UndergroundZine febbraio 2014

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ODATTO “Odatto”

GENERE: Punk - hc melodico ETICHETTA: Indiebox VOTO: 75/100 RECENSORE: Milo

E’ uscito il 1 Ottobre scorso,in versione digitale,il secondo lavoro degli ODATTO,gruppo punk proveniente da Parma e formatosi nel 2004. L’album e’ stato largamente anticipato dal video di “FINIRA’ COSI’”, primo singolo estratto e da una lunga sessione di concerti estivi. Le sonorità che caratterizzano l’album sono prettamente hardcore, con cantato in italiano, scelta difficile ma molto coraggiosa e sicuramente da apprezzare. Davvero ottimi i riff melodici di chitarra che si uniscono ad una ritmica di basso e batteria tirata al limite immaginario che divide l’hc dal metal, limite che a volte viene superato da fills di batteria davvero potenti. L’album, registrato presso L’INDIEBOX MUSIC HALL di Brescia, risulta essere davvero un buon prodotto e segna un gran passo avanti per gli ODATTO, che sicuramente ci sapranno stupire in un futuro prossimo.

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NASTY LAUGH “A troubled loveline” GENERE: Hc melodico ETICHETTA: VOTO: 78/100 RECENSORE: Milo

I NASTY LAUGH nascono nel 2005 e dopo qualche assestamento alla formazione, nel 2011 incidono questo ep intitolato A TROUBLE LOVELINE. Secondo EP che segna una maturazione a livello di sonorità del gruppo e che li ha preparati alla registrazione del loro terzo lavoro in studio che uscirà nell’arco di questo 2014... Sei sono le canzoni che formano questo bel prodotto caratterizzato da sonorità hardcore melodiche con grossissime ispirazioni alle sonorità californiane ed ai gruppi della FAT WRECK. Le canzoni mi ricordano moltissimo( ed in certi punti anche troppo) i primi lavori dei LAGWAGON( PERFECT BOY) e NO USE FOR A NAME (MIRROR).. ma c’è anche un qualcosa che mi fa ricordare le prime canzoni dei SATANIC SURFERS nel periodo di HERO OF OUR TIME (metà anni ‘90). Le canzoni sono davvero di ottima fattura, la tecnica c’è e si sente, questi ragazzi sanno come costruire e arrangiare una canzone, e lo dimostrano senza tanti problemi in questo EP, mantenendo un livello pressochè alto in tutte le 6 canzoni. Non vedo l’ora di ascoltare il loro prossimo lavoro perchè di certo sapranno stupire e ci regaleranno nuove bellissime canzoni da ascoltare e cantare a squarciagola nei loro live in giro per l’Italia... Consigliatissimi!!!

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HARD EVIDENCE “Last one standing”

GENERE: Street punk - punk oi! ETICHETTA: rebellion records-longshot music VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

Uscira’ il 31 di Gennaio il primo album degli HARD EVIDENCE, gruppo di ST LOUIS formatosi nel 2013!!! “LAST ONE STANDING” e’ il titolo dell’album che ci porta in un viaggio lungo 8 canzoni attraverso sonorità STREET e OI! Ed ha tutto quello che un appassionato di questo genere musicale può chiedere ad un gruppo come gli HARD EVIDENCE. La promozione dell’album sarà curata da REBELLION RECORDS per quanto riguarda l’Europa e da LONGSHOT MUSIC per la promozione negli states.. Vorrei sottolineare il fatto che il gruppo si è formato neanche un anno fa.. solo questo può bastare per soffermarsi ad ascoltare la loro musica!!! Will be released on 31th January the first HARD EVIDENCE’s album, a ST LOUIS band born in 2013. LAST ONE STANDING is the title of the album that bring us into a trip through 8 STREET and OI songs and this is everything that we can ask to a band like HARD EVIDENCE. The album’s sponsorship will be look after by REBELLION RECORDS (EUROPE) and LONGSHOT MUSIC (USA).. I’d like to highlight that HARD EVIDENCE was born less than one years ago.. it all we need to stop by and listen to their awesome music.

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GOOD FOR ONE DAY “Time and again”

GENERE: Alternative rock-pop punk-hc melodico ETICHETTA: Indiebox VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

Ritornano a 3 anni di distanza dal loro ultimo album i vicentini GOOD FOR ONE DAY, che con TIME AND AGAIN danno un seguito A STORY NEVER TOLD, loro primo full lenght. Ed è proprio con questo secondo lavoro, registrato all’HATE STUDIO di Rosà (VI), che i GOOD FOR ONE DAY confermano le loro abilità sonore e dimostrano di aver raggiunto una maturità sonora da invidiare. L’album è formato da 12 tracce , di cui una strumentale, caratterizzate da un mix di sonorità che spaziano tra l’hc melodico e l’alternative rock.. il tutto cantato rigorosamente in lingua inglese. Che siano pezzi adrenalinici e veloci come “DEAD WRONG” o pezzi melodici e lenti come “LEFTOVERS” i nostri GOOD FOR ONE DAY riescono a trovare il modo di farci soffermare sulle loro canzoni e di ascoltarle a più non posso. Davvero un ottimo lavoro!!!!

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STRANGE CORNER “XX”

GENERE: Hardcore, thrash metal ETICHETTA: Hot steel records VOTO: 80/100 RECENSORE: Lidel

Gli Strange Corner possono essere definiti senza possibilità di errore come una band storica, in quanto la loro avventura è iniziata nel 1993. L’album si chiama “xx” e ci sono 10 pezzi intrisi di hardcore, thrash metal, cattiveria, tecnica. Particolarità è il cantato in italiano. Band di riferimento: haunted, hatesphere. “Vorrei” dà subito il benvenuto con una sberla da far girar la testa tenendo fermo il corpo, “Vivere la mia vita” affonda nel thrash piu’ ignorante degli anni 80, “Quando meno te lo aspetti” continua su quanto sentito prima, “Guardami negli occhi” ricorda tantissimo gli slayer piu’ tirati, “Sotto attacco” ha un break centrale hardcore alla massima potenza, i restanti pezzi continuano con quanto sentito prima. Una band da vedere dal vivo per poter godere appieno di quanto sono capaci di sprigionare.

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RAGING AGE

“Regions of sorrow” GENERE: Thrash, ETICHETTA: VOTO: 90/100

death metal

RECENSORE: Lidel

I Raging Age sono una death metal band di bari attiva solo dal 2011 e già capace di raggiungere dei buonissimi risultati come la partecipazione all’extreme death festival assieme a vere e proprieicone come Obituary, Sinister, Forgotten Tomb o come opening band dei Natron. L’album di 10 pezzi si chiama “Regions of sorrow” ed è edito dalla Wormhole Death che distribuisce l’album in europa, giappone e nord america. Il primo pezzo “Cerberus” ha dei rimandi al death mischiato con un pò di “melodia” e al thrash metal, “Regions of sorrow” è un pezzo che nel suo incedere mid tempo non lascia scampo fino all’esplosione blast verso il minuto 2:10 per poi ritornare alla velocità iniziale, “Hail horrors” martella senza pietà le orecchie dell’ascoltatore, “The slaughter” è una strumentale di 85 secondi ben fatta, “In the gloom of the cave” ha un riff molto american style e la canzone potrebbe ricordare quasi una produzione simil metalcore (non becera per fortuna) con innesti thrash metal, dopo 2 pezzi troviamo un’altra bella canzone strumentale di 103 secondi “m.o.h” che da sola basta per ridicolizzare intere discografie di band senza talento, infine ci sono altri 2 pezzi che nulla tolgono o aggiungono a quanto sentito. A me personalmente la band è piaciuta parecchio, la resa sonora è ottima, la voce è molto convincente ed il livello tecnico complessivo è davvero alto. a corollare il tutto c’è la precisa volontà dei ragazzi di non voler copiare e basta ma di metterci del proprio e ciò si sente. Ben fatto!

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VIOLA SINAPSI

“Rivoluzioni composte” GENERE: Italo ETICHETTA: VOTO: 55/100

indie noise

RECENSORE: DroB

Ammettiamo per un momento di esserci imbattuti in questo lavoro per caso, rinvenuto chissà dove e perché. La copertina molto interessante lascerebbe presagire un album intenso e ben articolato. Ci troviamo disillusi davanti a soli 4 brani che sembrano piuttosto degli appunti per il disco a venire. Ed in effetti la curiosità di ascoltare dell’altro nasce spontanea. Leggere nelle note “indie” e “noise” non suggerisce però pienamente ciò che sono i toni dell’EP. Le quattro tracce in effetti aprono scorci più su di una moderna contaminazione tra alternativo italiano e grunge, con episodi di elettronica di supporto e ben dosata. Ottimi suoni ed un missaggio professionale, interessanti le soluzioni di chitarra (Ladynutella) anche quando l’approccio è più romantico ed acustico (Canzone di mezzanotte) e l’accompagnamento del piano o dei sintetizzatori, che, non me ne vogliano gli autori, risultano essere la parte più interessante e catching dell’album, come se in qualche modo l’elettronica da ornamento diventasse scoperta e soluzione per i brani interi, rimandando ad una più moderna psichedelia romantica. Si, perché nonostante l’evidente amore per il noise, le quattro canzoni forniscono un’idea piuttosto pop del progetto, come se l’espressione sopita fosse nella ballad piuttosto che nel rock. Efficace allo stesso modo l’arrangiamento del brano di apertura, in cui le pause riflessive, i momenti più “calmi” porgono all’ascoltatore delle gemme nel contesto di un genere che forse si conosce e non stupisce, come non sempre stupisce e colpisce il timbro vocale e l’uso della metrica, alla mercè della ritmica con soluzioni a volte non riuscite e, appunto, troppo italo-rock. L’alternanza di questi differenti momenti però, è probabilmente la forza di questo quartetto di Caltanissetta che vogliamo sperare stia lavorando ad un nuovo album in cui far confluire con maturità tutte le idee di cui questo è solo un piccolo aperitivo.

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SIVA

“Argomenti che non vi interessano scritti con i piedi” GENERE: non-cantautorato, ETICHETTA: VOTO: 70/100

recital, folk

RECENSORE: DroB

La presentazione di questo anti-artista anti-eroe non-musicista è tutta un programma. In un mondo in cui l’artista indipendente si perde nell’oceano di internet, del download, della pirateria e della decadenza della copia fisica degli album, SiVa (al secolo Simone Vacatello) non-cantautore calabro-romano -e con questo abbiamo esaurito i trattini per oggi -, pubblica Argomenti (…) su supporto igienico. Lo spazzolino da denti. Come dargli torto? almeno, se il disco non dovesse piacere, si può sempre considerare di aver comprato qualcosa di utile. Ironia e sarcasmo, dissacranti poesie stese e sciorinate su tappeti folk universali. Ci sono episodi recital, canzoni finite e brani appuntati. Ma piace così, un giullare alla corte delle donne, un menestrello dell’amore, il cantore dei danni che la società contemporanea sta provocando ai fegati ed ai gattini. Riferimenti classici e contaminazioni di lingua (Mademoiselle Strap-on) che ricordano il comico in Buscaglione. Non manca poi la modernità, in Cena esistenzialista SiVa ci propone un arrangiamento elettronico che ben si fonde con la melodia e argomento trattato, uno studio attento alle deviazioni alimentari. In Religione tecnica invece si fa beffa degli argomenti religiosi e di un dio distratto dalle nostre stesse distrazioni, mentre il brano quasi reggae ci accompagna leggeri verso la follia. Infatti ci pare ad un certo punto di sentire subliminale la sigla di Ken il Guerriero, ma forse ormai il nostro apparato uditivo sta affrontando un viaggio in solitaria e sente cose totalmente inventate suggerite dall’estro del cantautore che cantautore non è. Ci tiene a specificarlo sottolineando che suona per hobby soprattutto per scongiurare la minaccia dell’angelo della morte che guarda solamente agli artisti, ai cantanti in particolare o comunque a quelli maggiormente sotto i riflettori. Una panoramica efficace e disincantata sulla realtà contemporanea, focus sul microcosmo che è Roma, con piglio sagace ed acuto, mai saccente. A seguire, dj set.

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SILVIA FUSE’ “Heavenly Love” GENERE: Pop ETICHETTA: VOTO: 50/100 RECENSORE: DroB

Un album maturo quello della Fusè. Indubbio gusto nella scelta delle soluzioni per arrangiamenti e melodie. La sua voce assoluta protagonista pop che sapientemente piazza canzoni già classiche, equilibrate nel contesto di una musica che nasce adulta, che non ha mai sofferto delle crisi ormonali dell’adolescenza. Suonando questo disco si riceve netta la percezione dell’esperienza, di chi ha maturato questa musica sul campo senza fronzoli. Si diceva degli arrangiamenti, perfetti quasi. Una pulizia sonora ed una professionalità ineccepibile, ogni strumento suonato con la giusta intenzione ed una dinamica ben bilanciata rispetto all’intera orchestrazione.Ottimo groove, chitarre e piano elettrico funk, qualche synth di ornamento e la voce sempre potente, molto calda dal timbro assoluto. Possiamo passare da esempi soul a brani interamente popular (Just a girl in tow) quasi senza accorgercene, chiudendo velocemente fuori dalla porta di casa il rumore. A volte però il rumore serve, riempie, sorprende. Attitudine e parecchia Motown (Butterflies in my belly), l’impressione è che ci si trovi davanti, appunto, ad un classico. Per gli amanti del genere.

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MATTEO CINCOPAN “Passati futuri”

GENERE: Prog-avant-cantautorato ETICHETTA: VOTO: 83/100 RECENSORE: DroB

Veloce verso il futuro con un occhio attento al retrovisore. Questo trasmette l’album del cantautore Matteo Cincopan, col suo buon gusto compositivo, il suo variegato approccio alla musica ed alle parole. Un progressive che non è progressive, finalmente fuori dall’emulazione pedissequa dei grandi nomi - e suoni - del settore: asservire le soluzioni strumentali, i cambi di tempo e di registro alla funzionalità di brani che hanno le potenzialità di grandi canzoni, come in passato si scrivevano. Ma non è del passatismo che si sta trattando in questa sede. Si tratta di pensare, concepire un album ed un progetto che rimanga scolpito nella memoria con ritornelli corali importanti come quelli di Rino Gaetano (Il cratere del tempo), con attitudine alla Subsonica (Macchie di colore) ed orchestrazioni alla PFM (Agosto). Solo per fare dei riferimenti, dare delle coordinate per portare l’ascoltatore nella dimensione cosmica di questo autore che potrebbe fungere da stele di rosetta per far si che la musica colta sia tale anche oggi che ne sentiamo il bisogno. Per riportare Morgan da pagliaccio del varietà a musicista. Grandi riff e controcanti di chitarra, organi, piani elettrici avvolgenti e percussioni senza tempo il tutto condito e legato dai testi mai scontati, cantati egregiamente anche nei momenti - rari - in cui la voce è calante o più fragile (Domani è ieri). Neoclassicismi in chiave sintetica, episodi strumentali che non tradiscono una cultura composta di Cream (Correre) o Pink Floyd (Spazio liquido) -sempre solo per fornire coordinate- dove si fatica a non tornare indietro per riascoltare un suono o accordo forse sfuggito. Finalmente, dal futuro passato, un Homo Novus a ricordarci che la musica ha ancora tanto da dare.

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ENTOURAGE “Vivendo Colore”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Spinefarm/Universal VOTO: 65/100 RECENSORE: DroB

Facendo suonare improvviso quest’album in un pomeriggio uggioso l’incipit in Tappeto Volante mi ha quasi spaventato, perché ahimè ricorda il Grignani di Destinazione Paradiso. In realtà dopo i primi accordi e con lo sviluppo della melodia ci si accorge che il brano è una ballad introduttiva assai piacevole che poco ha da spartire col gianlucone nazionale ed è stata scelta come singolo di questo lavoro che esce per La Dura Madre Dischi. A conferma di questo, dalla seconda traccia ci troviamo davanti una band di rock alternativo, contaminato ma con solide radici nel rock italiano degli anni ‘90 - riferimento netto ai Marlene Kuntz quando erano una band seria che produceva musica seria - in piena atmosfera di contaminazione e sudore,panni stracciati e stile compositivo, mudhoney e verdena, bohémienne ed autodistruttività. Nulla di avanguardistico nei suoni quindi, melodie strozzate e simboliste che rafforzano strutture comunque solide. La sezione ritmica stratifica in maniera efficace le distorsioni che avvolgono quasi tutti i pezzi o le parti di pianoforte regalando una suggestione non totalmente grunge all’intero lavoro e concedendo lo spazio giusto alle parole che scivolano in questa declinazione di colori e violenza verbale in un romanticismo postmoderno, con echi ‘70 in frangenti più acustici e d’atmosfera. Le canzoni non sono semplici, non tutte almeno, e questo rende Vivendo Colore ancora più interessante. Non si spiega appieno la scelta di inserìre pezzi in inglese alternandoli alle tracce in italiano - Navarra -, scelta che, all’avviso di chi scrive, spezza un po’ l’equilibrio dell’album. Il trio siciliano sa scrivere, sa comporre canzoni con un particolare gusto narrativo ed una maturità che non è comune a molte band emergenti (Prima Luce). Probabilmente nella giungla internettiana la pecca più grande è proprio questo saper comporre senza discostarsi troppo da modelli maturi e stabili, col rischio altissimo di non venir distinti o notati. A giudicare però dallo spessore di alcuni brani (Brigitte) si può scommettere che il loro percorso sia ancora tutto da scoprire e potrà riservare delle piacevoli sorprese. Solo Kronos potrà svelarcele.

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BLUNEPAL

“Follow the sherpa” GENERE: Rock sperimentale ETICHETTA: Wasabi produzioni VOTO: 76/100 RECENSORE: DroB

Dovevamo aspettarcelo, seguire uno sherpa può portarci a verità inenarrabili ma anche a follia completa. Il viaggio inizia qui, dalla base di quota, dove incontriamo la nostra guida ed il gruppo. Siamo al completo, tre. Perfetto, un power trio a ricordare intanto che pochi strumenti possono a volte quello che molti non possono: esprimere l’essenziale con un’intensità memorabile. And there were three, una dolce suite con incipit alla Air (ahimè, non si può non essere vittime del rhodes) che evolve in qualcosa di spaziale, progressivo, trascinante, una coda in crescendo dove sintetizzatori e batteria ci investono senza tregua. Incontriamo dunque il nostro animale guida, Rabbit e capiamo subito che il resto del viaggio non sarà facile. I suoni diventano più aggressivi, il basso incede con fraseggi dispettosi, ogni suono spunta dal terreno in diversi luoghi contemporaneamente. L’atmosfera è vagamente quella di una colonna sonora dei ‘70, che ritroveremo in altri momenti nell’intero lavoro. Questi BluNepal suonano scandagliando e superando le barriere di genere con una tranquillità estrema che l’ascoltatore non allenato avvertirà come vertigini. Ma molto piacevoli. Per evitare queste sensazioni dobbiamo continuare dritti in avanti, come suggerisce la quarta traccia. Il clap ci fornisce il ritmo, il basso il sostegno, mentre gli inviluppi dei synth ci parlano ed illustrano il paesaggio. Un reprise riprende il tema iniziale dello sherpa, forse un bene che si sappia che è ancora con noi, lo sherpa non ci abbandona mai. Percussioni e sintetiche urla sciamaniche ci introducono all’estro naive della seguente traccia, una digressione funk con tanto di fisarmonica e rhodes, ma sono gli accenti finali che risvegliano i sensi, in alternanza continua tra dialogo e violenza. Fed5 non è da meno, stessa formula ma con risultati sempre molto intensi, passiamo dalla sensazione di essere davanti un bistrot francese alla trincea in pieno bombardamento. Sezione ritmica essenziale seppure adotti soluzioni gustose e sempre attinenti, le melodie ci svelano finalmente dove ci troviamo: davanti al grande schermo, in effetti. Proiettano film importanti stasera, presente anche l’immancabile Morricone, le armonie si fanno narrative e possiamo figurarci la nostra storia, abbiamo campo libero. Ed i BluNepal a questo punto ci offrono la loro, con la personalissima versione di un classico dei Beatles, legati probabilmente a suoni d’oriente (sitar) ma anche alla intraducibilità del viaggio della vita. Domani chissà.

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3NODIGOMMA “3nodigomma” GENERE: Rock ETICHETTA: VOTO: 40/100

italiano

RECENSORE: DroB

Primo album autoprodotto per questa formazione rock sarda. Come si può leggere dalla biografia, il gruppo spazia facilmente tra new wave, cantautorato, progressive italiano e hard rock. Sicuramente la miscela di questi generi e le influenze molto diverse dei componenti hanno contribuito alla stesura di un album variegato e strutturato che però non convince del tutto dal punto di vista compositivo. La scelta di registrare un lavoro ambizioso in presa diretta poi, è di per se un rischio, a meno di non essere i Genesis e trovarsi proiettati nel 1972 ad esempio. Ma in questo presente il risultato può essere di ascoltare voci calanti e a tratti un po’ deboli, enfatizzate da riverberi naturali e strumenti molto distaccati, non amalgamati tra loro, a volte in distorsione. Il basso risulta avulso dal resto e la chitarra riesce a trasmettere la classica attitudine da falò in spiaggia. Sarà questa e altre ragioni a dare la percezione di un album stanco, con alcune idee (Dimensione senza tempo) che purtroppo vengono sommerse in un caos ordinato di melodie antiche e nomadi, stacchi progressivi già ascoltati ed un background preponderante di rock italiano che, onestamente, non sembra avere più nemmeno un glorioso passato.

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KABILA “Yallah!”

GENERE: Etno-rock ETICHETTA: Soffici Dischi-Audioglobe 2013 VOTO: 80/100 RECENSORE: Max

“doctor rock” Ugolini

I kabìla (che in arabo significa Tribù) sono un gruppo con radici ad Arezzo e in tutto il contesto arabo in particolare in Libano patria del cantante ,giunti al loro terzo albumi hanno sterzato su sonorità più elettriche ,sempre prodotti egregiamente da Massimo Giuntini (ex modena city ramblers ) e sui sintetizzatori con abilità ed equilibrio in un trip di suoni multicolori cantati in parte in arabo e in italiano,una sorta di viaggio in luoghi diversi e affascinanti,un mix di culture .In questo lavoro ci sono ospiti importanti che hanno dato un ‘ulteriore apporto alla qualità (mi si passi il termine ) del lavoro finito,ospiti come andrea chimentiRaffaello Simeoni e e Shady Hasbum (percussionista palestinese). Fra le tracce di Yallah(che significala lunga corsa) mi sento di segnalare sicuramente il brano che da il titolo all’intera opera senza poi dimenticare ”Dabkeh“,”Due stelle” cantata in italiano e in lingua dagarì da Gabin Dabirè grande musicista africano. Sicuramente un altro pezzo interessante è l’unica cover presente quella “Sidun” composta dal duo De Andrè/pagani eseguita davvero in modo splendidamente originale.Sicuramente il risultato finale è una formula musicale senza confini una sorta di invito ad andare “al di là del ponte “come recita un’altra splendida tracci che non è altro a superare certi schematismi sia nella realtà che nell’arte di creare musica.

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YERBADIABLO “It Doesn’t Work”

GENERE: Indie rock/punk rock ETICHETTA: Atomic stuff records VOTO: 89/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Yerbadiablo dopo l’album “Jester in Brick lane” del 2012 , hanno avuto un dopo un cambio di line up e gestito il fatto hanno iniziato a lavorare su nuovo materiale che ha ora una forma ed una sostanza dal titolo “It doesn’t work”. Oltre al cambio di lineup c’è anche il cambio di etichetta, ora sono sotto Atomic Stuff Records. I temi affrontati in questo album riguardano, come avrete ben capito dal titolo, questo nostro mondo che non funziona (It doesn’t work appunto): intolleranza, paura, violenza, ingiustizia e non solo anche temi di ecologia e di etica morale e di etica “mondiale” e tutto ciò viene messo in musica, insomma c’è di tutto e di più. Musicalmente hanno mantenuto lo spirito psichedelico e hard rock anni settanta, hanno mantenuto il meccanismo di canto sia in inglese che in spagnolo. Hanno mantenuto anche la cura per i suoni e per la post produzione dando all’ascoltatore un prodotto ben curato e ben realizzato. La opener “Hemp generation”, “El viparo”, “Eurozone”, “Black bird” , “Calavera y veneno” “U.S.A. (United State of Alienation)” e “Habemus punk” Sono le tracce che più mi hanno colpito complesse nella loro semplicità e dirette in modo particolarmente subdolo. Di fatto le canzoni di Yerbadiablo arrivano dirette, e tu pensi che con altrettanta facilità se ne andranno… Ma non è così. Le canzoni di questo album, in special modo, entrano nella testa e non ne escono facilmente e per il groove che hanno e per le emozioni che fanno scaturire. In chiusura come sempre alcune avvertenze di lettura: 1) fatevi la vostra top songs. Questo vuol dire acquistate il ce e date diversi ascolti in modo da farvi rapire dalle tredici canzoni di questo “It doesn’t work”, perché se il mondo non funziona questo album si. 2) Yerbadiablo continuate su questa strada, perché sono certo che avete trovato la formula ottimale per la composizione di materiale personale ed intimo che tocca l’animo dell’ascoltatore.

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TEARS OF REGRET “Tears of regret”

GENERE: Funeral-Dark- Doom-Black Metal ETICHETTA: Depressive illusion records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Band particolare questi Tears of regret, combo che sta tra la Giordania e l’Iraq. SI avete letto bene la band è in parte Giordana e in parte Irachena, le prodezze di internet permettono anche questi meccanismi virtuosi. La possibilità che membri di una band siano a chilometri di distanza ma che riescano ugualmente a poter forgiare nuove opportunità sonore. I testi sono stati scritti tutti da Odai in Giordania, mentre le composizioni da Fahad in Iraq ed hanno suonato insieme, con Husseion e Tareq, via Skype (non so se avete compreso bene). Ovviamente la band si augura di poter riuscire in un futuro, non molto lontano, di poter suonare insieme e di poter farlo da live. Quello che è uscito è un’alchimia di cinque tracce inedite ed una cover (Transilvanian Hunger dei Darkthrone) devo dire che la loro proposta è un vero mix di situazioni estreme; nel senso che mettere in contatto il dark, il doom e l’atmospheric è tutto sommato cosa abbastanza facile, non immediato ma neppure impossibile; ma far collimare tutto ciò con il black metal old style era veramente cosa inusuale e non di impatto immediato. Eppure questa band è stata in gradi di andare oltre le barriere della distanza e del “suono”. Il loro lavoro sarà reperibile sul sito della casa discografica “depressive illusion records” in formato cd ed in formato digitale su soundcloud. Detto questo, una sola pecca trovo in questo progetto: che mi hanno dato solo due tracce per poter valutare il loro operato su sei prodotte, il resto non mi è stato mandato, quindi il voto sarà a ribasso solo per la mancanza di materiale. Oggettivamente visto il metodo utilizzato e le difficoltà per potersi incontrare devo dire che è un lavoro ottimo e di alta resa qualitativa. Per quelle che sono le due tracce proposte devo dire che sono interessanti entrambe e danno lo spaccato della produzione della band quindi sia “Tears of regret” che “Victory war” hanno il loro perché (ed una durata di oltre otto minuti l’una). Concludendo va fatto un plauso alla abnd che ha dimostrato quanto sia importante la musica al di fuori di confini e di distanze geografiche, il loro esordio è assolutamente ottimo, confido che la band continui su questo cammino e che si possa incontrare a breve per poter vedere dal vivo che cosa sono in grado di fare i Tears of regret.

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SHED OF NOIZ “Re: son”

GENERE: Alternative/Stoner Rock ETICHETTA: autoproduzione/Sinusite Records VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Shed of noiz in un concetto: il figlio illegittimo di audio slave, alice in chains e blu vertigo . Ma come sempre, andiamo per gradi: gli Shed of Noiz nascono nel novembre del 2008, quando Mattia Salvadori, Dario Sardi e Giulio Panieri, da anni impegnati in progetti musicali di diversa natura, individuano in Luca Bicchielli il cantante con il quale avviare un percorso comune: nel dicembre dello stesso anno la band esordisce dal vivo al premio “Rossano Fisoni”, e nel 2009 la vittoria al contest “Aspettando Liberi e Vivi” permette la partecipazione al festival “Liberi e Vivi”. Il 2009 è un anno denso di concerti, durante i quali l’alternative/stoner dei Shed of Noiz supera i confini locali, e la band viene scelta come gruppo di supporto al live livornese de I Ministri. È nell’autunno dello stesso anno che la band pubblica l’omonimo Ep di esordio, grazie al quale gli impegni live diventano sempre più frequenti partecipando a diversi contest e concerti live importanti, portanandoli a novembre 2010 a registrare “Primates Ep”, con il quale gli Shed of Noiz optano per un sound più aggressivo e soluzioni ritmiche più sperimentali rispetto al precedente lavoro. Quindi si arriva a fine 2012 che la band si mette al lavoro per le registrazioni di “RE: SoN”, album d’esordio uscito a marzo 2013 e disponibile in versione fisica (ordinazione via email) e digitale (Bandcamp, iTunes e tutti gli altri). A Settembre 2013 gli Shed of Noiz entrano sotto l’etichetta indipendente Sinusite Records che ristampa”Re:son” in formato digitale. La nuova versione dell’album, disponibile dal 6 gennaio in free download sul sito della Sinusite records, ha al suo interno una bonus track “il libro”. Devo dire che trovo solo un piccolo errore per quanto riguarda i piatti in “Re: son”(la traccia di apertura e title track dell’album), a mio avviso un pochino troppo alti, che fa si di sentire tutta la dinamica dei piatti risultando leggermente oppressivi, ma solo in quel brano; per il resto composizione ottima, postproduzione ottimale per il genere e mastering ad hoc. Chitarre corpose e intensamente languide allo stesso tempo, voce molto calda ed evocativa allo stesso tempo, basso e batteria ottimi (eccetto il discorso di cui sopra). “Re: Son”, “Immutevole”, “Innoqui”, “Corri Dora” e “Senza peso” sono certamente i punti cardine della produzione dei Shed of noiz, ma come sempre vi invito ad ascoltare tutto il loro lavoro per poter avere il vostro personale giudizion “inappellabile”. A chiusura di questa mia, devo dire che la band mi ha colpito in modo positivo riescono a fondere l’alternative rock e lo stoner in modo molto interessante senza dover risultare troppo legata ad un genere o risultare “indigesta” a chi non è avvezzo al genere. “Re:son” è un album ottimo sia per gli appassionati che per chi ha interesse ad avvicinarsi allo stoner rock con una punta di alternative, o di alternative con una punta di stoner rock.

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NEW DISORDER “Dissociety”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Revalve records VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

I New disorder giungono al loro primo full-lenght dal titolo molto chiarificatore della visione attuale della società da parte della band:”Dissociety”. Loro, nelle note biografiche inviatemi, si definiscono come un mix unico tra Rock, Metal e Punk in un contesto originale; devo dire che dalla mia sento un sacco le influenze di Muse e di Radiohead, ma di metal poco poco (giusto alcuni pasaggi in growl di una traccia e un rimando ai Rammstein nell’intro di un’altra canzone). Questo però non vi faccia “fuggire”, sia chiaro perché le abilità e le capacità dei New Disorder, vanno oltre la sfera della band tributo e si espande in un meccanismo di articolata composizione. La band, giusto per dare due indicazioni storico geografiche, nasce a Roma nel 2009 e alla fine dello stesso anno registrano il loro primo lavoro, lavoro che uscirà nei primi del 2010 col titolo “Hollywood burns” per la Wynona Records, ricevendo buoni risultati in Europa e negli USA. Nel 2011 stampano, in autoproduzione “Total brain format” che ottiene buoni riscontri anche se non arriva alla grande distribuzione. Fino ad arrivare al 2013 quando la band firma per Revalve Records ed esce con questo “Dissociety”. A livello tecnico la proposta dei New disorder è molto interessante e dimostra, anche se credo non ne servisse prova ulteriore, che le abilità e la capacità di una band sono si da live ma sono anche in fase compositiva ed in fase di registrazione; con tanto di occhio puntato alla post produzione ed al mixaggio e mastering. Di fatto questo esordio permette di dimostrare che basta la cura giusta nelle cose e si può ottenere già un rodotto di “alta gamma”. Nulla da dire se non che la passione per i Muse che la band ha è particolarmente riconoscibile, forse uno staccarsi quel cordone ombelicale potrebbe aiutare a far crescere ancor di più le abilità e le capacità della band stessa. “From Life to Death”, “Break our into disorder”, “ Free from the dark” e “Another hero to save” sono le canzoni che più mi hanno colpito nella scaletta di questo “Dissociety. L’impressione è che “Dissociety”, concludendo la recensione, pur essendo un disco molto interessante, sia ancora troppo legato agli stilemi delle band tanto amate dai membri della band e forse un pelino troppo attaccate a quello che è il “rock alternative” standard. Spero che la band non me ne vorrà se considero questo album come un trampolino di lancio per altri lidi e di fatto spero per loro che sia un album di transizione e lo dico per il bene dei New disorder, in alternativa saranno una delle tante band brave ma che fanno “il compito a casa” e basta e si rischia di non riuscire a “spiccare il volo”.

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KLEM

“Ritagli di tempo” GENERE: Rock ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Nel settembre 2009 nascono gli “JAB” , un trio stoner rock formato da Francesco,Umberto e Stefano, ma il nome e il trio concludono la loro “realtà” nel 2010 a causa della decisione presa da Stefano,e totalmente appoggiata dagli altri due membri degli “JAB”, di trasferirsi in California a San Diego, dove vive tuttora. I due membri rimasti (se vogliamo anche “in braghe di tela”), si mettono alla ricerca di componenti per creare un nuovo progetto totalmente diverso dagli “JAB”, ed è proprio nel settembre 2010 che nascono i “KLEM”. A fine estate di quell’anno a Francesco ed Umberto si unisce Leonardo, il quale porta un cd con delle tracce da lui registrate con idee di riff,ritornelli,linee vocali ecc… e la stessa cosa avevano fatto i due ex “JAB” e da li nasce la magia. Tra le altre cose si possono ascoltare via web due singoli, ‘’Poi si fermerà’’ e ‘’Specchi infranti’’, disponibili anche nel cd che stiamo per recensire. Che dire di loro, a livello sonoro, di primo ascolto quello che mi vien da dire è che loro sono una forma di “ucronia sonora”, nel senso che loro sono la dimostrazione di cosa avrebbe potuto essere il progetto “Timoria” se dopo “Etabeta” avessero continuato con i contenuti e con certe musicalità (e soprattutto con la stessa formazione) Renga e soci. ATTENZIONE quello che ho scritto non ha un significato implicito ovvero i “Klem fanno musica copiando i vecchi Timoria.” I Klem declinano il verbo “rock italiano di qualità” nel loro personale metodo e nel loro modo di suonare ed esprimersi. Tecnicamente la loro proposta è molto buona, chitarre ben suonate e a livelli ottimo, basso che si sente e che da anima alle canzoni, batteria precisa e ben calibrata e ottima voce. Nessuna sbavatura e nessuna macchia. Ovviamente parliamo di rock e di fatto la band si destreggia ed “armeggia” con gli stilemi classici, vero che “svasano” anche in altri ambiti tra l’hard rock al funky passando per il southern rock ma siamo “in zona conosciuta”. Personalmente le canzoni che mi hanno colpito, tolto che è particolarmente difficile, direi “Quando cogli un fiore”, la opener “Scacco matto”, “Da te”, “Specchi infranti”, “Mobile classico” uno strumentale molto particolare dato che fa riecheggiare nella stesa sia le paludi della florida che gli stati del sud degli USA in generale, canzone con il titolo più corto del cd “2” che al contrario di quanto possiate pensare ha un buonissimo refrain. A chiusura di questa mia, devo dire che i Klem sono stati in grado di farmi fare un salto indietro di almeno 15 anni ad hanno fatto riaffiorare certi momenti e certe sensazioni nascoste nella memoria. Vi consiglio vivamente di avere una copia di “Ritagli di tempo” perché oltre a meritare attenzione da parte del pubblico i Klem fanno veramente un ottimo lavoro. Album rievocativo per chi è “diversamente giovane” come me ma che può benissimo essere la colonna sonora per un viaggio lungo. Quasi perfetti!

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HELLVATE

“Dehumanized” GENERE: Death metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Gli Hellvate, il nome è un neologismo tra le parole Hell (inferno in inglese) e Vate cioè “profeta”; il gruppo è italiano, proveniente dalla Campania, è attivo sin dal 2002, quando Tommaso Rossi (voce), Diego Ciani (batteria) e Fulvio Milone (chitarra), costituirono il primo nucleo. E’ solo nel 2006 che gli Hellvate trovano un bassista ufficiale, grazie all’innesto di Giovanni Vergineo; con la formazione completa incidono il primo demo omonimo, nel 2009 vede la luce il nuovo demo dal titolo “The battle beginning” . Come spesso accade ci sono cambi di lineup durante questi anni e della formazione originaria rimangono il vocalist ed il batterista, alla chitarra abbiamo Davide e Antonio e al bassista Lamberto. Interessante è il curricula della band, dato che da live hanno avuto la possibilità di condividere il palco con band del calibro di: Opera IX, Gory Blister, Hate Eternal, Deicide, Marduk e Vader. “Dehumanized” è il titolo della loro EP, che comprende cinque inediti ed una nuova versione di “Alive in de wood”(già presente nel demo “Hellvate”del 2006). La formula sonora degli Hellvate si presenta come una miscela di brutal death e alcune venature di black metal vecchio stile, con un pizzico di tecnica non esasperata, ma di certo non permette di poter dire che le parti degli Hellvate sono “semplici”. Tecnicamente hanno fatto un lavoro discreto, nel senso che il lavoro in studio è stato gestito in maniera ottimale, tutti gli strumenti si sentono molto bene, dal basso alla batteria passando per le chitarre; unica pecca, pur avendo puntato ad un certo tipo di evoluzione, è forse un pelino carente in ambito di “novità”. Mi spiego meglio, la parte compositiva ha si dei passaggi di novità, ma non sono sufficienti per poter dire “novità assoluta”. Questo sia chiaro, come dico sovente, non è sempre un demerito ma credo che con le capacità della band sentite in questi brani avrebbero potuto osare di più e non apparire come figli di Cannibal corpse e/o Benediction .Per la parte più “emotiva” direi che Claustrophobic time under the rubbles” e la title track “Dehumanized” rendono molto bene il senso artistico della band. In chiusura direi che questo EP è di certo ottimo per i fans del brutaldeath e del metal estremo in generale. FORSE chi non è avvezzo alle sonorità più estreme potrebbe solo apprezzare la tecnica esecutiva e compositiva del gruppo.

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HAVENLOST “Haven, lost”

GENERE: Simphonyc doom-death ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 79/100 RECENSORE: Alessandro

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Fa piacere avere la possibilità di recensire una band apprezzata live prima di sentire il materiale da studio. Io li ho visti live nel 2012 al monster metal festival di Bologna e devo dire che me li ricordavo già con molta carica e molta abilità, ma andiamo oltre; la band si presenta a tutti con questo album uscito fisicamente a novembre scorso. Gli Havenlost nascono ufficialmente nel 2010 a Bologna, accomunati dalla passione per il Metal, la musica melodica e la birra, si sono dedicati sin da subito alla composizione di pezzi propri da presentare ai concerti, rifiutandosi, se non in sporadiche occasioni, di suonare cover. I brani sono solitamente composti da Michele Montini (chitarrista) e Filippo Calanca (cantante), e riarrangiati dal gruppo. I testi delle canzoni sono scritti da Filippo Calanca e trattano temi oscillanti fra disperazione e malinconia, ma anche di rivalsa contro le avversità dell’esistenza. Nel 2013, pur provenendo da un intero anno di pausa, sono riusciti a dedicarci alla registrazione del loro primo EP intitolato “Haven, Lost”, l’EP che stiamo valutando ora, ed è stato registrato presso i MLX Studio di Bologna fra marzo e agosto 2013 grazie all’ausilio di Marco Lipparini e Enrico Ornielli. La band ci fa sapere che si stanno allontanando sempre più dal simphonyc folk degli albori verso il death melodico e il doom sinfonico. Io dalla mia devo dire che “l’evoluzione” c’è già in queste note, dato che trovo veramente poco di folk e/o di simphonyc folk. Il loro EP è composto da sei tracce più la bonus track (quella più vicina, forse l’unica, al folk metal ed al simphonyc folk). A livello di minutaggio siamo quasi alle soglie di un album completo, complimenti alla band dato che non è ne scontato ne usuale aver così tanto da ascoltare in un cd definito semplicemente “EP”. In ambito tecnico quello che trovo poco convincente è la batteria che in più riprese si sente che è pesantemente triggerata e violini e tastiere chi in più casi sono troppo bassi i loro volumi; per il resto chitarre ottime, basso anche e soprattutto complimenti alle voci, dato che riuscire a calibrare così tante voci e cori non è semplice di base, ma ancor di più durante il primo lavoro. Personalmente ho apprezzato moltissimo “Nescience’s embrace”, la title track dell’EP “Haven, lost”, “Ceneri” e la bonus track “Battle spirit”, ma va detto che personalmente è ottimo dall’inizio alla fine per il pathos trasmesso e le emozioni trasmesse. A chiusura, come sempre accade dovrei fare un “disclamer” legato al voto basso dato che è un “EP” e per lo scarso minutaggio, ma in questo caso non ci sarà, dato che gli Havenlost si sono prodigati oltremodo per dare sostanza alle loro note. Vi invito ad ascoltarli e a seguirli, consiglio a loro un pochino più di postproduzione e le microscopiche imprecisioni che ho riscontrato spariranno. Più che promossi.

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FATAL CASUALTIES

“Somewhere in the Middle” (singolo) GENERE: Industrial-electro-ebm ETICHETTA: Seja Records VOTO: RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Abbiamo già avuto a che fare con i Fatal casualties, band svedese di dark elettronico, sempre su queste pagine potrete leggere la recensione del loro cd “Paria”; la band ci propone il loro nuovo singolo “Somewhere in the middle” con la Bside “Laica”. Continua il loro percorso artistico nell’onirico e nell’atmosferico appoggiandosi a massicci campionatori e a muri di suoni tanto sintetici quanto reali. Assolutamente intenso e variegato, pur restando in una struttura di onirica sonorità. Va detto che il mio “Senza Voto” è per il quantitativo esiguo di tracce, alla fine stiamo parlando di un singolo, non certo per le capacità, che sono ottime e di grande qualità. Album, Paria, che consiglio a tutti prima di ascoltare questo singolo. I Fatal casualties secondo me stanno marciando verso lidi positivi.

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FATAL CASUALTIES “Paria”

GENERE: Industrial-electro-ebm ETICHETTA: Seja Records VOTO: 73/100 RECENSORE: Alessandro

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Fatal Casualties è un duo che venne fondato negli anni 80 da Stefan Ljungdahl & Ivan Hirvonen. Il loro period di maggior espressione musicale fu quello dalla fondazione, 1986, fino al 1991. In quel periodo fecero un paio di demo e diverse apparizioni live, ma questo non fece andar più in la la band. Serviranno oltre 20 anni dal loro ultimo show per poter avere il primo loro esordio effettivo ovvero !Paria” uscito pochi giorni fa per Seja Records, tenete presente che “Paria” altro non è che un EP composto da 6 tracce di musica dark elettronica. La band stessa definisce il loro suono un mix di Industrial ed EBM, io devo dire che ci sento tantissimo Il suono elettronico molto fine anni ottanta ed inizio anni novanta, quasi come se per il duo il tempo si fosse fermato al loro ultimo concerto. Interessante per la sperimentazione, ovviamente in ambito tecnico essendo tutto tramite campionature e sintetizzatori direi che non si trovano sbavature, magari possiamo dire che di EBM non vi è molto, ma più su cose come electropop e synthpop .con una fortissima componente industrial. Carino anche il fatto che le canzoni, alcune non tutte, sono cantate in svedese; certo non lo si capisce subito dato la serie di effetti e filtri messi alla linea vocale, ma di certo aumentano l’atmosfera Personalmente oltre a “Slippery”, “Toys”e anche “En nervkostym” mi ha dato un buon feeling e una buona impressione per quello che è, sia la band che il loro prodotto d’esordio; dal mio punto di vista è certo un buon biglietto da visita per il futuro. CERTO speriamo che per il prossimo album non ci mettano altri vent’anni, perché sarebbe oltremodo assurdo. Comunque sia in chiusura direi che abbiamo un buon prodotto di musica dark, buona sia per gli appassionati che per gli “open mind” che apprezzano la musica a tutto tondo.

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DILUVE

“Speed jaculation” GENERE: Thrash/HC ETICHETTA: GhostRecordLabel VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Speed Jaculation è il secondo lavoro dei Diluve, che ritornano sulle scene a tre anni dal primo lavoro “What the Hell is Diluve...?!?”. La band toscana è più grintosa che mai nel proporre un mix tra Punk harcore ny style e thrash metal costa est. Si sentono le influenze di band seminali quali Mad ball, Agnostic front, Anthrax, D.R.I. e M.O.D. . Ma andiamo per gradi; un minimo di “storia” della band per chi non avesse la minima idea di chi sono i Diluve. La band nasce nel 2006 nei pressi di Bientina (Pisa), come ho scritto poco sopra Nel 2010 uscì il primo EP/Demo ‘What the Hell is Diluve..?!?’’ EP un filino troppo grezzo, ma comunque molto godibile. Dopo alcuni problemi di lineup, arriviamo a questo nuovo EP, con tanto di firma con la casa discografica. Della loro musica trovo poco del punk in quanto tale, se non la parte più goliardica e ironica del genere (basti già guardare la copertina) ed una traccia che, cantata in italiano, ricorda molto le band punk HC dei primi anni 80 e 90. Altra nota è la cover dei NOFX “It’s my job to keep punk rock elite” che troviamo nei sei brani di questo EP. In ambito tecnico, direi che hanno fatto un buon lavoro, forse nell’ultima traccia”Te quiero” avrei cercato altri suoni per le trombe che mi risultano troppo simili ad una canzone dei Rammstein (e per titolo e per riff di trombe), ma per il resto un buon lavoro con gli strumenti che non si sovrappongono o che risultino eccessivamente coperti dagli altri o eccessivamente “esposti”. Interessante anche le abilità della voce del cantante che si amalgama al meglio. “Speed Jaculation”, “Hansjorg” e “Stronzavita” sono le cartine tornasole di quello che sono ora i Diluve, come sempre ascoltate il cd nella sua interezza per poter farvi una vostra idea. Concludendo, pollici in alto per i Diluve, sono stati in grado di proporre un lavoro ottimo, con un certo sapore retrò senza dover per forza copiare e riuscendo a dare una loro personale interpretazione per un genere che è di “confine” tra il metal classico e il punk restando comunque in bilico e non andando a “sforare” da una parte o dall’altra. Aspetto il primo album completo per poter valutare l’evoluzione della band.

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CHTHONIC “Bù tik”

GENERE: Melodic Black metal ETICHETTA: Universtal music/ Spinefarm VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Cosa capita se mettete insieme: Black metal, arrangiamenti orchestrali e l’inserimento di sonorità etniche (o folk decidete cosa vi piace di più) e vaghi rimandi al deathcore? I Chthonic sempice. La band si ispira alla mitologia e dalla storia del loro Paese,ovvero l’isola di Taiwan, i Chthonic propongono dal 1995 una musica definita “orient metal”, termine che mi fa sorridere non poco, non perché non possa esistere ma perché mi sembra null’altro che un modo raffazzonato (e in questi anni questo metodo ha fatto nascere sottogeneri auto referenziati di dubbia utilità e di dubbio spessore musicale) usato per poter dire “io sono diverso da…”, ma andiamo oltre che è meglio. I Chthonic sin dagli esordi hanno espresso il loro sentimento attraverso vari e variegati linguaggi sonori, dal power al death melodico fino al black, inserendo, per orgoglio nazionale proprio, molti strumenti musicali della loro tradizione non solo per omaggiare la propria storia ma certamente per porgere tributo e ossequio alle radici culturali, inseriscono un messaggio di grosso impegno sociale (con interessi che spaziano dai diritti umani alla giustizia sociale) per ciò che accade nel loro Paese e lo fanno con la metafora e raccontando di antiche leggende Taiwanesi che riportano di fatto alla luce fatti odierni. Inoltre per poter sdoganare il proprio pensiero oltre i confini di Taiwan la band, a partire dal 2002, ha stampato tutti i propri album anche in lingua inglese, questo ha così permesso loro di calcare i palchi dei più blasonati festival internazionali: dal Fuji Rock, Loud Park, Ozzfest, Download ed al Wacken Open Air giusto per darvi un’idea di cosa la band ha potuto fare in ambito di concerti. “Bú-Tik” è il settimo album da studio della band e si presenta con una produzione internazionale che ne ha visto le registrazioni completate allo Sweetspot Studio di Rickard Bengtson (cantante apprezzato nel recente Magnus Karlsson’s Free Fall e già al lavoro con la band su Takasago Army, nonché autore in passato dei suoni di Arch Enemy, Spiritual Beggars, Opeth, Last Tribe e Shining). Con una premessa come questa non si poteva avere un lavoro più corposo e ben registrato. La band ha fatto un lavoro magistrale riuscendo ad inserire in modo egregio i classici strumenti con quelli della tradizione creando una nuova visione del folk e delle contaminazioni che questo può fare. Devastanti dal primo all’ultimo secondo questo “Bú-Tik” è una mannaia che cala incessantemente sull’ascoltatore. Si sente comunque che le registrazioni sono state fatte in europa, dato che sento moltissimi rimandi allo swedish death metal di nuova generazione, senza però inibire quelli che sono gli spunti black e quelli a cavallo tra l’orchestrazione pura e le parti in pulito e in melodico. Non sono in grado di trovare errori o sbavature di sorta, album assolutamente ineccepibile e quasi perfetto. Potrei considerarlo uno dei top album di questo 2013, veramente intenso e completo, faccio veramente fatica a trovare delle tracce, provo comunque a dare una vaghissima idea di cosa sto parlando “Defenders of Bú-Tik palace”, “Resurrectione Pyre”, “Rage of my sword”, “Set fire to the island” e “Sail into the sunset’s fire” sono quello che potremmo definire il manifesto di questo album. A chiusura consigliatissimo per chi ha interessi sia nel metal estremo (senza esserne un fan die hard), per chi apprezza Death metal, Folk ma a 360 gradi e la musica fatta come si deve. Da avere assolutamente

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BLOCCONERO “Appello n°1”

GENERE: Neofolk-Ambient ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 66/100 RECENSORE: Alessandro

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Blocconero è un gruppo di neo folk con venature ambient, che ci tiene a distaccarsi e a discostarsi da quello che, a loro dire, è la scena e il substrato culturale della stessa. Nel senso che la band ci tiene a sottolineare che la loro scelta è si musicale ma prima di tutto è politica; ritengono che troppi meccanismi si sarebbero incrinati, nel senso che dal loro punto di vista la scena neofolk è permeata principalmente, causa la mal interpretazione della “Shock tactic” dei tempi andati, o da band con ideologie di estrema destra, o con ideologie di estrema sinistra; in “alternativa” alle prime due dal fondamentalismo cristiano. Quindi loro ci tengono a sottolineare di essere estranei a tutti e tre i “filoni” e rivendicano il loro spazio come prova di neofolk di tipo anarchico e anticapitalistico. Fatta questa premessa doverosa per la band, io (ma credo di poter parlare per tutta la redazione) sono interessato alla musica e non alla politica e, ripeto parlando della zine nel suo complesso, ci tengo e ci teniamo a sottolineare che questa era è e sarà sempre e solo una zine di musica. Detto questo, la band rende disponibile il loro primo lavoro in download gratuito (al link della band che trovate qui sotto) che ha il titolo “Appello N°1” composto da cinque brani che a livello di composizione e di esecuzione nulla da dire, neofolk di qualità con tutti i crismi compositivi del genere e con una cura non comune per gli arrangiamenti e la post produzione. La pecca più grossa sta nella voce che viene così tanto filtrata e così tanto modificata da rendersi in molti casi impercettibile o incapibile, a mio avviso questo ha fatto abbassare la resa di fatto rispetto alle potenzialità dei brani in cui hanno inserito la voce. La opener è di fatto un ottimo esempio di ciò che dico per la parte compositiva, quindi parlo di “La gioia armata”, mentre “A un ladro” è l’esempio di poche righe fa; ovvero bella canzone, molto evocativa e marziale ma con la voce che fa calare la resa dato che nel tentativo di capire cosa viene detto si perde il pathos della traccia stessa. Dalla mia posso dire che: buona la prova compositiva, ma va ragionata di più la parte vocale e consiglierei di lasciarsi alle spalle qualsiasi meccanismo di “categorizzazione” politica, perché l’arte è arte e non ha colore, non ha partito e non ha bandiera; ci aggiungo una frase che serve per riflette e che creò dai primi anni ‘30 del ‘900 fino a pochi anni fa, scompiglio nel mondo scientifico e divenendo ora una leggenda metropolitana, che è molto interessante e mi piace citare in casi simili: “La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso” questo per dire che: ok, impegno sociale e politico ma in ambito artistico deve essere marginale se no si perde “l’arte” e si diventa altro.

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BASTARDOGS “No pain no gain”

GENERE: Sleaze-Glam Metal ETICHETTA: Street Symphonies VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro

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I Bastardogs nascono da un’idea di Andy, Bonne e Atta che già da un paio di anni tentavano invano di organizzarsi per formare un gruppo serio su cui lavorare a pezzi inediti. Nell’estate del 2010 il gruppo cerca di trovare una formazione decisiva al gruppo e dopo aver provato una formazione a 4, senza risultati ottimali, provano quella a 3 pensando “Lo possono fare i Motorhead perchè noi no?” Ma anche in questo caso nulla di fatto. Trovano in Jack la soluzione a tutti i loro problemi e poche prove dopo l’arrivo del nuovo bassista il gruppo si ritrova in studio per registrare le prime tre canzoni da inserire nel demo: “The Pit”, “Reality” e “Bad Dogs”. Mantenendosi su uno stile Sleaze e glam degli anni ‘80, avendo in mente i personaggi storici di quegli anni come Blackie Lawless e Nikki Sixx, i Bastardogs dicono di aver intenzione di dare un piccolo contributo per far conoscere meglio la musica degli Eighties che ha segnato la strada per moltissimi dei gruppi attuali. Tra il 2011 e il 2012 si susseguono altri cambi di formazione; compreso un cambio a 2 settimane prima della data di Marsiglia. Comunque sia eccoci qui dopo mille avventure della band genovese a parlar del loro cd di esordio “No pain no gain”. Il cd è composto da ben dieci brani che suonano abbastanza anni ottanta e volendo anche parte ‘90. Come ho scritto qui sopra la loro passione è per il glam e lo sleaze dando come punti di fondamentale interesse e ispirazione i WASP e i Mötley Crüe, ma sento molto di più un rimando alle sonorità europee e nello specifico al NOBHM, con qualche rimando al glam del tempi d’oro. Direi che per il prossimo futuro puntare più la composizione di brani più glam e meno heavy classico. Strutturalmente i brani sono fatti in modo classicamente old school, come dicevo mischiando l’heavy europeo con il glam tipicamente usa, quindi nessuna novità ma ciò non è sempre un male (come ho detto più volte in questi anni). Certo se cercate la novità e l’idea fuori dagli schemi non è il caso di questo album, ma credo che non possa essere neppure il genere giusto, dato che il glam e lo sleaze hanno dei canoni ben definiti e chiaramente ragionati. Detto questo, unico neo che trovo nella parte tecnica è l’eccessivo riverbero-eco nella voce; fa perdere leggermente quello che è il groove, la rabbia e l’ironia del cantante. Emotivamente il cd non mi dispiace, ma lo sento un po’ acerbo e ho dovuto ascoltarlo alcune volte prima di trovare dei brani che mi coinvolgessero (cosa strana per me, specie se si parla di glam e di sleaze) ma devo dire che “Drinkin’ my”, “Bad dogs”, “Snakehead”, “The pit” e “Edge of youth” possono essere i biglietti da visita per la band su questo loro esordio. Concludendo, i presupposti ci sono ovviamente essendo un esordio, a volte può capitare di dover “registrare le valvole e il carburatore in corsa”. Quindi consiglio di fare un paio di ragionamenti in più in fase compositiva, questo per la band, per quanto riguarda voi direi con tranquillità che va supportata la band, perché il loro “No pain no gain” è un album discreto, considerando poi, ripeto, che è un esordio abbiamo tranquillamente margini di miglioramento e quindi di potersi evolvere in modo naturale e dare alle stampe un secondo album più maturo e più carico. I Bastardogs per me sono promossi con questo “No pain no gain”, ovviamente li aspetto al “varco” per il prossimo album, sicuro che prenderanno in considerazione queste mie parole e ne faranno tesoro; come sono certo che prenderete anche voi in considerazione queste mie parole e li supporterete adeguatamente.

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BARRENS “Circles”

GENERE: Folk ambient ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

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Barrens è una one-man band dedita a un folk ambient molto sognante ed evocativo con alcuni passaggi verso il black drone (ma questi ultimi sono minimi). “Circles” al momento è una demo disponibile solo in digitale, uscita a dicembre scorso, ma quest’ anno nuovo potrebbe uscire in musicassetta. In ogni caso, sembrerebbe trattarsi di un prodotto esplicitamente destinato a rimanere di nicchia. Il concept che sta dietro a “Circles” si snoda attraverso due brani particolarmente lunghi e pur essendo così lunghi hanno la capacità e l’abilità di ne stufare e ne essere di sconnessi. Pur essendo una demo e pur essendo una one man band, quello che scaturisce in questo “Circles” è una maturità non comune e una capacità compositiva di tutto rispetto. Ci sono numerose dicotomie vocali, alla voce pulita e sognante si affianca una particolarmente caustica e distonica, stessa cosa avviene con le chitarre, in modo leggermente velato vengono accostati arpeggi e passaggi di classica con colpi di strumenti elettrici. Tutto questo aumenta il pathos e le immagini mentali dell’ascoltatore. Come dicevo poco sopra la cosa che stupisce è la maturità con cui il progetto “Barrens” si espone al mercato; nessuno sbaffo in ambito tecnico, tutto fatto in modo consono e ottimale, pensando poi che è progetto del singolo artista, strumenti e voce registrati in modo veramente ottimo e altrettanto ottimamente arrangiati e postprodotti. Pur essendo un demo con quasi venti minuti di musica, come ho scritto sopra, siamo con due sole tracce “Cupio dissolvi” e “The reckoning”, entrambe validissime e intensamente claustrofobiche. Di black sento poco, se non alcuni passaggi della voce in scream e dei passaggi con le chitarre distorte sia nella prima parte di “Cupido…” che nel finale di “The reckoning”. Sembra quasi che l’artista volesse creare una forma di connessione aggiuntiva tra le canzoni. Concludendo questa mia recensione, direi che il lavoro è ottimo; spero ci sia un proseguio, perché credo che possa esserci delle opportunità per chi sta dietro a “Barrens”. Di certo sapendo che chi sta dietro a “Barrens” ha la voglia di sperimentare e di provare in diversi campi e in diverse direzioni non è da escludere che faccia come in passato dando alle stampe materiale sotto altri nomi e quindi la “vita” di Barrens è completamente nelle mani del suo creatore.

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AGE OF TORMENT “I against”

GENERE: Metalcore-deathcore ETICHETTA: Spinal records / Wormholedeath VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

La Wormholedeath ci propone il secondo album dei belgi “Age Of Torment”, band dedita ad un death/metalcore, anche se ammetto di sentire un bott odi influenze dei Pantera e del thrashdeath fine anni 90 (principalmente nella voce). La band nasce nel 2009 dxa un’idea di Shaun Van Calster (Length of time/ Resistance). Verso la fine dello stesso anno entra in studio con “Phorgath” (Enthroned) per registrare “Dying breed reborn”; al suo interno troviamo diverse guest tra cui: “Mique” (In-quest) e “Ross” (Length of time/Angel crew). Nel 2013 con una nuova lineup gli “Age of torment” econo con questo nuovo album “I against”. Strutturalmente e tecnicamente album ineccepibile, buonissime le registrazioni e le sonorità; chitarre taglienti e batteria e basso devastanti. Come ho scritto prima molto più thrash death anni 90 e primi 2000 che non certo metalcore o deathcore, il che dal mio punto di vista è più un pregio che un demerito. Nota di colore: Jonas Sanders , già dietro le pelli dei “Pro-pain” è il batterista di questo album; quindi risultato di alta qualità. Il lavoro di post produzione e di mastering è stato fatto veramente in modo ineccepibile, come ho scritto sopra, i suoni sono calibrati al meglio e le singole tracce hanno una resa molto intensa e corposa. Le quattordici tracce che compongono questo “I against” sono molto interessanti e non è semplicissimo trovare le migliori, ma ci provo comunque “Even If I Die”, “Your skin will bur”, “Native”, “My own disease” (con una chicca come intro che arriva dalla nave spaziale Event Horizont), la title track “I against” e la conclusiva “Salvation”. Buon lavoro, in conclusione, per gli “Age of torment” e chredo fermamente che se ne sentirà parlare ancora. Consiglio questo album non solo a chi è appassionato di metalcore ma anche dei fans del thrash e death anni 90.

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WHY EVERYONE LEFT “Stake everything” GENERE: Pop punk ETICHETTA: VOTO: 75/100

- hc melodico

RECENSORE: Milo

Vengono da Modena,si sono formati solamente nel 2013 ma hanno già le idee chiare e ce lo dimostrano con “STAKE EVERYTHING” primo loro EP completamente autoprodotto e totalmente DIY. Le sonorità sono prettamente pop punk, ma non mancano le incursioni metalcore e hc melodiche tipiche dei gruppi d’oltreoceano. Le canzoni son ben strutturate e non stancano all’ascolto, anche se a volte tendono a ricordare pesantemente canzoni che hanno portato al successo gruppi come ZEBRAHEAD, NEW FOUND GLORY e A DAY TO REMEMBER. Ed è proprio la mancanza di una propria personalità l’unica pecca che si può trovare nell’ascolto di questo EP, ma bisogna comunque ricordare che il gruppo è appena nato, e che non è così immediato riuscire a trovare la propria personalità musicale. In ogni caso la cosa non risulterà fastidiosa per gli amanti del genere; una cosa è certa : le canzoni sono molto orecchiabili e radio friendly.... Bello Il video di “IT’S NOT ME THAT’S HOPELESS” , primo singolo estratto dall’album e punta di diamante per la promozione di “STAKE EVERYTHING”. Potrei scrivere per ore, ma preferisco lasciare spazio alla musica di questi ragazzi , sono certo che ne sentiremo parlare molto presto.

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