UCID Letter n°1/2007

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L E T T E R EDITORIALE

Imprenditori per il Bene Comune CONVEGNO ECCLESIALE

Attuare la speranza con la propria vita IMPRENDITORI OGGI

Professionisti nella sfida della complessità

VALORI E IMPRESA

Famiglia oggi: la responsabilità delle imprese


L E T T E R Periodico quadrimestrale dell’UCID Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti

Anno X, 1/2007 Autorizzazione del Tribunale di Roma N. 437/05 del 4/8/2005

U C I D UCID, Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, è un’Associazione privata, nata nel 1947, che impegna i propri Soci alla realizzazione del Bene Comune mediante comportamenti coerenti con lo spirito evangelico e con gli indirizzi della Dottrina Socile della Chiesa Cattolica. Con questo impegno l’UCID pone al servizio della comunità civile le esperienze e le conoscenze che derivano ai propri Soci dalle loro attività imprenditoriali e professionali. I fondamentali princípi etici ispiratori e di riferimento che l’UCID ha adottato e che propone a tutti i propri soci sono: • la centralità della persona, accolta e valorizzata nella sua globalità; • l’equilibrato utilizzo dei beni del Creato, nel pieno rispetto dell’ambiente, sia per le presenti che per le future generazioni; • il sano e corretto esercizio dell’impresa e della professione come obbligo verso la società e come opportunità per moltiplicare i talenti ricevuti a beneficio di tutti; • la conoscenza e la diffusione del Vangelo,applicando le indicazioni ideali e pratiche della Dottrina Sociale della Chiesa; • un’efficace ed equa collaborazione fra i soggetti dell’impresa, promuovendo la solidarietà e sviluppando la sussidiarietà. Da queste linee ideali e di impegno deriva una organizzazione composta, a livello nazionale, di circa 4.000 soci. UCID Nazionale è articolata a livello territoriale in 16 Gruppi Regionali e 74 Sezioni Provinciali e Diocesane. L’UCID Nazionale fa parte dell’UNIAPAC, “International Christian Union of Business Executives”.


ATTIVITA’

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Periodico quadrimestrale dell’UCID Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti Direttore Responsabile Giovanni Locatelli Redazione Segreteria UCID Nazionale Via Di Trasone 56 - 00199 Roma Tel. 06 86323058 - fax 06 86399535 e.mail: presidenza.nazionale@ucid.it site web: www.ucid.it

Anno X 1/2007 Autorizzazione del Tribunale di Roma N. 437/05 del 4/8/2005 Sped. in Abbon. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Padova

Progetto grafico e impaginazione Germano Bertin Tipografia Nuova Grafotecnica,Via L. da Vinci 8 35020 Casalserugo - Padova Tel.049 643195 - Fax 049 8740592 site web: www.grafotecnica.it

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SOMMARIO

Parte Prima Editoriale / Imprenditori per la costruzione del bene comune

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Parte Seconda Attuare la speranza con la propria vita di Franco Mosconi

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Le radici cristiane d’Europa di Franco Nava

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La Bibbia, il cristiano e la ricchezza di Patrizio Rota Scalabrini

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Professionisti nella sfida della complessità di Angelo Ferro

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La separazione ricomposta dallo Spirito di Mauro Boccuzzi

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Per uno sviluppo culturale, etico ed economico di Emilio Iaboni

43

Vocazione ed etica delle strutture dell’economia di Giancarlo Picco

47

Famiglia: la responsabilità delle imprese di Ferdinando Cavalli

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Valori cristiani e impresa familiare di Maurizio Magliola

57

Quando i valori influiscono sui risultati aziendali di Giuseppe Lovecchio

59

Il volto e la cultura della “polis” di Antonio Sanapo

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Cina: il problema del soft landing di Carlo Simonetti

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Un esempio di istintività creativa di Giovanni Scanagatta

Parte Terza Attività Presidenza Nazionale

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EDITORIALE

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ATTIVITA’

l primo numero di UCID Letter del 2007 si apre con una novità sul piano editoriale. La sua impostazione in tre parti rappresentate dall’editoriale, dai contributi tematici di riflessione sulle diverse questioni di etica cristiana applicata, dalle attività dei Gruppi e delle Sezioni, lascia il posto a una visione piú di pensiero della nostra associazione. La terza parte di tipo comunicazionale delle attività dei Gruppi e delle Sezioni viene offerta non piú in forma cartacea come avvenuto finora, ma esclusivamente in formato elettronico attraverso il nostro sito internet. Ciò risponde alla necessità di un utilizzo sempre piú esteso e capillare delle enormi possibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con un aggiornamento continuo delle attività che vengono svolte nelle diverse realtà regionali e diocesane. Sono stati predisposti un manuale e un vademecum per consentire ai referenti tecnici dei Gruppi e delle Sezioni di inserire nel nostro sito internet tutte le informazioni riguardanti la vita a livello locale e delle iniziative convegnistiche, seminariali e formative. A cura dell’UCID Nazionale, con la stessa cadenza di UCID Letter nella sua nuova forma, verrà predisposto un resoconto sistematico, diviso per Gruppi e Sezioni, di tutte le attività svolte nell’ultimo quadrimestre. Il resoconto sarà disponibile sul sito in occasione dell’uscita dei tre numeri annuali di UCID Letter inviati a tutti i soci e simpatizzanti. Un secondo aspetto che è opportuno sottolineare riguarda la crescente partecipazione dei soci delle sezioni alla vita di UCID Letter, con contributi sempre piú numerosi sui vari temi della nostra vita economica e sociale alla luce degli insegnamenti del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa. Si tratta di uno strumento importante di scambio, confronto e condivisione per la formazione ai valori in cui crediamo, alla loro diffusione e testimonianza. Il presente numero si apre con un contributo di Franco Mosconi sull’impegno del Convegno Ecclesiale che si è svolto a Verona lo scorso mese di ottobre 2006, attuando la speranza di un mondo migliore attraverso la testimonianza della propria vita. Segue un intervento di Franco Nava, Presidente della Sezione UCID di Milano, sulle radici cristiane dell’Europa. Si tratta di un cammino che UCID Milano sta portando avanti con UCID Nazionale e con l’UNIAPAC per realizzare un importante convegno che si terrà nel capoluogo lombardo agli inizi del prossimo anno. I successivi contributi di Angelo Ferro, Mauro Boccuzzi, Emilio Iaboni, Maurizio Magliola e Giuseppe Lovecchio affrontano temi di Dottrina Sociale della Chiesa legati ai grandi cambiamenti che stiamo vivendo in questa epoca di globalizzazione, alle strutture dell’economia, ai valori cristiani dell’impresa familiare e alla responsabilità etica dell’impresa. Segue un contributo di Antonio Sanapo sul volto della democrazia alla luce del Ma-

EDITORIALE

IMPRENDITORI PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNE

Proprio l’impresa può contribuire alla costruzione del nuovo umanesino di cui oggi c’è tanto bisogno

Cresce sempre piú la partecipazione dei soci delle sezioni alla vita di UCID Letter. Si tratta di uno strumento importante di scambio, confronto e condivisione per la formazione ai valori in cui crediamo, alla loro diffusione e testimonianza 1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ EDITORIALE

Serve “piú famiglia” per la costruzione del futuro di tutti. E al motto “piú famiglia”, noi aggiungiamo “piú impresa”, in forza dell’intimo legame che esiste nel nostro sistema produttivo tra famiglie e imprese

L’espressione piú alta del lavoro creativo dà sostanza alla visione che il grande Papa Giovanni Paolo II, nella Laborem Exercens, reclama alla supremazia del lavoro. Perché è l’uomo il grande artefice che può continuare l’opera del Creatore

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gistero della Chiesa attraverso le grandi encicliche sociali dei Pontefici, a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII. Nell’àmbito di tali contributi, un’attenzione particolare viene riservata all’impresa familiare e ai valori della famiglia per il futuro della nostra società, con contributi di Maurizio Magliola e di Ferdinando Cavalli. Questi contributi si collegano idealmente all’adesione dell’UCID al Family Day del 12 maggio 2007 a Roma. Il Manifesto, sottoscritto dal Presidente dell’UCID assieme ai rappresentanti dei movimenti e delle associazioni ecclesiali e pubblicato sui principali organi di stampa nazionali, indica la necessità di “piú famiglia” per la costruzione del futuro di tutti. E al motto “piú famiglia”, noi aggiungiamo “piú impresa”, in forza dell’intimo legame che esiste nel nostro sistema produttivo tra famiglie e imprese. Nel nostro Paese esistono 5 milioni di imprese, con un rapporto di un’impresa ogni 11 abitanti, molto piú elevato rispetto agli altri Paesi. Noi possiamo veramente dire che ciò che è bene per la famiglia è bene per l’impresa e per il Paese. L’investimento nella persona in famiglia, secondo i nostri valori cristiani, è quello piú prezioso e che dà maggiori frutti rispetto a tutte le successive fasi della scuola primaria, secondaria e dell’Università. La manifestazione si è svolta in Piazza S. Giovanni in Laterano con inizio alle ore 15.00 e termine alle ore 18.00. La prima parte della manifestazione dalle 15.00 alle 17.00 ha compreso una serie di messaggi interni con la partecipazione dei Presidenti e dei rappresentanti delle associazioni e dei movimenti ecclesiali che hanno sottoscritto il Manifesto sul valore della famiglia per il futuro della società. La seconda parte si è svolta dalle 17.00 alle 18.00 con messaggi al Paese per una politica a favore della famiglia fondata sui valori che ne fanno la cellula della società, secondo i dettami della nostra Costituzione. È stato distribuito materiale divulgativo per una partecipazione il piú possibile ampia all’importante manifestazione. Il successivo intervento è stato curato da Carlo Simonetti sull’aggiustamento in atto nell’economia cinese per favorire lo sviluppo fondato non solo sugli investimenti e sulle esportazioni ma su modelli di consumo piú consistenti e diffusi per un miglioramento della qualità della vita della popolazione cinese. Seguono due testimonianze di Antonella Freno e Giovanni Scanagatta sulla necessità di gettare un ponte tra il Nord e il Sud per uno sviluppo solidale fondato soprattutto sulla creatività dei giovani del Mezzogiorno, sulla scia del genio creativo di Gianni Versace che ha lasciato la propria terra per dare il meglio di sé stesso a Milano e al mondo, testimoniando il suo grande amore per il bello nelle sue molteplici forme artistiche che spaziano molto al di là della moda. L’espressione piú alta del lavoro creativo dà sostanza alla visione del grande papa Giovanni Paolo II che nella Laborem Exercens reclama la supremazia del lavoro inteso in


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senso soggettivo rispetto a quello oggettivo, perché è l’uomo il grande artefice che può continuare l’opera del Creatore. Chiude il numero di UCID Letter un’intervista di Rai utile a Giovanni Scanagatta sul significato odierno della regola di San Benedetto “Ora et Labora”. Si ricordano infine tre importanti appuntamenti. Il primo si è già svolto a Matera il 14 aprile 2007 per la presentazione del secondo Rapporto UCID sul microcredito e la microfinanza, in collaborazione con la Onlus Le Valli del Sapere della Basilicata. Hanno partecipato all’iniziativa il Presidente della Conferenza Episcopale della Basilicata, Mons. Agostino Superbo, l’Arcivescovo di Matera, Mons. Salvatore Logorio, il Presidente dell’UCID Nazionale Angelo Ferro, il Presidente di Valle del Sapere, Tommaso Sorrentino. Il secondo progetto dell’UCID, Microfinanza e giovani imprenditori nel Mezzogiorno, sperimenta vie nuove con il sostegno della creazione di microimprese nei settori ad elevata tecnologia e dei servizi innovativi secondo il modello del senior partner. Si realizza in questo modo una solidarietà intergenerazionale tra i giovani del Sud con elevato profilo di preparazione e alta propensione a intraprendere e gli imprenditori cristiani già affermati, soprattutto del Nord. Accanto a una solidarietà intergenerazionale si realizza pertanto una solidarietà di tipo territoriale tra il Nord e il Sud del Paese, con un’importante azione di integrazione e coesione sociale. Queste iniziative intendono dare un contributo per sconfiggere i mali riguardanti in modo particolare il Mezzogiorno. Purtroppo tutto questo è conseguenza di una concezione della politica non come servizio per il bene comune della società, come diceva don Sturzo, ma come mero esercizio del potere. Chi paga i prezzi piú alti di questa situazione sono i giovani che, pur provvisti di elevati standard di preparazione e istruzione, sono costretti a lasciare la loro terra per trovare un’occupazione. Abbiamo cercato di metterlo in evidenza con il nostro secondo Rapporto: su 100 laureati dell’Università della Basilicata, solo 30 trovano lavoro nella loro Regione; 60 vanno in gran parte al Nord e 10 all’estero. In questo modo il territorio si priva delle risorse migliori per il suo sviluppo, sulle quali ha investito risorse provenienti soprattutto dalle famiglie con grandi sacrifici. Dobbiamo invertire questa tendenza, puntando non sull’assistenzialismo che crea dipendenza ma sulla creazione di nuove imprese giovanili nel Mezzogiorno, soprattutto nei settori nuovi della manifattura e dei servizi in cui contano molto la preparazione del capitale umano, la ricerca e l’innovazione. Il modello che abbiamo individuato è quello del senior partner, con un lavoro di accompagnamento, tutoraggio e monitoraggio di queste nuove microimprese giovanili del Sud da parte degli im-

Il modello “senior partner” realizza una solidarietà intergenerazionale tra i giovani del Sud con elevato profilo di preparazione e alta propensione a intraprendere e imprenditori già affermati. Si realizza cosí anche una solidarietà di tipo territoriale

Si realizza pertanto una solidarietà di tipo territoriale tra il Nord e il Sud del Paese, con un’importante azione di integrazione e di coesione sociale. Ciò contribuisce anche a rafforzare una concezione della politica intesa come servizio al bene comune e non piú mero esercizio di potere

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Il 16 giugno 2007 verrà presentato a Milano presso la Fondazione Cariplo il Rapporto dell’UCID “La coscienza imprenditoriale nella costruzione del bene comune”. L’iniziativa è dedicata alla cara memoria di Alberto Falck, che con la sua testimonianza cristiana ha segnato la storia di noi Ucidini

Si tratta di un Rapporto corale costruito con il contributo di tutte le componenti territoriali dell’UCID sui vari temi che interpellano la nostra coscienza di imprenditori, dirigenti, professionisti cristiani per rispondere alla chiamata di Gesú: «Sono io che ho scelto voi e non voi che avete scelto me»

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prenditori dell’UCID o di altri imprenditori esterni. Per partire abbiamo individuato due settori: il primo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; il secondo delle tecnologie avanzate per l’autonomia dei disabili. Nella prima iniziativa coinvolgeremo due giovani laureati in ingegneria ( o altra facoltà scientifica) dell’Università della Basilicata, con ottimo profilo e con voglia di mettersi in gioco con un’attività imprenditoriale, con senior partner la società Linfa di Roma. Per la seconda iniziativa coinvolgeremo sempre un paio di ingegneri laureati nella stessa Università che hanno manifestato il forte interesse a creare una nuova attività in Basilicata, con una partnership con la Tiflosystem di Padova. Si tratta di due primi granelli di senape, ma come ci ricorda il Vangelo questi potranno diventare grandi piante da ospitare gli uccelli del cielo. La parte che mettiamo noi uomini è piccola, ma se abbiamo fede il Signore la sviluppa grandemente, come è avvenuto con la moltiplicazione dei pani e dei pesci saziando una grande moltitudine di persone. Le iniziative dell’UCID Nazionale che seguiranno a giugno a Milano e a ottobre a Torino sono di vitale importanza per la nostra associazione, come lo è stata la memorabile udienza del Santo Padre Benedetto XVI il 4 marzo 2006 nell’aula Paolo VI in Vaticano. Il 16 giugno 2007 verrà presentato a Milano presso la Fondazione Cariplo il Rapporto dell’UCID “La coscienza imprenditoriale nella costruzione del bene comune”. L’iniziativa è dedicata alla cara memoria di Alberto Falck, che con la sua vita di testimonianza cristiana ha segnato la storia di noi Ucidini. Si tratta di un Rapporto corale costruito con il contributo di tutte le componenti territoriali dell’UCID sui vari temi che interpellano la nostra coscienza di imprenditori, dirigenti, professionisti cristiani per rispondere alla chiamata di Gesú: «Sono io che ho scelto voi e non voi che avete scelto me». Si tratta di una testimonianza di risposta alla chiamata del Salvatore, in autentico spirito di “cultura dell’offerta” come indicato nell’appello degli imprenditori cristiani dell’UCID di settembre del 2005. I temi trattati vanno dalla responsabilità etica dell’imprenditore, ai processi di internazionalizzazione e di delocalizzazione delle imprese nell’era della globalizzazione, alle buone pratiche dell’etica imprenditoriale, ai risultati di una ricca indagine sul campo con questionari sui valori che ispirano l’attività dei nostri imprenditori cristiani, al significato del lavoro come dono, al nostro impegno per il futuro dell’Europa che non può esistere senza la memoria e l’identità delle radici cristiane. Alla presentazione del Rapporto farà seguito una tavola rotonda a cui parteciperanno giornalisti dei principali organi di stampa nazionali.


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Nel pomeriggio del 16 giugno si terrà l’Assemblea Ordinaria e Straordinaria con importanti punti all’ordine del giorno, tra cui uno riguardante il nostro Statuto di Federazione Nazionale. Il secondo importante appuntamento si svolgerà a Torino il 5,6 e 7 ottobre 2007 per celebrare il sessantesimo anniversario della nascita dell’UCID, con la partecipazione conclusiva del Cardinale Bertone e lo svolgimento di una riunione del Consiglio Direttivo. La scelta di Torino per la celebrazione del nostro sessantesimo anniversario riveste un significato particolare alla luce della straordinaria capacità che ha mostrato questa città di trasformarsi da centro della manifattura a centro di servizi innovativi, propri della nuova società della conoscenza che si è aperta davanti a noi. È la capacità di lasciare l’uomo vecchio per creare l’uomo nuovo, di cui parla il Vangelo e che costituisce la base di un nuovo sviluppo fondato sull’ordine morale. La celebrazione di questo evento spinge la nostra memoria al ricordo del Cardinale di Milano, Ildefonso Schuster, e del Cardinale di Genova, Giuseppe Siri, che hanno ispirato la nascita dell’UCID all’indomani del secondo conflitto mondiale. Era l’anno 1945 e a Milano e a Genova, in modo provvidenzialmente contemporaneo, partirono le prime iniziative per la costituzione dell’UCID, Unione Cristiana Imprenditori, divenuta poi negli atti fondativi UCID con la presenza dei Dirigenti. L’UCID Nazionale nascerà due anni dopo, il 31 gennaio del 1947 a Milano, per dare forza e incisività all’azione di un’Unione che doveva avere respiro Nazionale e collegamenti internazionali. Erano anni in cui era difficile parlare del ruolo dell’impresa e degli imprenditori come attori fondamentali dello sviluppo economico e sociale, ma che la visione profetica di guide illuminate dalla fede in Cristo faceva prevedere. Si trattava di inquadrare l’azione dell’impresa, degli imprenditori e dei dirigenti nell’ordine morale e, in particolare, della morale cristiana. Sono princípi che troveranno la massima espressione nell’Enciclica di Giovanni Paolo II, Centesimus Annus. Le grandi sfide della globalizzazione che stiamo vivendo, che hanno una valenza non solo economica ma anche sociale e umana, devono aumentare in noi l’amore per il bene comune universale, rifuggendo le diffuse tentazioni del riduzionismo economico e del relativismo etico indicate dal Santo Padre Benedetto XVI. L’Europa deve ritrovare sé stessa e deve farlo puntando soprattutto sui giovani, fondamento di una società aperta e piú giusta. L’integrazione con le popolazioni che vengono a noi alla ricerca di una vita dignitosa non ci deve fare paura. Ci deve animare lo stesso spirito di San Benedetto che ha saputo dare una luce a un’Eu-

Si svolgerà a Torino il 5, 6 e 7 ottobre 2007 un Convegno per celebrare il sessantesimo anniversario della nascita dell’UCID. Torino, allora, seppe trasformarsi da centro della manifattura a centro di servizi innovativi, propri della nuova società della conoscenza

Le grandi sfide della globalizzazione, che hanno una valenza non solo economica ma anche sociale e umana, devono aumentare in noi l’amore per il bene comune universale, rifuggendo le diffuse tentazioni del riduzionismo economico e del relativismo etico

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L’Europa deve ritrovare sé stessa puntando soprattutto sui giovani, fondamento di una società aperta e piú giusta. L’integrazione con le popolazioni che vengono a noi alla ricerca di una vita dignitosa non ci deve fare paura. È questo lo spirito che anima il Rapporto che verrà presentato a Milano il 16 giugno

ropa che sembrava senza futuro dopo la caduta dell’impero romano e il minaccioso avanzare di popoli molto diversi. Il monachesimo ha costituito la minoranza creativa che ha saputo preservare e tramandare il grande patrimonio di cultura e di storia ereditato dal mondo greco e romano e contemporaneamente svolgere la funzione di propulsione di un nuovo sviluppo scientifico e tecnico. Abbiamo per questo bisogno di un nuovo umanesimo con il ruolo fondamentale dell’impresa per la sua costruzione, come ha indicato il IV Simposio Europeo promosso dalla Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma il mese di giugno 2006 a Roma. Nell’inaugurazione del Simposio, il Cardinale Camillo Ruini ha parlato di un nuovo umanesimo cristiano, tracciando i contorni della visione cristiana dello sviluppo per il bene comune universale. È in fondo l’attuazione del grande insegnamento della Populorum Progressio di Paolo VI, indicando nello sviluppo la nuova dimensione della pace nel mondo. È questo lo spirito che anima il nostro Rapporto che presenteremo a Milano su “La coscienza imprenditoriale nella costruzione del bene comune”. Preghiamo vivamente tutti i Soci di segnare in agenda questi due importanti appuntamenti dell’UCID che terremo a Milano e a Torino. Gli amici della Presidenza Nazionale Maggio 2007

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ratelli, tenendovi pronti nello spirito e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesú Cristo si manifesterà. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo. E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiú come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio» (1 Pietro 1,13-21) (*). Questa lettera di Pietro è probabilmente un’antica omelia battesimale che prevedeva, dopo l’annuncio della Parola, l’immersione nel fonte battesimale, quasi a dire: un’immersione nella Parola per poi uscirne rigenerati. Per l’autore di questa lettera, l’esistenza cristiana è contrassegnata dalla speranza. Ma “sperare” non si-

gnifica solo e semplicemente attendere dal futuro il compimento di una salvezza non ancora posseduta, ma vivere già ora secondo uno stile di vita che anticipi il futuro. La speranza cristiana è dunque una vita nuova motivata dall’esperienza e dalla scelta battesimale. Il testo che abbiamo davanti ci presenta la novità della vita cristiana: la speranza cristiana è la chiave dell’esistenza, perché apre alla pienezza che ci sarà data e di cui abbiamo la caparra (cfr. Rom 8, e 2 Cor 1,22). Spesso la comunità cristiana manca di un orizzonte escatologico. L’aldilà è sostituito con l’aldiqua. E una comunità cristiana che non spera piú è morta, annuncia forse ancora il Vangelo, ma con un tono stanco, rassegnato, già con la convinzione che tanto serve a niente! Una comunità cristiana che non spera, piano piano arriva a convincersi che la via tracciata dal Vangelo non è piú percorribile oggi, che bisogna trovare dunque altre strade; arriva piano piano ad ammettere che i valori essenziali del Vangelo quali la gratuità, l’amore, la povertà, la piccolezza sono cose d’altri tempi: oggi conta la potenza, il successo, la ricchezza, la forza dei numeri e dei mezzi. Il primo appello che fa l’autore della lettera è: continuate a sperare fino a quando sarà esaurita ogni possibilità di speranza; il compimento definitivo non va mai messo in discussione. Questa capacità di speranza è un’arte, perché chiede di saper orien-

ATTUARE LA SPERANZA CON LA PROPRIA VITA

Significa vivere già ora secondo uno stile di vita che anticipi il futuro

di Dom Franco Mosconi OSB. Cam. Priore dell’Eremo di S. Giorgio

tare tutte le attese della vita nella “grande speranza”. Ponete completamente la vostra speranza sul compimento che è la manifestazione di Gesú, ossia la salvezza. Puntate sempre di piú le vostre energie sul Cristo che vi è dato e sta crescendo in voi. «Perciò dopo aver preparato la vostra mente all’azione, siate vigilanti …»; il testo greco addirittura dice: «cingendovi i fianchi della vostra intelligenza, siate sobri e ponete ogni speranza». UNA PAROLA CHE GENERA SPERANZA La prima cosa che fa la Parola in noi è quella di donarci 1/2007 • UCID Letter

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Spesso siamo bloccati dalle nostre paure e dalle nostre angosce; siamo spesso legati da tanti condizionamenti. La prima cosa che fa la Parola è cingerci i fianchi della mente, per renderci piú agili, piú aperti, piú disponibili al nuovo. Essa genera alla speranza

speranza («… Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi,è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtú della perseveranza, e della consolazione che vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza» Rom 15,4). Cosa fa il Vangelo? Ci presenta la nostra verità profonda, ciò che siamo secondo il disegno di Dio, ciò che tutti vorremmo essere e non riusciamo a essere. La prima cosa che dovrebbe avvenire, leggendo il Vangelo, è questa: un’apertura del cuore alla speranza; il testo greco dice: «cingendovi i fianchi della vostra intelligenza»! UCID Letter • 1/2007

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Sappiamo cosa vuol dire cingere i fianchi: anticamente gli uomini portavano lunghe vesti e allora, per camminare spediti, si cingevano i fianchi. Noi spesso siamo bloccati dai paludamenti delle nostre menti che sono le nostre paure, le nostre angosce, i nostri sospetti; siamo spesso impacciati nelle decisioni da assumere, siamo legati da tanti condizionamenti. La prima cosa che fa la Parola è cingerci i fianchi della mente, renderci piú agili, piú aperti, piú disponibili al nuovo, appunto pieni di speranza, perché se l’uomo non spera, non vive, soffoca. È la conversione della nostra mente (Rom 12,1-2). È il superamento dei nostri vani ragionamenti (Fil 4,7). Dunque, la prima azione della Parola è generarci alla speranza. Quella speranza che poi diventerà completa alla fine, quella speranza che suscita la nostra operatività, che fa sí che non ci conformiamo ai desideri disperati che avevamo prima, quando eravamo nell’ignoranza. Quando si è nell’ignoranza delle cose positive, cosa si fa? Si vive nella paura. Che cosa fa uno quando vive nella paura? Realizza le sue paure! Ecco allora che la speranza cambia il nostro comportamento: non realizziamo piú quegli schemi di paura che avevamo dentro, ma diventiamo capaci di attuare dei progetti nuovi, positivi, emersi attraverso il racconto del Vangelo, che abbiamo constatato corrispondere ai nostri

bisogni profondi fino a farci dire: guarda che bello cosí! Quindi questa è la prima cosa che ci dona la Parola: ci genera alla speranza. Ravvivate sempre esistenzialmente la meta; non vivete di rendita, lottate per approfondire, per incidere dentro di voi l’affascinante immagine della meta sperata. È un lavoro sapienziale; è la libertà dai sogni consumistici e inutili che ci consente di cogliere il fascino della Karis, offertaci con la Rivelazione di Gesú; sperare non è un valore marginale; occorre essere documentati e conoscere e dire che cosa attendiamo: una eredità che non tramonta. Come Dio ha risuscitato Gesú, cosí sappiamo che avverrà in noi questa vita nuova (1, 21). Per Paolo (Rom 8), è lo Spirito Santo il legame fra ciò che è germinale o caparra, e il compimento. Il cristiano non è tale se non è uomo di speranza e cosí diventa grazie all’opera dello Spirito che abita in lui che, prima ancora di renderlo capace di compiere un gesto di speranza, lo fa speranza, depositando nel suo cuore un germe di vita nuova che, secondo il progetto di Dio riceverà un compimento. Diventato speranza, il cristiano vive e testimonia nella sua vita la speranza. Ed egli non spera soltanto per sé ma anche per il mondo, affermando che, anche nelle situazioni piú disperate c’è una via d’uscita, c’è un riferimento che porta a una meta che è al di là dell’apparente vuoto e del non


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senso. Il cristiano spera per sé e per il mondo anche quando la realtà che lo circonda sembra opporre tutto il contrario. Ma tale speranza è possibile soltanto se si rimane uniti a Cristo e si riceve il suo Spirito capace di ribaltare le nostre tombe nelle quali ci siamo rifugiati pieni di paura e di sospetti. Per questo si può sperare. «Essere Chiesa - scriveva un mio confratello che non è piú tra noi (P. Calati) - significa immergersi nella Parola, lasciandosi compenetrare dallo Spirito. La crescita nella carità del singolo fedele si sviluppa in proporzione all’approfondimento della Parola di Dio, grazie all’identico Spirito che anima le Scritture e che dirige ogni credente verso la pienezza dell’amore» (Cfr. B. Calati, San Gregorio Magno, maestro di formazione spirituale, pg. 256). Ho appreso con grande gioia l’annuncio da Papa Benedetto XVI sull’indizione della dodicesima Assemblea generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (5-26 Ott. 2008). UNA SPERANZA CHE APRE ALLA SANTITÀ La seconda caratteristica della Parola la troviamo al versetto 15: qui ci viene aperta una via: «diventate santi». Proprio cosí! Santo è solo Dio ed è un attributo senza analogie perché solo Lui è santo. Ma è proprio Lui che ci dice: sii come me! Perché sei mio figlio! Siamo

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tutti chiamati alla santità, perché lí è la realizzazione piena dell’uomo. Poter arrivare a dire: mi sento cosí realizzato nelle mie aspirazioni piú profonde da non desiderare altro. Questa Parola ci propone di diventare ciò che ora potenzialmente già siamo: come Dio! Un invito a vivere come Lui perché abbiamo la Sua stessa vita; essa circola in noi, donata da Lui; possiamo appunto essere santi, separati da schemi mondani, perché siamo come Lui. E la nostra santità non è qualcosa di strano, anche se attorno a noi troviamo spesso immagini di santi poco appetibili! … La santità è quel comportamento perfettamente umano che è divino; è la pienezza di vita, di gioia e d’amore che c’è in Dio: siamo chiamati a viverla! Nella quotidianità! Il “diventate santi”, penso proprio che implichi un certo dinamismo, una certa crescita graduale e costante, non a strappi, cosí come avviene per la maturazione di un frutto. Accogliendo il Vangelo, giorno dopo giorno, aiutati dallo Spirito Santo, noi rendiamo concreta, nel comportamento personale e sociale, la vita di Cristo e la manifestiamo nel vissuto piú feriale. Vivere la santità significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna, guardando il suo Figlio. E poi “santo”, non vuol dire perfetto, perché abbiamo le nostre miserie, i nostri peccati, se non altro i nostri limiti. La santità allora in cosa con-

La santità non è qualcosa di strano! È quel comportamento perfettamente umano che diventa divino; è la pienezza di vita, di gioia e d’amore che c’è in Dio: questo siamo chiamati a vivere! Nella quotidianità!

siste? Nel vivere il limite e il peccato in modo diverso: come luogo di perdono invece che luogo di colpa e di espiazione, come luogo di comunione e non di divisione. Si può vivere la realtà quotidiana o in modo divino o in modo diabolico. Se i nostri limiti diventano luogo di conflitto con tutti e con noi stessi, e i nostri peccati luoghi di autoflagellazione, tutto è finito. Invece la Parola ci chiama alla santità, alla santità di Dio che è amore, tenerezza, misericordia, comunione, dono di perché, anche se il mio limite e i miei difetti quotidiani mi diranno che ho sem1/2007 • UCID Letter

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Lo Spirito Santo che guida la Chiesa, la renda piú attenta all’ascolto della Parola di Gesú, l’assimili a Lui, per essere nella nostra storia, vivo strumento di speranza e di pace

pre bisogno di misericordia e di perdono. Questa è la santità cristiana. D’altra parte, in continuità con l’insegnamento di Pietro, il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione Lumen Gentium, ci ha ricordato che la vocazione alla santità appartiene di diritto a tutti i battezzati. Non solo alcuni cristiani, ma «tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana» (LG, 40). Giovanni Paolo II attualizza l’imperativo in questi termini: «Se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio atUCID Letter • 1/2007

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traverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale. Chiedere a un battezzando: “Vuoi ricevere il battesimo?” significa al tempo stesso dirgli: “Vuoi diventare santo”?» (Novo Millennium Ineunte, 31). QUALE POSTO PER LA PAROLA NELLA NOSTRA VITA? Ora sarebbe il caso di domandarci a quarant’anni dalla Dei Verbum: cosa ne abbiamo fatto della Parola? Da molti penitenti che ancora si confessano, se provate a chiedere quale primato abbia l’ascolto della Parola nella loro vita, sentireste, purtroppo, una risposta desolante!!! Ma non abbiamo detto che la speranza è frutto dell’ascolto del Vangelo? Uno diventa la Parola che ascolta. Uno si assimila alla Parola che medita quotidianamente, e diventa narratore di speranza. Il mondo e la nostra vita nascono dal Dio della luce e della bellezza: spesso ci sorprendono le tenebre e i drammi; ma essi non possono cancellare la bellezza del mondo e l’armoniosa crescita che Dio, Onnipotente nell’Amore, va costruendo in noi, grazie a Cristo Gesú e allo Spirito Santo. Ricordiamo tutti il n. 39 della Novo Millennium Ineunte di Giovanni Paolo II: Non c’è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è

concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio. Occorre - continua il Papa consolidare e approfondire questa linea … in particolare è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza. E, all’inizio del numero seguente, aggiungeva: nutrirci della Parola, per essere “servi della Parola” nell’impegno dell’evangelizzazione: questa è sicuramente una priorità per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio (n. 40). CONCLUSIONE È la Parola assimilata che traccia il nostro stile di vita. Quale conclusione vorrei proporre una breve pagina di un fratello presbitero che ci ha lasciato alcuni mesi fa e che sintetizza molto bene, almeno per me, i frutti dell’ascolto e della Parola assimilata come latte. È una pagina di d. Divo Barsotti, unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità piú importanti del secolo appena trascorso. Egli commenta quel versetto degli Atti di quando Paolo, a Corinto, si trova in difficoltà nel suo ministero di evangelizzatore. A Paolo scoraggiato e deluso, il Signore dice: «Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te … io ho un popolo nu-


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meroso in questa città» (Atti 18,9-10). Sentite come commenta don Barsotti: «Queste parole ci suggeriscono che il Cristo vive con Paolo. L’esperienza spirituale di Paolo è di una grande ricchezza e profondità. Il suo rapporto col Cristo è un rapporto vivo, concreto. Egli vive una dipendenza continua dal Signore. La vita di Paolo, cosí piena di opere e di travagli, cosí ricca di rapporti umani, è ben poco in confronto al suo rapporto col Cristo. La realtà piú vera nella vita di Paolo è la presenza di Cristo Gesú. Essere a Corinto o ad Atene è secondario; quello che conta per lui e determina ogni suo atto è la sua unione col Cristo. La sua vera vita non è in quello che fa, nei suoi viaggi continui, nelle tribolazioni e persecuzioni che soffre; la vita di Paolo ha il suo contenuto piú vero nel suo rapporto vivo col Cristo; in questo rapporto possiede una stabilità, una unità mirabili. Gli avvenimenti esteriori possono manifestare qualcosa soltanto di quella vita profonda che Paolo vive nella sua comunione personale col Cristo. Questa è la vita vera di Paolo». Cosí conclude Barsotti. Non aggiungo altro. Lo Spirito Santo che guida la Chiesa, la renda piú attenta all’ascolto della Parola di Gesú, l’assimili a Lui, per essere nella nostra storia, vivo strumento di speranza e di pace. (*) Lectio Divina di Dom Franco Mosconi OSB. Cam., Priore dell’Eremo di S. Giorgio all’incontro con i Soci della Sezione di Mantova.

UNITÀ EUROPEA

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ell’opinione piú diffusa, il concetto di Europa coincide con quello attuale di Unione Europea, considerata comunque come realtà relativamente lontana, connotata soprattutto dalla regolazione degli scambi economici, dall’unione doganale e, in minor misura, dai tentativi di armonizzazione dei rapporti sociali; solo pochi “eletti” la considerano come vero àmbito delle nostre tradizioni culturali, nonché dell’orizzonte delle attività economiche e professionali. Eppure i legami tra i Paesi d’Europa iniziarono con la caduta dell’impero romano e si rafforzarono nel Medioevo e nelle epoche successive con reciproci arricchimenti “globali”, si pensi soltanto al rinascimento italiano, all’illuminismo e al romanticismo. Questi reciproci influssi culturali hanno configurato la cosiddetta civiltà occidentale, che si estende oltre la “vecchia” Europa, ma ancor oggi rivestono nel nostro Continente precise caratteristiche, che distinguono sotto molti aspetti il modello europeo dalle interpretazioni che se ne sono date nei contesti oltremare nei quali esso è stato trasmesso, e in particolare in America del Nord e in America Latina. La domanda da porsi è allora, su quali basi l’accennato processo di interrelazioni culturali poggiasse all’origine, ovvero da quali premesse fondanti esso avesse preso avvio. È questa una domanda non

LE RADICI CRISTIANE D’EUROPA

I legami tra i Paesi d’Europa iniziarono con la caduta dell’Impero romano

di Franco Nava Presidente UCID Sezione Milano

solo teorica, in quanto l’origine culturale di un itinerario di tanta rilevanza nella storia delle civiltà, ne prefigura il profilo di sviluppo e l’orientamento. In fondo, tale interrogativo di fondo equivale al problema esistenziale dei filosofi «da dove veniamo e dove andiamo», cioè al senso della vita. La risposta sembra incontrovertibile: l’onda di fondo che ha contrassegnato, a partire dal Sacro Romano Impero - prima esperienza storica di unità del Continente, nell’equilibrio tra fede e amministrazione politica - sono stati i valori cristiani. Certo, il succedersi dei fat1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ UNITÀ EUROPEA

Nel Continente europeo, la gestione dei sistemi economici e delle imprese rivolge crescente attenzione alle implicazioni sociali e alla promozione del bene comune. Tutto ciò è frutto della formazione culturale maturata dai semi dell’etica e della morale cristiana

ti e delle vicende non è stato rettilineo, ma zigzagante, con fasi di pausa, talvolta addirittura di arretramento e altre di sviluppo, secondo i limiti dell’imperfezione della natura umana … ma in ogni caso l’alterna dialettica degli eventi è sempre evoluta in senso sostanzialmente positivo, superando peraltro prove drammatiche, come le due nefaste esperienze nel Novecento del nazionalsocialismo e del comunismo, con il loro seguito di morti, persecuzioni e sofferenze di ogni genere. L’affermazione particolarmente determinata e condivisa UCID Letter • 1/2007

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dell’identità cristiana d’Europa si ebbe in tre occasioni storiche e sempre in situazioni di “estrema” difesa rispetto a minacciose aggressioni esterne: a Poitiers, con Carlo Martello e vari secoli dopo a Lepanto e poi a Vienna, con Eugenio di Savoia e il re polacco Sobieski. Quanto alle alterne vicende e ai travagli all’interno della cristianità europea, citiamo, in estrema sintesi, l’inquisizione e il processo a Galileo, la Riforma protestante, la rottura degli Anglicani ai tempi di Enrico VIII, la Controriforma, le molte lotte e confronti tra cristiani e il lungo e perdurante confronto con l’Ortodossia, tutte crepe e ferite all’unità dei cristiani, pur sempre iscrivibili all’interno della matrice originaria. Dopo tanto volgere di secoli sembrano oggi avvicinarsi tempi piú sereni, nei quali le diverse componenti del cristianesimo e gli Stati nazionali tentano di meglio conoscersi e dialogare, riconoscendo in alcuni casi i torti del passato. Ricordiamo la richiesta evangelica di perdono di Papa Giovanni Paolo II, nella superiore prospettiva e speranza della ricomposizione dell’unità, estremo voto di Gesú nell’Orto del Getzemani. Se si volesse infine considerare quale sia il lascito di tanta tradizione nei tratti attuali del modello politico e socioeconomico europeo, e ciò sia pure a livello dei singoli principali Paesi dell’Unione - e non dell’insieme di essi - non man-

cherebbero a mio avviso, motivi di ragionata speranza. Nel nostro Continente, con particolare riferimento ai Paesi dell’area geografica occidentale, si sono generalizzati i regimi politici democratici, basati sulla libertà di pensiero e opinione; la gestione dei sistemi economici e delle imprese rivolge crescente attenzione alle implicazioni sociali e alla promozione del bene comune; si sono infittite le interrelazioni e le collaborazioni nel campo culturale; ha assunto rilevante importanza la salvaguardia dell’ambiente e la gestione equilibrata delle risorse naturali. Tutto ciò è frutto della formazione culturale maturata in Europa dai semi dell’etica e della morale cristiana. Anche gli influssi tuttora presenti e operanti dell’illuminismo, con la rivalutazione del ruolo di primo piano della ragione nelle scelte, si riallacciano alla piena valorizzazione cristiana della persona umana, libera di spingersi fino agli estremi limiti delle possibilità cognitive e libera altresí di determinare il proprio destino nella vita e oltre. In un simile contesto che ha di fatto consentito di superare la dimensione nazionale verso aggregazioni regionali piú ampie, l’impegno di tutti gli uomini di buona volontà e in particolare dei cristiani, dovrebbe consistere nel collegare le maglie del discorso tra i diversi Paesi e in primo luogo nel campo sociale, promuovendo un dialogo costruttivo tra le di-


ATTIVITA’ UNITÀ EUROPEA

verse componenti professionali, al fine di raggiungere posizioni comuni. Da questo punto di vista, le opportunità di confronto culturale sembrano numerose, come dimostra l’iniziativa UCID - UNIAPAC di costruire un appello che manifesti il comune punto di vista degli operatori economici cristiani europei sulle tematiche dello sviluppo, della formazione e lavoro, della solidarietà e sussidiarietà e del sostegno all’Africa. UNIAPAC è la federazione che raggruppa le diverse associazioni degli imprenditori e dirigenti cristiani d’Europa e del mondo; in questo àmbito l’UCID italiana propose al Consiglio Direttivo UNIAPAC Europa di fine maggio 2006 di avviare un dibattito e di assumere un’iniziativa “forte” nel settore altamente critico dello sviluppo e della convivenza sociali. Dopo gli approfondimenti successivi e la ripresa dell’argomento sia con il Presidente francese UNIAPAC Europa che in altre riunioni del Direttivo europeo, il progetto si trova ora in fase di realizzazione, con l’obiettivo di raggiungere il consenso tra i Partners d’Europa per la fine del corrente anno. I temi sui quali gli operatori economici cristiani europei sono invitati a pronunciarsi sono in particolare: 1) le risorse della crescita: famiglia, emigranti, pari opportunità; 2) armonizzazione europea della formazione professionale; 3) speciale impegno dell’Europa per

lo sviluppo sociale ed economico dell’Africa; 4) organizzazioni non profit; 5) dialogo tra fede, scienza e industria. Numerosi contatti sono già stati intrapresi in Italia e all’estero per dissodare il terreno e chiarire i fondamenti del discorso: oltre agli imprenditori, dirigenti e professionisti, l’UCID si è rivolta a professori di differenti università italiane per l’inquadramento generale dell’iniziativa, come anche a esponenti ecclesiastici di rilievo, tra i quali il Presidente del Pontificio Consilium Iustitia et Pax S. E. Cardinale Raffaele Martino e il Rappresentante italiano presso la COMECE (Conferenza Episcopale Europea) S. Ecc. Monsignor Giuseppe Merisi, Vescovo di Lodi. Iniziative di base come questa contribuirebbero a costruire quell’Europa dei valori e dei cittadini che è nelle speranze di tutti, riallacciandosi alle tradizioni piú luminose del nostro Continente, di offrire al mondo, come in passato, il proprio originale contributo di civiltà e cultura, arricchito dalle plurisecolari esperienze storiche diversificate dei grandi Paesi che lo compongono.

UCID - UNIAPAC sono impegnati a costruire un appello che manifesti il comune punto di vista degli operatori economici cristiani europei sulle tematiche dello sviluppo, della formazione, del lavoro, della solidarietà, della sussidiarietà e del sostegno all’Africa

Questi alcuni dei temi sui quali pronunciarsi: 1) le risorse della crescita: famiglia, emigranti, pari opportunità; 2) l’armonizzazione della formazione professionale; 3) lo speciale impegno per lo sviluppo sociale ed economico dell’Africa; 4) le organizzazioni non profit; 5) il dialogo tra fede, scienza e industria

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IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

LA BIBBIA, IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

La ricchezza deve diventare possibilità concreta di aiuto fraterno, e non strumento di dominio sugli altri

di Patrizio Rota Scalabrini, Teologo (*)

La Tôrah privilegia la considerazione della ricchezza quale benedizione divina, ma nel contempo ricorda che bisogna custodire il senso del dono e anteporre la persona sui beni economici

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rima di inoltrarci in una riflessione sul rapporto della chiesa delle origini con i beni economici, è importante ricordare che l’atteggiamento nei confronti della ricchezza tenuto dai primi cristiani, va innanzitutto compreso alla luce dell’insegnamento delle Scritture d’Israele, che, per la comunità primitiva, era al momento la sola Scrittura esistente. Ebbene, a proposito dell’atteggiamento d’Israele circa le ricchezze, è necessaria cautela di fronte all’accettazione di luoghi comuni, non fondati nella realtà dei testi. Detto in altre parole, una trattazione sintetica dell’atteggiamento testimoniato nelle Scritture di Israele sul tema della ricchezza deve prendere le distanze dalla diffusa convinzione che ci troveremmo davanti a due opposte valutazioni: da una parte il Primo Testamento, con la sua valorizzazione delle ricchezze (fatta eccezione per la critica profetica), dall’altra, il Nuovo Testamento con una prevalenza del sospetto e della condanna verso i beni materiali. In realtà tra i rispettivi punti di vista dei due Testamenti vi è forse molta piú consonanza di quanto si possa supporre di primo acchito. Si impone piuttosto la necessità di individuare un piú articolato giudizio sul tema della ricchezza, che prenda in considerazione i grandi raggruppamenti canonici del Primo Testamento: Legge, Profezia, Sapienza. Questo approccio sem-

bra preferibile alla ricerca di un ipotetico sviluppo genetico delle varie posizioni culturali e teologiche. Bisogna riconoscere che le opinioni espresse dal Primo Testamento sul tema della ricchezza appaiono tra loro in tensione dialettica. Per intenderci: la Tôrah privilegia la considerazione della ricchezza quale benedizione divina, ma nel contempo limita tale affermazione ricordando che bisogna custodire il senso del dono (cioè che le ricchezze non sono solo il frutto dell’ingegno umano), l’antecedenza della persona sui beni economici e la vigilanza sulla tentazione delle ricchezze, che sfocia nella loro idolatria. Perciò la Tôrah, nel momento stesso in cui vede nei beni economici un segno della berakah, ricorda il paradosso dell’elezione divina che si manifesta nella condizione di povertà, in cui si trova Israele, soggiogato dal faraone. La voce dei profeti vuole far entrare nel presente dell’ascoltatore la forza del messaggio presente nella Tôrah; bisogna allora innanzitutto valutare questo presente circa la sua lontananza o vicinanza al progetto divino di liberazione, che ha il suo culmine nell’alleanza. Ecco allora i profeti levare la loro voce contro l’accumulo delle ricchezze che in una società a sviluppo pressoché zero comporta necessariamente l’impoverimento di molti e l’arricchimento di alcuni. In questo senso i profeti sono la voce critica, che addita nelle ricchezze


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il rischio di ingiustizia e di idolatria; infatti l’uomo può illudersi di avere una vita piena perché abbonda di beni. Contro tale tentazione la voce profetica è assolutamente severa. Peraltro la loro critica alle ricchezze non sono un sogno pauperista, dal momento che le escatologie profetiche, cioè i testi di promessa riguardanti un futuro diverso e salvifico, configurano l’attesa di un mondo prospero anche sul piano materiale (ovviamente nella pace e nella giustizia, specie verso i poveri). La terza sezione del corpo canonico d’Israele raccoglie il pensiero sapienziale, che è alieno da ogni dogmatismo e da giudizi sommari e affrettati. Cosí, di fronte alla ricchezza, si afferma il suo essere benedizione di Dio, ma anche frutto del lavoro e della responsabilità umana. D’altra parte, la persona non può pensare che sia la ricchezza a decidere della sua felicità e della realizzazione di un sensato progetto di vita. In altri termini, la ricchezza, come le altre realtà umane, resta realtà comunque ambigua, bisognosa di discernimento. Tale discernimento dovrà portare il credente a transitare dall’insidia della cupidigia alla scoperta dell’unum necessarium, cioè di Dio come il senso di ogni bene e l’unico capace di incontrare pienamente il desiderio umano: «Temete il Signore, suoi santi, nulla manca a coloro che lo temono. I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il

IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

Signore non manca di nulla» (Sal 34,10-11). I BENI ECONOMICI E L’INSEGNAMENTO DI LUCA Come ben si sa, il libro degli Atti degli Apostoli è un’opera che va letta in parallelo con la sua prima parte, cioè il vangelo di Luca. Pertanto, prima di valutare il messaggio di Atti circa l’atteggiamento della comunità cristiana verso i beni economici, è bene avere presente l’orizzonte piú ampio del messaggio lucano. Sinteticamente possiamo affermare che la problematica della ricchezza e della povertà, come motivo di disuguaglianza all’interno della comunità cristiana, è un aspetto che sta particolarmente a cuore a Luca, il quale vi ravvisa una questione seria, attinente l’intera vita cristiana. Allora, mediante i detti e le parabole di Gesú, mette innanzitutto in evidenza i pericoli che la ricchezza comporta per colui che vuole seguire Cristo. Ricordiamo qui, a tale proposito, i “guai” che si succedono immediatamente alle beatitudini, e primo di questi “guai” è esattamente rivolto ai ricchi: «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Lc 6,24). Il “guai” non è una minaccia (cosa che puzzerebbe di “risentimento”), ma il pianto funebre che Gesú intona su quei ricchi che pensano di avere assicurata la vita e la salvezza grazie alle ricchezze. Ecco allora l’insistenza di Luca sulla necessità della rinuncia totale,

La ricchezza, come le altre realtà umane, resta comunque ambigua e bisognosa di discernimento. Tale discernimento dovrà portare il credente a transitare dall’insidia della cupidigia alla scoperta dell’unum necessarium

dell’abbandono di tutti i beni (cfr., ad esempio, Lc 5,11.28; 11,41; 12,21; 14,33; ecc.). Leggendo tali testi, si ha addirittura l’impressione che Luca pensi alla Chiesa come a una comunità pauperistica, in cui la salvezza è concepita come incompatibile con qualsiasi possesso di beni materiali. In realtà, tale impressione va temperata, valutando il senso pragmatico che Luca dà ai detti di Gesú da lui raccolti, circa i rapporti con le ricchezze. Non si tratta di un’affermazione di principio che demonizzi le ricchezze, ma di una messa in guardia di fronte al rischio della cupidigia e 1/2007 • UCID Letter

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IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

Sarà allora necessario che le ricchezze e il loro uso, da ostacolo all’accoglienza del Vangelo, possano divenire occasione di benedizione resa a Dio e di comunione con le persone piú svantaggiate

dell’idolatria di esse. Che questa impressione vada concretamente corretta ne è prova il fatto che lo stesso Luca presenta, sia nel suo Vangelo che negli Atti, figure di ricchi che incontrano realmente Gesú e la salvezza da lui portata. È il caso di Zaccheo, per il quale Gesú afferma che la salvezza è entrata nella sua casa, ma che non si priva di tutti i suoi beni (dà solo la metà ai poveri - cfr. Lc 19,8-9). La stessa cosa avviene nell’episodio di Atti in cui la prima convertita al cristianesimo in terra d’Europa è una ricca commerciante di stoffe, un’imprenditrice UCID Letter • 1/2007

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decisa e capace, quale è Lidia (16,13-15). Di lei comunque non si dice che abbia abbandonato il suo lavoro, i suoi affari di dimensione internazionale. Se si rilegge poi il celebre episodio di Anania e Saffira, si vede che Pietro rimprovera la coppia non di disporre di denaro, ma di aver mentito sulla donazione e di aver cosí inquinato i rapporti di comunione fraterna (cfr. At 5,1-11). Possiamo quindi dire che Luca, sia nel vangelo che negli Atti, non vuole promuovere un programma di riforma sociale, e tanto meno avanza una proposta di programma circa le leggi economiche che dovrebbe adottare uno Stato. Se la comunità cristiana dovrà essere in qualche modo alternativa rispetto a un modo “mondano” di concepire la produzione e la gestione delle ricchezze, lo sarà in nome di esigenze religiose. E l’esigenza principale è appunto quella della conversione del cuore; sarà allora necessario che le ricchezze e il loro uso, da ostacolo all’accoglienza del Vangelo, possano divenire occasione di benedizione resa a Dio e di comunione con le persone piú svantaggiate. Questa è la preoccupazione che caratterizza Luca, e che si vede bene in varie sezioni del suo Vangelo. Ne segnaliamo tre. La prima è in Lc 12, dove al centro sta la parabola del ricco stupido, che pensa di essersi assicurato la vita con la ricchezza; la seconda sezione è in Lc 16, con la parabola del fattore infedele, dove vengono poi

illustrate delle applicazioni concrete circa il buono e il cattivo uso della ricchezza; infine vi è la sezione di Lc 18, con la grande domanda sorta attorno all’episodio del cosiddetto “giovane ricco”: può un ricco salvarsi ed entrare nel Regno di Dio? Certo il Vangelo mostra in prevalenza una certa diffidenza verso la ricchezza, di cui si denuncia la pericolosità, dovuta al fatto che la persona facilmente se ne innamora. Per Luca essa fa correre il rischio di compromettere l’evangelo; infatti si impadronisce del cuore dell’uomo, gli dà un illusorio senso di sicurezza, lo acceca facendogli dimenticare il vero esito dell’esistenza, e attenta ai rapporti fraterni, rendendo cosí non credibile la testimonianza. Le esigenze radicali dell’evangelo certamente si rivolgono in primo luogo alla persona, ma devono poi avere un influsso sulla vita concreta, comunitaria; ecco allora il ritratto degli Atti degli Apostoli a proposito della traduzione comunitaria di questo atteggiamento evangelico circa le ricchezze. LA COMUNITÀ DI GERUSALEMME E LA COMUNIONE DEI BENI Affrontiamo ora piú analiticamente i testi degli Atti degli Apostoli rilevanti per il nostro tema. Anzitutto bisogna considerare i due grandi sommari sulla vita della comunità cristiana delle origini. Il primo è At 2,42-47, e ac-


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cenna solo brevemente al tema: «42Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo». Il secondo sommario è invece esplicitamente dedicato al tema dei beni economici nella vita della comunità delle origini: «32La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. 33Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesú e tutti essi godevano di grande simpatia. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno». Nel primo sommario, il v. 44

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esplicita un significato della koinônía, cioè della comunione esistente nella comunità e afferma che i credenti avevano ogni cosa in comune; tale pratica non è presentata come assolutamente nuova o sconcertante, poiché nell’ambiente giudaico esistevano già gruppi che mettevano in comune le loro energie e le loro ricchezze per realizzare la comunità di Dio. Cosí avviene ad esempio a Qumran: «Per formare una comunità nella Tôrah e negli averi» (1QS 1,11); «Per essere una comunità nell’àmbito della Tôrah e della proprietà» (1QS 5,2). Peraltro lo stesso Giuseppe Flavio, descrivendo gli esseni, ci dice che praticavano la comunione dei beni; «Non curano la ricchezza ed è mirabile il modo in cui attuano la comunione dei beni; … La legge è che chi entra metta il suo patrimonio a disposizione della comunità, sicché in mezzo a loro non si vede né lo squallore della miseria, né il fasto della ricchezza, ed essendo gli averi di ciascuno uniti insieme, tutti abbiano un unico patrimonio come tanti fratelli» (De Bello Judaico, II 122). La comunità cristiana di Gerusalemme, quando pratica la comunione dei beni, ha già quindi sotto gli occhi degli esempi. Ecco allora i commentatori discutere attorno alla possibilità che la presentazione di Luca sia influenzata dalle usanze degli esseni o dei pitagorici, o semplicemente dall’idea greca sull’amicizia, che si esprime in note massime,

Negli Atti si esplicita il significato della koinônía, cioè della comunione esistente nella comunità, dove si afferma che i credenti avevano ogni cosa in comune; tale pratica non è presentata come assolutamente nuova o sconcertante

esaltanti tale comunione (cfr. Cicerone, Off. I,16,51: «Ut in Graecorum proverbio est: amicorum esse omnia communia»). In ogni caso, dal testo non si può dedurre alcuna indicazione circa un modello di riferimento. La cosa piú importante - ancora prima che la misura reale di tale comunione dei beni - è individuarne la motivazione. Anche qui le opinioni divergono: alcuni esegeti credono che tale pratica sia il risultato delle convinzioni escatologiche circa l’imminente fine del mondo presente, che rende irrilevanti le ricchezze e le ordinarie preoccupazioni circa 1/2007 • UCID Letter

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IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

Mettendo in comune i beni, la comunità mostra di comprendersi come “famiglia di Dio”. Ma Luca non vuole imporre tale idealizzazione, perché non afferma mai esplicitamente che i membri della Chiesa devono obbligatoriamente mettere a disposizione i loro beni

il futuro prossimo. Altri vedono un richiamo all’ideale suggerito da Gesú, come quello attestato in Mt 6,19-21, con una sorta di “comunismo” ispirato dall’amore. A parte questa rilettura anacronistica, il motivo ispiratore sembra non un’etica interinale, un’etica cioè che vale solo per un breve tempo in attesa della fine, ma l’esperienza dell’amore di Dio in Cristo che suscita nuove relazioni di prossimità, nella fraternità derivante dalla comune figliolanza. Mettendo in comune i beni, la comunità mostra di comprendersi come “famiglia di Dio”. UCID Letter • 1/2007

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Bisogna peraltro dire che vari commentatori vedono qui semplicemente un’idealizzazione della comunità cristiana, in cui Luca si sarebbe spinto anche troppo avanti nel dedurre un quadro generale da singoli episodi, come quelli di Barnaba (At 4,36ss) che vende tutti i suoi beni, o quello di Anania e Saffira (At 5,1-11). A nostro avviso, Luca non ha fatto un’operazione arbitraria ma, sulla base di indizi presenti nella tradizione, ha ricostruito un ritratto della comunità in cui ritiene verosimile che i primi cristiani abbiano adottato la pratica della comunione dei beni, tanto ammirata nell’antichità. At 2,45 esplicita quanto accennato al v. 44: avere tutto in comune comporta che i proprietari abbiano venduto i loro beni. Nuovamente non è chiaro in quale misura questa prassi di vendita dei beni sia stata per un certo periodo obbligatoria oppure facoltativa; va notato che Luca usa i verbi all’imperfetto, ad indicare che questa situazione comunque deve essersi protratta per un certo tempo, e non deve essersi trattato solo di alcune decisioni estemporanee, limitate a qualche episodio. I termini utilizzati da Luca sono ktêmata e ypárxeis; il primo indica la proprietà terriera, il secondo i beni personali, mobili. La vendita consentiva di ricavare del denaro che veniva spartito tra i bisognosi. È evidente come tale provvedimento non possa protrarsi a lungo nel tempo, poiché a un certo punto i beni

finiscono e rimane il problema dei mezzi di sostentamento dei singoli e della comunità; per alcuni esegeti questa pratica deve aver prodotto, a un certo punto, anche una situazione di povertà generalizzata, che ha richiesto l’aiuto di altre comunità, come avviene nel caso della colletta promossa da Paolo per i poveri della chiesa di Gerusalemme. Di fatto, in questa pratica di vendere i beni, emerge comunque un’indicazione positiva: la comunità affronta fattivamente le situazioni di bisogno perché interpellano concretamente la fraternità. Il secondo sommario maggiore di At 4,32-35 è specificamente dedicato alla Chiesa delle origini quale comunità di condivisione e di testimonianza. Compito di questo sommario è ribadire sostanzialmente i punti del precedente, mettendo però l’accento sulla testimonianza del Risorto, sulla condivisione dei beni, e sul servizio ai poveri. Luca è consapevole di tratteggiare una generalizzazione e un’idealizzazione, anche solo per il fatto che immediatamente dopo propone l’episodio di Anania e Saffira, che è una contro testimonianza, e che mostra come la condivisione dei beni non fosse una pratica pienamente recepita. Bisogna però notare che Luca non vuole imporre tale idealizzazione, perché non afferma mai esplicitamente che i membri della Chiesa devono obbligatoriamente mettere a disposizione i loro beni. Inoltre,


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nel corso del libro, avrebbe potuto riprodurre tale idealizzazione della Chiesa delle origini, ma non lo fa, perché mostra comunità in cui questo non avviene. Concordiamo con quanto afferma C. K. Barrett: «Sotto questo aspetto, il racconto di Luca differisce ampiamente dalla regola di Qumran». Entrando nel dettaglio del nostro sommario si vede bene come il v. 32b non sia drastico come il v. 34, secondo il quale invece tutti coloro che possedevano beni li vendevano. Alcuni commentatori spiegano questa tensione come proveniente dall’uso di fonti diverse, ma forse la tensione è voluta da Luca stesso, che presenta quindi una sorta di oscillazione nell’idealizzazione della comunità delle origini circa il rapporto con i beni economici. Quanto sia davvero una variazione rispetto al primo sommario è espresso dal v. 33, con la testimonianza resa al Cristo risorto. Perciò la comunione dei beni è concepita come una forma di tale testimonianza. Ecco allora il v. 34, nel quale la fraseologia lucana riprende i termini di Dt 15,4.11 (LXX); tale ripresa vuol far capire che l’ideale affermato dallo scritto biblico trova una sua realizzazione concreta nella vita dei cristiani di Gerusalemme. Il fatto che il ricavato dei beni di cui le persone si spogliano sia deposto ai piedi degli apostoli, mostra una figura di comunità in cui vi è un’autorità che deve rispondere dell’utilizzo

IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

dei beni comunitari. Questo per evitare quello spontaneismo della carità che a volte crea piú problemi di quanti ne risolva. Bisogna però anche aggiungere che Luca non idealizza le fasi organizzative ma, al contrario, non esita a dichiararne le incrinature, come ben si vede in At 6,1, quando, nella distribuzione dei beni, vengono trascurate le vedove dei cristianiellenisti. Per quanto poi riguarda l’impiego concreto del ricavato dalle vendite, si precisa che esso veniva distribuito a ciascuno secondo le sue necessità. Anche in questo particolare non appare un ingenuo egualitarismo, ma si insinua la necessità di un discernimento, perché i bisogni non sono uguali in tutti. Infine rileviamo ancora una volta l’uso dei verbi all’imperfetto, per indicare come questa prassi di condivisione fosse corrente, abitudinaria. Al sommario Luca fa seguire due esempi opposti di condotta cristiana nei confronti dei beni economici: quello positivo di Barnaba (At 4,36-37) e quello piú volte citato di Anania e Saffira. Proprio l’esemplificazione fa pensare che la prassi della condivisione dei beni non fosse cosí capillarmente diffusa, come invece sembrerebbe dai due sommari. Non si capirebbe altrimenti perché raccontare un esempio edificante se fosse solo un episodio tra tantissimi altri. D’altra parte ci fa comprendere anche come, nella comunità, accanto alle luci esistano gravi ombre,

Per quanto riguarda l’impiego concreto del ricavato dalle vendite, si precisa che esso veniva distribuito a ciascuno secondo le proprie necessità. In questo particolare non appare un ingenuo egualitarismo, ma si insinua la necessità di un discernimento

e si insinuino l’inganno e il litigio. Questo impedisce di proseguire oltre nel cammino di idealizzazione, giungendo a un modello di comunità che risulterebbe alla fine assolutamente impraticabile, inimitabile per i lettori. Peraltro l’episodio di Anania e Saffira, in cui i due vengono castigati da Dio per aver peccato contro lo Spirito, ci fa apprezzare l’insegnamento di Luca, che ha di mira la salvaguardia della gratuità del dono contro i travestimenti del tornaconto. Luca individua una minaccia seria alla comunione ecclesiale proprio nell’ingan1/2007 • UCID Letter

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La condivisione e la generosità devono essere libere e leali. L’esempio e l’insegnamento di Paolo costituiscono una base imprescindibile per un’adeguata considerazione teologica del tema dei beni materiali e non solo per una idealizzazione ecclesiologica

no con cui si traveste di generosità e di gratuità una serie di scelte dettate dalla ossessività e dal desiderio di apparire. Il messaggio è perciò molto chiaro: la condivisione, la generosità, deve essere libera e leale, e solo cosí potrà essere efficace e credibile testimonianza. I BENI ECONOMICI E LE COMUNITÀ CRISTIANE PAOLINE Seguendo il racconti di Atti, si giunge alla figura di Saulo/Paolo, il grande edificatore di comunità. Sarà utile indagare allora il preciso atteggiamento circa i beni economici richiesto dall’Apostolo alle coUCID Letter • 1/2007

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munità da lui fondate. Per addentrarci in tale ricerca, bisogna incrociare i dati offertici dagli Atti degli Apostoli con quelli provenienti dall’epistolario paolino. L’esempio e l’insegnamento di Paolo costituiscono una base imprescindibile per un’adeguata considerazione teologica del tema dei beni materiali e non solo per una idealizzazione ecclesiologica. Povertà e ricchezza nella vita di Paolo (1). Come punto di partenza vorrei prendere una sorta di “confessione” di Paolo, cioè quello che egli dice nella lettera ai Filippesi. Ringraziando questi cristiani che erano venuti incontro alle sue necessità con generose offerte, Paolo si compiace per la loro partecipazione ai suoi problemi, che di riflesso è partecipazione ai problemi del Vangelo. Per sottrarsi però all’impressione di volerli sollecitare a dargli qualcosa, fa delle affermazioni colme di grande dignità umana, oltre che apostolica: in fin dei conti, per lui povertà e ricchezza sono indifferenti, poiché è la dimensione dello spirito quella che conta. Fil 4: «10Ho provato grande gioia nel Signore, perché finalmente avete fatto rifiorire i vostri sentimenti nei miei riguardi: in realtà li avevate anche prima, ma non ne avete avuta l’occasione. 11Non dico questo per bisogno, poiché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; 12ho imparato a essere povero e ho imparato a essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sa-

zietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. 13Tutto posso in colui che mi dá la forza. 14Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alla mia tribolazione. 15Ben sapete proprio voi, Filippesi, che all’inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa aprí con me un conto di dare o di avere, se non voi soli; 16 e anche a Tessalonica mi avete inviato per due volte il necessario. 17Non è però il vostro dono che io ricerco, ma il frutto che ridonda a vostro vantaggio. 18Adesso ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodíto, che sono un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio. 19Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesú. 20 Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen». Paolo vuole prospettare ai Filippesi un esempio da imitare: la sua volontaria accettazione di posizioni umili, fraintese dalla gente, segnate talora anche dalla povertà, ma tutto vissuto per amore di Cristo. Il contrario dell’essere umiliato è qui il “traboccare” per l’abbondanza (cosí, letteralmente, in greco perisseuein), che indica una vita prospera, dignitosa, senza alcuna indigenza. Il vertice del brano sta certamente in quel «Tutto posso in colui che mi dà la forza». A dispetto dell’apparenza e di quanto si potrebbe dedurre dalle frasi precedenti, Paolo non giunge a


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un’autosufficienza, a un autodominio che lo rende imperturbabile, ma esperimenta la forza della grazia che lo raggiunge e lo sostiene. L’Apostolo non si presenta come un eroe che tutto può, ma come uno che tutto può perché tutto riceve! Paolo ricorda poi con riconoscenza tutta la premura che la Chiesa di Filippi ha manifestato verso di lui, soccorrendolo nelle sue catene, con l’aiuto della preghiera e anche con doni e denaro necessari alla sua sopravvivenza in quel periodo. In tale soccorso essi hanno misteriosamente condiviso le pene dell’Apostolo e hanno partecipato alle sofferenze del suo ministero (v. 14). Infine egli rivolge un augurio ai Filippesi, intrecciato con una preghiera a Dio, affinché li ricambi per la loro generosità verso l’apostolo e faccia loro sperimentare la ricchezza della sua misericordia e provvidenza. Paolo non precisa con quali beni Dio provvederà alla ricompensa, ma il fatto che parli di “ogni bisogno” lascia intendere che essi sperimenteranno la generosità di Dio in ogni sorta di necessità, da quelle spirituali a quelle materiali. In sintesi, appare l’immagine di una persona che deve imparare a badare a sé stessa, anche dal punto di vista economico, non per autosufficienza orgogliosa, ma perché il lavoro è un aspetto del comando divino sulla vita dell’uomo. Si ricordi che Paolo, da solerte lavoratore quale era, esorta piú

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volte i cristiani a non rimanere oziosi, ma a lavorare. Si legga il testo di 1Ts 4,10-12: «Ma vi esortiamo, fratelli, a farlo ancora di piú e a farvi un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno». A questo testo si affianchi anche 2 Ts 3,10: «E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi». Il lavoro è necessario per una dignità di vita, per dare la disciplina all’esistenza e per vivere nell’obbedienza al comando di Dio. Sempre dal passo sopra citato di Filippesi, possiamo individuare un’altra idea, e cioè che la ricchezza va usata come sacrificio gradito a Dio, cioè come un “sacrificio di comunione”, cioè quel sacrificio nel quale la vittima veniva condivisa tra i partecipanti, e alla cui consumazione bisognava invitare i poveri, i bisognosi. Un ulteriore insegnamento, strettamente conseguente a ciò, è che Dio benedice coloro che sanno partecipare la loro ricchezza alle persone bisognose: «Il mio Dio, a sua volta, colmerà …» (Fil 4,19). IL MINISTERO ECCLESIALE E I BENI ECONOMICI: L’ESEMPIO DI PAOLO Ritorniamo ora al testo di Atti, e in particolare al testamento spirituale di Paolo, che egli

La ricchezza va usata come sacrificio gradito a Dio, cioè come un “sacrificio di comunione”. Dio benedice coloro che sanno partecipare la loro ricchezza alle persone bisognose

propone nel suo discorso ai presbiteri di Efeso, tenuto nella città di Mileto (At 20,17-36). Emerge un profilo dell’Apostolo davvero affascinante, anche in riferimento al rapporto con i beni materiali. Infatti ai presbiteri di Efeso Paolo ricorda una delle caratteristiche essenziali del ministero, della quale egli per primo ha dato un convincente esempio: un comportamento irreprensibile nella rinuncia alla ricerca del proprio interesse. Il ministro deve infatti operare in assoluta trasparenza e non essere in alcun modo sospettabile della ricerca di un interesse personale, 1/2007 • UCID Letter

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IL CRISTIANO E LA RICCHEZZA

Paolo stima il lavoro non solo come obbedienza al comando del Creatore e come condizione per una vita dignitosa e disciplinata (cfr. 2 Ts 3,6ss), ma anche come possibilità di esprimere ed esercitare la carità

specie economico o affettivo. Per Paolo ciò ha significato provvedere con le proprie mani al proprio sostentamento; una conferma di tale scelta operativa viene da At 18,3, che ci informa come l’Apostolo, a Corinto, lavorasse con Aquila e Priscilla a fabbricare tende. Non che Paolo neghi il diritto dell’evangelizzatore a essere aiutato e riconosciuto nel suo servizio (1 Cor 9,4ss), ma ritiene utile provvedere autonomamente ai propri bisogni economici, onde non suscitare il sospetto che il suo apostolato sia mosso da interesse per il profitto. UCID Letter • 1/2007

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Certamente Paolo non fa un dogma di questa sua linea di condotta per quanto riguarda l’aspetto economico (non in tutte le comunità lavora materialmente come a Corinto), ma vuole evidenziare un aspetto che non deve mai mancare al ministero: la libertà dall’interesse privato, la generosità senza calcoli, la disponibilità a spendersi e a giocarsi con tutto quello che si ha, perché in tal modo si rende visibile lo stile del servizio di Cristo. Per questo, con molta decisione, afferma di non aver «desiderato né oro, né argento, né la veste di nessuno» (At 20,33); anzi, a tal proposito offre alcune preziose indicazioni sul senso spirituale del lavoro. Esso non deve semplicemente servire a soddisfare le proprie necessità, ma deve diventare una risorsa per l’aiuto ad altri piú bisognosi, a soccorrere i deboli. Paolo stima dunque il lavoro non solo come obbedienza al comando del Creatore e come condizione per una vita dignitosa e disciplinata (cfr. 2 Ts 3,6ss), ma anche come possibilità di esprimere ed esercitare la carità. E poiché sa bene che l’insidia dell’avidità non è mai sopita, e si è portati a considerare il frutto legittimo del proprio lavoro come un bene personale, da usare a proprio vantaggio, l’Apostolo ricorda la necessità di educarsi alla gratuità, alla generosità. E lo fa citando un agraphon, cioè un detto del Signore Gesú, che non si trova scritto nei

vangeli canonici: «C’è piú gioia nel dare che nel ricevere» (v. 35). ASPETTI DELL’INSEGNAMENTO DI PAOLO CIRCA I BENI ECONOMICI

Vediamo ora di proporre velocemente alcuni aspetti dell’insegnamento paolino sulla relazione che il cristiano deve avere con i beni economici. Paolo è erede del Primo Testamento, e non considera un male la ricchezza come tale; è piuttosto l’atteggiamento della libertà umana a decidere della qualità positiva o negativa che essa può assumere nell’esistenza del credente. Nel suo insegnamento, poi, Paolo segue la linea sapienziale e cioè indica la necessità di saper discernere, nella propria relazione con le ricchezze. Un primo principio, che il cristiano deve fare proprio nella sua vita personale, è quello del sapersi accontentare di quanto si possiede, vigilando cosí contro la tentazione della cupidigia e dell’orgoglio ingenerato dalla ricchezza. Ecco quanto si legge in 1 Tm 6,6-10: «6 Certo, la pietà è un grande guadagno, congiunta però a moderazione! 7 Infatti non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via. 8 Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo. 9 Al contrario coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli


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uomini in rovina e perdizione. 10 L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé stessi tormentati con molti dolori». In definitiva, egli vuole inculcare uno stile di sobrietà, che porta a saper limitare i propri bisogni e a bastare a sé stessi. Da tutto questo si evidenzia che ciò che turba il nostro rapporto con il denaro non è il fatto di possederlo o non possederlo, quanto piuttosto la cupidigia, l’attaccamento ad esso, la philargyría, che è la radice di tutti i mali. Che Paolo non demonizzi la ricchezza lo si vede anche dal fatto che non scorge un’impossibilità insuperabile di comporre possesso della ricchezza e reale partecipazione alla vita e alla comunità cristiana, purché i ricchi si guardino dall’orgoglio della ricchezza e si ricordino che i propri beni, anche quelli che sono frutto del proprio lavoro, devono servire non solo per se stessi, ma anche per i bisogni degli altri. Si legga, a tale proposito, quanto, poco piú avanti, dice ancora 1 Tm 6,17-19: « 17 Ai ricchi in questo mondo raccomando di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; 18 di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, 19 mettendosi cosí da parte un buon capitale per il fu-

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turo, per acquistarsi la vita vera». La ricchezza deve diventare quindi possibilità concreta di aiuto fraterno, e non strumento di dominio sugli altri. Sempre in questa linea di pensiero, che vede nel lavoro un’espressione positiva dell’umano come obbedienza al progetto del Creatore. Per questo lui stesso non ha esitato a mantenersi in molte occasioni con il lavoro delle proprie mani. D’altra parte ricorda che il frutto del proprio lavoro non può mai essere egoisticamente goduto, ma può essere l’occasione per crescere nella carità: «Chi è avvezzo a rubare non rubi piú, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità» (Ef 4,28).

(*) Relazione di Patrizio Rota Scalabrini, Docente Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, tenuta alla Sezione UCID di Bergamo. 1) Queste note dipendono da S. Cipriani, Povertà, annuncio, condivisione dei beni nelle lettere di S. Paolo, in V. Liberti (ed.), Ricchezza e povertà nella Bibbia, (Studio biblico teologico Aquilano), Ed. Dehoniane, Roma 1991, pp. 171-207.

La ricchezza deve diventare possibilità concreta di aiuto fraterno, e non strumento di dominio sugli altri, e il lavoro è un’espressione positiva dell’umano come obbedienza al progetto del Creatore

«Ai ricchi in questo mondo raccomando di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi da parte un buon capitale per il futuro» (1 Tm 6,17-19) 1/2007 • UCID Letter

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PROFESSIONISTI NELLA SFIDA DELLA COMPLESSITÀ

Riportare nel solco dell’umanesimo i processi di trasformazione per costruire il Bene Comune

di Angelo Ferro Presidente Ucid Nazionale

La complessità è la cifra identificativa del contesto attuale, complessità che si esalta in relazione al cambiamento incessante in atto. La semplificazione costituisce l’approccio facile, ma non esaustivo

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iviamo in un mondo globale, pieno di concatenazioni estese e incisive, ove tutto è e diventa sempre piú complicato, in cui cause ed effetti non sono piú separabili ma in circuito. Un mondo che richiede discernimento, conoscenze, tempestività e profondità, un mondo che reclama crescente impegno per rimanere soggetti.

GLOBALITÀ E COMPLESSITÀ Lo si proclama nei processi educativi: apprendere per conoscere, per essere, per fare, per vivere; non piú una sola funzione ma ben quattro obiettivi contestuali. Lo si evidenzia nelle politiche dello sviluppo, con l’indispensabile integrazione di elementi tecnici, culturali, antropologici, monetari, fiscali, ecc. ecc. in uno scenario non solo interno, ma planetario. Mentre si parla tanto di globale - e noi siamo operatori in un mercato globale - si assiste alla frammentazione dell’individuo e al dissolvimento della società: le concezioni antropologico-materialiste, l’impressionante qualità e l’enorme quantità di dati forniti dalla ricerca, propongono l’uomo come un aggregato di cellule, di molecole, di impulsi sessuali, di globuli, di emozioni, ecc. ecc., che la scienza illustra con crescente dovizia di dati ma non spiega nella prospettiva dell’unità della persona che resta priva di risposte di senso complessivo. Altro che globalità! Ne risente tutta la dinami-

ca sociale: la società viene vissuta - pur possedendo risorse ingentissime, impensabili solo pochi decenni fa - quale espressione di una disarticolazione irreversibile. Servono coesione, fratellanza, amore, giustizia. Ma come è possibile trovare questo nell’economia, tra i meccanismi della competizione? Una società complessa ha bisogno della solidarietà per autosostenersi; si può quasi parlare di una sorta di “solidarietà necessaria”. È questa una costante del Magistero della Chiesa che sottolinea esplicitamente la stretta connessione esistente tra la categoria morale della solidarietà e la categoria economica dell’interdipendenza. Su questo scenario macro ancora purtroppo non compreso, ci sono alcuni elementi importanti, si muovono alcune tendenze che interpellano il nostro impegno personale. La complessità è la cifra identificativa del contesto attuale, complessità che si esalta in relazione al cambiamento incessante in atto. La semplificazione costituisce l’approccio facile, ma non esaustivo, sia perché non utilizza gran parte delle tante variegate risorse disponibili per ciascuno, sia perché riflette orizzonti bassi e corti, senza quel respiro di senso che è l’anelito dell’uomo. Ma la semplificazione attrae, perché l’immediatezza sembra corollario di libertà, specie sul piano dell’economia. LIBERTÀ E FRAMMENTAZIONE Se infatti facciamo mente lo-


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cale al modo di essere dei nostri comportamenti circa il consumo, il risparmio, l’investimento, ci accorgiamo che la spinta alla libertà ci ha portato a moltiplicare all’infinito gli spazi di intervento quando consumiamo o risparmiamo o investiamo, nell’ansia di trovare, magari nell’anfratto minimale di uno di questi, attuali o futuri, la soddisfazione dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni. Un movimento che parte dallo spirito libertario della seconda guerra mondiale contro i nazionalismi e il razzismo, e dalla centralità degli scambi senza confini, aperti - come leva del benessere, e si è venuto rafforzando con le innovazioni tecnologiche e la rivoluzione informatica. Ciascuno di noi ha visto cosí crescere la sfera delle proprie libertà di scelta, trovando nella moltitudine delle forme, delle consistenze, delle modalità dei beni/servizi prodotti, possibilità di veder concretizzati gli stimoli di essere sé stesso. Questa moltiplicazione creativa si è incrementata parcellizzando le situazioni, i tempi, le abitudini, con l’obiettivo di conseguire piú libertà, di realizzare meglio la propria autonomia. Il tempo si è attimizzato, e per ogni attimo si offrono miriadi di opzioni: i bisogni si sono infinitesimizzati, superando ogni distinzione tra primari, secondari, voluttuari perché si sono create migliaia di nuove, sempre differenti gerarchie, su cui scegliere (e cambiare) le preferenze; domanda

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e offerta si riproducono con un’intensità spasmodica, generando risultati esponenziali. Una simile dinamica non riguarda solo l’area della normalità ma anche quella della trasgressione, dell’anormalità, con una rincorsa divisionale che il cambiamento fa esplodere. L’effetto è una frammentazione generale, generalizzata, pervasiva ed esplosiva; il termine “complessità” narra questa situazione, la fotografa, ma non riesce a interpretarla. E lo scenario mondiale conferisce alla stessa una continuità senza fine, perché se in una zona c’è recesso, in un’altra c’è espansione ed entrambe sono disponibili alle scelte individuali, per cui le opzioni si moltiplicano creando piú complessità. In uno stesso luogo poi ci sono reazioni diverse tra chi soffre degli effetti della globalizzazione per il proprio lavoro e chi ne vede il vantaggio per la maggior convenienza degli acquisti (e magari è la stessa persona). E allora è piú facile, piú naturale concentrarsi sullo spazio parcellizzato, sull’attimo temporale, sull’istanza emozionale e decidere subito, lí per lí, perché ciò sembra valorizzare la nostra libertà, esprimendo un potere soggettivo, mentre porta invece a camminare nel solco della semplificazione, senza esercitare la coscienza. FENOMENI DI DERIVA Sul piano sociale, questa dinamica economica di parcel-

Ciascuno ha visto crescere la sfera delle proprie libertà. Il tempo si è attimizzato, e per ogni attimo si offrono miriadi di opzioni: i bisogni si sono infinitesimizzati. L’effetto è una frammentazione generale, generalizzata, pervasiva ed esplosiva

lizzazione e di attimizzazione trova sponda - e a sua volta ne è alimentata - nella frammentazione della società; una moltitudine fatta di singoli che si autoreferenziano, senza porsi il da dove veniamo e dove intendiamo andare, perché già tanto tutto cambia in tempi rapidissimi ed è meglio essere concentrati sull’attualità del contingente. La coscienza sta ai margini, non interviene. Una riflessione sullo stato dell’arte della società ci sgomenta, pur analizzando solo alcuni macro fenomeni: - il diffondersi di orientamenti iperindividualistici; che 1/2007 • UCID Letter

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La ricerca dell’utile individuale e del vantaggio economico sta diventando generalmente il fine supremo, sostenuto da un messianismo pericoloso che attribuisce al denaro l’onnipotenza di una divinità dominante il cui culto comporta costi umani sempre piú elevati a falsi idoli

opera una scissione tra sfera pubblica e quella privata, privilegiando sostanzialmente la seconda e svalutando il sociale relazionale in quanto esterno alla soggettività della persona. La ricerca dell’utile individuale e del vantaggio economico sta diventando generalmente il fine supremo, sostenuto da un messianismo pericoloso che attribuisce al denaro l’onnipotenza di una divinità dominante il cui culto comporta costi umani sempre piú elevati a falsi idoli. - il propagarsi del narcisismo che favorisce la formazione di personalità amorfe, inUCID Letter • 1/2007

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capaci di conferire un significato coerente e stabile all’esistenza. L’uomo si sente oggi minacciato da ciò che produce e l’ottimismo razionalista che «vedeva nella storia l’avanzata vittoriosa della ragione» sembra essersi ribaltato nel suo contrario, fino alla «tentazione della disperazione» (Fides et Ratio, 47,91) a causa della discrasia divaricante tra disponibilità dei mezzi, che avanza con il procedere delle scoperte scientifiche e tecnologiche, e la contemporanea perdita dei riferimenti, dei fini fondamentali della vita umana. - l’accentuarsi delle microaggregazioni che ci mette di fronte una popolazione sempre meno capace di darsi finalità comuni e di realizzarle, in cui le persone vedono sé stesse in termini sempre piú atomistici, come individui sempre meno legati ai loro concittadini da una comunanza di progetti e di fedeltà. - la crescita dell’anonimato (si sostiene la privacy e si diffonde la solitudine): chi non è efficiente o risulta sconfitto nel confronto, viene lasciato solo a pagarne le conseguenze. Specie nella città, l’uomo si ritrova sempre piú isolato in mezzo a una folla di propri simili che gli sono indifferenti od ostili; e questo spiega non solo l’espandersi della nevrosi ma la frequenza di fatti orribili. - l’estendersi della concorrenza, meccanismo positivamente regolatore dei princípi di scambio, a tutte le vicende umane, non solo a quelle economi-

che, che genera una società antagonistica, in cui regna indiscriminatamente la competizione, inquinando l’autenticità delle relazioni umane. L’uomo vede nell’altro uomo essenzialmente “un competitor”, un rivale, e non un proprio simile con cui entrare in rapporti di rispetto, di simpatia, di amicizia, con riconoscimento che le altrui libertà fanno crescere sia le proprie sia quelle di tutti. - la crisi ampia e generalizzata dei riferimenti “forti” nella società e nella scienza, scossi dal sorgere di nuove consapevolezze e dissestati da inedite esigenze per lo iato tra le celerità del cambiamento prodotto dalle innovazione tecnologiche e la capacità di adattamento dei costumi di vita delle persone. Si assiste alla perdita di influenza delle grandi istituzioni civili, religiose, politiche, che in passato agivano come fonti di autorità in grado di strutturare e significare la vita degli individui e della comunità. Allo sgretolamento dei sistemi di riferimento tradizionali si affianca il motivarsi, il moltiplicarsi di fonti valoriali e normative - dalle sette a coloro che predicano il futuro - instabili e spesso tra loro antitetiche, che si introducono come causa ulteriore di confusione e disorientamento, provocando smarrimento ideologico e crisi delle identità. - l’acuirsi sempre piú dell’incapacità di affrontare il rischio della scelta organica e di impegnarsi in stila di vita definitivi. Il moltiplicarsi delle


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attese in una situazione in cui il benessere è scoppiato in tempi brevissimi, con l’impreparazione a riconoscere e accettare i limiti del reale, ha indotto il principio del piacere come coazione a ripetere e come dipendenza dal tutto e subito, negandosi la possibilità di saper riconoscere ciò che a lungo termine può dar senso alla vita. - l’esplosione delle tecniche della comunicazione, che da un lato agevola immensamente la modernizzazione, ma dall’altro ha precipitato il soggetto in un ingorgo informativo caotico, da cui solo con grandissima fatica (mentre tutti vogliono il piacere e non la fatica) potrebbe riscoprire una gerarchia di valori universale capace di fondare un ordinamento globale ricco di nuove dinamiche di progresso. Di qui una quasi connotazione “repressiva” della società industriale avanzata, soprattutto perché servendosi delle tecniche piú progredite di comunicazione e di persuasione delle masse, arriva a manipolare l’uomo fino a far dimenticare o far passare in seconda linea i bisogni primari, per creare e stimolare “falsi bisogni” sia in funzione di interessi particolari sia per oscurare la capacità di discernimento. Un quadro cosí negativo scoraggia la volontà di intervenire; è piú agevole lasciarsi trascinare dalla deriva, è piú facile la tentazione della semplificazione, è piú comodo andare ad individuare le colpe (dei genitori, della Chiesa, dell’ONU,

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della politica, della famiglia, dell’immigrazione, ecc.) scaricando cosí su altri ogni responsabilità per acquisire, con la propria assoluzione, ulteriori diritti per parcellizzare, attimizzare, frammentare. LA SEPARATEZZA Questa spinta - sul piano dell’economia e dei comportamenti sociali - a essere sé stessi mediante scelte di libertà sempre piú autofocalizzate, scandendo su porzioni sempre piú specifiche la propria realtà, porta a un’offerta di beni e servizi sempre piú estesa (fattore positivo per la crescita) che però nel vortice incessante del cambiamento, si connota di separatezza: separatezza di un individuo rispetto agli altri; separatezza di un bene in quel momento, in quel contesto rispetto ad altri. È la separatezza a far diventare gli elementi della parcellizzazione e della attimizzazione come fini, ogni volta assorbenti l’intera decisione. Cosí si perpetua una sequenza di anelli isolati, non collegati in una catena che dia senso all’agire. Trovarsi inseriti in questo meccanismo non provoca la coscienza, ma riflette un adeguarsi quasi passivo a scansioni esterne. Una scelta, un esercizio di vera libertà, avviene anche nell’allontanarsi da schemi di comportamento contingenti e all’apparenza autorealizzativi che però impediscono una prospettiva piú aperta e piú estesa. La libertà non è solo un ripetersi di “libertà di scelta” tra due opzioni, ma pri-

La libertà non è solo un ripetersi di “libertà di scelta” tra due opzioni, ma prima è un liberarsi dalla dipendenza, in modo da attivare un processo di accumulazione responsabile verso traguardi piú alti

ma è un liberarsi dalla dipendenza, in modo di attivare un processo di accumulazione responsabile verso traguardi piú alti, che per noi cristiani si trovano indicati nella Tavole di Mosé, ove l’enunciazione dei dieci comandamenti perché introdotta da un significativo riferimento alla liberazione del popolo di Israele: «Io sono il Signore Tuo Dio, che Ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitú». Il Decalogo costituisce la conferma della libertà conquistata. In effetti i comandamenti a guardarli in profondità - sono il mezzo che il Signore ci do1/2007 • UCID Letter

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È la coscienza che riesce a far sintesi unitaria quando sa vedere oltre la materialità, protesa a dare rappresentazione ultima alla finitudine, trovando nelle cose, nei frammenti, negli attimi, il fine dell’agire

na per difendere la nostra libertà sia dai condizionamenti interni delle passioni che dai soprusi esterni dei malintenzionati. I “no” dei comandamenti sono altrettanti “si” alla crescita di autentica libertà. Trasferiamo questa logica alle nostre vicende quotidiane. L’occasione di sempre nuove disponibilità di beni e servizi (i prodotti visibili della fenomenologia economica e sociale dell’attuale parcellizzazione/attimizzazione) assicura una moltitudine di diversità: il valore che la diversità può avere in termini di libertà, deve però dipendere da come viene UCID Letter • 1/2007

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determinata e affermata. Se resta prigioniera di sé stessa, compiacendosi del diventare massa, (le tendenze della trasgressione) e ciò anche attraverso confronti bilaterali, soffoca l’esercizio della libertà stessa, perché chiude all’interno gli àmbiti della scelta. In fondo la specializzazione avviene attraverso un processo di aggregazione di elementi conoscitivi, frammentati e segmentati, messi insieme da un filo sapienziale ininterrotto e solido che dà profondità e spessore alla competenza. L’esercizio delle funzioni costituisce infatti l’esito valido delle specializzazioni, e ciò dà corpo alle articolazioni della società. Una società massificata è esiziale e quanto meno sono diffuse la frammentazione e la segmentazione, tanto piú questo risultato diventa consequenziale; come è consequenziale in presenza di separatezze che impediscono le connessioni, perché inaridisce il senso complessivo. Poter valutare, capire, discernere è esercizio di libertà; poter collegare elementi diversi per conseguire livelli piú alti e avanzati, è esercizio che dà senso, e come tale, rende liberi, ossia capaci di scelte che realizzano piú libertà, proiettandosi su un arco spaziale, temporale, situazionale molto piú articolato e completo. Se l’importante è solo l’output, come moltitudine di realtà differenti a sé stanti, e non si cerca la possibile interazione tra loro, si depotenzia la libertà con-

finandola alla sola frequenza dell’alternativa. Se l’attimo viene circoscritto e valorizzato come evento staccato, a sé stante, e non inserito/inseribile in un percorso di direzione che acquisisce piú libertà, si rimane nella frammentazione dei “sí” senza aver prima, riflettendo, essersi magari espressi con il “no” per elevarsi verso traguardi piú alti (il “no” dei comandamenti). È questo lo spazio della coscienza, che riesce a far sintesi unitaria quando sa vedere oltre la materialità, invece protesa a dare rappresentazione ultima alla finitudine, trovando nelle cose, nei frammenti, negli attimi, il fine dell’agire. Se tutti gli elementi in gioco sono capiti e valutati dalla sola materialità, l’esercizio della libertà si restringe, si chiudono gli spazi di integrazione. Ad esempio: c’è chi davanti alla frammentazione e al cambiamento che genera precarietà, fragilità, provvisorietà degli status, invoca attraverso la politica soluzioni di stabilità, in particolare per i rapporti di lavoro. Inserire elementi di rigidità in un contesto continuativamente non solo mobile, ma addirittura turbolento significa rompere i meccanismi e quindi venire esclusi dalla dinamica. La soluzione invece va cercata su un altro piano, che è quello della creazione di reti sociali di welfare tanto piú valide ed efficaci quanto piú promosse dalla coscienza, dal basso. È lo spirito (non solo nel-


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l’accezione alta del divino, ma anche in quella culturale della curiosità a veder cosa c’è dietro l’angolo, dell’interrogarsi su ciò che conta, del sentirsi partecipe di un mondo interdipendente, vasto e globale ecc. ecc.) che riesce a rompere le barriere del separatismo, perché supera la semplice consistenza diaframmatrice delle cose, non fa un compromesso tra di esse, ma spinge in alto la sintesi. È la dimensione dello spirito che porta a integrare le cose, attraverso un esercizio di libertà nell’individuare quanto produce significato complessivo. Pensiamo all’arte e agli artisti come testimoni di questo assunto. Le tecnologie semplificano, e questa semplificazione conferisce loro un’immagine di onnipotenza; ma per quanto aprano confini impensabili, restano delle “cose”, non offrono una prospettiva completa perché manca lo spirito, quell’immateriale che collega la complessità per accrescere la sfera della libertà. Esercitarsi a capire l’anima delle cose applicata alle persone; questa è la cifra interpretativa. I processi di integrazione non si alimentano solo con le tecnologie compatibili, ma con il soffio della vita piena, da vivere con le proprie identità alimentate da una coscienza che sa andare oltre, che prospetta un orizzonte piú elevato, piú profondo, carico di innovazione compartimentale, cui tendere.

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FINALITÀ ASSOLUTE Questo processo di frammentazione, che alla base intende promuovere e soddisfare, con la tecnica della parcellizzazione, l’ansia di essere se stessi, costituisce pertanto condizione necessaria, ma non sufficiente, perché rimane fine autorealizzativo, contribuendo a produrre sul piano sociale gli effetti negativi ricordati. Serve, perché non vogliamo toglierla secondo logiche pauperistiche. Ma non basta: occorre la tensione dello spirito: ogni moltiplicazione di scelta (anche la piú limitata per essere piú congrua) richiede una forte mobilitazione di inserimento in una direzione piú alta, piú completa, accrescitiva di senso complessivo, oltre la barriera dell’alternativa, per un progetto piú esteso su cui collocare le cose disseminate nel cammino esistenziale e formare cosí la propria identità. D’altra parte il sé si forma attraverso un infinito, continuo processo di sensazioni, intuizioni, attenzioni, ambizioni, impulsi, sogni, pensieri, emozioni, deduzioni: non siamo, diventiamo soggetti coscienti integrando queste parti. Non c’è un sé monolitico e autodeterminante ma un sé sapiente che cresce con la ricomposizione della frammentazione, in libertà e coscienza. Ecco il globale su cui ogni scelta va misurata per massimizzarne e ottimizzarne le relazioni. E ciò richiede conoscenza, approfondimento, ana-

Occorre la tensione dello spirito: ogni moltiplicazione di scelta richiede una forte mobilitazione di inserimento in una direzione piú alta, piú completa, accrescitiva di senso complessivo, per un progetto piú esteso in grado di formare la propria identità

lisi critica, capacità di confronto, per saper utilizzare il potenziale di interconnessioni, (l’essenza della globalizzazione) spingendolo verso traguardi piú avanzati attraverso la capacità dello spirito di integrare. Ecco la sfida della complessità che non si vince con la semplificazione, anche se supportata da tecnologie interattive perché nelle discontinuità loro proprie, coltivano il solco della frantumazione. Si vince con la coscienza del nostro essere cristiani, imprenditori, dirigenti, professionisti, proiettata nella libertà del percorso esistenziale ver1/2007 • UCID Letter

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La complessità è esigente: perché pone la sfida di integrare, interconnettere frammentazione, parcellizzazione, come moltitudine di opportunità per coniugare una vita piena, un’avventura esistenziale entusiasmante e gioiosa che non ha finitudine ma eternità

so finalità non relative, ma assolute. L’istanza della complessità postula il vivere da protagonisti, non da atomi della moltitudine, l’epoca della globalizzazione e del conclamato benessere; capaci cioè di ricuperare in un filo aggregante le realtà della frammentazione. La loro dinamica è diventata irreversibile ed esplosiva dopo il superamento dei bisogni essenziali: questi bisogni infatti portano con sé la ricetta per essere soddisfatti. Se ho fame e ho freddo - per esemplificare con i casi piú semplici - so già che mangiando, che coprendoUCID Letter • 1/2007

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mi/riscaldandomi non avverto piú quel bisogno. I bisogni essenziali, fatti di esigenze reali vengono esaurientemente appagati da beni/servizi reali. Invece i bisogni “superiori”, eccedenti i primari, sono - soprattutto oggi nell’era dell’innovazione, della globalizzazione, dei cambiamenti - generati da aspettative: l’appartenenza a uno status, l’influenza delle mode, l’accesso a certi beni/servizi, ecc. ecc. creano aspettative non chiaramente definibili, con tanti chiaroscuri sul piano reale. Per cui, dopo l’utilizzo, rimangono aree di insoddisfazione, e comunque si creano altri bisogni e altre aspettative in una sequenza incessante. L’aspettativa, anche se affrontata da beni/servizi qualificati, lascia insoddisfatti se si rimane dentro il suo àmbito, se non si esce dalla sua spirale. Ecco la genesi della frammentazione; una specializzazione connessa all’indefinitezza delle aspettative. Riesco a governarla questa dinamica, a rendermi protagonista di questo processo, solo se mi muovo con un’aspettativa di senso globale, (e certamente questo avviene se l’aspettativa finale è il Bene Assoluto, il Bello, il Giusto, per l’eternità) per cui ogni passaggio di sperimentazione va posto in una logica di concatenazione, costruendo un percorso di significato complessivo. Cosí anche da questo versante si giunge alla matrice del-

l’interconnessione per integrare, matrice che la globalizzazione offre a tutto campo all’uomo: dare spirito alle cose, alle aspettative, ai bisogni in un collegamento promosso dalla coscienza. In tale modo l’interconnessione condensa la complessità realizzando un progetto con finalità complessive esaurienti. UCID, PUNTO DI RIFERIMENTO Guardiamo dentro di noi: abbiamo piú di quanto osavamo “sognare” in termini di confort e benessere, ma non siamo completamente soddisfatti. Il potere, il possesso di queste entità materiali, non esauriscono le nostre aspirazioni. La nostra coscienza reclama di piú. Lo spirito ci spinge verso orizzonti piú alti, piú complessi. Non possiamo tenere dentro di noi queste tensioni, circoscriverle e spezzettarle soltanto con il mecenatismo, con l’elemosina, con il sostegno di opere buone, con il rispetto della religione, (intesa come medicina dell’anima) senza una presa di coscienza di senso e di progetto. Se la semplificazione da sola aggrava questa dinamica di separatezza, la complessità è esigente: perché pone la sfida di integrare, interconnettere frammentazione, parcellizzazione, come moltitudine di opportunità per coniugare una vita piena, un’avventura esistenziale entusiasmante e gioiosa che non ha finitudine ma eternità. L’approccio della comples-


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sità non è eliminazione della segmentazione, ma capacità di metterla sostanzialmente in rete, indirizzarla a traguardi piú elevati, con piú significato rispetto a quelli dell’attimo e del frammento. Ecco il piano ove perché richiesta la nostra buona volontà, ove dobbiamo esercitare la nostra coscienza. Non ci possiamo sottrarre perché a) siamo operatori economici: l’attuale sistema economico è causa/effetto di questa dinamica. Non hanno quindi efficacia sperimentazioni esterne all’economia, motore di questa evoluzione. Per cui spetta a chi ha competenza economica innovare, creando valore aggiunto sul piano esistenziale; b) la nostra vocazione imprenditoriale (di imprenditori, di dirigenti, di professionisti) ci offre il talento di saper organizzare elementi/fattori diversi per ottenere un output migliore, accrescitivo rispetto alle risorse impiegate. Questo know-how perché indispensabile per poter coniugare input molteplici, trasformarli verso un “prodotto finale” completo, in quanto professionalmente capaci di interconnessione. c) la nostra appartenenza cristiana ci ha formati su una dimensione organica – di materia e di spirito, di terreno e di infinito, di corpo ed anima unitariamente concepita, vissuta e radicata, esortandoci a praticarla come testimonianza di essere figli di Dio, con fede in Cristo e nella Sua redenzione; una dimensione costitutivamente complessa, impossi-

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bile alla semplificazione, per la quale ci ha attrezzato il Battesimo, l’Eucarestia, la Cresima, il matrimonio, l’insegnamento della Chiesa, ed anche l’adesione all’UCID. Una dimensione opposta al determinismo sociale. Sono questi tre requisiti che ci fanno capire perché il Papa, nell’udienza del 4 marzo, ha indirizzato a noi la Sua forte esortazione: “L’UCID come punto di riferimento costante nell’esaminare le questioni, nell’elaborare i progetti, nel cercare le soluzioni, per i problemi complessi del mondo del lavoro e dell’economia. In effetti è proprio in questo ambito che voi realizzate una parte irrinunciabile della vostra missione di laici cristiani e quindi del vostro cammino di santificazione». Questa ricerca di senso nella complessità ci tocca nel profondo, coscienti che tutto è strumentale rispetto al fine, il nostro essere figli di Dio. I valori di giustizia e di carità rappresentano i riferimenti del far fruttare i talenti nostri ed altrui, con la disciplina della gratitudine per i doni della Provvidenza, e con l’impegno di esercitarli. Questo richiede di assumere una “misura” di fronte al “lascia tutto e seguimi”. Questa chiamata potente rappresenta il polo attrattore della vita, stimola la coscienza ad imprimere coerenza al nostro agire. Come laici avvertiamo forti i vincoli di sangue verso i figli,

L’UCID - ha ricordato Benedetto XVI è «punto di riferimento costante nell’esaminare le questioni, nell’elaborare i progetti, nel cercare le soluzioni, per i problemi complessi del mondo del lavoro e dell’economia. (…) è proprio in questo ambito che voi realizzate (…) la vostra missione e (…) santificazione»

le relazioni sociali, la soddisfazione dei riconoscimenti e delle posizioni acquisite. Queste legittime espressioni umane non devono esaurire il nostro operato, che non sarebbe completo se non ci fosse in noi sempre una misura di gratuità verso gli altri a gloria di Dio; perché è questa misura radicata, non emergenziale né emotiva, che realizza la domanda di senso coniugando libertà e responsabilità. Solo cosí si realizza la capacità di dare risposta ai bisogni: il discorso della Montagna ci interpella e fa vedere nelle beatitudini l’esito della nostra of1/2007 • UCID Letter

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Disponiamo delle competenze operative per riuscire a trasformare le dinamiche di frammentazione in opportunità di crescita complessiva, nel ricercare contestualmente la dimensione orizzontale (il prossimo) e quella verticale (Dio)

ferta. E allora la compatibilità tra le spinte di giustizia e carità e le nostre capacità e competenze professionali tenderà a mobilitarsi verso l’alto e verso l’intorno per aggregare piú e meglio l’esigenza di senso proprio ed altrui. E allora….la moltitudine di realtà, nelle possibilità di interconnessione, esalterà la libertà di ogni uomo a essere aperto e partecipe utilizzando la globalizzazione per le proprie identità, rifiutando la massificazione con una società articolata. E allora … l’attenzione agli ultimi non sarà pietismo comUCID Letter • 1/2007

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passionevole ma promozione di un riscontro solidale; il comportamento di giustizia e di equità non sarà applicazione normativa, ma sentimento di reciprocità e di condivisione; il supporto alla Chiesa e alle sue istituzioni non sarà pagamento di una quota di iscrizione ma cammino con i pastori nel pellegrinaggio terreno. E allora … il paradosso dell’infelicità nell’economia di mercato (compero un bene che rappresenta l’aspirazione piú grande; sono felice; ma poco dopo vedo l’esistenza di un bene piú bello, piú attraente, piú valido; divento allora infelice perché non ho piú i mezzi per acquistare questo nuovo e nell’uso del “vecchio” trovo l’insoddisfazione per le “mancanze” che nel nuovo sembrano non esistere) si azzererebbe a monte, risolto nella dimensione di senso complessivo, grazie al discernimento che supera l’attimo, il frammento, integrandoli nella propria identità con una prospettiva piú completa che porta speranza. E allora … l’incontro in UCID sarebbe sempre una festa per la gioia di aver lo Spirito Santo a ispirarci nel vivere, complessivamente insieme, la dimensione orizzontale con i fratelli e verticale con Dio lungo una esistenza che nella morte non ha il suo capolinea. Perché tutti i rapporti che noi stabiliamo solo in funzione di noi stessi sono destinati a scomparire, ma tutti i rapporti generati con l’architrave di Cristo costituiscono una storia che

cresce per l’eternità, e cosí contribuiscono ad affermare il senso del mondo. Questi “allora”, e tanti altri che potremmo aggiungere, sono espressioni della coscienza, sono dimostrazione di affidabilità, requisito essenziale del lavorare. INNOVATORI RESPONSABILI «Il destino della società dipende da minoranze creative: i cristiani devono sentirsi tali» è l’esortazione di Benedetto XVI. Un’esortazione che passa attraverso la mobilitazione della coscienza e che ci tocca in prima persona sia sul piano individuale che associativo. Infatti disponiamo delle competenze operative per riuscire a trasformare le dinamiche di frammentazione in opportunità di crescita complessiva; e siamo radicati nell’ispirazione cristiana che ci porta a ricercare contestualmente la dimensione orizzontale (il prossimo) e verticale (Dio). L’unione di questi elementi provoca e alimenta la nostra coscienza a spingerci in questi spazi per partecipare alla costruzione del Bene Comune. La enorme infinita possibilità di interconnettere le relazioni, data dalla globalizzazione, ci fa assumere un ruolo permanente di innovatori responsabili, nostra qualifica partecipativa nell’edificare il Bene Comune. Una partecipazione non esogena, dall’esterno, ma dall’interno, nella fedeltà dell’approccio cristiano: convivere per convincere, per cui l’etica pri-


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ma ancora di suggerire princípi e di stabilire regole è una dimora, una casa, in cui ci si prende cura di sé e degli altri, ci si prende cura del Bene Umano. Ecco lo snodo che dà senso alla nostra avventura umana, di uomini che agiscono con la capacità di creare valore aggiunto, e non di chi si pone nella prospettiva delle terze persone (giusnaturalismo) e neppure di chi si pone nella prospettiva dello spettatore imparziale (l’etica nelle mani dei giudici). San Tommaso del resto aveva già detto che il bene morale è una realtà pratica e dunque lo conosce veramente non chi lo teorizza ma chi lo pratica: è lui che sa individuarlo e sceglierlo con certezza. Il primato del bene sul giusto era stato sostenuto già da Aristotele; e questa citazione esalta la peculiarità della nostra azione: il valore laico dell’impegno nella ricerca del Bene Comune, la cultura dell’innovazione quale lievito della nostra vocazione di costruttori di sviluppo collettivo; la testimonianza di interpretare l’anelito della trascendenza come direzione di senso verso il Creatore, che ci ha donato la vita. Abitare l’economia con questa coscienza; vivere con una dimensione di senso la nostra attività: cosí si vince la sfida della complessità. La vita e l’identità dell’uomo si rivelano definitivamente nel continuo uscire (il lievito dell’innovazione) dallo stato presente perché quella dell’uomo

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è una vicenda che sfugge in piú direzioni ad uno spazio temporale chiuso. La vita e l’identità dell’uomo hanno una storia (passato) il cui senso è da leggere alla luce di quel futuro che è presente (incombe) in ogni istante del tempo (frammentazione) ma che non si identifica con alcuno di essi. Come la tradizione del realismo insegna, la vita umana si coglie in quanto totalità unificata di una duplice dimensione: quella spirituale e quella corporale, pensate in profonda unità. Quella dell’uomo è una unità duale; per noi in questa dualità c’è la vita eterna. La finitudine e l’infinito implementano la visione terrena con l’assoluto ultraterreno e pongono significativi agganci di riferimenti piú esaustivi, piú completi, piú organici che danno senso al vivere: si vedono meglio le cose, c’è piú discernimento nelle scelte, si conquista una maggiore valenza partecipativa alla costruzione del Bene Comune, partendo dalla nostra condizione di essere ospiti della vita. Respiriamo, parliamo, camminiamo, ci muoviamo: tutto ci è stato dato: il cuore batte, il sangue circola, le ghiandole secernono gli ormoni, i polmoni si gonfiano e si svuotano d’aria, milioni di globuli bianchi si immolano ogni volta che abbiamo un minimo graffio e tutto senza l’intervento della nostra volontà. Il giorno porta la luce per la-

La vita e l’identità dell’uomo hanno una storia (passato) il cui senso è da leggere alla luce di quel futuro che è presente (incombe) in ogni istante del tempo (frammentazione) ma che non si identifica con alcuno di essi

vorare, la notte porta il buio per il riposo, le stagioni si succedono per portare beni essenziali per l’umanità, e tutto avviene senza l’intervento della nostra volontà. Cosí come la nostra volontà non interviene nemmeno nel sogno oppure nel fantasticare; siamo dentro la meraviglia di una spontaneità che è in noi, di una vita di cui siamo ospiti e che un grande padrone di casa ci ha preparato. Il dono della vita alimenta il dono della Fede e viceversa. Ne discende gratitudine specie da parte di coloro, come noi, che avvertono la “responsabi1/2007 • UCID Letter

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Siamo chiamati a diventare portatori di un’offerta diffusiva di speranza: come imprenditori, con la determinazione e con l’intuito creativo; come dirigenti, nel saper sempre indirizzare risorse e risultati verso traguardi vieppiú avanzati; come professionisti, nell’essere capaci di suggerimenti e consigli incrementabili

lità dei primi”. Dio ci ha dato tanti talenti, tra questi anche quello di realizzare qualcosa che non c’è ma che forse riusciremo a costruire se ci mettiamo l’ingegno, le conoscenze, il coraggio, la passione, le aspirazioni di giustizia e carità, se ci mettiamo coscienza. Dobbiamo essere consapevoli che per questo quid in piú, per questo quantum in piú, abbiamo una responsabilità maggiore. L’abbiamo in primo luogo come cristiani, fedeli al messaggio di Cristo «non sono venuto ad abolire la legge, ma ad UCID Letter • 1/2007

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andare oltre». L’abbiamo come operatori economici qualificati per la capacità di produrre output con maggiore valore rispetto agli input. E allora non possiamo, per esemplificare, fermarci agli standard di eticità, ma con coscienza diventare portatori di un’offerta in grado di far fruttare meglio i talenti propri e altrui, condensando efficacemente le frammentazioni. Un’offerta, anche nel micro, di soluzioni, di elaborazioni, di sperimentazione di fronte ai complessi problemi del mondo del lavoro e dell’economia. Un’offerta diffusiva di speranza su cui impegnarsi: come imprenditori, con il rischio, con la determinazione, con l’intuito creativo; come dirigenti, nel saper sempre indirizzare risorse e risultati verso i traguardi vieppiú avanzati; come professionisti, nell’essere capaci di proporre suggerimenti, consigli, affiancamenti, validamente incrementabili. Il tutto teso alla valorizzazione dell’uomo, quel “massimo” di corpo e anima presente nella visione dell’umanesimo cristiano. Questo diventare sempre piú soggetti di offerta uniti in un’associazione che aiuta a interloquire e a sostenere questa direzione, costituisce base essenziale nell’edificazione del Bene Comune. Una costruzione di vari piani, l’abitazione del Bene Comune: - che utilizza la globalizzazione come conservazione dell’ambiente e del creato; come

partecipazione agli stessi destini, come diffusore di campagne di civiltà (lotta alla schiavitú, ieri, lotta alla povertà, oggi); - che apre ai credenti - rispetto al meccanismo limitante ai primi i grandi benefici del mercato - vasti spazi di iniziative per dimostrare che la pietra scartata (i secondi, i terzi, gli ultimi) diventa testata d’angolo (la longevità come risorsa; le tecnologie per la disabilità ecc.); - (la responsabilità dei primi); - che è arricchita dall’ossigeno dell’interiorità per quel “di piú” capace di proiettare un futuro di speranza; - che consente all’uomo – in quanto figlio di Dio – di saper coniugare i valori della società e del mercato per la sua felicità in terra; - che accoglie la complessità perché ciascuno è diverso dall’altro, e questa diversità è fattore di crescita. Se trattiamo un essere umano per quello che è egli rimarrà quello che è; se trattiamo un essere umano per quello che può e deve (nella sua felicità vera) essere, egli diventerà quello che può e deve essere; - che realizza il nostro potenziale umano, intraprendendo un faticoso ma gioioso viaggio allo scoperta di quello che è dentro di noi e imparando ad impiegare la vita in modo pieno e proficuo; - che aderisce al codice comune della società attenendosi al suo concetto di giusto e sbagliato nel nostro comportamento e nel rapporto con gli


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altri; - che si occupa della maturazione dei figli e della famiglia come proiezione dell’affascinante e in parte misterioso compito di contribuire al ciclo umano anche dopo la morte; - che amministra l’eredità collettiva del passato, un patrimonio di conoscenza, bellezza e saggezza accumulato dall’umanità, un capitale di ricchezze che va ben oltre i beni personali tramandati e i grandi edifici; - che collega futuro e memoria, per lasciare qualcosa di valore a chi verrà dopo; - che prende cura del mondo naturale ove si racchiude tutta la grande vita, della grande terra verde che infinitamente ci delizia e incuriosisce offrendo il sostentamento a noi e agli altri essere viventi; - che induce a pensare a ciò che è sacro, ad onorare le aspettative trascendenti dell’uomo, a rispettare gli eterni misteri che sono e saranno sempre al di là dell’umana comprensione, e che nel quotidiano e nell’imprevisto confida nella Fede del Cristo quale riferimento sicuro della verità. Se la Fede fosse ridotta a un cumulo di dottrine che la fanno apparire piuttosto un’ideologia, potrebbe anche darsi che uomini pragmatici, calati nei numeri come siamo noi, ne restano esclusi. Ma se la Fede è concentrata nella sua essenziale dinamica allora emerge che la vera essenza originale che non hanno le altre religioni co-

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me religioni, non come popolo che crede e prega, è l’amore. Una dinamica fatta di tre principi: Primo: Dio ci ama, mi ama. Secondo: per dimostrarcelo non solo ci ha creato ma ci ha anche dato il Figlio. Terzo: noi siamo convocati a entrare nel suo Amore, rispondendo al suo Amore come figli nel Figlio, in un amore che dall’eternità esce e ci coinvolge in un rapporto intimo con Dio. Nel mondo islamico troviamo la giustizia, e la misericordia di Dio. Nel Nirvana e nel Tao troviamo l’armonia e la potenza. Non l’Amore. È difficile farlo entrare, come indirizzo di coscienza, nella nostra vita immersa nella concorrenza, nel vincolo di bilancio, nella dimensione numerica. Però c’è e l’abbiamo sperimentato, in vari momenti. Ora deve diventare costume, l’allertare la coscienza, e la preghiera ci aiuta nel liberare cosí la verità del Cristianesimo. È in questo abitare l’economia per costruire il Bene Comune, che si trova anche la nostra associazione. Lo spazio dell’UCID emerge dall’analisi dell’evoluzione nel nostro paese, ove abbiamo ritenuto che il Bene Comune fosse compito soprattutto dello Stato attraverso la creazione di infrastrutture (dalle strade alle scuole) e di un sistema di welfare (dalla sanità alle pensioni). In questi ultimi decenni questa certezza si è indebolita, specie per i crescenti limiti di fi-

nanza pubblica. Quasi inavvertitamente, di fronte a questo “vuoto” dello Stato si sono attivati sul piano degli apparati (da quello militare a quello tecnologico/informatico, a quello finanziario) che hanno occupato autopromuovendosi, settori e spazi di collettivo e valoriale interesse, smembrandoli, strumentalizzandoli. E di fronte a ciò solo soggetti altrettanto transnazionali coscienti e responsabili - come imprenditori, dirigenti, professionisti cristianamente ispirati - possono riportare nel solco dell’umanesimo i processi di trasformazione per costruire il Bene Comune che lo Stato non può piú governare, e che gli apparati si spartiscono. Questo ruolo alto non ci spaventa, anzi ci sprona a un supplemento di impegno personale, con la tensione di volerci rimettere continuamente in gioco, rischiando, da innovatori, senza lasciarci irretire dai grandi numeri, attenti alle persone in quanto prossimo, testimoni consapevoli del messaggio cristiano. Una testimonianza fatta con la passione che manifestiamo per la nostra attività, con quell’empatia che diffonde entusiasmo, gioia e partecipazione. Nell’abitare l’economia ben venga allora la complessità della frammentazione perché la nostra coscienza ne qualifica il senso come polena che protegge la rotta. 1/2007 • UCID Letter

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LIBERTÀ E FRAMMENTAZIONE

LA SEPARAZIONE RICOMPOSTA DALLO

SPIRITO

È questa la risorsa per ricomporre a unità un essere disintegrato e smarrito

di Mauro Boccuzzi Socio Sezione di Bolzano

L’uomo, oggi, si trova in una condizione di frammentazione tale da apparire sempre piú disorientato e spaesato nei confronti di una realtà che non riesce piú a padroneggiare

Una nota a margine della relazione del Presidente Nazionale UCID, tenuta a Trento il 27 novembre 2006.

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ibertà, frammentazione, complessità, globalizzazione, separatezza, spirito, fede: il professor Angelo Ferro con l’enfasi appassionata e trascinante di chi non solo crede fermamente, ma vive con “razionale” convinzione i valori portanti della fede cristiana, ha letteralmente catturato l’attenzione dei soci UCID presenti il 27 novembre nella sala Incontri delle Cantine Ferrari a Trento, coinvolgendoli in una impegnativa riflessione su concetti e problemi che ormai da tempo interrogano le coscienze piú sensibili. Anche per chi, come socio dell’UCID, non ha mai giudicato con sospetto il profitto d’impresa e la possibilità di un approccio cristianamente etico ai temi dell’economia, è pur sempre una sorprendente sfida o una provocante scommessa quella lanciata da un imprenditore che si affida alla forza dello spirito e alla luce della fede per mantenere la propria integrità e dignità di uomo, facile a smarrirsi nei tortuosi percorsi che la modernità spesso impone. Ammetto che di fronte a una testimonianza, come quella dell’illustre oratore, caratterizzata da un forte e coerente impegno personale rivolto ad alleviare situazioni di sofferenza o disagio, proporre considerazioni di tipo teorico-concettuale può sembrare quasi una profanazione; ma il tema sollevato dal presidente nazionale dell’UCID nella sua relazione mi pare troppo importante per non meritare un dibattito piú ap-

profondito e un confronto che contribuisca se non altro a favorire un chiarimento su alcuni aspetti apparsi a mio avviso non sufficientemente argomentati. PER UN NUOVO UMANESIMO Il prof. Ferro denuncia lo smarrimento o disagio dell’uomo moderno (compreso di colui che riveste responsabilità d’impresa) a causa di una situazione di complessità del vivere nella nostra società, soggetta a un frenetico sviluppo economico, influenzata da quella che egli definisce frammentazione, con riferimento ai nuovi modi di produzione, all’offerta di prodotti, di risorse, alla possibilità, spesso illusoria, di poter soddisfare le piú diverse esigenze e bisogni. E attribuisce tale situazione alla illimitata libertà di cui gode l’uomo nella nostra società. Non ho una sufficiente o pari competenza per addentrarmi in una analisi approfondita dei termini usati dal prof. Ferro, e che hanno costituito fin dall’origine del pensiero oggetto di elaborazioni di natura filosofica, religiosa, psicologica, sociologica. Mi limito semplicemente e sinteticamente a osservare (senza pretendere di aggiungere qualcosa di originale) che, forse oggi come mai prima d’ora, la preoccupazione per la condizione di frammentazione dovrebbe essere riferita all’uomo, al suo senso di spaesamento nei confronti di una realtà che non riesce piú a padroneggiare, al disorienta-


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mento della sua anima o della sua psiche soffocate, tra l’altro, anche da un eccesso di comunicazione (in cui il messaggio è svilito se non annullato dal mezzo di comunicazione) , nella consapevolezza che l’indagine su tale disagio, sulla difficoltà a vivere consapevolmente il proprio destino, investe non solo i rapporti economici, ma anche l’àmbito della famiglia, della politica e della religione. A mio parere pertanto l’analisi andrebbe indirizzata verso quello che oggi appare il vero e principale “nocciolo della questione”, come peraltro diffusamente segnalato da autorevoli pensatori: l’inarrestabile sviluppo e potenza della scienza e della tecnica hanno trasformato i mezzi e gli strumenti a disposizione dell’uomo nel fine ultimo da raggiungere; la moltiplicazione delle risorse a disposizione e il potenziamento della tecnologia diventa l’obiettivo da realizzare, privando l’uomo della facoltà di decidere e di scegliere, nonché di domandarsi se il percorso, in cui è trascinato da tale sviluppo, conduca a un vero progresso. Questo è il punto fondamentale, ribadito ormai anche da prestigiosi analisti e operatori del mondo economico e finanziario che si domandano se non sia tempo di “raddrizzare il percorso”, ripensando il concetto di sviluppo “compatibile”, di benessere, di progresso, prima che fenomeni dirompenti (fattori ecologici, flussi migratori,

LIBERTÀ E FRAMMENTAZIONE

povertà insostenibili, squilibri economici, globalizzazione fuori controllo, concorrenza selvaggia, ecc.) ce lo impongano in termini drammatici e dirompenti. Propongo in sostanza, per tornare alla relazione del prof. Ferro, di inquadrare i concetti di frammentazione, di complessità e di libertà in un’ottica diversa, che superi quella derivante (e secondo me fuorviante) dal loro riferimento a beni, prodotti, risorse, modi di produzione, bisogni: piú esatto sarebbe meglio forse parlare di una moltiplicazione o diversificazione esponenziale di tale offerta, da considerare semplicemente l’effetto di un sistema economico che per sostenersi ha la fisiologica necessità di alimentare un consumismo sempre piú esasperato; un’ottica che si focalizzi su quello che considero invece l’obiettivo fondamentale su cui concentrare la nostra attenzione: il recupero da parte dell’uomo moderno del valore della propria dignità, sorretta da una effettiva libertà di discernimento, per realizzare un nuovo umanesimo. Ma questa affermazione merita un adeguato e circostanziato approfondimento che esula dallo scopo della presente nota, la quale si propone esclusivamente di provocare all’interno della nostra associazione un dibattito che auspico libero e fecondo. AFFRONTARE LA CRISI In che modo superare lo

Appare sempre piú urgente il recupero da parte dell’uomo moderno del valore della propria dignità, sorretta da una effettiva libertà di discernimento, per realizzare un nuovo umanesimo

smarrimento provocato dalla complessità e dalla frammentazione? Il prof. Ferro esorta gli operatori economici cristiani (ma la sollecitazione è da intendersi ovviamente anche al di là di tale àmbito) a fare appello alla forza delle risorse piú squisitamente spirituali dell’uomo, alla sua fede religiosa. Al cospetto di tale affermazione, ribadita nel titolo della relazione “la separazione ricomposta dallo spirito”, lo spazio per un libero confronto risulta indubbiamente assai ristretto. Tuttavia l’attualità delle tematiche inerenti il rapporto tra fede e ragione, il relati1/2007 • UCID Letter

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LIBERTÀ E FRAMMENTAZIONE

Gli operatori economici che si ispirano ai valori del Cristianesimo debbono sentirsi particolarmente coinvolti nella faticosa opera di ricerca delle prospettive di trasformazione e di sopravvivenza della società. Serve un ripensamento dei valori stessi che informano la loro azione

vismo dei valori, la corretta interpretazione del laicismo, ecc., incoraggia il tentativo di inserire qualche osservazione anche in merito a tale aspetto della relazione dal prof. Ferro. a) Innanzitutto ritengo che il richiamo, con cui avevo concluso il punto precedente circa la necessità di operare verso un nuovo umanesimo, non possa escludere chi vive la propria esperienza di uomo senza possedere il sostegno della fede religiosa (anche perché sono persuaso che un corretto approccio laico, che consideri crocianamente il Cristianesimo pietra angolare per la fondaUCID Letter • 1/2007

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ATTIVITA’

zione, o rifondazione, di una casa comune universale a misura d’uomo, possa collimare perfettamente con quello dell’uomo di fede, seppure rispetto a quest’ultimo avrebbe probabilmente una maggior difficoltà a intravedere nel buio del tempo i segni della speranza, mentre d’altro lato rispetto a quest’ultimo non correrebbe certo il rischio di considerare il “salto nella fede” come un antidoto o balsamo al disagio di vivere, come un superamento acritico se non come giustificazione della realtà comunque essa si manifesti). b) Se dunque è lecito pensare allo spirito sia laico che religioso dell’uomo (il professore Ferro ha usato il termine di valore immateriale cui attingere per superare la frammentazione e creare “interconnessione”) quale risorsa per ricomporre a unità un essere disintegrato e smarrito, per chiarezza e completezza si impone nuovamente la necessità di capire di cosa stiamo parlando, avendo il coraggio di portare il discorso fino in fondo, fino alla radice del problema, mettendo il dito nella piaga. Per raggiungere tale obiettivo dobbiamo però spostare lo sguardo oltre il nostro orizzonte quotidiano, seppure continuando a operare quotidianamente «alla ricerca di ogni frammento di bene» (Ferro), e alimentando quei vincoli di solidarietà che un comune sentire spirituale certamente favorisce. Dobbiamo cioè affrontare il

tempo della crisi, se vogliamo difendere e diffondere i valori della libertà d’impresa e della concorrenza, della democrazia e dei diritti umani, con la determinazione di ricercare soluzioni radicali e fondamentali, che siano innovative rispetto agli attuali modelli e criteri di conoscenza, rivelatisi ormai inadeguati a superare la condizione di smarrimento e incertezza dell’uomo occidentale; a superare una condizione che mette a nudo tutta la fragilità di un modello di società autoreferenziale ripiegata su sé stessa. Alla luce di tali riflessioni ritengo che gli operatori economici che si ispirano ai valori del Cristianesimo debbano sentirsi particolarmente coinvolti nella faticosa opera di ricerca delle prospettive di trasformazione e di sopravvivenza della società che hanno contribuito a creare, accettando non solo la sfida di superare consolidate certezze di natura professionale (sfida da tempo imposta dalla globalizzazione), ma anche quella, se mi è permesso, di natura piú squisitamente morale o “spirituale”: un ripensamento o aggiornamento dei valori stessi che informano la loro azione, quali l’etica d’impresa, la responsabilità sociale d’impresa, il bene comune, ecc., per indagare se in essi non si nasconda il germe di una certa ambiguità. È un altro interrogativo che volutamente lascio pendente sulla coscienza di chi tra di noi avrà la sensibilità di raccoglierlo.


I VALORI UCID

ATTIVITA’

I

l flusso delle innovazioni tecnologiche nel nostro Paese è in continuo aumento. I metodi automatici di produzione, l’impiego delle nuove forme di energia, i prodigi della chimica, hanno inciso profondamente sullo sviluppo dell’apparato produttivo nazionale. La UCID di conseguenza ha sviluppato, con professionalità e competenza, la partecipazione umana al processo di sviluppo culturale. L’intera struttura della società è stata profondamente modificata attraverso l’unità operativa che applica sul piano economico i frutti dell’innovazione scientifica e tecnologica.

DENTRO LA TRASFORMAZIONE È quasi impossibile fare un elenco compiuto degli elevati costi umani e sociali del progresso umano; a puro scopo esemplificativo se ne richiamano alcuni che si riferiscono in parte al progresso tecnico in generale, in parte ai processi automatici in particolare. Larghe masse di lavoratori inevitabilmente hanno dovuto trasferirsi dalle produzioni primarie a occupazioni del settore terziario che implicano superiore qualificazione e piú alto esercizio di intelligenza; tutta la produzione si è orientata verso forme di superiore concentrazione e capitalizzazione; le situazioni di concorrenza tendono a inasprirsi sia per normale processo fisiologico, sia per una tendenza al rafforzamento delle imprese esistenti a danno di quelle potenziali. La

tecnica ha in sé stessa qualcosa di totalitario; porta in tutti gli aspetti dell’attività umana i suoi criteri scientifici di organizzazione; crea nuove funzioni, nuovi rapporti, nuove forme di collaborazione, ma anche nuove fonti di soggezione tra gli individui e i gruppi sociali, talvolta esaspera anche le differenze naturali. L’automazione nelle sue forme essenziali di integrazione di processi, di autoregolazione, di tecnica del calcolo elettronico, dà al processo di produzione la forma e l’aspetto di un meccanismo capace di adattamento. Nella prospettiva dell’itinerario umano verso il perseguimento della massima economicità dello sforzo (specializzazione, semplificazione, standardizzazione dei movimenti), essa rappresenta una fase essenziale e meravigliosa di questo sviluppo nel nostro Paese. Ma dobbiamo tener conto delle interdipendenze economiche e sociali che rendono possibile gli elevati costi economici, sociali e umani di questa realizzazione. Dal punto di vista scientifico, la ricerca sia per la progettazione che per la manutenzione e l’attivazione degli impianti, richiede alta specializzazione e costosissimi prototipi nella fase di sperimentazione. Dal punto di vista economico la ricerca irrigidisce l’offerta ed esige sempre piú larghi mercati di sbocco; ciò implica la crescente necessità di controllare socialmente i fattori che influenzano la domanda; evi-

PER UNO SVILUPPO CULTURALE, ETICO ED ECONOMICO

La responsabilità di portare luce nei passi piú impervi dello svolgersi della storia economica

di Emilio Iaboni Presidente UCID Sezione Frosinone

denti i rischi psicologici e morali delle ultime conseguenze di tale necessità, nell’attuale regime di organizzazione della pubblicità e della propaganda. Essa modifica la struttura fondamentale del costo di produzione: prevalgono i costi di manutenzione di operazione degli impianti, rispetto alle altre voci; modifica gli indici di controllo e di efficienza; toglie l’importanza all’indice individuale di rendimento rispetto a quello dei processi integrati. Se in regime di rendimento individuale il massimo problema è quello dell’addestramento, in regime automatico di rendi1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ I VALORI UCID

Sul terreno dell’economia d’impresa, ci troviamo ad affrontare una competizione piú ampia, piú mobile, piú imprevedibile di quanto lo fosse in passato. Essa comporta decisioni gravi, come quelle che riguardano la ristrutturazione degli apparati produttivi e delle organizzazioni aziendali

mento degli impianti il massimo problema diventa lo studio scientifico delle operazioni e il calcolo matematico della loro differente efficienza. Essa modifica profondamente la struttura logica dell’atto direttivo; la funzione di previsione e di programmazione tende a prevalere sulle funzioni di esecuzione e di controllo; tutto deve essere previsto fino al dettaglio poiché il minimo incidente si trasmette all’intero processo e moltiplica spaventosamente i costi. L’azione direttiva deve farsi sempre piú prossima al punto di vista scientifico nelle singole UCID Letter • 1/2007

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situazioni. Ciò comporta anche alcune conseguenze nella composizione sociale del gruppo dirigente; si eleva lo stato sociale dei grandi specialisti di elettronica in seno alla gerarchia, le cui decisioni diventano immediatamente operative; aumenta in generale la domanda di lavoro di gruppo, si fa piú stretto il controllo disciplinare sulla condotta umana, da parte della struttura del processo stesso. L’adattamento alle interdipendenze economiche e sociali del progresso tecnico rappresenta il costo umano che la società deve pagarsi per assimilarne i risultati positivi; la nostra professionalità conosce purtroppo i rischi specifici di un mancato o insufficiente adattamento. Il rischio principale è costituito dalla difficoltà strutturale di proporzionare in regime di aumentata rigidità dei processi, la produzione al consumo; sprechi, distruzioni di ricchezza, frustrazione di iniziative sono purtroppo il margine normale e il penoso residuo di questa intensificata, umana capacità di produrre. L’analisi dimostra che un altro rischio è di natura psicologica e potrebbe essere chiamato “l’effetto dimostrativo” della tecnica. L’analisi rivela, altresí, dietro l’incapacità umana, di fare pieno uso del mezzo tecnico (incapacità a distribuire i risultati della produzione, o le occasioni e i sacrifici necessari per produrre), un complesso problema morale: la difficoltà sociale del vedere costantemente il rapporto che

gli strumenti hanno col fine della nostra comunità sociale. Se si vuole accompagnare al ritmo di sviluppo della scienza applicata un adeguato ritmo di sviluppo delle forme intellettuali, organizzative, istituzionali della nostra società, occorre una attivazione suppletiva delle energie spirituali umane in un meglio chiarito rapporto tra l’uomo stesso come portatore di valori sovratemporali e la tecnica come strumento. UNA SFIDA EPOCALE Oggi siamo in presenza di una sfida epocale, cui gli imprenditori UCID, come chiunque altro nel suo ruolo, sono chiamati a dare risposte concrete, attive e creative. Sul terreno dell’economia d’impresa, ci troviamo ad affrontare una competizione piú ampia, piú mobile, piú imprevedibile di quanto lo fosse in passato; essa comporta decisioni gravi, come quelle che riguardano la ristrutturazione degli apparati produttivi e delle organizzazioni aziendali, o quelle che inducono talune imprese di livello internazionale a delocalizzare i propri insediamenti in aree piú vicine ai potenziali mercati di assorbimento o in grado di offrire maggiore redditività degli investimenti. Sono scelte che non riguardano, come può apparire, solo lo specifico benessere dell’imprenditore, ma le prospettive stesse del nostro ruolo di operatori di “sviluppo con benessere”: di fatto, ignorare le sfide che il mercato mondiale ci


ATTIVITA’ I VALORI UCID

presenta, o non reagire ad esse accrescendo la nostra competitività può significare, spesso, l’emarginazione dell’azienda dal mercato, la perdita del suo ruolo propulsore nella comunità in cui è inserita, il raccorciamento degli obiettivi e, al limite, anche la scomparsa dal mercato con tutte le conseguenze relative anche e soprattutto di ordine sociale. La progressiva elevazione delle qualificazioni ha reso chiara l’aumentata domanda di perfezionamento professionale in tutte le classi e in tutte le categorie e quindi la necessità di una complessa politica educativa che consenta a tutti i livelli di responsabilità, di assimilare l’orientamento e il ritmo del progresso; ma accanto a questa c’è un’ulteriore e piú complessa esigenza di formazione che condiziona a sua volta l’efficienza e il retto impiego della qualificazione tecnica e professionale: è l’esigenza della riscoperta della direzione esatta alla quale l’efficienza tecnica deve essere orientata e della retta posizione morale nella quale l’uomo deve essere posto nei confronti di essa. COINVOLGIMENTO ATTIVO L’UCID si propone e si offre, per rafforzare, sul terreno dell’economia ai vari livelli centrali e periferici, ogni qualvolta si presentino temi e problemi economico-finanziari con rilevanza sociale, naturalmente senza porsi obiettivi di egemonia intellettuale e di esclusiva, ma solo con obiettivi di servizio, an-

che soltanto per dare un contributo a una migliore comprensione dei fenomeni di base. La salute sociale non dipende soltanto dalla tecnica e dall’economia; esse sono uno strumento che non funziona mai automaticamente e indipendentemente dallo scopo per cui è usato. Il rapporto tra progresso tecnico e le altre forme di progresso, non si pone in termini di mezzi ma in termini di direzione, di qualità e di valore dei fini; quando l’innovazione scientifica si accosta alla realtà sociale, entra in una rete di giudizi e di scelte culturali, economiche e politiche, il cui esito è strettamente legato alla qualità morale della società e della leadership che le opera. Il progresso reale è dato dal risultato che si può constatare quotidianamente. Ci sono però investimenti morali e intellettuali da sviluppare: sono gli investimenti specifici a carattere educativo che condizionano la formazione di queste condizioni-base dell’adattamento sociale.Tali investimenti suppletivi potrebbero essere espressi nel concetto che l’uomo ha edificato un ambiente nel quale ha difficoltà a vivere e che non c’è soltanto da modificare l’ambiente ma da far crescere adeguatamente l’uomo stesso, per renderlo capace di adattarvisi; per adattamento non si intende la capacità di subire determinate forme organizzative ma la capacità creativa di utilizzarle nei loro limiti e di disciplinarle umanamente. In senso economico, questo significa orga-

La salute sociale non dipende soltanto dalla tecnica e dall’economia. Il rapporto tra progresso tecnico e le altre forme di progresso non si pone in termini di mezzi ma di direzione, di qualità e di valore dei fini

nizzare una politica educativa che crei negli uomini le attitudini adeguate alla gestione di una società complessa e differenziata come quella tecnica; significa, in senso intellettuale, intensificare i correttivi culturali nelle componenti della personalità in modo da diminuire il rischio delle frustrazioni e il bisogno della ricerca di compensazioni. PRECISE RESPONSABILITÀ La prima responsabilità a questo riguardo è della scienza stessa e quindi del normale processo di ricerca tecnologica, in quanto veicolo dell’in1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ I VALORI UCID

La società tecnologica attende che venga elaborato un corpo moralmente ed eticamente accettabile di princípi e di dottrine relative alla direzione economica; occorre definire i concetti base dell’autorità economica stessa, i rapporti tra potere economico privato e pubblico, i concetti fondamentali di efficienza e di concorrenza

novazione. Il processo di ricerca dovrà concentrarsi maggiormente sulle dimensioni sociali dell’organizzazione, per consentire alla politica economica e ai poteri pubblici di prevedere, in modo da diminuire gli sfasamenti, le frizioni e in generale le pene sociali che derivano dal non adattamento. Le scienze sociali, eredi di una non critica fiducia nell’automatismo degli adattamenti sociali, hanno davanti a sé un campo immenso di indagine. Si tratta di portare i criteri specifici di osservazione, registrazione, sperimentazione in tutti i settori della condotta umana. Si tratUCID Letter • 1/2007

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ta inoltre di superare gli eccessi della specializzazione in campo sperimentale e di ricondurre la ricerca scientifica a visioni di sintesi; è necessario sottolineare questo, a mano a mano che la ricerca scientifica riveste forme sempre piú complesse di organizzazione e abbandona le forme tradizionali della assoluta libertà personale nella ricerca stessa. La vocazione degli scienziati nell’avvenire è saper vedere piú largamente e maggiormente in profondità nel mondo umano, oltre al semplice progresso che deriva dalla loro indagine. La scienza non è mai responsabile del cattivo uso che può essere fatto delle sue applicazioni, ma lo scienziato che rinunci a porre la sua azione nella prospettiva di un retto sviluppo umano, rinuncia implicitamente al privilegio di sentire la certezza di avere aiutato le generazioni future. Un’altra specifica responsabilità è quella del potere politico, responsabilità che esso condivide in parte col potere economico e che in parte resta sua esclusiva. Il potere politico deve riadattare al progresso tecnico l’armatura giuridica delle società; impossibile dire quanto la struttura giuridica della società sia in ritardo sullo sviluppo tecnologico. In comune col potere economico, il potere politico ha la responsabilità di alimentare il tessuto sociale e il clima nel quale la scienza e il progresso possono svilupparsi. La scoperta scientifica è in qualche modo un

coefficiente ed un interesse su di un capitale che va costantemente ricostituito; il potere politico è custode e garante della continuità di questo capitale. Il potere economico porta la responsabilità specifica dell’applicazione dell’innovazione scientifica nell’àmbito dell’organizzazione sociale; esso ha il compito di ricercare e sperimentare possibili vie di sintesi tra la logica interiore della pura tecnica, della pura economia e la domanda di fini umani della convivenza. Questo comporta che il potere economico sappia fare tempestivo uso di tutti i sussidi che le scienze sociali offrono sia nel campo della gestione tecnica dell’impresa, sia nel campo della sua formazione. La società tecnologica attende che venga elaborato un corpo moralmente ed eticamente accettabile di princípi e di dottrine relative alla direzione economica; occorre definire i concetti base dell’autorità economica stessa, i rapporti tra potere economico, privato e quello pubblico, i concetti fondamentali di efficienza e di concorrenza. Si profila una visione politica del potere economico nella quale accanto ai fattori tecnici prendono chiara posizione i fattori sociali e morali di guida degli uomini. In base a quanto innanzi esposto, ognuno di noi è chiamato a mettere a frutto i doni ricevuti dal Creatore. Non dobbiamo perdere di vista la centralità della persona umana; non dell’uomo inteso come passivo gestore delle ricchez-


ATTIVITA’

ze che Dio ha creato e gli ha affidato, bensí dell’homo faber che partecipa all’opera del Creatore. La globalizzazione animata e sostenuta da uno sviluppo tecnologico sempre piú accelerato e pervasivo, ha messo in forse prima, e demolito poi, schemi di riferimento consolidati nella nostra cultura e nella nostra storia d’impresa. Oltre a ciò, la globalizzazione, se da un lato crea grandi opportunità di sviluppo, dall’altro accentua fortemente i rischi d’impresa, che, attrezzata per affrontare quelli domestici, sta già compiendo, e ancora piú dovrà farlo nel futuro, uno sforzo molto importante - anche di cultura - per reggere ai rischi della concorrenza mondiale. Infine, la globalizzazione ha posto in piena luce il contrasto fra le aree ricche e quelle povere del mondo, dando alle esigenze di solidarietà una dimensione nuova, che travalica i confini fra gli Stati, i popoli, le culture, le religioni. L’imprenditore, il dirigente e il professionista UCIDino possono dare risposte concrete ai problemi, in tempi brevi e spesso in tempi reali, per localizzare rapidamente i guasti, per individuare i punti di frizione nascosti in un sistema complesso; può essere, a nostro avviso, di reale servizio alla Chiesa e alle categorie imprenditoriali, che sempre piú spesso sono chiamate, in una realtà in continuo divenire e dare ai credenti luce nei passi piú impervi dello svolgersi della storia economica.

DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

P

er il credente la “vita economica” trae senso, sotto il profilo etico e di fede, da un triplice appello rivolto da Dio all’uomo e di cui la Scrittura ci da notizia. L’APPELLO DI DIO Dio chiama l’uomo a collaborare consapevolmente con Lui al compimento del suo progetto sulla creazione, interagendo in modo intelligente con la natura (Gen 1, 27-29 e 2, 1519; Rom 8, 19-22). Per questo l’attività imprenditoriale e lavorativa dell’uomo è benedetta, in quanto potenzialmente fornisce un importante contributo all’anticipazione del “Regno di Dio”, già nella storia presente. L’avvento di una umanità pienamente realizzata e aperta all’accoglienza del mistero di Dio sarà infatti una manifestazione concreta di questo regno. Di fatto ogni uomo percepisce dentro di essere degno di vivere una vita piena; la rivelazione ci dice che questo desiderio non è un’utopia ma è il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 326). Nello stesso tempo Dio ammonisce l’uomo a non travalicare nel suo operare, cedendo alla tentazione di concentrarsi ossessivamente sull’agire e in quella di credersi onnipotente e autonomo dal progetto di Dio nella definizione dei suoi obiettivi di azione (cfr. Gen 2, 2-3; 3, 1-7; Eb 4, 9-10). Per questo la dimensione

VOCAZIONE ED ETICA DELLE STRUTTURE DELL’ECONOMIA

Il sistema economico è chiamato a misurarsi con il progetto di Dio, nel pieno rispetto della persona umana

di Giancarlo Picco Presidente UCID Sezione Torino

contemplativa e quella del rispetto per la natura devono essere nello stesso tempo salvaguardate (cfr. Compendio, 326) Infine, Dio ricorda all’uomo che la ricchezza prodotta dall’attività umana deve essere equamente condivisa (cfr. Is 58, 6-7; Mi 2,1-3; Gc 4, 13; 5, 1-4). Ciò significa che i destinatari potenziali dei beni resi disponibili dalle attività umane devono essere, senza esclusioni, tutti gli uomini (cfr. Compendio, 323, 328, 329) LA RISPOSTA DELL’UOMO Fin dalla piú lontana anti1/2007 • UCID Letter

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DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

L’uomo, anche oggi, non sfugge al rischio di cedere alla tentazione di credersi onnipotente. Come certo resta tuttora largamente disatteso l’obiettivo di realizzare una equa ripartizione tra tutti gli uomini delle ricchezze prodotte dall’attività umana

chità, la storia dell’uomo è stata anche la storia della sua risposta, magari inconscia e non sempre corretta, agli appelli di Dio prima richiamati. Quando l’uomo ha cominciato a manipolare in modo finalizzato le risorse naturali, da subito ha cominciato a farlo assieme ad altri uomini, per aumentare la propria forza di impatto sulla natura e per integrare diverse competenze operative in vista del migliore conseguimento di un obiettivo comune: questo è stato il fatto che ha dato origine a quella che oggi chiamiamo l’impresa. Il passo successivo è stato UCID Letter • 1/2007

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ATTIVITA’

quello di passare dall’impresa (per lo piú famigliare) che produceva tutto ciò che serviva per l’autoconsumo delle persone che la componevano, all’impresa (per lo piú non piú famigliare) che, per aumentare la propria efficienza tecnica e la propria produttività, si specializzava nella produzione di alcuni specifici beni, da scambiare poi, per il soddisfacimento dei reciproci bisogni, con beni diversi prodotti da altre imprese, anch’esse specializzate: questa è stata di fatto l’origine di quello che oggi chiamiamo il mercato. Ed oggi il mercato è diventato un realtà complessa, che opera, in tempo reale, a livello mondiale, ed è affiancata, e in parte condizionata, da un insieme di strutture di supporto e/o di controllo e regolazione (banche, università e centri di ricerca, strutture e centri di servizio, sindacati e gruppi similari di cittadini organizzati, poteri pubblici locali, nazionali e, oggi piú che mai, anche internazionali, ecc.) che interagiscono con le imprese e con queste strutturano i mercati moderni: per questo oggi si parla di sistema integrato dell’economia (cfr. Compendio, 342, 361, 362, 373) Non è certamente facile valutare correttamente fino a che punto lo sviluppo degli interventi dell’uomo sulla natura abbia nell’insieme costituito una risposta corretta all’appello di Dio. In estrema sintesi e in prima approssimazione, si può forse dire che, mentre cer-

tamente l’attività di assoggettamento, ma anche di valorizzazione, della natura ha, con il tempo, raggiunto dei livelli inizialmente impensabili, quasi certamente l’uomo, soprattutto l’uomo moderno, non è però sfuggito al rischio di cedere alla tentazione di credersi onnipotente e fa tuttora fatica a cogliere i messaggi inquietanti che gli vengono dall’ambiente spesso da lui incautamente manipolato. Cosí come certo resta tuttora largamente disatteso l’obiettivo di realizzare una equa ripartizione tra tutti gli uomini delle ricchezze prodotte dall’attività umana. Infatti, la presenza di vistose sacche di miseria, accanto a forti concentrazioni di ricchezza, che già si riscontra all’interno di singole realtà locali, diventa ancora piú drammaticamente evidente nel confronto tra la situazione tra i paesi sviluppati e quella dei cosiddetti paesi “in via di sviluppo” (cfr. Compendio, 332, 362, 363, 365, 374) LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA Quella che è chiamata la “Dottrina Sociale della Chiesa”, cioè l’insieme dei pronunciamenti dei Pontefici, a partire dalla fine del XIX secolo, e del Concilio Vaticano II, nel XX secolo, è il risultato della riflessione e delle valutazioni sviluppate dal Magistero ecclesiastico sulle realtà e sui problemi socio-economici del tempo attuale e rispecchia la preoccupazione di rileggere e attualizzare l’appello originario del


ATTIVITA’

Signore alla luce della complessità del nostro tempo tecnicizzato e globalizzato. Per questo è a livello delle singole componenti principali del “sistema economico” attuale (imprese, mercato, strutture istituzionali di supporto e controllo) che la Dottrina Sociale della Chiesa si preoccupa di individuare i criteri in base ai quali valutare, in una prospettiva di fede, la rispondenza dei comportamenti umani al progetto di Dio. Questa sarà la scansione della presentazione della Dottrina Sociale sviluppata nei paragrafi che seguono (cfr. Compendio, 3, 5, 6, 76) LA VOCAZIONE UMANO-CRISTIANA DELLE COMPONENTI DELL’ECONOMIA L’impresa La sua funzione e le sue modalità di funzionamento. Ruolo dell’impresa è quello di produrre dei beni e servizi “utili”, per acquisire i quali il mercato, riconoscendone l’utilità, è disposto a pagare un prezzo. Per realizzare questo obiettivo l’impresa deve: - dotarsi preventivamente di attrezzature operative che devono essere approvvigionate con esborso di “capitali” che, essendo per questo sottratti ad altri impieghi, chiedono di essere remunerati; - assorbire nei propri processi produttivi uno stock di risorse (materie prime, energia, lavoro umano, know how, ecc.)

DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

che devono essere anch’esse pagate; - assolvere, sostenendone i costi, a una serie di obbligazioni verso la collettività (pagamento di tasse e di servizi, ottemperanza a norme, per esempio di salvaguardia dell’ambiente, ecc.). La condizione per la sopravvivenza dell’impresa è ovviamente che i “ricavi” ottenuti dalla vendita dei propri prodotti non siano inferiori ai “costi”, prima richiamati, sostenuti per produrli (cfr. Compendio, 338, 340) Alcuni problemi etici oggi messi in gioco nell’attività dell’impresa. Innanzitutto e fondamentalmente l’impresa deve promuovere il conseguimento della massima efficienza tecnicoeconomica nei propri processi di produzione di “utilità”, in quanto questa è condizione necessaria per il consolidamento delle proprie possibilità di sopravvivenza e sviluppo, e quindi di adempimento della propria missione di servizio all’umanità e, in definitiva, al progetto di Dio (cfr. Compendio, 332, 334, 338, 340). In questo contesto, ferma restando la sua vocazione primaria a produrre “utilità” da mettere a disposizione della comunità umana attraverso il mercato, per l’impresa resta aperta l’altra fondamentale vocazione: diventare una comunità nella quale degli uomini si realizzano come persone. Queste, infatti, attraverso il potenzia-

La Dottrina Sociale della Chiesa si preoccupa di individuare i criteri in base ai quali valutare, in una prospettiva di fede, la rispondenza dei comportamenti umani al progetto di Dio

mento delle proprie abilità operative (crescita della professionalità) e attraverso la cooperazione con altri uomini, maturano la consapevolezza di rendere, con le loro attività, un servizio, in primo luogo all’impresa stessa e poi anche alla piú ampia collettività umana (cfr. Compendio, 162, 276, 338, 339, 340) Fermo restando quanto detto sopra, l’impresa è nello stesso tempo chiamata a rispettare, le seguenti ulteriori condizioni di eticità: - i processi produttivi messi in atto dall’impresa non devono recare danno, fisico o psi1/2007 • UCID Letter

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DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

L’attività dei lavoratori che operano nell’impresa deve essere equamente remunerata e coperta dalle garanzie previste dalla legge e, allo stesso tempo, l’impresa deve, per quanto possibile, assicurare la salvaguardia dei capitali in essa investiti

chico, ai lavoratori che li realizzano (la messa in atto di condizioni di lavoro pericolose o degradanti è eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 301, 331); - i processi produttivi non devono neppure recare danno all’ambiente esterno circostante l’impresa (l’esternalizzazione di danni ambientali e dei costi per il loro risanamento è eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 470); - condizioni di stabilità lavorativa e di rispetto delle esigenze personali e familiari dei lavoratori impiegati nei processi produttivi dell’impresa UCID Letter • 1/2007

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devono essere promosse (lo sfruttamento di posizioni di forza sul mercato del lavoro per dare luogo a rapporti di lavoro precari e/o degradanti, o poco attenti alle esigenze famigliari dei dipendenti e della maternità per le donne, sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 294, 295, 331); - l’attività dei lavoratori che operano nell’impresa deve essere equamente remunerata e coperta dalle garanzie previste dalla legge (il ricorso al lavoro nero, sottopagato, o con modalità temporali che non rispettino ad esempio il riposo, sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 301, 302); - l’impresa deve, per quanto possibile, assicurare la salvaguardia e una remunerazione equa ai capitali in essa investiti (la penalizzazione di azionisti minoritari attraverso il dirottamento, a monte, di parte dei margini di gestione o la diffusione di informazioni ingannevoli sull’andamento della gestione al fine di acquisire risorse in situazioni economicamente rischiose sono pratiche eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 340); - i prodotti immessi sul mercato dall’impresa devono possedere effettivamente le “utilità” dichiarate (una pubblicità ingannevole o peggio l’occultamento di pericolosità insite nei prodotti sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 334, 345); - le risorse (materiali ed energetiche) acquisite per realizzare le produzioni dell’im-

presa devono essere pagate a prezzo equo (lo strozzinaggio dei fornitori del Terzo Mondo, ma non soltanto, perché dotati di scarso potere contrattuale è eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 332, 341); - i prodotti dell’impresa devono essere ceduti agli acquirenti a prezzi equi (l’utilizzazione di condizioni di monopolio per imporre prezzi ingiustamente elevati o l’attivazione di pratiche di dumping, a danno della concorrenza, sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 348); - l’impresa deve darsi cura della propria sopravvivenza attraverso l’adeguato e continuo accrescimento delle proprie competenze e il periodico accantonamento di risorse da destinare al rinnovo e al potenziamento della propria strumentazione operativa (l’eccessivo dirottamento di risorse verso remunerazioni o dividendi a breve, a scapito della formazione di riserve adeguate da destinare al finanziamento di nuovi impianti o di ricerche finalizzate all’aggiornamento del proprio know how, può diventare eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 340); - in quanto realtà funzionalmente inserita in un contesto istituzionale dal quale riceve servizi (logistici,informativi, di sicurezza, ecc.) l’impresa è tenuta a concorrere, nei modi previsti, alla copertura dei costi per l’espletamento di tali servizi (l’evasione dal pagamento delle tasse e degli oneri similari è eticamente da con-


ATTIVITA’

dannare) (cfr. Compendio, 355). Il mercato La sua funzione e le sue modalità di funzionamento. La sua funzione è quella di rendere possibile: - l’accesso, da parte delle imprese, a beni, prodotti da altre imprese, che, essendo complementari rispetto a quelli da esse prodotti, consentano la composizione di beni di piú elevata complessità e utilità; - l’accesso, da parte dei consumatori finali, a beni da questi ritenuti utili; - il confronto tra la qualità e il prezzo di beni simili prodotti da imprese diverse, favorendo cosí l’innalzamento della qualità e il contenimento del prezzo di beni in competizione e quindi, indirettamente, anche il migliore uso delle risorse disponibili in natura. Per realizzare efficacemente la propria funzione il mercato deve: - mettere in competizione il maggior numero possibile di imprese e di beni da queste prodotti; - favorire la diffusione di informazioni adeguate sui beni in competizione; - facilitare la logistica di trasferimento dei beni dai produttori agli utilizzatori (cfr. Compendio, 347). Alcuni problemi etici oggi messi in gioco nell’attività del mercato. L’informazione sui beni in competizione, in termini di qua-

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lità e costo, deve essere il piú possibile completa e veritiera (ogni informazione reticente o fraudolenta è eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 350); - l’accesso al mercato deve essere il piú possibile aperto (salvo casi particolari, il mantenimento di vincoli all’accesso per talune provenienze, per esempio dai Paesi del Terzo Mondo, o la concessione di sussidi impropri a produttori del proprio Paese, sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 193, 333, 350, 364); - l’ancoraggio del mercato alla sua funzione primaria di strumento per lo scambio di beni e servizi, deve essere salvaguardato (l’eccesso di finanziarizzazione dei mercati può diventare eticamente da condannare per gli effetti distorcenti che può indurre sull’economia reale) (cfr. Compendio, 368, 369). Ma per il mercato, fermo restando il suo compito di assolvere ai ruoli tecnici prima richiamati, resta aperta una vocazione ulteriore, che in passato, forse piú che ora, veniva assolta: promuovere la contaminazione e l’arricchimento reciproco delle diverse culture presenti nel mondo, attraverso l’incontro umano tra persone di diversa provenienza e l’acquisizione dei prodotti di diversa provenienza da queste realizzati. Le istituzioni di supporto e regolazione delle imprese e del mercato La loro funzione e le loro mo-

Il mercato deve promuovere l’arricchimento reciproco delle diverse culture presenti nel mondo, attraverso l’incontro umano tra persone di diversa provenienza e l’acquisizione dei prodotti da queste realizzati

dalità di funzionamento. Trattandosi di una molteplicità di istituzioni e di livelli di intervento, sono molteplici e complesse le funzioni che queste debbono assolvere in campo economico. In particolare: - le banche e i servizi finanziari devono assicurare alle imprese la fornitura delle risorse e dei servizi finanziari necessari per il loro funzionamento (cfr. Compendio, 368); - le scuole e le università devono assicurare alle imprese l’afflusso sul mercato del lavoro di persone tecnicamente preparate ad assolvere i ruoli, sempre nuovi, oggi richiesti per 1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’

Norme ad hoc e la verifica del loro rispetto possono promuovere nel sistema economico la diffusione di comportamenti in armonia con il bene comune della collettività, con particolare riguardo alla promozione dell’occupazione, di una equa ripartizione della ricchezza, nonché alla tutela della dignità umana, dell’ambiente e dei diritti delle generazioni future

to di adeguate strutture di utilità comune (logistiche, informative, di sicurezza, ecc.); b) attraverso l’attivazione di norme ad hoc (procedurali, fiscali, ecc.) e la verifica del loro rispetto da parte delle imprese e delle altre istituzioni prima citate, devono promuovere nel sistema economico la diffusione di comportamenti che siano in armonia con il bene comune della collettività nelle sue varie articolazioni ed ai vari livelli. Ciò con riguardo particolare alla promozione dell’occupazione e di una equa ripartizione della ricchezza generata dalle attività umane, ed alla tutela della dignità umana, della salvaguardia dell’ambiente naturale e delle opportunità di vita per le generazioni future (cfr. Compendio, 291, 303, 335, 350, 351, 352, 353, 354, 355, 360, 364, 367, 462, 470)

il loro funzionamento (cfr. Compendio, 290); - i centri di ricerca devono assicurare alle imprese l’offerta di idee e di tecniche aggiornate che consentano loro di restare competitive sul mercato (cfr. Compendio, 313); - i sindacati (dei lavoratori, degli imprenditori, ecc.) e i gruppi di appoggio di consumatori a vario titolo debbono promuovere la tutela degli interessi dei loro associati (cfr. Compendio, 305, 356); - i poteri pubblici locali, statali, internazionali, hanno una duplice funzione: a) devono fornire alle imprese il suppor-

Alcuni problemi etici oggi messi in gioco dalle attività delle istituzioni di supporto e regolazione dell’economia. Data la varietà delle istituzioni in questione e dei livelli territoriali in cui queste operano, molti sarebbero i temi etici da evocare; ci limitiamo ad indicarne alcuni particolarmente rilevanti: - l’attività delle istituzioni finanziarie deve restare prioritariamente al servizio della “economia reale” (pratiche che di fatto si configurino come usura o l’adozione di comportamenti speculativi supportati dalla diffusione di informa-

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zioni finanziarie errate o reticenti, sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 341, 368, 369); - le istituzioni di tutela di gruppi particolari di cittadini debbono operare tenendo conto anche degli interessi generali e non soltanto di quelli dei propri associati (comportamenti esasperatamente corporativi o localistici sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 307, 308, 309, 360); - piú che mai, anche i poteri pubblici ai vari livelli, locale, nazionale, internazionale, debbono operare avendo come obiettivo la tutela e la promozione efficiente degli interessi generali della collettività (l’autoreferenzialità o la poca cura nella promozione della propria efficienza operativa, come pure la colonizzazione delle pubbliche istituzioni da parte di singoli Paesi o gruppi di potere, allo scopo di privilegiare interessi particolari, sono eticamente da condannare) (cfr. Compendio, 351, 352, 364). Un dato di cui tenere seriamente conto, che oggi caratterizza e condiziona profondamente la funzionalità delle varie istituzioni di supporto e regolazione dell’attività delle imprese, è la sempre piú accentuata integrazione a livello planetario dei mercati e, in questo contesto, la presenza di tre realtà di segno diverso ma tutte decisamente problematiche: da un lato, l’esistenza di regioni nel mondo (ad esempio l’Africa) che, con grave danno per il loro sviluppo, sono tut-


ATTIVITA’

tora sfavorite negli scambi con i Paesi sviluppati, d’altro lato, la simultanea esistenza di regioni del mondo (ad esempio il Sud Est asiatico) da cui proviene l’offerta di prodotti a costo estremamente basso che sta invece mettendo in crisi i Paesi sviluppati, e nello stesso tempo, la presenza di Paesi (in particolare nel Medio Oriente) che controllano il mercato delle risorse energetiche e, attraverso queste, condizionano sempre di piú l’economia globale. Queste sono realtà che di fatto renderebbero sempre piú necessario il progressivo trasferimento delle sedi decisionali, in campo economico e politico, dai singoli Paesi a istanze internazionali e, di conseguenza, imporrebbero anche di attivare a questi livelli le procedure finalizzate alla realizzazione di un corretto indirizzo e di un efficace controllo delle attività imprenditoriali, in vista di una reale promozione del bene comune a lungo termine (ciò purtroppo non avviene ancora in modo adeguato, spesso con conseguenze negative sull’eticità dei comportamenti degli operatori economici in campo e sull’impatto che questi comportamenti determinano sulla vita di molte persone) (cfr. Compendio, 292, 310, 342, 361, 362, 365, 366, 367, 370, 371, 372, 446, 448). GLI ATTORI DELLA VITA ECONOMICA Il ruolo centrale dell’uomo in economia, che è già chiaramente enunciato nell’appello

DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

di Dio richiamato all’inizio (ved. I), è diventato sempre piú evidente con il progresso delle scienze e della tecnica: è l’uomo infatti che progetta e poi pilota i processi, sempre piú complessi, di elaborazione della natura, che sono la base dell’economia ed è l’uomo il destinatario costitutivo delle utilità crescenti che l’economia produce. In questi processi i ruoli sono però molteplici, ciascuno con una sua specificità, una sua dignità e con un corredo specifico di diritti e di doveri. L’imprenditore È la persona che, da sola o in partecipazione con altri, promuove la costituzione dell’impresa, ne definisce gli obiettivi e coordina la progettazione e la gestione delle strategie per il conseguimento di tali obiettivi (ciò indipendentemente dal fatto che sia o meno anche un investitore, cioè persona che mette delle risorse finanziarie a disposizione dell’impresa). È quindi all’imprenditore che in primo luogo compete la responsabilità del conseguimento degli obiettivi economici e nello stesso tempo degli obiettivi etici che l’impresa deve perseguire. La centralità e il carattere strategico dei ruoli imprenditoriali devono per questo non solo essere riconosciuti, ma anche essere prioritariamente promossi. In compenso l’imprenditore deve restare consapevole del fatto che a guidare il proprio

L’uomo ha ruolo centrale in economia. È l’uomo infatti che progetta e poi pilota i processi, sempre piú complessi, di elaborazione della natura, che sono la base dell’economia ed è l’uomo il destinatario costitutivo delle utilità crescenti che l’economia produce

operare non deve essere solo il perseguimento della propria autorealizzazione, ma anche il senso di responsabilità per le conseguenze che il suo operare induce direttamente su altri uomini e, piú in generale, sulla collettività umana (cfr. Compendio, 337, 343, 344, 345). Il lavoratore È la persona che, ai vari livelli, con varie specializzazioni e inquadramenti istituzionali, con il suo lavoro contribuisce allo sviluppo e alla gestione dei processi che caratterizzano l’operatività dell’impresa. Oggi, nelle strutture com1/2007 • UCID Letter

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DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

ATTIVITA’

se, a vantaggio dell’impresa e, piú in generale, della società di cui è parte (cfr. Compendio, 270, 271, 289, 290, 319, 331, 340).

Gli utenti hanno dei diritti nei confrorti delle imprese: il diritto all’accessibilità dei prodotti, alla corretta informazione sulle loro caratteristiche e a prezzi equi di acquisizione; ma, per altro verso, hanno anche il dovere di orientare correttamente il mercato attraverso le loro scelte di acquisto

plesse dell’economia attuale, sempre meno si tratta di attività di carattere puramente esecutivo, si tratta invece sempre piú di attività che esigono professionalità e condivisione psicologica degli obiettivi e delle strategie dell’impresa. Anche per questo, ma non solo, la dignità umana, la professionalità e la sicurezza occupazionale dei lavoratori debbono essere sempre adeguatamente salvaguardate e promosse. In compenso il lavoratore deve restare consapevole del dovere di investire nella propria attività lavorativa il meglio di UCID Letter • 1/2007

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L’utente delle “utilità” prodotte dalle imprese Sono le persone (i clienti, i consumatori) che utilizzano i beni prodotti dalle imprese. Anche se di ciò non sempre gli interessati sono pienamente consapevoli, il loro ruolo non è mai puramente passivo ed esterno ai processi dell’ impresa. Per questo gli utenti hanno per un verso dei diritti nei confroti delle imprese: il diritto all’accessibilità dei prodotti, alla corretta informazione sulle loro caratteristiche e a prezzi equi di acquisizione; ma, per altro verso, hanno anche il dovere di orientare correttamente il mercato attraverso le loro scelte di acquisto: infatti è solo lo sviluppo di stili di vita che prevedano consumi corretti che può orientare l’economia verso produzioni umanamente qualificanti ed ecologicamente compatibili (cfr. Compendio, 345, 346, 347, 350, 356, 357, 358, 359, 360). Il politico Un discorso a parte, ma ugualmente pertinente, dovrebbe essere infine sviluppato per i “politici” che, ai vari livelli e in diversi campi, contribuiscono a definire: il contesto normativo, all’interno del quale le imprese e il mercato vengono indotti a operare, e le procedure di verifica del loro

corretto funzionamento. Per questo anche il loro ruolo è strategico (sempre piú strategico) ai fini della gestione dell’economia, con tutte le implicazioni etiche che ne derivano; pertanto: incuria, incompetenza, perseguimento di interessi di parte, e simili distorsioni, sono, in questa prospettiva, eticamente da condannare. I politici dovranno dunque essere onesti, ma anche competenti, restando ovviamente inteso che la “competenza” del politico deve essere correttamente definita. Infatti il politico in quanto tale non necessariamente deve essere un “tecnico” o uno specialista, poiché il suo ruolo è quello di interpretare le multiformi necessità connesse con la gestione della cosa pubblica, di porre in relazione le scelte operative con le finalità perseguite e di verificare la loro coerenza con i princípi ispiratori. Per riuscire in questo, la dote essenziale per il politico sarà quindi l’umiltà: rimanere in ombra perché l’obiettivo sia raggiunto e parli da sé, operare in modo che i collaboratori si sentano realizzati e non schiacciati, usare la “vetrina” per far conoscere il “prodotto” e non il padrone pro-tempore del negozio (cfr. Compendio, 394, 396, 397, 398).


FAMIGLIA OGGI

ATTIVITA’

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inquecentocinquanta anni prima di Cristo, il saggio cinese Lu Bu We scriveva: «Se la persona sta bene allora la famiglia sta bene, se la famiglia sta bene allora lo Stato sta bene, se lo Stato sta bene allora il Mondo sta bene!». Oggi in Europa (Orega 2006) una coppia su due si separa; in Inghilterra il 64% dei bambini nascono fuori del matrimonio, nell’Unione Europea ci sono 41 divorzi ogni 100 matrimoni. Jonathan Sacks, il Rabbino capo dell’Inghilterra afferma: «Con il controllo delle nascite esasperato, l’aborto facile, i nuovi schemi di lavoro e di vita, lo scioglimento di tutti i vincoli morali, abbiamo separato il sesso dall’amore, l’amore dall’impegno, il matrimonio dall’avere figli e l’aver figli dall’impegno alla loro educazione: si direbbe che la progressiva distruzione della famiglia basata sul matrimonio stabile è diventata una specie di misura di sicuro progresso sociale», un nuovo Welfare, una sorta di sinfonia del nuovo mondo, fatto di bellissimi e saggi vecchi, infermi. Questo è il sole dell’avvenire, che verrà ad illuminarci dall’alto. Eppure nel non troppo lontano 1948 la dichiarazione dei diritti dell’uomo recitava solennemente: all’Art 16/3 «la famiglia è il gruppo primario fondamentale della società e ha diritto di essere protetta dalla Società e dallo Stato». E mi pare che anche la nostra Costituzione dica qualcosa del genere. Altri tempi.

Nel 1948 io avevo 18 anni e alla vigilia delle prime elezioni dopo la Guerra, la sera prima, ricordo che con un bel gruppo di amici abbiamo tappezzato Brescia con un fiasco che incorniciava la faccia di Garibaldi, il simbolo dell’estrema Sinistra. Vincemmo noi, per fortuna. Eravamo ragazzi ma avevamo capito bene da che parte stare. Ed era la parte della famiglia, mi ricordo benissimo. Finivo l’Università a Padova nella primavera del 1956. Il Rettore era un certo Prof. Ferro …, il papà di Angelo! Il nemico dei liberi goliardi patavini, Toni Negri, passava, con triplo salto mortale, dal Centro alle Brigate rosse. Aveva assunto strane idee sulla famiglia: Marcuse imperava, Capanna a Milano arringava gli studenti che occupavano gioiosamente gli atenei, contestato da sparuti gruppi di Gioventú studentesca. Ma c’era un intreccio anche virtuoso che proteggeva la famiglia, contro la solerzia delle femministe: Padre Marcolini, il Fondatore dell’UCID di Brescia nel 1947, sessanta anni fa, costruiva qualche decina di migliaia di case. Le faceva per salvare le famiglie dalla disperazione dell’inurbamento: era un prete ingegnere, un imprenditore; Fanfani faceva case a rotta di collo, tutti si preoccupavano della famiglia, mentre per salvare le loro famiglie, milioni di Italiani emigravano; si intrecciava la ricostruzione, con corbellerie come la nazionalizzazione dell’energia elettrica e

FAMIGLIA: LA RESPONSABILITÀ DELLE IMPRESE

È davvero la famiglia il prisma attraverso il quale si guardano tutti i problemi sociali e politici? Anche quelli dell’impresa?

di Ferdinando Cavalli Presidente UCID Brescia

gli scioperi dichiaratamente ed esclusivamente politici. Ma la famiglia era ancora quello che dicevano i Romani: «seminarium rei publicae», il semenzaio della società. La famiglia comincia a traballare nel 1970 con il divorzio, nel 1975 col nuovo diritto di famiglia, nel 1978 con l’aborto. L’individualismo, il crescente benessere e la diffusione della irresponsabilità morale, la cattiva maestra televisione, i mali esempi dei politici, quello strisciante e pervasivo clima che tutto addormenta e trasforma in grande business, solo quello conta e avere sguar1/2007 • UCID Letter

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FAMIGLIA OGGI

Tra impresa e famiglia c’è uno strettissimo legame: il primo stakeholder dell’impresa è la famiglia dei propri collaboratori. E, in fondo, l’impresa ha qualcosa di analogo alla famiglia: è nell’impresa che si crescono i nuovi collaboratori

do e parola televisiva, non necessariamente intelligenza, anzi. In ciò, atteggiamento “bi partisan”. È la nuova cultura del self interest, la sola via per il benessere dell’uomo, macché “Responsabilità Sociale delle Imprese”. Nessuno si scompone piú di tanto. In quel tempo di continui scioperi , pesantissimi per le nostre aziende, ricordate voi uno sciopero generale per gli assegni familiari o per l’educazione dei giovani alla famiglia? Pian piano si crea una molteplicità di modelli familiari come abiti su misura, del singolo individuo: ecco la novità UCID Letter • 1/2007

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meravigliosa . Finalmente l’individuo è libero da rapporti vincolanti con l’altro. E la gioiosa macchina da guerra contro la famiglia, silenziosa e osannata dai Media, ottiene formidabili vittorie: dal 1965 ad oggi si passa, in Italia, da 2,67 figli per coppia a una media di 1.2. Quando il minimo vitale è il doppio. Si fabbricano metà figli di quanto occorrano a mantenere i vecchi, pur con l’aiuto del 15% delle nascite dovute a stranieri, che tentano invano di colmare le nostre infertilità sistematiche. (Ma arriveranno i rinforzi e la nostra pelle cambierà gradualmente e giustamente di colore. Non ci sono problemi, ringraziamoli; almeno le nostre belle case saranno ancora abitate da qualcun’altro…). Abbiamo tutti un sacco di impegni, un turbine di bisogni, viviamo nella flessibilità e nell’improvvisazione di nuove professioni, siamo in carriera, la famiglia è fluttuante e chi ci pensa al matrimonio stabile e ai figli? I figli costano cosí cari. E poi se lo Stato chiaramente non si preoccupa dei figli perché dovremmo preoccuparcene noi? Siamo di fronte a un fantastico aumento del benessere per miliardi di persone, ad opera delle meraviglie della scienza e della tecnica, della conoscenza, e delle nostre imprese. Ma chi ci pensa alla famiglia, senza la quale non servono invenzioni e scoperte? Tutti noi imprenditori, curiamo giustamente la globalizzazione, l’innovazione dei prodotti e dei

processi, i parchi scientifici e tecnologici, i poli di eccellenza, la messa in rete delle risorse, il trasferimento scientifico, il reperimento dei ricercatori, le scuole sempre piú avanzate. Premi Nobel da tutte le parti. Vi immaginate un premio Nobel dato a una famiglia? Vi immaginate una Sezione UCID che fa borse di studio per famiglie? E perché non far fare un bel proclama alle nostre associazioni industriali in difesa della famiglia, da cui si cava il “capitale umano” che rappresenta almeno il 70% del valore delle nostre aziende? Sí, lo so qualche azienda fa il “Bilancio Sociale”. Quante??? E sí che non sono mancati profluvi di autorevoli documenti, riviste, encicliche, raduni. Ma non si era detto che la famiglia fosse il prisma attraverso il quale si dovevano guardare tutti i problemi sociali e politici? Anche l’impresa? Cosa ne pensate amici dell’UCID? Che facciamo? - Ci si renda conto dettagliatamente della situazione: non occorrono molte nuove analisi; - ci si colleghi, ci si associ (l’UCID è preziosa in tal senso): per essere di piú e fare di piú; si fa Rete, sistema, basta con le piccole e inefficienti conventicole; - cominciamo dalle nostre famiglie, di imprenditori e dirigenti, che tutti, quando le vedano dicano: «guardate come si amano»; - cominciamo, colleghi imprenditori, dalle nostre impre-


ATTIVITA’

se: finiamola di allontanare le donne che fanno figli, inseriamo con un bel cuneo nella nostra testa che la prima “Responsabilità sociale” della nostre imprese è quella verso la nostra famiglia, quella dei nostri collaboratori, quella dei nostri clienti e fornitori, ci avete mai pensato? E andrebbe meglio la nostra società e anche la nostra impresa! E impariamo a votare, ed entriamo in politica (io non ho l’età); - meno lussi e piú tempo dedicato alla famiglia e alla scuola dei nostri figli; - apriamo le nostre case a coloro che hanno bisogno, non chiudiamoci nelle nostre gabbie dorate. Chi pensa alle famiglie dei nostri lavoratori immigrati? - «… avevo fame e mi avete dato da mangiare» e scopriamo che siamo tutti figli di un Padre nostro; - non opera di retroguardia ma iniziativa accorta, determinata, tagliente, intransigente. Cosa può fare l’UCID con le imprese dei suoi associati? Moltissimo, perché tra impresa e famiglia c’è uno strettissimo legame: il primo stakeholder dell’impresa è la famiglia dei propri collaboratori. E, in fondo, l’impresa ha qualcosa di analogo alla famiglia: è nell’impresa che si crescono i nuovi collaboratori. Si diceva una volta, «entrano con le braghe corte ed escono da uomini». Quel “cerchio di riferimento” caro a Pizzorno, che si costituisce tra famiglie dei soci UCID, aiuta in tal senso!

FAMIGLIA OGGI

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e considerazioni che seguono sono frutto di vita vissuta, di cose dette in famiglia, di elementi raccolti dal confronto con altri e vogliono sottolineare come i valori dell’impresa familiare contribuiscano significativamente alla crescita cristiana della società. 1) Mi pare interessante introdurre il tema facendo riferimento alle caratteristiche del mondo d’oggi: caduta continua e progressiva delle barriere, sempre maggiore interdipendenza fra i processi economici, complessità (tanti soggetti collegati portatori di interessi); ma anche tante possibilità tecnologiche, finanziarie e umane in piú rispetto ai tempi passati e quindi maggiori opportunità Tutto questo richiede dei riferimenti concreti e attenzione ai cambiamenti. A soddisfare queste esigenze contribuiscono bene le imprese familiari, la cui diffusione è oggi in aumento, non solo nei settori tradizionali, agricolo e industriale, ma anche in quelli sempre piú ampi della logistica e dei servizi. 2) Quali sono i valori delle imprese familiari, radicati nel cristianesimo, che possono contribuire significativamente alla crescita della società? Lo spirito imprenditoriale. Lo spirito d’impresa, il desiderio continuo di miglioramento è tipico di ogni azienda sana, ma in particolar modo di quella familiare: la radice della sua continuità è il frutto di una continua interazione fami-

VALORI CRISTIANI E IMPRESA FAMILIARE

Oltre a contribuire alla crescita cristana della società, si ottiene un rafforzamento della famiglia stessa

di Maurizio Magliola Segretario UCID Gruppo Piemonte Valle D’Aosta

glia-azienda. È una molla che spinge ad agire per un ritorno quasi “intangibile”. Lo spirito imprenditoriale rimane nelle generazioni, anche se sembra a volte affievolirsi, riaffiora nei momenti di difficoltà e nei periodi di cambiamento, non solo per stimolo interno, ma per una motivazione etica di fondo. La creatività. È possibilità di esprimersi al meglio e liberamente, senza troppi vincoli burocratici. Nuove idee, nuovi processi e prodotti danno luogo a continuo sviluppo. L’essenzialità. È intuizione che salta i processi intermedi senza contrapporsi alla razio1/2007 • UCID Letter

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FAMIGLIA OGGI

nalità economica e insieme organizzazione che velocizza l’individuazione e la soluzione dei problemi. La sobrietà. È attenzione al valore di ogni cosa, impegno a risparmiare sempre, a non sprecare mai le risorse, in particolare quella del tempo. La flessibilità. È adattamento ai cambiamenti esterni, che significa fronteggiare prontamente le necessità e possibilità di intercambiare i ruoli, grazie all’informalità della struttura. La volontà e la determinazione. È la perseveranza a superare gli ostacoli che quotidianamente si incontrano. Il senso di responsabilità. È allenamento continuo a considerare i compiti affidati come un qualcosa da interiorizzare e trasmettere con opportuno valore aggiunto. L’integrità. È coerenza naturale tra princípi e comportamenti. La visione di medio-lungo termine. È una caratteristica quasi “inserita” nel DNA familiare che dà un respiro particolare all’impresa. 3) Vivere in un’impresa familiare significa un esercizio continuo e particolare delle virtú, naturali o “cardinali”: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Risparmio e investimento sono il “leitmotiv” dell’impresa. Rischio e prudenza coesistono (un’azienda mal gestita può UCID Letter • 1/2007

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ATTIVITA’

compromettere la vita della famiglia), cosí come eticità nei comportamenti, equilibrio, determinazione ne garantiscono la continuità. … e “teologali”: fede, speranza, carità. Senza una forte carica “religiosa” tutte le nostre idee e il nostro agire si fermano a metà. La ricerca della verità illumina costantemente le scelte. C’è qualcosa di spirituale, una linfa vitale, una motivazione superiore che spinge l’imprenditore e i collaboratori ad agire per un bene che già intravedono! 4) Esistono, guardando a fondo, degli “asset” immateriali che non sono facilmente misurabili, ma che rappresentano la vera forza delle imprese familiari: a) Famiglia e Impresa sono luogo privilegiato di incontro e di confronto. Si educa e si viene educati, si ricevono e si trasmettono dei valori, dei messaggi fra le generazioni, un insieme di doni da far fruttare. S’impara a vivere insieme, ad accettare punti di vista diversi, a gestire confrontandosi con altri. L’interesse personale viene solitamente post-posto a quello familiare o aziendale, senza che per questo venga impedito lo sviluppo della propria personalità: esiste infatti la possibilità di esprimere le proprie capacità in nuovi processi o progetti e soprattutto in nuove attività imprenditoriali collegate a quella principale. L’impresa familiare diventa complementare e sussidiaria alla

famiglia per la crescita della persona come la famiglia protegge, soprattutto nelle difficoltà, crea comunione, non solo tra genitori e figli, ma spesso anche tra parenti meno prossimi cosí l’impresa riprende, rielabora i messaggi, creando un tessuto di relazioni all’interno e attorno a sé favorendo la crescita della persona e rafforzandone la responsabilità. b) Il concetto di “famiglia” nell’impresa innesca un circolo virtuoso. Il coinvolgimento, la dedizione di alcune persone dell’azienda, l’esempio di quelle piú anziane favoriscono l’attaccamento al territorio, la continuità e la stabilità nel tempo. Si forma una comunità di persone, anche provenienti da differenti culture, con obiettivi comuni intorno a un “DNA” aziendale. Si crea un clima di fiducia e di rispetto che consente di uniformare la propria vita e l’azienda a un ideale. L’azienda, come una pianta, aiuta a “rassodare” il terreno e genera un “humus” che consente di creare ricchezza reale, occupazione e spontaneo aiuto ai piú deboli: si ottiene una effettiva creazione di valore. 5) Tutto questo fa sí che l’impresa possa essere di grande aiuto alla famiglia. Uno dei motivi della crisi odierna dell’istituzione familiare è forse una eccessiva indipendenza economica dei singoli: l’importanza per l’azienda del valore economico, dell’equilibrio finanziario e della necessità di


ATTIVITA’

capitali per lo sviluppo dell’attività favorisce un rafforzamento dei legami all’interno della famiglia. … e alla società. Il concetto di proprietà acquista nell’impresa una dimensione sociale 6) Un’attenta riflessione e un approfondimento dei valori dell’impresa familiare possono essere di grande aiuto alla soluzione dei problemi connessi con la gestione quotidiana, soprattutto nei momenti di cambiamento e nel passaggio generazionale e aiutano insieme famiglia e impresa a giocare un ruolo fondamentale per la crescita dell’intera società, stimolando anche la qualità alle istituzioni. A questo proposito vorrei segnalare l’esistenza dell’Associazione italiana delle Aziende Familiari che si prefigge di diffondere i valori dell’impresa familiare, attraverso incontri e confronti-dibattiti, consentendo un rinforzo della famiglia stessa e favorendo la continuità e lo sviluppo dell’azienda. Insieme all’Istituto per i valori d’impresa e al costituendo Osservatorio sull’impresa, è un segno dell’impegno che tanti imprenditori e uomini di fede e di cultura danno alla diffusione dei valori cristiani nel mondo dell’impresa. Quanto piú sincero e partecipato è il contributo di tutti i soggetti coinvolti (contributo che tutti possono dare, tanto piú concreta è la speranza in un futuro di libertà, di giustizia e di pace.

ETICA E IMPRESA

S

tiamo vivendo negli ultimi anni profondi sconvolgimenti nel panorama economico-produttivo nazionale sul rapporto tra etica e impresa: Parmalat, Cirio, e scandali similari hanno messo in luce un rapporto difficile tra l’imprenditore e la sua coscienza etica. Le conseguenze sono state poi nefaste: posti di lavoro saltati, risparmiatori sul lastrico, competitività ridimensionata, e cosí via. Se questa è magari la punta dell’iceberg, il fenomeno si può dire molto diffuso a tutti i livelli e in tante forme: lavoro nero, sfruttamento incondizionato, inquinamento ambientale, in considerazione degli aspetti familiari. Si può andare avanti cosí? Molti dicono che non ci sono altre soluzioni per far quadrare i conti, e specie per le società quotate in borsa le relazioni trimestrali diventano quasi un ossessione, altro che prospettive a medio-lungo termine! Ma se poi cominciamo a guardare nel tempo le imprese che continuano a crescere e quindi a essere generatrici di benessere non solo economico, emergono nomi che fondano il loro successo su valori e missioni inossidabili: Merloni, Averna, Guzzini, sono alcuni esempi in tal senso. All’impresa, oggi, non basta piú l’utile per sopravvivere durante gli anni. Esso diventa una condizione sí necessaria, ma non sufficiente. Occorre fondarsi su valori

QUANDO I VALORI INFLUISCONO SUI RISULTATI AZIENDALI

Le strategie economiche e le alleanze strategiche non bastano se non si fa prima rete di valori

di Giuseppe Lovecchio Presidente UCID Sezione Monopoli Conversano

forti e certi, condivisi, accettati e applicati. L’imprenditore, mosso da questi valori, non limitandosi ai risultati economico-produttivi della propria attività, allarga il suo orizzonte alle implicazioni sociali del proprio agire – famiglie, ambiente, società civile -: la sua azienda viene cosí riconosciuta come portatrice e produttrice di “valori” e non solo di beni e servizi, si apre un circolo virtuoso in cui questa visione a medio-lungo consente di aprire nuovi fronti della domanda, piú qualificati, piú evoluti, e di conseguenza anche il risultato economico ne giova. 1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ ETICA E IMPRESA

Oggi per progredire non bastano le reti economico-produttive e di fornitura. Nella civiltà dell’informazione, della conoscenza e della globalizzazione, se non c’è il rispetto per l’uomo, la fiducia, la trasparenza, non si va veramente da nessuna parte

Ma questi passaggi ottengono di valorizzare e rispettare il capitale piú importante nell’era della conoscenza: quello umano, legato indissolubilmente al destino stesso dell’impresa. Quando parliamo di innovazione, etica cristiana e responsabilità sociale dell’impresa, senza che vi sia l’esempio dell’imprenditore o del professionista, non c’è speranza di progredire. C’è un bilancio anche su questi aspetti, non fatto da cifre, ma che tiene conto della ragion d’essere e della missione dell’impresa stessa. UCID Letter • 1/2007

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Quando si vogliono tradurre valori cristiani in concreto, ecco che la rete dell’UCID, l’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti (www.UCID.it), può risultare un punto di forza, un coagulo di esperienze condivise, un momento di formazione, un percorso di crescita da fare insieme anche con il semplice frequentarsi, conoscersi meglio, e aiutarsi secondo i dettami evangelici di fronte ai tanti problemi che le imprese devono affrontare quotidianamente. L’UCID può essere un riferimento qualificato e qualificante, costituito da persone che seguono e si sforzano di applicare l’insegnamento evangelico attraverso la Dottrina Sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Centesimus Annus di Papa Giovanni Paolo II. Con l’umiltà di partire da zero, in un percorso di conoscenza reciproca, fiducia, approfondimento, e riscoperta di valori basati sull’etica cristiana possiamo risvegliare il bisogno di spiritualità, di crescita attiva. Oggi per progredire non bastano le reti economico-produttive e di fornitura, le alleanze strategiche, se prima non si fa rete di valori, forti e condivisi; chi con la logistica e la produzione lavora da tanto tempo sa perfettamente che, nella civiltà dell’informazione, della conoscenza e della globalizzazione, se non c’è il rispetto per l’uomo, la fiducia, la trasparenza, non si va veramente da nessuna parte.

Questa potente tecnologia che abbiamo tra le mani non funziona, porta solo danni e frustrazione se non è sostenuta da questi valori. Iniziative se ne possono fare tante, dipende dal contributo attivo di ciascuno: dall’incontrarsi, allo stare insieme, alla formazione religiosa, alla convivialità, alla promozione di eventi e momenti qualificanti (lo studente meritevole e bisognoso di una borsa di studio, l’impresa distintasi sulla responsabilità etica, ecc.), e da mille altre forme che la volontà dei singoli avrà modo di far fiorire e divulgare. Un invito a essere “sale della terra”, a non tenere nascosti e inutilizzati i “talenti ricevuti”, a investire con fiducia nel futuro piuttosto che conservarsi dietro le rendite. È giunto il momento di essere gli artefici di un nuovo percorso, senza aspettarsi che altri ci diano le soluzioni ai nostri problemi.


LA DEMOCRAZIA

ATTIVITA’

L

a democrazia, pur non essendo un valore assoluto, è certamente uno dei migliori sistemi di governo. Occorre evitare la tentazione di assegnare definizioni riduttive e fuorvianti della “democrazia”. Definizioni come “dominio del popolo”, “governo della maggioranza”, non consentono di avere una visione completa del significato reale della stessa. Essa è una cultura, un metodo per prendere decisioni collettive. È un sistema politico-civile di regolamentazione della vita della polis. Emmanuel Monnier scrive: «Chiamiamo democrazia, con tutti i termini qualificativi e superlativi necessari per non confonderla con le sue minuscole contraffazioni, quel regime che poggia sulla responsabilità e sull’organizzazione funzionale di tutte le persone costituenti la comunità sociale. Solo in questo caso ci troviamo senza ambagi dal lato della democrazia». La democrazia si afferma originariamente nell’ambiente della Grecia classica, periodo in cui gli ateniesi condussero aspre battaglie contro i tiranni e la rivale storica Sparta, creando una nuova “società di eguali”. La condanna a morte di Socrate segna tragicamente la fine dell’esperienza di governo ateniese. Il termine “democrazia”, scomparso in epoca romana, feudale e assolutistica, ricompare con l’Illuminismo, con le rivoluzioni del XIX secolo, in particolare con la rivoluzione

francese e con la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. I Rappresentanti del popolo francese, riuniti in Assemblea Nazionale, esponevano solennemente in una dichiarazione, la necessità di dare risalto al forte bisogno di giustizia, di libertà e uguaglianza: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti». Sono i princípi basilari su cui si regolano gli ordinamenti delle moderne costituzioni liberali e democratiche. Anche se il termine “democrazia” non fiorisce sull’albero del Cristianesimo, il pensiero cristiano contribuisce decisamente all’affermazione delle libertà individuali e allo sviluppo della democrazia moderna. La diffusione della cultura del rispetto per la sacralità della persona umana nasce in terra cristiana. Il Cristianesimo non antepone le strutture e le istituzioni all’esaltazione della coscienza della persona. Il rapporto tra magistero sociale e democrazia, è stato per molto tempo difficile, ricco anche di tensioni. Il cattolicesimo liberale, nato nell’Ottocento in vari Paesi europei, sorto in antitesi alle posizioni conservatrici di quel cattolicesimo, che dopo il congresso di Vienna, respingeva pienamente ogni idea liberale, recupererà intuitivamente il concetto di democrazia. Attraverso un percorso non privo di difficoltà, esso si sviluppa nel pensiero di Romolo

IL VOLTO E LA CULTURA DELLA “POLIS”

Matura nel rispetto della storia, delle culture, delle abitudini dei popoli. C’è bisogno di dialogo e di partecipazione

di Antonio Sanapo Segretario UCID Sezione Matera

Murri con la “Lega democratica”, per trovare in Luigi Sturzo, la figura capace di tradurre la democrazia in chiave politica. Anche le riflessioni politiche e filosofiche del personalismo francese, soprattutto quelle di Maritain, evidenziano il significato fondamentalmente evangelico della democrazia. Le encicliche pontificie, a partire da Leone XIII, trattano e apprezzano gradualmente la validità del sistema democratico. Pio XII, attraverso i radiomessaggi, compie un’opzione preferenziale per la democrazia politica, segnando un punto di 1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ LA DEMOCRAZIA

svolta nel rapporto tra Chiesa gerarchica e democrazia. Papa Pacelli, contribuisce cosí a superare la teoria della “equidistanza” dei cattolici fra le varie forme di regime politico. Una teoria che, sino al 1940, aveva di fatto indirizzato i cattolici europei a propendere per i sistemi autoritari. Padre Bartolomeo Sorge chiarisce: «È un fatto che, per lunghi secoli, la Chiesa ha avuto molte riserve in proposito. Soprattutto faceva difficoltà il principio che la volontà popolare, quando si esprime in forma numericamente maggioritaria, debba avere valore di legge per tutti; il fatto cioè che una “forza materiale” possa divenire fondamento del diritto e della giustizia, in nome del concetto di “sovranità popolare” assoluta (teorizzata da Rousseau), che prescinde da ogni riferimento a una norma etica trascendente». La storia ci segnala l’esistenza di due tipi di democrazia: quella diretta o partecipativa e quella indiretta o rappresentativa. La prima si identifica nella democrazia degli antichi, nella polis greca, i cui cittadini potevano “direttamente” autogovernarsi. L’autogoverno avveniva in una piccola comunità senza Stato. L’organizzazione autonoma di ogni polis veniva articolata secondo proprie leggi e tradizioni. Lo Stato erano i cittadini. UCID Letter • 1/2007

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Non c’era spazio per la libertà individuale, per cui la democrazia assumeva un aspetto totalizzante. Invece, nella democrazia dei moderni, la titolarità e l’esercizio del potere sono entità separate. Le istituzioni sono organizzate, in modo tale da limitare e controllare l’uso del potere. Una vera democrazia è possibile soltanto in una società aperta e in uno stato di diritto. Non può non includere il sistema della economia di mercato, intesa come economia libera e solidale. Regime democratico e libertà economica sono elementi inseparabili, che si sostengono vicendevolmente. Lo sviluppo economico favorisce l’edificazione di una società piú aperta, democratica, tollerante e vivibile. Ma la democrazia e l’economia di mercato, pur essendo entrambe necessarie ed essenziali al perseguimento del progresso, da sole non bastano. La libertà, per essere esercitata pienamente, ha bisogno di un terzo pilastro: la società civile. Una democrazia è reale e sostanziale, quando si fonda su solide basi morali, in particolare sul senso religioso. «La religione - sostiene Alexis de Tocqueville - è molto piú necessaria nelle repubbliche democratiche che altrove». Lo Stato liberale deve vivere di presupposti. Deve poggiarsi su potenti forze e stimoli, estranee alla sfera della politica. Il popolo, pur essendo depo-

sitario del potere, non è il creatore del diritto e della giustizia. Non esiste una qualche entità autonoma e indipendente dalla persona umana. La persona costituisce la figura centrale di tutto l’apparato sociale. Viene prima dello Stato, del partito, della classe. La sua centralità è reale e non nominale. La persona vive nella società. È in dialettica col potere e in relazione con altre persone. Ogni ordinamento democratico deve tutelare: 1) il primato della persona; 2) la promozione delle sue libertà; 3) la difesa dei diritti essenziali: il diritto alla vita, alla casa, alla salute, alla istruzione, al lavoro, alla libertà religiosa. La dignità della persona e i diritti umani sono valori iscritti nella natura stessa dell’uomo. Sono pertanto valori non negoziabili, non modificabili, voluti e stabiliti esclusivamente da Dio. Esistono per diritto proprio e precedono qualsiasi giurisdizione statale. Tocqueville riteneva che nel futuro esistevano solo due governi possibili o: «un tipo di società nella quale tutti avranno parte attiva negli affari politici, ossia uno Stato democratico oppure la tirannia», l’assoggettamento del popolo a un solo individuo. Ma uno Stato non può essere concepito senza il riconoscimento e la pratica della libertà. Difatti la democrazia rappresenta la miglior garanzia della libertà.


ATTIVITA’ LA DEMOCRAZIA

La libertà è la capacità di saper assumere le proprie responsabilità, pur rimanendo sempre liberi. Amartya Sen identifica la libertà «come oggetto primario dello sviluppo». Essa si fonda sul principio di uguaglianza delle opportunità, requisito indispensabile per la promozione della giustizia e del bene comune. È autenticamente “responsabile”, quando è disciplinata da norme etiche. In una società pluralista, una “giusta” laicità costituisce un elemento essenziale e caratterizzante della democrazia moderna. Lo Stato deve riconoscere e tutelare le esigenze e i bisogni di tutti i cittadini. Il pensiero liberale ha fatto proprio il principio della separazione Stato-religione. Ma il vero fondatore della laicità dello Stato è Gesú Cristo. Egli sostiene: «Date dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». (Mt 22,21). Le parole del Signore hanno attraversato i secoli fino a oggi. Evidenziano un doppio dare, l’uno non si compie senza l’altro e viceversa. La laicità si concreta nell’autonomia delle realtà temporali. La religione non deve sostituirsi alle responsabilità del politico, ma deve educare alle responsabilità civili e politiche. Solo il “laicismo” elimina programmaticamente la religione dalla vita pubblica, non riconoscendone di conseguenza una valenza e una dimensione sociale.

La democrazia, nel processo di evoluzione e attualizzazione storica, è anche esposta a pericoli, vizi, tentazioni, quali la deriva relativistica, collettivista e populista. La democrazia è una realtà fragile, suscettibile di incompiutezza. La politica costituisce lo strumento privilegiato per la costruzione della democrazia. La democrazia partecipativa è alimentata e sostenuta da un adeguato e responsabile impegno politico. I partiti sono l’asse portante dello Stato, sono l’anello di congiunzione tra il Paese e la democrazia. Karl Popper sostiene che il problema fondamentale non risiede nel «chi deve detenere il comando», ma nell’individuare le modalità con cui poter controllare chi esercita il potere; “come” organizzare l’amministrazione dello stato, in modo tale che governi cattivi o incapaci possano essere destituiti senza alcun spargimento di sangue, permettendo cosí l’alternanza dei partiti al potere, assicurando di conseguenza il ricambio della classe dirigente. Senza la pratica del consenso sul dissenso, non esiste una vera partecipazione. Le istituzioni presuppongono e sorreggono la democrazia e la società aperta. «Le istituzioni - continua Popper - sono come fortezze: resistono se è buona la guarnigione. Devono essere ben progettate e gestite. Le istituzioni da sole non sono mai bastate, se non sorrette da delle tradizioni».

La democrazia non può essere racchiusa in una ricetta. Né può essere imposta o esportata “chiavi in mano”. Nasce e matura gradualmente, nel rispetto della storia, delle culture, delle abitudini dei popoli. Per instaurarsi e consolidarsi, ha bisogno di dialogo, di confronto, della partecipazione dei cittadini. È il frutto paziente di una tradizione di libertà e rispetto della legge. Per realizzarsi ha bisogno di ideali condivisi, di capitale sociale di fiducia, di un forte sostegno da parte della società civile. I regimi democratici tendono ad allearsi facilmente e pericolosamente con il relativismo etico. Il relativismo costituisce la piú urgente e grave preoccupazione della nostra epoca. Nasce come conseguenza del fallimento dei sogni illusori, promessi all’umanità, dalle ideologie del XIX e XX secolo. L’allora cardinale Joseph Ratzinger, nell’omelia pronunciata nella Messa Pro eligendo Romano Pontefice, ossia la Messa che precede il Conclave, ha affermato: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». L’uomo contemporaneo non deve rifiutare la modernità, ma deve recuperare e incarnare una rinnovata concezione persona1/2007 • UCID Letter

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LA CRESCITA CINESE

listica comunitaria, una nuova cultura della soggettività. Una cultura, che va acquisita attraverso una formazione “integrale” della persona, accompagnata da una autentica testimonianza di vita. La questione antropologica e la ridefinizione di una carta dei diritti e dei doveri, sono gli aspetti centrali su cui si gioca tutto il nostro futuro. Le grandi conquiste compiute dall’uomo nel campo della scienza, delle singole discipline, dell’economia, sono certamente preziose e importanti. Ma da sole, non sono sufficienti a rendere profondamente libero e felice ogni individuo. Il suo vero benessere, scaturisce dalla ricerca di un rapporto di incontro e di dialogo con Dio, dalla riaffermazione del primato dello spirituale, dalla individuazione di una verità stabile e condivisa, capace di dare senso pieno all’esistenza umana.

I

l 7 febbraio ultimo scorso, Capitalia ha ospitato una conferenza sul tema della collaborazione tra Cina e Italia nel settore economico e commerciale, che ha visto la partecipazione di due esponenti dell’Accademia cinese delle Scienze Sociali. Il professor Wang Tongsan, direttore dell’Istituto di Economia Tecnica e Quantitativa e la dottoressa Luo Hongbo, Direttrice dell’Istituto di Studi Europei, hanno esposto le posizioni cinesi, rispecchiando, naturalmente, le linee approvate dal Partito sulla cooperazione tra le due economie nazionali e si sono entrambi soffermati a lungo sul problema del sovrainvestimento e della sovrapproduzione, evocando implicitamente la questione del soft landing della crescita economica cinese. Da un quarto di secolo, ormai, l’economia cinese cresce a un ritmo molto sostenuto, vicino al 9% medio annuo. Si anticipa una certa moderazione della crescita nel 2007, con dei tassi che si avvicinano a quel-

CINA: IL PROBLEMA DEL SOFT LANDING

Serve una maggiore redistribuzione della ricchezza, maggior attenzione alle problematiche sociali e maggiore apertura democratica

di Carlo Simonetti Ricercatore UCID

li degli anni Novanta. In ogni caso, sostiene il professor Wang: «l’economia cinese sembra poter crescere indefinitivamente».

FIGURA 1. TASSI DI CRESCITA DELLE PRINCIPALI ECONOMIE ORIENTALI

12% 10% 8% 6% 4% 2% 0% 2005 Cina

2006 Hong Kong

2007 Corea

2008 Taiwan

Fonte : RIETI ( Research Institute of Economy, Trade and Industry)

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ATTIVITA’ LA CRESCITA CINESE

INEFFICIENZA DINAMICA Le grandi economie asiatiche hanno continuato a crescere vigorosamente in questi ultimi anni (Giappone escluso). Una domanda sostenuta in parte dalla Cina, in cui il PIL è cresciuto del 10,7% nei primi sei mesi del 2006 - il tasso di crescita piú elevato dell’ultimo decennio - che ha permesso a Corea, Taiwan e, in misura minore al Giappone, di superare gli effetti della crisi asiatica del 1997. La stessa economia globale ha registrato una ripresa dovuta in parte alla performance dell’economia cinese, e ne hanno beneficiato anche i Paesi rimasti fino a ieri ai margini del ciclo economico positivo, come il Giappone e l’area dell’Euro. Grazie a un ritmo di crescita cosí sostenuto, la Cina è diventata una potenza economica mondiale in grado di condizionare l’economia globale. Nel 2006 ha registrato il suo quinto anno di forte espansione continuativa, il piú lungo periodo di crescita economica senza inflazione della metà degli anni Ottanta ad oggi. In un simile contesto, non si può fare a meno di porsi il problema delle possibili conseguenze sull’economia globale di una brusca frenata di quella. L’economista americano Stephen Roach, capo ufficio studi della Morgan Stanley ce lo spiega in questo modo: «oggi circa l’80% del PIL cinese è assorbito da investimenti fissi ed esportazioni: una struttura squilibrata. O cambiano rotta,

o finiranno in una deflazione da eccesso di capacità produttiva, con effetti a catena devastanti sull’economia globale». Un rapporto del Ministero dell’Economia giapponese affronta il problema del sovrainvestimento in Cina attraverso l’analisi nel tempo del comportamento di investitori in settori chiave dell’industria cinese. Basandosi su quest’analisi storica, lo studio giunge alla conclusione che il totale degli investimenti in Cina ha oltrepassato la capacità di crescita nel lungo periodo, considerato il tasso di investimento e il tasso di reddito di capitale in uno stato di sviluppo bilanciato, seguendo il modello già proposto da Abel, Mankiw, Summers e Zeckhauser. Se il tasso di reddito di capitale eccede quello di investimento, il livello degli investimenti ha oltrepassato la profittabilità di lungo periodo, il che significa che l’allocazione del capitale è eccessiva. Come si può constatare nel grafico figura 2, che riporta i da-

12%

Un rapporto del Ministero dell’Economia giapponese a proposito del problema del sovrainvestimento evidenzia che il totale degli investimenti in Cina ha oltrepassato la capacità di crescita nel lungo periodo, considerato il tasso di investimento e il tasso di reddito di capitale in uno stato di sviluppo bilanciato

ti del rapporto summenzionato, gli investimenti in Cina erano già eccessivi nel 1995. FIGURA 2. INEFFICIENZA DINAMICA IN CINA

10% 8% 6% 4% 2% 0%

1990 1992 1995 1997 Tasso di investimento Tasso di reddito di capitale (Capital Income)

2000

2003

Fonte : RIETI ( Research Institute of Economy, Trade and Industry)

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ATTIVITA’ LA CRESCITA CINESE

Il governo, per frenare il sovrainvestimento, agisce principalmente attraverso restrizioni finanziarie e misure amministrative, tra cui l’innalzamento dei prezzi dei terreni, la restrizione del credito, l’aumento dei parametri di riserva richiesti alle banche commerciali e criteri di valutazione piú rigorosi per i prestiti al settore immobiliare

INVESTIMENTI TROPPO ELEVATI La situazione nel 2006 non è cambiata. Gli investimenti in Cina sono stati incredibilmente elevati, con una formazione lorda di capitale fisso nominale del 30% nei primi otto mesi del 2006 rispetto all’anno precedente. Questo ci suggerisce che il 50% del PIL è convertito in investimenti. Per dare un’idea delle proporzioni, le economie mature hanno in media un tasso di investimento del 20/25%. L’aumento nominale degli investimenti in termini reali è difficile da stimare senza un UCID Letter • 1/2007

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appropriato deflattore. Tuttavia, una crescita dei prezzi alla vendita di beni di consumo del 0,9% nello stesso periodo e una crescita maggiore, del 3,9%, del prezzo alla vendita dei materiali da costruzione, metalli e materiale elettrico nello stesso periodo, indica che la crescita degli investimenti in termini reali è stata davvero eccezionale. Questa crescita esponenziale degli investimenti può essere attribuita alle spese in infrastrutture per le Olimpiadi del 2008, come dimostrato dall’incremento del 43,9% registrato negli investimenti sotto la voce cultura e sport. Sono evidenti incrementi altrettanto significativi anche legati al settore immobiliare, all’industria estrattiva e ad alcuni settori del manifatturiero. Finora Pechino ha dimostrato di saper gestire con discreto successo i vari aggiustamenti della sua economia, pur se con qualche ritardo, in ragione della lentezza ed opacità nei meccanismi decisionali cinesi. Al riguardo si possono citare la bolla del ’93/94, la crisi asiatica del ’97/98 e la recessione globale del 2001. Il governo, per frenare il sovrainvestimento, agisce principalmente attraverso restrizioni finanziarie e misure amministrative, tra cui l’innalzamento dei prezzi dei terreni, la restrizione del credito, l’aumento dei parametri di riserva richiesti alle banche commerciali e criteri di valutazione piú rigorosi per i prestiti al settore immobiliare.

Inoltre, per fronteggiare la speculazione in borsa, il governo ha sospeso le licenze per nuovi fondi comuni di investimento e il regolatore bancario sta indagando sull’uso di patrimoni individuali per acquisire nuove quote di capitale. L’utilizzo di misure amministrative per fronteggiare il surriscaldamento dell’economia ha avuto effetti limitati. Non solo i profitti reinvestiti hanno generato ulteriori guadagni, ma i tassi d’interesse sono stati incrementati solo negli ultimi anni, quando la situazione del sovrainvestimento era già preoccupante. Nelle economie industrializzate, quando l’economia si surriscalda o rallenta, gli strumenti principali di intervento sono la politica monetaria, che manovra i tassi di interesse, o la politica fiscale. Le variazioni dei tassi d’interesse determineranno comportamenti diversi nei risparmiatori e negli investitori che influenzeranno, a loro volta, l’andamento dell’economia piú in generale. Una politica che agisce sui tassi di interesse non ha sempre successo, ma si ritiene che sia quella che piú rispetta le forze di mercato. Nel caso in cui la politica di “mercato” non abbia successo, si possono introdurre misure amministrative, soprattutto restrizioni e incremento del prelievo fiscale. Come già menzionato, gli strumenti “amministrativi” e non di “mercato” con cui il governo ha fronteggiato situazioni di crisi hanno dato fino ad ora


ATTIVITA’ LA CRESCITA CINESE

risultati apprezzabili ma limitati. In una fase di aggiustamento, quale quella odierna, in cui non solo l’economia ha assunto una dimensione globale in tempi brevi, ma è diventata anche molto complessa, gli strumenti amministrativi rischiano di generare effetti a catena negativi, come un crollo degli investimenti, che comporterebbero una brusca frenata dell’economia. RESTRIZIONI PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE

Il 5 marzo 2007, nel corso del suo intervento annuale davanti all’Assemblea del Popolo, il Primo Ministro cinese ha ammonito i suoi connazionali sul pericolo derivante da una crescita economica troppo rapida e senza limiti. Nell’occasione ha annunciato ulteriori misure restrittive per uno sviluppo piú sostenibile. Oltre ad una piú equa distribuzione del reddito e un maggior rispetto per l’ambiente, Wen Jiabao ha parlato inoltre della necessità di moderare gli investimenti per prevenire il rischio del sovrainvestimento. Il premier ha menzionato l’introduzione di una legge che abolirà i vantaggi fiscali per le compagnie straniere, equiparandole alle società cinesi, proponendo una tassazione unica pari al 25% per tutte le società, mentre in precedenza quelle estere erano soggette ad un prelievo limitato al 15% e quelle cinesi ad un prelievo del 33%. Gli esperti si aspettano a bre-

ve una nuova tassa sugli utili di capitale derivanti dagli investimenti di capitale. All’inizio di quest’anno, difatti, il Ministero della Finanze ha ordinato ai contribuenti con un reddito superiore ai 120.000 Renminbi annui di registrare i loro capital gains presso agenzie governative, misura intesa da molti commentatori come preludio ad una nuova tassazione. «Gli investitori sono preoccupati che il governo si stia preparando per introdurre nuove tassazioni sul capitale per frenare la crescita» avverte Xu Yinhui, un manager della Guotai Junan Securities, una rinomata banca di affari di Hong Kong. Esiste già una tassa sugli utili di capitale derivanti dalla speculazione edilizia nella borsa di Shanghai, ma si teme che un nuovo prelievo sull’utile di capitale possa provocare un esodo dalla borsa. Si tratta in ogni caso di iniziative con cui il governo cinese tenta di raffreddare il mercato azionario per pilotare dall’alto un “atterraggio morbido”. Soltanto dieci anni fa la cosiddetta “crisi asiatica” fece crollare sia i mercati valutari che le borse dell’Estremo Oriente. La Cina aveva ancora un’economia di dimensioni modeste, non era entrata nel Wto e i suoi mercati finanziari erano allo stato embrionale. I leader cinesi sono pertanto consapevoli delle ripercussioni a livello mondiale che potrebbe provocare una crisi di

Il Primo Ministro cinese ha ammonito i suoi connazionali sul pericolo derivante da una crescita economica troppo rapida e senza limiti. Ha annunciato misure restrittive per uno sviluppo piú sostenibile, tra cui una piú equa distribuzione del reddito e un maggior rispetto per l’ambiente

sfiducia nella borsa di Shanghai, come si è peraltro già avvertito con il crollo della borsa a febbraio. L’attenzione della dirigenza cinese è diretta in realtà verso due bolle gemelle: innanzitutto quella del mercato immobiliare, afflitto da un iperinflazione e da un eccesso di costruzioni nelle grandi megalopoli. Il governo è riuscito per il momento ad ancorare questa crisi attraverso una serie di misure, tra cui l’innalzamento dei prezzi dei terreni, la restrizione del credito e limitazioni per l’acquisto di immobili da par1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITA’ LA CRESCITA CINESE

Il governo dovrà accompagnare le manovre di “soft landing”, con una politica di maggiore redistribuzione della ricchezza a livello regionale, di maggiore attenzione al sociale e con una maggiore apertura democratica, per evitare effetti disastrosi a livello sociale, politico ed economico

te di stranieri. In secondo luogo, c’è la bolla finanziaria, sostenuta dai piccoli risparmiatori cinesi cosí come dai grandi gruppi finanziari e alimentata da una speculazione che ha fatto crescere la borsa di Shanghai del 130% nel 2006. Una misura di questa speculazione è data dall’asimmetria tra i titoli azionari valutati nella borsa di Shanghai e a Hong Kong. L’economista Andy Xie di Hong Kong, intervistato da Il Sole 24 ore, cita l’esempio di “China Life”, ramo assicurativo della “Commercial Bank of China”, il cui titolo è negoziaUCID Letter • 1/2007

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to a un prezzo maggiorato del 51% a Shanghai rispetto a Hong Kong. La stessa Commercial Bank of China, fra l’altro, è diventata all’inizio dell’anno la seconda banca del mondo dopo la City Bank, mentre solo qualche anno fa era considerata quasi insolvente. GUIDARE IL SOFT LANDING Come si è visto, il problema chiave del surriscaldamento cinese è l’eccesso di investimenti, in particolare, l’eccesso di investimenti in settori dell’industria con scarsa capacità di sbocco, obsoleti, o ancora fragili. Dietro questo eccesso di investimenti ci sono degli squilibri finanziari, sociali e politici, nonché di sostenibilità del sistema produttivo. Le cause finanziarie sono essenzialmente rappresentate da tassi di interesse troppo bassi, dalla scarsa capacità di valutazione del rischio da parte delle banche, oltre ad una liquidità abbondante ed una propensione al risparmio molto alta. Negli ultimi anni, è stato avviato un processo di ristrutturazione del sistema creditizio e di apertura del mercato finanziario, in vista di una possibile futura privatizzazione delle banche. Lo Stato ha investito notevoli risorse in questo processo, generando progressivamente una cultura di valutazione del rischio, riducendo il tasso di crescita delle sofferenze. Ciò nonostante è difficile prevedere in che misura il gover-

no sarà disposto ad andare fino in fondo con le politiche di raffreddamento dello sviluppo per guidare un soft landing. La sua capacità di raccogliere consenso si intreccia con la sua capacità di sostenere un’economia che cresce a tassi elevatissimi. Mentre il governo si dimostra preoccupato per il problema del sovrainvestimento, è evidente che un raffreddamento dell’economia, necessario per guidare un soft landing, potrebbe suscitare reazioni di dissenso fra la maggioranza della popolazione ancora ai margini dello sviluppo, fra la nomenclatura, i piccoli uomini di affari e gli abitanti delle province piú remote. Un’altra seria conseguenza di un forte raffreddamento dell’economia riguarda le aziende pubbliche, che da una ventina di anni sono in perdita, pur continuando a produrre grazie ai finanziamenti statali. Queste aziende, che rappresentano circa i due terzi dell’intero sistema produttivo sono difficili da chiudere, sia per il costo in termini di occupazione, sia per il legame tra i loro dirigenti, le amministrazioni locali, le banche e il Partito. Il governo dovrebbe, in ogni caso, procedere con delle manovre restrittive ben bilanciate per regolare la liquidità nel sistema finanziario, aumentando i requisiti patrimoniali minimi delle banche e limitando nuovi crediti affrontando nel contempo, anche se con la necessaria gradualità, il problema delle aziende pubbliche im-


ATTIVITA’

produttive e dei crediti inesigibili. Con un approccio simile dovrebbe essere possibile pilotare l’atterraggio del gigante cinese, pur scontando delle conseguenze sociali e politiche in termini di consenso da parte della popolazione. Per un partito che dal crollo del muro di Berlino in poi ha basato il suo consenso sulla crescita economica, un rallentamento di questa comporta l’allontanarsi della prospettiva di un miglioramento dello standard di vita per la maggioranza della popolazione ancora ai margini dei benefici della crescita. Per assicurare la sua continuità, il governo deve quindi accompagnare le manovre che dovranno portare all’auspicato soft landing, con una politica di maggiore redistribuzione della ricchezza a livello regionale, di maggior attenzione alle problematiche sociali e con una maggior apertura democratica affinché la popolazione urbana possa esprimere i suoi orientamenti, per evitare effetti disastrosi a livello sociale, politico ed economico.

L’EREDITÀ DI GIANNI VERSACE

U

no straordinario Memorial Day in onore di Gianni Versace, accompagnato da una affollatissima partecipazione di esponenti dell’industria del fashion, ha caratterizzato la Conferenza di Presentazione dei Percorsi Celebrativi alla Camera Nazionale della Moda Italiana, alla presenza degli “Stati generali “ dell’Alta moda. Il ricordo di Gianni Versace ha suggellato un significativo patto Nord-Sud, sancito da Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia e da Giuseppe Scopelliti, sindaco di Reggio Calabria. Una stretta di mano, tra Formigoni e Scopelliti, presenti Tiziana Maiolo, Assessore all’Industria e alla Moda, Ombretta Fumagalli Carulli, Presidente del Comitato di redazione di Operare, Mario Boselli, presidente di Camera Nazionale, Beppe Modenese, Presidente Onorario, Giovanni Scanagatta, Segretario Generale UCID, Antonella Freno, che ha coordinato i lavori, per significare il ponte ideale tra due realtà diverse e sinergiche all’interno del Paese, pronte a tramutare il messaggio di vita lasciato da Gianni Versace in prospettive di sviluppo sociale ed occasioni di rilancio. La Giunta Regionale della Lombardia per voce del suo Presidente ha rappresentato la voglia di essere complementare all’azione che la città di Reggio Calabria ha attivato nell’anno che celebra il sessantesimo anniversario dell’artefice

UN IMPEGNO PER I GIOVANI DEL SUD

Uno straordinario “Memorial Day”. Un ricordo che ha suggellato un significativo patto Nord-Sud

di Antonella Freno Segretario UCID Gruppo Calabro

del successo del Made in Italy nel mondo e si è dichiarata pronta a sostenere progettualità comune alla città natale del grande artista. «Gianni Versace è stato uno dei lombardi d’adozione piú straordinari della storia - ha detto Formigoni -. Nato in una Regione a me cara, la Calabria, a Milano e in Lombardia ha trovato risposta alle sue caratteristiche personali, di genialità, impegno, cultura, veicolando nel mondo il valore etico del Made in Italy. La Lombardia è a lui grata per tutto ciò. È stato un indimenticabile genio creativo!». 1/2007 • UCID Letter

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L’EREDITÀ DI GIANNI VERSACE

Tiziana Maiolo ha affermato l’interesse della Città di Milano nel promuovere azioni sinergiche alla Sua Città Natale per perpetuare la memoria storica e costruire azioni di prospettiva. Il Sindaco Giuseppe Scopelliti ha ribadito la volontà di Reggio Calabria di costruire attraverso i Percorsi Celebrativi una serie di iniziative destinate a lasciare una indelebile traccia. Già avviati con la mostra realizzata a Villa Genoese Zerbi dal tema “Tavole di Sogno Haute Couture Dining”, inaugurata il giorno della nascita di Versace, i percorsi in ricordo di Gianni si muovono sulle direttrici della formazione,attraverso il concorso letterario riservato agli studenti delle Scuole del territorio,dal titolo “Gianni, secondo me” e il successivo meeting di personalità nel mese di marzo per illustrare da un punto di vista scientifico il percorso di stile e di arte compiuto nel tempo da Gianni Versace. Centrale sarà l’aspetto della comunicazione, attraverso un evento televisivo in fase di programmazione e la realizzazione di un’area museale dedicata a Versace come centro d’attrazione d’iniziative d’arte, moda e cultura. Il numero monografico di Operare è stato presentato da Ombretta Fumagalli Carulli e da Giovanni Scanagatta, Segretario Nazionale UCID, alla presenza degli amici di Gianni Versace e dei suoi diretti colUCID Letter • 1/2007

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laboratori. Un numero esclusivo, che, unitamente al catalogo della mostra di Villa Genoese Zerbi, ha offerto una visione inedita e singolare dell’artista. A Gianni Versace è stato dedicato dalla ADNAV il quaderno delle sfilate 2007/2008, mediante la consegna a Santo Versace di un singolare esemplare da Wanda Pandoli Ferrero. Due significative cerimonie di premiazione hanno concluso una giornata intensa. A Mario Boselli l’European Award, a Santo Versace l’International Award Bronzi di Riace, ad Antonella Freno il Leading Woman, a Beppe Modenese il Fashion Award sono stati assegnati dalla Pro loco Città di Reggio Calabria, presieduta dal dott. Giuseppe Tripodi. Il Centro Culturale Calabrese presieduto dall’On. Giuseppe Accroglianò ha consegnato a Santo Versace il Premio La Calabria nel mondo.

UN ESEMPIO DI ISTINTIVITÀ CREATIVA

Gianni Versace ha cercato il bello, frutto della mente e del cuore dell’uomo, sempre alla ricerca di orizzonti nuovi

di Giovanni Scanagatta Segretario Generale UCID

N

el ricordare Gianni Versace, uomo di grande genialità creativa nel campo della moda, della pittura, della decorazione, della scultura, della musica e in tutto il grande mondo dell’arte, mi viene in mente il pensiero del Cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, presentato in occasione di una Lectio sull’Europa tenuta nel maggio del 2004 al Senato della Repubblica.

UNA MINORANZA CREATIVA Il destino di ogni società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani dovrebbe-


ATTIVITA’

ro rappresentare questa minoranza creativa e far sí che l’Europa torni a svolgere il suo ruolo di guida culturale e morale per il mondo intero. L’Europa ha bisogno di un’anima e per avere un futuro deve dare un ordine morale al suo sviluppo, come hanno fatto i suoi padri fondatori cinquant’anni fa quando con i Trattati di Roma ci hanno fatto uscire dall’amara esperienza della guerra con i suoi grandi lutti e distruzioni. Senza memoria, senza identità e in mancanza di uno scatto morale per credere nel suo futuro, l’Europa è destinata a prendere congedo dalla storia, come ha affermato di recente Benedetto XVI. Gianni Versace è stato un rappresentante illustre delle minoranze creative e ha amato la società americana perché, pur con i suoi problemi, premia la creatività della persona non per le sue origini ma per quello che sa fare e costruire per lo sviluppo futuro della sua popolazione. Credo che il riferimento al dio greco Dioniso sia particolarmente indovinato perché rappresenta l’istintività creativa che consente di realizzare il bello, frutto della mente e del cuore dell’uomo che è sempre alla ricerca di orizzonti nuovi. Questo era Gianni Versace ed è nostra responsabilità custodire e sviluppare per le giovani generazioni il grande patrimonio di idee e di realizzazioni che ci ha lasciato. Dobbiamo per questo sconfiggere la mentalità, da noi ancora diffusa, per cui chi pensa

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non fa e chi fa non pensa. E ancora, chi studia non lavora e chi lavora non studia. È necessario che il lavoro manuale sia considerato a pari dignità e dobbiamo mirare a un sistema di istruzione e di formazione fondato sulla sussidiarietà e quindi sulla responsabilità dei privati e delle loro libere associazioni, puntando all’eccellenza e premiando i migliori che scelgono percorsi scolastici e formativi impegnativi in relazione a un’economia e ad una società in continua trasformazione. La meritocrazia non esclude, ma spinge tutti a impegnarsi di piú sull’esempio di chi ha piú talenti da spendere e da moltiplicare. In questo modo il livello della società non si appiattisce ma si innalza a vantaggio di tutti, costruendo il bene comune. ARTE DEL FARE, ARTE DEL PENSARE

La felice unione tra l’arte del fare e quella del pensare ce l’ha insegnata San Benedetto con la sua famosa regola ora et labora. San Benedetto è vissuto verso la fine del V secolo dopo Cristo in un periodo molto delicato di forti cambiamenti e di grandi difficoltà per le invasioni barbariche. Questo grande Santo, che l’Europa ha scelto come Patrono, è stato l’artefice con il monachesimo della trasmissione a noi della grande cultura del mondo greco e di quello romano. Abbiamo prima parlato di quello che incarna Dio-

niso riguardo all’intuito e all’intelligenza creativa e se questo pensiero è giunto fino a noi lo dobbiamo al grande padre del monachesimo: San Benedetto. La sua famosa regola “Ora et Labora” costituisce un pilastro della formazione per coniugare positivamente lo studio e la preparazione continua per svolgere con amore e creatività il proprio lavoro, fonte prima dello sviluppo. Il monachesimo da lui fondato è stato anche un momento di importanti innovazioni tecniche applicate ai diversi campi dell’agire economico e produttivo. Nel mondo di oggi stiamo vivendo, a tutti i livelli, un periodo delicato di grandi trasformazioni su scala mondiale (globalizzazione), proprio come quello del periodo storico vissuto da San Benedetto. Entrando in profondità sul significato della Regola, vediamo che il primo valore di riferimento su cui San Benedetto si sofferma è quello dell’obbedienza. Un concetto che oggi viene spesso vissuto in senso negativo. Il significato proprio della parola è quello di “dare ascolto”. Obbedire è la capacità di porsi in ascolto con attenzione e di poter cosí comprendere le cose nel loro profondo significato. In questo modo si accresce l’amore per il nostro lavoro, facendolo diventare creativo attraverso la moltiplicazione dei talenti che abbiamo ricevuto. Secondo l’in1/2007 • UCID Letter

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segnamento di San Benedetto, il lavoro deve farsi scuola e la scuola lavoro, valorizzando al massimo le capacità creative della persona da cui dipende il futuro di ogni società e quindi della nostra Europa. Nel lungo periodo, la demografia è la grande madre dell’economia. Lo vediamo sotto i nostri occhi se consideriamo che negli ultimi quindici anni il peso dell’Europa sul reddito mondiale è diminuito di dodici punti percentuali che sono andati a vantaggio dell’Asia. Le Americhe guadagnano un punto, mentre il Giappone ne perde uno. Segni positivi arrivano dall’Africa, anche se su livelli molto bassi in rapporto al peso della popolazione. Essa guadagna infatti nel periodo un punto percentuale sul reddito mondiale. Siamo di fronte, a livello mondiale, a una grande redistribuzione del reddito tra le principali aree economiche, con effetti fondamentali sulla domanda e sui modelli di consumo. Si aprono quindi davanti a noi mercati nuovi di enormi dimensioni, con possibilità per l’Italia di posizionarsi nelle fasce medio-alte della domanda, in forza della nostra capacità di offrire beni di alta qualità i cui prezzi possono incorporare premi significativi. Le dinamiche demografiche ed economiche in Europa chiamano in causa i movimenti migratori molto intensi nella noUCID Letter • 1/2007

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ATTIVITA’

stra epoca di globalizzazione. Si tratta di fenomeni che, se governati in modo responsabile, possono dare un grande contributo per impedire il declino del vecchio continente. Si tratta di una delle grandi sfide che ci troviamo di fronte all’inizio del terzo millennio. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004 parla di «sfida posta dalla comprensione e dalla gestione del pluralismo e delle differenze a tutti i livelli: di pensiero, di opzione morale, di cultura, di adesione religiosa, di filosofia di sviluppo umano e sociale» (8). Un uomo che sa vedere lontano con gli occhi dell’Europa come Jacques Delors, per un decennio Presidente della Commissione europea, ha di recente affermato che il nostro continente non può avere un futuro se non conserva la memoria e l’identità dei suoi valori fondanti, tra cui spiccano quelli cristiani. «I Padri fondatori erano in maggioranza credenti e praticanti, negarlo vuol dire essere in malafede». Essi hanno ricostruito l’Europa dando un fondamento morale al suo sviluppo. COSTRUIRE UN MONDO MIGLIORE

La nostra responsabilità verso i giovani è grande, per aiutarli a costruire un mondo migliore. Essa riguarda in modo particolare i giovani del Sud con elevato livello di istruzione che spesso devono lasciare la loro terra per trovare lavoro altrove, perdendo le risorse mi-

gliori per lo sviluppo e per il futuro del territorio. All’UCID abbiamo potuto toccare con mano questa realtà attraverso un progetto che stiamo realizzando in Basilicata per sostenere attraverso il microcredito e la microfinanza la nascita di imprese giovanili nei settori della conoscenza guidate da giovani laureati con alto profilo formativo. Il modello che abbiamo in mente è quello del senior partner, con un decentramento di nicchie di attività dalle imprese condotte da soci dell’UCID, ma anche da altri imprenditori esterni, alle imprese giovanili nascenti. Si tratta di una importante azione di accompagnamento, di guida e di monitoraggio a favore dei giovani del Sud da parte degli imprenditori UCIDini già affermati, dando testimonianza di autentica solidarietà intergenerazionale per la costruzione del bene comune. Dalla nostra indagine sul campo, condotta sui 2.500 laureati dell’Università della Basilicata negli ultimi quattro anni, risulta che il 30% trova lavoro nella propria Regione, mentre il 60% lo trova in gran parte al Nord e in misura minore al Centro del Paese. Il 10% svolge un’attività all’estero. Dalla popolazione dei 2.500 laureati abbiamo estratto un campione stratificato statisticamente significativo di 200 laureati (8% della popolazione). Ad essi abbiamo somministrato un questionario per rilevare i profili di formazione, l’età, il peso delle donne e dei maschi nelle varie fa-


ATTIVITA’

coltà da quelle scientifiche a quelle umanistiche, il voto conseguito alla laurea, il grado di conoscenza delle lingue e delle tecnologie informatiche dalle semplici alle piú complesse, la propensione a mettersi in gioco con l’avvio di una nuova microimpresa con il modello del senior partner, rispetto al lavoro dipendente. La propensione che abbiamo rilevato tra i giovani laureati dell’Università della Basilicata a creare una nuova impresa nel loro territorio nei settori della conoscenza per la loro attività futura è stata molto buona. È la possibile via di un nuovo sviluppo basato sulla creazione di nuove imprese nei settori a piú elevata tecnologia, grazie al ruolo strategico del capitale umano formato ai piú alti livelli. Il progetto dell’UCID mira, attraverso il microcredito e la microfinanza, a innalzare la percentuale dei laureati che rimane nel proprio territorio di origine grazie alla nascita di microimprese nel settore della conoscenza, secondo il modello del senior partner. Si percorrono in questo modo vie nuove per il microcredito e la microfinanza, attraverso il sostegno della nascita di settori nuovi per un diverso modello di sviluppo, rispetto agli interventi di tipo tradizionale nel campo del piccolo commercio, dell’artigianato e delle attività agricole. Le risorse umane migliori per qualità intellettuali e morali rimangono o ritornano sul territorio, ponendo le basi di profonde trasformazioni

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strutturali e avviando un nuovo modello di sviluppo locale giusto e solidale. La buona riuscita del progetto sperimentale dell’UCID, partendo da una piccola Regione come la Basilicata, aprirà la strada all’estensione del modello del microcredito e della microfinanza per la nascita di nuove imprese giovanili nei settori della conoscenza ad altre Regioni e, in primo luogo, alla Calabria. IL BELLO E IL BUONO Come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, Maestro di Dottrina sociale, dobbiamo credere al primato del lavoro in senso soggettivo rispetto a quello in senso oggettivo (la scienza e la tecnica), a cui pure viene assegnato un ruolo importante. Il progresso scientifico e tecnico è il motore dello sviluppo economico, ma non deve prendere il sopravvento sull’uomo. È un insegnamento che ci proviene dalla prima enciclica sociale di Giovanni Paolo II, la Laborem exercens del 1981. Essa è stata pubblicata nel novantesimo anniversario (18911981) della Rerum novarum di Leone XIII che aveva affrontato i problemi morali legati alla “questione sociale” sorta con la prima rivoluzione industriale. Dobbiamo rifuggire da quello che Giovanni Paolo II chiama “economismo”, o potremmo anche dire “riduzionismo economico”, che porta con sé l’affievolimento dell’attenzione per la centralità dell’uomo nei processi di sviluppo e della re-

sponsabilità per la costruzione del bene comune. Gianni Versace nutriva un grande amore per il bello nelle sue molteplici espressioni, frutto del lavoro dell’uomo nel suo piú alto significato soggettivo. La ricerca del bello veniva vissuta da Gianni Versace come duplice tensione verso le grandi culture del passato, continuamente studiate, ripensate e proiettate nel futuro, e verso le nuove frontiere del progresso scientifico e tecnico, alla ricerca di soluzioni sempre piú avanzate. Il bello è un valore universale: Gianni Versace lo ha voluto comunicare a tutti, sentendosi cittadino del mondo, precorrendo i tempi della globalizzazione che stiamo vivendo. Solo il bello e il buono (il giusto) possono salvare il mondo e Gianni Versace lo ha voluto testimoniare con tutta la sua vita. Occorre ripartire da questo suo grande messaggio, per ritrovare le radici profonde di una cultura del lavoro, inteso nel suo piú alto significato soggettivo, e nella cultura per l’impresa in cui la persona e le comunità di persone sono i veri artefici dello sviluppo, il cui significato non è solo economico ma anche e soprattutto morale. È questa, credo, la grande eredità che ci ha lasciato Gianni Versace ed è tutta nostra la responsabilità di portarla avanti e di farla progredire per il bene di tutti, soprattutto delle giovani generazioni. 1/2007 • UCID Letter

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ATTIVITÀ PRESIDENZA NAZIONALE

RAPPORTI CON L’UNIAPAC • Nel Board dell’UNIAPAC Europe che si è tenuto a Parigi il 28 febbraio scorso è stato nominato il nuovo Segretario Generale nella persona del Dott. Laurent Mortreuil. Al Board ha partecipato per l’UCID il Dott. Giovanni Facchini Martini, Vice Segretario aggiunto per i rapporti internazionali, assieme al Dott. Franco Nava, Presidente della Sezione UCID di Milano. Uno dei punti all’ordine del giorno ha riguardato la partecipazione dell’UNIAPAC al Convegno che sta organizzando l’UCID di Milano sull’integrazione europea. • La Presidenza Nazionale ha ricevuto la visita, il 21 marzo scorso, del Dott. Laurent Mortreuil, nuovo Segretario Generale dell’UNIAPAC Europe . La Presidenza ha illustrato al nuovo Segretario le finalità dell’UCID, la sua organizzazione attraverso i Gruppi Regionali e le Sezioni, i Gruppi di Lavoro a livello nazionale, le attività editoriali, il modello comunicazionale interno ed esterno attraverso il nuovo sito internet. Il Dott. Mortreuil ha illustrato le linee fu-

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ATTIVITA’

ture dell’UNIAPAC Europe tendenti a rafforzare la collaborazione con le Associazioni nazionali, con progetti comuni, e di mettere in rete gli strumenti editoriali e di comunicazione. In tema di collaborazione, si è parlato dell’importante iniziativa che sta organizzando l’UCID di Milano sull’integrazione europea, assieme all’UNIAPAC Europe e all’UCID Nazionale. • Il 30 gennaio 2007 il Dott. Giovanni Scanagatta, Segretario Generale dell’UCID, ha partecipato a una riunione a Parigi con i rappresentanti delle associazioni europee degli imprenditori e dei dirigenti cristiani per la messa in rete delle pubblicazioni curate dalle varie associazioni nazionali. L’UCID ha presentato le pubblicazioni finora curate e, in particolare, la Rivista quadrimestrale “Etica per le professioni” e “UCID Letter”. L’accordo raggiunto è di inviare ad UNIAPAC Europe tutte le pubblicazioni future e, in particolare, i sommari delle Riviste periodiche prima dell’uscita di ciascun numero. Su richiesta specifica, ogni associazione invierà ad UNIAPAC Europe i testi integrali degli

articoli pubblicati su ciascun numero delle Riviste.

RAPPORTI CON LA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA • L’UCID Nazionale ha partecipato a tutte le riunioni dell’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana. Ha partecipato anche a tutte le riunioni della Consulta. • L’UCID Nazionale ha partecipato a due incontri del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani che si sono tenuti a Treviso a gennaio 2007, a Roma a febbraio, a Bari nel mese di maggio.

RAPPORTI CON GLI ALTRI ENTI E ASSOCIAZIONI • L’UCID Nazionale ha partecipato a gennaio scorso a un incontro organizzato dal Consiglio Nazionale delle Associazioni Laicali per la programmazione delle attività nel nuovo anno.


UCID 2007 16 Gruppi Regionali 74 Sezioni Provinciali e Diocesane 4.000 Soci

I Gruppi Regionali Gruppo Regionale Lombardo Gruppo Interregionale Piemonte e Valle d’Aosta Gruppo Regionale Ligure Gruppo Regionale Trentino Alto Adige Gruppo Regionale Veneto Gruppo Regionale Friuli Venezia Giulia Gruppo Regionale Emilano Romagnolo Gruppo Regionale Toscano Gruppo Regionale Marchigiano Gruppo Regionale Umbro Gruppo Regionale Lazio Gruppo Regionale Campano Gruppo Interregionale Abruzzo Molise Gruppo Regionale Basilicata Gruppo Regionale Calabro Gruppo Regionale Siciliano

Le Sezioni Provinciali e Diocesane Ancona Ascoli PicenoS.Benedetto Asti Belluno Bergamo Biella Bologna Bolzano Brescia BresciaManerbio Brescia Valle Camonica Busto ArsizioValle Olona Alto Milanese Caltanissetta Catanzaro Civitavecchia Como Cosenza Crema Cremona Fermo Ferrara Fidenza

Firenze ForlĂ­-Cesena Frosinone Genova GoriziaMonfalcone La Spezia Latina Lecco Lodi Macerata Mantova Matera Milano Monza Napoli Novara Padova Parma Pavia Pesaro Piacenza Pordenone Potenza Ravenna Reggio Calabria Reggio Emilia

Rimini Roma Rovigo Salerno Savona Sondrio Teramo Tigullio Tivoli Tolmezzo Torino Trento Treviglio Treviso Trieste Udine Ugento Varese Venezia-Mestre Vercelli Verona Vibo Valenzia Vicenza Vigevano Rep. S. Marino


Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti Presidenza Nazionale - Via Di Trasone 56/58, 00199 Roma Tel 06 86323058 - fax 06 86399535 - e.mail: presidenza.nazionale@ucid.it

TAR. ASSOCIAZIONI SENZA FINI DI LUCRO: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZ. IN ABBON. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N째 46) ART. 1, COMMA 2, DCB PADOVA


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