Arte Ceramica di Tino Sartori - Kéramos

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arte ceramica di

tino sartori

kéramos

sospensione silenziosa di segni e simboli


Le mani che modellano l’argilla affidano alla terra un forte valore simbolico. L’elemento rimanda al senso, al primordiale, all’essenzialità, ad un’appartenenza fisica e culturale. Creare delle forme coincide con il far scaturire, con il liberare i significati che la terra contiene. Sono configurazioni orizzontali, panoramiche su paesaggi e città dell’anima, e configurazioni verticali, che si ispirano all’arte totemica. Vi si leggono la storia dell’uomo, la natura e la cultura, sotto forma di pagine di libro che crescono sugli alberi e che, per la ciclicità di ogni cosa, alla terra sono destinate a ritornare. Vi si legge la radice che nutre e tende all’elevazione, lo stupore e l’aurora di un nuovo mondo.


arte ceramica di

tino sartori



Tra le mani la terra prende la forma dell’emozione, attraverso un lento e curato gesto guidato dall’occhio che a volte acconsente entusiasta, altre sbadiglia annoiato e comanda il risveglio affinché l’atto creativo sia fresco ed anche audace.

Tr a

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mani

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libri in volo ceramica policroma, 85 x 155 cm

pensieri raccolti ceramica policroma, 55 x 65


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nuova arca di Noè ceramica policroma, 80 x 160 cm


Saper attendere ...ritengo il mio lavoro ancora incompiuto e non voglio contaminare la mia ricerca con un’indicazione di percorso che potrebbe deviare la mia direzione. Non mi interessa la temporale “modernità” e neppure le tendenze del mercato. Lascio a ognuno di voi la libertà di critica non per quanto l’opera è esteticamente ma per quanto vi ha potuto dare. Per cercare di rendere più esplicito e chiaro questo mio modo di pensare l’arte, riporto il seguente bellissimo testo scritto da Rainer Maria Rilke e tratto da “Lettere ad un giovane poeta” che in questi anni di lavoro mi é stato di guida maestra: “....leggete il meno possibile scritti di critica estetica, sono o opinioni faziose, impietrate e ormai senza senso nel loro inanimato irrigidimento, o abili giochi di parole, in cui oggi vince questo parere e domani il contrario. Le opere d’arte sono di un’indicibile solitudine e nulla le può raggiungere poco quanto la critica. Solo l’amore le può abbracciare e tenere ed essere giusto verso di esse. Date ogni volta ragione a voi stessi e al vostro sentimento di contro ad ogni simile interpretazione, trattazione o introduzione; se dovreste aver torto la crescita naturale della vostra intima vita vi condurrà lentamente e con il tempo a ravvedervi e ad altri avvisi. Lasciate ai vostri giudizi il loro proprio sviluppo indisturbato, che -come ogni progresso- deve venire dall’intimo profondo e non può esser da nulla represso o accelerato. Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiere ogni impressione e ogni germe di un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza; questo solo si chiama vivere d’artista: nel comprendere come nel creare. Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l’albero che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senza apprensione che l’estate non possa venire. Ché l’estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l’eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia.”

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geometrie in valle ceramica policroma, 205 x 70 cm


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Qualcosa va custodito nei vasi per continuare il cammino; a volte basta l’emozione che ha generato il vaso.

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custode di memorie ceramica policroma, h 80 cm


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Spesso il nostro concetto di fare è fortemente connotato al senso materico, concreto ed è contrapposto al concetto di poesia. “Qui si lavora, non si fa poesia” è un modo di dire che sottintende che non si vuol perder tempo in sentimenti. Eppure poesia deriva dal greco poiesis, che significa “produzione di qualcosa”. Una parola, quindi, usata inizialmente per esprimere l’azione creatrice dell’uomo nel mondo e il bello che egli é capace di far emergere per mezzo di essa. Poi la “poiesis” é stata separata dall’azione creatrice, lasciata orfana del suo significato originario, così il “fare” si é trasformato in qualcosa di freddo, tecnico, meccanico e multiplo. Ora la poetica deve assumere il difficile compito di ricomporre il semplice fare con il creare poetico ridando significato all’agire dell’uomo.

sculture gotiche ceramica policroma, h 85 cm


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pani e pesci ceramica policroma, 100 x 50 cm


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I pesci appartengono all’acqua, non portano peso, la forza di gravità terrestre su di loro è indifferente, perché il loro peso specifico è uguale a quello dell’acqua. Si muovono liberamente e sanno stare sorprendentemente fermi anche dove l’acqua scorre. Pur essendo fisici, sembra che la materia non li condizioni. Un bel modo di esistere.


simboli in vela ceramica policroma, 65 x 190 cm

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tarantella di pesci ceramica policroma, 205 x 80 cm


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racconto mediterraneo ceramica policroma, 70 x 160 cm

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....tutto passa, tanto meglio essere aiutati dal vento.

gioia del viaggio ceramica policroma, 95 x 265 cm


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poesia in viaggio ceramica policroma 85 x 155 cm


composizione di elementi ceramica policroma, 250 x 110 cm

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danza marina ceramica policroma, 230 x 90 cm

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custode di incertezze ceramica policroma, h 80 cm


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pellegrino errante ceramica policroma, h 85 cm


Una storia da raccontare Il mio cognome è Sartori, è un cognome come tanti, ma a me non è stata data la possibilità di conoscerne le origini, intendo dire che non mi è possibile risalirne l’albero genealogico, in quanto mio nonno fu adottato da una famiglia di San Macario (frazione di Samarate, nella provincia di Varese, dove tuttora vivo). Di mio nonno Rinaldo Sartori ben poche cose conosco: mi hanno raccontato che era figlio di una cantante lirica di Milano di cui custodisco solo una bella foto-ritratto d’epoca. Di Rinaldo ho saputo che era una perrsona distinta, elegante e che, per la sua originalità, ha avuto una vita alquanto difficile in un mondo contadino chiuso e severo. Ma che c’entra questo con il mio impegno con la ceramica? Come è possibile constatare, a San Macario e dintorni non esiste tradizione ceramica, ho cercato i miei maestri in luoghi lontani più che trovarli sotto casa. Ho condotto il mio percorso, teso a rappresentare l’essenzialità ed il primordiale, in modo originale, cercando una creatività antica fatta di gesti semplici e forte aderenza alla più pura interiorità che mi si svelava. In questo mio lavoro artistico, una delle ricerche che mi ha impegnato maggiormente, dal punto di vista tecnico, è stata quella di trovare un’argilla che ben si prestasse alle mie esigenze creative. In questo non sono originale: tutti i ceramisti si preoccupano della qualità dell’argilla che, a seconda della composizione chimica e del grado di raffinatezza, si comporta in modo diverso nelle differenti lavorazioni, garantendo o compromettendo la riuscita dell’opera. Nel mio percorso, ho utilizzato varie terre provenienti da località lontane tra loro, ho percorso l’Italia intera, fino a che ho incontrato un’argilla a Nove, comune vicino a Bassano del Grappa, che ben si adatta alle mie mani e alle mie tecniche, con la quale l’opera cresce bene e non lascia segni di intolleranza, che solitamente si manifestano con crepe, rotture, frantumazione nella cottura....... Questa terra ha funzionato in tutto. All’inizio la ricevevo via corriere, ma un giorno decisi di andare ad acquistarla direttamente a Nove per poter capire, vedere e sentire con i diversi sensi da dove provenisse quell’argilla, a quale paesaggio appartenesse e a quale cultura . Visitando i laboratori di ceramica presenti a Nove, scoprii con grande stupore che il paese di Nove è pieno di Sartori. Si chiudeva il mio primo cerchio.

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Tra le mani la terra prende la forma dell’emozione, attraverso un lento e curato gesto guidato dall’occhio che a volte acconsente entusiasta, altre sbadiglia annoiato e comanda il risveglio affinché l’atto creativo sia fresco ed anche audace.


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Lavorare con l’argilla per me è molto emozionante. La terra è calore, l’argilla permette di ripercorrere il primo gesto creativo dell’umanità che spesso facciamo solo da bambini.


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L’argilla è una materia che, mentre la si lavora, chiede di essere rispettata e valorizzata. Una terra umida, asciugata all’aria e cotta col fuoco in un processo alchemico scandito da ritmi e gesti precisi.


custode di racconti ceramica policroma, h 100 cm

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Gli alberi hanno radici nel cielo

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Spesso cerchiamo nella terra la risposta ad una domanda di appartenenza invertendo ciò che più di naturale esiste nelle nostre coscienze. Parlo di quel senso cosmico che, quando alziamo la testa nella notte stellata e contempliamo l’universo nella sua bellezza ci permette di assaporare un po’ della nostra intimità e rimanere smarriti per il suo dilatarsi. Apparteniamo alla terra solo se, prudentemente, la sappiamo collocare nell’universo.

radici in cielo ceramica policroma, 95 x 165 cm


poesia in viaggi ceramica policroma 85 x 155 cm poesia in viaggi ceramica policroma 85 x 155 cm poesia in viaggi ceramica policroma 85 x 155 cm poesia in viaggi ceramica policroma 85 x 155 cm

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parole al vento ceramica policroma 190 x 85 cm


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composizione di elementi ceramica policroma, 110 x 120 cm

il cammino ceramica policroma, 70 x 200 cm

giornata di vento, particolare ceramica policroma, 95 x 140 cm


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tracce cosmiche ceramica policroma, 80 x 210 cm


Ho iniziato il mio lavoro di modellazione dell’argilla realizzando dei pannelli monocromatici. In alcuni ho aggiunto come sfondo il colore azzurro per evocare la vastità e la purezza del cielo o del mare. Volevo rappresentare il valore dell’essenzialità vissuto come intuizione nel contemplare piacevolmente sia alcuni paesaggi fatti di pareti rocciose visitati sulle Dolomiti oppure sulla costa occidentale della Sardegna, sia l’architettura primitiva dei Dogon modellata in terra cruda con le semplici mani, o ancora nel rimirare le sinuose linee delle dune del deserto del nord Africa... Lì ho intuito che pochi elementi concorrono ad aiutarci a separaci dal superfluo. Nell’essenzialità ho incontrato tanto benessere e libertà. Da qui la prima ricerca artistica. Con l’andare del tempo, dieci anni dopo, ho incominciato ad inserire nelle mie opere delle tonalità sature, differenti tra loro, fino ad arrivare a realizzare delle opere per la maggior parte cariche di colore. Io stesso ne sono rimasto stupito fino a chiedermi se avessi cambiato la finalità della ricerca, interrotto una continuità senza che me ne accorgessi. Ho riflettuto molto, poi d’un tratto mi è apparso evidente che ciò era del tutto naturale, che altri l’avevano già fatto prima di me in modo più compiuto ed articolato. Ho pensato ai tappeti e agli abiti tradizionali delle popolazioni che vivono nel deserto ed ho constatato che i colori di questi sono accesi, luminosi e saturi. Questa considerazione può essere estesa a tutte le popolazioni che abitano tradizionalmente in paesaggi sostanzialmente monocromatici. Ho capito così che il monocromatismo convive con l’esplosione dei colori, che uno è necessario all’altro, che gli opposti creano l’equilibrio. La mia mente si è allora aperta, uscendo da una possibile monotonia e ritrovando nella continuità della ricerca un nuovo motivo di approfondimento che mi avrebbe cambiato lo sguardo. Sono partito per rivisitare alcune città del Marocco.

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custodi di ebbrezze ceramica policroma, h 90 cm

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custode d’amore ceramica, h 90 cm


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attesa tra l’azzurro ceramica policroma 200 x 85 cm

attesa tra il verde ceramica policroma 200 x 80 cm


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attesa raccolta ceramica policroma, 175 x 80 cm

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I contenitori, anche senza contenuto, non cessano di manifestare la loro generosità. Li caratterizza la capacità di attendere, la loro disponibilità a farsi colmare, quasi fosse una necessità, rendendo poi solenne ciò che elargiscono. C’è una relazione sottile tra loro ed il grembo materno evocato da una linea tonda.


attesa sospesa ceramica policroma, 195 x 75 cm

tre elementi ceramica policroma, 120 x 80 cm

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bottiglie in festa ceramica policroma, 165 x 90 cm


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movimento in equilibrio 2 ceramica policroma, 80 x 190 cm

movimento in equilibrio ceramica policroma, 75 x 150 cm


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Quando mi appresto ad iniziare un’opera ho solo bisogno di silenzio ed ordine. E’ necessario avere nella mente un paesaggio disteso ed innevato e davanti la bellezza del foglio bianco. Solo così inizia il primo gesto creativo gravato dalla responsabilità di non sporcare l’immacolato bianco; si deve allora lasciare un segno che sia irreale, inafferrabile con una forte carica evocativa capace di portarti oltre.

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pane e vino ceramica policroma, 70 x 135 cm

covone ceramica policroma, 160 x 55 cm


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Qual è il fuoco che muove l’artista nella sua ricerca e produzione? E dove tende e da dove trova alimento il suo cammino? Molti pensano e anch’io mi sono illuso di credere che la produzione artistica sia la manifestazione della personalità dell’artista, cioè che l’arte sia strettamente legata al soggetto che la produce. Si dice infatti l’opera di Giotto, di Caravaggio.... Altri hanno sottolineato l’appartenenza dell’arte al suo tempo scrivendo libri sulla storia sociale dell’arte. Penso che tutte due le affermazioni siano riduttive in quanto si soffermano solo su ciò che imprime il suo suggello esteriore all’arte, cioè esaltano l’agire del soggetto e della storia, mentre la vera ricerca dell’artista è direzionata verso la perfezione intesa come bellezza, armonia, equilibrio. Se un musicista compone una melodia “perfetta” tutti danno per certo che il succedersi delle note sia necessariamente quello dato, che non possa essere in nessun modo diverso, ma se per errore una nota stonata irrompe nell’esecuzione tutti se ne accorgono ed imputano lo sbaglio all’esecutore. L’errore è legato alla persona mentre la perfezione ne è slegata, cioè è “assoluta” nel senso etimologico del termine, appartiene solo all’essere dell’opera. Oggi penso proprio così: l’artista cerca di rendere sensibile un qualcosa che già esiste, una verità, una perfezione e una bellezza, e per fare questo deve cercare di tenere in secondo piano la sua personalità e le caratteristiche del suo tempo. Solo così può portare alla luce, con il suo operare, qualcosa che trascende il tempo. L’emozione che proviamo di fronte ad un’opera non dipende dal periodo storico in cui è stata prodotta e neppure dal rimando all’artista che l’ha compiuta. Più questa emozione è profonda più l’opera dialoga direttamente con noi, si fa contemplare manifestando tutta la sua verità che trascende lo stile che la caratterizza. Per questo amiamo l’arte, perché ci mette in contatto con un fuoco sacro che ci alimenta e ci apre alla vita. L’artista, quando è tale, compie quel puro cammino di cercare qualcosa di prezioso nella sfera dell’impersonale pur restando nella contraddizione che dovrà manifestarlo attraverso la sua personalità, rilegata, con ogni sforzo, al ruolo di strumento dell’agire artistico e non come cifra principale dell’opera. Gli antichi greci lo sapevano e i loro artisti non firmavano le opere. Nell’antico testamento, per parlare del “vero”, i profeti usavano la formula tipica dei messaggeri: “e dice Dio” liberando così se stessi da ogni personalismo.


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grano maturo ceramica policroma, 55 x 175 cm

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Conosco il sapore del grano maturo tenuto tra i denti per lo stelo nei giorni d’estate mentre lo sguardo osserva le nuvole disegnare con fuggiasca fantasia il cielo. Allora il pensiero si libera come un aquilone spinto dalle correnti ascensionali calde. Conosco il color oro dei campi di grano, che illumina e stupisce gli occhi rendendo regale e compiuto l’orizzonte, quando il cielo è color cobalto e non ci sono corvi. Conosco le onde create dal vento tra le spighe di grano che trasportano i pensieri, cullandoli con movimento curato che appiana gli inciampi, per poi adagiarli sulla superficie dorata di tante spighe. Qui il pensiero lasciato a riposo si tonifica stando prima alla prova ardente del sole estivo, poi al fresco candore della luna. Allora il chicco di grano è maturo.


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La maturità di un’opera non rispecchia la maturità dell’artista, solo indica l’intuizione che quest’ultimo ha avuto e nel migliore dei casi manifesta il luogo che desidera abitare. Essa testimonia la dilatazione della sensibilità dell’artista necessaria per la comprensione del mondo non visibile. Questa apertura al mondo della poesia è stata operata soprattutto dal dolore incontrato e dall’umiliazione subita. L’arte nella sua essenza è figlia di un grido sordo per un dolore che ha lacerato nella profondità l’essere, facendogli sentire l’inopportunità dell’ingiusto, della violenza, del sopruso . Solo così si è manifestata la necessità dell’armonia, del dono e del gioco, della libertà e della bellezza. Anche l’artista che ha realizzato l’opera, se questa è ben riuscita, si commuove di fronte ad essa perché questa lo riporta ad un’intuizione avuta e gli prefigura uno stato non ancora raggiunto ma fortemente desiderato. Esemplificando: difronte ad un’opera non simmetrica ma inspiegabilmente equilibrata dalla presenza del vuoto necessario intuisco quanto possa essere bella una vita fatta di concretezza ma bilanciata dal niente, dall’inafferrabile ed dall’invisibile. E’ una dimensione a cui aspiro, di cui conosco intuitivamente il valore. Quando i cromatismi ben accostati e accordati di un pannello ceramico sono capaci di evocare leggerezza e sensibilità allora vorrei essere anch’io così delicato e sensibile e nello stesso tempo consistente come la terra.

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sentiero di simboli ceramica policroma, 90 x 115 cm

Come si può scordare che il cuore di ciascuno gioisce, soffre e batte non solamente per soddisfare bisogni materiali, ma anche per amore, per un senso di finitudine, per un’innata tensione metafisica. L’operare artistico è una delle attività umane capace di mettere assieme tutte queste pulsioni, liberando lo spazio della mente dalla costrizione temporale, guadagnando delle visioni sublimi dove si possono incontrare energie originali capaci di illuminare la nostra quotidianità, rendendola più autentica.


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appeso al ricordo ceramica policroma, 50 x 120 cm

Non è forse per questo che ascoltiamo o, meglio, partecipiamo entusiasti a un concerto musicale, visitiamo con interesse una città d’arte, assistiamo coinvolti ad un’opera teatrale, osserviamo affascinati a lungo una scultura...? E’ ancora un mistero il perché troppo spesso ci dimentichiamo di considerare queste intuizioni nel vivere la nostra personale quotidianità e progettualità. Ancora peggio facciamo nella politica, nella costruzione della polis, lasciando sempre di più il nostro agire privo di poetica.


Una volta soddisfatti i bisogni primari occorre avere il coraggio di rallentare, restare nell’essenziale e prendersi un tempo per contemplare.

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Dall’azione alla contemplazione c’è un passaggio difficile a farsi, che richiede carattere, forza interiore, consapevolezza di ciò che è bene. Spesso si dimentica che anche il frutto di un buon lavoro merita di essere contemplato e goduto. “Il settimo giorno si riposò e vide che ciò era buono” e poi non lavorò più. La consapevolezza che non serve affannarsi per essere felici ci può venire da un atto d’amore. Quando si è innamorati si è felici semplicemente perché l’altro esiste, non perché lavora. Si è accolti e si desidera l’altro per la sua essenza ritenuta preziosa, indispensabile ed unica. Tutto ad un tratto, l’essere è caricato di significato e si riscopre così la gioia di esistere. Il sole, quando si leva al mattino, non si chiede cosa fare, illumina e riscalda perché questa è la sua essenza; è nell’esistere che svolge la sua funzione radiosa. Perché noi uomini cerchiamo fuori da noi, nel fare, il significato della nostra esistenza? Non è forse da qui che nasce la nostra alienazione? L’arte, figlia dell’esercizio della contemplazione e della riflessione che precede l’atto creativo, a volte indica la strada per arrivare a una nuova coscienza. Il godimento dell’opera è un fine dell’opera stessa. Una musica che piace la si ascolta con attenzione e ci si lascia trasportare da essa, un quadro che stupisce fa spalancare gli occhi perché possano riceverne tutta la luce. Entrambi non si usano, si contemplano! Ma il passo non è ancora compiuto, occorre trasportare questa intuizione nella nostra quotidianità piena di opere d’arte infinitamente più riuscite (la natura ce ne offre infinite elencazioni), che paradossalmente non sappiamo riconoscere. Gli uomini, che davvero ci hanno lasciato tanto, hanno lavorato poco, realizzando opere invece che prodotti. In compenso hanno diffuso la loro energia, illuminandoci in questo viaggio a cui hanno dato tanto tempo alla contemplazione.


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alberi marini ceramica policroma, 230 x 85 cm


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Illusa dal vento una foglia si stacca dal ramo, cerca il volo verso quel cielo tanto agognato a cui ha volto lo sguardo per una vita, l’attende la terra umida e feconda l’accoglie e la rigenera in una nuova vita. Solo all’uomo è dato osare tanto: pensarsi e trovarsi, sopra le cose conosciute, in un mondo altro.

verso l’alto ceramica policroma, 70 x 150 cm

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tra due soli ceramica policroma, 80 x 205 cm


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paesaggio primordiale ceramica policroma, 190 x 85 cm

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Il deserto è un luogo che può essere assunto come metafora della condizione interiore dell’uomo che si allontana dalle cose a cui ha dato un nome, per inoltrarsi in un cammino di ricerca dove sono aboliti le forme e i condizionamenti. Così, liberandosi da ciò che ha posseduto e anche da ogni ruolo finora assunto, sgomberata la mente dalle immagini che l’hanno assediato, egli scopre il vasto


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silenzio come il luogo in cui entra in contatto con le energie superiori che lo attraversano, essendosi reso permeabile. In questa condizione l’uomo può dilatare la propria sensibilità, uscendo dalla gabbia dell’ego per andare verso ciò che sta oltre l’apparire delle cose. Il mondo si schiude a una luce raggiante.


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architettura in terra ceramica policroma, 200 x 85 cm


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aurora primordiale ceramica policroma, 200 x 80 cm


76 C’è qualcosa di irriducibile in noi: lo stupore. Lo avvertiamo solitamente di fronte a una bellezza perfetta, inaspettata, perché irrompe nel macchiato quotidiano, ma non per questo irreale. Anzi, la sua perfetta aderenza alla realtà ce ne ampia la comprensione, svelandoci qualcosa di nuovo. Possono essere i pochi minuti di un’incantevole aurora dai colori rosa e azzurro a renderci preziosa un’intera giornata avvertita allora come dono e opportunità, l’armoniosa ed elegante danza di una ballerina a ridarci la pregnante grazia di ogni gesto, le poche parole di un verso poetico ad aprirci al senso nascosto di un’emozione finora vissuta in superficie....... Lo stupore toglie il velo alle cose, cioè svela e ci permette di penetrare l’opacità del mondo. La bellezza non appartiene al mondo dell’estetica, cioè dell’esteriorità e dell’apparenza. La bellezza rimuove le croste. L’arte deve credere nella bellezza, perché essa è capace di trascendere il mondo senza separarci da esso, ricollocandolo nella sua autentica dimensione.

aspettando l’alba ceramica policroma, 75 x 135 cm


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Attraversati da un paesaggio non si rimane indifferenti, l’opacità del mondo è solo un’apparenza, siamo percorsi o meglio trapassati continuamente da ciò che ci sta attorno. E’ offensivo per noi stessi deturpare i paesaggi naturali, si può aggiungere senza disturbare, conservando intatta la percezione del senso di appartenenza cosmica. Questa è una legge urbanistica applicata per molti millenni da differenti popoli e

tracce maghrebine ceramica policroma, 160 x 70 cm


culture, riscontrabile nei siti archeologici o nei villaggi primitivi, entrambi tanto visitati nei salutari respiri delle vacanze. A sottolineare la volontà di rendere evidente la presenza dell’invisibile anche nei centri abitati, dove lo sguardo era costretto alle cose terrene dalla quotidianità laboriosa, si costruivano templi in luoghi strategicamente belli e godibili, dove gli uomini potevano alzare la testa affondando le loro radici nel cielo.

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tracce maghrebine, particolari ceramica policroma

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Che la mia arte ceramica abbia contaminazioni con quella di paesi extraeuropei è un fatto evidente, ma arrivare a capire il perché della ricerca di altre forme espressive è rimasto a lungo per me una domanda con risposte superficiali, quali il gusto esotico, una ricerca etica interculturale...... Ora, che sono riuscito a mettere a fuoco che la mia espressione artistica tende ad essere simbolica, in quanto eleva ad emblema un elemento caricandolo di significato, tutto mi sembra più chiaro. Quando rappresento una scala appoggiata ad un astro, dei libri che volano, una spiga di grano, un pesce..., ciascun visitatore attribuisce alla figura un valore che va oltre la collocazione dell’oggetto nell’universo utile, caricandolo di un significato di rimando, che apre ai sentimenti e al trascendente. La scala diventa desiderio di ascensione, il libro diventa dono prezioso di tesori per l’anima ... Questo modo di fare arte attraverso i simboli è tipico del periodo romanico ed è presente in molte culture “primitiviste” extraeuropee. Con l’Umanesimo e il Rinascimento i simboli perdono d’importanza, la realtà terrena irrompe e la progettualità umana si impone. Ora mi risulta chiaro che la mia avversione per la cultura antropocentrica viene da lontano, da un’intuizione giovanile guidata dall’assenza di emozioni profonde di fronte alle opere rinascimentali e post. Mi accadeva che, di fronte ad un’opera romanica o ad un mosaico bizantino, le mani mi si aprivano pronte a ricevere energia e gli occhi fissavano l’immagine per andare oltre, mentre di fronte a una prospettiva rinascimentale l’orizzonte mi pareva troppo vicino, lo spazio prospettico diventava muro invalicabile e lo sguardo mi si fermava a una lettura descrittiva. Non avendo ancora chiaro nell’età giovanile, la crisi dell’Umanesimo oggi evidente, ho cercato altrove, con la bussola dell’emozione e dell’intuizione, qualcosa di vero per non rimanere nell’errore della volontà di potenza della cultura occidentale. Ecco la molla della mia ricerca al di fuori della cultura europea.

aspettando l’aurora ceramica policroma, 80 x 100 cm


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Quando si apre il forno è sempre uno stupore vedere il lavoro svolto dal fuoco, visibile nella trasformazione fisica e cromatica avvenuta nella materia che rende l’opera unica nella sua forma e storia. L’argilla è un incontro con l’essenzialità e il primordiale, dove, al di fuori di ogni velleità, la semplicità e la poesia riescono ad esibire l’autenticità del vivere. La terracotta è in sé un messaggio che educa al rispetto e all’accoglienza dell’Altro. L’opera, quando riuscita, racchiude ed elargisce un’energia positiva, accumulata con pazienza nella sua storia, un’energia capace di regalare allo sguardo e alla coscienza di chi la visita una nuova visione. tacita intesa ceramica policroma, h 90 cm

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raccolta dopo la mareggiata ceramica policroma, 75 x 200 cm


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il dono ceramica policroma, 70 x 170 cm


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Un portone svolge la sua funzione quando chiude un’entrata. Il passaggio esiste, il portone impedisce di valicarlo. La fisicità della porta appare come una barriera opaca, apparentemente impenetrabile, laddove esiste un’apertura a qualcosa altro da ciò che lo precede. Questa intuizione di qualcosa di diverso che sta oltre genera curiosità, fa muovere le mani sulla maniglia, fa scuotere la porta ripetutamente e a volte ci spinge a guardare attraverso la serratura. Non ho trovato forma migliore del portone per esprimere il desiderio di varcare una soglia, intesa non solo come spazio fisico ma come la fisicità stessa. Gli elementi sopra posti simboleggiano le sostanze alchemiche, antiche e quotidiane, che ci conducono a questo appuntamento, facendoci immaginare un’accoglienza inaspettata, seppur preparata anche da noi nel nostro amato viaggio.


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portone ceramica policroma, 85 x 200 cm


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tracce ceramica policroma, 70 x 64 cm


Sul monocromatismo Se vuoi amare i colori contempla un paesaggio innevato in alta montagna in una giornata di sole, non avere la presunzione di capire tutto in pochi minuti; rimani per ore osservando l’impercettibile variare della luce. Rimani solo tra il bianco e l’azzurro del cielo. Allora ti accorgerai che il bianco della neve è in alcuni luoghi e momenti lievemente tinto d’azzurro, in altri di giallo, in altri di rosa, in altri ancora dove riflette la luce del sole é dorato, in altri appare come cristallo. E’ così che ho appreso che il monocromatismo non è la presenza di una sola tonalità ma è quel sottile accordo cromatico tanto riuscito da risultare impercettibile perché perfetto . Solo la contemplazione permette di riconoscere la perfezione e rimanerne estasiati.

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libri sfogliati Biblioteca di Cavaria - Varese

libri sfogliati Biblioteca di Tradate - Varese


La fine della committenza nell’arte è stata celebrata nel XX secolo come un evento che ha finalmente dato piena libertà all’artista affinché questi possa esprimere appieno il suo talento creativo. Pochi hanno colto il rovescio della medaglia di questa nuova condizione in cui l’arte veniva posta, cioè separata dalla società che ne dichiarava palesemente l’inutilità, privandola di ogni funzione, salvo poi concedergli qualche spazio in luoghi chiusi e auto celebrativi. Come artisti, per trovarsi bene in questa nuova condizione, occorreva essere dei perfetti narcisisti, insensibili ad ogni passione sociale, incapaci di definirsi e misurarsi all’interno di una comunità, staccati e sradicati dal reale, sordi al bisogno di bellezza come immagine del bene. Chi, al contrario, come artista aveva lo sguardo aperto all’altro e cercava di dilatare con l’esperienza la propria sensibilità percettiva per cogliere le verità nascoste dall’apparenza, chi prestava attenzione alla realtà per leggerla su molteplici piani, percepiva con profondo dolore come questa nuova condizione in cui veniva a trovarsi l’arte apriva le porte alla decadenza della società che si dichiarava tecnica, fredda, meccanica, alienata dal materialismo interessato. La committenza obbligava l’artista capace (non mercificato) a produrre il bello con un atteggiamento attento e fissato su una situazione reale, fatta di fisicità, cultura e necessità Questo modo di porsi portava a cogliere, con uno sforzo creativo non indifferente, fatto di sensibilità e dedizione al proprio lavoro, la “vocazione” del luogo e a creare un qualcosa che non poteva essere altrimenti, quindi amato e rispettato nei tempi come punto alto di arrivo. La bellezza così prodotta apparteneva ad una categoria trascendentale, metafisica ben prima che estetica. Ma per trascendere la realtà occorre, come condizione necessaria, che questa venga appassionatamente considerata, perché solo con allusioni presenti e celate nel reale si arriva al mistero.

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raccolta, ceramica policroma, 80 x 85 cm


frutti del lavoro ceramica policroma, 160 x 210 cm

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Ho sempre pensato che l’arte potesse avere una funzione spirituale in quanto capace di destare ed alimentare lo spirito. È sensazione diffusa che dopo un’immersione nel mondo artistico, qualsiasi sia il genere, se ne esca più lievi e distaccati dalle cose materiali. L’esperienza che ho potuto sperimentare, rispondendo ad una committenza religiosa, mi ha spinto oltre in quanto ho dovuto considerare le aspettative delle persone di fede. Queste infatti chiedono che l’icona abbia la capacità di evocare qualcosa di profondo, degno di meditazione. Solo allora l’opera viene contemplata. Con questa chiarezza ho affrontato il compito, assegnatomi dalle Suore Mantellate Serve di Maria, di creare delle opere per la Casa di Spiritualità “Mater Dei” di Treppio (Pistoia) in occasione del 150° anniversario della fondazione della Congregazione. Considerando che le due sorelle fondatrici nel 1861 erano impegnate soprattutto “a far scuola alle fanciulle del popolo e assistere gli infermi” era necessario cogliere la poetica di queste opere di carità e cercare simboli che potessero evocare la gratuità, la gioia e la determinazione delle sorelle nel condurre l’esperienza scelta e proposta dall’ordine. Da queste riflessioni nascevano, in stretto rapporto collaborativo con le suore di Treppio, queste opere.


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annuncio ceramica policroma, 125 x 165 cm


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poiesis ceramica policroma, 200 x 150 cm


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poiesis ceramica policroma, 200 x 150 cm

contemplazione ceramica policroma, 110 x 170 cm


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viaggio nella speranza ceramica policroma, 90 x 270 cm


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In fase conclusiva di questo lavoro, che coincide con la messa in opera dell’intervento artistico al Convento di Treppio, ho voluto salire sulla vetta del Monte Rosa in armoniosa solitudine nell’immensità del paesaggio che apre il cuore alla contemplazione. A queste altezze e a queste vicinanze con il ghiacciaio si ha la netta percezione che la montagna sia in movimento. Sono l’andamento del ghiacciaio con le sue lunghe linee vorticose, i suoi ripetuti crepacci, il suo interrompersi con un taglio netto e fresco sopra un dirupo a svelare che dietro questa apparente immobilità è presente un movimento lento ma continuo ed inesorabile. Qui il monocromatismo manifesta tutta la sua bellezza e la capacità di stupire e sorprendere. A volte gli occhi non riescono a reggere l’abbondanza di luce quando il sole splende nel blu cobalto e il bianco domina il paesaggio, ma accade anche che una improvvisa nebbia tolga l’orizzonte più prossimo e renda incerto il passo. In questo spazio - così alternativo alla quotidianità contemporanea fatta di velocità, frenesia, molteplicità di immagini e stimoli, di orizzonti certi o ritenuti tali perché artificiali e governati dalla ragione - è quasi facile farsi condurre dalla contemplazione. Di ritorno da questa esperienza, per caso o per necessità, ho trovato in un libro di Elémire Zolla “Gli arcani del potere” alcune pagine che parlano del “ritorno alla contemplazione” che voglio mettere qui, sia perché la contemplazione è un filo rosso che percorre la mia ricerca, sia perché penso possa essere di chiarimento al lettore che voglia meglio comprenderla lasciando così uno spazio alla riflessione che vada oltre questo volume pur continuandone il messaggio. “Contemplazione è in primo luogo il movimento onde ci si affranca dalla preoccupazione per le circostanze contingenti, dalle passioni e dagli interessi, individuali o collettivi che siano. Contemplando si cessa di dire io o noi, si imparano a discernere gli aspetti transitori


e l’immutevole, e ci si accorge che nella misura in cui ci si affigge all’essere, le passioni sono placate, si gode una perfetta indifferenza. Si è allora in grado di distinguere l’eterno e la quiete, di riconoscere che il primo si riflette nell’uomo attraverso la seconda. Si impara a subordinare gerarchicamente il transitorio all’eterno e, interiormente, si stabilisce come valore supremo la quiete, il distacco dalle passioni disordinate, per benigne che siano o si presentino tali. Questa virtù contemplativa è propria non solo di mistici o di uomini di inclinazioni artistiche (sebbene queste ultime siano inferiori alle prime); piuttosto essa é nota a chiunque racchiuda in sé un nucleo di quiete e spontaneità spirituale. In un certo senso la capacità contemplativa è un privilegio, ma ovviamente non ha nulla a vedere con le circostanze favorevoli o meno in cui la società pone l’uomo, prova ne sia il numero di contemplativi vissuti per loro scelta in povertà; non ha rapporto, e quasi ci si vergogna notarlo, con l’informazione culturale, prova ne sia il numero di contemplativi digiuni di cultura. Nemmeno, come si è affermato, implica l’inazione. Viceversa è vero che l’ambito contemplativo è l’unico presidio della spontaneità nell’azione.”


freeman editrice busto arsizio- italia ottobre 2011


L’architetto ceramista Tino Sartori è un artista che da più di vent’anni lavora la ceramica per realizzare opere che hanno trovato collocazione in spazi architettonici interni ed esterni, pubblici e privati. Il suo impegno nella ceramica si manifesta nel prendere l’argilla e manipolarla avendo cura di rispettare i suoi tempi, cercando di costruire un’armonia tra le sue forze espressive e le specifiche proprietà della materia. Le tecniche di manipolazione, le opere, la critica e la vita dell’artista si possono visitare sul sito:

w w w.tin os a r to r i.i t

laboratorio: Via Ferrini 54 - 21010 San Macario (Varese) Tel. 0331 235463 e-mail tinosart@alice.it



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