Nuova Proposta maggio giugno 2012

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Bollettino ufficiale dell’UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale

anno XXXVIII - n. 5/6 - 2012 Poste Italiane SpA spediz. in abb. post. 70% - C/RM/DBC

ANNO EUROPEO DELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO: L’ARGENTO SEMPREVERDE CARO ALBERO INSEGNAMI Albero centenario, mi piace vederti pieno di getti e di germogli come se fossi un adolescente. Insegnami il segreto di invecchiare così: aperto alla vita, alla giovinezza, ai sogni come chi sa che gioventù e vecchiaia non sono che gradini verso l’eternità. Helder Camara


I GIORNI DELLA MEMORIA 9 MAGGIO: giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. Questa data, rievocativa dell’uccisione dell’on. Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, può (deve) essere colta – particolarmente dalla scuola – per trasferire sulle spalle del nostro presente il peso e il messaggio di alcuni tragici appuntamenti della storia. Fare memoria non è semplicemente ricordare, è rivivere, rendere attuale, tracciare un filo di continuità tra passato-presente-futuro, così che le esperienze, esaltanti oppure terribili, possano assumere il valore della riflessione e dei comportamenti conseguenti. 9 maggio: giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. Ad esso vanno uniti: il 27 gennaio, memoria della shoah; il 10 febbraio, memoria delle vittime delle foibe; il 12 novembre, memoria dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace. E gli vanno uniti anche tutti quei giorni nascosti e personali che possono essere occasione per scacciare dalla nostra coscienza comode assoluzioni liberatorie. (Tra le trasmissioni televisive sulla memoria della shoah, molto toccante è stata”Ausmerzen - Vite indegne di essere vissute”, di Marco Paolini). GP.M.

PIAZZA DELLE ROSE Piazza delle Rose, a Lublino, ha l’odore dei corpi lacerati. Ho visto Majdanek sotto un cielo di nuvole basse, distese a rendere più cupo l’arresto dei pensieri e più tormentato il tentativo di preghiera. Piazza delle Rose, a Lublino: il timore di calpestare, camminando, il pianto del breve sentiero; la sensazione dell’onda dei passi e delle scarpe, delle scarpe infinite ...; i fiori gialli e i fili d’erba sottili nati a confondere il ricordo oscuro. Piazza delle Rose, a Lublino: l’orrore di caricare sul sangue degli uomini anche il peso di un’ultima incredibile ironia. G.Paolo Manganozzi

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(Nel lager di Majdanek Le SS chiamavano Piazza delle Rose il luogo arrossato dalle macchie di sangue dei prigionieri fucilati o torturati).

SOMMARIO 3 Gli anziani nell’Anno dell’invecchiamento attivo 6 Politiche per gli anziani: urge partecipazione 9 Il welfare dei nonni 11 Casa famiglia: istruzioni per l’uso 14 Per carità e per giustizia 16 Comunicare socialmente in rete fa bene al Terzo settore 19 Norme giuridiche e giurisprudenza 23 Onlus: soggetti svantaggiati 24 Colpo d’ala


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GLI ANZIANI NELL’ANNO DELL’INVECCHIAMENTO ATTIVO di Renato Frisanco* el nostro Paese si constata che, pur in un N periodo di crisi e mentre la popolazione invecchia, aumenta la percentuale degli italiani che dichiarano di godere di un “buono” stato di salute (si passa dal 69,3% nel 2009 al 70,6% nel 2010, Indagine Multiscopo Istat). VISIONE OLISTICA DELLA SALUTE

Questo è il simbolo dell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, inaugurato il 18.1.2012 per spronare gli Stati, ogni Pubblica amministrazione, la società civile, gli imprenditori, la SCUOLA a valorizzare la partecipazione degli anziani alla vita della società.

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Gli anziani aumentano (lo sono due italiani su dieci), al contrario dei giovani, largamente esclusi dal mercato del lavoro, così come diminuisce la popolazione attiva. Ciò significa che mentre il Paese invecchia il sistema di Welfare ha meno risorse per soddisfare pienamente i bisogni multidimensionali degli anziani. Così che se essi vogliono invecchiare bene ed evitare di fare un precoce ricorso ai servizi socio-assistenziali e sanitari devono mantenersi attivi, nel corpo e nella mente. Come? Attraverso l’adozione di stili di vita sani, unitamente all’esercizio di interessi, curiosità, hobby, relazioni. Si tratta di avere o di recuperare una visione olistica, complessiva del “bene salute”, quest’ultima intesa come stato di benessere fisico-psico-relazionale. Se è certo che con l’invecchiamento aumen-

ta la probabilità di acquisire una malattia è altresì fondamentale che tale stato patologico non degeneri in disabilità e per fare questo non è sufficiente affrontarlo sul piano medico-farmacologico. Il cambiamento epocale dovuto ad un aumento degli anni di vita attiva, che riguarda oggi oltre 12,3 milioni di over 65, di cui circa 11 milioni ancora “produttivi”, coinvolge tutta la popolazione e, in particolare le famiglie, mentre le istituzioni hanno un ruolo sempre più importante di prevenzione e promozione della salute degli anziani. Coinvolge tutta la popolazione per almeno due validi motivi: perché la prevenzione alla salute nell’età senile inizia molto prima del raggiungimento del 65° anno di età. Chi arriva a questa età in cattive condizioni di salute, basso reddito, con malsane abitudini alimentari, problemi relazionali, scarsa curiosità per la vita, carenza di interessi a latere di quelli lavorativi, è destinato ad andare incontro a situazioni di disagio, isolamento, sofferenza, patologia cronica-genenerativa. Il secondo motivo è che la società tutta deve farsi carico di questo fenomeno e, lungi dal rimuoverlo, deve gestirlo come una risorsa da attivare e da mantenere viva evitando pregiudizi


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e stereotipi negativi in riferimento, per altro, ad una minoranza non più residuale né silenziosa e anche ben rappresentata. FAMIGLIE E ANZIANI: RAPPORTO ASIMMETRICO

diffusa è la prestazione remunerata della cosiddetta “badante”. Peraltro l’uso nostrano del termine “badante” ha una valenza negativa, perché minimizza le risorse e le potenzialità dell’assistito, ed appare inappropriato perché generalmente a questa figura viene richiesta anche la collaborazione alle faccende domestiche. Tale figura è in considerevole aumento a fronte di 1,7 milioni di anziani non autosufficienti nel nostro Paese.

L’invecchiamento della popolazione coinvolge le famiglie per un aumento significativo di quelle con almeno una persona anziana e di quelle composte esclusivamente di anziani. ANZIANI CON PIU RISORSE D’altra parte, la struttura familiare non garanALLA RICERCA DI NUOVI RUOLI tisce più un supporto certo agli anziani che hanno bisogno di assistenza per il fatto che Quella dell’anziano oggi è in una cospicua essa è sempre più assottigliata e frammentata maggioranza di casi una condizione con e le generazioni dei figli cinquantenni, (più tanti “più”. Recenti indagini attestano che spesso le figlie) fanno fatica a garantire assiuna persona arriva oggi all’età anziana con stenza ai loro genitori anziani, magari dopo più anni da vivere, con più salute, più risorse avere avuto un considerevole aiuto da questi materiali (circa il 50% è abbiente), più istruper l’accudimento dei figli. I dati Istat segnazione (siamo alla prima generazione di anlano la crisi delle stesse reti di aiuto inforziani con titolo di studio superiore alla terza male, a sostegno di persone connotate da media), più voglia di vivere e di fare in virtù maggiore vulnerabilità. L’impegno dei care gidi un atteggiamento positivo nei confronti ver (offrono cura) è diminuito e con esso la della vita quotidiana. In generale sempre più copertura delle famiglie bisognose di aiuto, anziani non rinunciano al telefonino, vanno siano esse della cerchia parentale che esterne in palestra, apprezzano il computer, sono atad essa, in aumento. Se è vero che più persone tenti al rapporto qualità-prezzo ma non dioggi fanno parte della rete di care giver (il sdegnano le spese “per sfizio”. Di particola26,8% del 2009 a fronte del 20,8% del 1983) è re interesse risultano poi i dati sulla loro propur vero che esse hanno meno tempo da depensione al risparmio e all’investimento e dicare agli altri, un’età media più avanzata e si sono diventati un target molto studiato dal trovano di fronte a un maggior numero di marketing. Gli anziani sono inoltre sempre persone/famiglie bisognose di aiuto e per un più in grado anche di autorganizzarsi e di periodo più lungo dell’esistenza. Ciò compartecipare, passando dalla nostalgia alla cuporta una netta riduzione delle famiglie che riosità, dalla stabilità beneficiano del supporal cambiamento, dal to delle reti informali fatalismo al progetto. (dal 23,3% del 1983 al NON ARRENDERTI MAI Non a caso a partire 16,9% del 2009). L’Istat dagli anni ‘90 calcola che vi siano cirQualunque cosa accada l’attenzione delle poca due milioni di indivinon arrenderti mai, litiche e degli interdui, soprattutto anziani, sviluppa un buon cuore. venti per gli anziani, che non trovano adeNoi poniamo molto impegno portate avanti sopratguata protezione tutto all’interno della famiglia nello sviluppo della mente dall’associazionismo né possono avvalersi di e non coltiviamo l’amore. degli stessi anziani, si aiuti esterni, pubblici o Sii compassionevole è concentrata magdella rete informale. Rinon solo con i tuoi amici giormente sul settore cevono aiuto dai care gima con tutti gli esseri. del tempo libero; ver soprattutto le donne Sii compassionevole vengono infatti alicon figli minori che lalavora con la pace mentate iniziative in vorano e meno gli anambito ricreativo riviziani, soprattutto se nel tuo cuore e nel mondo. sitando l’ottica che l’impegno è costante Lavora per la pace e ricorda aveva animato i tradinel tempo o senza renon arrenderti mai zionali “Centri anziaspiro come nel caso dei qualunque cosa accada intorno a te. ni” riscoprendone annon autosufficienti; per Non arrenderti mai. che la valenza culturai quali la soluzione più

(Sua Santità il 14° Dalai Lama)


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le, così come si moltiplicano le Università della Terza età, le attività socialmente utili (“il nonno vigile”) fino alla sperimentazione del servizio civile per gli anziani (come in Veneto), la coltivazione dell’orto in concessione, l’inserimento di attività di animazione socio-culturale nelle case di riposo. L’obiettivo di tali iniziative è una più netta caratterizzazione dell’anziano come attore sociale, in altri termini, un soggetto destinato non a vedere il deperimento della propria relazionalità e quindi della propria identità, ma capace di rinnovare interessi e costruire nuovi processi relazionali e comunicativi di cui è protagonista. D’altra parte proprio nel momento in cui perde un ruolo sociale esercitato nel corso della vita lavorativa l’anziano aspira ad assumerne di nuovi per far sì che la vecchiaia rimanga un’età intensa della vita. La capacità o la possibilità di coltivare valori e ideali, sociali, politici o solidaristici, permette all’anziano di elaborare progetti per il futuro e di mantenere un’attività creativa, fonte di autonomia e di benessere. Le politiche sociali attuali devono assecondare e incoraggiare l’orientamento degli anziani a realizzarsi compiutamente ed essere fonte di ricchezza per la società contrastando in tal modo il sorgere di dipendenza e invalidità che sono spesso sintomi e conseguenze ella sua esclusione sociale. ANZIANI IMPEGNATI NEL VOLONTARIATO E NELL’ASSOCIAZIONISMO

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Non a caso si assiste ad una espansione dell’impegno degli anziani nel volontariato e nell’associazionismo, in quanto terreno otti-

male di realizzazione di un’anzianità attiva e protagonista nella costruzione di una comunità solidale. Quanto sono attivi gli anziani nel nostro Paese? Si può dire che la maggior parte di essi lo siano soprattutto in due settori: come care giver, a supporto delle loro famiglie o di altri beneficiari, se non nel volontariato organizzato e poi nell’associazionismo, soprattutto di promozione sociale. A sottolineare il ruolo dei primi nel sostegno al welfare contribuisce una ricerca dello SpiCgil Emilia-Romagna condotta su 1.556 anziani tra i 60 e i 75 anni da cui si evince che il 79% di essi offre un aiuto informale a familiari, amici e vicini di casa dedicandovi in media 2 ore e mezza al giorno. Si tratta di una risorsa spontanea, in buone condizioni sia di salute che di livello socio-economico e con molto tempo libero, dato che l’87,1% è in pensione (il 12,5% sono casalinghe). Secondo le ultime stime i volontari attivi nelle compagini solidaristiche del nostro Paese rappresentano il 18% del totale; essi si occupano soprattutto di altri anziani, in virtù di una solidarietà interna alla propria classe anagrafica che caratterizza in prevalenza anche l’impegno dei giovani. Oppure intervengono con la pregressa cospicua professionalità per mettere gratuitamente al servizio di tutti le loro qualificate competenze. Vi è poi l’universo dell’associazionismo di promozione sociale e delle attività del tempo libero dove gli anziani trovano soddisfazione alle proprie esigenze ricreative e di socializzazione. Ma sono anche interessati ad incrementare competenze (si pensi al boom di corsi di apprendimento all’uso di PC e internet) presso biblioteche e associazioni, nonché ad acquisire nuove conoscenze, dalle esperienza di turismo culturale ai corsi universitari, all’apprendimento di una seconda lingua. Vi è anche il bisogno di recuperare in età avanzata le occasioni di crescita personale e culturale perse nelle precedenti fasi della vita, soprattutto da parte della popolazione femminile penalizzata sul piano delle pari opportunità. Investire nella socialità, creatività e attivismo pro-sociale degli anziani significa oggi arricchire la società e promuoverne la coesione sociale insieme allo sviluppo. * Fondazione Roma - Terzo Settore


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POLITICHE PER GLI ANZIANI: URGE PARTECIPAZIONE di Franco Bentivogli a prima condizione per affrontare il problema degli anziani in una propsettiva di politica attiva per una vita attiva è costitito dalla conoscenza, caratteristiche, dimensioni, proiezioni. Nel caso degli anziani invece si va vanti per slogan, completamente vuoti di idee e di conseguenze politiche. Primo tra tutti: GLI ANZIANI SONO UNA RISORSA! In verità sono una risorsa potenziale e tale rimane permanentemente, in assenza di risposte a tutto campo. Ma vediamo i dati essenziali: al primo gennaio 2011 gli anziani con 65 anni e più sono il 20,3%, cioè 12 milioni dei dei 60,6 milioni di abitanti, e di questi cioè 2,4 milioni stimati come disabili per effetto dell’invecchiamento, che salgono a circa 3 milioni nel 2020 e via crescendo. Di fronte, una platea enorme di cittadini utenti con bisogni differenziati, di vita attiva, di impegno culturale e lavorativo, di spazi di intervento, e di promozione dell’impegno, salute e servizi di cura. Per dare delle risposte vere occorre evitare le affermazioni retoriche, demagogiche e puramente propagandistiche. Grandi istituzioni come quelle di cura e della salute non si adeguano coi cerottini. Basti pensare ai servizi sanitari, modellati su una popolazione giovane, quella del famoso boom, che ora è diventata la generazione dei vecchi e per i quali la medicina di base offre solo delle lunghe attese per gli utenti, una specialistica sempre più lontana e costosa e i pronti soccorso che spesso ricordano i gironi danteschi dell’inferno, mentre i dibattiti non sfiorano nemmenmo i problemi. C’è una crisi di partecipazione nell’organizzazione dei servizi del

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welfare che dovrebbe richiamare più attenzione e responsabilità di autorità e operatori sociali. E c’è soprattutto una crisi di partecipazione degli anziani stessi alle scelte che li riguardano. Gli anziani costituiscono un’area di persone fortemente differenziata e problematica, una vera e propria galassia, che si manifesta dopo la conclusione dell’impegno lavorativo. Il futuro si apre a una nuova età, che sarà condizionata da molti fattori del passato e del presente: apertura culturale e interessi, relazionalità sociale, opportunità sociali e ambientali. Il cambiamento repentino di ruoli e relazioni consolidate, che avviene col pensionamento, può produrre conseguenze deprimenti e avviare un processo di declino che si manifesta in varie forme, più o meno velocemente, ma progressivo: depressione, apatia, isolamento, deriva esistenziale, povertà, ecc. che precedono, e sono aggravate dal declino della salute e dalla perdita dell’autosufficienza. Il lavoro sociale con gli anziani può interrompere questo percorso e riaprire i giochi, intervenendo, con un’ampia gamma di strumenti, sul modello dell’organizzazione sociale, del sistema formativo, sulla promozione d’opportunità, sull’attivazione delle risorse personali, la riapertura di nuove prospettive sociali e di qualità della vita. Il precipitare in una simile condizione, ha spesso le sue radici nel come si è arrivati alla terza età: alla salute, a stili di vita, capacità progettuale... Chi opera con, per, tra, gli anziani deve avere un quadro chiaro della situazione, dei suoi problemi, delle prospettive, da recuperare o creare, dando consistenza alle


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aggregazioni sociali, alle forme di rappresentanza, agli spazi di partecipazione, all’efficienza e all’efficacia dei servizi. Il volontariato - e l’insieme degli organismi del terzo settore - con le proprie specificità, deve operare, progettando in questa direzione, diventando una forza di cambiamento. Molto importante, in questa direzione, è la capacità del volontariato di sensibilizzare la comunità locale, le istituzioni e i soggetti sociali e politici del territorio e ancor più, stimolare le forze sociali a mobilitarsi per progetti comuni di cambiamento delle condizioni e delle prospettive degli anziani, a partire dalla profondità dell’impegno dei servizi di prevenzione, di riabilitazione e sperimentando nuove forme di domiciliarità, alternative all’istituzionalizzazione. Alla base del rapporto con l’anziana/o devono esserci il rispetto e la costante ricerca della sua partecipazione alle finalità del lavoro sociale. Per questo l’attitudine all’ascolto e la semplicità nei rapporti con gli anziani, sono fondamentali, per capire, per comunicare, per essere accettati, ed è la premessa per l’avvio di un servizio che opera in profondità. Qualunque servizio, anche il solo rapporto gratuito di una persona cordiale è gradito dagli anziani, ma non bisogna fermarsi, al generico gradimento del servizio, occorre andare oltre, costruire insieme, un progetto di sviluppo della condizione personale dell’anziano stesso, possibile di verifiche dei risultati. Naturalmente l’interesse del volontario si rivolge prevalentemente e prioritariamente a soggetti in difficoltà, compresi quelli ospiti degli istituti e quindi alla platea più complessa degli anziani. In questo approccio sono necessari chiari punti di riferimento: 1) l’anziano è una persona a sovranità piena, non a sovranità limitata e decrescente, la cui dignità e diritti umani non

possono subire deroghe, in nessun caso, a partire dalla condizione di non autosufficienza o dal ricovero in istituti. 2) quali che siano le condizioni dell’anziano, non bisogna mai rinunciare al lavoro di recupero, di riabilitazione, anche se parziale, anche se minima. Rinunciare alla riabilitazione significa condannare l’anziano alla perdita di ogni speranza, ad abbandonarlo, a non riconoscergli nessuna, sostanziale, rilevanza umana, la fine di ogni prospettiva. I soggetti sociali, le istituzioni, i servizi formativi, i servizi per il tempo libero, devono essere parte attiva del progetto di promozione dell’anziano, rendendo concreta la sua par-

tecipazione, rispettarne le opzioni ideali, culturali e religiose. Ciò vale per l’associazionismo, i sindacati, i gruppi di volontariato, le parrocchie, la scuola e per tutte le occasioni d’incontro e di socializzazione. L’esercizio delle responsabilità e della partecipazione agli organismi e alle problematiche politiche sociali sono i più importanti antidoti al riflusso assistenzialistico, al vittimismo, alla paura dei cambiamenti, alle difficoltà nel dialogo e nella comunicazione con i giovani, all’isolamento in un mondo a parte, senza speranza. La memoria dell’anziano non deve essere un rifugio, ma una risorsa che aiuta a vivere il presente in modo attivo, esercitando responsabilità, perseguendo occasioni di comunicazione, di partecipazione, di continuità, su questioni concrete, senza


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mai isolarli o marginalizzarli rispetto al resto della società e delle altre generazioni. Ciò vale per la politica sociale dei comuni, come per l’associazionismo, per il volontariato, per i servizi sociosanitari, per i problemi del territorio, prestando attenzione ad ogni barriera culturale, architettonica, burocratica o di pregiudizio che limita l’esercizio dei diritti e gli spazi di vita. Sono importanti le occasioni formative, dove, purtroppo, prevalgono le iniziative facili ed elitarie, complementari e non di base, escludendo, per contenuti ed accessibilità, la stragrande maggioranza degli anziani. La formazione è la prima leva strategica per una nuova politica per la terza età, per gli anziani come per gli operatori sociali, per passare da una gestione burocratica e ripetitiva dei servizi, alla creatività e all’innovazione. Occorre promuovere nel territorio progetti per il superamento dell’esclusione sociale, favorendo un intervento a rete dei vari soggetti: amministrazioni locali, volontariato, associazionismo, sindacati, parrocchie, caritas, cooperative sociali, operatori sociali pubblici, ecc., valorizzando le specifiche competenze, innovando coraggiosamente nei propri servizi e favorendo nuove soluzioni e priorità per gli stessi governi locali (penso alla gestione della domiciliarità degli anziani soli e a Case famiglia alternative alle forme di istituzionalizzazione), i quali spesso confondono i fini per cui esistono, con lo status quo di interessi corporativi. Partendo da servizi domiciliari si entra nel cuore dell’esclusione, dell’abbandono, della residualità nella società attuale. Rispetto a questi problemi le famiglie conservano un ruolo centrale, ma queste, come nel caso di un componente la famiglia non-autosufficiente, si trovano a dover affrontare impegni tali, 24 ore su 24, che sono normalmente insostenibili da una famiglia sola. E i servizi domiciliari, per organizzazione, rigidità, cultura, raramente offrono un sostanziale sollievo. I principi di giustizia, prima ancora di quelli di solidarietà, sono latitanti, per-

ciò le famiglie, più che entità da sostenere e quindi salvaguardare, sono intese come realtà su cui scaricare i problemi. Il volontariato ha un importante compito di denuncia e di primo intervento, per la sua presenza nelle zone di frontiera della sofferenza, dell’ingiustizia, dei cambiamenti, i quali producono nuove possibilità, ma anche nuove occasioni e forme di sofferenza e d’esclusione. Questa posizione, però, esige una seria capacità d’intervento e di proposta, se si vuol andare oltre al pronto soccorso per le nuove ferite. Fare politica per il volontariato vuol dire proprio questo: dare voce e cittadinanza agli esclusi, essere scomodi, non lasciar dormire i responsabili, promuovere nuove soluzioni, affermare nelle scelte criteri di priorità e di valori umani rilevanti. La presenza e il servizio dei volontari devono coinvolgere organicamente la comunità locale, costituire un elemento forte per lo sviluppo di una cultura e di una pratica dell’accoglienza e della solidarietà, verso gli stranieri, i diversi e i più svantaggiati. I servizi del volontariato devono essere concretamente utili, modularsi sulle situazioni concrete: istituti, famiglie, anziani soli, e saper mobilitare altre risorse che possono interagire con le sue, devono suscitare nuove disponibilità nelle istituzioni e nei servizi pubblici, producendo nuove sensibilità e nuove risposte. La vecchiaia non deve mai diventare l’età della progressiva interdizione, soprattutto per gli anziani più deboli o non autosufficienti, né in casa, né negli istituti. Partecipare, esprimersi, scegliere, decidere, controllare, protestare, devono essere diritti riconosciuti, effettivamente fruibili in ogni condizione (famiglia, istituti ecc.), che nessuna burocrazia di apparati può cancellare. Il rispetto di questi diritti presuppone, naturalmente, una crescita culturale degli operatori dei servizi, fondata sul primato della persona dell’anziano, nuove regole e flessibilità nei lavori di cura e il supporto di sostegni associativi non subalterni, né alle corporazioni, né alle amministrazioni.


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IL WELFARE DEI NONNI di Giovanni Santone rima di Natale dello scorso anno le Regioni Lombardia e Piemonte hanno P deciso che medici e ospedali hanno l’obbligo di esporre i costi delle prestazioni sanitarie sui referti (per ricoveri e specialistica) con l’eventuale quota a carico del paziente. Decorrenza 1 marzo 2012. Il provvedimento ha suscitato non poche proteste a partire dall’ordine dei medici di Milano, che ritengono tale misura “umiliante perché il cittadino, per essere curato dal servizio sanitario nazionale, paga già le tasse”. Al contrario quanti sono favorevoli all’iniziativa ritengono che è “un segno di trasparenza e responsabilità”. Non so se altre regioni si accingano a seguire Lombardia e Piemonte, ma quello che non condivido è di far passare sotto l’etichetta di trasparenza una informazione che umilia la persona e dimentica il principio di solidarietà sancito nella nostra Costituzione. Per completezza il servizio sanitario dovrebbe quanto meno far conoscere anche quali sono i risparmi della sanità derivanti dall’impegno nell’assistenza da parte dei familiari di malati e quello del volontariato. E’ questa una solidarietà che non si quantifica in costi monetari. Prendo spunto da tale notizia per introdurre alcune considerazioni collegate all’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni. Per tale evento è interessante l’aggettivo attivo, che accompagna invecchiamento e l’abbinamento a solidarietà tra le generazioni. E’ una riaffermazione che indica che la vecchiaia può esprimere potenzialità nella azioni di solidarietà, riscoprendo valori di una civiltà dove l’anziano, senza esaltazione di un tempo passato, era il patriarca della famiglia e oggi può svolgere – come è sotto gli occhi di tutti – un ruolo di supporto alla famiglia dei figli, nel sostenere costi e spese, ma anche nell’accudire i nipoti. Sarebbe povera illusione quantificare il risparmio che si produce con l’apporto delle persone anziane, che attuano già da

anni gli obiettivi specifici individuati per questo anno europeo dell’invecchiamento dal Dipartimento per le politiche della famiglia del nostro Governo. Ma chi è anziano? Faccio fatica a individuarlo in base all’età. Vi sono ultraottantenni (un esempio per tutti il nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) che hanno una vitalità invidiabile. Quindi un primo aspetto da considerare è quello di mantenersi in forma attraverso un complesso di iniziative, misurate e valutate da un elevato indice di gradimento, come ho potuto constatare nella mia attività di amministratore di un comune di medie dimensioni, come è Padova. Qualche cenno. Mi riferisco ad attività per gli anziani aventi l’obiettivo di promuovere l’integrazione sociale e la partecipazione attiva, per contrastare la solitudine e per coltivare capacità relazionali e costruire legami di solidarietà. Certamente per realizzare le varie iniziative sono necessari spazi adeguati, specifiche professionalità e supporti organizzativi. Alcuni esempi: laboratori di pittura, di teatro per stimolare creatività e comunicazione, ma anche di curiosità, come scambi socio-culturali con altre realtà del Centro e del Sud Italia, adeguatamente preparati e ancora di recente realizzati con regioni, la cui storia è quasi sconosciuta, come il Molise e prossimamente la Basilicata. Ho avuto modo di vedere il materiale prodotto (relazioni, foto e DVD): potrebbe essere utilizzato anche nelle scuole. Infatti conoscersi servirebbe a superare anche certe diffidenze verso gli altri, di origine e cultura diverse. Sempre nell’ottica della socializzazione e del superamento del “chiudersi in se stessi” dovrebbero essere sviluppate le iniziative di soggiorni climatici estivi, ma anche le “passeggiate mirate” per conoscere luoghi e spazi suggestivi della propria città. Tornando all’impegno degli anziani mi hanno colpito le pagine del Corriere della


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Sera dell’8 gennaio (è un inserto dal titolo Nuovi Veneti). Il primo articolo, riferito peraltro al contesto nazionale, è il seguente: Il welfare dei nonni: accudiscono i bambini, aiutano economicamente figli e nipoti… lavorano sempre di più… Ma soprattutto fa riflettere l’editoriale di Vittorio Filippi, che sui nonni bene sintetizza con la frase da custodi della memoria a produttori di Pil. Al riguardo cita una ricerca del Sindacato pensionati della Cgil che stima che tutta l’attività di aiuto svolta dagli anziani – compreso il volontariato – rappresenti l’1,2 % del Pil del nostro Paese. Per concludere vorrei citare un piccolo esempio di solidarietà di persone anziane, che si sono impegnate a confezionare in questo inverno rigido, berretti di lana per i detenuti del carcere di Padova. Ma anche da anni preparano pullover per bambini del terzo mondo. A fronte di tale manifestazione concreta di solidarietà devo purtroppo citare anche esempi, non proprio educativi, di una nonna che allontana il ragazzo di colore,

che si era avvicinato a lei e al suo nipotino con l’espressione: non mi toccare, quasi a significare il tuo colore indica sporcizia. Tra le iniziative da segnalare come positive ne riporto una che mi coinvolse, quand’ero assessore a Padova nei famosi anni ’90, che il citato foglio del Corriere della Sera riporta con il titolo Quando ad essere adottato (in casa) è lo studente (ma anche il giovane lavoratore). Se vi è spesso una certa diffidenza da parte delle persone anziane sole, vi sono però anche anziani che decidono di affittare una stanza o un appartamentino a studenti e anche a lavoratori, in cambio non tanto dei soldi dell’affitto intero, ma di compagnia, di assistenza e di qualche servizio, come ad esempio la spesa quotidiana, l’acquisto di medicinali e altre commissioni. Vedo con piacere che l’iniziativa è sponsorizzata oggi dall’Avv. Silvio Barbiero di Padova, presidente vicario dell’Uppi (Unione dei piccoli proprietari di immobili). Sono previsti anche sgravi fiscali, che si spera possano essere mantenuti.

LA SAGGEZZA DEI TIMONIERI Nulla di vero, dunque, affermano quelli che dicono che i vecchi non sono adatti all’attività politica: somigliano a chi dice che il timoniere, in navigazione, non fa nulla, dato che altri salgono sugli alberi, altri corrono su e giù sui ponti, altri svuotano la sentina dall’acqua, mentre lui, tenendo la barra del timone, se ne sta in riposo, seduto a poppa! Non fa quei lavori che fanno i giovani, ma ne fa altri molto più seri e importanti. Le grandi cose non si fanno con la forza o con la velocità o con l’ agilità del corpo, ma con la saggezza, con l’autorità, con il prestigio; delle quali virtù la vecchiaia di solito non solo non è priva, ma anzi ne è arricchita. Certo (Scipione) non si sarebbe dato alla corsa né al salto, né al lancio dell’asta da lontano, né ai combattimenti con la spada, bensì alla politica, al buon giudizio, alla saggezza. E se queste doti non ci fossero nei vecchi, i nostri antenati non avrebbero chiamato “Senato” la massima assemblea dello Stato. Presso gli Spartani, quelli che reggono la più importante magistratura, sono chiamati, come sono in realtà, “vecchi”. E se volete leggere o ascoltare la storia dei popoli stranieri troverete che i più potenti Stati sono mandati in rovina dai giovani, mentre sono risollevati e rimessi in piedi dai vecchi.

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M. T. Cicerone (“De Senectute”)


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CASA FAMIGLIA: ISTRUZIONI PER L’USO di Orietta Ciammetti *

“Cosa spinge un famiglia “normale”a trasformare radicalmente il proprio assetto, mettendo in gioco tutte le proprie risorse a favore degli altri?” “Perché scegliere di andare “oltre” un’azione di aiuto che potrebbe comunque risultare utile e positiva anche senza coinvolgersi totalmente negli affetti, nell’impegno quotidiano, negli investimenti futuri?” nizio questo breve contributo con

Idue delle numerose domande che mi

sono posta e spesso ancora mi pongo e alle quali non sono riuscita mai a dare risposte per me soddisfacenti. Me le pongo in qualità di mamma, di moglie, di figlia, di donna, di professionista dell’aiuto, probabilmente nella speranza di intercettare nel non detto e nel non pensato le motivazioni che mi hanno

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spinto a trasformare 12 anni fa la mia vita,con l’obiettivo di realizzare il comune desiderio familiare di aprire le porte della nostra casa e di noi stessi a chi ne avesse bisogno. Gli esiti dell’impresa sono fondamentalmente positivi, nonostante le grandi difficoltà incontrate nella sua realizzazione e nella gestione complessiva. Nel corso degli anni abbiamo ospitato e aiutato circa 50 bambini con le loro famiglie, di età, nazionalità, genere diverso, che hanno percorso un tratto della loro strada di vita accompagnati da noi e da tanti educatori e volontari che prestano la loro opera condividendo la filosofia e gli obiettivi della nostra comunità. La Casa famiglia è un “famiglia” più grande dell’usuale, con tanti figli, tanti fratelli, tante mamme, papà, zii e zie, dove gli ospiti vivono nella maniera più normale


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possibile la loro quotidianità. Si tratta di ospiti ”speciali”, che provengono da situazioni familiari complesse, da cui sono stati allontanati non senza subire un grave danno psicologico conseguente ai vissuti di abbandono che tutti noi sperimentiamo nel momento in cui dobbiamo separarci dai nostri affetti. Il nostro compito è proprio quello di cercare di alleviare la sofferenza di questi bambini, “curando” le loro ferite attraverso l’accudimento. Aprire una Casa famiglia è un po’ un’avventura, in quanto le barriere burocratiche si ergono imponenti fino a determinare spesso sentimenti di scoraggiamento e profonda delusione. E’ sicuramente una sfida che può essere però superata positivamente con la determinazione e la prospettiva di poter veramente aiutare chi si trova in grave difficoltà. Le difficoltà che emergono sono in parte dovute a un panorama legislativo pensato per la tutela dei minori che hanno la necessità di essere allontanati dalle famiglie di origine, per garantire loro un’accoglienza professionalmente qualificata. La solidarietà deve procedere insieme alla competenza e all’esperienza per

garantire un servizio adeguato alle molteplici necessità manifestate dall’utenza. La normativa per l’apertura delle Comunità residenziali di tipo familiare si articola sia a livello nazionale che locale. Ogni amministrazione locale, regionale e comunale, si dota di una legislazione applicativa, dettando le norme specifiche per l’apertura e il funzionamento delle strutture. Nella Regione Lazio, ad esempio, ci si riferisce alla seguente normativa: • Legge Regionale n. 41 del 12 dicembre 2003 “Norme in materia di autorizzazione all’apertura ed al funzionamento di strutture che prestano servizi socio-assistenziali”; • Regolamento Regionale 18 gennaio 2005, n. 2 “Regolamento di attuazione dell’art. 2 della L.R. 12.12.2003 n. 41. Modalità e procedure per il rilascio dell’autorizzazione ed al funzionamento delle strutture che prestano servizi socio-assistenziali”; • Deliberazione della Giunta Regionale 27 marzo 2001, n. 424 “Normativa barriere architettoniche, verifiche ed autorizzazioni. Linee guida.”; • Deliberazione Giunta Regionale 23 dicembre 2004, n. 1305 “Autorizzazione all’apertura ed al funzionamento delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale che


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prestano servizi socio-asistenziali. Requisiti strutturali e organizzativi integrativi rispetto ai requisiti previsti dall’art. 11 della L.R. n. 41/2003.” Una volta ottenuta dall’amministrazione comunale l’autorizzazione al funzionamento la Casa Famiglia diventa operativa. I minori vengono allontanati dalla famiglia di origine dai Servizi sociali territoriali, con l’intervento del Tribunale dei Minorenni qualora non venga espresso il consenso da chi esercita la potestà genitoriale. In presenza di consenso l’allontanamento può essere disposto direttamente dal Servizio sociale. L’allontanamento si ritiene indispensabile in presenza di gravi difficoltà familiari relative a molteplici motivazioni e solo nel caso in cui il minore è soggetto a un reale rischio per la sua incolumità fisica e psicologica. Lo scopo è quello di garantire al minore, in maniera temporanea, la crescita in un ambiente adeguato e alla famiglia di poter trovare o ritrovare le risorse per potersi occupare del proprio figlio rispondendo a tutte le sue necessità. Parallelamente all’allontanamento e collocamento del minore in struttura protetta, i Servizi dispongono un percorso di indagine sulle capacità genitoriali e, laddove se ne ravvisino le risorse, un progetto di sostegno alla genitorialità. Tutto ciò per poter garantire al minore il rientro in famiglia nel più breve tempo possibile. Qualora le risorse genitoriali non emergano, i Servizi o il Tribunale possono stabilire, sempre in via provvisoria e temporanea, il trasferimento del minore in una famiglia alternativa alla famiglia di origine, attraverso l’istituto dell’affidamento familiare, disciplinato dalla Legge n. 149/2001. Durante il periodo di svolgimento di tutto l’iter descritto che, purtroppo, allo stato attuale risulta essere molto lungo e complesso, all’interno della Casa famiglia vengono attuati tutti gli interventi ritenuti utili e necessari per garantire lo sviluppo del minore. Per fare ciò viene utilizzata una metodologia improntata sul “modello familiare” in

cui il bambino “abita” la famiglia e la comunità territoriale nell’ottica dell’accompagnamento verso il raggiungimento delle tappe evolutive, svolgendo attività familiari comuni: consumare pasti, guardare la televisione insieme, controllare i compiti... e inserendosi nell’ambito extra-familiare: scuola, attività sportive pubbliche, partecipazione a feste di compleanno... Il bambino sperimenta la famiglia con le regole di comportamento a cui tutti, educatori, personale ausiliario ed operatori volontari, sono chiamati a conformarsi, fornendo l’indispensabile modello di socializzazione. Ove sia presente la famiglia di origine si favoriscono, se opportuni, i contatti cercando di rivalutare le figure genitoriali che, nella maggioranza dei casi, sono vissute esclusivamente in termini di abbandono. Far sentire al bambino che i genitori lo amano, anche se momentaneamente non possono occuparsi di lui, gli fornirà quella base di sicurezza indispensabile al suo sviluppo psicofisico, la sicurezza di essere comunque accettato e il desiderio di avere una famiglia. I legami che si creano all’interno della Comunità non dovrebbero essere spezzati al momento della dimissione. Spesso, ma non sempre, le famiglie di origine o le famiglie affidatarie, garantiscono il mantenimento dei rapporti con gli operatori della Comunità e consentono ai bambini di “tornare” in Casa famiglia. Ciò risulta di fondamentale importanza per evitare un nuovo “strappo”, una separazione già in precedenza vissuta e per la cui elaborazione il bambino ha dovuto pagare un elevato costo emotivo. La Casa famiglia, in sostanza, articola l’intervento dei propri operatori sul passato, sul presente e sul futuro del minore, nel tentativo di spezzare il circolo vizioso di disagio transgenerazionale che spesso, in assenza di interventi finalizzati alla scoperta e alla valorizzazione delle potenzialità individuali, genera il perpetuarsi di situazioni di grave disagio in soggetti ad alto tasso di vulnerabilità. *Pedagogista clinico


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PER CARITÀ E PER GIUSTIZIA di Maurizio Giordano

Per carità e per giustizia. Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano (Roma, 25 febbraio 2012) on la partecipazione del Segretario di Stato, S. Em. Tarcisio Bertone, C del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, del presidente dell’Assemblea Capitolina, Pomarici, si è svolto il 25 febbraio scorso a Roma, in Campidoglio, il Convegno “Per carità e per giustizia”, a conclusione della ricerca condotta dalla CISM, dall’USMI e dalla Fondazione Emanuela Zancan, nell’ambito dei progetti della Fondazione Roma-Terzo settore, che ha indagato sull’apporto degli istituti religiosi allo stato sociale italiano nei primi 150 anni dall’unità d’Italia. Un apporto di grandissimo spessore e fortemente innovativo, avendo i religiosi e le religiose anticipato, con le loro opere caritative, molte delle prestazioni ed interventi che sono poi stati recepiti dall’ordinamento giuridico italiano. I risultati della ricerca sono pubblicati nel volume (curato dalla Fondazione Zancan) “Per carità e per giustizia: Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano”, il cui senso è stato illustrato da S.E. mons. Domenico Cancian (Vescovo di Città di Castello), dai presidenti della CISM, don Alberto Lorenzelli, dell’USMI, madre Viviana Ballarin, della Fondazione Roma, prof. Emmanuele F.M. Emanuele, e dal nuovo Direttore della Caritas italiana, mons. Francesco Soddu. Due le relazioni: del prof. Emanuele Rossi, sull’evoluzione del sistema giuridico italiano e sulla storia e sul rilievo della nostra Costituzione nell’assetto dei servizi alla persona, e di mons. Giuseppe Pasini, sulle ricadute sulla comunità civile e sulle ricadute pastorali. Ha concluso il segretario generale della CISM, padre Fidenzio Volpi. Il volume (che può essere richiesto alla CISM, via degli Scipioni, 256, Roma - 00192) contiene studi, esperienze e dati sulle innovazioni introdotte nei 150 anni

dall’Unità di Italia dai religiosi e dalle religiose: una storia completa e documentata della assistenza in Italia dalla parte degli ultimi ed un quadro degli interventi e delle prestazioni “inventate” dalla Chiesa e trasfuse poi, negli anni, nella legislazione sociale italiana. Quello che oggi è prassi comune e garantita, è stato anticipato dalla seconda metà dell’Ottocento dagli istituti religiosi, che da sempre affrontano le questioni più dolorose e difficili e divengono poi altrettanti modelli per i legislatori e gli amministratori pubblici. Un capitolo, con dati originali, è riservato alla rete di collegamenti intervenuta per la protezione degli ebrei nel corso dell’ultima guerra. Completa il volume uno studio di Maria Bezze che mette a confronto i dati del IV Censimento dei servizi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali con quelli della Rilevazione delle opere dei religiosi oggetto della ricerca. Non solo storia, dunque, ma attualità e progetti per il futuro. LA RELAZIONE DEL PROF. ROSSI Uno sguardo di insieme alla storia dell’assistenza in Italia attraverso l’impegno degli istituti religiosi, con continui rimandi alla parte iniziale del libro, in cui le varie esperienze innovative vengono esposte, quello compiuto dal prof. Emanuele Rossi nella sua relazione. Esperienze troppo numerose ed interessanti per poter essere riassunte in questo articolo; ci soffermiamo, invece sulla domanda posta a conclusione del suo intervento e sulle proposte da lui stesso avanzate: quale insegnamento possiamo trarre da questa storia per il presente e per il futuro, affinché sia viva e vivificata per costruire un domani migliore? “In primo luogo - afferma Rossi - credo che l’impegno che se ne trae, per tutti e in particolare per coloro che hanno responsabilità istituzionali, sia di valorizzare e favorire la capacità del terzo settore di leggere i bisogni sociali e di individuare soluzioni innovative, al fine di favorire un progresso di conoscenze e di risposte in ambito sia privato sia pubblico. Occorre a tal fine ricordare che il principio di sussidiarietà è effettivamente ed effica-


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cemente realizzato non tanto laddove vi sia un’integrazione tra privato e pubblico sul versante dell’erogazione dei servizi, quanto soprattutto allorché i soggetti privati partecipino e siano coinvolti anche nella fase della progettazione e della verifica degli interventi. Per giungere a tale risultato occorre che gli enti del terzo settore siano capaci di contribuire a che l’amministrazione pubblica si cali nel nuovo ruolo che il modello di welfare community le attribuisce, nel passaggio da una funzione di “gestione” dei servizi a “regolazione” degli stessi, da realizzare attraverso una molteplicità di azioni di controllo e di garanzia. E ciò onde evitare il rischio che l’attivismo del terzo settore si traduca in una sorta di “ritiro” del pubblico dalle sue funzioni: mentre la prospettiva da perseguire è la garanzia di una “regia” pubblica efficace del complesso di soggetti - pubblici e privati - partecipanti alla programmazione, gestione e offerta dei servizi, per la garanzia piena dei diritti delle persone. Ciò può passare anche attraverso la capacità degli enti del terzo settore di ripensare e ridefinire la propria missione, come sin qui essi hanno dimostrato, in larga misura, di saper fare”. Un secondo insegnamento che si deve trarre per il futuro riguarda l’esigenza di costruire una partecipazione capace di realizzare un governo territoriale del welfare, al fine di dare organizzazione e socialità alle risposte. Questo tema impone di ripensare e definire le modalità di partecipazione del terzo settore all’elaborazione delle politiche pubbliche, a partire dal livello locale sfatando l’idea diffusa di una contrapposizione tra partecipazione ed efficienza. E’, invece, evidente come nei sistemi pubblici moderni l’efficienza decisionale non possa fare a meno della democrazia e della partecipazione: e che anzi i processi effettivi di cambiamento richiedono oggi sempre più, per essere efficienti, percorsi di partecipazione, consenso e condivisione. “Tale esigenza è strettamente connessa alla crescita di complessità delle società moderne: esse esigono processi inclusivi e quindi partecipati perché soltanto attraverso la conoscenza e il successivo confronto le diverse istanze riescono a trovare sintesi positive ed efficaci, capaci di essere accettate e sostenute da chi ne è il destinatario. In tal senso il ruolo del terzo settore è decisivo, perché teso a rappresentare non interessi particolari, quanto invece un modo specifico e disinteressato di leggere e rappresentare l’interesse generale”. Un altro insegnamento discende direttamente dalla storia della carità (nel senso pieno del termine sul quale Benedetto

XVI si sofferma nelle sue Encicliche) raccontata nel volume e che chiama tutti ad una prospettiva di impegno ulteriore, che va ben al di là del terzo settore. “Se infatti l’assistenza è una necessità, a fronte dei bisogni esistenti e delle difficoltà a farvi fronte, tuttavia non va dimenticato che essa interviene dopo che il bisogno si è prodotto, al fine di ripristinare la situazione precedente all’emergere del bisogno stesso ovvero a fornire un sostegno e un accompagnamento. E allora occorre operare, anche da parte delle opere che si richiamano alla fede cristiana, affinché ci siano sempre meno persone che hanno bisogno di quel tipo di assistenza.” Ed è questo il compito di una politica alta, volta al lavoro, alla formazione, all’abitazione, ad un sistema di sicurezza sociale armonico ed equamente distribuito. Una quarta indicazione riguarda il ruolo della famiglia, la quale dovrebbe essere considerata non come destinataria delle politiche di welfare ma come risorsa, e quindi co-protagonista, insieme agli enti del terzo settore e agli altri attori, dei suoi interventi. Da ultimo, il prof. Rossi si è soffermato sulla prospettiva politica e normativa, nella quale si deve superare sul piano culturale, prima ancora che su quello giuridico-normativo, la concezione che ritiene i diritti sociali come finanziariamente condizionati ed ha, in proposito, ricordato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, per cui ogni diritto «basato su norme costituzionali di carattere programmatico è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale pur condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà, tenendo conto dei limiti oggettivi che questi incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento» (sentenza n. 455/1990). Una posizione rafforzata dalla costituzionalizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali (di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione) per i quali non vale il condizionamento delle risorse economiche disponibili. Una costituzionalizzazione rimasta, almeno per l’assistenza sociale, sulla carta a dodici anni dalla riforma. “La logica della solidarietà che queste pagine ci suggeriscono, e che meritano anche per questo di essere lette e meditate, - è la conclusione di Emanuele Rossi - induce a ritenere che prima vi sono i diritti, e che questi occorre garantire, specie alle categorie più deboli: in funzione di questo obiettivo vanno raccolte le risorse, che devono essere adeguate alla tutela di tali situazioni, oltre che ovviamente agli altri scopi della comunità”.


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COMUNICARE SOCIALMENTE IN RETE FA BENE AL TERZO SETTORE di Luca Testuzza sistono almeno tre buoni motivi perché non-profit debba comunicare verso l’esterno in modo efficace. Innanzitutto per far conoscere meglio la propria mission e quindi raggiungere più facilmente le persone che possono aver bisogno di aiuto. In seconda battuta per avvicinare all’organizzazione dei potenziali volontari/soci e allo stesso tempo renderla nota anche alle istituzioni e a tutti gli eventuali partner. Infine per migliorare le azioni di fund raising e quindi incrementare le risorse economiche a propria disposizione. In definitiva una buona comunicazione serve ad offrire i propri servizi e la propria testimonianza ad un più ampio pubblico ed in modo più efficace. Ed esiste un solo modo in cui un’organizzazione non-profit può comunicare, ovvero divulgando i propri valori in maniera coerente, senza però mai chiudersi al confronto, ma anzi ricercando il più possibile il dialogo verso i propri stakeholder e la cittadinanza in senso più esteso. I nuovi canali mediali che stanno prendendo piede, soprattutto grazie alla diffusione di internet, offrono a tutte le realtà di Terzo settore interessantissime opportunità per comunicare, anche in considerazione della loro economicità. In compenso, come vedremo, questi nuovi modi di comunicare richiedono una grandissima attenzione e dedizione. Il rapporto fra internet e settore non profit è ormai consolidato, infatti quasi il 60% delle organizzazioni che ne fanno parte ha un proprio sito web1, e questo è un dato in continuo aumento. In quanto alla qualità, all’aggiornamento ed all’adeguatezza dei contenuti c’è invece molto da dire. La gran-

Eun’organizzazione

de forza di questi strumenti infatti risiede nella loro interattività, non solo “intesa come semplice possibilità di scelta tra le diverse opzioni offerte o anche della possibilità di inviare un commento o una risposta all’autore, interattività qui ha il senso pieno di includere ogni “partecipante” nel sistema, rendendolo parte delle decisioni e degli orientamenti collettivi, sia nei termini delle scelte da operare, sia in quello del giudizio reciproco sui suoi protagonisti”.2 Ma per realizzare questa interattività, non basta comprare un dominio e caricare sulla rete delle pagine3, bisogna anche acquisire un linguaggio specifico4, fatto di ipertesti navigabili dal lettore, dando a quest’ultimo la possibilità di dire la sua, di completare il testo, trasformandolo da semplice fruitore della comunicazione a co-autore della stessa. Oltre a ciò bisogna tenere nel giusto conto le “norme di usabilità e accessibilità. Indicano come fare un sito in cui siano riconoscibili con chiarezza l’identità dell’emittente e la sua “ragione sociale”, che ogni sua parte sia – se non necessario altrimenti – omogenea dal punto di vista stilistico, che presenti in ogni sua sezione “barre di navigazione” e indicazioni sulla provenienza delle informazioni, che queste ultime siano ben organizzate e aggiornate, che sia ricevibile

1 Fonte: Indagine sull’uso degli strumenti di comunicazione nelle organizzazioni di Terzo Settore www.terzacomunicazione.com 2 Marco Binotto, Volontari nella rete, in Raccontare il Volontariato, Firenze, Quaderni Cesvot, 2006, pagg. 143-144 3 Un’analisi dei principali siti del non profit italiano è effettuata annualmente da Francesco Pira e dal suo gruppo di ricerca. Vedi Francesco Pira, Monitoraggio dei siti non profit 2009, Udine, Università degli Studi di Udine, 2009 - www.uniud.it 4 Cfr. Jakob Nielsen e Marie Tahir, Homepage usability, Milano, Apogeo, 2002


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anche da pc e connessioni non troppo veloci (…) e infine che sia “leggibile” dalle tecnologie adottate dai disabili per navigare sul web”.5 La questione dell’accessibilità d’altronde non appare più rimandabile da parte del Terzo settore, anche se ovviamente costruire siti accessibili richiede un certo grado di professionalità. Per ovviare all’assenza di personale preparato nel proprio organico, si può talvolta ricorrere all’uso di template. Esempio di questa tendenza è il fiori dei blog legati al Terzo settore, una realtà che è diventata decisamente rilevante nell’ultimo decennio. È qui solo il caso di accennare a realtà quali Joomla o Wordpress, cosidetti content management system (CMS), “software installato su un server web studiato per facilitare la gestione dei contenuti di siti web, svincolando l’amministratore da conoscenze tecniche di programmazione Web (fonte: Wikipedia)”. Per restare ai due esempi precedentemente citati, sì può dire che il primo, Joomla, offra buone possibilità di personalizzazione e la possibilità di implementare qualsiasi tipo di servizio, da un forum a un servizio di pagamento online; necessita però di una discreta dimestichezza con programmi di grafica e soprattutto un’infarinatura dei linguaggi di programmazione web. Wordpress invece è sicuramente più semplice ma anche molto meno personalizzabile, il suo specifico è infatti il blog. Il bello di questi due CMS, oltre alla relativa semplicità d’uso, è la gratuità. Per essere più precisi, bisogna dire che in Wordpress sono gratuiti soltanto alcuni servizi di base a differenza di Joomla che invece è una piattaforma del tutto open source, anche se alcuni template , realizzati da privati, possono avere un costo; d’altronde. In definitiva, questo genere di tecnologia sembra bene attagliarsi a realtà associative medio piccole, che possiedono al loro interno soci/volontari vogliosi di sperimentarsi in questo campo. Per realtà associative più grandi e complesse questi strumenti di comunicazioni più agili possono invece affiancarsi a quelli più tipici della comunicazione istituzionale; non è infatti così raro trovare dei blog deputati ad animare il dibattito interno ed esterno alla realtà associativa, d’altronde spesso que-

sti sono espressione di sedi territoriali e/o singole aree di una grande associazione madre. Ai blog ed ai veri propri siti, in tempi più reenti, si sono affiancate le pagine create sui più famosi social network. Questo fenomeno, d’altronde, prospera più o meno in parallelo con l’incredibile tasso di crescita di utenti che i social network stanno registrando. A tal proposito, vorrei citare una recente indagine6, che, esaminando l’attività su Facebook e Twitter di alcune fra le più importanti realtà non profit statunitensi, ha rilevato come questi mezzi possano rivelarsi estremamente efficaci sia al fine di reperire sostenitori e volontari che per migliorare le attività di fund raising. Ma Facebook e Twitter, soprattutto il primo per ciò che riguarda la realtà italiana, offrono possibilità anche ai più piccoli di trovare il proprio palcoscenico virtuale sulla rete, aiutati sia dalla facilità d’uso, sia dal carattere informale, così vicino al modo d’essere delle piccole associazioni. Queste microrealtà perciò stanno spesso scegliendo di abbandonare la classica forma del sito, o di lasciarla a mo’ di vetrina, per sfruttare appieno l’interattività a basso costo offerta dal social network. Ma gestire un account Facebook può rivelarsi impresa ardua, perché una cosa è aprire un account personale, altra è amministrarne uno per una realtà di Terzo settore. Ad esempio è preferibile aprire un account come organizzazione non profit (e non come persona fisica) ed avere quindi fans e non amici. È inoltre importante capire quanto tempo dedicare a questa importante risorsa comunicativa e chi sarà incaricato di rispondere alle domande, critiche o proposte che verranno dalla rete. E, se da una parte chi lancia e gestisce una pagina Facebook deve

5 Marco Binotto, op. cit., pag. 148 6 AA.VV., 2010 Nonprofit Social Media Benchmarks Study, M+R Strategic Services, 2010 - www.ebenchmarksstudy.com/socialmedia


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perché non protette da copyright ma da licenessere dotato di indubbie competenze speze Creative Commons, che consentono, a decifiche (ed infatti soprattutto in ambito proterminate condizioni, quali, ad esempio, fit si sta sempre più sviluppando la figura proprio l’assenza di fini di lucro, il riutilizzo professionale del Facebook community di opere creative, siano essi testi immagini o manager), bisognerà che tutta la struttura sia altre opere dell’ingegno. partecipe e consapevole di questi nuovi perQuesto veloce excursus fra le possibilità ofcorsi comunicativi, evitando fratture, sia di ferte dalla rete per comunicare, non esauricarattere generazionale, sia fra vertice e basce di certo l’argomento, che è vastissimo e se associativa. Appare d’altronde evidente in rapidissima espansione (e mutazione). come questo tipo di comunicazione prettaQuello che però è ulteriormente necessario mente informale meglio si attagli a realtà asprecisare è che l’uso corretto di una moltesociative aperte al confronto. Chi possiede plicità di strumenti interattivi fra loro colleuna struttura rigida e verticistica ed ha timogati può realmente potenre di condividere le inforziare le azioni comunicatimazioni già all’interno ve degli enti non profit, della propria organizzaSITI WEB anche a costi contenuti, e zione, dovrebbe de facto PER APPROFONDIRE: quindi ben si attaglia anrinunciare a questo tipo di che per le realtà più piccocomunicazione pienawww.w3c.it le che non hanno a dispomente interattiva che www.facebook.com sizione grandi budget. Ma espone a rischi come l’uso di questi strumenti quello corso dalla “Croce www.twitter.it offerti da internet pare esRossa Americana, duramente www.joomla.it sere congeniale alle orgacriticata su internet a proposihttp: //it.wordpress.com nizzazioni di Terzo settoto degli interventi post Katri7 www.youtube.com re soprattutto perché na.” Twitter d’altronde l’interattività della rete serve ancor più per l’hic et www.flickr.com ben si presta a esprimere nunc, per gestire www.creativecommons.it le istanze di enti spesso cal’immediato (volendo anratterizzati da flussi inforche l’imprevisto). Offre mali di comunicazione interna e da una relacioè una specie di lancio d’agenzia personazionalità diffusa. Gli enti non profit paiono lizzato ed autogestito. Per queste ragioni, insomma essere naturalmente predisposti affinché questo strumento abbia senso, biper apprendere ed impiegare nuovi linguagsognerà riuscire sia ad essere seguiti da molgi e nuove modalità di comunicazione. I te fans, sia a fornire un flusso comunicativo new media possono inoltre rappresentare il velocissimo, in tempo reale, dotandosi giusto veicolo per entrare in contatto con il eventualmente di strumentazioni in grado pubblico giovane che, come ben evidenziadi comunicare ovunque ci si trovi (portatili, no molte ricerche8 , è tendenzialmente lonpalmari, cellulari 3g). tano dal Terzo settore. Un altra interessante possibilità offerta dalla Ovviamente però comunicare per comunicare rete è quella di avere dei propri archivi menon ha senso e non bisogna mai dimenticare diali online, anch’essi accessibili da un pubdi agire in maniera coerente con i propri vablico più o meno vasto. Un esempio da tutti lori, coordinando sempre tutta la propria conosciuto è quello dei canali Youtube, nel produzione mediatica (tradizionale o meno quale caricare (e condividere) video inerenti che sia) sia da un punto di vista formale che le attività del proprio ente. Per creare un contenutistico. proprio archivio fotografico invece esiste Flickr, community nella quale i diversi utenti possono pubblicare, commentare e scambiare immagini. Questo strumento può 7 Donata Columbro, Network. Il non profit sopravviverà solo a colpi di tweet in Vita del 2 Dicembre 2011, inoltre essere usato dal non profit per repepag. 29 rire immagini di buona qualità da utilizzare 8 Vedi ad es. Elaborazioni Iref-Caritas Italiana 2010 per completare i propri prodotti editoriali. su dati ISTAT (Indagine multiscopo sulle famiglie itaMolte delle fotografie postate in questo sito liane, 2006) o Il Futuro del volontariato, Fondazione infatti sono riutilizzabili in maniera gratuita Zancan, 2009


Norme giuridiche e Giurisprudenza a cura di Alessio Affanni e Sergio Zanarella

n.146

STATO

Le attività ricadenti nella categoria A sono considerate a basso rischio di incendio. Non richiedono il parere di conformità del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco e seguono la procedura sopra descritta. Tra le attività che ricadono nella categoria A vi sono: • alberghi e residenze collettive fino a 50 posti letto; • scuole fino a 150 persone; • strutture sanitarie e case per anziani fino a 50 posti letto e ambulatori fino a 1000 mq; • edifici civili con altezza antincendio fino a 32 metri. Per le attività della categoria B, invece, occorre chiedere al Comando il parere di conformità, presentando il progetto. Il Comando entro 30 giorni può chiedere documentazione integrativa e entro 60 giorni si pronuncia sulla conformità. A lavori ultimati, come per la categoria A, l’istanza per l’inizio dell’attività viene presentata tramite SCIA e quindi l’attività può iniziare subito, salvo poi subire i controlli a campione. Sono comprese nella categoria B, tra le altre, le seguenti attività: • teatri, palestre, fino a 200 persone; • alberghi, residenze turistico - alberghiere, villaggi turistici, bed & breakfast, tra 50 e 100 posti letto; • scuole da 150 a 300 persone; • strutture sanitarie da 50 a 100 posti letto; • ambulatori e laboratori di analisi di superficie oltre 1000 mq; • edifici civili con altezza antincendio tra 32 e 54 metri. Nella categoria C sono ricomprese le attività più a rischio: come per la categoria B, occorre chiedere il parere di conformità presentando il progetto. Il Comando dei Vigili del Fuoco entro 30 giorni può chiedere documentazione integrativa ed entro 60 giorni si pronuncia sulla conformità. A lavori ultimati, basta presentare al S.U.A.P. o al Comando una SCIA commerciale per dare inizio immediato all’attività. Mentre per le attività in categoria A e B i controlli dei vigili del fuoco verranno fatti solo a campione, per le attività di categoria C verranno fatti sistematicamente. Solo in caso di esito positivo del controllo il Comando rilascerà il Certificato di prevenzione incendi. Sono comprese, tra le altre, le seguenti attività: • tutti gli edifici protetti ai sensi del Codice beni culturali e paesaggistici (D.Lgs. 42/2004); • teatri contenenti oltre le 100 persone; • alberghi e villaggi con oltre 100 posti letto; • scuole per oltre 300 persone; • strutture sanitarie con oltre 100 posti letto; • edifici civili oltre i 54 metri di altezza antincendio. Al progetto dei lavori va allegato l’atto notorio del titolare dell’attività, asseverazione di un tecnico abilitato di conformità alla regola tecnica approvata dal Comando provinciale e certificazione comprovante che gli elementi costruttivi, gli impianti ecc. sono stati realizzati secondo le norme antincendio. La richiesta di rinnovo periodico di conformità antincendio al Comando dei Vigili del Fuoco va fatta ogni 5 anni. Il titolare dell’attività deve dichiarare e attestare l’assenza di variazioni alle

NUOVO REGOLAMENTO ANTINCENDIO Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 221 del 22 settembre 2011

È stato pubblicato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 1° agosto 2011, nuovo regolamento per la disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi. Il nuovo regolamento, recependo quanto previsto dalla legge del 30 luglio 2010, n. 122 in materia di snellimento dell’attività amministrativa, individua le attività soggette alla disciplina della prevenzione incendi ed opera una sostanziale semplificazione relativamente agli adempimenti da parte dei soggetti interessati. Le procedure per la prevenzione degli incendi vengono semplificate sensibilmente. Il DPR, infatti, applica alle procedure antincendio la SCIA, segnalazione certificata d’inizio attività. Nella tabella allegata al D.P.R. vengono elencate 80 attività (tra cui residenze turistico alberghiere, case per ferie, ostelli per la gioventù ed edifici per uso civile) soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi. Ad ogni attività corrispondono tre categorie (A, B, C), a seconda che il rischio di incendio sia basso, medio o alto (vanno a sostituire le 97 attività elencate nel precedente D.M. 16.2.1982, abrogato insieme al D.P.R. n. 689 del 1959). Va premesso che, nella procedura antincendio, la SCIA sostituisce la DIA commerciale presentata dal titolare dell’attività, prima di iniziare l’attività stessa. Le attività più semplificate dal D.P.R. 151/2011 sono quelle incluse nella categoria “A”, a basso rischio di incendio. Ad esempio, per la realizzazione di una struttura da adibire a case per ferie contenente fino a 50 posti letto non è necessario chiedere il parere preventivo dei Vigili del fuoco sul progetto edilizio. Per costruire occorre, ovviamente, applicare la procedura prevista per i lavori edilizi, in questo caso un permesso di costruire, in altri casi una comunicazione inizio lavori, una SCIA edilizia. Una volta terminati i lavori di costruzione, basta presentare la SCIA con il progetto dell’opera allo Sportello unico delle attività produttive (S.U.A.P.) o al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, tramite una procedura on line, allegando la documentazione che attesta la conformità dell’attività realizzata alle prescrizioni vigenti in materia di sicurezza antincendio. Accertata la completezza dell’istanza, il Comando o lo Sportello unico (S.U.A.P.) rilascia immediatamente la ricevuta e l’attività si intende autorizzata. Tale ricevuta costituisce documento di prova di aver ottemperato alle procedure di sicurezza antincendio (non verrà rilasciato il Certificato di prevenzione incendi). Il Comando dei Vigili del fuoco entro 60 giorni potrà effettuare controlli, attraverso visite tecniche che possono essere eseguite a campione o in base a programmi settoriali per categoria di attività, e in caso di carenze potrà vietare la prosecuzione dell’attività. Su richiesta del titolare dell’attività, potrà essere rilasciata copia dl verbale della visita tecnica.

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Permangono inoltre gli obblighi relativi alla gestione dei trattamenti svolti dai soggetti, che prevedono le nomine di responsabili e incaricati, oltre all’individuazione delle specifiche competenze e responsabilità. Già il precedente Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011, approvato dal governo Monti, aveva introdotto alcune modifiche per la riduzione degli oneri in materia di privacy. Il Decreto Legge, infatti, all’art. 40, comma 2, ha stabilito che le disposizioni per la protezione dei dati personali previste dal Codice sulla privacy non sono più da applicare alle persone giuridiche, eliminate dal novero dei “soggetti interessati”: pertanto, d’ora in poi, le norme di tutela previste del Codice riguardano solo i dati delle persone fisiche.

condizioni di sicurezza antincendio. Per alcune attività la periodicità è elevata a 10 anni. Tra esse aziende e uffici, edifici con vincolo storico-artistico, edifici civili. Le nuove procedure sin qui descritte sono rivolte non solo alle nuove attività ma anche a quelle già esistenti per le quali è già stato rilasciato il Certificato di prevenzione incendi (C.P.I.) e così anche per quelle attività in attesa di autorizzazione. I titolari di attività già esistenti dovranno quindi verificare che la propria attività rientri nell’obbligo delle visite e dei controlli di prevenzione incendi, come risulta dall’elenco riportato nella Tabella I allegata al D.P.R., identificando la propria categoria di appartenenza (A, B o C) e, se richiesto, espletando tutti gli adempimenti previsti dalla nuova normativa.

REGIONI

SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI PRIVACY: ABOLITO L’OBBLIGO DEL D.P.S.

LIGURIA

Supplemento ordinario n. 27 alla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 33 del 9 febbraio 2012

LINEE DI INDIRIZZO IN MATERIA DI DISCIPLINA DEI RAPPORTI TRA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI LOCALI E SOGGETTI PRIVATI SENZA FINALITA DI LUCRO

Con il Decreto Legge n. 5 del 9 febbraio 2012 intitolato “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” si è provveduto all’abolizione totale o parziale di numerose leggi e all’introduzione di nuove misure per lo snellimento di procedure amministrative. All’art. 45 del Decreto, inoltre, nell’ottica di introdurre semplificazioni anche in materia di tutela dei dati personali, la principale innovazione è l’espressa abrogazione del punto 19 dell’Allegato B, nonché “la lettera g) del comma 1 e il comma 1bis dell’art. 34”: in sostanza l’abolizione dell’obbligo di adottare, entro il 31 marzo di ogni anno, il Documento Programmatico Sicurezza (D.P.S.). Le associazioni e gli altri enti del terzo settore, quindi, non avranno più l’obbligo di predisporre ed approvare tale documento interno. Ciò non determina tuttavia l’esonero, per il titolare o per il responsabile del trattamento di dati, dall’obbligo di osservare tutte le misure minime di sicurezza. Resta infatti ferma l’integrale applicazione dell’art. 34 del Decreto 196/2003 sulla privacy nell’ipotesi di trattamento dei dati con strumenti elettronici, con il conseguente onere per i titolari/responsabili del trattamento di predisporre: a) l’autenticazione informatica; b) l’adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione; c) l’utilizzazione di un sistema di autorizzazione; d) l’aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici – provvedendo anche alla formazione degli stessi al fine di garantire l’effettiva protezione dei dati, nonché l’efficacia delle misure minime adottate; e) la protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a determinati programmi informatici; f) l’adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi; h) l’adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari.

Bollettino Ufficiale Regione Liguria n. 32 del 10 agosto 2011

Con Deliberazione della Giunta Regionale del 15 luglio 2011, n. 846 sono state approvate le Linee di indirizzo in materia di disciplina dei rapporti tra pubbliche amministrazioni locali e soggetti privati senza finalità di profitto. Il presente atto di indirizzo regionale nasce dalla volontà dell’Assessorato regionale alle Politiche Sociali di intervenire, in attesa di una riforma organica della normativa regionale in materia, indicando alle Amministrazioni locali modelli sostanziali e procedurali innovativi cui ispirarsi nei rapporti con tutti i soggetti senza finalità di profitto indicati dalla legge n. 328/2000. L’atto di indirizzo è il frutto di un lavoro di consultazione e collaborazione con i soggetti del terzo settore ligure e con i rappresentanti degli Enti Locali. Per quanto concerne i servizi pubblici locali e servizi strumentali di supporto alle attività istituzionali degli enti locali, vengono trattate le problematiche legate alla rilevanza o non rilevanza economica dei servizi sociali, alla gestione diretta o “in house”, alle modalità del loro affidamento e alla discrezionalità delle scelte politico-amministrative locali (cfr. sentenza Consiglio di Stato, sez. I, 27 settembre 2010, n. 6529). Il presente atto di indirizzo intende, quindi, porre le premesse per una corretta distinzione delle problematiche sostanziali (modalità della gestione) da quelle procedurali (modalità di affidamento). Si suggerisce agli Enti Locali l’adozione di una sorta di “griglia valutativa” che aiuti a “leggere” di indici rivelatori della natura dei servizi sociali, cioè se siano dotati di rilevanza economica o meno. Ad esempio, in armonia con le pronunce del Consiglio di Stato, valutare la concreta struttura del servizio e le modalità di espletamento, i connotati economicoorganizzativi e la natura del soggetto attuante. Ad esempio, in una recente sentenza, il Consiglio di Stato ha ritenuto che un servizio di mense scolastiche dovesse essere ritenuto privo di rilevanza economica in quanto specificamente finalizzato a realizzare il diritto allo studio, erogato a condizioni

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denza funzionale al fabbisogno di assistenza ma anche l’adozione di sistemi di miglioramento e verifica continui della qualità delle prestazioni erogate. Con l’accreditamento dei servizi sarà possibile superare, almeno in parte e laddove possibile, il sistema delle gare ed arrivare ad un assetto, per quanto possibile e conveniente, “aperto” nell’offerta di servizi (es. servizi domiciliari per anziani). Viene rammentato che le relazioni tipiche della P.A. con le organizzazioni di volontariato e di quelle di promozione sociale non trovano la loro naturale collocazione fra quelle relative agli affidamenti (concessioni, accreditamenti, appalti), bensì in quelle afferenti all’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, cioè di tipo sinergicamente collaborativo (e non competitivo), riservando la competizione ad ipotesi (auspicabilmente marginali) in cui i soggetti in questione non riescano a raggiungere tra loro un accordo. Resta comunque esclusa, anche in tali eventuali procedimenti competitivi, la possibilità di applicare modalità e regole tipiche delle gare d’appalto (nell‘ipotesi in cui le organizzazioni in questione impropriamente partecipino – avendone i requisiti – a gare d’appalto o per concessioni di servizi, ciò produrrà probabili conseguenze sulla non permanenza dei requisiti necessari per l’iscrizione nei rispettivi registri regionali). I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti privati sono autorizzati dai Comuni. L’autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale e ai requisiti minimi nazionali. I Comuni provvedono all’accreditamento e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell’ambito della programmazione regionale e locale. Le Regioni, nell’ambito degli indirizzi definiti dal Piano nazionale, disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei Comuni ai soggetti privati, delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi, per un periodo massimo di 3 anni. Le Regioni definiscono altresì gli strumenti per la verifica dei risultati. Si ribadisce la necessità che gli Enti Locali valorizzino e sostengano la partecipazione delle formazioni sociali all’esercizio della funzione sociale pubblica: dato che nella pratica (soprattutto dei Comuni di minori dimensioni) difficilmente può avvenire in modo corretto e sistematico, la Regione offre il suo supporto offrendo modelli sostanziali e procedurali di riferimento, cui gli enti locali ed i loro interlocutori potranno ispirarsi. È opportuno quindi che la definizione della programmazione sociale locale, la co-progettazione e la sua attuazione vengano considerati un “procedimento amministrativo”, con obiettivi e tempi di realizzazione. Per porre le premesse alla partecipazione alle successive fasi di progettazione ed attuazione, l’avvio della programmazione sociale locale, sia a livello di Piano di Distretto Sociosanitario, sia a livello di Piano di Ambito Territoriale Sociale, dovrà essere caratterizzato dall’evidenza pubblica; dovrà cioè avvenire rendendo noto a tutti i soggetti non profit operanti nel territorio di riferimento l’avvio del processo precisando le regole che lo disciplineranno e richiedendo agli stessi l’espressione dell’interesse a tale partecipazione, coniugando la speditezza e l’efficienza del processo con la necessità di dare

economiche sociali in forma di legge, che i Comuni coinvolti avevano ritenuto di gestire in forma associata mediante affidamento ad una istituzione comunale. Per quanto riguarda l’affidamento di servizi, esso può avvenire attraverso due modalità: l’appalto di servizi e la concessione di servizi. Mentre l’appalto di servizi, che ha ovviamente natura giuridica di diritto privato, altro non è che l’acquisto di “componenti” di un servizio sociale da parte del soggetto che lo gestisce (ad esempio: un ente locale che gestisca in proprio un asilo nido appalta a terzi il servizio di preparazione dei pasti), la concessione del servizio rappresenta una modalità di gestione attraverso cui l’ente titolare della funzione affida ad un altro soggetto la titolarità di quel servizio, che comunque resta un servizio pubblico locale (la concessione non ha nulla a che fare con la privatizzazione del servizio). Con il rapporto concessorio l’Ente locale conserva una posizione di tipo autoritativo nei confronti del concessionario, ed il relativo rapporto (disciplinato nel “contratto” di concessione) è caratterizzato in senso pubblicistico e potrà essere relativamente “plasmabile” nel corso del tempo. Lo strumento della concessione è, del resto, in ambito ligure, previsto come “la regola” negli affidamenti alle cooperative sociali dalla L.R. n. 23/1993, mentre l’appalto dovrebbe costituire l’eccezione. L’affidamento in concessione non può che avvenire, come l’appalto, attraverso procedimenti di gara ad evidenza pubblica nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità, economicità ecc. indicati dal Codice dei Contratti (art. 30). Ciò, comunque, non significa affatto che la scelta concorrenziale debba avvenire solo o prevalentemente con riferimento al prezzo (ma valutando, ad esempio, in particolare per i servizi sociali, i legami con il territorio). La formula gestionale costituita dall’affidamento ad una società mista in cui il socio privato svolga anche un ruolo operativo (cioè di produzione in tutto o in parte del servizio) viene segnalata come particolarmente interessante in quanto comporta la possibilità di valorizzare il profilo di partnership in un rapporto di affidamento. Attraverso l‘accreditamento dei servizi sociali, invece, il soggetto privato accreditato diventa un soggetto erogatore di un pubblico servizio ed instaura con l’Amministrazione un rapporto di partnership finalizzato al miglioramento continuo della qualità del servizio. L’accreditamento non solo dei “presidi” (ovvero di quelle che nella Delib.G.R. n. 283/2002 venivano definite “strutture”), ma anche dei “servizi” sociali (a prescindere dalla circostanza che siano allocati in strutture o comunque le utilizzino) è ora espressamente previsto dalla L.R. n. 12/2006 (legge sui servizi sociali e sociosanitari). Ai sensi delle norme citate compete ai Comuni disporre gli accreditamenti di servizi e strutture sociali, compete alla Regione verificarne preventivamente l’idoneità tecnicoorganizzativa. La Giunta Regionale suggerisce che, ove manchino particolari disposizioni che stabiliscano standard di adeguatezza all’accreditamento, in attesa dell’emanazione di un’organica disciplina della materia, la Commissione tecnica che valuta i requisiti per l’accreditamento consideri il possesso dell’autorizzazione al funzionamento (ove richiesta) e la rispon-

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zione, il Programma pluriennale sull’immigrazione, approvato dalla Giunta provinciale, predisposto dall’assessorato competente dopo aver acquisito il parere della Consulta provinciale per l’immigrazione. Presso la Ripartizione provinciale Lavoro è istituito, al servizio di tutte le cittadine e di tutti i cittadini, il Centro di tutela contro le discriminazioni (fondate su origine etnica, genere, orientamento sessuale, disabilità, religione, ecc.). Il Centro, tra le varie funzioni elencate nella legge, ha quello di collaborare con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), con le altre istituzioni nazionali ed internazionali nonché con gli enti privati e l’associazionismo che svolgono attività di contrasto alle discriminazioni. Ai fini dell’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri è istituita la Consulta provinciale per l’immigrazione. La Consulta è nominata dalla Giunta provinciale e rimane in carica per la durata della legislatura. La Consulta è composta, tra gli altri, anche da un rappresentante le associazioni del volontariato e da otto persone rappresentanti le cittadine e i cittadini stranieri. Le misure specifiche previste dalla legge sono: - l’integrazione linguistica e culturale, per la quale si contemplano interventi di educazione permanente e aggiornamento, atti a promuovere una cultura dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, in particolare sul posto di lavoro, oltre ad offerte di attività extrascolastiche del Servizio giovani; - attività di informazione, sensibilizzazione e consulenza in materia di immigrazione; - la mediazione interculturale, per la quale viene istituito l’elenco provinciale delle mediatrici e dei mediatori interculturali in possesso delle necessarie competenze professionali - l’attuazione dei servizi di assistenza sociale, garantendo i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il territorio nazionale; - la tutela della salute, assicurando anche per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario provinciale le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio nonché i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva; vengono inoltre assicurate le attività finalizzate alla prevenzione e cura degli stati di disagio psicologico e psichico nonché quelle finalizzate alla prevenzione e cura degli stati di tossicodipendenza, ivi compresa la dipendenza da alcool. La Provincia potrà sostenere la realizzazione di soluzioni abitative temporanee di accoglienza, anche d’emergenza, nonché iniziative, interventi e progetti di ospitalità e orientamento generale sul territorio a favore delle cittadine e dei cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio provinciale e in situazioni di disagio. La Provincia potrà inoltre organizzare corsi di qualificazione, riqualificazione e aggiornamento professionale specificamente rivolti alle cittadine e ai cittadini stranieri, ai fini dell’inserimento lavorativo. E’ riconosciuto il ruolo fondamentale della scuola dell’infanzia e della scuola dell’obbligo ed è garantito il diritto a completare il proprio percorso scolastico o formativo. Previste anche diversi interventi per l’integrazione scolastica, avvalendosi anche dell’attività extrascolastica del Servizio giovani, così come dei centri linguistici, anche tramite l’utilizzo dei mediatori interculturali e le organizzazioni di educazione permanente.

voce anche alle formazioni sociali meno strutturate, anche sperimentando nuovi modelli di rappresentanza. A seguire verrà sottoscritto il “patto partecipativo” che dà concreto avvio alle attività di co-programmazione destinate a sfociare nell’approvazione del piano di riferimento; in tale fase di co-programmazione, sarà opportuno che le regole prevedano forme di rappresentanza dei soggetti di primo livello (ad esempio attraverso loro associazioni, consorzi, reti locali ecc. inclusi i rappresentanti del Forum del Terzo Settore locale). A conclusione del processo di co-programmazione verrà richiesta ai soggetti che vi abbiano – direttamente o per rappresentanza – partecipato di manifestare il proprio interesse a partecipare, questa volta direttamente, anche alla successiva fase di co-progettazione. A conclusione della stessa, sempre in forma collegiale e trasparente, verrà valutata l’opportunità e la disponibilità a realizzare i progetti attraverso autonome iniziative, singole o associate, dei soggetti che, avendo partecipato alla co-progettazione, si dichiarino interessati in tal senso. Tali autonome iniziative godranno, ove necessario, del sostegno pubblico, attraverso la messa a disposizione di risorse (organizzative, strumentali, finanziarie, ecc.) nella misura strettamente necessaria a garantire la sostenibilità e l’adeguatezza dell’autonomo impegno dei privati, con obbligo di rendiconto. Viene precisato che l’integrazione di una pluralità di soggetti non profit anche di diversa natura (ad esempio: cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, ecc.) in medesimi progetti condivisi dovrebbe costituire la modalità naturale di co-progettazione e co-realizzazione delle “autonome iniziative” di cui si parla, e che proprio attraverso forme associative “di scopo” (c.d. “ATS”) fra tali soggetti sarà anche possibile promuovere efficacemente il raggiungimento dell’accordo procedimentale in mancanza del quale, sarà inevitabile il ricorso a procedure competitive.

TRENTINO ALTO ADIGE PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO INTEGRAZIONE DELLE CITTADINE E DEI CITTADINI STRANIERI Bollettino Ufficiale Trentino Alto Adige n. 47/I-II del 22 novembre 2011 – Gazzetta Ufficiale Serie Regioni n. 47 del 26 novembre 2011

Con la Legge Provinciale n. 12 del 28 ottobre 2011 la Provincia autonoma di Bolzano favorisce il reciproco riconoscimento e la valorizzazione delle identità culturali, religiose e linguistiche, ispirandosi ai principi di uguaglianza e libertà religiosa, ai sensi degli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione italiana. Allo scopo di garantire il coordinamento delle misure previste dalla presente legge, la Provincia si avvale del Servizio di coordinamento immigrazione, presso la Ripartizione provinciale Lavoro. Per un migliore coordinamento tra le azioni su scala provinciale e i fabbisogni e le iniziative nei singoli territori di competenza degli enti locali, ogni comunità comprensoriale e ogni Comune individuano all’interno della rispettiva Giunta un componente incaricato delle questioni inerenti all’integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri. Per dare attuazione ai principi e agli obiettivi di cui alla presente legge, la Provincia adotta, come strumento di programma-

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TERZO SETTORE

ONLUS: SOGGETTI SVANTAGGIATI di Alessio Affanni

A fine gennaio 2012 l’Agenzia per il Terzo Settore* ha pubblicato sul sito www.agenziaperleonlus.it due documenti: uno riguardante le linee interpretative della nozione di soggetto svantaggiato e l’altro quello della nozione di tutela dei diritti civili. I due documenti nascono dalla necessità di individuare i casi per la corretta applicazione della normativa in materia di Onlus. ’art. 10 del Decreto Legislativo 460/1997 stabilisce quali enti possono L essere organizzazioni non lucrative di utilità

* Soppressa con DecretoLegge n. 16 del 2 marzo 2012 (art. 8, comma 23) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 52 del 2 marzo 2012

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l’evolversi della società e l’emergere di nuove esigenze: ad esempio, la carenza sempre crescente di posti di lavoro spinge ad ampliare le categorie di soggetti svantaggiati, intercettando nuove tipologie di individui difficilmente collocabili nel mercato del lavoro (in questa direzione vanno anche i regolamenti comunitari in materia, tra i quali quello recepito dal Decreto Legislativo 155/2006, sull’impresa sociale). Anche con riferimento agli stranieri o ai migranti vanno operate delle distinzioni: diversa è la condizione dell’individuo che viene in Italia per ricoprire un incarico da quella del migrante che giunga nel Paese nell’impossibilità di provvedere alle proprie necessità primarie. Con lo stesso intento interpretativo, nel secondo documento elaborato, l’Agenzia per il terzo settore cerca di definire la nozione di “tutela dei diritti civili” fornendo un chiarimento in merito alle attività che possano farsi rientrare in quest’ambito. Anche in tal caso le linee interpretative approfondiscono il quadro della Costituzione, distinguendo i diritti politici da quelli sociali, sia nel diritto internazionale che in quello della giurisprudenza costituzionale, e fornendo infine alcune indicazioni applicative.

sociale (Onlus), specificando i settori di attività, che devono essere rivolti a soggetti svantaggiati per ragioni di ordine fisico, psichico, sociale, economico o familiare (con un’eccezione per le attività considerate a solidarietà immanente, come la tutela dell’ambiente o del patrimonio storico artistico). Gli enti con queste caratteristiche ottengono l’iscrizione all’Anagrafe delle Onlus (la richiesta di iscrizione va presentata alle Direzioni Regionali delle Entrate) e accedono ai benefici previsti dal Decreto 460; altri enti che ottengono la qualifica di Onlus di diritto, senza l’iscrizione all’Anagrafe, sono le organizzazioni non governative (ONG) riconosciute dal Ministero degli esteri, le orgaENTI NON PROFIT: nizzazioni di volontariato DONAZIONI iscritte nell’apposito registro regionale e le cooperative soLa definizione delle linee da seguire per l’iscrizione e ciali di cui alla L. 381/91. valutazione delle liberalità (donazioni) nel bilancio Partendo dal primo documend’esercizio è lo scopo del secondo principio contabito, l’Agenzia evidenzia come le per gli enti non profit, redatto dal tavolo tecnico tra la categoria giuridica di sogAgenzia per il Terzo settore, Consiglio nazionale dei getto svantaggiato non venga commercialisti (CNDCEC) e Organismo italiano di definita dalla normativa in contabilità (OIC). Il documento, pubblicato il 13 febesame e pertanto occorra ricabraio 2012 nei siti dei tre enti, è pubblicato anche su . varla in via interpretativa. Nel Alla fine del documento è presente un’utile appendidocumento, a titolo esemplifice con le definizioni utilizzate nel testo ed esempi di cativo, vengono citati alcuni modalità di rendicontazione. casi di svantaggio che tengono in considerazione


COLPO D’ALA

Questa pagina vuole essere un “colpo d’ala”, cioè una proposta per un momento di riflessione.

UOMO NON TI RIPOSARE

NON ARRESTARTI

Anche se stanco e spossato, o uomo, non ti riposare. Non abbandonare la tua lotta solitaria, continua, non ti riposare. Batterai sentieri incerti e aggrovigliati, non salverai, forse, che qualche povera vita, ma non perdere la fede, o uomo, non ti riposare. La tua stessa vita ti consumerà e ti sarà ferita, crescenti ostacoli sorgeranno sul tuo cammino: o uomo, caricati di questi pesi, non ti riposare. Salta al di là delle pene e degli affanni Pur se fossero alti come montagne. E se anche non intravedi che campi aridi e sterili, ara, o uomo, questi campi, non ti riposare. Il mondo sarà avvolto dalle tenebre: sarai tu a gettarvi luce, dispenserai l’oscurità che lo circonda. Anche quando la vita ti abbandoni uomo, non ti riposare. Non darti mai riposo, dona riposo agli altri.

Mentre il mondo del futuro è aperto all’immaginazione, e non ti appartiene più, il mondo del passato è quello in cui attraverso la rimembranza ti rifugi in te stesso, ritorni in te stesso, ricostruisci la tua identità, che si è venuta formando e rivelando nella ininterrotta serie dei tuoi atti di vita, concatenati gli uni con gli altri, ti giudichi, ti assolvi, ti condanni, puoi anche tentare, quando il corso della vita sta per essere consumato, di fare il bilancio finale. Bisogna affrettarsi. Il vecchio vive di ricordi e per i ricordi, ma la sua memoria si affievolisce di giorno in giorno. Il tempo della memoria procede all’inverso di quello reale: tanto più vivi i ricordi che affiorano nella reminiscenza quanto più lontani nel tempo gli eventi. Ma sai anche che ciò che è rimasto, o sei riuscito a scavare in quel pozzo senza fondo, non è che un’infinitesima parte della storia della tua vita. Non arrestarti. Non tralasciare di continuare a scavare.

(Vecchio inno gujarati che Gandhi si fece recitare all’incontro di preghiera dell’ultimo giorno della sua vita)

Ogni volto, ogni gesto, ogni parola, ogni lontano canto, ritrovati, che sembravano perduti per sempre, ti aiutano a sopravvivere. Norberto Bobbio (“De Senectute”- Einaudi, Torino 1996)

Bollettino ufficiale dell’UNEBA - Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale Direttore Responsabile: MAURIZIO GIORDANO Redazione ed Amministrazione: 00185 Roma - Via Gioberti, 60 - Tel. 065943091 - Fax 0659602303 e - mail: info@uneba.it - sito internet: www.uneba.org Autorizzazione del Tribunale di Roma N. 88 del 21/2/1991 Progetto e realizzazione grafica: www.fabiodesimone.it Stampa: Consorzio AGE Arti Grafiche Europa - Roma Il giornale è inviato gratuitamente agli associati dell’UNEBA Finito di stampare nel marzo 2012


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