Bollettino ufficiale dell’UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale
IL CENTRO POLIFUNZIONALE ACQUARONE DI CHIAVARI: UN PROGETTO PER DARE ENERGIA ALL’ASSISTENZA
anno XXXVIII - n. 3/4 - 2012 Poste Italiane SpA spediz. in abb. post. 70% - C/RM/DBC
IL CENTRO BENEDETTO ACQUARONE DI CHIAVARI (GE)
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e attività presso il Centro Acquarone (associato Uneba) hanno avuto inizio nel 1999, al termine di onerosi lavori di ristrutturazione resi possibili grazie a contributi pubblici e privati. I vari servizi si sono sviluppati gradualmente sino a raggiungere attualmente un assetto molto articolato. La Ri abi l i tazi one rivolta a disabili fisici, psichici e sensoriali, è fruibile in forma residenziale, semiresidenziale, ambulatoriale e domiciliare ed è realizzata in regime di accreditamento con il Sistema Sanitario Nazionale. Per rispondere alle esigenze della popolazione anziana è attivo un centro di urno, anch’esso parzialmente convenzionato con la ASL4 Chiavarese e sono anche disponibili alcuni posti letto in resi denza protetta. L’area residenziale è autorizzata allo svolgimento delle attività di presidio di riabilitazione funzionale di soggetti portatori di disabilità fisiche, psichiche e sensoriali a ciclo residenziale. L’ammissione avviene su prescrizione dei Servizi Sanitari delle ASL con progetto riabilitativo concordato con la direzione medica della Struttura. Presso il Centro si svolgono anche attività per i giovani: la Comunità Educativa Assistenziale “La Casetta” collocata nel contesto del Centro, infatti, ospita ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 11 anni e i 18 anni, in condizione di disagio socio-familiare. La struttura opera in collaborazione con i Servizi Territoriali, a cui i minori sono affidati; presente anche un Centro di Aggregazione Giovanile che offre attività per il tempo libero e di laboratorio di idee. Presso il Centro è stato realizzato l’impianto fotovoltaico (inaugurato l’8/10/ 2011; foto di copertina) che permetterà di risparmiare d’ora in poi, ogni anno, tra 12 e 14 mila euro di spesa per l’energia elettrica. Direttore del Centro Acquarone è Gi useppe Gri goni , recentemente eletto anche nuovo Presidente dell’Uneba Liguria.
In copertina: Centro Acquarone, Chiav ari. Inaugurazione dell’impianto fotov oltaico.
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SOMMARIO 3-
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO (DI SCUOLA)
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ROM E SINTI VERSO LA STRATEGIA NAZIONALE
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COSI’ DIVERSI, COSI’ UGUALI
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MINORI STRANIERI: DIRITTO DI CITTADINANZA
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ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE
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CARITA’ E DIRITTI
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L’AGENZIA DEL TERZO SETTORE NELLA DISCIPLINA DEGLI ENTI NON PROFIT
17 -
ICI ED ENTI ECCLESIASTICI: ESIGENZA DI CHIAREZZA
19 -
NORME GIURIDICHE E GIURISPRUDENZA
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QUOTE ADESIONE UNEBA 2012
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COLPO D’ALA: L’ALTRO VOLTO DELLA POVERTA
NOMADISMO
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO (DI SCUOLA) L’Associazione “21 Luglio” ha presentato la ricerca “Linea 40 - Lo scuolabus per soli bambini rom”: è il risultato di un monitoraggio durato un anno sul “percorso scolastico” di un gruppo di minori rom di un villaggio alla periferia di Roma.
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RACCOLTA DI FIRME PER DUE LEGGI DI INIZIATIVA POPOLARE “L’Italia sono anch’io” è una Campagna nazionale promossa da 19 organizzazioni della società civile tra le quali Acli, Arci, Caritas Italiana, Cnca, Emmaus Italia, Federazione Chiese Evangeliche, Fondazione Migrantes, Libera. www.acli.it
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resentato venerdì 14 ottobre 2011 presso l’Auditorium UNICEF a Roma, “Li nea 40 - Lo scuol abus per sol i bambi ni rom”, realizzato da Adriana Arrighi, Carlo Stasolla e Andrea Anzaldi, è un report frutto di una ricerca nella quale sono stati analizzati i percorsi di scolarizzazione avviati dal Comune di Roma all’interno dei campi nomadi della capitale. L’obiettivo era capire quanti bambini rom frequentano le scuole dell’obbligo a Roma (e in che modo) e tentare di rilevare quanti di loro riescono a concludere gli studi, poiché non esistevano dati precisi in merito. Nel comunicato di presentazione dell’Associazione 21 Luglio viene spiegato che i primi progetti di scolarizzazione del Comune di Roma sono iniziati nel 1991 con un bando comunale vinto da Opera Nomadi e Arci. Negli anni successivi i bandi sono stati riproposti con cadenza triennale e vengono ammesse altre associazioni e cooperative. Nell’anno scolastico 2010 - 2011 il Progetto di scolarizzazione dei bambini e adolescenti rom del Comune di Roma ha riguardato 16 insediamenti. I minori rom coinvolti sono stati 1.788, di cui 1.205 (67,39%) residenti nei “villaggi attrezzati”, 542 (30,31%) residenti negli insediamenti non attrezzati e 41 (2,29%) residenti nel centro di via Amarilli. Solo per i minori residenti nei campi attrezzati la spesa è stata di 2.084.360,00 euro (biennio 2009-2011). Il trasporto pubblico è stato affidato all’ATAC S.p.A., con 33 linee dedicate al servizio.
Lo staff dell’Associazione 21 Luglio, in particolare, ha monitorato (realizzando anche un video) il percorso educativo (anno 20102011) di 55 bambini rom residenti nel “villaggio attrezzato” di via di Salone, situato all’estrema periferia orientale della capitale ed inaugurato nel 2006, dove risiedono molte delle persone presenti in un vecchio campo, il Casilino 900, sgomberato nel febbraio 2010. I bambini, per i loro spostamenti, hanno usufruito del servizio della linea 40, che nel suo tragitto li accompagna in diverse scuole, le cui distanze variano dai 13 ai 16 km. Quanto rilevato dall’Associazione fa emergere che per questi bambini vi sono ritardi nel raggiungimento delle scuole (con un’ora, a volte due, di ritardo), uscite anticipate (la maggior parte necessarie perché la permanenza oltre l’orario consentito potrebbe dar luogo ad abbandono di minore) e un diverso livello di apprendimento poiché i bambini rom presentano lacune didattiche che spingono i docenti ad impegnarli in attività di classe parallele. La somma dei ritardi giornalieri produce a fine anno un’assenza per ogni minore di circa un mese. Solo nel mese di gennaio 2011 l’Associazione 21 Luglio ha monitorato che dei 55 minori che utilizzano la linea 40, solo 11 hanno avuto la frequenza superiore al 75% così come sancito dalla legge, e nessuno di loro ha frequentato i 16 giorni previsti dal calendario scolastico per quel mese. Permane una si tuazi one di emargi nazi one soci al e, in quanto i bambini rom all’interno della classe risultano spesso emarginati e non partecipano ai normali scambi relazionali che avvengono durante la vita scolastica; ad accentuare questa situazione, vi sono classi composte solo da alunni rom: in alcuni plessi scolastici, infatti, durante l’orario scolastico vengono organizzate attività di soste-
NOMADISMO
gno frequentate esclusivamente da alunni rom con diversa età anagrafica. In queste condizioni appare difficile ipotizzare un completamento del ciclo degli studi e la possibilità di conseguire un diploma; ovviamente ancora più scarse sono le possibilità di ottenere una laurea. In un documento del 7 aprile 2011, la Commi ssi one Europea ha stimato che solo il 43% dei bambini rom completa la scuola primaria, rispetto a una media europea del 97,5%. Solo il 10% quella secondaria. Secondo la Commissione “gl i stati membri dovrebbero garanti re che tutti i bambi ni rom, sedentari o no, abbi ano accesso a un’i struzi one di qual i tà e non si ano soggetti a di scri mi nazi oni o segregazi oni ”. Molto interessante il racconto - inserito nella ricerca - dell’esperienza di un insegnante di una scuola romana con Fatima, una ragazza rom. L’approccio consapevole e competente dei docenti della scuola frequentata dalla ragazza, rappresenta una vera e propria buona pratica che ha permesso a Fatima di intraprendere un percorso scolastico in realtà mai iniziato. Il superamento delle condizioni del campo, il rapporto diretto e non mediato realizzato fra corpo docente e la madre di Fatima, l’attuazione di un percorso didattico non differenziato sembrano essere gli strumenti più adeguati che hanno consentito a Fatima di affermare il suo diritto all’istruzione. La ricerca si conclude con alcune raccomandazioni. Le riportiamo integralmente in quanto possono fornire indicazioni utili e buone prassi applicabili anche in altri contesti con situazioni analoghe: • Gli insegnanti dovrebbero acquisire una completa conoscenza di tutte le attività e
gli aspetti previsti dal Capitolato speciale di appalto per l’affidamento del progetto di scolarizzazione dei bambini e adolescenti rom (in questo caso del Comune di Roma) e interagire in modo più efficace con il personale dell’ente affidatario nello svolgimento delle azioni progettuali. • Le autorità locali dovrebbero, nell’immediato, porre in atto azioni adeguate per eliminare i ritardi nell’entrata a scuola e le uscite anticipate degli alunni rom coinvolti nel trasporto scolastico della linea 40. A tale fine dovrebbero: • consentire che le scuole presenti nel territorio dove è situato il “villaggio attrezzato” possano accogliere un numero maggiore di alunni che abitano nell’insediamento di via di Salone, anche in deroga alla circolare n. 2 dell’8 gennaio 2010 del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che stabilisce un limite alla presenza in ciascuna classe di alunni con cittadinanza non italiana; • realizzare una linea di trasporto pubblico che colleghi il “villaggio attrezzato” di via di Salone alle aree circostanti e che quindi permetta ai genitori dei minori rom di poter, in modo autonomo, accompagnare i propri figli presso i rispettivi istituti scolastici; • distribuire alle famiglie rom e agli insegnanti delle scuole frequentate dagli alunni rom il testo contente il progetto dell’ente cui è stato affidato il servizio di scolarizzazione dei minori rom del Comune, al fine di migliorare la conoscenza delle azioni previste e rendere realmente efficaci le relazioni tra genitori, insegnanti e operatori
“NON VERGOGNARTI MAI”
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Non vergognarti mai di essere un Rom nero. Che importa se sei un Rom nero. Dalla terra nera nasce il grano per il pane bianco. L’uomo nero e la terra nera stanno bene insieme. Marta Bandyova da: “Zingari ieri e oggi” Centro Studi Zingari, Roma
NOMADISMO 5
ROM E SINTI VERSO LA STRATEGIA NAZIONALE
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l 6 dicembre 2011 si è svolto a Roma, nell’aula difesa del Senato della Repubblica, un Workshop sul l a S trategi a Nazi onal e di Incl usi one S oci al e del l a popol azi one Rom e S i nti . L‘evento, organizzato dalla Commissione diritti umani del Senato e da Open Society Foundation, è stato un importante tappa storica per l’intera popolazione Rom e Sinti presente in Italia. Per la prima volta rappresentanti del Governo Italiano, del Consiglio d’Europa, della Commissione Europea, delle Fondazioni e delegati della Popolazione Rom e Sinti si sono incontrati in maniera congiunta nel territorio dello Stato Italiano ed hanno affrontato una ampia riflessione e ricerca di buone pratiche di inclusione sociale. Si segnala inoltre che è stato emanato un Avviso volto a raccogliere le manifestazioni di interesse a partecipare alle diverse fasi di definizione delle strategie di inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti ai vari livelli territoriali ed ambiti tematici, da parte di associazioni e altri organismi, prevalentemente o esclusivamente composti da Rom, Sinti e Camminanti o comunque che abbiano una documentata esperienza nell’ambito delle attività volte all’inclusione sociale e lavorativa o nella promozione e tutela dei diritti dei Rom, Sinti e Camminanti. Per formalizzare la propria manifestazione di interesse, i soggetti in possesso dei requisiti indicati nell’Avviso hanno potuto presentare la propria documentazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica (UNAR) entro il 31 gennaio 2012.
dell’ente affidatario; • coinvolgere tutte le famiglie rom che abitano l’insediamento di via di Salone nell’ideazione e realizzazione del progetto di supporto scolastico; • realizzare un supporto scolastico calibrato sui bisogni degli alunni rom, ma non organizzato su base etnica, rimuovendo ogni elemento di separazione dal resto della classe che possa diventare causa di discriminazione; per quanto riguarda i corsi di italiano L2 e sostegno scolastico, laddove questi coinvolgano solo i bambini rom, predisporre una partecipazione interculturale al fine di eliminare il pericolo della realizzazione di un percorso scolastico differenziato su base etnica; • adottare i provvedimenti necessari per fornire agli insegnanti una completa cono-
scenza della complessa realtà socio-culturale che riguarda le comunità di rom e sinti; • interrompere interventi che impediscano l’accesso all’istruzione o la regolare frequenza. Tutto questo tende a sottolineare che, in linea generale, i provvedimenti mirati alle sole comunità rom e sinti, anche se presentati come azioni di discriminazione positiva, sono spesso concepite senza comprendere a fondo le condizioni socio-culturali dei destinatari e con risorse finanziarie non sufficienti, che ricadono sui mezzi e sull’organizzazione degli interventi. Il rischio è quello di un risultato opposto a quello per cui sono create: un tentativo di integrazione che, in concreto, si traduce in un aumento della condizione di emarginazione.
TERZO SETTORE
COSI’ DIVERSI COSI’ UGUALI di Al es s i o Affanni
1. ASSOCIAZIONI LEGITTIMATE AD AGIRE IN GIUDIZIO PER VITTIME DI DISCRIMINAZIONI RAZZIALI
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’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 256 del 3 novembre 2011 il Decreto del 12 ottobre 2011, con cui il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per le pari opportunitภin attuazione della Direttiva 2000/43/CE (sulla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica)¸ hanno approvato l’elenco delle associazioni e degli enti legittimati ad agire in giudizio in nome¸ per conto o a sostegno di soggetti passivi di discriminazione per motivi razziali o etnici (ai sensi dell’art. 5¸ comma 1 del Decreto Legislativo n. 215 del 9 luglio 2003). Le as s o ci azi o ni del l ’el enco s o no l eg i tti mate ad ag i re i n fo rza di del eg a ri l as ci ata¸ a pena di nul l i tภper atto pubbl i co o s cri ttura pri v ata autenti cata, e s o no i ndi v i duate s ul l a bas e del l e l o ro fi nal i tà pro g rammati che e del l a co nti nui tà del l a l o ro azi o ne. Nell’elenco confluiscono, previa manifestazione di volontà, le associazioni e gli enti iscritti nel Registro istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in cui sono iscritte le associazioni, gli enti e gli altri organismi privati che svolgono a favore degli stranieri immigrati le attività previste dal Testo unico sull’immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998¸ n. 286). Tale registro è diviso in due sezioni: a) nella prima sezione sono iscritti associazioni, enti e altri organismi privati che svolgono attività per favorire l’integrazione sociale degli stranieri, ai sensi dell’articolo 42 del Testo unico; b) nella seconda sezione sono iscritti associa-
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zioni, enti ed altri organismi privati abilitati alla realizzazione dei programmi di assistenza e protezione sociale degli stranieri di cui all’articolo 18 del Testo unico. Per poter essere iscritti nel registro degli enti legittimati ad agire in giudizio a favore di vittime di discriminazioni razziali l’art. 6 del Decreto Legislativo 9 luglio 2003¸ n. 215 richiede i seguenti requisiti: a) avvenuta costituzione¸ per atto pubblico o per scrittura privata autenticata¸ da almeno un anno e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo o preminente il contrasto ai fenomeni di discriminazione e la promozione della parità di trattamento¸ senza fine di lucro; b) tenuta di un elenco degli iscritti¸ aggiornato annualmente con l’indicazione delle quote versate direttamente all’associazione per gli scopi statutari; c) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili¸ conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute; d) svolgimento di un’attività continuativa nell’anno precedente; e) non avere¸ tra i propri rappresentanti legali¸ persone che abbiano subìto condanna¸ passata in giudicato¸ in relazione all’attività dell’associazione medesima¸ né persone che rivestano la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite ed operanti negli stessi settori in cui opera l’associazione.
TERZO SETTORE 7
2. DIPENDENTI PUBBLICI PROSSIMI ALLA PENSIONE: PROPOSTA DI VOLONTARIATO
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l Decreto Legge del 25 giugno 2008 n. 112 recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (provvedimento poi convertito nella legge n. 133 del 2008) ha previsto, all’art. 72, che i dipendenti pubblici a cui mancano cinque anni alla pensione, possono chiedere di essere esonerati dal servizio per dedicarsi al volontariato. Lo Stato continuerà a versare in loro favore i contributi figurativi e il 70% dello stipendio. La misura riguarda il personale in servizio presso le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli Enti pubblici non economici, le Università, le Istituzioni ed Enti di ricerca. Le richieste di esonero dal servizio sono accolte a discrezione dell’amministrazione e dando priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale per le quali è prevista una riduzione di organico. Il dipendente può svolgere in modo continuativ o ed esclusiv o attiv ità di v olontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrativ e di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non gov ernativ e che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in v ia di sv iluppo, e altri soggetti da indiv iduare con Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi entro 90 giorni dall’entrata in v igore della presente legge. In ogni caso, all’atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e prev idenza che sarebbe spettato se fosse rimasto in serv izio. Con successivo Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 5 novembre 2008 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 296 del 19 dicembre 2008) sono stati individuati gli ulteriori organismi presso i quali i dipendenti pubblici prossimi alla pensione possono richiedere di prestare attività di volontariato: si potrà svolgere attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, oltre che nelle Onlus (tra cui le organizzazioni di volontariato iscritte nel registro regionale) anche in fondazioni e associazioni riconosciute, aventi per oggetto statutario la tutela, la promozione, la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico, nonché in fondazioni e associazioni riconosciute, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la pro-
mozione di attività di ricerca scientifica. Inizialmente il Decreto del 2008 aveva stabilito l’applicabilità di questa misura per gli anni dal 2008 al 2010, ma l’articolo 2 comma 53 del Decreto mille proroghe del 2011 ha esteso di 3 anni questa facoltà, per l’intera durata del quadriennio 2011-2014: qui ndi è anco ra frui bi l e. Il provvedimento riguarda solo dipendenti di enti pubblici previsti nell’elenco, tra i quali sono menzionati in generale anche gli “Enti pubblici non economici”, categoria residuale nella quale potrebbero rientrare tutti gli enti non espressamente menzionati. Non è tuttavia sempre di facile interpretazione se un ente sia ascrivibile a tale categoria. Un primo criterio, fondamentale e valido come punto di partenza, è la consultazione dell’elenco di “enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali” (anche se non può essere considerato esaustivo) contenuto nella tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70. Un cas o p art i co l arment e i nt eres s ant e: come considerare i dipendenti di ASL? Possono fruire di questa possibilità? Non sembra vi sia una soluzione interpretativa univoca: per parte della giurisprudenza civile le ASL e Aziende ospedaliere sono enti pubbl i ci no n eco no mi ci (sentenza Cass. Sez. Unite del 7/11/2008, n. 24713). Di avviso contrario il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, II sezione (Sentenza 17 settembre 2003 n. 5101) per il quale l’Azienda sanitaria è “dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”: tale autonomia, stante il disposto dell’art. 3, comma 1 bis del D.Lgs. 502/92 (comma introdotto dal D.Lgs. 19.6.99 n. 229), ha poi assunto anche carattere imprenditoriale (“in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in Aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”). Questa disposizione ha indotto, pertanto, la giurisprudenza più recente a ritenere che l e Azi ende s ani tari e s i ano da co ns i derare enti pubbl i ci eco no mi ci (così anche TAR Catanzaro II Sez. 17 gennaio 2001 n. 37 – confermata in appello dalla V Sez. del Consiglio di Stato con decisione 9 maggio 2001 n. 2609 – e 5 aprile 2002 n. 809). Le ASL sembrerebbero pertanto escluse dagli enti indicati nel decreto che stiamo esaminando, con il risultato che i dipendenti delle ASL prossimi alla pensione non possono avvalersi dell’opportunità di svolgere l’attività di volontariato sin qui descritta.
DIRITTI UMANI 8
MINORI STRANIERI: DIRITTO DI CITTADINANZA di Gi ovanni S antone
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l 22 novembre 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollecitato il Parlamento ad affrontare la questione dei bambini stranieri nati in Italia, superando il principio dello ius sanguinis con quello dello ius soli. Napolitano afferma, tra l’altro, che negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori immigrati è un’ autentica follia, un’ assurdità. Si spera ci sia un seguito all’accorata sollecitazione del Presidente Napolitano, che ha avuto nei partiti molti consensi e la sola bocciatura della Lega. Altrettanto interessante la contestuale presa di posizione del presidente della Commissione Pastorale sociale e del lavoro della C.E.I., Vescovo Giancarlo Bregantini, il quale, nel presentare la lettera pastorale sul tema La vita, fioritura dell’accoglienza (nel documento si indicano le piste educative che dovrebbero ispirare genitori ed educatori) dichiara piena consonanza con quanto affermato del Presidente Napolitano e linea comune nell’accogliere per integrare nell’anno in cui ricorre il 150° dell’unità nazionale. Cerchiamo di capire. Parlare di cittadinanza vuol dire riconoscere un diritto agli stranieri che vivono in un altro paese per motivi di immigrazione. Questo riguarda anche milioni di italiani emigrati (spesso con famiglie). Tale ultimo fenomeno – non va dimenticato – è stato di notevoli dimensioni fino a mezzo secolo fa. In sintesi, lo ius sanguinis è collegato al principio di nazionalità, in quanto strumento di conservazione dell’identità nazionale per l’emigrato costretto a lasciare il proprio Paese per una situazione economica diffici-
le. Lo ius soli, invece, è adottato da paesi destinatari di flussi migratori, che hanno bisogno di vedere aumentare la propria popolazione. Così posto, non dovrebbe essere difficile prendere atto dei cambiamenti avvenuti in Italia in questi ultimi anni con la diminuzione delle nascite. La situazione modificata dovrebbe far riflettere sull’opportunità di concedere tale diritto, semplificando procedure e tempi. Se torniamo a parlare dei minori, due ele-
menti occorre tener presenti: l’uno si riferisce al fatto che molti paesi europei hanno introdotto o rafforzato lo ius soli, anche se con regole diverse per quanto riguarda l’età per il formale riconoscimento, l’altro scaturisce dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989, che l’Italia ha ratificato, secondo la quale i diritti dei bambini vanno comunque riconosciuti. Ma non basta riconoscere un diritto. Occorre anche un cambio di mentalità nei confronti degli stranieri. Per questo non sono da approvare alcuni atteggiamenti di nostri concittadini, a volte frutto di ignoranza, ma altre volte dovuti a rigurgiti di razzismo (anche se la parola non piace). Si spera non sia già dimenticato l’incendio (dicembre u.s.) e la devastazione del campo rom avvenuto nel civilissimo nord, a seguito di un’accusa, non vera, di violenza sessua-
DIRITTI UMANI 9
le da parte di giovani rom non italiani (è bene sapere che circa il 50% dei rom sono italiani). Purtroppo ne hanno fatto le spese molti bambini. Per esperienza personale, quando svolgevo funzioni di assessore del comune di Padova e ho avuto modo di occuparmi di bambini di famiglie nomadi, provenienti dall’Est Europa, ho constatato il grande senso della famiglia da parte di tali popolazioni. Ricordo che una bambina di 4 anni, a seguito di rimpatrio della madre, per motivi di prostituzione, venne affidata formalmente, con parere favorevole dei servizi sociali e con provvedimento del giudice, a una famiglia rom, che già la accudiva, durante le assenze della madre, per il periodo di tempo necessario a trovare una soluzione definitiva. La vicenda creò un certo dibattito sulla stampa, però servì a far conoscere anche l’aspetto positivo e umano di queste persone, che meriterebbero maggiore attenzione. Sempre sul tema, a seguito delle vicende
dell’incendio del campo rom, di cui si è fatto cenno, Gian Antonio Stella (Corriere della sera del 14-12-2011) ha ricordato che Papa Giovanni Paolo II indicava l’impegno della Chiesa per una “ costante attenzione verso la comunità dei rom” con l’invito a “riscoprire i valori tipici di questa popolazione, ricordando che anche gli inizi di Israele furono caratterizzati da nomadismo”. Altri atteggiamenti negativi in molti italiani scaturiscono dall’abbinare ruberie e violenze al colore della pelle o solo alla provenienza dei bambini e delle persone, che vivono accanto a noi e svolgono lavori spesso di utilità sociale. Ma il riconoscimento della cittadinanza è solo un primo passo verso l’integrazione. Molto possono fare i mezzi di comunicazione, come ho potuto constatare sull’argomento in un dibattito presso una ra-
dio locale, per contrastare quanti fanno apparire il “diverso”, per razza e provenienza, come persona da tener lontana dai nostri bambini. Spiace ancora di più venire a conoscenza di atteggiamenti di intolleranza o di razzismo, specie quando colpiscono ragazzi, come quello di cui hanno scritto i quotidiani a metà dicembre 2011. l’episodio riguardava un alunno di colore al quale la professoressa aveva attribuito un voto di due punti inferiore, rispetto ad un altro compagno, solo perché - come dichiarato - “diverso”. Eppure il compito era del tutto simile a quello del compagno. Testimoni: i compagni esterrefatti. Molta è la strada da fare per un cambio di mentalità di noi adulti e degli operatori scolastici e dei servizi. Al riguardo è un fatto positivo la recente presa di posizione per la concessione del diritto alla cittadinanza dei minori nati in Italia da parte del delegato ANCI, sindaco di Padova Flavio Zanonato, in occasione della presentazione in ottobre 2011 del Dossier Caritas/ Migrantes. Stesso problema è stato sollevato ancora dall’ANCI per la situazione complessa della regolarizzazione dei minori non accompagnati al compimento dei 18 anni, che da un recente rapporto, sempre curato dall’ANCI, sono in continuo aumento. Quando appariranno queste note si spera non siano caduti nel dimenticatoio il richiamo di Napolitano e le indicazioni di Bregantini. Per inciso vorrei ricordare che in questa occasione – come in altre – dovrebbe esserci coerenza in quei cittadini che si dichiarano ostinatamente contrari a concedere la cittadinanza agli stranieri e contemporaneamente si professano cattolici. Ci sono ancora organizzazioni politiche per la difesa della identità e della razza di infelice memoria? Questo sarebbe incredibile in un Paese sempre attento all’accoglienza e ricco di associazioni di volontariato, di ispirazione sia cristiana che laica. Per concludere, discriminare i bambini stranieri (sono quasi un milione) che tutti i giorni vediamo di fatto integrati nella scuola, nella lingua (e spesso anche nel dialetto), nelle abitudini e nei comportamenti, è negare un futuro di cittadini, dimenticando che l’identità italiana si incrocia con l’identità del cristiano, che riconosce gli stranieri come fratelli, secondo quanto afferma il Vescovo Bregantini nella citata lettera pastorale.
IMMIGRAZIONE
ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE di Fl avi o Zanonato
Intervento di Flavio Zanonato, sindaco di Padova, in occasione della presentazione del 21° Rapporto Caritas - Migrantes.
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a presenza di più di quattro mi l i oni di persone strani ere regol armente resi denti ha cambiato la fisionomia del Paese. Come riferiscono i dati del Rapporto e come testimonia l’esperienza degli amministratori locali, questa presenza gioca un ruolo importante nel sostenere la dinamica demografica e l’economia del paese. L’integrazione dei più di 4 milioni di cittadini stranieri si sviluppa e si traduce in vita quotidiana nella dimensione locale. È a questo livello che si mettono in pratica le regole di convivenza, i diritti e i doveri civici, che si aprono spazi di “cittadinanza attiva” per i residenti così come per gli stranieri, nel quadro di una piena attuazione del principio di sussidiarietà. I Comuni sono convinti che la via italiana all’integrazione possa costruirsi a partire dalla valorizzazione delle comunità locali. ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE
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Da tempo, la Commissione Immigrazione dell’ANCI, organo che definisce le posizioni dell’ANCI in materia, si confronta sul complesso tema dell’integrazione dei cittadini stranieri sui territori dei Comuni italiani. L’impegno dell’ANCI su questa tematica nasce dall’esigenza dei Comuni di definire una strategia organica, di medio e lungo periodo, che sia in grado di favorire e accompagnare i processi di integrazione dei cittadini stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese, in un quadro nazionale condiviso dagli attori istituzionali coinvolti. La necessità di avviare programmi di integrazione, senza rimanere preda delle emergenze del momento, risponde all’esigenza di non gravare ulteriormente sui servizi sociali dei Comuni, che già risentono pesantemente della crisi economica in atto e dei tagli alle spese sociali degli enti locali, via via più marcati. L’ANCI e i Comuni svolgono la propria parte su temi delicatissimi, come l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti
asilo e la tutela dei minori stranieri non accompagnati, la protezione delle vittime di tratta. Esperienze importanti di lavoro in “rete” che vedono Comuni di diversa dimensione demografica, di ogni Regione e colore politico, impegnarsi nella tutela di chi si è rivolto al nostro Paese per chiedere protezione e tutela. EMERGENZA NORD AFRICA L’impegno che ha compiuto quest’anno il nostro Paese per gestire l’accoglienza dei migranti nell’ambito della cosiddetta emergenza nord Africa ha visto protagonisti i Comuni nel loro sforzo volto a garantire la concreta accoglienza nei migranti sui propri territori. Fin dalle prime fasi, l’ANCI è stata chiamata a partecipare, insieme alle regioni e alle province, al tavolo di coordinamento dell’emergenza, affidato alla protezione civile. L’Associazione dei Comuni ha messo a disposizione le reti delle Amministrazioni già attive su tutto il territorio nazionale per l’accoglienza, da un lato, dei beneficiari di protezione internazionale, dall’altro, per la protezione dei minori stranieri non accompagnati. La prosecuzione dello stato di emergenza anche per il 2012 (Dpcm 6/10/2011) rende ancora di più necessario programmare interventi in un quadro di “sistema”. C’è poi un punto molto dolente nella gestione di questa emergenza determinata dalla concessione dei cosiddetti permessi temporanei concessi dal Ministero degli Interni del precedente Governo per ragioni umanitarie. Questa scelta, pur comprensibile, non è stata accompagnata da un’adeguata politica di accoglienza, che si sarebbe dovuta preoccupare di dove queste persone venivano ospitate e con quali risorse nutrite e messe nelle condizioni di vivere dignitosamente. Il problema è ovviamente ricaduto sulle città, in particolare sulle città del Nord, dove si stanno verificando episodi di criminalità piuttosto gravi ad opera di persone che non hanno né un lavoro, né un alloggio, né alcun mezzo di sostentamento. Se non si pone rimedio a questa situazione si rischia di incrementare il clima di ostilità verso i cittadini stranieri, vanificando almeno in parte il lavoro di integrazione portato avanti dai Comuni.
IMMIGRAZIONE
S IS TEMA NAZIONALE DI PROTEZIONE DI RICHIEDENTI AS ILO E RIFUGIATI (S PRAR) Il Sistema di protezione di richiedenti asilo e rifugiati dell’ANCI, cui il Rapporto Caritas Migrantes dedica uno spazio ogni anno, ha svolto un ruolo importante nella gestione dell’emergenza nord africa. L’ANCI ha partecipato ai lavori del tavolo di coordinamento della protezione civile sull’emergenza, mettendo a disposizione la rete SPRAR. Per poter far fronte all’accoglienza dei migranti sarebbe auspicabile un potenziamento della rete da 3.000 a 10.000 posti. Già da oggi sappiamo che molti Comuni che stanno mettendo strutture a disposizione per l’emergenza, utilizzano le linee guida dello SPRAR.
go tra gli attori sociali coinvolti, da un lato la società di arrivo e dall’altro le comunità straniere. Perché questo dialogo si possa instaurare proficuamente, il tema della rappresentanza è essenziale. La sensibilità degli amministratori locali sul tema della rappresentanza si sviluppa in misura proporzionale alla crescita e alla stabilizzazione del fenomeno migratorio e risponde all’esigenza di vedere colmato quel “vuoto di legittimazione” percepito da amministratori eletti solo da una parte degli “amministrati”, senza il concorso di persone pienamente attive nella vita sociale ed Paolo VI e Don Giovanni Nervo, primo presidente della Caritas Italiana.
MINORI S TRANIERI NON ACCOMPAGNATI Dall’inizio dell’anno sono arrivati in Italia circa 3.900 minori stranieri non accompagnati, 2.800 dei quali ancora presenti sul territorio. L’ANCI ha messo a disposizione il Programma minori stranieri non accompagnati, per affiancare il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali nell’individuazione dei posti definitivi per l’accoglienza e integrazione dei ragazzi. Il Programma minori stranieri non accompagnati, avviato dal 2008, ha rappresentato un primo sostegno importante per i Comuni nella messa a punto di servizi specifici per i minori stranieri. C’è una forte preoccupazione dei Comuni per l’incertezza del rifinanziamento del Programma, che formalmente conclude le sue attività a dicembre. Occorre garantire un processo di integrazione ai ragazzi non accompagnati che arrivano in Italia e diventano maggiorenni, soprattutto alla luce delle recenti modifiche introdotte dalla legge 129/2011 articolo 32 comma 1bis del TU Immigrazione, grazie alle quali si estende la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno al compimento della maggiore età ai minori che siano affidati o sottoposti a tutela, ricevuto un parere positivo da parte del Comitato minori stranieri, indipendentemente dalla data di ingresso in Italia. RAPPRES ENTANZA, AS S OCIAZIONIS MO E AGGREGAZIONE
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La natura stessa delle politiche di integrazione, affinché esse siano davvero aderenti alle questioni reali e attuali, presuppone un dialo-
I 40 ANNI DELLA CARITAS
IMMIGRAZIONE
economica delle città, ma straniere. A questo proposito, è in corso di svolgimento la Campagna “L’Italia sono anch’io”, promossa dal comitato promotore composto da 18 associazioni e presieduto dal Sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, cui ANCI sta contribuendo, sensibilizzando i Sindaci soprattutto con riferimento alla raccolta delle firme per la riforma del diritto di voto. Il testo del progetto di legge che la Campagna propone è quello elaborato da ANCI nel 2005 raccogliendo le esigenze dei territori, inviato a suo tempo ai capigruppo in Parlamento, il cui contenuto riguarda l’estensione del diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative, a favore dei cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio da almeno cinque anni. In attesa di una riforma di così palese buon senso, tante Amministrazioni stanno predisponendo soluzioni provvisorie per dare rappresentanza ai cittadini stranieri. A Padova, ad esempio, a fine novembre tutti i cittadini stranieri regolarmente presenti in città saranno chiamati ad eleggere i propri rappresentanti nel Consiglio delle comunità straniere che, a sua volta, nominerà un suo membro che potrà partecipare con diritto di parola – ma ovviamente senza diritto di voto – ai Consigli comunali. Si tratta comunque di un sistema che ci consentirà di aprire un’interlocuzione istituzionale con le Comunità straniere (a Padova gli immigrati sono oltre 30.000, i rumeni hanno un loro rappresentante in Consiglio comunale visto che sono comunitari e possono votare alle elezioni amministrative). In questo modo potremo capire meglio le loro esigenze e creare le condizioni per una loro maggiore collaborazione per migliorare la convivenza nella nostra comunità.
Ci sono tanti ragazzi nati in Italia che sono di fatto apolidi, perché non sono cittadini italiani ma neppure cittadini dei paesi dai quali provengono i loro genitori. Loro si sentono italiani a tutti gli effetti, vengono considerati tali anche quando tornano in vacanza nei Paesi dei genitori, ma il nostro Paese li lascia in un limbo che potrebbe diventare pericoloso. Se i trend di natalità proseguiranno con le attuali tendenze tra non molti anni saranno più i bambini nati in Italia da genitori stranieri dei bambini nati da genitori italiani. Se non agiremo presto caricheremo una bomba ad orologeria che non potrà non esplodere. INTEGRAZIONE DELLE COMUNITA’ ROM E S INTI L’adozione di un Piano nazionale per l’integrazione di queste popolazioni, rappresenta una priorità per i Comuni, in linea con le raccomandazioni del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea. Le esperienze che hanno visto protagonisti i governi locali in processi positivi di integrazione socio-lavorativa e abitativa delle popolazioni Rom e Sinti sono numerose. In molti casi però, anche per condizioni esterne su cui è difficile incidere a livello locale, gli interventi delle amministrazioni comunali sono risultati essere discontinui, settoriali, emergenziali, oppure insostenibili nel lungo periodo. I Comuni condividono la necessità di assumere un approccio volto alla programmazione di politiche di inclusione che consenta di uscire dall’ottica della eterna “emergenza rom”, auspicando un intervento innovativo di governance interistituzionale, condiviso con le diverse parti politiche coinvolte, i territori e i rappresentanti dei cittadini Rom e Sinti.
S ECONDE GENERAZIONI
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Altra questione cruciale è l’attenzione alle c.d. seconde generazioni, intese come “ponti naturali” tra la società italiana e le comunità straniere, in grado di poter sviluppare la coesione sul territorio, frenando lo sviluppo di pericolose realtà di marginalità e discriminazione. Costituisce un passaggio importante per favorire la piena integrazione dei cittadini di seconda generazione la riforma del diritto di cittadinanza, verso un modello di ius soli. L’ANCI, insieme a Save the Children e alla rete G2 – seconde generazioni, sta promuovendo la campagna informativa “18 anni in Comune”, volta a favorire l’acquisto della cittadinanza da parte dei ragazzi neodiciottenni di origine straniera.
LA VERITA’ ZINGARA Dov'è la verità zingara? Da quando mi ricordo giro con la tenda per il mondo cerco amore e affetto giustizia e fortuna. Sono invecchiato sulla strada non ho trovato un vero amore non ho sentito la parola giusta. La verità zingara dov'è? Rasim Sejdic da: “Zingari ieri e oggi” Centro Studi Zingari, Roma
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CARITA’ E DIRITTI di Sal v ato re No cera
Le persone con disabilità saranno un capro espiatorio della nuova manovra?
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a manovra economica “lacrime e sangue“, proposta dal Governo Monti e approvata dal Parlamento con la legge n. 214/2011, è stata presentata come “ salva Italia”. Sulla sua necessità quasi tutti i commentatori concordano; divergono invece sui suoi destinatari. Così, non solo i partiti che non l’hanno votata, sia pur con opposte motivazioni, come l’Italia dei valori e la Lega, ma anche organi di stampa non di partito (si veda “Famiglia Cristiana del 18/12 u.s.) hanno lamentato il non pieno rispetto del principio di equità proclamato da Monti come ispiratore dell’iniziativa governativa. La complessa operazione economico-finanziaria ha salvato dal baratro l’Italia ma ha ampliato il divario fra ricchi che non hanno per nulla modificato il loro tenore di vita e poveri sempre più poveri, censiti dall’ISTAT con un tasso pari al 25%, ma nel Sud anche al 33%. Nella fascia dei più deboli vanno annoverati le famiglie numerose, gli anziani, i disoccupati ed i giovani privi di lavoro e per essi la manovra prevede degli interventi. Non compaiono fra questi, però, l e pers o ne co n di s abi l i tà, se non per farle contribuire al risanamento dei bilanci pubblici, con la giustificazione della lotta ai falsi invalidi. Aveva cominciato Tremonti con la L. n. 111/2011 art 40, commi 1 ter e quater, aggravata dalla L. n. 148/2011 e con la presentazione della Proposta di legge n. 4566 di riforma del fisco e dell’assistenza, in particolare con l’art 10, dichiarato non solo dalle Associazioni e dal Forum del Terzo Settore, ma addirittura dalla Corte dei conti, inapplicabile per ragioni di giustizia distributiva. La situazione è stata solo in parte attenuata dall’art 5 della citata legge 214/2011. La storia di questa normativa e la previsione dei suoi dannosi effetti può leggersi in un lucidissimo articolo di Carlo Giacobini sul sito I particolari del complesso provvedimento legislativo sono ormai noti; qui ci si limiterà ad una rapida analisi dell’art 5 che contiene disposizioni che rivoluzionano l’assistenza alle persone con disabilità. Entro il 31 Maggio 2012 deve essere emanato un decreto legislativo che rivedrà i criteri di formulazione, di composizione e di calcolo
dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) delle persone, tra le quali quelle con disabilità, che se ne avvalgono per godere di accesso agevolato ad alcune prestazioni sociali, sociosanitarie e socio assistenziali. Nella somma dei redditi v erranno i ncl us e anche quelle somme attualmente esenti da imposizione fiscale e quindi non rientranti nel calcolo dell’ISEE. Tali somme sono quelle relative alle pensioni e agli assegni di invalidità e d’inabilità, nonché quelle relative all’indennità e assegni di accompagnamento e di comunicazione, attualmente erogati al solo titolo della minorazione, cioè indipendentemente dalle condizioni economiche del titolare. E’ una ri v o l uzi o ne. Dell’ISEE dovranno far parte anche le componenti patrimoniali e fin qui nulla di nuovo. Nella valutazione dei cespiti si terrà conto dei carichi fiscali gravanti su di essi. Si terrà pure conto del numero dei figli superiore a due e pure delle persone con disabilità. E qui bisognerà verificare se nell’emanando decreto si terrà conto solo dell’ISEE della persona con disabilità, come stabilito dal decreto legislativo n. 130/2000, art 3 comma 2 ter, o del nucleo familiare di cui essa fa parte, come era previsto dal precedente decreto legislativo n. 178/1998; in questa seconda ipotesi ovviamente la situazione economica della persona con disabilità si somma a quella degli altri componenti del nucleo familiare innalzando quindi l’ammontare dell’indicatore e quindi facendole perdere l’agevolazione di accesso a numerosi servizi. Dopo lunghe controversie giudiziarie, la V Sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 1607/11 era pervenuta alla conclusione che comunque dovesse tenersi conto dell’ISEE personale dei disabili, essendo questo principio un “livello essenziale “costituzionalmente garantito. Se la normativa applicativa dell’art 5 venisse a modificarlo, forse potrebbero esservi elementi di lagnanze avanti la Corte Costituzionale. Si prevede ancora nell’art 5 che nel calcolo dell’ISEE si terrà conto pure di immobili posseduti all’estero, il cui valore però verrà decurtato del debito del mutuo per acquistarlo e delle imposte pagate. Questa misura non riguarda tanto le persone con disabilità, quanto tutti i beneficiari di agevolazioni, falsi poveri, che attualmente lucrano sconti, borse di studio, tariffe agevolate etc. in quanto evasori o infedeli dichiaranti dei propri redditi. Questa misura, uni-
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tamente alla tracciabilità del denaro col divieto di pagamenti in contanti superiori ai mille Euro e alla possibilità di incroci con i conti correnti bancari o altro, dovrebbe riuscire a snidare alcuni evasori. Altra disposizione direttamente riguardante anche le persone con disabilità è quella secondo la quale saranno differenziati gli indicatori e le componenti dell’ISEE a seconda del tipo di prestazione a cui si accederà, ad esempio le prestazioni sanitarie, sociali, scolastiche etc. A partire dall’1 gennaio 2013 tutte le persone con o senza disabilità che superino il tetto dell’ISEE per ciascuna delle singole prestazioni o agevolazioni tariffarie o altri benefici, non potranno più accedervi con gratuità o agevolazioni. Questa è una delle norme più pericolose perché rischia di far perdere numerose agevolazioni alle persone con handicap. Per assicurarsi il rispetto di queste restrizioni, nell’art 5 vengono rafforzati i controlli dell’INPS sui percipienti dei benefici collegati alle singole agevolazioni, tramite una apposita banca-dati, ovviamente nel rispetto della privacy; purtroppo, quindi, i controlli sui veri invalidi aumenteranno, invece di diminuire. Ricompare la clausola di salvaguardia e perciò dall’applicazione di tutte queste norme non debbono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La contromisura, in caso contrario, è l’inasprimento dei tagli ai benefici che pertanto perdono definitivamente il carattere di diritti soggettivi per degradare al ruolo di semplici interessi legittimi, cioè da soddisfare solo se il Governo decide di destinare ad essi sufficienti mezzi finanziari. I risparmi realizzati con queste manovre verranno riversati al Ministero del lavoro che li destinerà alle politiche sociali e assistenziali; in verità la rubrica dell’articolo parla di destinazione alla famiglia; però, come è noto, l’intitolazione di un articolo di legge non ha valore normativo cogente e quindi la platea dei destinatari sarà più ampia, mentre il fondo sociale è attualmente paurosamente ridotto e privo di vincoli di destinazione a favore di singoli gruppi di interessi da proteggere e quello per la non autosufficienza è azzerato. Infine si prevede che con successivo decreto si emaneranno le norme applicative di tale normativa. Sui decreti applicativi di tale articolo 5 dovranno seriamente vigilare le Associazioni delle persone con disabilità e quanti hanno a cuore la loro dignità di persone. Sui rischi per i diritti dell’handicap si sono mobilitati in molti: il 5 dicembre è stato diffuso un comunicato-stampa del CNCA, Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza; il 6 Dicembre è uscito il citato articolo di Giacobini; il 13 Dicembre è stato diramato un duro comunicato della FISH, Federazione Italiana
per il Superamento dell’Handicap; il 15 il Forum del Terzo Settore in una manifestazione a Palazzo S. Macuto, nel presentare un rapporto del prof. Gori sulla situazione della manovra, ha approfondito i timori per i diritti delle persone con disabilità; il cartello di molte associazioni intitolato “I diritti alzano la voce“ ha avviato un periodo di consultazioni e approfondimenti sui rischi del welfare attuale in vista del nuovo welfare del XXI Secolo in cui siano salvaguardati i diritti fondamentali dei disabili, specie quelle non autosufficienti. Sulle riviste on line come Superabile, Superando e su quelle dei Sindacati si moltiplicano gli scritti sulla perdita dei diritti delle persone con disabilità, specie complesse. Pure la Conferenza-stampa del Presidente Monti del 30 dicembre non ha fugato i timori delle ricadute negative della manovra sulle persone con disabilità, anche perché la fase-2, quella cioè della ripresa, in un momento di depressione (e forse di recessione) conclamata non è stata chiaramente articolata nei prossimi interventi a favore del lavoro, paurosamente indebolito per le persone disabili, e della auspicata crescita del PIL. L’Avvenire del 29 dicembre dedica ben due pagine all’elencazione di iniziative delle Caritas e delle associazioni locali di volontariato a sostegno delle persone anche con disabilità che versano in crescenti difficoltà economiche. Ovviamente gli i nterv enti cari tatev o l i , in momenti emergenziali, sono sempre ben graditi; ma non si può dimenticare che l’ultimo comma dell’art 38 della Costituzione sulla libertà di assistenza privata, anche se rafforzato dal comma 4 dell’art 118 della Costituzione sulla sussidiarietà orizzontale, ha un valore costituzionale meno significativo del primo comma dello stesso articolo 38 secondo cui le persone con disabilità inabili al lavoro e prive di mezzi economici hanno di ri tto all’assistenza sociale. E’ proprio questo diritto che rischia di essere sacrificato sull’altare del risanamento economico del Paese e con esso anche la dignità delle persone con disabilità che temono l’emarginazione, dopo decenni di lotte vittoriose per l’inclusione sociale. Confidiamo nel Governo e nel Parlamento affinchè, sia pur in un momento eccezionale, in cui anche i cittadini con handicap sono chiamati a contribuire secondo le loro scarse disponibilità a la lotta per la ripresa del Paese, vogliano tener presente l’art 3, comma 2 della Costituzione in modo che la Repubblica continui a rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini più deboli, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. * Vicepresidente nazionale della FISH
TERZO SETTORE
L’AGENZIA DEL TERZO SETTORE NELLA DISCIPLINA DEGLI ENTI NON PROFIT di S ergi o Zanarel l a
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a sentenza n. 14371/2001 della Corte di Cassazione ha riportato l’attenzione su un argomento alquanto discusso nell’ambito del Terzo Settore: il ruolo dell’Agenzia del Terzo Settore (già agenzia per le Onlus) riguardo i pareri da esprimere in ordine alla cancellazione di un ente dall’Anagrafe unica delle Onlus. Riassumendo in breve la sentenza emerge che la Corte di Cassazione ha ritenuto valida la cancellazione di un ente dall’Anagrafe unica delle Onlus, anche in assenza del parere preventivo dell’Agenzia per il terzo settore, parere che a rigor di legge dovrebbe essere richiesto in ogni caso in cui l’ente successivamente all’iscrizione perda uno o più requisiti richiesti dalla normativa che disciplina le ONLUS. A parere di chi scrive è tautologico sottolineare che l’intervento debba essere richiesto per requisiti venuti a mancare successivamente all’iscrizione, poiché se
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questi fossero stati assenti anche al momento della presentazione di domanda di iscrizione, l’ente non avrebbe avuto alcun titolo per essere iscritto all’anagrafe delle onlus. Ad ogni modo, senza entrare nel merito delle valutazioni e delle motivazioni fornite dalla Corte di Cassazione, è opportuno sottolineare alcuni aspetti non molto chiari di tutta la vicenda legata al l ’Agenzi a per i l Terzo S ettore. Fin dalla sua istituzione è stata inserita come organo di control l o all’interno del “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilita’ sociale” con il nome di agenzia per le Onlus. Tale denominazione ha però generato il forte dubbio che potesse estendere la propria competenza agli enti non commerciali in generale e non soltanto alle onlus. Il successivo cambio di denominazione ha finalmente chiarito anche l’ambito di competenza
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dell’agenzia, ridefinendone le attribuzioni. Rimane quindi di competenza dell’agenzia del terzo settore l’emanazione di pareri in caso di cancellazione di un ente dall’anagrafe delle onlus da parte delle direzioni regionali delle entrate. Rimane peraltro sempre di competenza dell’Agenzia anche l’emanazione di un parere vincolante in caso di scioglimento dell’ente e relativa devoluzione del patrimonio residuo. Ciò vuol dire che qualora un ente iscritto o non iscritto all’anagrafe unica delle Onlus, fatte salve le normative relative a specifiche organizzazioni ed enti, decide di sci ogl i ersi e devol vere il proprio patrimonio ad un altro ente, deve obbligatoriamente chiedere un parere preventi vo al l ’Agenzi a per i l Terzo S ettore riguardo la regolarità della devoluzione del patrimonio residuo e che quanto disposto all’Agenzia è vincolante per l’ente. Tuttavia non è prevista alcuna sanzione nel caso in cui un soggetto che voglia sciogliersi non rispetti tale procedure, per cui rimane sempre il dubbio su quali siano le conseguenze in caso di inadempimento e soprattutto, considerando che il patrimonio residuo dell’ente che si scioglie deve essere devoluto ad altra onlus o a fini di pubblica utilità è bene rimarcare: l’assenza di pubblicità dell’anagrafe unica delle Onlus; la genericità della formula “fini di pubblica utilità”. Per quanto riguarda la prima questione risulta alquanto strano che non sia mai stato pubblicato in nessun documento l ’el enco del l e associ azi oni i scri tte al l ’anagrafe uni ca del l e Onl us, rendendo praticamente impossibili ai singoli e spesso anche agli appartenenti all’associazione alcun controllo o verifica. La cosa è alquanto paradossale se teniamo conto che queste realtà si sostengono anche grazie alle ingenti donazioni che vengono effettuate dai privati, i quali dovrebbero essere messi in condizione di poter verificare l’esistenza o meno della qualifica
di onlus dell’ente che intendono sostenere. La cosa risulta ancora più anomala se la confrontiamo con enti iscritti in altri albi o registri, poiché è facile accedere alle informazioni sia tramite bollettini periodici pubblicati dall’ente pubblico che gestisce il registro, sia consultando i portali internet degli sessi enti pubblici. Per quanto riguarda il secondo
aspetto è senz’altro da considerare molto aperta la finalità di pubblica utilità ai fini della devoluzione del patrimonio, interpretabile in modo difforme, in assenza di parametri o chiarimenti ulteriori, a discrezione del soggetto che ne esercita il controllo, sia esso ente regione o agenzia per il terzo settore. Riassumendo in ultima analisi la vicenda relativa all’Agenzia del Terzo Settore possiamo inserirla nella panoramica normativa della legislazione emanata in materia di enti non profit, in cui spesso gli interventi si susseguono cronologicamente nel tempo, ma senza un buon coordi namento del l e di verse di sposi zi oni , generando anzi in alcuni casi ipotesi fra loro contrastanti. Per questo nel caso specifico sarebbe stato utile inserire nelle motivazioni emanate della sentenza emanata dalla Corte di Cassazione un approfondimento sulla questione, in modo da poter fornire un attento ragionamento sulle fonti di diritto secondario, espressione del potere normativo dell’amministrazione statale, e utilizzare gli strumenti di ermeneutica normativa che hanno permesso a dottrina e giurisprudenza di giungere alla composizione di conflitti ed antinomie. Sarebbe stato ulteriormente utile se calato in un panorama normativo frammentato e disomogeneo quale è quello sugli enti non profit.
FISCO
ICI ED ENTI ECCLESIASTICI: ESIGENZA DI CHIAREZZA
di Federi co Ro s s i (* )
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a polemica sull’esenzione dell’Ici agli immobili della chiesa cattolica è “senza fondamento” perché basta guardare i dati pubblicati dal quotidiano Avvenire in questi giorni per capire che c’è “massima trasparenza”. Così il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, rimanda al mittente le critiche sul “trattamento di favore” per il Vaticano in un’intervista rilasciata alcuni giorni prima di Natale. Po tremo di re tanto rumo re per nul l a? Certamente il patrimonio immobiliare detenuto in Italia dalla Chiesa in generale, anche attraverso le tante Congregazioni Religiose, maschili e femminili, è di assoluto rilievo e tale da costituire una forte “attrattiva” ogni qualvolta si parla di imposte da corrispondere, e/o di maggior gettito fiscale da far affluire nelle casse dell’Erario.
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Ma s i è pro pri o s i curi che g l i i mmo bi l i del l a CHIESA no n pag ano i mpo s te, di rette e i ndi rette? Fatta esclusione soltanto per gli edifici di culto e loro pertinenze, nonché per i monasteri di clausura, tutto il restante patrimonio immobiliare paga regolarmente imposta IRES, sulla base dei valori catastali di ciascun immobile. Significa quindi che TUTTI gli immobili destinati ad ospitare sia la Comunità Religiosa che eventuali attività svolte pagano regolarmente imposta IRES. Potremo dire con le stesse identiche regole e criteri posti a base della tassazione delle persone fisiche e/o società. Ad onor del vero, occorre evidenziare che alla famiglia privata che utilizza la propria abitazione, come residenza principale, il legislatore ha concesso l’esenzione dal pagamento delle imposte dirette (Irpef), cosa assolutamente non concessa alla famiglia religiosa che utilizza i propri immobili come sede stabile della comunità religiosa che, come detto sopra, in ogni caso è tenuta a corrispondere IRES. Nessuna agevolazione è poi concessa in caso di locazione a terzi degli immobili di proprietà, in quanto l’Ente Religioso paga IRES sul maggiore dei due valori (rendita catastale / canone di locazione), al pari di ogni altro soggetto privato, anzi con la recente penalizzazione che il canone da tassare viene preso per l’intero, senza abbattimento forfetario del 15%, peraltro ancora
concesso alle persone fisiche. Sotto questo primo profilo dell’imposizione fiscale DIRETTA emerge pertanto un quadro che nessuno può definire “di favore” per l’Ente Ecclesiastico, anzi, come si è avuto modo di evidenziare, per molti aspetti addirittura penalizzante. Se quindi nulla in concreto può dirsi “agev olato”, per gli Enti Ecclesiastici e Chiesa in generale, con riguardo alle imposte dirette tanto si è inv ece detto, e potremmo dire, anche a sproposito per quanto riguarda l’ICI. Og g i s empre pi ù s pes s o s enti amo e/ o l eg g i amo l ’affermazi o ne che l a CHIESA no n pag a ICI Quasi a voler far credere che talune norme agevolative, volute a suo tempo dal legislatore, siano state poste “esclusivamente” per la Chiesa, ovvero a suo esclusivo e diretto vantaggio. Attenzione, perché questo NON è assolutamente vero. Il legislatore nel lontano 1992, con il Decreto Legislativo 504 del 30 dicembre, nell’istituire l’imposta ICI, all’articolo 7, introdusse specificatamente talune esenzioni, e in particolare quella riportata e prevista sotto la lettera i), che concerne tutti i soggetti di cui all’articolo 87 (oggi 73), lett. c), del TUIR 917/86: art . 7 - Es enz i o ni . Sono esenti dall’imposta: ....................omissis ....................... i ) g l i i mmo b i l i ut i l i z z at i dai s o g g et t i di cui al l ’art i co l o 8 7 , co mma 1 , l et t era c), del t es t o uni co del l e i mp o s t e s ui reddi t i , ap p ro v at o co n decret o del Pres i dent e del l a Rep ub b l i ca 2 2 di cemb re 1 9 8 6 , n. 9 1 7 , e s ucces s i v e mo di fi caz i o ni , des t i nat i es cl us i v ament e al l o s v o l g i ment o di at t i v i t à as s i s t enz i al i , p rev i denz i al i , s ani t ari e, di dat t i che, ri cet t i v e, cul t ural i , ri creat i v e e s p o rt i v e, no nché del l e at t i v i t à di cui al l ’art i co l o 1 6 , l et t era a), del l a l eg g e 2 0 mag g i o 1 9 8 5 , n. 2 2 2 . 2. L‘esenzione spetta per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte. Il legislatore, quanto a SOGGETTI esonerati da ICI ha posto esplicito riferimento all’articolo 87, oggi 73, del Testo Unico Imposte sui Red-
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diti, e in particolare a quelli indicati dalla lettera c) del citato articolo. Quali sono quindi i soggetti esonerati? Si tratta soltanto degli Enti appartenenti alla Chiesa Cattolica ? Occorre precisare che l’art. 73, comma 1, lettera c), del TUIR, che fornisce la nozione di enti non commerciali, li individua negli “ent i p ub b l i ci e p ri v at i di v ers i dal l e s o ci et à, res i dent i nel t erri t o ri o del l o St at o , che no n hanno p er o g g et t o es cl us i v o o p ri nci p al e l ’es erci z i o di at t i v i t à co mmerci al i ”. La norma in esame prevede, dunque, che nell’ambito degli enti non commerciali possono essere compresi: • gli ent i p ub b l i ci , vale a dire gli organi e le amministrazioni dello Stato; gli enti territoriali (comuni, consorzi tra enti locali, comunità montane, province, regioni, associazioni e enti gestori del demanio collettivo, camere di commercio); le aziende sanitarie e gli enti pubblici istituiti esclusivamente per lo svolgimento di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie; gli enti pubblici non economici; gli istituti previdenziali e assistenziali; le Università ed enti di ricerca; le aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB); • gli ent i p ri v at i , cioè gli enti disciplinati dal codice civile (associazioni, fondazioni e comitati) e gli enti disciplinati da specifiche leggi di settore, come, ad esempio: le organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266); le organizzazioni non governative (legge 26 febbraio 1987, n. 49, art. 5); le associazioni dì promozione sociale (legge 7 dicembre 2000, n. 383); le associazioni sportive dilettantistiche (art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289); le fondazioni risultanti dalla trasformazione degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate (D.Lgs. 23 aprile 1998, n. 134); le ex IPAB privatizzate (a seguito, da ultimo, dal D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207); gli enti che acquisiscono la qualifica fiscale di Onlus (D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460). Occorre precisare che nell’ambito degli enti priv ati non commerciali vanno ricompresi anche gli enti eccl es i as ti ci civilmente riconosciuti secondo le previsioni dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense (legge 25 marzo 1985, n. 121 per la Chiesa cattolica) e delle intese tra lo Stato italiano e le altre confessioni religiose (ad esempio: legge 11 agosto 1984, n. 449, per la Tavola valdese; legge 22 novembre 1988, n. 516, per l’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno; leg-
ge 22 novembre 1988, n. 517, per le Assemblee di Dio in Italia - ADI; legge 8 marzo 1989, n. 101, per le Comunità ebraiche italiane; legge 12 aprile 1995, n. 116, per l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia - UCEBI; legge 29 novembre 1995, n. 52 per la Chiesa evangelica luterana d’Italia-CELI). E’ assolutamente ev idente che la norma esonerativ a dell’ICI non abbia preso a riferimento esclusiv amente gli Enti Ecclesiastici, ma una intera categoria di soggetti, ov v ero tutti quelli senza fini di lucro. Non è stata quindi la Chiesa Cattolica l’unica ad av ere av uto un trattamento di fav ore, in quanto è pacifica la presenza di tante altre confessioni religiose, parimenti esonerate. Se tutto ques to è v ero , co me è v ero , al l o ra perché tanto baccano s o l o per l a Chi es a Catto l i ca, di menti cando tutte l e al tre categ o ri e di s o g g etti co munque es o nerate ? Se è corretto che si debba accettare il controllo delle Autorità competenti (Comuni) per verificare se l’utilizzo dei predetti immobili è conforme a quello previsto dalla norma, è altrettanto inaccettabile essere descritti come destinatari esclusivi di agevolazioni ad hoc, o ancora diventare l’unico bersaglio di agevolazioni comunque concesse per legge ed applicate per oltre quindici anni senza colpo ferire. Laddove gli Enti Religiosi fino ad oggi hanno ritenuto di non corrispondere ICI è stato certamente per il fatto che le attività svolte negli immobili erano e sono in linea con il carisma dell’Ente medesimo, senza alcun fine di lucro, e nella quasi totalità con perdite rilevanti, in convenzione e/o accreditamento con lo Stato o con i suoi enti periferici. Penso sia arrivato il momento di alzare meno polveroni e iniziare controlli, attenti e seri, nei confronti di “tutti” quegli enti non commerciali che dianzi abbiamo descritto come meritori di esenzione Ici, per verificare in concreto chi meglio e più di altri è rispondente a quelle finalità sociali e di sostegno, poste a base delle Esenzioni previste dall’articolo 7, lettera i), del Dlgs 504/92. Sulla inderogabilità di comportamenti trasparenti si è peraltro espresso con chiarezza il Presidente della CEI, il quale accanto all’imprescindibile rispetto della legge ha posto la necessità del costante rigore dei controlli. Che il 2012 possa pertanto perseguire quel cammino di equità fiscale, e di attenzione alle singole situazioni, a difesa e tutela di ogni contribuente italiano, Enti Ecclesiastici compresi. * Studio Rossi-Curina – studiorossicurina@y ahoo.it
Norme giuridiche e Giurisprudenza a cura di Alessio Affanni e Sergio Zanarella
n.145 successivi provvedimenti del Direttore Generale della Direzione Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale la determinazione della composizione, del funzionamento dell’Organismo Tecnico e delle modalità di restituzione ai tavoli di consultazione regionale, istituiti ai sensi della l.r. 3/08, dei risultati e delle valutazioni effettuate. Il Provvedimento, oltre che sul BURL, è pubblicato sul sito internet della Direzione Generale Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale e della Direzione generale Industria, Artigianato, Edilizia e Cooperazione. Nell’introduzione delle Linee guida si precisa che è urgente quindi ripensare agli strumenti di raccordo tra terzo settore e pubblica amministrazione nell’attuazione delle politiche sociali tenendo conto della specificità di tali servizi; occorre in altri termini, innanzitutto, rinsaldare quell’alleanza strategica con il privato sociale cosicché amministrazioni pubbliche e terzo settore concorrano responsabilmente, ciascuno secondo i propri compiti, funzioni e autonomia e preservando le proprie specificità, nell’attuazione delle politiche per il bene comune. E’ quindi auspicabile che, in un sistema di welfare sempre più orientato alla domanda e modellato sui bisogni della persona e della famiglia, venga promossa e sviluppata sia a livello regionale che locale una sussidiarietà circolare finalizzata a dare risposte appropriate e mirate ai bisogni, realizzando nuove forme di collaborazione tra gli enti profit, non profit e pubblica amministrazione che consentano di reperire nuove risorse per lo sviluppo del sistema e dei soggetti del Terzo settore. Così come previsto nell’intesa ANCI Lombardia e CGIL,CISL e UIL Lombardia, si assume il principio della consultazione e del confronto a livello territoriale, in sede di programmazione dei piani di zona. Le Linee guida esaminano, nel primo capitolo, l’evoluzione del quadro normativo di riferimento (comunitario, nazionale, regionale), soffermandosi su alcuni punti. I principi generali comunitari a tutela della concorrenza del mercato e per il mercato si applicano anche nel settore dei servizi sociali e sociosanitari tutte le volte che il soggetto pubblico si avvale nell’erogazione del servizio di soggetti privati che operano in un potenziale mercato. La caratterizzazione di talune legislazioni nazionali e regionali, quale ad esempio la l.r. 3/2008, dalle quali si evince un favor iuris da parte del legislatore per i soggetti del terzo settore quale alleato e partner dell’amministrazione pubblica spingono a ritenere che siano applicabili i principi di trasparenza, imparzialità, pubblicità e non discriminazione, parità di trattamento e proporzionalità previsti dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE nella selezione dei soggetti cui affidare la gestione dei servizi in luogo della disciplina di dettaglio ivi prevista per l’affidamento dei contratti pubblici. Viene comunque evidenziato che la disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n.163/2006 (e successive modifiche e integrazioni), alla pari della disciplina previgente, incontra una limitata applicazione in tema di affidamento di servizi sociali e sociosanitari ai soggetti del terzo settore che operano senza scopo di lucro. L’art. 43 della legge n. 449/97, al comma 1, prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di stipulare accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fine di lucro, ma costituite con atto notarile, al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati. Le condizioni perché ciò accada sono: • il perseguimento di interessi pubblici; • l’esclusione di forme di conflitto di interessi tra l’attività
STATO NUOVE DISPOSIZIONI DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE PER RIDUZIONE E SEMPLIFICAZIONE DEI PROCEDIMENTI CIVILI Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 220 del 21 settembre 2011 Con Decreto Legislativo del 1° settembre 2011, n. 150 sono state modificate alcune disposizioni del codice di procedura civile, allo scopo di ridurre e semplificare i procedimenti di rito civile. In particolare, le disposizioni di maggior interesse per le associazioni sono quelle relative alle controversie in materia di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (disciplinate da varie norme tra cui l’articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) che vengono ad essere regolate dal rito sommario di cognizione. E’ competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio. Le disposizioni così introdotte coinvolgono le regioni che, in collaborazione con le province e con i comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale, ai fini dell’applicazione delle norme e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime di tali discriminazioni. Altra disposizione di interesse delle associazioni riguarda le controversie in materia di violazione del Codice della privacy, previste dall’articolo 152 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 che disciplina l’intera materia: le controversie avverso i provvedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali verranno regolate dal rito del lavoro. E’ competente il tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati. Il ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali potrà invece essere proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento o dalla data del rigetto tacito.
REGIONI LOMBARDIA LINEE GUIDA PER LA VALORIZZAZIONE DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE NELL’AMBITO DEI SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’ Bollettino Ufficiale Regione Lombardia Serie Ordinaria n. 9 del 1° marzo 2011 Con Deliberazione di Giunta regionale IX/1353 del 25 febbraio 2011 sono state approvate le Linee guida per la semplificazione amministrativa e la valorizzazione degli enti del Terzo settore nell’ambito dei servizi alla persona e alla comunità. Viene approvato il documento avente ad oggetto «Linee guida per la valorizzazione degli Enti del Terzo settore nell’ambito dei servizi alla persona», di cui all’allegato n. 1, che costituisce parte integrante e sostanziale del presente provvedimento; per i comuni e le province, tali disposizioni, costituisco specifiche linee di indirizzo. Si fa rinvio a successivi provvedimenti per l’approvazione, da parte delle Direzioni competenti, di schemi di convenzioni e accordi da stipulare con i soggetti del Terzo settore. Viene inoltre istituito l’Organismo tecnico di monitoraggio e valutazione delle collaborazioni e demandare a
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(la caratteristica di questa forma di gara, indicata specificatamente nel D.P.C.M. del 2001, è di bandire un’istruttoria pubblica allo scopo di identificare il/i soggetto/i del Terzo Settore che si possa qualificare come partner progettuale dell’Ente Pubblico) e le forme di collaborazione all’interno dei piani di zona. In particolare, in merito ai piani di zona, si sostiene che, nel rispetto delle diversità dei ruoli e delle competenze dei diversi attori e al fine di dare una risposta sempre più appropriata e mirata ai bisogni, partendo dall’analisi della domanda, diventano sempre più importanti il funzionamento, oltre che del Tavolo locale di consultazione, dei Tavoli Tecnico Tematici: organismi con funzione di analisi e progettazione tecnica di soluzioni alle problematiche sociali, identificati nelle diverse aree. Essi assumono, in questo modo, il ruolo di «aggregatori» e di «facilitatori» dei soggetti operanti nelle singole aree di intervento, al fine di contribuire alla costruzione di interventi e opportunità, in risposta ai bisogni sociali. I tavoli tematici sono costituiti dai rappresentanti delle associazioni designate per le singole aree – minori, disabili, salute mentale, persone in difficoltà e anziani. La partecipazione ai Tavoli è preferibile che sia determinata sulla base di criteri che tengano conto dell’esperienza qualificata e continuativa di tali enti, realizzata sul territorio del Comune. Considerata inoltre la centralità della famiglia quale soggetto sociale, una particolare attenzione dovrà essere posta al tema della sua partecipazione alla programmazione e attuazione della programmazione, attraverso un sempre maggiore riconoscimento e coinvolgimento delle associazioni di solidarietà familiare. E’ auspicabile – si legge nel testo – che i tavoli si riuniscano periodicamente secondo un calendario semestrale di incontri. Va inoltre previsto il confronto con le organizzazioni sindacali territoriali. Prevista la comunicazione all’osservatorio dei contratti pubblici e fornite indicazioni in merito alla ricognizione degli adempimenti per l’iscrizione ai registri, con annesse disposizioni alle aziende di servizi alla persona e alle province per l’esercizio dell’attività di vigilanza e controllo nei confronti degli enti del terzo settore, ciascuno in base alla sua normativa di riferimento (Organizzazioni di Volontariato, Associazioni e Associazioni di Promozione Sociale, Associazioni di Solidarietà Familiari, Fondazioni e Associazioni riconosciute, Cooperative Sociali). viene altresì istituito un organismo tecnico di monitoraggio e valutazione delle collaborazioni. con successivi provvedimenti del direttore generale regionale competente per materia verrà disciplinata: • la composizione, il cui numero non deve essere superiore a 5 membri, di cui tre esterni appartenenti al mondo delle università e del terzo settore e uno nominato dall’ANCI; • il funzionamento; • le modalità di restituzione ai tavoli di consultazione regionale istituiti ai sensi della l.r. 3/08 dei risultati e delle valutazioni dell’Organismo tecnico.
pubblica e quella privata; • i risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti. Per quanto riguarda la normativa regionale si precisa che la legge regionale n.1/2008 «Testo unico delle leggi sul terzo settore», che prevede importanti deroghe alla disciplina sui contratti pubblici. In particolare si segnalano: • l’articolo 9 che dispone, per le organizzazioni di volontariato, la possibilità di stipulare convenzioni con la Regione e gli altri enti pubblici , se iscritte nel registro da almeno sei mesi, individuando l’ambito di attività e i criteri di scelta; • l’articolo 19 che prevede che la regione promuova forme di convenzionamento tra le associazioni e gli enti pubblici per cooperare nei servizi di utilità sociale e collettiva; • l’articolo 29 della legge 1/2008 che ha sostituito l’art. 11 della legge 21/2003- «Norme per la cooperazione in Lombardia», il quale prevede che la Regione: • adotti indirizzi per sostenere le attività svolte dalle cooperative sociali, privilegiando la gestione di servizi aggiudicati in base all’offerta economicamente più vantaggiosa; • promuova intese con le associazioni rappresentative degli enti locali e degli enti gestori delle unità d’offerta sociali e sociosanitarie e delle cooperative per concordare la formulazione di bandi pubblici, relativi a gare di affidamento della gestione di servizi, che garantiscano la qualità dei servizi; • approvi schemi di convenzione-tipo, rispettivamente per la gestione di servizi sociali e sociosanitari, assistenziali ed educativi e per la fornitura di beni e servizi di cui all’articolo 5 della legge 381/1991. Di estrema importanza è la legge regionale 19 maggio 1997, n.14 che disciplina l’attività contrattuale della regione, degli enti e delle aziende dipendenti dalla stessa regione, nonché degli enti operanti nel settore della sicurezza sociale e della assistenza sanitaria. Per effetto della legge regionale n. 30/06, le aziende sanitarie appartengono a tutti gli effetti agli enti del sistema regionale. Le Linee guida danno applicazione all’art. 20, comma 2° della legge regionale n. 3/2008, con riguardo alle collaborazioni tra le aziende sanitarie pubbliche, le aziende di servizi alla persona e i soggetti del terzo settore e costituiscono atto di indirizzo per i Comuni e le Province. Viene ribadito che I rapporti tra la pubblica amministrazione ed i soggetti del terzo settore sono finalizzati alla corresponsabile costruzione di un sistema di risposte alle esigenze di servizi e di interventi espressi dalle persone, dalle famiglie e dalla comunità nel contesto della programmazione e delle scelte compiute a livello regionale, locale e sovra comunale all’interno dei piani di zona. In tale ottica di corresponsabilità, le forme di collaborazione con soggetti del terzo settore possono svilupparsi nei seguenti modi: a) procedure di selezione pubblica; b) accreditamento; c) convenzioni o accordi procedimentali; d) attività di collaborazione all’interno dei piani di zona. La scelta del soggetto deve necessariamente tenere conto della natura giuridica di questo e delle sue finalità statutarie: riferimenti specifici alle Fondazioni, alle associazioni riconosciute e non riconosciute, alle organizzazioni di volontariato (che – viene ribadito – non possono partecipare, di norma, alle procedure di selezione concorrenziale per l’appalto di servizi pubblici), alle associazioni di promozione sociale, alle cooperative sociali, agli enti di patronato (forme di collaborazione potranno essere previste nella gestione di servizi per l’accesso o attività di segretariato sociale, come previsto dall’art. 10 della L. 152/2001 «Legge di riforma degli Enti di Patronato» e dal D.M. 14 dicembre 2009) e all’Impresa sociale. Al quarto capitolo della Linee guida vengono definite le modalita’ di esercizio dei rapporti di collaborazione tra pubblica amministrazione e terzo settore (procedure di selezione pubblica). Vengono illustrate le procedure di accreditamento, le convenzioni o accordi procedimentali, le modalità di co-progettazione
LOMBARDIA LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO FAMILIARE Bollettino Ufficiale Regione Lombardia Serie Ordinaria n. 22 del 30 maggio 2011 Con la Deliberazione di Giunta regionale n. IX/1772 del 24 maggio 2011 si è stabilito di approvare in tema di affido familiare i seguenti documenti: • allegato A «Linee Guida per l’affidamento familiare» parte integrante e sostanziale della deliberazione; • allegato B «Buone prassi» parte integrante e sostanziale della deliberazione; • di dare atto che alla costituzione del gruppo per il monitoraggio sulla applicazione delle linee guida per l’affido familiare si provvederà con decreto della Direzione Generale Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale (il provve-
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dizio o di rischio di pregiudizio in cui questi si trova. Riguarda la vita del bambino o ragazzo nella sua globalità, per cui è necessario comprendere i diversi piani di intervento e i diversi soggetti chiamati a realizzarli. Si tratta di un progetto personalizzato e multi-dimensionale, frutto di un lavoro in cui tutti i soggetti coinvolti, pongono al centro il bambino e le sue relazioni, in ottica di corresponsabilità. Attraverso tale strumento di orientamento, si vuole garantire e riconoscere, in ottica di sussidiarietà reale, la coralità dei diversi soggetti istituzionali e del territorio che, a vario titolo e con diversi compiti, intervengono nel percorso di tutela del minore, ivi comprese le associazioni familiari/reti familiari, all’interno di un unico sistema integrato di servizi. In particolare, i soggetti chiamati a realizzare il singolo progetto sono i Servizi sociali del Comune singolo o associato (Servizio tutela minori, Servizio affidi) quelli dell’Asl (di valutazione o specialistici laddove coinvolti) e gli altri attori che collaborano alla realizzazione del progetto: le associazioni familiari/reti familiari, la famiglia affidataria, il tutore legale e tutti coloro che sono coinvolti sul caso Nel terzo capitolo vengono esaminati i soggetti che collaborano alla realizzazione del sistema dell’affido e le loro responsabilità (Enti locali e ASL, l’associazionismo familiare e le reti di famiglie, l’autorità giudiziaria, il Giudice Tutelare, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, il Tribunale per i Minorenni, il Tribunale ordinario e la Corte d’Appello sezione minori). Nel Capitolo IV viene spiegato il percorso di affidamento, incluso l’accompagnamento della famiglia d’origine e il progetto per il minore, nonché le forme del mantenimento del rapporto tra bambino o ragazzo e famiglia d’origine e,infine, il rientro del minore nella famiglia d’origine. Illustrate alcune tipologie di affidamento quali: • affidamento a parenti; • affidamento diurno /part-time; • affidamento in pronta accoglienza; • affidamento del bambino insieme alla madre. Per quanto riguarda la tutela lavorativa e previdenziale degli affidatari, viene spiegato che la legislazione per il sostegno della maternità e della paternità (L. 8 marzo 2000 n. 53) e la legge sul «Diritto del minore ad una famiglia» (L. 149/01) stabiliscono che i genitori adottivi o affidatari, con affidamento pre-adottivo o temporaneo, hanno gli stessi diritti dei genitori naturali in materia di congedo di maternità, di congedo di paternità, di congedi parentali, di congedi per la malattia dei figli e di congedi per riposi giornalieri. In base alla normativa vigente (L . 149/01 art. 38, comma 1) il Giudice, anche in relazione alla durata dell’affidamento, può disporre che gli assegni familiari e le prestazioni previdenziali relative al minore siano erogati temporaneamente in favore dell’affidatario. In merito alle problematiche di tipo sanitario occorre sottolineare l’importanza dell’art . 5 della L. 149/2001 che riconosce all’affidatario l’esercizio dei poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con l’istituzione scolastica e le autorità sanitarie, riconoscendo all’affidatario una potestà genitoriale per sostituzione ex lege, ad esempio il diritto di elettorato attivo e passivo ambito scolastico per le elezioni dei rappresentanti negli organi elettivi previsti, il colloquio con le insegnanti, la sottoscrizione dei documenti scolastici, la scelta del medico ed i rapporti con il medico e gli altri servizi sanitari. Inoltre il contributo mensile percepito dalla famiglia affidataria è svincolato dal reddito in quanto si pone quale riconoscimento per l’impegno sociale di accoglienza svolto dalla famiglia affidataria. L’importo del contributo è determinato dall’entità dell’impegno richiesto la famiglia affidataria (anche parentale) e dalle decisioni delle singole Amministrazioni. Su questo punto – si legge nel documento – è opportuno che i Comuni definiscano il valore del contributo adeguandolo al costo della vita nel territorio, all’età del minore affidato a particolari condizioni del bambino ecc. E’ inoltre opportuno preve-
dimento, oltre che sul BURL, è pubblicato anche sul sito della Direzione Generale regionale). A seguito dell’approvazione della l.r. 34/2004, «Politiche regionali per i minori», la Regione Lombardia ha avviato il percorso di rinnovamento del sistema sociale di accoglienza dei minori temporaneamente allontanati dalla famiglia d’origine. Punto di forza della riforma sono state le Deliberazioni di Giunta regionale n. 20762 e n. 20943 del 16 febbraio 2005, che hanno determinato i requisiti autorizzativi ed i criteri di accreditamento delle unità d’offerta sociali di accoglienza residenziale per minori ed introdotto nel sistema sociale regionale rivolto ai minori, la nuova tipologia «Comunità familiare» quale forma innovativa e particolare di accoglienza, con finalità educative e sociali, realizzata senza fini di lucro da una famiglia presso la propria abitazione (D.G.R. 20762). Il processo avviato dalla Regione nel 2005 sarà però completo soltanto quando sarà migliorato e, più compiutamente, innovato anche tutto il percorso dell’affido familiare previsto dalla legge 184/1983 e dalle successive modifiche introdotte con la legge 149/2001. Le presenti Linee guida regionali, frutto dei contributi di ogni partecipante al gruppo di lavoro, intendono fornire indirizzi e strumenti agli Enti locali titolari della gestione dell’affido familiare, e ai soggetti, istituzionali e non, coinvolti in tutto o in parte nel percorso di affidamento, utili ad una revisione e riforma del processo di affido familiare che superi le criticità ed i punti di debolezza dell’attuale sistema. In questo senso si intende delineare un percorso per l’affidamento familiare volto prioritariamente a: • garantire al minore la realizzazione di un percorso per l’affidamento familiare che assicuri unitarietà di intervento e competenze specialistiche adeguate; • garantire alle famiglie ed ai cittadini informazioni corrette ed esaustive sulle diverse forme di accoglienza familiare ed orientamento specifico a chi desidera accogliere un minore; • garantire ai percorsi di affidamento una regia specializzata e stabile, che, a partire dalla storia del minore, dalla famiglia d’origine e dalla famiglia affidataria, verifichi il percorso e accompagni l’affido; • riconoscere e formalizzare l’importante ruolo sussidiario esercitato, nel percorso di affidamento, dalle associazioni/reti familiari allo scopo di realizzare appieno l’obiettivo dell’affidamento familiare. Viene segnalato come necessario: • che il sistema pubblico si diriga, laddove non è già accaduto, verso modelli organizzativi associati (tra più Comuni/ambiti); • che ambiti territoriali sociali e ASL, pur nell’operare secondo il proprio ruolo specifico, promuovano collaborazioni operative stabili; • soluzioni operative nuove che favoriscano processi partecipativi e di sussidiarietà che aiutino la realizzazione, anche nel processo di affido, di un innovativo sistema a rete tra pubblico (titolare del progetto di affido e della tutela minori) e privato (costituito principalmente dall’associazionismo familiare); • definire meglio ruoli e compiti dei diversi soggetti e formalizzare protocolli operativi stabili e continuativi di collaborazione/convenzioni. Si parte dal quadro normativo di riferimento, sia di livello sovranazionale, che nazionale e regionale. Nel secondo capitolo viene illustrato il senso dell’affido familiare, fornendo l’esatta definizione e lo scopo, nonché i protagonisti dell’affido: • il minore; • la famiglia d’ origine ed il suo coinvolgimento nel progetto di affido; • il tutore legale; • gli affidatari. Si spiega la durata del percorso di affidamento e gli elementi essenziali del Progetto Quadro. In particolare il Progetto quadro riguarda l’insieme coordinato ed integrato degli interventi sociali, sanitari ed educativi finalizzati a promuovere il benessere del bambino o del ragazzo e a rimuovere la situazione di pregiu-
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dere inoltre agevolazioni all’accesso e frequenza del minore a percorsi educativi e sociali e l’esenzione dal pagamento della ristorazione scolastica per i minori in affido frequentanti asili nido, scuole dell’infanzia comunali e statali, scuole elementari e medie pubbliche. I minori collocati in affido e le famiglie affidatarie sono coperti da apposita polizza assicurativa regionale per i servizi socio-assistenziali, sia per gli infortuni che possono accadere al minore durante il periodo di affido, sia per i danni materiali o personali che il minore affidato può provocare nei confronti di terzi. La legge 149/01 (art. 38, comma 2) sancisce che sono applicabili agli affidatari le detrazioni di imposta per carichi di famiglia, purché l’affidato risulti a carico (art. 12 D.P.R. n. 917/86 nella misura modificata dall’art. 1 comma 6, lettera C della legge finanziaria 2007) e ciò sia comprovato da un provvedimento dell’Autorità giudiziaria. E’ infine possibile la prosecuzione dell’affidamento in atto oltre il raggiungimento della maggiore età: in questi casi, il Servizio sociale, valutata la situazione personale del ragazzo nei suoi aspetti relazionali-affettivi ed educativi e sentiti il minore, gli affidatari, l’associazione familiare eventualmente coinvolta, può ridefinire la progettualità dell’intervento. Una questione aperta, sebbene non prevista normativamente, ma della quale non si può ignorare l’esistenza, è quella dei progetti di affido la cui durata non è definita o definibile, per i quali non è previsto il rientro in famiglia o il progetto si modifica nel tempo fino a non consentirlo più a causa della irrecuperabilità o «cronicità» della situazione della famiglia d’origine.
la vita sociale. La Provincia assicura la diagnosi precoce della celiachia e la prevenzione delle sue complicanze. In particolare l’Azienda provinciale per i servizi sanitari provvede a: a) definire un programma articolato per la diagnosi precoce; b) prevenire le complicanze e monitorare le patologie associate; c) definire test diagnostici e di controllo per i pazienti; d) individuare percorsi diagnostici e terapeutici al fine di garantire l’omogeneità di trattamento sul territorio provinciale. Per garantire un’alimentazione senza glutine la Provincia riconosce alle persone affette da celiachia il diritto all’erogazione gratuita di prodotti dietoterapeutici. A questo scopo la Provincia può assegnare alle persone affette da celiachia una somma annuale, erogabile anche mensilmente, destinata all’acquisto dei prodotti senza glutine presso qualsiasi rivenditore. La Giunta provinciale stabilisce le modalità e i limiti per l’erogazione delle provvidenze economiche, per classi di età, tenendo conto della quantificazione di spesa agli stessi fini stabilita dallo Stato ai sensi dell’art. 4 della legge n. 123 del 2005. Presso i servizi mensa erogati dalle scuole dell’infanzia, dalle istituzioni scolastiche e formative provinciali, dai presidi ospedalieri dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, dalla Provincia, dai comuni e dai relativi enti strumentali sono somministrati, previa richiesta degli interessati, anche pasti senza glutine. Al fine di favorire la tempestività della diagnosi nonché l’educazione dei cittadini alla conoscenza della celiachia e dei suoi effetti, la Provincia promuove: a) la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari; b) l’educazione sanitaria del celiaco e della sua famiglia, anche attraverso la collaborazione con i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta ed i consultori; c) la sensibilizzazione dei cittadini sulla celiachia, nell’ambito della promozione della salute; d) la diffusione delle informazioni sulle possibilità di cura e di prevenzione, sulla diagnosi precoce e sull’accesso ai servizi. La Provincia, tramite l’Azienda provinciale per i servizi sanitari e sentita l’Associazione italiana celiachia del Trentino, organizza corsi di formazione rivolti al personale specializzato addetto alle mense ospedaliere, scolastiche e degli enti pubblici, nonché agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, affinché garantiscano la somministrazione di alimenti non contaminati dal glutine, destinati ai soggetti affetti da celiachia. Al fine di favorire la pubblicizzazione degli esercizi pubblici che forniscono una ristorazione differenziata per i soggetti affetti da celiachia, in base ai criteri previsti da questa legge, la Provincia, a richiesta degli interessati, pubblica l’elenco dei predetti esercizi di ristorazione, anche sul sito internet istituzionale. Anche al fine di promuovere progetti di turismo sociale, la Provincia trasmette tale elenco previsto alle associazioni locali che operano a tutela delle persone affette da celiachia e ai soggetti della promozione turistica.
MOLISE MODIFICA ALLA LEGGE REGIONALE SULLE ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE Gazzetta Ufficiale Serie Regioni n. 42 del 22 ottobre 2011 Con la Legge regionale del 9 settembre 2011, n. 24 è stato modificato l’articolo 13, comma 3 della Legge regionale n. 31 del 3 dicembre 2004 (Norme in materia di promozione, riconoscimento e sviluppo delle associazioni di promozione sociale). L’art. 13 stabilisce che la Regione assegna contributi finanziari alle associazioni di promozione sociale iscritte da almeno 6 mesi nel Registro regionale per: a) progetti e specifiche attività; b) dotazioni di servizi e attrezzature. Al fine di ottenere tali contributi le associazioni iscritte nel Registro regionale devono presentare domanda alla Giunta regionale entro il 30 giugno di ogni anno. Il contributo regionale non è cumulabile con altri contributi previsti da leggi di settore. Per questi contributi, la Giunta regionale provvede annualmente al riparto dei fondi, dopo aver acquisito il parere dell’Osservatorio dell’associazionismo, sentita la competente Commissione del Consiglio regionale. Con la Legge n. 24 del 2011 appena promulgata viene aggiunto il seguente periodo “La Commissione consiliare rende il parere entro sessanta giorni dall’acquisizione della richiesta corredata di idonea documentazione istruttoria. Si prescinde dal parere nel caso di infruttuoso decorrere del termine suddetto”.
Come tutti i lettori avranno notato, già dal n 12/2012 di Nuova Proposta è assente - per sopravvenuti impegni professionali - la firma su questa
TRENTINO ALTO ADIGE PROVINCIA DI TRENTO INTERVENTI A FAVORE DELLE PERSONE AFFETTE DA CELIACHIA
rubrica dell’Avv. Giacomo Mari. A lui vogliamo esprimere apprezzamento e gratitudine per la lunga collaborazione.
Gazzetta Ufficiale Serie Regioni n. 41 del 15 ottobre 2011
L’augurio di tutti noi va al Dott. Affanni e al Dott.
La celiachia e’ un’intolleranza permanente al glutine, riconosciuta come malattia sociale ai sensi della legge 4 luglio 2005, n. 123 (Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia). Con la Legge provinciale del 3 giugno 2011, n. 8 la Provincia autonoma di Trento intende promuove l’assistenza alle persone affette da celiachia ed il loro normale inserimento nel-
Zanarella che hanno accettato di assumenrsi l’onere di questa rassegna legislativa.
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UNEBA
QUOTE ADESIONE UNEBA ANNO 2012 QUOTE NAZIONALI Val i de per: Val l e d’Ao s ta, Fri ul i Venezi a Gi ul i a, Trenti no Al to Adi g e, Emi l i a Ro mag na, Umbri a, Marche, Lazi o , Abruzzo , Mo l i s e, Campani a, Pug l i a, Bas i l i cata, Si ci l i a, Sardeg na • Scuole materne, euro 50 • Istituti fino a 50 assistiti, euro 130 • Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 165 • Istituti da 100 a 200 assistiti, euro 270 • Istituti con oltre 200 assistiti, euro 320 • Sostenitori, euro 600 Le quote possono essere versate con una di queste modalità: • sul conto corrente postale 18680009 intestato a Uneba - Via Gioberti, 60 - 00185 Roma, utilizzando bollettini postali o con bonifico postale. Codice Iban: IT 45 Z 07601 03200 000018680009 • sul conto corrente bancario presso Credito Artigiano, ag.14 di Roma, intestato a Uneba. Codice Iban: IT07Z0351203214000000081783. Si raccomanda, al momento del pagamento, di specificare città e prov incia in cui ha sede il v ostro ente, onde ev itare disguidi dov uti a casi di enti con lo stesso nome. QUOTE REGIONE LIGURIA (comprensiva della quota nazionale) • Scuole materne, euro 80 • Istituti fino a 50 assistiti, euro 230 • Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 265 • Istituti da 100 a 200 assistiti, euro 470 • Istituti con oltre 200 assistiti, euro 540 • Sostenitori, euro 850 Le quote devono essere versate sul conto corrente postale 43151281 intestato a Uneba - Via Pisa, 9/1 - 16146 Genova. Per informazioni: info@unebaliguria.it
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• Istituti con oltre 200 assistiti, euro 950 • Sostenitori, euro 1400 Le quote possono essere versate con una di queste modalità: • sul conto corrente postale 17738204 intestato a Uneba - Piazza Fontana, 2 - 20122 Milano • sul conto corrente bancario intestato a Uneba Lombardia presso Credito Artigiano, agenzia di via Larga 7, Milano. Codice Iban: IT 45 X 0351201602000000088126 Per informazioni rivolgersi alla segreteria di Uneba Lombardia, aperta da lunedì a venerdì dalle 9 alle 13. Tel. 02.7200.20.18 02.8556.361 fax 02.8556.361, uneba.milano@tin.it
QUOTE REGIONE PIEMONTE (comprensiva della quota nazionale) • Scuole materne, euro 80 • Istituti con meno di 50 assistiti, euro 220 • Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 280 • Istituti da 101 a 200 assistiti, euro 450 • Istituti con oltre 200 assistiti, euro 550 • Sostenitori, euro 1200 Le quote devono essere versate sul conto corrente postale 97389514 intestato a Uneba – Ass. Prov. TO – via San Giuseppe Benedetto Cottolengo 14 - 10152 - Torino. Codice Iban: IT55V0760101000000097389514 . Per informazioni contattare Uneba Piemonte: 011 5225560, info.piemonte@uneba.org
QUOTE REGIONE TOSCANA (comprensiva della quota nazionale) • Scuole materne, euro 55 • Istituti fino a 50 assistiti, euro 150 • Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 185 • Istituti da 100 a 200 assistiti, euro 290 QUOTE REGIONE CALABRIA • Istituti con oltre 200 assistiti, euro 340 La quo ta reg i o nal e annua è da s o mmare al l a • Sostenitori, euro 650 Le quote devono essere versate sul conto corrente quo ta nazi o nal e. dell’UNEBA nazionale – Roma. • per enti che erogano servizi a carattere sociale: euro QUOTE REGIONE VENETO 5 a posto letto • per enti che erogano servizi a carattere sociosanita- Per chi si iscrive per il primo anno a Uneba Veneto le quote sono ridotte del 50%. rio: euro 10 a posto letto • per enti e associazioni di volontariato: 100 euro • Istituti con meno di 50 assistiti, euro 410. Primo anno iscrizione a Uneba Veneto: euro 205 Le quote devono essere versate sul conto corrente bancario presso Banca Popolare del Mezzogiorno, agenzia di • Istituti da 50 a 99 assistiti, euro 765. Primo anno: euro 382,5 Santa Maria, interessato a Federazione regionale Uneba • Istituti da 100 a 199 assistiti, euro 1170. Primo anCalabria, Iban IT56B0525604401000000926170. no: euro 585 E’ possibile versare assieme quota nazionale e quota regionale a Uneba Calabria, specificandolo nella causale. • Istituti oltre i 200 assistiti, euro 1520 . Primo anno: euro 760 Per informazioni: Massimo Torregrossa, segreteria Une• Sostenitore, da euro 2500 ba Calabria, mtorregrossa@betania.it, 0961 763169 Le quote di iscrizione vanno versate con bonifico QUOTE REGIONE LOMBARDIA (comprensiva bancario a favore di Uneba- Federazione Regionale della quota nazionale) Veneto, Codice IBAN: IT 28 E033 5901 6001 0000 • Scuole materne, euro 90 0001 599 c/o Banca Prossima; causale: iscrizione • Istituti per minori con meno di 50 assi- Uneba 2012. stiti, euro 200 Su troverete la scheda di iscrizione, da inviare, assie• Istituti con meno di 50 assistiti, euro me a copia dell’avvenuto bonifico, a o al fax 049 430 7985277. • Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 470 Per informazioni: 049 6683012, • Istituti da 101 a 200 assistiti, euro 750 info.veneto@uneba.org
COLPO D’ALA
Questa pagina vuole essere un “colpo d’ala”, cioè una proposta per un momento di riflessione.
L’ALTRO VOLTO DELLA POVERTA’ “La perfezione è dentro la formica e l’uccello che vibra, ma non è dentro l’uomo che dubita. Ecco qual è il male dell’uomo: il dubbio. Ma io ho la certezza che mi ami: me ne hai dato la prova insegnandomi a morire a me stesso. Sono diventato un unguento per le tue ferite, morbido, dolce, profumato, per i tuoi piedi gonfi. Ma un giorno, un giorno, Signore, tu mi hai dato di più: mi hai dato il dolore dei tuoi chiodi, hai sconfitto e trafitto le mie carni, mi hai fatto morire con te sulla croce”. Alda Merini, “Francesco – Canto di una creatura” – Frassinelli, 2007. (Prefazione di Gianfranco Ravasi). (Pasqua di Resurrezione. Continua a scorrere il fiume d’amore della Cena e l’uomo “esplode” in tutta la sua bellezza e diventa capace esso stesso di essere “ponte” sul suo cammino verso Dio, sullo spazio tra Nascita e Resurrezione, tra Adamo e il Riscatto).
Bollettino ufficiale dell’UNEBA - Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale Direttore Responsabile: MAURIZIO GIORDANO Redazione ed Amministrazione: 00185 Roma - Via Gioberti, 60 - Tel. 065943091 - Fax 0659602303 e - mail: info@uneba.it - sito internet: www.uneba.org Autorizzazione del Tribunale di Roma N. 88 del 21/2/1991 Progetto e realizzazione grafica: www.fabiodesimone.it Stampa: Consorzio AGE s.r.l. - Roma Il giornale è inviato gratuitamente agli associati dell’UNEBA Finito di stampare nel gennaio 2012