre il Momacademy una volta terminati i tre anni? Pietro: Quando noi facciamo le audizioni e scegliamo i ragazzi i genitori spesso ci chiedono «ma poi alla fine cosa succede?». Io rispondo che accade esattamente quello che tu vuoi che succeda. Se tu vai alla Bocconi alla fine cosa succede? Se tu studi strabene e ti apri mille porte allora può essere che ci sarà un futuro per te in quel mondo, la stessa cosa vale qua. Qui non abbiamo palle di vetro per vedere il futuro, possiamo solo darti i mezzi per arrivare ma sei tu che devi farlo. Ivan: Noi buttiamo le basi e perché no, li seguiamo anche quando l’accademia è finita. Con Francesco per esempio abbiamo dei progetti. Lui essendo molto più giovane di loro (ha solo 19 anni), ha altre possibilità. Adesso lo sto portando in compagnia con me. Abbiamo una compagnia di solo ragazzi e lui è un perno fondamentale nel gruppo. Oltre ad altri lavori di agenzia che ha già nel cv. Quest’anno ha fatto parte di un’aggiunta corpo di ballo di X Factor, video musicali, convention, programmi tv. Si sono esibiti in diretta durante la prima serata, su Rai 1. Per me e per noi come struttura è fondamentale contribuire al loro futuro, aiutandoli nelle loro esperienze. Questo percorso è un triennio, dove la struttura e ad altri docenti di alto livello cerca di formattare e creare il “ballerino moderno” cioè il ballerino poliedrico, con un bagaglio tecnico e culturale formato, non dico a 360° ma vogliamo puntare proprio a quello.

è nato un pezzo, allora mi sono detto perché non continuare questo lavoro?, senza troppe aspettative abbiamo continuato a vederci e produrre. Forse chiamarla compagnia è un po’ prematuro ma stiamo lavorando per mettere in scena questa creazione coreografica che metterà al centro l’uomo e l’essere un gruppo. Vorrei raccontare le esperienze maschili, dall’uomo primordiale fino ad arrivare a quello futuristico quindi al cyborg. United è un lavoro molto carnale e fisico, sicuramente non mancherà il sudore in scena. Si racconteranno diverse visioni del maschio, anche la figura omosessuale.

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Quella che tu vedi oggi prima era una piccola palestrina, io l’ho rilevata trasformata tutta e ho iniziato a lavorare tutti i giorni, dal mattino alla sera. È quello il segreto, nient’altro, solo tanto lavoro! Mi sono affiancato a tanti professionisti, io qui dentro sono un po’ il regista perché da soli non si va mai da nessuna parte. Moma Studios è una scuola di danza a tutti gli effetti, non è Urban, si fa il classico il contemporaneo, il tango, pilates, tutto. Io arrivavo da un mio percorso più Urban e quello che io volevo e non ho mai trovato quando ho iniziato, era un posto dove studiare solo quello. Venticinque anni fa facevo due lezioni in una scuola, altre tre da un’altra parte e così via. Momacademy racchiude un percorso che era quello che sognavo io, cioè tutte le materie hip hop insieme. Volevo dare la possibilità ai giovani di trovare tutto qua dentro, senza fare mille lezioni in mille posti diversi. Adesso Moma Studios è anche una linea di abbigliamento e organizzazione di eventi. All’inizio dopo tre quattro anni, ho conosciuto Ivan, l’ho chiamato e ha iniziato a insegnare qui, poi c’è stata una riunione in cui gli ho proposto di prendere in mano la direzione artistica di quella che era l’accademia.



CDQC I NEWCO HAI UNA CASA MA NON HAI MENATE DI STARE DIETRO AD AIRBNB? EASY. CI PENSA SWEETGUEST Cos’È? vE LO SPIEGANO I DUE FONDATORI di FRANCESCA ORTU 12 mesi e una grande conferma: Sweetguest supera il periodo di startup affermandosi nel mercato milanese come prima società di affitti brevi, leader sulla piattaforma Airbnb

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The Forget Issue

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turistico. Siamo nelle grandi città perché pensiamo che esse siano il vettore, per poi trovare i clienti nelle zone meno centrali e che ci interessano di più. Vogliamo puntare tanto su città fuori dai centri urbani perché in Italia il mercato turistico è al 90% fuori dalle grandi città in Italia e anche perché c’è un potenziale inespresso pazzesco. Ci sono milioni di seconde case tenute vuote e sono tutte opportunità incredibili che vogliamo cogliere, perché nonostante il flusso turistico non ci sono le strutture adatte per accoglierli. Ci sono delle località nelle quali si concentrano un sacco di ricerche web in cui però gli hotel in inverno sono chiusi e di conseguenza non ci sono posti per far dormire qualcuno, ad esempio in Liguria. Noi vogliamo essere quella realtà che possa farlo. Un altro esempio è la Puglia a marzo. Solo in Italia inoltre la stagionalità è così sentita. Clienti dubbiosi sugli affittuari? E: Ci sono, ma noi utilizziamo solo Airbnb per le nostre case, che non è una vetrina in cui chiunque può prenotare, è una comunità di viaggiatori e proprietari di casa. Essendo tale questo significa che per poterci viaggiare dev’esserci una foto profilo, associata spesso ai social network. Dev’essere presente un documento d’identità, una presentazione, un video. Di conseguenza noi riusciamo così a selezionare i viaggiatori, che lasciano le loro recensioni sulle case. Il proprietario a sua volta ne lascia una sull’affittuario. È l’unico sito su cui questo è possibile e permette quindi di avere dei viaggiatori profilati che possiedono anche dei feedback. Grazie al nostro software il viaggiatore con recensioni negative non vede le case in nostro possesso. Chi viaggia su Airbnb è sempre un proprietario di casa e parte dal presupposto che lui stesso vorrebbe rispetto per la propria. Accogliamo di persona gli ospiti proprio perché in questo caso abbiamo modo di dialogare con loro. Come scegliete gli appartamenti? E: Abbiamo sia appartamenti di lusso da 1000€ al giorno che quelli da 50€ al giorno. Hanno tutti un’attitudine Airbnb. Sono tutti diversi, caratteristici, rispecchiano i gusti del proprietario e sono tutti molto funzionali, non manca nulla al loro interno e sono posizionati nelle zone d’interesse della città, che sono quelle più ricercate. Come gestite le richieste su zone non ricercate turisticamente? E: Cerchiamo di farlo capire al cliente spiegandoglielo molto limpidamente. Proprio per questo motivo abbiamo messo a disposizione sul sito da poche settimane uno strumento che permette di autovalutare il proprio appartamento in base all’indirizzo, più varie informazioni che servono al nostro algoritmo per dare il valore mensile che può produrre la casa in questione. A parte i tecnicismi, quali sono i valori di Sweetguest? R: Secondo me la forza di Sweetguest sta innanzitutto nel modo che abbiamo avuto di vedere il team, che ancora persiste. Abbiamo una visione orizzontale e non verticale, senza loro non faremo nulla nemmeno noi. Siamo come ci vedi: leali, umili, ambiziosi, con la voglia di portarci dietro tutti, caratteristiche basilari per la stessa società. Il nostro team è formato da circa 35 ragazzi sui 24 anni. È una delle società più giovani d’Italia. Di questo andiamo molto fieri. E poi vogliamo anche dare un servizio turistico differente da tutto il resto, sfruttando il potenziale italiano. Edoardo, tu hai lasciato un lavoro sicuro per questo. Che cosa ti ha spronato? Cos’hai visto in questo progetto? E: In primis mi è piaciuto il coraggio e la scalabilità del progetto. Era bello, ambizioso, coraggioso e rischioso. Nonostante all’inizio fosse zero, ci trovavamo alle 5:30 a casa di Rocco, prima di andare in ufficio e facevamo il business plan, pianificavamo il personale e le necessità utili per mettere in piedi il progetto e eravamo completamente sotto economicamente. Andavamo dagli investitori per presentargli il progetto fino a quando a luglio ci hanno creduto e da lì hanno deciso di aiutarci economicamente e investire. Abbiamo raccolto 1 milione di euro da vari investitori che ancora oggi sono con noi. Abbiamo faticato molto, eppure non abbiamo mai avuto dubbi sulla sua funzionalità. L’obiettivo per il prossimo anno? E: Essere la prima società di gestione affitti brevi in Italia.

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Massimizzare le potenzialità della propria casa, ecco l’obiettivo dei due fondatori, Rocco Lomazzi e Edoardo Grattirola. Li abbiamo intervistati, curiosi di scoprire com’è andato quest’anno, come lo hanno affrontato e quali sono gli obiettivi futuri di Sweetguest. Che cos’è Sweetguest e come opera sul mercato affittuario immobiliare? Edoardo: È una società di affitti brevi che si incarica di occuparsi della tua casa a 360 gradi, affittandola a un prezzo superiore per un numero di notti maggiori, massimizzando i tuoi guadagni per merito del nostro algoritmo e software, sviluppato appositamente gestendo il Seo del sito, che ha permesso alle nostre case di potersi posizionare tra le ricerche principali. Com’è nato il progetto? Rocco: Come attitudine sono sempre stato un imprenditore. Appartenevo già in parte a questo settore. Gestivo il flusso immigratorio per manager stranieri di aziende multinazionali che venivano in Italia per lavoro, occupandomi di problematiche fiscali e di ricerca case. Questo progetto però è iniziato per caso, per merito di un mio vicino di casa che aveva un appartamento che stava lasciando per trasferirsi a Ibiza. Me l’ha affidato proponendomi di farci entrare qualche manager. Ho pensato subito che fosse una casa che potesse funzionare meglio su Airbnb, piattaforma web nata in quel periodo, da pochissimo tempo. L’ho messa online e quella casa specifica è stata la prima su Milano a ottenere di più in termini di guadagno e recensioni positive per affitti di periodi di due giorni e mezzo circa. Oggi la periodicità qual è? R: Ancora oggi è un dato che persiste. Le nostre case sono affittate 8/9 volte al mese per un riempimento di 25 giorni al mese. Quando hai iniziato qual era l’obiettivo? R: Inizialmente non lo avevo, fino a quando mi sono reso conto che era un’ottima opportunità e da lì l’obiettivo è stato il voler fare qualcosa di innovativo. Così ho tirato dentro Edoardo. In cosa si differenzia l’affitto breve di Sweetguest in termini economici? E: Noi vendiamo la tua casa a un prezzo più alto. Innanzitutto tendiamo a mettere in evidenza il nostro cliente attraverso il nostro software e il SEO, che permette alle nostre case di apparire tra le prime ricerche all’interno della piattaforma, chiediamo di più per la tua casa all’affittuario e noi prendiamo meno per il servizio, quindi si genera un doppio vantaggio. In quali città italiane siete? E: Milano, Torino, Venezia, Roma, Firenze e poi gestiamo delle aree dal grande potenziale turistico in maniere più ampia in Salento, Puglia, St Moritz, Madonna di Campiglio e nord Sardegna. Ma non per scelta. Seguiamo chiaramente il flusso


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I

PIZZA GOURMET + COCKTAIL + VIDEOINSTALLAZIONI: IL NUOVO DRY è ARRIVATO Chi dice pizza gourmet + cocktail a Milano dice Dry. Il format iconico ideato dallo chef stellato Andrea Berton insieme a Giovanni Fiorin, Tiziano Vudafieri e Diego Rigatti è un’istituzione di via Solferino già dal 2013. Con un party su invito nella sera del 29 marzo è stato inaugurato il nuovo Dry, che apre al pubblico ufficialmente mercoledì 12 in viale Vittorio Veneto 28. L’evento ha visto anche il lancio del nuovo web magazine Pisacco Chronicle, targato Dry Milano e Pisacco e fortemente voluto dai quatto soci, che tocca diversi temi quali arte, cultura e lifestyle, ma sempre con un riferimento al cibo. Cibo che rimane grande protagonista di una formula ormai nota, improntata a qualità e prezzi leggeri, ma che si arricchisce adesso di due novità importanti, l’apertura a pranzo e il laboratorio di pasticceria. Per quanto riguarda focacce e pizze non mancano Le Classiche (personalizzabili con condimenti serviti al tavolo), ma la lista include anche una serie di Pizze dello Chef studiate ad hoc. La zona bar, situata tra due cocktail station, è il fulcro del locale: la back station a vista consente infatti agli ospiti di assistere alla finitura dei drink, inclusi i Signature, a base di vino e shrub, per chi sceglie un basso contenuto alcolico. Il nuovo Dry si affaccia sulla Casa della Fontana, uno dei più iconici edifici della Milano degli anni Trenta, sul giardino di via Palestro e, con un dehors, sui Bastioni. Il

decor mixa gli elementi d’epoca dello stile dell’edificio che lo ospita (un’antica azienda di distribuzione di giornali fondata all’inizio del Novecento), con altri più moderni, per un layout decisamente più contemporaneo. Il pavimento in legno si contrappone ai muri storici, lasciati in parte grezzi. Contrasto voluto per accentuare l’aspetto da moderno loft ricavato da un ex spazio industriale. Ciliegina sulla torta - d’autore naturalmente - Extra Dry: il programma di video installazioni d’arte contemporanea curato da Paola Clerico/Case Chiuse, che contribuirà a rafforzare l’atmosfera urban del locale e si aprirà alla città attraverso proiezioni, su due delle vetrine, che saranno visibili anche all’esterno.

DRY I VIALE VITTORIO VENETO 28 I Milano I PORTA VENEZIA

NIK’S&CO: proibizionismo anni 30 e peperoncino

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NIK’S&CO I Via Schiaparelli 14 angolo Via Copernico I Milano I CENTRALE

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Mancava un luogo d’incontro, un posto accogliente dove bere un buon cocktail, scambiare due parole e giocare con il food pairing a nord della stazione Centrale, vicino alla fermata della metro Sondrio. Da questa considerazione nasce Nik’s&Co: tre giovani ingegneri di una start up del mondo elettronico, ogni giorno si chiedevano dove pranzare e dove discutere le nuove idee davanti a un buon drink, quando la vitalità di Spazio Copernico calava. Leo, Carlo e Gabriel, inventori di un nuovo citofono da cui si può rispondere attraverso smartphone da remoto, hanno colto l’occasione per creare un punto di ritrovo e hanno chiesto a Pietro, il quarto socio, già esperto nel mondo della ristorazione con esperienze di gestione all’estero, di unirsi al loro progetto. Ecco Nik’s&Co, contrazione di Nixed, forbidden, ovvero proibito, da qui il logo e il mood del locale, su ispirazione del proibizionismo americano; & co, la combriccola di amici: perché alla base ci deve essere il divertimento e la convivialità, per chi beve al Nik’s. La drink list è curata dal barman Samuele Lissoni, monzese, classe 1980, ultima esperienza dietro al bancone del Tombon De San Marc, in collaborazione con Franco «Tucci» Ponti, ex bartender-brand ambassador per Jameson e tutt’ora proprietario del cocktail bar Atomic. Nella carta cocktail le spezie giocano un ruolo preponderante: pepe nero, pepe di Sichuan, insieme a infusi al cioccolato, bergamotto, friggitelli e amari di spezie e erbe della tradizione italiana. Il menu cambia mensilmente e le proposte hanno una forte connotazione regionale, vista la provenienza comune dei quattro ragazzi: Sicilia e Calabria. Tra le mission un’opera di evangelizzazione del peperoncino: lo trovate come segnaposto commestibile su ogni tavolo.


CDQC I LOCALI I A CURA DI MARCO TORCASIO GHE SEM: il primo bicchiere è per la sete, il secondo per la gioia, il terzo per il piacere, il quarto per la follia

Perché nessuno ha ancora inventato un posto in cui mangiare ravioli cinesi rivisitati in chiave mediterranea? Se vi state ponendo questa domanda significa che non siete ancora stati da Ghe Sem. Occorre rimediare. Nduja e mascarpone, asparagi e patate, ossobuco e zafferano tra i ripieni più interessanti realizzati dallo chef Daniele Ferrari, affiancato dalle mani sapienti di un giovane cuoco cinese. Qui si viene per mangiare dim sum, cioè un assortimento di piatti tipici della cucina cantonese serviti in piccole porzioni, tapas dagli occhi a mandorla per intenderci. I ravioli la fanno da padrone, ma il punto di forza di Ghe Sem è la carta dei cocktail. La nuova drink list, realizzata dai mixologist Luca Salvatore e Giovanni Parmeggiani, è stata impostata sui vari momenti della cena, quindi l’aperitivo (il primo bicchiere è per la sete), la cena in sé (il secondo per la gioia, il terzo per il piacere) e il

dopocena (il quarto per la follia). Molti di loro partono da una base agrumata e da una gradazione alcolica medio-bassa e raccontano una piccola storia, racchiusa tra il nome e gli ingredienti. Nella top three da provare il Mulo di Milano (gin, liquore alla mela verde, ginger beer e profumo di assenzio), il Wasabi Mary (una rivisitazione del Bloody Mary con sakè, lime, wasabi e salsa di soia) e il Chinese Whisper (vodka al limone, liquore al lichis e sciroppo di zenzero). Per la primavera un dehors con una trentina di posti è pronto ad affiancare la quarantina di coperti all’interno. Se siete persone da un discreto appetito Ghe Sem va bene solo per un aperitivo o un pranzo light, il conto potrebbe presentarsi più salato di un raviolo intinto in troppa salsa di soia.

GHE SEM I VIA BORSIERI 26 I Milano I ISOLA

HANA RESTAURANT: ALL YOU CAN EAT FUCK YOU!

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HANA RESTAURANT I VIA PAOLO GIOVIO 3 I Milano I WASHINGTON

Il sushi a Milano è sempre un’opzione. Per Marracash e M¥SSKETA ci sarebbe anche altro ma stavolta facciamo che ci fermiamo alla tempurina ok? Mentre cerco di capire come possa ancora esserci qualcuno che mette piede negli all you can eat, scopro che in uno dei veri ristoranti sushi della città sbuffa da sotto i coperchi un’importante novità. Gonnage Livera Chandima Ruwan Sampath, ex sous-chef da Nobu Milano, è il nuovo executive chef di Hana Restaurant, a due passi da corso Vercelli. Wow! E con un menu nuovo di zecca che si lascia pregustare solo al pensiero: c’è davvero ancora qualcuno che preferisce un all you can eat? Scusate se mi ripeto ma la cosa mi toglie davvero il sonno. Anyway, i palati altrettanto irrequieti devono saper che ai classici sushi e sashimi della carta si affiancano curiose varianti creative di gunkan - tuna e guacamole o gambero amaebi di Sicilia ad esempio - temaki, uramaki e noodles. Tra gli imperdibili, per i sapori coinvolgenti e la presentazione curata nei particolari: il Nest Salmon, salmone Teppan con kadaifi, crema di soia e funghi, l’Ebi Martini, composizione di gamberi al Martini Dry e papaya, il Black Cod Hana, merluzzo nero dell’Alaska marinato in salsa miso giapponese o gli squisiti Sagi, piccoli sashimi di pesce misto adagiati su 5 cucchiai, ognuno con il suo topping e la sua salsa. Il locale è accogliente e dal design moderno, ma caratterizzato dall’impiego di elementi che evocano la cultura tradizionale giapponese, come le sagome di ciliegi in fiore stilizzate alle pareti che richiamano la spettacolare fioritura di primavera del monte Fuji. Aperto il lunedì solo a cena e da martedì a sabato dalle 12:30 alle 14:45 e dalle 19:15 alle 23:15, si sviluppa su una superficie di circa 200 mq idealmente divisa in tre zone distinte: il cocktail bar, la sala principale e la saletta, per un totale di circa cinquanta coperti.


MEDIA PARTNER

LA STORIA CONTINUA... Barcone Storico memoria delle tradizioni milanesi e lombarde sede di importanti promozioni culturali per la nostra cittĂ .

PROSSIMAMENTE IN ALZAIA NAVIGLIO GRANDE 58

Un sentito ringraziamento a:

www.valentinosrl.it


CDQC I GROOMING È giusto avere la libertà di coprirsi un tatuaggio | INTERVISTA A KAT VON D di MARCO CRESCI Kat Von D è una leggenda nel mondo dei tatuaggi, pionierA del tattoo reality con Miami Ink, nel 2005 stupì tutti per la sua bravura soprattutto nel fare ritratti iper realistici. Di persona Kat riflette esattamente quello che trasmette dallo schermo, è allegra e solare ma precisa e attenta quando parla del suo lavoro

Hai lanciato sul mercato un prodotto che cancella i tatuaggi e che ha creato anche diverse controversie nel mondo della tattoo art, cosa ti ha spinto a farlo? Sono stata criticata tantissimo dal mondo del tattoo, tutti mi dicevano: «Sei una tatuatrice perché vuoi offrire l’opportunità di coprire il tuo lavoro?», ma il concetto è, se sei libero di farti un tatuaggio perché non puoi essere anche libero di coprirlo per una sera? Non è nulla di permanente. Come business woman qual è la più grande sfida che hai affrontato nella tua carriera? La vita è tutta una sfida, quindi più che affrontare sfide ho dovuto imparare il processo

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Quante ore lavori al giorno? Sempre e non mi pesa affatto, sono una workaholic, ma ho tante idee che mi entusiasmano e sono anche ossessionata dai social media, Instagram soprattutto. C’è un episodio nel tuo passato che ti ha fatto capire cosa volevi fare da grande? La musica ha influenzato la mia intera esistenza e mi dà l’ispirazione giusta per creare, ricordo che da ragazzina rimasi incantata davanti a un poster di Syd & Nancy ammanettati insieme, il trucco nero e lucido intorno agli occhi di Nancy fu per me un illuminazione, era semplice e grezzo ma trasmetteva la forza del movimento punk rock. Non potrei creare senza musica. Sono affamata di musica. Io sono cresciuta nei negozi di dischi e circondata da musicisti, era un periodo in cui Hollywood sfornava grandi rock band come i Van Halen o i Guns N’Roses. Oggi Hollywood è un mortorio sotto questo aspetto ma per fortuna c’è Internet, anche se sono sincera, rimpiango i vecchi tempi. Qual è la cosa più importante che hai imparato dalla tua carriera? Tratta gli altri nello stesso modo in cui vuoi essere trattato.

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Quali sono per te gli elementi che accomunano il make up all’arte del tatuaggio? I tatuaggi hanno sicuramente ispirato e condizionato il mio modo di creare la mia linea make up, ad esempio per il Tattoo Liner volevo ottenere una linea sottile e precisa proprio come quelle che faccio tatuando mentre per il contouring, che è tutto basato su ombre e luci, saper disegnare mi ha aiutato a comprenderlo e a sviluppare una mia idea. Non nascendo come make up artist ho un approccio totalmente diverso al trucco.

delle cose, soprattutto intraprendendo un business, dal cercare di capire le esigenze dei miei clienti alle strategie di marketing. Molte persone trovano questi aspetti noiosi ma a me piacciono. Marketing per me significa comunicare e questo m’intriga, m’incuriosisce vedere come il pubblico risponde a determinati messaggi, mi stimola.

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Nove anni fa Kat Von D entrò nella sede di Sephora per un incontro che avrebbe cambiato il panorama della cosmesi tradizionale, nonché la sua carriera per sempre, reduce dalla seconda stagione del suo reality show LA Ink (creatole addosso dopo il successo di Miami ink), che le ha dato visibilità anche al di fuori della tattoo community rendendola una celebrità. I suoi occhi di gatto, le sue inconfondibili labbra rosse e il suo look hanno catturato anche l’attenzione di uno dei più grandi rivenditori di bellezza al mondo.


CDQC I SHOPPING OSSESSIONE VANS L’inglese Henry Davies è uno dei più grandi collezionisti di sneaker al mondo, IL N.1 di Vans È passato da Milano per il lancio del Vans Anaheim Pack al One Block Down negozio cult per gli amanti della street culture - dove ha esposto parte della sua collezione. Lo abbiamo intervistato per capire questa sua mania. Quando è cominciata la tua passione per il collezionismo? Ho cominciato a collezionare giocattoli da bambino, poi ho iniziato a giocare a football e a tennis e di conseguenza collezionavo abbigliamento sportivo ed ero ossessionato da Michael Jordan. Lo step successivo sono state le scarpe.

Hai mai usato la tua collezione per rimorchiare? Hahah certo! Sono orgoglioso della mia collezione e credo abbia un forte appeal su diverse persone. E poi c’è un bonus: la ragazza che sta con me può avere le Vans gratis! Hai mai pensato di esagerare con il collezionismo? Diciamo che più volte ho messo in dubbio la mia sanità mentale...

Ma come ti sei appassionato a Vans? Prima di tutto perché sono un prodotto di prima qualità che dura nel tempo ma ciò che ha fatto scattare in me la scintilla è stato vedere il documentario sullo skate Dogtown and Z-boys nel 2001, grazie al quale ho conosciuto il loro stretto legame con il mondo dello skate e le loro qualità tecniche. Quello è stato il punto di non ritorno. Secondo te perché gli skater hanno cominciato a utilizzare le Vans? Perché costano poco e sono indistruttibili. All’inizio gli skater acquistavano le scarpe direttamente dai produttori, sceglievano piccole fabbriche in modo da poter chiedere anche una sola scarpa perché è il piede dietro a spingere e a consumarsi, quindi tutti avevano una scarpa nuova e una distrutta. Poi sono arrivate le Vans e le loro qualità non sono passate inosservate. Il collezionismo ti ha portato a aprire un tuo negozio a Londra che hai chiamato The Other Side of the Pillow. Oggi è uno spot di culto per skater e appassionati di sneaker, cosa lo rende unico? La mia collezione di sneaker e il fatto che offro la possibilità di acquistare pezzi vintage introvabili.

Manuel Ritz illumina la Design Week

LEVI’S Crazy Legs

WOOLRICH

di Martina giuffré

di Martina Giuffré

In occasione della Milano Design Week 2017 il brand d’illuminazione Karman fa nuovamente team con il mondo manswear di Manuel Ritz, da questo abbinamento nasce una versione inedita di Bacco, la lampada da tavolo ricaricabile a forma di bottiglia di latte in vetro, disegnata da Matteo Ugolini. Una bottiglia dalle forme vintage, in tiratura limitata personalizzata con l’asterisco Manuel Ritz, che ricorda quelle che si vedono nei film d’epoca, con il lattaio che le consegnava porta a porta. Entrambe i brand sono made in Marche e orgogliosi di rappresentare l’eccellenza italiana in due settori chiave del Made in Italy come la moda e il design, celebrando questa unione durante la settimana del Fuorisalone. Ad attendervi un suggestivo percorso d’illuminazione, in grado di esaltare sia il design di Karman che l’eleganza dei capi della collezione Manuel Ritz.

Era il 1967, era estate e a San Francisco si inneggiava «Fate l’amore non fate la guerra». Presto proprio l’estate del 67 sarebbe passata alla storia come Summer of Love, diventando il simbolo di una rivoluzione culturale senza precedenti. Levi’s decide di celebrarne il 50esimo anniversario in grande stile, lanciando la collezione Levi’s Vintage Clothing. Ne festeggia la magia, l’entusiasmo, la voglia di libertà e lo fa recuperando dai suoi archivi stampe e grafiche anni Sessanta iper colorate e psichedeliche. Come si sa la cultura hippie ha fatto dei jeans un baluardo. È stato il capo rappresentativo di una filosofia di vita basata sulla ricerca della libertà totale, della felicità, della pace e del rispetto dei diritti di tutti. I jeans, in particolare durante gli anni Sessanta, diventano l’emblema di un modo di vivere disordinato e ribelle. Sono stati dipinti, modificati, sfrangiati, reinterpretati, trasformati affinché trasmettessero la gioia di vivere e la pace che i figli dei fiori decantavano in tutto il mondo. Non c’è da stupirsi, quindi, che proprio i jeans siano il pezzo forte di questa collezione dal sapore vintage. I Crazy Legs Jeans sono eccentrici, divertenti e coloratissimi, un tripudio di allegria, fiori e toni accesi. I pezzi della collezione sono 4 e ne saranno prodotti solo 100 esemplari per modello. Le stampe proposte sono diverse: Love Trip, Snakes, Eye Test, Big Lashes, ognuna di esse riproduce fedelmente quelle originali che traevano ispirazione da Laugh-In, uno dei comedy show più apprezzati e popolari degli anni Sessanta. Stampe stravaganti quindi e in perfetto stile hippie! I Crazy Legs sono caratterizzati da blocco vita squadrato e gamba slim tapered, vengono riprese le stampe Spikes, con fiori gialli, occhi psichedelici e labbra sorridenti, oppure Love Trip stampato sul davanti con lettere cubitali e colori sgargianti. Questa collezione è un omaggio un po’ nostalgico a quella Summer of Love che tutti, in fondo in fondo, avremmo voluto vivere.

Woolrich, si sa, per i giubbotti è da sempre una garanzia: qualità, innovazione e tradizione, in questo marchio, procedono di pari passo. In 187 anni di storia (nasce nel 1830 in Pennsylvania) ne ha fatta di strada e ha vestito generazioni e generazioni di giovani, anziani e bambini, uomini e donne di tutte le età. Fin qui nulla di eccezionale forse, ma quanti brand possono vantarsi di aver fornito i propri capi addirittura all’esercito degli Stati Uniti durante la Prima Guerra Mondiale e ai soldati della Guerra Civile? Affidabilità, resistenza e comfort sono sempre state le parole d’ordine di questo marchio e la collezione Primavera Estate 2017, tra stampe camouflage, modelli reversibili e materiali iper resistenti, non delude le aspettative. Il modello femminile, ad esempio, è una giacca corta e svasata, in un leggero nylon antivento con tasche applicate e a filo. Le linee di questo capo sembrano ispirate alle giacche da pescatore, ma la stampa camou contribuisce a dare un’aria più strong e spigliata. Il cappuccio è ripiegabile e regolabile, così come l’orlo. Ogni dettaglio è progettato e realizzato in modo che il capo si possa adattare perfettamente alla fisicità di ognuno, mantenendo inalterata la femminilità delle linee. Il modello maschile, invece, è un bomber reversibile. La versione in tinta unita è un classico, un passe-partout immancabile in ogni guardaroba e adeguato in ogni situazione, mentre la versione mimetica è più informale e pratica, sicuramente adatta alla frenetica vita in città. Anche questo capo è realizzato in nylon, resistente all’acqua e al vento e quindi perfetto per le temperature instabili della primavera. Infine, anche il modello per i più piccoli è reversibile: da un lato tinta unita con l’aggiunta di una targhetta metallica, dall’altro stampa mimetica e logo stampato. Questa collezione è l’ennesima dimostrazione da parte di Woolrich di versatilità e tradizione che si mescolano a resistenza e innovazione, tutte caratteristiche che hanno contribuito a creare la storia e l’eredità di questo marchio.

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MANUEL RITZ & KARMAN per Bacco Fuorisalone 2017 4 -9 Aprile Brera Design District Via Solferino,1


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CDQC I MOBILITY LANCIA Ypsilon UNYCA: FASHION CITY CAR E NON SOLO DI FABIO FAGNANI

ELEGANTE, STILOSA, CROMOTERAPICA. INSOMMA, UNYCA Non è un segreto, Lancia, con il modello Ypsilon ha sempre puntato e ha sempre strizzato l’occhio verso il genere femminile, proponendosi come auto elegante, versatile e dal look molto, ma molto, speciale. Le idee e gli obiettivi in casa Lancia rimangono gli stessi con la nuova Ypsilon Unyca. La nuova campagna di Lancia Ypsilon Unyca è iniziata a marzo con il claim «Libera il tuo stile» riservato e dedicato a chi ha la voglia e la necessità di dimostrare di valere qualcosa, di essere davvero libero. È per questo che considero una limitazione pensare alla Lancia Ypsilon Unyca a una vettura semplicemente dedicata alle donne, sarebbe un’affermazione errata in partenza. Infatti, Unyca non è solo per il sesso femminile, anche se è innegabile che il legame ci sia. Lancia Ypsilon Unyca è per tutti coloro che vogliono sperimentare e vogliono un’auto che dimostri eleganza e uno stile unico.

possiamo scegliere tra le varianti a benzina, a gasolio e la doppia alimentazione. Si va dalla base di un motore a benzina da 1.2 da 69 CV fino al Metano/Benzina da ben 80 CV. Stiamo parlando sempre in una City Car, anzi Fashion City Car, non di una sportiva e sono numeri, quelli del motore, più che sufficienti per non essere mai traditi dalla nuova Ypsilon Unyca. E va bene lo stile e va bene anche la motorizzazione, l’eleganza e i consumi ma cosa possiamo trovare davvero in una Lancia Ypsilon Unyca? La risposta è più semplice di quel che si possa pensare: la nuova Lancia è affidabile. Ed è tutto ciò che conta davvero.

Torniamo per un attimo alla vettura nella sua forma più vera, tralasciando per un attimo ciò che comunica all’esterno con il suo fascino e la sua filosofia: la Fashion City Car, così viene definita dagli addetti ai lavori e dalla stessa Lancia, è stata realizzata pensando all’Athleisure. E ho pensato: e che significa? Athleisure nel mondo della moda è la tendenza a indossare un abbigliamento comodo, studiato soprattutto per momenti di allenamento o di relax. Questo non significa dimenticarsi dell’eleganza o della moda, anzi questo, ancor di più, significa dimostrare la propria bellezza al di là dei vestiti che indossi. Le colorazioni sono azzeccate per il tipo di vettura che è la nuova Unyca. La nuova colorazione Blu Velvet è un colore che secondo la cromoterapia rappresenta il Benessere. E in questo Lancia e il Centro Stile hanno fatto un lavoro di ricerca e sviluppo sulla colorazione della livrea davvero interessante che ancora una volta fa capire a quale target mira Lancia. Ma sarebbe inutile avere un’auto solamente bella e versatile ed è per questo che il brand controllato dal Gruppo FCA ha deciso di puntare su alcune motorizzazioni davvero interessanti e nel rispetto dell’ambiente: l’omologazione è Euro 6, in più

MEDIA I APARTAMENTO Di striP-project.com Nonostante sia nata solo per vocazione e venga portata avanti da quattro giovanissimi creativi tra l’Italia e la Spagna che nella vita si occupano anche di altro, APARTAMENTO conta ormai uffici a Barcelona, Milano e New York ed è stata ampiamente riconosciuta come la più influente, stimolante e onesta rivista d’interni dei nostri tempi. La rivista ha indubbiamente qualcosa cha la rende irresistibile: il formato unico, la naturalezza delle immagini,lo spirito brillante. Scritta semplicemente e curata con gusto, è un oggetto diventato indispensabile per gli appassionati del genere. Non ha niente a che fare con il solito catalogo di consigli per gli acquisti e non propone servizi su case belle o per forza arredate con pezzi di design costosi. L’idea della rivista è quella di mostrare le case e la vita così come la viviamo tutti i giorni prediligendo luoghi intriganti che definiscano la personalità di chi li abita. Non si tratta dell’ossessione di mostrare case di personaggi famosi ma di fare un confronto tra la percezione pubblica di un personaggio e l’identità che emerge esplorando casa sua, mostrare come la personalità di qualcuno si traduce nel proprio ambiente. Lo scopo è quello di parlare di modi e di stili di vita. Il team non segue nessun tipo di traccia, solo la propria estetica e condivide la propria linea editoriale solo con persone che guardano nella stessa direzione, senza compromessi dettati dal mercato. I suoi contenuti colpiscono sempre perché si trovano solo nomi di personaggi che non ti aspetti, raramente presenti in altre riviste. Tante di queste case vengono scoperte viaggiando o incontrando persone. Ciò detto, non mancano tra le sue pagine opere di giovani designer all’avanguardia, ma il punto di vista è sempre solo quello di mostrare nuovi modi di lavorare e comunicare. Anche nelle interviste APARTAMENTO vuole andare in profondità a scavare dentro la personalità e l’estetica dei personaggi. Di solito all’artista che viene scelto per il servizio di copertina viene chiesto di elaborare lui stesso un progetto che diventi la colonna vertebrale caratterizzante tutto il numero in uscita. Così ogni pubblicazione ha il suo tono e il suo stile che cambia a seconda dell’intervistato e dell’intervistatore. Il suo stile unico crea un ambiente che avvolge e intrappola gli occhi dello spettatore. Non andate a cercare sul mercato qualcosa di simile perchè non lo troverete.

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CDQC I CINEMA I A CURA DI SILVIA ROSSI

PLANETARIUM DI Rebecca Zlotowski

THE GET DOWN DI Baz Luhrmann

FORTUNATA DI Sergio Castellitto

Metti insieme un premio Oscar come Natalie Portman, la figlia d’arte di Johnny Depp e Vanessa Paradis Lily-Rose Depp, già icona di stile a livello internazionale, e il fascinoso Louis Garrel in un solo film e poi prova a rimanere indifferente. Planetarium è il film diretto da Rebecca Zlotowski ed è ispirato alla vera storia delle sorelle Fox, inventrici dello spiritismo. La storia ha inizio dall’incontro di due sorelle medium americane con un noto produttore cinematografico francese durante una seduta spiritica in un locale parigino. La proposta del produttore di girare un film sui fantasmi, con l’ambizione di riprodurre realmente sullo schermo la presenza di spiriti, spinge i tre protagonisti a creare un legame intimo fra loro e a esplorare la dimensione più profonda e nascosta di se stessi. «Vorrei che Planetarium raccontasse che non siamo mai consci dei nostri stessi segreti» ha dichiarato la regista. Tra sogno e realtà, visioni e suggestioni, ambientato in un’affascinante Parigi di fine anni 30, il film apre una riflessione sul bisogno dell’uomo di trovare una risposta ai segreti del passato, al mistero che avvolge l’esistenza, un tentativo di far luce sugli aspetti più oscuri e inafferrabili della vita, anche attraverso il cinema che offre la possibilità di andare oltre la realtà. La regista porta in scena due figure avvolte dal mistero, con una vita libera e indipendente. E per farlo sceglie due attrici carismatiche. Dal 13 aprile al cinema grazie a Officine Ubu.

Realizzata da Baz Luhrmann e da un illustre team di collaboratori come il leggendario MC e produttore esecutivo Nas, il produttore associato Grandmaster Flash, il drammaturgo vincitore del Pulitzer, coideatore e produttore esecutivo Stephen Adly Guirgis e altri esperti, tra cui lo storico dell’hip-hop e produttore supervisore Nelson George, The Get Down è la mitica saga che racconta come una città degradata e sull’orlo della bancarotta sia stata la culla di una nuova forma d’arte. Ambientata a New York nel 1977, questa serie drammatica musicale ritrae l’ascesa dell’hip-hop e gli ultimi giorni della musica disco, raccontati attraverso le vite e la musica di alcuni ragazzi del South Bronx che hanno cambiato il mondo per sempre. La prima stagione è andata benissimo e Netflix è pronta per la seconda. La storia riprende nel 1978, un anno dopo gli eventi della prima parte. Tra i disordini di quel periodo nasce nella Grande Mela un fenomeno pop ancora senza nome che sconvolge tutti con un sound completamente diverso. I giovani amanti Books e Mylene si trovano nel bel mezzo di una rivoluzione culturale destinata a stravolgere il loro mondo, ma hanno solo questo momento per lasciare il segno. Sullo sfondo una New York sull’orlo della bancarotta, abitata da gangsters senza pietà e boss delle case discografiche assetati di soldi. I protagonisti scopriranno che solo la loro creatività potrà portarli avanti e sacrificheranno qualsiasi cosa per la musica e l’amore che provano l’uno per l’altra. Dal 7 Aprile.

In una scena tagliata dal film vediamo Jasmine Trinca uscire dalla doccia, apparentemente felice e Stefano Accorsi che la pettina e si domanda la sua provenienza: «sei sicura di essere una donna? Per me sei un lupo»…Fortunata è il nuovo film di Sergio Castellitto, scritto dalla moglie Margaret Mazzantini e girato nella periferia romana. Nel cast oltre alla Trinca e ad Accorsi ci sono Alessandro Borghi, Edoardo Pesce e Hanna Schygulla. Fortunata racconta la storia di una giovane madre, forte e coraggiosa, con un matrimonio fallito alle spalle, che quotidianamente combatte per conquistare il suo sogno: aprire un negozio di parrucchiera sfidando il suo destino, nel tentativo di emanciparsi e conquistare la sua indipendenza e il diritto alla felicità. Le prime parole del regista definiscono così Fortunata: «Fortunata è un aggettivo qualificativo femminile singolare. Ma è anche il nome di una donna. E soprattutto un destino. E non è detto che quel destino uno se lo meriti. Ci sono uomini in questa storia che non sono d’accordo sulla felicità di Fortunata. Vedremo...». Una storia tutta femminile che dà come l’impressione di lasciare il segno. Dal 20 aprile per Universal.

LA STRONCATURA

PERSONAL SHOPPER |Olivier Assayas CON KRISTEN STEWART Kristen Stewart è ipnotica, è vero. Ha quel suo modo sempre un po’ improvvisato di recitare che ti tiene lì a guardare cosa sta per fare, dire. Non è la prima volta che Olivier Assayas, il regista e autore tra i più intellettuali e generosi in Francia, e la Stewart collaborano in un film. Ricordiamo con entusiasmo l’esperienza di Sils Maria, con anche la Binoche. In Personal Shopper però fa un po’ confusione con la struttura del film, volutamente o meno non lo sappiamo, ma facciamo fatica a seguire gli umori e le paure della protagonista. Assayas si misura con i vari generi: il thriller, il giallo, ma lo fa mandando in confusione lo spettatore. Personal Shopper è, a tutti gli effetti, un dramma soprannaturale e vede la Stewart nei panni di una giovane donna che lavora nel mondo della moda e tenta di comunicare con il fantasma del fratello gemello morto da poco d’infarto per via di una malformazione cardiaca che condividevano fin dalla nascita. Nella prima metà del film scopriamo il suo lavoro nel mondo del lusso, schiava di questa celebrity, sempre a contatto con abiti bellissimi e tutto ciò che ne consegue. Ma percepiamo un vuoto. Capiamo che è sola. L’unica persona con cui comunica, ma sempre attraverso uno smartphone, è il suo fidanzato. Nella seconda metà del film entriamo, appunto, nel thriller. Messaggi che arrivano forse dall’aldilà, forse da un killer, che danno il via a simbolismo e doppie letture che interessano solo i cinefili. Ma non il pubblico. Insomma, lo spaesamento della protagonista si riversa totalmente sullo spettatore. Era voluto? Ne facevamo anche a meno.

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CDQC I CINEMA diamo un nome e un cognome (e un volto) alle donne che ci faranno impazzire nelle prossime serie tv

Sono passati oltre 10 anni dall’ultima puntata di Sex and The City. Fermi tutti. Non parleremo né di Manolo Blahnik, né di New York. Dicevamo, che più di 10 anni fa tra le serie tv viste maggiormente c’era Sex and The City e i desideri di tutte le giovani aspiranti adulte e non si misuravano a suon di borse e cocktail consumati nei posti più cool di Manhattan. Poi c’è stata la crisi, il cambio di rotta e lo schianto a piè pari sulla realtà e i riferimenti sono drasticamente cambiati. O meglio, ridimensionati. Complice, anche, il fiorire incessante di nuove serie tv: Netflix, Sky, Amazon e chi più ne ha più ne metta. E oggi che sopravvivere indenni al mondo che cambia sembra essere diventato difficilissimo, gli sceneggiatori e gli autori di una nuova generazione che si sta affermando, sono venuti in soccorso. E ci hanno regalato nuove eroine che ci fanno dire: allora non sono solo io. Già con la mitica Lena Dunham autrice e interprete di Girls, arrivata - purtroppo - alla stagione finale, avevamo capito che i disagi e i fallimenti del diventare grande, ma grande per davvero, non erano solo i nostri. Insieme ad Hannah e alle sue tre amiche incoscienti, imperfette e coraggiose allo stesso tempo, siamo entrati a far parte della commedia drammatica della vita di quattro ragazze a New York. Hannah è l’alter ego attraverso il quale la Dunham, che la interpreta, filtra il proprio sguardo sulla sua generazione, o almeno su una generazione: quella degli incostanti, degli incoerenti, degli indecisi, di coloro che mentono a se stessi prima che agli altri, e che sembrano eternamente sospesi tra un futuro del quale hanno paura e un passato che li spaventa ancora di più.

GILLIAN JACOBS

PHOEBE WALLER-BRIDGE

Oggi sono due le nuove eroine dei nostri tempi e si chiamano Gillian Jacobs e Phoebe Waller-Bridge e sono rispettivamente la protagonista di Love, serie

Avete ragione, nell’occhiello abbiamo citato anche Millie Bobby Brown, la protagonista ipnotica di Stranger Things, la meravigliosa e imperdibile serie di Netflix, piena di riferimenti Anni 80, che racconta la storia di un gruppo di giovanissimi amici (Goonies docet) alle prese con mostri e mondi sovrannaturali. Millie è fenomenale. Ora si è presa una pausa perché già troppo sovraesposta. Ha solo 13 anni. L’ha comunicato su Instagram. Noi l’aspettiamo anche perché il mondo ha bisogno - sempre - di nuovi eroi.

LENA DUNHAM

Le nuove eroine delle serie tv che amiamo di più, oggi, fanno i conti con sé stesse e con il mondo fuori con assoluta consapevolezza e verità. Qualcuna ha anche dei superpoteri… Si chiamano Gillian Jacobs, Phoebe Waller-Bridge e Milly Bobbie Brown e vi faranno innamorare.

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Anche in Fleabag ritroviamo questa normalità, sceneggiata in modo spettacolare, è la stessa interprete che scrive la sceneggiatura. L’inglese Phoebe WallerBridge ha riadattato un suo spettacolo teatrale e ne ha tirato fuori una serie super figa. La sua Fleabag funziona perché convive contemporaneamente con i toni irriverenti della commedia e con quelli più cupi del dramma. Elementi con i quali tutti i personaggi principali della serie si trovano a relazionarsi. Sono tutti difettosi, infatti, i protagonisti di questa black comedy a partire ovviamente dalla sua protagonista, irresistibile nella sua dispersiva esistenza, fatta di bollette ignorate, sfacciataggine e scelte sentimentali/sessuali discutibili che sembra fare di tutto per abbruttirsi nell’animo, vera topaia (è il significato letterale di Fleabag) che si è costruita da sé. Irresistibile.

MILLY BOBBIE BROWN

originale Netflix e di Fleabag, serie su Amazon. Love racconta dell’amore a trent’anni. Siamo a Los Angeles e Mickey (la Jacobs) e Gus (Paul Rust) si innamorano. Ma hanno paura. E tutto si mette in mezzo: la carriera, le aspirazioni personali, le insicurezze. E loro, pur amandosi, non riescono mai a viversela con spensieratezza. E dove esattamente si capisce che sono eroi? In tutto. Nella normalità delle giornate che vivono, negli errori che compiono, nelle insicurezze che provano. È tutto dannatamente reale, seppur commediato, ovvio. E oggi è la normalità che cerchiamo.


WHI

WONDERFUL HOUSES ITALY

Discover Italy’s wonders

Country House con vista mare

La campagna a poca distanza dal mare per questa villa di 200 mq con depandance, piscina e jacuzzi. Un angolo di paradiso nelle campagne romagnole a pochi chilometri da Cesenatico, la casa si sviluppa su 2 piani finemente decorati, con cucina Bulthaup, salone con camino, 3 camere e 3 bagni immersa in un grande parco con uliveto.

Tenuta nella Valle del Rubicone

Il rustico che incontra il mare, in una posizione privilegiata a poca distanza dal mare una bellissima tenuta circondata da 3 ettari di terreno, immersa in un meraviglioso scenario naturale e posta sulla collina con una straordinaria vista della Costa Adriatica. Composta da due casolari con piscina, palestra, sauna, zona hobby, salone con camino, sala da pranzo, taverna, due cucine , 10 camere da letto con bagni più una suite padronale, zona di servizi, ampi parcheggi coperti e aree esterne per barbecue e ricreazione.

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Trasforma il tuo sogno in realtà con Wonderful Houses Italy. Proponiamo varie ed esclusive proprietà nelle maggiori città d’interesse, sia come pied à terre che residenze di fascino, per soddisfare ogni vostro desiderio. Un esperto è a vostra disposizione per una consulenza.

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CDQC I LIBRI

ROMANZO I MATTEO CACCIA Il silenzio coprì le sue tracce di Lorenzo Monfredi

LA NATURA È CATTIVA, E PURE STO LIBRO, SE UNA SERATA AL BARGHEIN ACCUMULANDO ACIDI SOTTO LA LINGUA È IL MASSIMO DEL TUO DIVERTIMENTO Matteo Caccia è grande. Decidete pure in autonomia in cosa sia grande: recitazione, comprensione umana, creatività, savoir faire, tifo calcistico... Matteo lavora a contatto serrato con le storie umane, quelle toste e tese, quelle dove il confine tra accettabile e follia è labile. Ha ideato il don’t tell my mum al Pinch, serata perform punto inamovibile di questa Milano. E ha scritto un libro, edito da Baldini e Castoldi, intitolato Il silenzio coprì le sue tracce. Quando lo avevo intervistato per la gold edition di Urban, Matteo si era esposto dicendomi che nel libro avrebbe trattato una storia di inselvatichimento, l’uomo che cede il passo alla natura. E così è. La storia si snoda su 400km, tra le terre selvagge appenniniche liguri e tosco-emiliane. Paesi fantasma, accampamenti, oscuri laghi apotropaici. La forza del romanzo è che mette al tappeto il concetto di natura buona, sublime, positiva; la Natura qua non fa sconti. Un carnivoro, per quanto possa avere un bel musetto e occhi profondi, tenterà sempre di azzannarti la giugulare. Un carnivoro mangerà la carcassa del tuo amico, se necessario, perché lui deve sopravvivere, e lo farà ad ogni costo. La Natura di Matteo è semplicemente così come è tutti i giorni: dura. La vita in montagna è dura. La Natura di Matteo è la natura di Giacomino the gob Leopardi. Ma la storia? Be’. La storia, la trama ecco, parla di un 60enne, Zambo, che vaga col suo cane, Tobia, attraverso questo percorso di montagna. Ha alle spalle storie asfittiche, una biografia pesante. Vuole abbandonarsi. E per farlo ci sono 400km di tempo, che separano la Liguria dalla Toscana. Porta con sé una misteriosa scatola. Il suo obiettivo è raggiungere una casa nella Maremma. La casa dove è nato. Ma dove non ha mai vissuto. Stranamente, il percorso che compirà Tobia è lo stesso che compiono i lupi, puri e fieri, cacciati da Mussolini e ritornati nelle loro terre dopo anni di migrazioni. E le storie dei lupi, e degli uomini, si intrecciano quando il protagonista trova un lupo appeso a un ramo, con un amo da pesca infilato nel muso. Lo salva, assieme ad altri personaggi, e da lì sarà tutto diverso. Allora, c’è da dire che superare la prima pagina del romanzo è una prova di forza, un po’ come resistere la prima notte di campeggio. Io sinceramente ho preso il manuale delle giovani marmotte per

districarmici, quello di qui quo qua e del Gran Mogol, ché non conoscevo nemmeno una virgola della flora&fauna nominate da Matteo. Convolvolo? Caprifoglio? Ghiandaia? Cazzo, totalmente fuori rotta, per il sottoscritto. Però è legittimo, è comunque coraggioso scegliere un incipit del genere. Altro punto che non convice è la doppia narrazione. Da un lato terza persona onnisciente, dall’altra la prima persona di Zambo, o Pietro, il protagonista. Ai fini della trama chiarisce qualche punto, la seconda narrazione soggettiva, ma non è incisiva nel delineare al meglio il protagonista, che viene fuori attraverso le azioni più che i propri pensieri. Le cose belle sono che all’improvviso appare Giovanni, un allevatore di cavalli di Cerreto, e non credo ci vorrà molto a capire di chi si tratti; e le atmosfere. C’è da provare i brividi e guardarsi intorno circospetti, quando Zambo e Tobia si accampano una notte e si sentono accerchiati dai lupi. Ti senti circondato pure tu. E poi i momenti di alleggerimento nei rifugi, le zuppe di legumi e le fette di pecorino... cazzo, ti viene voglia di comprare un podere e sfanculare questo mondo fatto di primarie di partiti in decomposizione, attentati, sport falsati. Il fatto è che non è un romanzo per tutti. La sua missione, ben allineata ed esposta nella quarta di copertina, la raggiunge: il mito della Natura vegana e amichevole non esiste, è una favola che ci raccontiamo perché si sta bene così, serve credere nelle cose belle, pulite, anche se non esistono. Ma non è davvero un romanzo per tutti. Difficile amare questo romanzo, se una serata al Berghain accumulando acidi sotto la lingua è il tuo massimo canone di divertimento. Qui, nelle 192 pagine, si parla di rifugi, stufati, vini e lotta contro le intemperie. Chiacchierate davanti al camino dopo aver faticato per 12, 13 ore. Niente dj set, uomo, né tram o scadenze. Mulattiere, marmotte che segnalano il tuo arrivo, questo paga il banco.

IL FUMETTO Astrogamma

LA LIBRERIA GOGOL&COMPANY

In ogni numero di Urban scrivo una recensione di un fumetto ma la scelta non è mai semplice. Questa volta sono andato un po’ in affanno, un po’ in difficoltà. Leggo molto, in generale, dovrei farlo di più, certo, ma per ora si fa quel che si può ma le graphic novel lette nel mese non mi hanno entusiasmato molto, almeno non abbastanza da suscitare in me la voglia di parlarvi di questo o quell’altro volume. Non avevo nessuna idea, poi mi scrive Marco, il caporedattore: come sei messo con la recensione? e io: vuoto, deserto, zero assoluto, rispondo: domani la consegno ma non era affatto vero. Corro davanti alla mia libreria e scruto le varie copertine dei volumi che ho solo sfogliato ma non ho letto approfonditamente. Guardo e inizio: questo no, questo no, troppo banale, troppo ironico... Trovato: Astrogamma di LRNZ. Andata! Avevo letto diverse recensioni in giro ma non mi avevano convinto a pieno di questo lavoro di Lorenzo Ceccotti ma le cose le devi provare sulla tua pelle e allora ho deciso di acquistarlo ma era sempre rimasto lì, nella libreria. Una volta scelto, preso in mano e sfogliato posso dire che forse questo volume non è stato capito appieno e che forse non l’ho capito nemmeno io in tutta la sua interezza. La quarta di copertina è eloquente: «Nel nuovo ciclo non ci sarà più bisogno dell’uomo. Della stupidità, della sua violenza, della sua fragilità. Dalle viscere della terra si è risvegliata una nuova, inarrestabile energia. Dell’amore non rimane nulla». È così: l’uomo è convinto, inconsciamente, di essere immortale. O meglio, che la sua specie lo sia. Ed è forse la cosa più sbagliata che abbia mai fatto, anzi la seconda, perché la prima è stata, per tutti questi anni - dall’inizio della nostra esistenza - l’autodistruzione. Abbiamo cercato di suicidarci, di suicidare la nostra specie e forse, in un modo o nell’altro, ci riusciremo, che sia una guerra batteriologica o l’inquinamento. Prima o poi accadrà. Astrogamma, secondo lavoro di Ceccotti con la BaoPublishing (cronologicamente questo lavoro è stato pubblicato prima, rispetto a Golem, dalla Hobby Comics), racconta proprio questo. Ambienta la sua storia a Roma, non solo perché è la sua città ma perché è la città eterna e quello che comunica Roma, al mondo, è proprio questo: l’immortalità. La parabola di LRNZ è sintetizzata nella metamorfosi, nel cambiamento, nell’inversione dei poli. L’equilibrio non è più un peso se sei dalla parte sbagliata della catena alimentare, se ti ritrovi cacciato da esseri che fino a qualche istante prima potevi controllare. LRNZ non fa cadere il mondo umano in mano a degli alieni o a una forza fantastica ma trova il modo di rendere il tutto reale nell’arco narrativo del paradosso. L’uomo si difende, si immola, diventa super. Rivuole il controllo, quello che in questi secoli ha sempre avuto senza mai pagare alla cassa ma l’evoluzione decide per noi e ci mette, senza appello, senza mozioni, tutti d’accordo. È l’evoluzione, il cambiamento, la metamorfosi che ci rende quello che siamo. Solo umani. Siamo solo umani. La festa finirà o forse è già terminata.

Prendi la metropolitana in un luogo imprecisato della città, scendi alla fermata Sant’Agostino, o Porta Genova se preferisci, e cammini e cammini. Vivi la vita in mezzo a mille altre persone come te, in quei vagoni che stridono modernità e percorrendo le vie del centro che rievocano la storia. E cammini ancora fino al quartiere Tortona, quello che più di altri si è rinnovato, prendendo il meglio dal background di rione industriale degli anni Sessanta e trasformandosi nel futuro salone vivo del design. Moda, colori, architetture e vitalità sono emblemi della triade Savona, Tortona e Stendhal. Nessuna attività commerciale è mai stata cosi condizionata, ispirata anzi, dal quartiere in cui sorge come quelle di zona Tortona. Lo percepisci subito. E proprio qui, dove si crea il presente della cultura milanese e internazionale, nasce la libreria indipendente Gogol&Company. Libri, arte e convivialità sono a tua disposizione, lettore. Ed è così peculiare il fatto che tu non debba pagare per goderne. Oltre ogni logica, verrebbe da pensare. Eppure è così: puoi entrare e accomodarti su una poltrona, tirare fuori dalla borsa il libro che ti ha accompagnato durante il viaggio e goderti il piacere di essere un pendolare sedentario in un luogo che non si muove. Certo non sei obbligato a guardare tra quegli scaffali che riempiono la sala, ma sappiamo entrambi che la curiosità sarà troppa e non resisterai. Forse non sei tipo da autoreferenziali presentazioni di libri, preferendo, invece, la suggestione dell’incontro con l’arte di chi la realizza con suoni e immagini. Proprio qui, alla Gogol&Company, puoi rapportarti con coloro che - non solo attraverso le parole - cercano di raccontare il mondo che li circonda. Letteratura e arte, musica e cibo sono i veicoli della cultura. Qui troverai il tuo modo per aprire la mente all’editoria indipendente e all’arte divulgante, degustando un drink in perfetto stile milanese.

di Lorenzo “LRNZ” Ceccotti - edito da Bao Publishing

Insomma, SÌ o NO? È un libro valido? Tutte le opere sono valide, fintantoché chi le crea ci mette dentro qualche sofferenza, qualche gioia, qualcosa di suo; fintantoché ti lascia qualcosa. E da questo libro ho imparato che la Natura è da rispettare, sì, ma non c’è bisogno di attrubuirle bontà. Il silenzio coprì le sue tracce ti lascia con diversi interrogativi. Il che non è mai un male. Troppe certezze, di ‘sti tempi.

Via Savona 101, Milano

Federica Colantoni

Fabio Fagnani

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SOMMARIO

URBAN 138 BIMESTRALE ANNO XV / NUMERO 138

EDITORIALE 7

FABRIZIO FONTANA 10

STILL LIFE DESIGN WEEK 15

MODA/AVE MARIA 24

ARTWORK 8

KAREN ELSON 12

RÄ DI MARTINO 20

CDQC CHAPTER 1/DESIGN 35

STAFF

TEXT

Editor in Chief MORENO PISTO m.pisto@urbanmagazine.it

Roberta Bettanin Elisabetta Castellari Federica Colantoni/Cultora.it Ettore Dell’Orto Giorgia Dell’Orto Fabio Fagnani Martina Giuffré Giulia Laino Lorenzo Monfredi Stefano Nappa Francesca Ortu Francesca Petroni Silvia Rossi Strip-project.com Marco Torcasio

Urban è edito da MILANO FASHION LIBRARY SRL Corso Colombo 9 20144 Milano T. 02 581532011

Stampa LITOSUD Via Aldo Moro 2 20060 Pessano con Bonago, MI T. 02 95742234

Art Direction ARCHIMEDE6.COM ELEONORA PASSONI segretaria LAURA MANDELLI SPECIAL GUEST FABRIZIO FONTANA

PHOTO Alessio Beretta Gaultier Pellegrini

Chairman DIEGO VALISI dvalisi@milanofashionlibrary.it Assistant Publisher PRASANNA CONTI pconti@milanofashionlibrary.it Distribuzione PSC Promos Comunicazione Via Tertulliano 70, 20137 Milano T. 02 89540195

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Responsabile di Testata LAURA CHIAROMONTE lchiaromonte@milanofashionlibrary.it Agente per il centro e sud Italia AUGUSTO IANNINI augusto.iannini@fmaadv.it

COVER CREDITS PHOTO GAUTIER PELLEGRIN FASHION EDITOR FRANCESCO CASAROTTO MAKE UP KASSANDRA FRUA DE ANGELI HAIR CHIARA BUSSEI @CLOSE UP MODELS MOHAMMED @WHYNOT / LAURA M @FASHION FASHION ASSISTANT SIMONA MOTTOLA

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Coordinatore mag e online MARCO CRESCI redazione@urbanmagazine.it

Tutti i diritti sono riservati. facebook Urban Magazine instagram urbanmagazine_milano La riproduzione dei contenuti, totale e parziale in ogni genere e linguaggio è espressione vietata. Abbonamenti Registrazione presso il Tribunale info@urbanmagazine.it di Milano con il numero 286 del 11/05/2001 Dove puoi trovare Urban Pubblicità MILANO FASHION LIBRARY SRL www.urbanmagazine.it Corso Colombo 9 20144 Milano T. 02 58153201

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Fashion Editor FRANCESCO CASAROTTO

CDQC CHAPTER 2 43



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