Aspetti e problemi del ticino

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Mario Agliati Dal «biciclo» al «meccanico volatile» I A dir la verità non è facile, per noi uomini del 1964, immaginar le nostre piccole città e le borgate e i villaggi e anche le strade nel verde de’ prati, insomma quelle che s’usan affettuosamente chiamare, con parola comprensiva, le nostre contrade, anche solo un ottant’anni fa; difficile anzi, almeno da un certo punto di vista, quanto immaginarle al tempo de’ Romani, o nel Medio Evo. Sì certo i professori di storia, gli studiosi delle patrie archeologie, i cultori della Heimatkunde, o anche solo certi loquaci vegliardi, posson esser lì a segnalar case palazzi strade porticati e vicoletti, e qui le cose stavan in un modo e là in un altro, e quaggiù è rimasto e lassù è scomparso, e posson con dovizia di dati parlar di antiche botteghe e osterie, di trapassi immobiliari, di facciate trascolorate dal tempo; e gli occhi della mente, con un po’ di sforzo e di fantasia, posson in certo senso tornar a rivedere. Ma agli orecchi, via, dovrebbe pur giungerci altro suono. Ripristinar quel silenzio antico, ricrear quella sospesa atmosfera di prima che per quelle nostre contrade cominciassero a rombare i motori! L’impresa, anche per i professori di archeologie più o meno recenti, anche per i rimemoratori eloquenti, appar quasi disperata; tanto più che in quel sospeso silenzio dovrebbero poi entrar altre voci, altri suoni, che i motori venuti di poi, e oggimai per tutto trionfanti, hanno coperto e finalmente fatto disperdere. Ritrovar a Lugano la «piaza granda» du temps jadis, del tempo andato… Ci si può affidar a qualche tempera di Carlo Bossoli, col teatrino neoclassico che campeggia accanto all’ancor giovanissimo palazzo civico, che serviva allora al governo; ma quei borghesi, e contadini, lì nel mezzo a chiacchierar cordiali, ai nostri orecchi rischian di non aver più voce. E così per quel ch’era l’antica piazza di Grano, diventata poi piazza Riziero Rezzonico: si son qui davanti a me certe belle fotografie, con la fontana Bossi che già campeggia: ma quel gran vuoto bianco come di terra battuta, senza una macchina o un carro, mi dà la vertigine quasi di un’età favolosa, anche se torno torno l’unghia delle case mi dovrebbe parer familiare, o, di là, l’antica piazza Bandoria, quella che si chiamò poi Giardino e finalmente Alessandro Manzoni. (Il silenzio e la «baldoria» d’allora)


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