Padri (Enzo De Giorgi)

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PADRI

SOGNI, INCUBI E VISIONI DI UNA STRANA ESTATE


Enzo De Giorgi - Padri, 2020 Testo e disegni di Enzo De Giorgi La fotografia “Due uomini in crisi” è di Piero De Giorgi Le fotografie del 3 maggio 1997 relative al concerto di Claudio Lolli a Bari sono rispettivamente di Enzo De Giorgi e Cinzia Supino La foto del 25 luglio 2013 a Presicce è di Piero De Giorgi Il testo firmato da Claudio Lolli “La prima volta che vidi Enzo De Giorgi” è tratto dalla pubblicazione “Il grande freddo disegnato da Enzo De Giorgi”, edito da Musicalbox, 2017 La prima stesura del testo “Padri” risale al 26 agosto 2018 e fa parte di uno dei capitoli di un progetto più ampio, “Pezzi di tempo”, ancora inedito e in divenire. La presente versione, rivista e corretta, è stata adattata, nel mese di marzo 2020, in occasione del 70° anniversario dalla nascita di Claudio Lolli Impaginazione a cura di Enzo De Giorgi www.enzodegiorgi.it degiorgienzo@libero.it

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...costruire una vita richiede tanto tempo che spesso si muore prima di vedere com'è venuta. Claudio Lolli

...c’è un punto piccolissimo nel mare delle nuvole nel posto dove vanno a riposare i palloncini. Paolo Capodacqua


EMAIL 01/09/2016 14.35 Caro Claudio, spero che le tue condizioni di salute siano migliorate. Mi mancano molto i tuoi concerti. Se sabato 3 settembre, dopo le ore 20.00 ti fischieranno le orecchie, sappi che saremo noi: a Lecce staremo parlando dei tuoi testi e ci saranno delle citazioni strumentali dei tuoi brani, in occasione della mia nuova mostra di pittura, ovviamente dedicata interamente a te. Un abbraccio, Enzo 05/09/2016 16.53 Caro Enzo, i miei concerti mancano molto anche a me, è quasi un anno... Il tuo attaccamento è quasi commovente e te ne ringrazio molto. Ho letto anche la recensione sulla tua mostra, che mi è parsa positiva, e spero/ritengo che tu possa esserne soddisfatto. Per il resto: inciderò il nuovo album di 9 inediti a novembre e, come canto del cigno , mi pare molto ispirato, penso che ti piacerà. Poi la schiena: è una lotta tra noi due, sono disposto anche a perdere purché mi lasci qualche periodo di pausa, mi lasci vincere almeno qualche battaglia.. Caro Enzo, stammi tanto bene, tu e la tua famiglia, e non mi dimenticare. con affetto, Claudio 06/09/2016 23.46 Caro Claudio, non puoi immaginare la gioia nel leggere notizie scritte di tuo pugno. Vorrei che tu vincessi l’intera guerra contro il tuo “dolore alla schiena”, perché noi abbiamo ancora tanto bisogno delle tue parole. Sapere dell’incisione di nuovi pezzi, di un nuovo album, mi riempie il cuore di speranza.E l’attesa sarà straziante, come tutte le altre volte... Sicuramente per le immagini di copertina avrai già mille contatti e tante proposte... Sappi però che sarei molto onorato di poter contribuire alla creazione della copertina di un tuo disco. ...Se conoscessi le tematiche dei tuoi nove inediti, potrei volentieri inventare un’illustrazione per ognuno di essi... e lo farei con grande passione (...) Forza Claudio! Un abbraccio, Enzo 7/9/2016 18:51 Caro Enzo, allora ti allego qualche testo così a cazzo, come ho fatto per tutta la vita e come continuerò a fare. Costruire una vita richiede tanto tempo che spesso si muore prima di vedere com'è venuta. Claudio


Caro Claudio

Nessuno poteva prevedere che un virus piccolo e invisibile potesse mettere in ginocchio il mondo intero in poche settimane. E ora siamo tutti qui, ognuno nella propria bolla di sapone, a scontare una quarantena che non sappiamo ancora se e quando avrà fine. Comunichiamo col resto del mondo solo attraverso un computer o uno smartphone... e ci laviamo le mani ogni volta che ci tocchiamo... Tu che amavi la compagnia e le piazze almeno questa “novità” sei riuscito ad evitarla. In questo marzo del 2020 avresti compiuto settant’anni. In “Aspettando Godot” scrivevi: ”Questa sera sono un vecchio di settant’anni, solo e malato in mezzo a una strada, dopo tanta vita, più pazienza non ho, non posso più aspettare Godot”. Chissà, con la tua ironia infinita, avresti commentato quella frase, scritta quando non avevi neanche vent’anni, dicendo di aver terminato la pazienza con due anni d’anticipo... Io invece volevo dirti che queste pagine sono tutte vere. Tutto quello che ho scritto, come in una specie di diario, corrisponde a fatti, sogni... incubi realmente vissuti. Anche quella dei “Padri”, come sai, è una riflessione ispirata al tuo modo di vedere le cose... Enzo Trepuzzi, un giorno di marzo (o d’aprile) 2020


INCIPIT Sono del ‘68. Coniugo dal ‘96 la passione artistica con le attività didattiche: insegno al liceo artistico di Lecce. Vivo nel Salento con mia moglie Cinzia e nostro figlio Cristiano. La mia famiglia d’origine ha lasciato la Puglia e vive “sparpagliata” in diverse città del Veneto. Molti dei miei dipinti si ispirano alla musica e alle parole di Claudio Lolli. Ho dedicato intere mostre alla sua poesia, ma la copertina del suo ultimo album rimarrà, per sempre, il mio “capolavoro” del cuore.

“Due uomini in crisi”, Vezza d’Alba (Cn), 2006; Antonio e Enzo De Giorgi emulano la posa di Claudio Lolli sulla copertina del disco “Un uomo in crisi”, album del 1973


Estate 2018

Io ero nato il 23 luglio del 1968... mio figlio era venuto al mondo il 30 agosto del 2000. Così, tanto per dire, tanto per fantasticare, nei mezzi dialoghi tra padre e figlio, da diversi anni ci eravamo promessi un mega viaggio per fermare per sempre quella magica estate. Nell’arco di un solo mese avremmo festeggiato due traguardi importanti per le nostre vite. Lui proponeva l’America o il Giappone. Io immaginavo un viaggio a Cuba o al Polo Nord. Ma poi finivamo per dire che d’estate non c’era niente di più bello del mare del Salento. Ma gli anni erano volati via velocemente... senza neanche accorgercene, e di quel progetto era rimasto solo un sogno, sbiadito come le foto di un viaggio mai fatto, un sogno ingoiato dalla quotidianità. ...Quindi arrivò, senza neanche avvertire, l’estate del 2018, la stagione del mio cinquantesimo compleanno e del diciottesimo di mio figlio. Per quel 23 luglio non avevo


grosse smanie di festeggiamenti, ma mia sorella Betty aveva deciso di farmi una sorpresa venendo a Trepuzzi di proposito da Padova, con la piccola Gaia... e allora decidemmo di organizzare un “apericena” in un locale di Campi Salentina. La mia era una famiglia numerosa. Di cinque figli, solo io ero tornato a vivere nel leccese, dopo una dozzina d’anni trascorsi al nord Italia per via del mio lavoro d’insegnante. Si erano trasferiti in Veneto anche mio padre e mia madre per averci tutti vicini... Ma io, di vivere “per sempre” più a nord di Brindisi, non me la sentivo proprio! Quell’estate del 2018, dicevo, anche i miei genitori erano venuti nel Salento per festeggiare il mio compleanno, trascorrendo qualche settimana nei loro luoghi d’origine. Erano scesi dal treno Venezia-Lecce in un pomeriggio tipicamente estivo già dai primi giorni di luglio e, come sempre, si erano stabiliti a Scorrano, nella “seconda casa” di mio fratello, che li avrebbe raggiunti a breve da Verona. Mia madre, che ultimamente non era stata molto bene di salute, aveva finalmente un bell’aspetto, forse grazie anche a una nuova


cura e alla sostituzione di alcuni farmaci. Mio padre, al contrario, mi sembrò improvvisamente molto più vecchio e alquanto abbattuto: dall’ultima volta che lo avevamo visto, aveva perso una quindicina di chili ed il suo colorito era esageratamente giallastro. Anche il suo aspetto interiore non era al meglio. Già sul binario due della stazione di Lecce, io e Cinzia ci guardavamo sorpresi, chiedendoci se eravamo solo noi a vederlo così: era stata davvero una buona idea quella di fargli fare un viaggio così lungo in quello stato? Ma eravamo troppo egoisti per rinunciare alla loro vicinanza. Lo zio Mario, fratello di mia madre, fece visita ai miei genitori portando loro, per pranzare insieme, una grande quantità di verdure fresche e di frutti di mare di cui il mio babbo era particolarmente ghiotto. Mio padre assaggiò solo pochi bocconi di quelle prelibatezze cucinate da mia madre. Ma quasi subito disse di non sentirsi bene e vomitò tutto. Continuava a dire che era colpa di quella maledetta “cervicale”. In Veneto aveva fatto delle visite mediche, ma il suo medico curante non aveva indagato molto… o forse mio padre non era stato troppo chiaro


nel descrivere i suoi sintomi. Mio fratello, arrivato nel frattempo da Verona come ogni estate, ci rassicurava, dicendo che noi non siamo “dottori” per sentenziare malattie del sangue o malfunzionamenti al fegato e che non era d’accordo con la nostra idea di effettuare delle nuove analisi cliniche qui nel Salento: non si fidava della “malasanità” locale, preferendo rimandare gli accertamenti a consulti medici “seri”, da effettuare, al loro rientro, negli ospedali veneti. Festeggiammo il mio compleanno in armonia, in una serata che minacciava pioggia e che ci aveva costretti all’interno del locale; tutti sembravano sereni... ma il mio “vecchio” rimase silenzioso in un angolo… e questo non era da lui. Fece la foto con me e mia madre vicino alla torta, trascinandosi a fatica fino al tavolo centrale. Il suo aspetto continuava a peggiorare e chiunque lo incontrasse me lo faceva notare con preoccupazione. Coi miei fratelli trovammo un compromesso: appena tornato in Veneto, da lì ad un paio di giorni, nostro padre si sarebbe sottoposto a nuove visite specialistiche e avrebbe effettuato quelle benedette analisi! Qualcuno, forse Betty o la mamma, aveva già telefonato al medico per prenotare la visita.


Incubi

Non sono il tipo che crede alle interpretazioni dei sogni o negli incubi premonitori, ma da qualche notte, nel sonno avevo sempre la stessa visione. Mi svegliavo di soprassalto perché nel sogno mi erano caduti dei denti… proprio quelli davanti… gli incisivi superiori… Al risveglio, tutto sudato, con la lingua me li cercavo nella bocca. Fortunatamente c’erano ancora, ma rimaneva l’ansia di un presagio: chi se ne intende di simbologie, dà a questo sogno un terribile significato di morte. La morte di una persona molto vicina… Come un genitore… Mi venne di pensare subito a mio padre. Anticipammo la data del rientro dei miei. Il Frecciabianca Lecce-Venezia partiva verso le sette del mattino. Quel 25 luglio andammo alla stazione per salutare i miei genitori con un po’ di ansia per la salute di mio padre. Mio fratello e mia cognata li avevano accompagnati con la solita mezz’ora d’anticipo. Quando io e Cinzia arrivammo, il treno era sul binario due già da un po’ e mio


padre era seduto anzitempo al suo posto. Gli altri erano fuori, vicino al vagone, a godersi il fresco di quella brezza mattutina. Salimmo per salutare il mio babbo… che non riusciva neanche ad alzarsi per ricambiare un bacio sulle guance. Salutammo il treno che partiva verso un nord per me sempre più estraneo e lontano, portando con sé i miei genitori. Noi quattro, cercando un po’ di normalità, andammo a prendere un caffè in piazza Sant’Oronzo, poi optammo per un giro per il centro storico e una visita alla nostra “vecchia” Accademia di Belle Arti, dove avevamo studiato da ragazzi… e infine, come per risollevarci il morale, decidemmo di stare ancora tutti insieme, a pranzo a casa mia, col pensiero costante alla salute di mio padre. Il treno era giunto puntuale alla stazione di Padova, e nonostante si cercasse di minimizzare, per evitare altre preoccupazioni, mia madre ammise che nello scendere dal treno mio padre aveva perso l’equilibrio ed era caduto rovinosamente in avanti, facendosi anche male ad una spalla. Il giorno dopo, il vecchio Antonio De Giorgi fece le analisi del sangue come promesso: appena noti i risultati, alquanto allarmanti, lo


convocarono con urgenza all’ospedale per effettuare delle trasfusioni di sangue. Mio fratello decise di anticipare il suo rientro in Veneto e partì il giorno dopo per Padova in modo da poter sostenere la situazione che diventava davvero preoccupante. Si stabilì momentaneamente a casa dei miei. Le notizie che arrivavano dall’ospedale di Piove di Sacco non erano confortanti: furono necessarie delle trasfusioni: furono necessarie quattro sacche di sangue per rimettere in pari il livello di vitamina B12… ed eravamo tutti in attesa degli altri esiti di esami più approfonditi per capire cosa stesse succedendo a papà. Di notte, nel mio letto, continuavo a svegliarmi di soprassalto contando con la lingua i miei denti davanti… perché il sogno era sempre lo stesso ogni volta. In vista di una probabile e imminente partenza, anch’io mi preparavo psicologicamente al viaggio. Portai la mia Fiat Punto dal meccanico per un controllo generale. Mi decisi anche a sostituire gomme, ormai molto usurate da tempo. Passarono alcuni giorni. Mio padre, grazie alle trasfusioni di sangue, aveva ripreso il suo


colorito naturale. Anche l’appetito era tornato alla normalità. Da ulteriori accertamenti era emerso che, a causa di un intervento chirurgico da lui subìto molti anni prima, il livello di cobalamina era sceso gradualmente, cosa abbastanza normale e frequente in casi del genere. Il suo medico curante avrebbe dovuto tenere sotto controllo quei livelli… ma questo gli era sfuggito negli anni e i valori erano scesi ben al di sotto della soglia minima! Mio padre quindi doveva integrare quell’elemento attraverso un ciclo abbastanza importante di iniezioni. Dopo una settimana di ospedale venne dimesso. Anche mio fratello tornò a casa sua, a Verona. Io ero indeciso sul da farsi: volevo andare a trovare i miei con mia moglie e mio figlio, ma mio padre aveva bisogno di riposo e probabilmente, in quel caldo agosto, la nostra presenza, in una casa così piccola non avrebbe di certo giovato al suo recupero delle forze. Decisi di rimandare la partenza e di riprendere in mano un po’ di cose… una mostra, dei dipinti da finire… perché ferragosto era alle porte, il Salento era pieno di vita e di sole e soprattutto... mio padre era fuori pericolo.


Ma qualcosa continuava a turbarmi: perché continuavo a sognare di perdere i denti? Boh? ...Ma come dicevo, non ho dato mai troppo peso all’interpretazione dei sogni.

Illustrazione per il libro “Disoccupate le strade dai sogni” di Claudio Lolli (2018) nella pagina introduttiva di “Extranei”


Padri

Il giorno di ferragosto a Genova crollò il ponte Morandi, provocando quarantatré vittime. Mentalmente misi in relazione quella sciagura col presagio del mio incubo che non smetteva di tormentarmi durante la notte… però mi sembrava strano... non avevo nessun legame con i morti di quella sciagura, e iniziai a pensare che effettivamente i sogni e gli eventi della realtà non hanno nulla in comune. Cercai su internet i nomi delle vittime... magari tra di esse c’era qualche mio conoscente... Niente. E poi, se anche fosse, le interpretazioni dei sogni non parlano di morte di conoscenti... bensì di “distacco da persone care e molto vicine”. Anche la notte seguente mi svegliai sudato, contandomi i denti con la lingua. Boh? I telegiornali trasmettevano di continuo le immagini terribili di Genova, cercando i colpevoli e ripercorrendo con video e interviste le vite delle vittime. Intanto io ripercorrevo la mia e quella di mio figlio,


mentre montavo un filmato per celebrare il suo diciottesimo compleanno: mancavano solo due settimane al 30 agosto! Nel cercare foto e video di Cristiano sul computer, tra un ricordo dei tuffi al mare e un soffio sulle candeline, riaffioravano dal passato altre suggestioni: le immagini, i filmati e i selfie prima, durante e dopo i concerti di Claudio Lolli. Inquadrature storte, primi piani sfocati, audio distorti e con rumori di fondo... ritratti senza teste o con gli occhi chiusi... ma fotogrammi indelebili e sempre presenti, tra i miei file, con la stessa costante e puntuale scansione degli eventi familiari: Paolo Capodacqua coi capelli corti e scuri imbracciava la sua strana chitarra, tra una foto di mia moglie sotto l’ombrellone e quella di mio figlio sul suo salvagente giallo. Man mano che scorrevo le cartelle sul monitor, i capelli di Paolo, anche se diminuivano, si allungavano sempre di più e cambiavano colore, come la montatura dei suoi occhiali. Il duo diventava un trio, col sax di Nicola Alesini. Claudio però si incurvava ogni volta di più e saliva i gradini del palco con sempre maggior fatica. Ma quando si accendevano le luci, già dal suono dei primi accordi di chitarra, si partiva sempre per un nuovo viaggio, nel tempo e nell’anima.


Pensavo che l’appuntamento con quei viaggi non dovesse mai avere fine. Poi la doccia fredda. Alle ore 19.05 del 17 agosto ricevevo un breve messaggio - WhatsApp. Era Paolo Capodacqua che mi scriveva: _ Claudio non c’è più _. Alle 19.11 mi scriveva anche Danilo Tomasetta: _ Ciao Enzo, oggi pomeriggio è morto Claudio. Era nell’aria e per come era messo negli ultimi due mesi credo sia meglio così. Per favore per ora non diffondere… un abbraccio. _ Dalla notte seguente in poi non sognai più di perdere i denti. Decisi di dare l’ultimo saluto a Claudio Lolli di persona e di partire per Bologna, dove per lunedì 20 agosto era previsto l’allestimento di una camera ardente aperta al pubblico, proprio nella sua cara piazza Maggiore. In tutte le pagine “social” risuonava sempre più forte l’eco delle news sulla morte del “mio” cantautore... che nel frattempo era diventata virale e anche in TV, tutti i TG nazionali davano la triste notizia.


Ovviamente non potevo andare fino a Bologna senza fare un salto nel padovano a trovare i miei! La mattina di domenica 19 agosto, la mia Fiat Punto era già in viaggio verso nord. Con moglie e figlio attraversavo l’Italia intasata dal traffico dei vacanzieri, spinto solo da uno strano senso di appartenenza alla vita di due padri: uno, quello “vero”, appena scampato alla morte, quell’uomo che mi aveva messo al mondo cinquant’anni prima e che per la distanza vedevo solo pochi giorni all’anno... e l’altro, quello “spirituale”, quel padre-guida che aveva cresciuto i miei sogni e che mi aveva insegnato la strada per realizzarli… quell’uomo che la morte aveva deciso per lui... che sessantott’anni di vita potevano bastare… Nel pomeriggio arrivammo a Vallonga, dai miei. Ringraziando mio fratello e mia sorella Betty, che avevano appena fatto installare un condizionatore d’aria, sopravvivere in quel buco di casa, dispersa tra le pianure afose del padovano, era finalmente possibile. Mio padre, dopo le trasfusioni e con le prime iniezioni di B12, sembrava rinato, aveva ritrovato la sua naturale parlantina e messo sù qualcuno di quei chili persi negli mesi precedenti. Mia madre doveva sopportare


ancora quel marito logorroico e pesante… di cui nessuno di noi però poteva fare a meno. Il giorno dopo, con Cinzia e Cristiano ero a Bologna. Telefonicamente ero in contatto con altri amici “lolliani” della Puglia che non erano riusciti a partire e che mi chiedevano di salutare il “maestro” per loro. Quella mattina avevo anche scritto una lettera da leggere al suo cospetto… ma l’emozione era troppa e nonostante l’invito di Roberto Soldati, non riuscii a pronunciare una sillaba in quel microfono. Cercai anche di omaggiare Claudio con un mio piccolo disegno, improvvisato con la penna a sfera sul registro delle firme… ma ne uscì fuori uno scarabocchio terribile. Il giorno dopo, la mia coscienza straziata trovava finalmente sfogo nelle parole digitate sulla tastiera minuscola di un cellulare, postandole sulla mia pagina Facebook, rivolgendomi direttamente a Lui così: “Difficilmente mi sposto dal mio Salento. Però ieri ero in piazza Maggiore a Bologna. Ore fermo in autostrada in mezzo ai vacanzieri di rientro. E poi trovare parcheggio. Camminare in un'aria ferma e irrespirabile per raggiungere il centro con moglie e figlio


perché sono pezzi di me e perché anche loro non sono mai esistiti, senza le tue note. Con in tasca due pagine con un lungo discorso da farti. Parole di ringraziamento, mie e degli amici che non sono riusciti a venire ma che erano in coda alla tua camera ardente anche prima di me: Angelo in prima fila... e poi Marcello che non ha trovato un posto sul treno... Salvo che é dall'altra parte del mondo... Mi avvicino al leggio. Apro il foglio e non vedo niente. Apro la bocca e non esce niente. Scusami Claudio. Volevo dirti che mi hai insegnato tu a disegnare perché non ricordo disegni fatti senza di te. Volevo dirti che in Italia è difficile vivere di pittura e che sono diventato un insegnante perché era quello che avevi fatto tu, perché in Italia non si vive di poesia. Volevo dirti che i miei anni non mi permettono di essere un tuo figlio e neanche un fratello minore... perché gli anni di differenza sono troppi o troppo pochi. Mi hai sempre considerato un amico. Io, nato in un '68 in cui tu già eri un poeta rivoluzionario. Io che nel '76 ero in terza elementare e che in casa non si ascoltava niente di simile a te. Io che ti ho scoperto appena ho aperto il cuore all'arte e che sono nato solo disegnando le tue


canzoni. Scusami se non sono riuscito a dire una parola e se il disegno che ho fatto sul quaderno delle firme fa schifo... ma anche la mano e la vista mi tremavano. Grazie, perché con una copertina mi hai legato a te come un tatuaggio dell'anima. Poi abbracciare i tuoi figli e riconoscere i miei occhi in migliaia di occhi umidi arrivati da tutti gli angoli del cuore. Sono ancora in viaggio. Scusami se ora devo andare e non posso continuare a scusarmi e a ringraziarti.” Salutammo Claudio in Piazza Maggiore. Mio figlio e mia moglie vedevano il centro di Bologna per la prima volta. Strano modo di visitare

una

città.

Cinzia

e

Cristiano

respiravano con me l’afa e l’addio. In uno scatto fotografico in cui io e la mia consorte ci abbracciavamo, significativa,

un

in

quella po’

fuori

piazza luogo

così per

l’occasione, Cristiano ci sorprendeva mentre cercavamo di sembrare felici. Claudio era appassionato di cinema. E allora in quella sala affollata io ero il postino Mario che non riusciva a raggiungere il palco per recitare


la sua poesia per Neruda. Ero un piccolo Troisi nella sua ultima scena. Un metro più in là, Peppino

era

rimasto

solo

perché

il

suo

compagno era andato via. E ora vive tutti i suoi

giorni

aspettando

Totò.

Alessio

ci

inchiodava le mani e i piedi... e il cuore con la sua chitarra e Nicola ci affogava gli occhi col sax. E le parole erano lame roventi e noi panetti di burro. C’erano i figli, quelli veri, tristi e affranti… ma quel pomeriggio, in piazza Maggiore, eravamo tutti fratelli: migliaia di orfani dello stesso padre. Poi l’autostrada A14 con vista Adriatico… (antipatico e lento) e lo stereo sempre acceso a sentire Lolli per dieci ore di fila... per la gioia dei miei compagni di viaggio. Il

paesaggio

cambiava

dai

finestrini

col

passare dei chilometri, restituendomi alla mia vita

quotidiana.

C’era

il

diciottesimo

compleanno di mio figlio da organizzare, gli esami di ripetizione e gli scrutini di fine agosto... Ma la voce di Claudio Lolli era più


viva che mai e continuava ad accompagnarmi nel viaggio. In ogni senso. Il giorno dopo avevo voglia d’estate e allora, continuando il gioco cinematografico, ero Montalbano che nuotava da solo nel mare della sua Vigata. Sentivo solo il rumore dell’acqua perché la mia spiaggia salentina non era ancora stata scoperta dai turisti cafoni neanche ad agosto… e perché, come il commissario, anch’io avevo pensieri che mi allontanavano dalla riva… ancora per un po’. Sentivo solo il rumore dell’acqua, anche mentre scrivevo queste note, mentre nuotavo tra un mare di gente e i frastuoni di banda in una Lecce che festeggiava il suo santo Patrono… Forse avrò pensieri che mi terranno ancora lontano da molte rive… ancora per un po’. Ma da domani riprende la scuola. Quante onde ancora incresperanno il nostro mare?


EXIT

Siamo ancora qui, rinchiusi da settimane nelle nostre fragili bolle di sapone domestiche (speriamo che non scoppino) per scampare ad un nemico invisibile e mortale. Il Covid-19 ci ha stravolto le abitudini e la vita costringendoci ad un’esistenza sempre più asettica e controllata. Però continuiamo a resistere. Si può resistere anche scrivendo. Ho scritto queste pagine senza alcuna forma di ambizione letteraria. Forse le ho scritte solo per me, per ricordarmi “come andarono i fatti nell’agosto del 2018”. Un po’ come come si fa con un diario. Ho scritto queste pagine per fermare il tempo ...o meglio, per fermare le sensazioni e le emozioni provate da un piccolo uomo qualunque in un momento particolare in cui inizia a fare i conti con il distacco, fisico e/o morale, per poco o per sempre, da persone che hanno contribuito a cambiare o guidare sostanzialmente la sua piccola vita qualunque. Ho scritto queste pagine, inconsciamente, per Tommaso, Federico e tutti noi, orfani di Claudio Lolli.


La prima volta che vidi Enzo De Giorgi In occasione della pubblicazione de "Il grande freddo", 2017 di Claudio Lolli La prima volta che vidi Enzo fu a Bari, era venuto ad un mio concerto. O meglio ad uno dei miei concerti, quelli un po' scalcagnati, quelli in cui tutti possono e vogliono mettere le mani. Mi esibivo davanti ad un mio grande manifesto di vent'anni prima, con dubbio gusto dell'organizzatore. Infatti quell'accoppiamento provocò nel pubblico una reazione di ilarità ma anche di piccolo sgomento, come dire: Dunque anche lui sta morendo? Dopo il concerto, che fu un successo, mi si avvicinò un ragazzo alto, esile, con una chioma d'artista. Mi disse che adorava le mie canzoni e che ci stava lavorando sopra. Come? Tirò fuori un libretto in cui comparivano dei disegni che rappresentavano me e il fido Paolo in varie situazioni, comunque tutte tra la tragedia ed il ridicolo, proprio come era stata quella serata. Me lo lasciò dopo essersi presentato: Enzo, Enzo De Giorgi. Lo considerai subito un regalo prezioso e lo ringraziai caldamente, tanto che ritornò e ritornò e ritornò tante volte che diventammo amici. Io avevo notato nel suo lavoro sia la maestria tecnica che la stima e l'affetto che aveva per me che subito condivisi. Oggi lo siamo ancora e Enzo mi ha fatto quest'altro gran regalo: le meravigliose tavole che accompagnano " Il grande freddo" e che non si separeranno mai da lui. Del resto nemmeno io da Enzo. Grazie Claudio


Bari, 3/5/1997 Claudio Lolli e Paolo Capodacqua in concerto

Bari, 3/5/1997 il primo primo incontro con Claudio Lolli

Presicce (Le), 25/7/2013 l’ultimo concerto nel Salento


www.enzodegiorgi.it degiorgienzo@libero.it

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