UndergroundZine ottobre 2014

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RECENSIONI

AS DRAMATIC HOMAGE “Crown”

GENERE: Avantgarde ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 50/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

La band As Dramatic Homage è stata fondata nel 1999 dal musicista Alexandre Pontes e nel corso degli anni ha subito numerosi cambi di formazione fino a diventare una one man band, di fatto, con alcuni innesti di guest . La band ha appena pubblicato il loro debutto lo scorso anno, con il nome di “Crown”. La proposta della band sulla carta è di far avant garde metal ma dal mio punto di vista se potrebbe aver trovato la quadra per la parte compositiva e post produttiva, meno è per la parte vocale. Buone le composizioni, ottime le esecuzioni e la post produzione, ottime le idee e la capacità di andare oltre le solite risoluzioni sonore ma unica cosa che non funziona la voce e nello specifico non capisco se chi ha fatto i take della voce si sia accorto le stonature delle parti in pulito, e più precisamente sulle note, in pulito, lunghe. E purtroppo il problema è sistematico ed endemico in tutte le tracce del cd che al loro interno hanno dei vocalizzi in pulito particolarmente lunghi o alti. La cosa è piuttosto triste, dato che le nove composizioni che formano “Crown” sono molto interessanti e le canzoni sono piuttosto intense e ripeto sono più che buone. Emozionalmente brani come “Awake to the twilight”, “Journey inside” e “Idyllic” e “Monumental” sono canzoni interessanti e di dimostrazione delle abilità della band. A chiusura di questa mia un plauso ad Alexandre per la prova, ma o per il futuro troverà un ottimo cantante in pulito o deciderà di lasciar stare le parti di pulito oppure si ritroverà anche in futuro con un grossissimo problema con le linee di voce e un’oggettiva problematica difficile da risolvere in altro modo.

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BEFORE CRISIS “The tattooist”

GENERE: Hard rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: S.V. RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Before Crisis sono una band romana che ha da poco fatto uscire il singolo che andremo a recensire, ma andiam per gradi. Nati nel 2007 come band folk decidono di avere una dirotta verso lo stoner e il rock poco dopo la loro formazione, l’anno successivo propongono del materiale inedito, come loro primo demo, tramite alcuni social e nel 2010 escono con il secondo demo “Live on meteor”. Con i cambi di lineup che si susseguono la band deve far “rimpasto” e riescono ad uscire da poco più di 3 mesi con un singolo e con la formazione solida che propone una nuova svolta stilistica e la si trova all’interno delle note di “The tattooist” loro singolo. Musicalmente interessante come proposta, un hard rock fatto come si deve questo “tatuatore” canzone oggettivamente accattivante e con un certo piglio. Buona la proposta vocale, che evita come la peste dio far canto lirico o semi lirico e fa apprezzare le doti canore della cantante. La batteria precisa e cuore pulsante, insieme al basso, della traccia e le chitarre assolutamente ottime e con un buonissimo piglio. Se la band dovesse andare avanti su questa strada credo che otterranno diversi risultati e molte soddisfazioni. Come molti di voi sapranno, non do voti a canzoni singole e ai singoli in generale, solo per una questione di rispetto nei confronti delle band che hanno proposto materiale più corposo per poter permettermi di fare una valutazione complessiva a tutto tondo. Complimenti alla band comunque, da tenere sott’occhio.

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BETWEEN WHILES “Deceptive apparence”

GENERE: Metalcore ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Between Whiles esistono da solo un anno e l’EP “ Deceptive appearance” è il loro esordio, ma andiamo per gradi. La band nasce a Lecco nel febbraio 2013, piccoli assestamenti di lineup e la band è pronta per registrare. Tanto che a giugno 2013 escono con il loro EP “Deceptive appearance” di metalcore con lievissime venature death. Ed entriamo nel merito del loro EP da quattro tracce. Ammetto che non ho trovato pecche grosse in questo loro lavoro, chitarre granitiche basso e batteria a rullo compressore e voce assolutamente rabbiosa e grintosa. La parte “di errore” sta nel fatto che non vi sono variazioni particolari e che la band di fatto ha seguito gli stilemi classici del metalcore senza minimamente osare o senza variare, quindi se cercate una novità o una “variazione sul tema” non è questo il cd. Certo mi si potrebbe dire che le “incursioni di voce melodica tra i riff graffianti non c’è” ma sinceramente è pochino per poter definire questo come un marchio distintivo e che basti ad alzarli dalla media delle altre band metalcore. Ma sia chiaro come sovente dico non è necessario andare alla ricerca della novità a tutti i costi, solo che in un momento musicale come quello attuale, il provare a primeggiare e distinguersi è l’unica opportunità dato che vi sono tantissimi gruppi con stesse attitudini e stesse capacità e personalmente l’unica via che vedo è di osare e di andare “oltre standard”. Detto questo le quattro tracce sono composte con gli stilemi classici del metalcore e con di fatto le strutture ed i suoni tipici di questo genere. “Bury Me”e “Stolen Heart” sono già due delle canzoni che possono darvi l’idea del sound della band. Tracce molto corpose e di sicuro impatto. Come sempre vi invito ad ascoltarvi tutti il lavoro e a farvi le vostre personali tracce preferite. Chiudendo direi che “buona la prima” come si suol dire, in attesa del nuovo lavoro (previsto dalla band per l’inizio del 2015) ma nel contempo che dico “buona la prima” avverto la band di osare di più. Confido nella band che possa far proprio il mio invito e di riuscire ad andare oltre lo standard e oltre il “già sentito”, per il semplice fatto che potrebbero arrivar lontano a mio avviso e se riuscissero a determinare un suono o una forma compositiva differente da quanto fatto fino a questo EP otterrebbero molto di più.

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BUILT IN OBSOLESCENCE “Abel”

GENERE: (post) Metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 77/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Built-in obsolescence sono un quintetto proveniente da Riccione, formatosi nel 2010 e traendo ispirazione dalle diverse esperienze musicali di ognuno dei componenti si propongono a noi con questo esordio dal nome “Abel”. Devo fare però una piccola digressione e prendo spunto dai Built… per farla, e forse i più attenti hanno già in alcuni casi letto miei ragionamenti simili, non me ne voglia la band ma non è assolutamente un attacco a loro. Ammetto che faccio fatica ad accettare un post genere, quando questo genere è ancora vivo… Mi spiego meglio la band si propone come “Post metal” ma dal mio punto di vista il metal è ancora vivo e quindi dire che è “post metal” presupporrebbe o la fine del metal oppure il fatto di aver abbandonato quelle sonorità o quelle che possono essere le “basi” per andare altrove, personalmente la band fa un buon alternative metal, quello si, con rimandi di più band che a volte non sono prettamente metal (Tool, Alice in chains, Osian etc…), ma dire post metal quando il metal esiste ancora e non è “terminato” mi lascia sempre un pelino stranito. MA andiamo all’essenza delle canzoni e delle composizioni. A livello tecnico nulla da dire a questi Built in obsolescence, dato che il suono è ottimo e le composizioni altrettanto. La band dimostra levando ogni minimo ragionevole dubbio quli capacità ha e soprattutto che le idee sono ben chiare all’interno della band in fase compositiva, in fase di registrazione e persino in fase di post produzione e di mixaggio. Forse avrei puntato a una piccola correzione ma non è a livello di composizioni, ne a livello di testo e neppure per la post produzione, che trovo ottima per un primo lavoro. Avrei dato più cura alla copertina ed alla grafica, nel senso che interessante il cd e l’interno della custodia, ma sinceramente la copertina e la retrocopertina sono troppo raffazzonate a mio avviso, e ricordo ai B.I.O., e a tutte leband in generale, che le regole della comunicazione richiedono una serie di fattori e di rimandi abbastanza chiari per poter restare impressi e purtroppo con la copertina di questo tipo si è persa una buona occasione.

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Personalmente ho apprezzato moltissimo canzoni come “Biotronik” che tra l’altro ha anche il testo in Italiano, “Liar”, e “Again”. Sappiate che anche la ghost tranck mi è garbata molto, ma essendo una traccia fantasma la dovrete scovare. Concludendo questa mia recensione, direi che se vi interessa il metal in senso lato, la musica che crea emozione e che sa trasmettere questo è un lavoro che dovrete avere assolutamente. Come se non bastasse lo trovate in free download sul sito ufficiale della band, ma dalla mia vi consiglierei VIVAMENTE di acquistarlo non saranno soldi spesi male. Alla band dico solo continuate così ma date un occhio di riguardo anche alla “confezione” del cd e non solo alle tracce che vi stanno all’interno

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DISPERSION “Pillars”

GENERE: Black metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: S.V. RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Dispersion band proveniente da Treviso, nel giro di meno di un anno hanno composto i brani che compongono questo loro esordio dal titolo “Pillars”. Prima nati come duo ora sono una band composta da tre elementi; strutturalmente sono considerabili come black metal, ma nel senso più ampio del termine. Sia chiaro sono black metal, ma a differenza del black standard hanno dei minutaggi particolarmente lunghi quasi fossero più vicini al depressive, ma senza la dissonante voce. Quello che propongono con questo “Pillars” è un EP-Promo di sole due tracce, ma con la prima canzone da oltre undici minuti e la seconda canzone da quasi sette minuti. Quindi la band ci propone quasi venti minuti di black metal con incursioni in rallentati e atmosfere evocative. Certo sarebbe stato forse meglio dividere il brano da oltre undici minuti in un mini concept all’interno del EP in modo da dare più corpo al cd e nel contempo a dare più respiro al platter intero, ma queste sono valutazioni più di “piacere” che non un reale errore della band. A livello tecnico ci sono alcune sbavature che si sarebbero potute evitare con alcuni accorgimenti specie in fase di post produzione e nello specifico per quello che riguarda la batteria che ha al suo interno delle dinamiche di piatti troppo invasivi e una secchezza poco funzionale per il rullante. Buone le chitarre che creano questa atmosfera tagliente e che echeggia nei vocalizzi del cantante. Come sovente accade il basso è in secondo piano e in parte si perde all’interno delle tracce. Anche in questo caso, come per la batteria, una post produzione più mirata avrebbe permesso di sentire il basso in modo più marcato. “Pillars” è un esordio piuttosto interessante anche se “corto” e sapendo che vi sono alcune cose da limare e da “aggiustare il tiro”; ma direi che nel complesso le idee ci sono e i contenuti anche, magari per il futuro far uscire un EP-promo così funziona se nel contempo sono in fase di termine canzoni per la seconda uscita. Evito il ragionamento di “post” quando il genere è di fatto ancora in essere, come già ho espresso per chi si definisce “post hardcore” o “post prog” o “post thrash” etc… Non ne trovo il senso e l’utilità.

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Poi vale tutto e va bene tutto, ma resto dell’idea che se una cosa è inquadrabile in un genere ben definito ed ancora “in vita” non ha molto senso definire il proprio suono come post quel genere. In ultima battuta segnalo che non ho messo voto al EP-Promo per il numero esiguo di tracce e non per la mancanza di qualità, ma sarebbe poco corretto nei confronti di chi ha proposto un EP o un cd di durata superiore. Detto secondo me è un buon lavoro, vi consiglio di seguirli e attendiamo che facciano uscire un album intero per poter apprezzare i loro componimenti.

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EVERSHED “Heliosphere”

GENERE: Rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Evershed propongono un rock piuttosto leggero con venature alternative e pop rock, sono una band nata nel 2012 come progetto acustico, ma con l’innesto di altri membri passano alla versione “elettrica” e nella primavera 2013 registrano il loro esordio “Heliosphere”, EP che andremo a recensire, e dal quale la band ha estratto ben due video, ma andiamo per gradi come dico sempre. Tecnicamente un lavoro di buona fattura, batteria e basso ben calibrati, si sentono bene e non sono ne invasivi e neppure evanescenti. Le chitarre molto buone sia per esecuzione sia per i feeling che trasmettono, ma magari meno “mettalliche” sarebbe stato meglio. Nel senso che si sente troppo la dinamica della corda della chitarra acustica in più di un’occasione e lascia quel effetto di “metallico” negli accordi; sarebbe bastato una piccola accortezza in fase di equalizzazione e il risultato sarebbe stato ottimo. Buona anche la prova vocale. Avrei preferito un minor uso di effetti o meglio, ne avrei usati altri in modo da valorizzare di più le abilità canore e non solo “effettando” la voce a mo di riempimento e doppiandola, perché in questo modo a mio avviso si perdono delle abilità e delle finezze che il cantante avrebbe potuto tranquillamente dimostrare e proporre. Nel complesso delle cinque tracce proposte dalla band devo dire che il risultato è godibile e gli Evershed mi riportano a qualche anno fa quando esordì una band americana dal nome “Goo goo dolls”. Sia chiaro la band non copia o scimmiotta i Goo goo dolls, ma mi lascia quell’idea e quel rimando sonoro. Emozionalmente sono stato colpito da quello che è stato scelto come primo singolo “Americansong”, “You’re my ghost” (altro singolo) e da “Ode to the sunrise”. Come sempre ascoltate e fate vostro questo EP e poi decidete quali saranno le vostre tracce preferite. Concludendo buona l’inizio della band, sappiate che loro si stanno già muovendo per un primo album completo e credo che arriverà a breve. Complimenti alla band, spero che le mie critiche possano aiutarli a migliorare il prossimo loro lavoro e che continuino a comporre materiale di qualità.

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EYES OF VERONA “Ex voto”

GENERE: Rock ETICHETTA: Inspur VOTO: 88/100

music

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Notevole scoperta con questo esordio, gli Eyes if Verona sono una band francese e tutto ha che del suono francese. Proposta che farà da apripista per una lunga e vistosa carriera questo “Ex voto”, ma entriamo più nel dettaglio. La band dopo solo un anno di vita ha fatto uscire, nel 2012, un EP dal titolo “Chapter 1: the fight” ed ora sono qui a darci dimostrazione delle loro abilità con un album intero. Sono sufficienti pochi minuti per rendersi conto del talento di Sophie e delle sue capacità vocali, dimostrazione effettiva che non bisogna cantare in finto lirico o in lirico per esser brave cantanti; la cosa che salta all’occhio oltre ogni ragionevole dubbio è che tutte le melodie e tutti i brani sono calcolati attorno alla voce di Sophie, ed al fatto che senza di lei la cosa suonerebbe diversamente sia come intensità che come profondità . La produzione è praticamente perfetta. Dimostrazione di cosa bisogna fare per poter avere un prodotto ottimo e con spessore senza doversi avvalere delle scuse del “underground va fatto in modo grezzo” o di cose del tipo “ma siamo autoprodotti come facciamo ad avere suoni importanti?!” Questo “Ex voto” ne è la dimostrazione e prova provata che se si crede nel proprio operato e nel proprio lavoro si ottiene un risultato ottimo . Le batterie e il basso sono ottima sessione ritmica sia nei momenti più aggressivi che nelle parti più calme e melodiche, le chitarre ottime e con registri sonori molto interessanti. La voce nulla da dire, se ne è parlato ampiamente poco sopra. Emotivamente sono stato colpito da brani come “My odyssey”, “Our little friend”, “Chapter 3: Glory”, “86400”, “End of babel” e la title track “Ex voto”. Concludendo, ottimo esordio sul “mezzo fondo” (usando un’immagine podistica) speriamo che ora facciano “l’allungo” e continuino così. Consiglio a tutti coloro che amano la musica fatta come si deve e che apprezzano la voce femminile senza stranezze e forzature o peggio ancora con preconcetti; unica stranezza che la band sia ancora senza contratto, ma credo fermamente che la cosa durerà molto poco. Più che promossi

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GO KOALA

“Electric skulls radio” GENERE: Pop rock etettronico ETICHETTA: Alka record label VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

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I Go Koala provengono dalla provincia di Ferrara ed è una formazione a cinque e propongono una formula piuttosto inconsueta. Propongono un cd composto da pop elettronico e con una forte componente fine anni 90 e primi anni 2000. I Go koala sono una band che non si prende troppo sul serio, che fa dell’auto ironia una bandiera e che propone musica elettronica di facile fruizione per il semplice fatto che a loro va così. Giusto per capire La band si presenta così: “Go koala è un progetto musicale che usa l’elettronica perché nessun componente del gruppo è in grado di suonare bene la chitarra. Nessuna band è dovuta morire affinché dalle proprie ceneri nascesse questo progetto”. Di fatto essendo principalmente musica elettronica, escludendo basso, batteria e la tromba, ci sono pochissimi margini di errore, forse il fatto che suoni maledettamente anni 90, ma non è un demerito è solo una scelta stilistica. Certo diviene un demerito se non apprezzate la musica elettronica, ma in questo caso non è questione di errore ma di piacere e di gusto. Unica cosa a mio avviso è che pur facendo musica elettronica avrebbero potuto puntare a librerie di suoni differenti e magari a dei banchi sonori meno “aged”. Musicalmente tutto l’album ti catapulta in una puntata di “Baywatch” o di qualche altro film o serial di almeno un decennio fa, ma la cosa è piuttosto carina, simpatica e godibile. Alla fine la band ha preso la musica dalla parte del puro godimento. A me son piaciute parecchio “Don’t worry”, “Wake me”, “Another way”, “Medication” e “Only you know”. Inoltre tengo a sottolineare che “Medication” è stata mandata in rotazione radiofonica per diverso tempo su alcune radio dell’Emilia Romagna. L’album dei Go Koala, anche se pare così “user friendly” ha delle sue sfaccettature specifiche e delle sue particolarità, particolarità che si scoprono cammin facendo e con più ascolti. Un debutto piuttosto carino e interessante nel suo complesso. Assolutamente consigliato per chi apprezza non solo l’elettronica ma anche la musica nel suo complesso.

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LUCA LAURINI

“Il look degli animali domestici vaganti” GENERE: Cantautore ETICHETTA: Alka records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Nel comunicato stampa il nuovo lavoro di Luca Laurini titolato “Il Look degli Animali Domestici Vaganti” è riassunto e/o descritto nel seguente modo: “Ciò che rende l’uomo che vaga per la città simile agli animali che scorrazzano nella fattoria è il look, essenzialmente. Per tutto il resto l’uomo deve fare ancora molta strada”. Luca Laurini di fatto è un cantautore reggiano al suo debutto discografico, devo dire che di base sento dei rimandi di alcuni cantanti della scena pop e non so fin a che punto è un bene o un male. Nel senso che sento in Laurini un mix tra Cristicchi, Gazzè e Fabi. Tecnicamente nulla da dire, suoni puliti, forse troppo, composizioni piuttosto carine anche se in alcuni punti un filino prevedibili, peccato. Dato che i testi pur stando in ambiti tra il surreale e la “protesta in guanti bianchi” non si capisce dove e come si voglia porre Laurini. Mi sarei atteso qualche cosa di più, sia per i testi che per certe sonorità; ma sia chiaro non è un album brutto, anzi molto godibile, solo un pochino troppo acerbo rispetto proprio ai rimandi di cui sopra. Ovvero Laurini prova a fare come Gazzè, Fabi e Cristicchi sia per le parole che per alcune scelte “minimal” delle sonorità ma non prova ad “esagerare” e questa mancanza di “coraggio” lo lascia dietro le linee dei più famosi e quindi c’è il rischio che si possa dire “ma quindi se è tipo X, ma perché non ascoltare direttamente l’originale?!” Spiace perché i presupposti per un buonissimo lavoro ci sono in questi dieci brani, ma sono elaborati poco, o meglio, sono elaborati meno di quanto si sarebbe potuto fare. Comunque sia alcuni brani più caratteristici di altri sono “Poeta”, “Menomale”, “Mariarosa”, “Fra diavolo” e “Oggi è un giorno bellissimo”. Come sempre date un vostro ascolto e decidete quali sono i brani a voi più confacenti. Concludendo un debutto nel complesso piacevole, ma che ha ampi margini di miglioramento. La mio più grosso consiglio a Laurini è di decidere se puntare più sulla parte compositiva o su quella delle parole, dato che le composizioni non sono “oltre standard” e quindi portano l’artista a restare adombrato da altri, per i testi: anche in questo caso osar di più ed andare più sul surreale o sulla protesta in modo più aperto, il rimanere a mezza via tra uno e l’altro lascia sempre un pelino l’amaro in bocca. Per il resto un cd che si lascia ascoltare e vi potrebbe aiutare come colonna sonora per una scampagnata domenicale.

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NEHET

“Mutilation” GENERE: Brutal death ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 49/100 RECENSORE: Alessandro

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La band dal nome Nehet altri non è che il nuovo moniker con cui i Blessed Dead hanno deciso di proporsi al pubblico in questo 2014 proponendo del brutal death con palesi rimandi alla vecchia scuola. Tre i brani che compongono “Mutilation”, interamente autoprodotto, registrato e mixato in sala prove, e che quindi presenta una produzione alquanto grezza e con fortissimi punti su cui lavorare ancora. I pezzi, anche se pesantemente penalizzati dalla scelta della band di cui sopra, si presentano comunque con alcuni spunti di interesse, un death metal old school con rimandi al brutal, ben strutturato e di facile impatto. Ovviamente doppia cassa e blast-beat come se non ci fosse un domani, basso sincopato e mitragliante e riff di chitarra quadrati e taglienti contornati dalla voce da “uomo nel tombino” del cantante. Spiace solo che questa scelta, non so se dettata dalla fretta, dalla pecunia o se è stata una scelta consapevole e mirata li abbia mostruosamente penalizzati. Credo fermamente che se avessero fatto un paio d’ore in sala di registrazione o se quantomeno avessero ripulito leggermente le tracce registrate in sala prove avrebbe potuto permettere di apprezzare al meglio la proposta dei Nehet. Sinceramente mi spiace sempre un po’ dover “stangare” un esordio, ma purtroppo a mio avviso la produzione e le registrazioni non permettono altro che dover dare una valutazione bassa rispetto a quelle che sono le potenzialità della band che sta proponendo in questo momento. Speriamo che in futuro la band decida di entrare in sala di incisione e quindi di poter dare una forma migliore a quelle che sono le capacità e le abilità che i tre hanno. Spero in un futuro prossimo di poter ascoltare un nuovo lavoro dei Nehet, più maturo e strutturato di questo oltre che più lungo, auspicando che la band faccia tesoro di quanto scritto in questa recensione, perché va bene il fare death old school, ok puntare di nuovo alla registrazione con gli strumenti e lasciando un pelo perdere l’elettronica, ma così è un filo troppo esasperato il pensiero e si perdono delle abilità che la band ha certamente.

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RISING SILENCE “Rising silence”

GENERE: Metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

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I Rising Silence sono una metal band proveniente da Cagliari con poco più di due anni di vita e ci propone questo EP omonimo di 5 tracce, autoprodotto ed uscito da pochi mesi. La proposta musicale della band è un meltin’ pot di generi che funzionano insieme in modo aggraziato e interessante. Ci sono spunti thrash, passaggi heavy classici e rimandi vagamente prog; il tutto viene “incorniciato” dalla voce aggraziata di una cantante che per fortuna fa valere le proprie capacità senza puntare a forzature ne in ambito lirico ne in ambito “estremo”. Il disco è composto bene nel complesso, forse alcuni assoli e alcuni passaggi tipicamente prog li avrei resi più snelli e meno “invasivi” per poter dare all’ascoltatore un rimando più diretto. Per la parte puramente “tecnica” direi che essendo all’esordio ed essendo completamente autoprodotto, il lavoro è più che discreto, magari in futuro alcuni accorgimenti per i piatti della batteria che risultano troppo presenti con le scie delle dinamiche e una minor secchezza sulla cassa durante alcuni passaggi di “solo” di doppia cassa. Inoltre magari varrebbe la pena di fare qualche variazione sulla voce, dato che all’ascolto di tutti e cinque i brani la voce risulta un pochino piatta e con pochissimi picchi di dinamica ma va detto che la voce non è monotona. Per il resto, ripeto, per esser un primissimo lavoro le chitarre e il basso hanno fatto un ottimo lavoro e le tastiere sono state inserite in modo assolutamente ottimo, ne assenti ne troppo presenti. Interessanti a mio avviso l’opener “Countless Nights”, “Deep white” e “Drifted angel”. Come sempre fate vostro il cd e ascoltatelo in modo da poter decidere di testa vostra quale possano essere i brani a voi più vicini. Concludendo questa mia recensione, consiglio a voi di ascoltare la band e di supportarla il più possibile ne vale la pena, alla band ripropongo gli spunti indicati poco sopra per migliorare e poter quindi emergere, dato che le potenzialità ci sono e le capacità anche. Magari alcuni assoli fateli più corti però ma solo per non appesantire l’ascoltatore. Promossi.

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SAISON DE ROUILLE “Deroutes Sans Fin”

GENERE: Dark/Sperimentale ETICHETTA: LP Cold Void Emanations, Le Crepuscule Du Soir, Heart & Crossbone Records, Opn Records/ CD Kaosthetik Konspiration Ocinatas Industries VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Tornano i Saison De Rouille dopo il loro esordio dal titolo “Caduta dei gravi”. Ritorna il tipico suono della band proposto nel primo lavoro di questa band Francese che ripropone questa marzialità oscura e questa deviante ossessione per trame agghiaccianti e al limite del delirio sonoro. Diciamo che sotto un certo aspetto la famosa frase “non guardare troppo nell’abisso, se no l’abisso guarderà in te” funziona con loro, quello che propongono è una caduta all’interno dell’abisso. I Saison De Rouille riescono, cosa non comune a mio avviso, a trasmettere sensazioni ed emozioni senza dover per forza cadere in meccanismi autocelebrativi e di difficile comprensione. Questo “Deroutes Sans Fin” propone delle sonorità e delle composizioni claustrofobiche e di ossessiva malia. Vien difficile parlare di composizione in senso stretto e di post produzione in senso stretto, la band crea una tela su cui confluiscono tutte le emozioni sonore e intrinseche a loro in modo da portare l’ascoltatore nel loro personale Maelstorm di emozioni. Va detto che non vi sono situazioni tali da percepire una mancanza a livello fonetico o compositivo, come ho sottointeso sopra siamo nel campo di sperimentazioni sonore e di una certa musica vicina all’arte concettuale, quindi particolarmente fuori dagli schemi. Per chi mi legge da qualche tempo sa che ho l’abitudine di dare le canzoni che mi hanno colpito di più, personalmente questa volta devo dire che sono stato colpito da tutto il loro lavoro e che ho apprezzato ogni traccia, quindi più di altre volte vi invito ad ascoltare questo lavoro e a farlo vostro. Curiosità non da poco l’album è co-prodotto da sei etichette, in LP da Cold Void Emanations, Le Crepuscule Du Soir, Heart & Crossbone Records, Opn Records, e da Kaosthetik Konspiration e Ocinatas Industries in CD deluxe. Quindi fate in fretta dato che le copie non sono infinite.

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SEPTEKH

“Plan for world nomination” GENERE: Thrash death ETICHETTA: Abyss records VOTO: 86/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Dopo il loro EP di esordio da ltitolo “The seth avalance” e il secondo EP di un anno fa dal titolo “ Apollonian eyes” i Septekh, band svedese, arrivano a noi con questo primo album di poderoso death thrash con un certo sapore retrò. Musicalmente possiamo avvicinarli a band del centro Europa come Sodom, Kreator e Destruction, ma non fatevi forviare i Septekh hanno una loro anima ed un loro modus operandi per un “Plan for world nomination” anche perché la band non si ferma e non si limita a “riproporre” certe sonorità, ma le fa proprie e le “infetta” con altri generi e da la visione della musica dei Septekh come approccio certamente estremo ma non scevro da altri generi come il rock and roll. Tecnicamente nulla da dire proposta assolutamente sopra la media. Ogni singolo strumento si sente in modo ottimo e non ci sono particolari errori o mancanze, dal basso sincopato alla batteria a compressione, passando per le chitarre affilatissime e la voce al vetriolo. A dimostrazione che si può fare metal estremo senza perdere in qualità del suono. Ovvio non basta solo la qualità del suono bisogna anche a vere delle composizioni interessanti e la band ne ha veramente un sacco. Si passa dalle cavalcate con il doppio pedale a sonorità più rallentate del caro death and roll a canzoni quasi doom, per la formula rallentata e cadenzata, a brani tipicamente thrash anni 80 e death anni 90, il tutto condito con abilità e sapienza da soli veloci e taglienti e da bordate della sezione ritmica devastanti. Ho trovato interessantissime canzoni come “Going down in style”, “Don asshole”, “Left handed man”, “Saving grace”, la title track “Plan for world domination” e “Superheated liquid iron core”. Brani che posso sembrare usciti da differenti band, eppure è tutta farina del sacco dei Septekh, potrete saggiare le differenti variant e variabili che compongono questo piano di dominazione del mondo e in contemporanea anche le abilità musicali della band Svedese. Concludendo, ottimo esordio e devo persin dire che il titolo è azzeccatissimo, questo è certamente un piano per la dominazione del mondo da parte dei Septekh e se continueranno così certamente li centiremo ancora e ancora.

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VORZUG “I am hell”

GENERE: Death/black ETICHETTA: Apollyon entertainment VOTO: S.V. RECENSORE: Alessandro

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I Vorzug sono una band proveniente da Phoenix in Arizona, formatisi quest’anno e tra le loro fila troviamo membri di Blood Haven, Kult of Thorn, The Lustmord e persino Green Jelly. I Vorzug sono usciti da poco con questo singolo “ I am hell” che riporta di fatto l’ascoltatore ad un certo death metal misto a brutal e black dei primi anni 90, ma con la declinazione sonora di questi anni. Ma entriamo nel merito della traccia: basso batteria e chitarre registrate in modo egregio, si sentono dalle prime alle ultime sberle sonore uscire dalle casse senza dare tregua all’ascoltatore, fa da cornice la voce gutturale, profonda e cavernosa che determina un’ulteriore colpo alla cistifellea di chi sta ascoltando. Unica nota negativa: è solo un brano ed è poco, ci si appassiona già dai primi secondi della canzone a questi Vorzug ed al loro “I am hell”. Quindi, più per rispetto per le altre band che ci hanno mandato molto più materiale ,in fattore non solo di qualità ma anche di quantità, mi trovo a dover non dare alcu voto, ma non perché non sia materiale degno di voto ma solo perché essendo una sola canzone è troppo poco per poter dare una valutazione paritaria a chi ci ha proposto, a parità di qualità, almeno quattro volte tanto di canzoni. Concludendo, ed aspettando l’uscita di un EP o di un album, pollici e corna in alto per i Vorzug e aspettiamo che facciano uscire il loro inferno.

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WITCH CHARMER “The great depression”

GENERE: Stoner/Doom ETICHETTA: Argonauta records VOTO: 79/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Witch charmer dopo l’EP “Euphoric curse” hanno deciso di proporre il nuovo lavoro puntando direttamente ad un cd completo, quantomeno per durata, composto da cinque tracce più una ghost track; questo loro album di esordio si chiama “The great depression”. Witch charmer sono inquadrabili nel filone Doom / Stoner con rimandi occulti e dark. I Witch charmer sono una band inglese e risentono alcune influenze della loro terra nella composizione, band del calibro di Cathedral e Black sabbath, giusto per far due nomi, e propongono una formula leggermente differente da quella del classico stoner e del classico doom. Ma andiamo per gradi ed entriamo nella loro “The great depression”. Come dicevo poc’anzi la particolarità della band è la voce della cantante, si avete letto bene la voce DELLA cantante che ha carisma, stile, grazia e la passione per i brani interpretati. Inoltre della band non c’è solo lei a cantare, ma di cinque che sono, ben quattro cantano, rendendo ancora più particolare le tracce. Per il resto abbiamo gli standard dello stoner e del doom che si mischiano in modo sinuoso e che rendono accattivanti le note della “grande depressione”. Chitarre granitiche e corpose, un basso blueseggiante e carico di malinconia e una batteria rallentata e ossessiva. Buona la scelta pot produttiva e di mixaggio. Personalmente ho amato tantissimo “The cull”, “A watchin of wolves” e “…To death (I’ll drink)” a dimostrazioni delle abilità della band e dei loro membri. Concludendo ottima prova per la band che propone qualche cosa di differente e di fresco, pur restando saldamente legata alle tradizioni del doom anni 70 e 80 e allo stoner. Fossi in voi non me li farei scappare e li seguirei il più possibile, specie se tra i miei gruppi preferiti ho gli Acid king, i Purson e i Goatsnake & electric wizard; ne vale la pena.

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GENE

“The wheel of need” GENERE: Avantpop ETICHETTA: Geograph VOTO: 81/100

records 010

RECENSORE: DroB

Bluesy, acido, antipatico, geniale, dissacrante. E’ così Gene, al secolo Jevgenij Turovskiy dal Kazakistan, song writer distorto ed eclettico. Le trame sono semplici ma i concetti, il modo di esprimersi, l’esecuzione ed i rimandi sono pazzeschi. Un album di 12 tracce che sono impressioni, frammenti di vita e come tali variegati e disturbati. Scretch e passi, interventi di field recording, strumenti acustici del blues delle origini e campionamenti dissonanti, questo ed altro ancora nei passaggi incredibili che sviluppano questi brani. Voci alla Les Claypol, voci spezzate e rotte che rimandano a P-Orridge, in una mescolanza di generi ed atmosfere in cui è facile perdersi. Difficile staccarsi da certe litanie psichedeliche, difficile star dietro alla tracklist poiché rapiti e disturbati (appunto) da tutte queste stimolazioni, si procede nell’ascolto come in una trance dalla quale non sappiamo (e forse non vogliamo) uscire. Per palati fini bizzarrie da gustare.

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LAURA LALLA DOMENEGHINI “Due”

GENERE: Songwriting/ Pop ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 78/100 RECENSORE: Drob

Una piacevole conferma il nuovo album della Lalla Domeneghini. Questo “Due” - bello anche il titolo leggibile in più lingue - conta 10 brani dalla scrittura piacevolmente aperta, alle influenze, alle tendenze, luoghi e suoni. Si respira il Nord Europa, una fredda ventata di emozioni, a volte rarefatte e malinconiche.. a volte più carnali e vicine, “You Always Say” in cui la melodia e la timbrica sfiorano il soul più puro delle origini. Le chitarre di “Behind The Mirror” così mentali, il piano romantico, guidati da una voce sofferta rimandano ai Portishead dei primi anni. L’orchestrazione di Losing è stupore: teatralità, suoni asciutti ed acustici, voci in sovrapposizione ed una matrice pop anglosassone. Una ricetta vincente. Un piacevole dono nel finale, un remix elettronico di The Storm, facilmente ascrivibile ad una colonna sonora come quella di Drive (N.Refn, 2011). Non si può aggiungere molto altro per non svelare tutte le bellezze di questo lavoro. Ascoltatelo.

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MANO

“La pulce nell’orecchio” GENERE: Cantautorale ETICHETTA: La sete dischi VOTO: 70/100 RECENSORE: DroB

Porgere così elegantemente una pulce nell’orecchio dell’ascoltatore denota stile,maturità e spessore. Una voce proveniente dal coro,a volte indignata, altre desolata, una timbrica che rimane impressa proprio perché ci fornisce note e dettami che ci fanno pensare. Cosa ne direbbe Freud del livello raggiunto dalle nostre relazioni sociali? Cosa direbbe della vita che conduciamo, della libertà in solitudine? Questi ed altri quesiti posti nell’album, condito da orchestrazioni folk di rimando alla nostra grande tradizione cantautorale svernata però nei suoni, più moderni e di attitudine quasi danzante “Distanza Perfetta”, “Incerta ad ostacoli” , psichedelici in alcuni episodi “Grande Provincia”. Ogni brano rafforzato da testi interessanti, costruiti su immagini forti “C’era tanta energia sciolta dentro alle birre” o sarcastiche “Girare a vuoto come un’auto della polizia la Domenica”. Da ascoltare con attenzione per trovare molti altri spunti di riflessione e sentirsi solidali come sempre più raramente capita.

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PERTEGÒ “Stations”

GENERE: Post rock/ elettronica ETICHETTA: Collapsed Records VOTO: 71/100 RECENSORE: DroB

Epica ed epopea. L’una compenetra nell’altra, in un equilibrato viaggio tra racconti e canti che fondano una storia, o la storia. In questo caso abbiamo la nostra storia, l’interpretazione che i malinconici Pertegò ne fanno, ben consapevoli che l’uomo sta aggredendo la natura. Per questo le arie sono così maledettamente tristi eppure tradiscono sonorità di speranza, un po’ come succede ascoltando band come Mogwai o simili. Sempre in bilico tra la disperazione sovrastrutturata dalla moltitudine di suoni ed un flebile sottotesto ottimista che troviamo in certi accordi, in determinati suoni soltanto. Ed è quello che forse colpisce di più del genere: non sapere cosa, quando e come ci commuove ed emoziona ma essere sicuri del suo arrivo, della sua presenza. Solleticano le corde giuste i Pertegò, sanno scrivere grandi excursus strumentali, costruiti su pattern semplici ma che piano si intersecano e prendono strade sorprendenti mentre le orchestrazioni montano verso un muro sonoro di matrice, appunto, post rock. Esemplificativi in tal senso “Eighth Morning”, con voci sigurrossiane e melodie quasi sacre. “Idiosyncracy” col suo incipit quasi industriale ed una batteria cadenzata e potente, “The Descent” con chitarre in delay che rimandano alla new wave. Non del tutto nuova l’idea di insistere su vocalizzi di una lingua sconosciuta, la titletrack “Stations”, ma pur sempre rafforza l’idea che questi percorsi musicali sono infiniti e possono prendere deviazioni continue che solo l’ascoltatore attento, dotato di bussola, può seguire.

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SUGAR KANDINSKY “Sugar Kandinsky”

GENERE: Post rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 50/100 RECENSORE: DroB

Dichiaratamente ispirato al vasto bagaglio post rock, questo ep della formazione di Parma non convince innanzitutto per la freddezza che impatta al primo ascolto e rimane impressa per la durata dei 4 brani. Una freddezza nell’esecuzione, penalizzata forse dal lavoro in studio (a volte gli strumenti si inseguono o zoppicano rendendo difficile lasciarsi andare alle atmosfere) e nella scelta dei suoni, nonostante la bellezza indubbia di alcune armonie (“Canadian Pieces”, “Gocce invisibili”). Non si riesce ad entrare del tutto nel mondo Sugar Kandinsky, si percepisce una rarefazione appena accennata che non diventa cifra stilistica - di contro non si raggiunge la stratificazione e la violenza sonora tipiche del lato più rock che post (come in Mogwai ad esempio). Insomma, un lavoro in fase di test, alla ricerca di un proprio linguaggio che dovrà modellarsi con l’esperienza, lavorare sui suoni con attenzione perché la materia che si sta plasmando è delicata. Ci sono però i presupposti, le atmosfere e sicuramente delle idee.

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WINTER SEVERITY INDEX “Slanting Ray”

GENERE: New wave/Dark ETICHETTA: Manic Depression VOTO: 68/100 RECENSORE: DroB

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una conferma. La conferma che certe sonorità, nonostante i detrattori, il tempo ed altri agenti atmosferici cerchino di dimostrare il contrario, non scompaiono mai del tutto perché troppo importanti. Si può ovviamente riconoscere a questa formazione romana un netto ed imponente background che affonda le radici negli 80, ma il saper scrivere brani maturi e solidi nei suoni e nelle melodie non è da tutti, non è semplice. ci si avvale di strumenti o almeno suoni che ben conosciamo, batterie campionate stile 808 e chitarre flanger che abbiamo visto in mano ai The Cure (e non solo), i bassi incessanti che sostengono melodie straziate, altre semplicemente romantiche purché scure. Un lavoro completo e complesso, da cui estrarre come denominatore “At Least The Snow” (brano d’apertura) che ci introduce alle atmosfere e soprattutto alla voce di Simona Ferrucci dalla timbrica grave ed uggiosa. Memorabile e gustoso il sassofono in “Ordinary Love”, potenziale (o effettivo) singolo. “The brightest Days” è altro manifesto del genere: i Sister of Mercy nel loro incedere ossessivo miscelato a toni arabeggianti come se R.Smith ne facesse delle reinterpretazioni. Buoni synth evocativi in “Lighting Ratio”, a supporto della già importante chitarra ed una melodia sicura. Inutile svelare altri dettagli che si possono si immaginare, ma che si consiglia di ascoltare nella loro profondità in special modo ai nostalgici della dark wave.

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EVERSIONE

“Un istante di fervore” GENERE: punk, hardcore, metal e post core ETICHETTA: VOTO: 85/100 RECENSORE: Lidel

Eversione è una band con influenze punk, hardcore, metal e post core dotata di una buonissima tecnica individuale, l’album si chiama “Un istante di fervore” ed i 6 pezzi sono cantati tutti in italiano. “Nerosangue” è il perfetto biglietto da visita del combo in questione:velocità a rotta di collo, musica ben suonata, violenza ed intelligenza ben dosate, “Neve” ha delle belle chitarre che si collegano molto al punk con degli indovinati cori, “Un istante di fervore” prosegue sulla scia della canzone precedente con inserimenti di ulteriore violenza, gli altri 3 pezzi. Continuano su questo stampo, menzione all’ultima traccia “L’ultimo addio” dedicata a Paolo Mazzei, una canzone con una punta di malinconia. Il gruppo è valido, i testi non sono banali, bravi!

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LAB ELEVEN “Facebreaker” GENERE: Death ETICHETTA: VOTO: 70/100

metal/ hardcore/ thrash

RECENSORE: Lidel

I Lab Eleven sono una band che, partita dal death metal, ha inglobato influenze thrash e hardcore nella propria proposta. L’ep di 5 pezzi si chiama “Facebreaker”. “Xenophobic branders” dopo un intro lungo ma piacevole lascia spazio ad una voce gutturale, in piena tradizione richiesta dallo stile, “Mother” è la classica fucilata, “Violent multi ejaculation” è affine a territori porno gore, “The greed killing” è la canzone piu’interessante dell’ep che mette in mostra le notevoli capacità tecniche della band, l’ultimo pezzo “The novice butcher remix” lo considero inutile. La band secondo me ha grandissime capacità e se provasse ad usare una voce meno da “maiale sgozzato” ne potrebbe trarre molto giovamento. Un plauso all’artwork molto ordinato e pulito.

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RECENSIONI TIC TAC BIANCOCONIGLIO “Sasso di fiori - vol.1&2” GENERE: Alternative ETICHETTA: VOTO: 75/100 RECENSORE: Lidel

I Tic Tac sono una band che affonda le sue influenze nei primi cccp, nei disciplinatha ed in generale nella vera scena alternativa italiana di inizio anni 90. “Anima fuggente” è l’esempio di quanto appena scritto: anche lo stile della voce ricorda da vicino quanto proposto in quegli anni, “Oblio interiore” sembra quasi una bizzarra jam session inacidita da rock ed influenze electro, “Sasso di fiori” potrebbe quasi essere chiamata “post pop” per via delle atmosfere desertiche ed anche sommesse, la seconda parte di quanto mi han dato (anche questa senza nome), dopo un intro, continua con quanto fatto nella prima metà recensita prima, “Mani di gesso” è quasi una non canzone nella sua costruzione, “Bagliori felpati” è quasi noise, le ultime 2 canzoni nulla tolgono e nulla aggiungono. Come giudicare questa opera? Di sicuro bisogna premiare la band per il coraggio dimostrato nel seguire strade battute poco, quindi se cercate la vera musica alternativa, dovete ascoltare i Tic Tac. Viceversa se volete fare gli alternativi solo a parole, non vi potrebbe piacere questa proposta.

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DAY AFTER RULES “Innocence”

GENERE: Melodic punk ETICHETTA: VOTO: 90/100 RECENSORE: Milo

E’ prevista per fine mese l’uscita di INNOCENCE, nuovo capolavoro dei DAY AFTER RULES che,a distanza di 3 anni,hanno deciso di dare un seguito a WHATEVER HAPPENS,NO REGRET. La storia dei DAR parte da molto lontano , infatti correva l’anno 2002 quando Giulia (chitarra-voce) e Fabio (basso) diedero vita a questo progetto che negli anni ha avuto modo di crescere ed evolversi fino a trovare la stabilità con l’ingresso di Gio alla batteria;e devo dire che l’affiatamento dei tre si sente tutto a livello compositivo. La prima cosa che si nota infatti,ascoltando i 7 brani che compongono INNOCENCE,è proprio la maturazione del gruppo a livello compositivo. Le canzoni sono tutte ben strutturate e le melodie,seppur più ricercate,mantengono la genuinità del suono spontaneo che ha sempre caratterizzato le canzoni di questo trio. Fin dal primo ascolto INNOCENCE è un disco che cattura , anche se a mio avviso necessità di più ascolti per essere veramente capito e amato fino in fondo. Che altro aggiungere? Il Disco verrà presentato il 31 Ottobre.. Io ci sarò… e Voi??

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