CSRoggi Magazine n.4

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CSR

Per una corretta divulgazione del mondo della Sostenibilità

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Il magazine della Comunicazione Sociale Responsabile Periodico trimestrale - N° 4 - settembre 2017

RESPONSABILITÀ SOCIALE E TERZO SETTORE. INSIEME, AVANTI TUTTA! «La Riforma del Terzo settore – dice l’on. Luigi Bobba, Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con delega alla CSR – stimolerà la capacità del settore di catalizzare capitale umano motivato e qualificato».

QUANDO LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA PRENDE IL VOLO

B CORP, PER UNA PROSPERITÀ DUREVOLE E CONDIVISA

Sebastiano Renna, Head of Corporate Social Responsibility di SEA: «Sin dal 2012 mettiamo in campo progetti di sostenibilità che coinvolgono tutti i principali responsabili aziendali».

Erik Ezechieli e Anna Cogo di Nativa ci spiegano che cos’è una Società benefit e quali passi devono essere compiuti per raggiungere questa ambiziosa qualifica.




chi siamo IL COMITATO SCIENTIFICO DI CSROGGI MAGAZINE Vito Moramarco Professore ordinario di Politica Economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Direttore Divisione Italy and New Markets di Altis. Giorgio Fiorentini Professore Associato di Economia Aziendale nell’Università Bocconi di Milano. Contracted Research Fellow presso il CERGAS, Università Bocconi. Docente Senior SDA Bocconi, Area Public Management & Policy. Direttore del Master NP&COOP, SDA Bocconi. Luca Pesenti Ricercatore di Sociologia generale nella Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Sistemi di welfare comparati. Collabora a OPeRA (Osservatorio Povertà e Reti di Aiuto) nello stesso ateneo. Giancarlo Provasi Professore ordinario di Sociologia economica presso l’Università degli Studi di Brescia. Dall’ottobre 2013 è presidente di Socialis-Centro studi in imprese cooperative, sociali ed enti non profit. Carmelo Ferraro Direttore dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Segretario dell’Unione Lombarda Ordini Forensi e mediatore professionista. Da sempre impegnato nel sociale, ha favorito la creazione di una rete di sportelli di assistenza ai cittadini. Marco Pietripaoli Direttore generale di Ciessevi-Centro Servizi Volontariato Città Metropolitana di Milano, che aggrega significative realtà del volontariato e dell’associazionismo milanese per promuovere, sostenere e qualificare il volontariato in tutte le sue forme. Paolo Giovanni Del Nero Direttore dell’Associazione Città dei Mestieri di Milano e Lombardia. Giuseppe Feyles Dirigente d’azienda, autore televisivo e regista italiano. Manager in Mediaset, dove ricopre il ruolo di “Coordinatore produzioni intrattenimento Roma”, è stato direttore di Rete 4 e Iris. Carlo Masseroli Direttore generale di Milanosesto S.p.A. È stato assessore allo Sviluppo del Territorio della Città di Milano tra il 2006 e il 2011. Carolina Pellegrini Libera professionista. È stata Assessore alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale Regione Lombardia. Lorenzo Malagola Responsabile Italia Institutional Relations del Gruppo Edenred, inventore del Ticket Restaurant e leader mondiale nelle soluzioni per il welfare aziendale. Eliana De Martiis Strategic Development Manager Medicasa Italia S.p.A., Gruppo Air Liquide che si occupa di Assistenza Domiciliare Integrata. Cristiana Rogate Fondatrice e CEO di Refe-Strategie di Sviluppo Responsabile, società di consulenza e formazione che lavora su responsabilità sociale, sostenibilità dello sviluppo, trasparenza e partecipazione.

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IN COPERTINA LUIGI BOBBA Sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali Luigi Bobba è Sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali con deleghe alla formazione professionale e ai servizi per il lavoro; al Terzo settore e alla responsabilità sociale delle imprese; al servizio civile e alle politiche giovanili. È anche delegato dal Ministro del Lavoro nel comitato di indirizzo strategico del Fondo per la lotta alla povertà educativa minorile. Negli anni di attività al Governo si è dedicato, in particolare, al rilancio e alla crescita del Servizio civile nazionale e alla sua riforma in Servizio civile universale. Ha seguito la riforma del terzo settore portando a compimento non solo l’iter parlamentare, ma anche – nel luglio 2017 – i cinque decreti attuativi, compreso il nuovo Codice del Terzo settore.

CSRoggi Periodico trimestrale N° 4, settembre 2017 Via Spallanzani 10 – 20129 Milano - www.csroggi.org Editore Com.Expert di Calchera Bruno Viale Omero 22 – 20139 Milano Direttore Responsabile Bruno Calchera (bruno.calchera@csroggi.org) Direttore Editoriale Ugo Canonici (ugo.canonici@csroggi.org) Caporedattore Luca Palestra (luca.palestra@csroggi.org) Redazione Elide Bonazzi, Sarah Canonici, Marco Taverna, Elvira Vigorelli (redazione@csroggi.org) Progetto grafico e impaginazione A cura della redazione di CSRoggi Servizio Pubblicità Gestito direttamene dall’editore (pubblicità@csroggi.org) Hanno collaborato Andrea Lisi, Carlo Rho, Paolina Casalinuovo (Ciessevi), Giancarlo Provasi, Silvia Valigi (Fondazione Rava) Stampa Press UP s.r.l. – via Amerina 37 – 01036 Nepi (Vt) Service provider Supernova s.r.l. – Netsons.com Network Via della Scrofa 58 – 00187 Roma Registrazione presso Tribunale civile e penale di Milano n. 186 del 13 luglio 2016

ABBONAMENTI

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SOMMARIO

editoriale

Pagina 8 Come rendere le imprese più responsabili socialmente Giancarlo Provasi, docente di Sociologia economica dell’Università degli Studi di Brescia: la buona reputazione oggi è importante.

di Bruno Calchera

È NATO QUALCHE COSA DI NUOVO IN EDITORIA

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inalmente lo abbiamo visto! È il nuovo prodotto editoriale, quel “Buone Notizie”, settimanale, che esce dalla pancia del Corriere della Sera e dalla vitalità di un editore vero. Ma prima di Buone Notizie quale era l’informazione disponibile su Terzo Settore e CSR? Ce n’era tanta, diffusa, settoriale – continuerà quest’ultima a esistere – e andava perdendosi quella più generalista che ha sempre più faticato a permanere in edicola in forma cartacea (o in abbonamento) fino a sparire del tutto. C’era bisogno del coraggio e della forza del più importante editore italiano per riproporre in forma cartacea (e non solo) uno strumento informativo utile, chiaramente impostato, con una redazione ampia e capace di intercettare le molte “notizie positive” che abitano nel nostro mondo. E dopo averlo visto non possiamo che dire: è una grande novità nel mondo della comunicazione. La vera novità dell’anno! “Buone Notizie” sembra assorbire tutto ciò che emerge nel mondo del Bene Comune: dal Terzo Settore, al volontariato, alle storie di vita, alle iniziative in Italia e all’estero, agli appuntamenti più significativi, e alla CSR. Ecco, su questo versante ci siamo interrogati anche noi di CSROGGI. Dobbiamo cessare di esistere perché è entrato un competitor così importante? Il nostro compito originale si è esaurito? Vale la pena continuare a fare un periodico e a inviare tante newsletter? La risposta a questo interrogativo è giunta proprio dal settimanale del Corriere della Sera. L’articolo di pagina 25 firmato da Dario Di Vico – un’intervista a Enrico Giovannini, oggi portavoce dell’ASviS – che titola “Il circolo virtuoso di utili e bene” ha posizionato storicamente la CSR , l’ha pure definita nel tempo. Tra l’altro, ha detto “in un periodo di crisi la CSR crea i presupposti di una “complicità” tra imprese e dipendenti, un nuovo contributo a rompere vecchi schemi, a dare impulso diretto e indiretto alle numerose esperienze di welfare aziendale”. (…) “Le politiche

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del riuso possono essere un business e l’economia circolare contribuisce a cambiare la prospettiva con cui le aziende affrontano il tema delle risorse limitate”. Le pagine di “Buone Notizie” che seguono quest’articolo sono testimonianze di cosa significa fare CSR. Un incoraggiamento al nostro lavoro Queste pagine incoraggiano il nostro lavoro. È evidente che il contributo di “Buone Notizie” aiuta a preparare un terreno sensibile alle diverse tematiche della CSR, ma è altrettanto evidente che tocca a noi dare voce e visibilità a quanto accade oggi, informando il lettore di un complesso di iniziative e di opportunità che solo chi fa approfondimenti può fare. Siamo editori che intendono raccontare particolari aspetti della vita sociale e dell’economia legati alla CSR. A noi tocca cogliere i fatti del presente, raccontarli e declinarne gli aspetti più importanti. Ad esempio dobbiamo conoscere le aziende che fanno effettivamente economia circolare e con quali risultati; trovare i tanti testimoni della CSR che danno il loro contributo al miglioramento sociale; dare voce alle Istituzioni che si stanno innovando in chiave CSR – il Tribunale di Milano ad esempio – infine, cercare di collegare, là dove è possibile, l’opera e la vita del Terzo Settore con i protagonisti della macro economia. CSROGGI si affianca ed è sensibile a “Buone Notizie”, ma lo fa in modo specifico: amplificando tutto ciò che accade nel mondo della CSR, registrando le novità del periodico del Corriere e, anche, suggerendo alla sua redazione i fatti più significativi che abbiamo notato e approfondito. Ben venga il contributo di “Buone Notizie”, quindi. Sarà più facile, per CSROGGI, dare conto della propria mission originale e cercare e trovare realtà più disponibili a farsi conoscere e a raccontare le nuove iniziative originate dalla Responsabilità Sociale in azione. Bruno Calchera Direttore Responsabile di CSRoggi

Pagina 10 Il nostro sostegno ai soggetti che generano valore condiviso «La riforma del Terzo settore – dice l’on Luigi Bobba – stimolerà la sua capacità di catalizzare capitale umano motivato e qualificato». Pagina16 Sea, quando la responsabilità d’impresa prende il volo Intervista a Sebastiano Renna, responsabile CSR dell’azienda che gestisce gli scali aerei milanesi di Linate e Malpensa. Pagina 22 B Corp, per una prosperità durevole e condivisa Eric Ezechieli e Anna Cogo di Nativa spiegano che cos’è una Società benefit e quali passi devono essere compiuti per diventarlo. Pagina 26 Fondazione Francesca Rava, sempre dalla parte dei bambini Nata nel 2000, la fondazione con sede a Milano offre un aiuto concreto ai bambini in situazione di disagio in Italia e nel mondo. Pagina 28 Terzo settore, e venne il giorno della riforma A luglio 2017 si è concluso l’iter legislativo che ha condotto a una riforma che coinvolge 300mila organizzazioni di tutta Italia. Pagina 30 Rendicontazione non finanziaria e fiducia degli investitori Un sondaggio effettuato da Ernst&Young dimostra che gli investitori sono meglio disposti verso aziende che si mostrano più “aperte”. Pagina 31 Abbigliamento, aziende unite per misurare la sostenibilità Nel 2010 negli USA è nata la Coalizione Sostenibile per l’Abbigliamento che riunisce oggi più di 200 marchi globali. Pagina 32 Salone CSR 2017, successo confermato Reportage fotografico della quinta edizione del salone organizzato in Università Bocconi, intitolato “L’arte della sostenibilità”. Pagina 34 Le news Le novità dalle aziende e dagli operatori che si occupano di sostenibilità: Sky, WWF, MetLife, Estra, Marsh, Biraghi. Pagina 36 Le tesi Le tesi di laurea e di dottorato che affrontano e analizzano i diversi aspetti legati alla responsabilità sociale d’impresa. Pagina 37 I libri “La responsabilità sociale delle organizzazioni”, “Impresa e CSE: la ‘non comunicazione’ di successo” e “L’economia della ciambella”. Pagina 38 Secondo Me «Le due gabbianelle». È importante che chi sa, voglia e possa accompagnare chi vuole sapere. Senza “voli” difficili.



l'opinione

GIANCARLO PROVASI / I PROBLEMI DELLA CSR OGGI

COME RENDERE LE IMPRESE PIÙ RESPONSABILI SOCIALMENTE

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a necessità di comportamenti di impresa eticamente e socialmente responsabili è sempre più all’ordine del giorno in una realtà economica dove l’opportunismo e la spregiudicatezza al fine di ottenere vantaggi materiali immediati sono ampiamente presenti. Per altro, forse anche per reazione a tutto ciò, cresce la sensibilità dei cittadini e di molte imprese per comportamenti eticamente e socialmente responsabili. Ne sono testimonianza non solo la diffusione di riviste e di insegnamenti universitari sulla business ethics, ma so-

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prattutto il crescente numero di imprese che aderiscono ai principi della Corporate social responsibility. Si tratta senza dubbio di un movimento importante e positivo, che merita attenzione e sostegno al fine di contrastare atteggiamenti diffusi, che nuocciono al clima di fiducia che deve essere alla base delle relazioni economiche e al cui degrado va imputata una parte non secondaria delle ragioni della crisi che stiamo attraversando. Tuttavia, proprio per il rilievo che il movimento viene ad assumere, è necessario affrontare senza infingimenti

alcune questioni che rendono allo stato il movimento verso imprese socialmente responsabili difficile e poco efficace. Due le questioni più importanti: 1) come conciliare la responsabilità sociale (verso tutti i portatori di interesse toccati dall’impresa) con il principio centrale nella organizzazione d’impresa del profitto (di interesse dei soli portatori di capitale); 2) come rendere se non vincolante almeno trasparente e certificato il rispetto dei principi della CSR da parte delle imprese che dichiarano di aderirvi.


GIANCARLO PROVASI Professore ordinario di Sociologia economica presso l’Università degli Studi di Brescia. Da ottobre 2013 è presidente di Socialis-Centro studi in imprese cooperative, sociali ed enti non profit.

Garantire un elevato grado di trasparenza Partiamo dalla seconda questione che ci porta tuttavia come vedremo alla prima, quella davvero dirimente. È indubbio che godere di una reputazione di impresa socialmente responsabile oggi paghi anche nei confronti dei consumatori, sempre più sensibili come si è detto al tema, e delle istituzioni pubbliche, portate a stabilire rapporti fiduciari più immediati nei confronti di imprese che si dichiarino attente agli interessi di carattere generale. A causa di asimmetrie informative minori, tale reputazione conta di meno ma è comunque presente nei confronti anche di altre categorie di stake-holder: quali quella dei fornitori o dei lavoratori e delle loro rappresentanze. L’adesione dunque, proprio perché utile anche strumentalmente, non basta. Diviene necessario garantire un elevato grado di trasparenza circa l’applicazione effettiva dei principi della CSR. È dunque ineludibile, anche nell’interesse delle stesse imprese e a tutela della concorrenza, che l’adesione alle pratiche di responsabilità sociale, ancorché volontaria, possa essere adeguatamente certificata. Sono note le incertezze e la continua evoluzione degli standard di certificazione adottati in passato. L’approdo più recente (UNI ISO 26000) è tuttora poco praticato per le difficoltà e i costi di implementazione. E tuttavia la presenza di un ente terzo che verifichi la corrispondenza tra i valori dichiarati e le prassi adottate è una condizione necessaria ancorché non sufficiente per una effettiva ed efficace adozione dei principi della CSR. Il peso dei vari portatori di interesse Le incertezze e le difficoltà registrate sul piano della certificazione tradiscono per altro una questione più di fondo. Quella relativa al peso o alle priorità da assegnare ai vari portatori di interessi. È ben nota l’obiezione di Milton Friedman alla teoria degli stakeholder: l’unica missione dell’impresa è fare profitti, remunerando i portatori di capitale e contribuendo così indirettamente alla crescita economica; spetta allo stato preoccuparsi dei bisogni sociali e dell’interesse generale. Va al di là di questo mio breve intervento entrare nel merito teorico di questa posizione e delle sue nume-

rose implicazioni e conseguenze, tra cui quella niente affatto secondaria del confine e del rapporto tra responsabilità sociale e responsabilità giuridica dell’impresa. Quello che qui importa notare è che nei fatti, prima ancora che nei principi, la CSR convive ed è inevitabilmente condizionata da una duplice fedeltà: verso i portatori di capitale, nei confronti dei quali tutta la costruzione normativa e di governance delle imprese for profit è finalizzata, e verso le altre categorie di portatori di interesse, nei cui confronti i principi della CSR chiedono attenzione e rispetto. La questione, a ben vedere, è anche più generale: se si guarda all’impresa come a un’organizzazione sociale complessa in cui molteplici soggetti insieme cooperano per un fine comune ma anche competono a tutela dei propri interessi di parte, il conflitto potenziale di interessi è non solo tra i portatori di capitale e gli altri stakeholder, ma anche tra questi ultimi. Basti ricordare, come esempi particolarmente rilevanti, il conflitto tra consumatori e lavoratori nel settore dei servizi o tra lavoratori e comunità locali nel caso di imprese inquinanti. Le imprese benefit, il futuro della CSR La necessità dunque di uscire da una visione irenica della CSR e di mettere a tema la questione della gestione multi-stakeholder di una impresa socialmente responsabile è ormai matura. Mi sia consentito allora, in conclusione di questo mio breve contributo, suggerire una pista di riflessione allo stato minoritaria ma che reputo di grande interesse: quella che si colloca in continuità con la lunga tradizione del movimento cooperativistico e che sta avendo, soprattutto negli Stati Uniti, una rivisitazione e rigenerazione sotto forma di imprese low-profit e benefit. Anche la legislazione italiana (nella legge di stabilità 2016) ha normato il modello delle società benefit: società che statutariamente definiscono gli obiettivi sociali che intendono perseguire e di conseguenza il peso relativo dei diversi stakeholder coinvolti. Un modello, che anche per l’impianto normativo su cui si fonda (tutele giuridiche, forme di accountability, possibilità di adottare modelli innovativi di governance) può costituire il futuro di imprese che scelgano davvero di essere socialmente responsabili. 9

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l'intervista

IL NOSTRO SOSTEGNO AI SOGGETTI CHE GENERANO VALORE CONDIVISO «Il Terzo settore – dice l’on. Luigi Bobba – ha dimostrato di essere un polo di attrazione per professionalità sempre più specializzate. Con la Riforma che lo riguarda, abbiamo creato una cornice chiara all’interno della quale muoversi, stimolando la capacità del settore di fungere da catalizzatore di capitale umano motivato e qualificato». CSR

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Luigi Bobba

di Carlo Rho

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uigi Bobba è uno dei padri della Riforma del Terzo Settore, il cui iter parlamentare si è concluso lo scorso luglio 2017. La sua è una vita dedicata al mondo del volontariato e all’impegno attivo rivolto allo sviluppo e alla crescita di un mondo, quello appunto del Terzo settore, che fa dell’aiuto agli altri il proprio obiettivo primario. Come Sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’on. Bobba ha anche la delega alla responsabilità sociale delle imprese. Qual è l’impegno del Ministero in ambito CSR? Quale impatto può fornire la CSR sul mondo del lavoro e del volontariato? E qual è il presente e, soprattutto, il futuro del Terzo settore? Queste le domande che gli abbiamo rivolto, a seguire le sue risposte. Che cosa pensa della CSR e quale impatto ritiene possa e debba avere sul mondo del lavoro in Italia? «Negli ultimi anni si è sviluppata una sorta di “necessità volontaria” da parte delle imprese europee e internazionali di generare un valore sociale e ambientale oltre alla propria attività tipica. La riscoperta di temi etici da incorporare all’interno della cultura d’impresa ha portato a creare una visione delle stesse come “aperta, circolare, sostenibile”. Ciò deriva evidentemente dalla consapevolezza da parte delle imprese di essere molto più di un semplice dispensatore di beni e servizi, ma una vera e propria realtà capace di caratterizzare con i suoi comportamenti l’ambiente circostante. Inoltre, la crescente attenzione rivolta dai consumatori a prodotti sostenibili e attenti a de11

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terminate tematiche, come la tutela del lavoratore o dell’ambiente, hanno spinto le stesse imprese a incorporare nei loro prodotti delle componenti di responsabilità sociale. La stessa Commissione Europea ritiene che l’integrazione delle problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti delle imprese con le parti interessate, contribuisca alla modernizzazione e al rafforzamento della coesione sociale, rendendo l’UE più competitiva dal punto di vista sociale e ambientale e stimolando le imprese a riorganizzare le proprie attività. Inoltre, con il D.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 l’Italia ha recepito la Direttiva europea relativa alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario. Il Decreto è entrato in vigore il 25 gennaio 2017 e le disposizioni si applicano, con riferimento alle dichiarazioni e relazioni relative agli esercizi finanziari, a partire dal 1° gennaio 2017. Nel concreto, il Decreto introduce, per le imprese e i gruppi di grandi dimensioni, l’obbligo di inserire nella Relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario per consentire una migliore valutazione dell’attività d’impresa. La dichiarazione dovrà contenere informazioni riguardanti i temi ambientali, sociali, quelli attinenti alla

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gestione del personale, alle politiche di diversità, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, con indicazione degli strumenti adottati». Qual è l’impegno del suo ministero in ambito CSR? «Per molto tempo le misure di responsabilità sociale, tra cui rientrano quelle di welfare aziendale, sono state trascurate dalle imprese anche a causa della mancanza di un processo comunicativo formale e circolare. Il welfare aziendale non è solo una leva per la produttività e il benessere dell’impresa, ma è anche una delle componenti della RSI, intesa nella sua specifica definizione multidimensionale che annovera diverse misure di intervento da parte delle imprese, sia a favore dell’intera collettività aziendale sia nei riguardi della vita professionale e privata dei lavoratori. A tal riguardo, lo scorso 12 settembre, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministro dell’Economia e delle Finanze hanno firmato un decreto che riconosce sgravi contributivi ai datori di lavoro del settore privato che abbiano previsto, nei contratti collettivi aziendali, istituti di conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori, come il sostegno alla genitorialità, la

flessibilità organizzativa del lavoro e il welfare aziendale. Il contratto collettivo aziendale deve riguardare un numero di lavoratori pari almeno al 70% della media dei dipendenti occupati nell’anno precedente e deve essere sottoscritto e depositato tra il 1° gennaio 2017 e il 31 agosto 2018. Al tale provvedimento, che è di carattere sperimentale, sono destinate risorse pari a 55.200.000,00 euro per l’anno 2017 e 54.600.000,00 euro per l’anno 2018. Le suddette iniziative di welfare aziendale saranno oggetto di monitoraggio e implementeranno la “piattaforma di indicatori di responsabilità sociale” che dal 2016 è online sul sito del Ministero dello sviluppo economico con l’obiettivo di standardizzare il concetto di responsabilità sociale e offrire un quadro di riferimento unico alle imprese». Lei viene dal mondo del volontariato e del Terzo settore. Quali spazi hanno oggi questi due importanti settori? Ritiene siano valorizzati per quello che valgono? «Il Terzo settore in Italia coinvolge oltre 300mila organizzazioni, impiega circa 1 milione di lavoratori e registra un valore delle entrate annuo che si attesta attorno ai 63 miliardi di euro. È chiaro che il valore sociale “aggiunto” dei soggetti di Terzo settore non


CHI È LUIGI BOBBA

Innanzitutto va detto che il Terzo settore è uno dei comparti che meglio ha retto gli effetti della crisi economica degli ultimi anni. Con la Riforma abbiamo voluto introdurre regole chiare volte a promuovere tra l’altro la cultura di un “lavoro giusto e dignitoso.

sta principalmente nella loro valenza economica (sebbene rilevante), ma piuttosto nel loro apporto in termini di capitale sociale, di produzione di beni relazionali, di incremento del grado di inclusione e della coesione sociale. La valorizzazione dell’operato degli enti di Terzo settore e dei volontari che le animano è uno dei principi cardine su cui si fonda l’intero impianto della Riforma. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo operato su due fronti: in primis con l’introduzione del Registro unico nazionale del Terzo Settore, per garantire e incrementare la conoscibilità e riconoscibilità degli enti. L’obiettivo della conoscibilità è funzionale al raggiungimento di una maggiore trasparenza: sappiamo infatti che questo universo aveva qualche zona opaca e che c’erano fenomeni distorsivi. Con una maggiore trasparenza potranno meglio emergere i soggetti, le attività e le opere più meritevoli. La Riforma va anche a sostenere e qualificare le reti di Associazioni: lavorare insieme non vuol dire dismettere la propria specifica identità, ma provare a costruire un lavoro comune, nella parte promozionale e di rappresentanza, che certamente per il raggiungimento degli obiettivi può essere più efficace della somma di tanti

micro impegni assunti come singole organizzazioni. È prevista, poi, dalla nuova normativa la possibilità del cosiddetto “autocontrollo” da parte delle stesse organizzazioni: si tratta di un ulteriore elemento promozionale: si scommette sulla responsabilità dei soggetti del Terzo Settore di tenere fuori dal campo chi persegue finalità solo apparentemente di interesse generale. Quanto ai volontari, abbiamo scelto di dare uno status riconosciuto e riconoscibile al singolo volontario. Il nuovo Codice del Terzo Settore esplicita che la scelta di fare volontariato nasce non già in forza del comando della legge, ma dalla capacità di ciascuna persona di individuare una risposta ai bisogni che incontra. Infine, la legge incoraggia i volontari ad associarsi per ottenere risultati più efficaci». Qual è la ricetta per rendere più qualificanti possibile i rapporti tra il mondo del lavoro e il terzo settore? «Innanzitutto va detto che il Terzo settore è uno dei comparti che meglio ha retto gli effetti della crisi economica degli ultimi anni. Con la Riforma abbiamo voluto introdurre regole chiare volte a promuovere tra l’altro la cultura di un “lavoro giusto e dignitoso”. Il Codice del Terzo Settore prevede, tra le altre cose, che i lavoratori degli enti del Terzo settore abbiano diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi e in ogni caso, in ciascun ente del Terzo settore, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda. Il Terzo settore ha dimostrato, negli ultimi anni, di essere un vero polo di attrazione per professionalità sempre più specializzate e, al contempo, necessarie per il buon funzionamento delle organizzazioni. Quello che abbiamo fatto è stato creare una cornice chiara all’interno della quale muoversi, stimolando ulteriormente la capacità del settore di fungere da catalizzatore di capitale umano motivato e qualificato». Come fa il privato sociale a intercettare il bisogno sociale in modo collaborativo con le politiche attuate dal governo? «Sulla base del presupposto che gli enti di Terzo settore sono pienamente legittimati a concorrere, in via sus-

Dalle Acli al governo, una vita dedicata al Terzo settore Luigi Bobba, 64 anni nato a Cigliano (Vc), è Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con deleghe alla formazione professionale e ai servizi per il lavoro, al Terzo settore e alla responsabilità sociale delle imprese, al servizio civile e alle politiche giovanili. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare al rilancio e alla crescita del Servizio civile nazionale e alla sua riforma in Servizio civile universale oltre che della sperimentazione del sistema duale attraverso il contratto di apprendistato formativo. Tra i suoi attuali incarichi governativi c’è anche quello di fare parte del Comitato di indirizzo strategico del Fondo per la lotta alla povertà educativa minorile. Ha seguito passo passo la riforma del Terzo settore portando a compimento non solo l’iter parlamentare, ma anche – nello scorso luglio 2017 – i cinque decreti attuativi, compreso quello del nuovo Codice del Terzo settore. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Torino, a partire dagli Anni ‘70 ha ricoperto vari ruoli all’interno delle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), occupandosi soprattutto di orientamento, formazione professionale e politiche del lavoro e ricoprendo il ruolo di vice-presidente nazionale (1994-1998) e presidente (1998-2006). Ha partecipato alla creazione di Banca Etica – di cui è stato vicepresidente dal 1998 al 2004 – e ha ricoperto il ruolo di portavoce del Terzo settore dal 1997 al 2000. Nel 1998 sigla il “patto per la Solidarietà” con il Presidente del Consiglio Romano Prodi, patto attraverso cui il governo riconosce il Forum del Terzo settore e sottoscrive vari impegni programmatici. Nel 2002 avvia il progetto di cooperazione internazionale “Una speranza per il Monzambico”, volto a sostenere la formazione professionale dei giovani e l’inserimento lavorativo degli stessi, Ha, inoltre, ricoperto il ruolo di Presidente dell’Istituto Ricerche Educative e Formative dal 1997 al 2007. Dal 1999 al 2004, è stato Presidente di ENAIP, l’Ente di formazione Professionale promosso dalle Acli. Dal 2006, porta la sua esperienza personale, professionale e di leader dell’associazionismo in Politica, candidandosi prima per il Senato (2006) poi per la Camera dei Deputati (2008 e 2013).

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l'intervista sidiaria, al perseguimento del bene comune in attuazione del principio costituzionale contenuto nell’art. 118, i recenti decreti attuativi della riforma del Terzo settore segnano le diverse strade da percorrere per intercettare i bisogni sociali e agire in modo collaborativo con le Istituzioni. Per citarne alcune, richiamo ancora il Codice del Terzo Settore che prevede che le pubbliche amministrazioni coinvolgano gli enti di Terzo settore sin dalla fase di programmazione e organizzazione delle proprie attività e che la collaborazione continui anche nel momento successivo di progettazione delle singole iniziative allo scopo di individuare i bisogni da soddisfare, gli interventi da realizzare e le risorse necessarie al completamento delle attività, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e partecipazione. Non solo. Sia il suddetto Codice, sia il testo normativo riguardante la revisione della disciplina in materia di impresa sociale enumerano dettagliatamente le attività di interesse generale riconducibili alle organizzazioni di Terzo settore allo scopo di perseguire finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, circoscrivendo in modo puntuale il perimetro e il raggio di azione delle attività che le organizzazioni di Terzo settore possono realizzare». È noto il suo impegno per la reintroduzione e l’allargamento del servizio civile per i giovani. Che cosa pensa dei risultati fin qui conseguiti? «Sostanzialmente è stato dato maggiore impulso all’istituto del Servizio civile che ora è diventato universale, cioè sarà reso gradualmente accessibile a tutti coloro siano interessati a svolgere questa importante esperienza di cittadinanza attiva, compresi i cittadini comunitari e non comunitari regolarmente soggiornanti nel nostro Paese. Tuttavia, un primo dato rilevante che emerge è la forte domanda di partecipazione: si registrano più di 100mila richieste annue da parte dei giovani che credono nella possibilità di un concreto impegno personale a fini civici e solidaristici. Un secondo risultato concreto riguarda il numero dei ragazzi e delle ragazze impegnati nel Servizio civile, che è passato da meno di ventimila nel 2012 a più di 50mila previsti per l’anno corrente. Oltre al dato numerico va evidenzia-

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to anche il profilo qualitativo degli interventi realizzati. Per fare qualche esempio mi riferisco, in particolare, ai progetti promossi nelle aree terremotate, a quelli aventi per oggetto servizi di assistenza e cura di soggetti svantaggiati e a quelli destinati alla difesa del patrimonio artistico e ambientale. Infine, altri elementi di novità che hanno caratterizzato il Servizio civile sono la realizzazione di progetti nell’ambito del programma “Garanzia Giovani”, che rappresenta una novità assoluta nei Paesi dell’Unione Europea, nonché la stipula di numerosi protocolli con Amministrazioni pubbliche (Ministero dell’Interno, dell’Ambiente, dei Beni Culturali, dell’Agricoltura), che prevedono la realizzazione di progetti mirati con risorse aggiuntive rispetto a quelle stanziate annualmente dalla legge di bilancio». L’economia sociale è un settore a forte tasso di crescita e innovazione. Quali novità prevede la riforma per stimolare l’imprenditoria sociale e che scenari prevede si possano verificare nei prossimi anni? «Negli ultimi dieci anni è cresciuta anche nell’ambito delle istituzioni comunitarie la consapevolezza dell’importanza dell’economia sociale come motore di inclusione e benessere sociale, ma anche come generatore di ricchezza e di occupazione. L’esperienza italiana in tema di economia sociale ha contribuito a far evolvere un modo significativo la legislazione di altri Paesi e le politiche dell’Unione Europea. Le oltre 12mila cooperative sociali, cui si aggiungono circa 1.300 imprese sociali, occupano più di 540mila addetti, coinvolgono 45mila volontari e generano un valore della produzione che si attesta attorno ai 10 miliardi di euro annui. La Riforma del Terzo settore vuole favorire una fioritura all’interno del non profit di nuove forme di imprenditorialità sociali capaci di attrarre nuovi talenti tra i giovani. In questo senso, i millennials, che hanno espresso una propensione maggiore delle generazioni precedenti all’imprenditorialità sociale e alla fruizione della sharing economy, ricercano sia nella quotidianità, sia nell’ambito lavorativo risposte in cui la relazione e la socialità siano fondative. Parlare di sociale in ambito imprenditoriale non significa solamente far riferimento agli ambiti

di attività in cui può operare l’impresa; il riferimento è connesso invece alla capacità dell’imprenditore di produrre innovazione sociale, ovvero generare soluzioni nuove, più efficaci, efficienti e giuste di quelle esistenti in risposta a problemi di natura sociale. In questo senso sono soprattutto le giovani generazioni a richiedere che l’imprenditorialità sia un percorso ibrido, ossia mosso dalla ricerca di una produzione di valore e, al contempo, orientato dalla “socialità”. Nel dettaglio, la nuova disciplina sull’impresa sociale – che pone il modello di imprenditoria sociale italiano tra i più avanzati a livello europeo – prevede, oltre che un allargamento dei settori di attività in cui possono operare le imprese sociali anche la possibilità di ripartire, seppure in forma limitata, gli utili, nonché, l’introduzione di misure fiscali agevolative per chi investe nel capitale sociale delle imprese sociali e una defiscalizzazione degli utili interamente reinvestiti in impresa. Ecco dunque perché credo sia necessario


creare e promuovere un ecosistema favorevole allo sviluppo e alla proliferazione di una nuova generazione di imprese e di imprenditori sociali, con l’obiettivo da un lato, di far nascere un vero e proprio “polo” di imprese sociali più ampio, più variegato e differenziato di oggi; e dall’altro, di portare in emersione soggetti in grado di conseguire – a partire da una finalità sociale – l’obiettivo di produrre e generare ricchezza nel senso di generare valore condiviso». In conclusione, una domanda che potrebbe apparire come provocatoria, ma non lo vuole essere: la valorizzazione del volontariato, per sua natura gratuito, può portare a un’ulteriore diminuzione dei posti di lavoro? «La riforma, oltre a promuovere la cultura del volontariato inteso come libera scelta della persona che lo esercita esclusivamente a fini di solidarietà, è finalizzata anche a valorizzare il potenziale di crescita occupazionale e lavorativa insito nel Terzo settore. Ne consegue che, ove se ne presenti l’opportunità, non è esclusa – come già detto – la possibilità di lavorare presso Enti di Terzo settore, ferma restando la necessità di corrispondere trattamenti economici e normativi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi. Promuovendo il volontariato s’inten-

de altresì incoraggiare la cultura del dono, vale a dire la messa a disposizione del proprio tempo e delle proprie capacità in favore della comunità. Cosa diversa è il lavoro che resta un’esigenza primaria della persona sancita dalla Costituzione. In merito all’attività di volontariato, la Riforma prevede la possibilità di rimborsare le spese effettivamente sostenute dai volontari entro limiti predefiniti, nonché la necessità di provvedere alla copertura assicurativa contro gli infortuni, la malattia e la responsabilità civile verso terzi. In particolare, ove siano poste in essere convenzioni con le pubbliche amministrazioni per lo svolgimento di specifiche attività, gli oneri relativi alla copertura assicurativa per l’attività di volontariato ricadono in capo alle suddette amministrazioni. Infine, evidenzio che nel Codice è contenuta anche una riforma e riorganizzazione dei Centri di Servizio di Volontariato che dovranno diventare veri e propri agenti di sviluppo dell’azione volontaria ovunque questa si esplichi. Dunque un compito più ampio e impegnativo di quello attuale – limitato alle sole organizzazioni di volontariato ai sensi della legge n. 266 del 1991 – con la disposizione di nuove risorse e di una struttura nazionale di coordinamento delle attività e della presenza su tutto il territorio nazionale».

L’ultima nata: la Fondazione Italia Sociale L’ultimo passo compiuto dal Governo italiano in attuazione della riforma del Terzo settore è la creazione della fondazione che si occuperà di qualificare e rafforzare la filantropia in Italia. Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 2017 contenente lo Statuto della Fondazione Italia Sociale, si è completato l’iter dei provvedimenti attuativi della legge n. 106/2016 che riguarda la “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”. «La Fondazione Italia Sociale, sottolinea il sottosegretario di Stato Luigi Bobba – rappresenta un innovativo strumento per sviluppare, qualificare e rafforzare la filantropia nel nostro Paese. La finalità principale di questa fondazione sta nel promuovere, insieme con gli enti di Terzo settore, progetti ad alto impatto sociale e occupazionale, che siano rivolti in particolare ai soggetti più deboli e ai territori più svantaggiati». La Fondazione Italia Sociale sarà un fondazione di partecipazione e avrà sede legale a Milano. «Avrà come compito

primario quello di raccogliere e mobilitare risorse private – prosegue l’on. Bobba – volte a sostenere interventi a finalità sociale e potrà disporre di una dotazione iniziale di risorse pubbliche, pari a un milione di euro, destinata a costituire il patrimonio iniziale e all’avvio delle attività». Il Ministro del Lavoro, con proprio decreto, nominerà i primi tre componenti del Comitato di gestione e individuerà il presidente della Fondazione. Gli altri due membri saranno designati dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministro dell’Economia e delle finanze. Al Comitato di gestione, composto in maggioranza da privati e con un componente designato dal Consiglio nazionale del Terzo settore, sarà affidata l’amministrazione del nuovo ente. «La Fondazione Italia Sociale è ispirata a recenti esperienze realizzate in altri paesi europei come Francia e Inghilterra e intende diventare uno strumento per promuovere azioni strategiche per rispondere ai molteplici bisogni sociali – conclude Bobba –. Contribuirà a diffondere la pratica dell’investimento sociale sviluppando partnership e collaborazioni con soggetti diversi e con strutture del terzo settore, promuovendo l’aggregazione e l’utilizzo di competenze di diversa provenienza nella logica di un ecosistema plurale».

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SEA, QUANDO LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA PRENDE IL VOLO CSR

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Sebastiano Renna, Head of Corporate Social Responsibility di SEA: « Sin dal 2012 tutti i nostri principali responsabili aziendali vengono riuniti quadrimestralmente nel Sustainability Committee per analizzare le linee guida per lo sviluppo, l’implementazione e il monitoraggio delle politiche di sostenibilità da integrare nel nostro modello di business».

di Luca Palestra

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l Gruppo SEA (Società Esercizi Aerportuali) gestisce il sistema aeroportuale milanese. In particolare, SEA e le società che fanno parte del Gruppo gestiscono e sviluppano gli aeroporti di Milano Malpensa 1, Milano Malpensa 2 e Milano Linate. Realtà che hanno un forte impatto sull’ambiente e sulla qualità della vita di chi vive in loro prossimità. Proprio per questo il gruppo SEA da tempo si mostra sensibile a progetti di sostenibilità pensati per coinvolgere tutti, dai dirigenti ai dipendenti ai milioni di viaggiatori che ogni anno partono e arrivano negli scali milanesi. Parliamo di questa sensibilità con Se-

Sebastiano Renna

bastiano Renna, Head of Corporate Social Responsibility di SEA. Quello della sostenibilità è un concetto presente in SEA da lungo tempo. Il vostro primo bilancio specifico risale al 2007. Quali passi avanti sono stati fatti dalla vostra azienda in questi dieci anni? «La pubblicazione di un bilancio di sostenibilità non è di per sé garanzia di un approccio maturo e consapevole alla CSR da parte dell’azienda. Il nostro bilancio di sostenibilità in questi dieci anni si è molto evoluto, diventando un report che si presenta allineato alla più diffusa guideline internazionale (GRI),

asseverato da certificatori esterni, caratterizzato da un’analisi di materialità tra le più approfondite in assoluto. Ma non è una accountability più raffinata la cartina al tornasole dei passi avanti che abbiamo compiuto. I veri progressi li abbiamo ottenuti quando abbiamo preso coscienza dei nostri limiti e abbiamo deciso di fare qualcosa per superarli. Un esempio di rilievo: l’impasse generata dal non felice esito dell’iter autorizzativo del piano di sviluppo di Malpensa, a causa dell’opposizione degli stakeholder del territorio, ci ha spinto a resettare il processo e ripresentare nel 2015 un nuovo piano al 2030 centrato su dialogo e confronto 17

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con gli stakeholder. Il processo di engagement che abbiamo realizzato ha anticipato le prassi che sarebbero state introdotte dalle normative sulla nuova VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e sul “debàt public” per le grandi opere infrastrutturali. Stiamo insomma lavorando sul mindset manageriale con l’obiettivo di accentuare la capacità di contestualizzare i progetti di business e ampliare il set delle variabili di scenario da prendere in considerazione. Valutare adeguatamente le conseguenze e gli impatti delle decisioni aziendali sulla qualità delle relazioni con gli stakeholder consente di prevenire o gestire efficacemente le eventuali retroazioni negative da parte di questi ultimi, con impatto su costi, tempi, efficacia dei progetti di business». Per quanto riguarda la CSR, avete creato un Comitato interno dedicato allo sviluppo sostenibile. Da chi è composto e di che cosa si occupa, nel dettaglio? «Sin dal 2012 ci siamo dati un modello di governance dei progetti di sostenibilità che contempla il coinvol-

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gimento di tutti i principali responsabili aziendali, che vengono riuniti quadrimestralmente nel Sustainability Committee per analizzare le linee guida per lo sviluppo, l’implementazione e il monitoraggio delle politiche di sostenibilità da integrare nel nostro modello di business. Al Sustainability Committee, guidato dal Presidente, partecipano i Chief aziendali e i responsabili delle Direzioni/Funzioni a loro diretto riporto». Quali sono i progetti più significativi nell’ambito della sostenibilità da voi realizzati in questi anni? «Cito tre iniziative. La prima è la definizione, nel 2015, di un nuovo Sistema Etico costituito da 3 statement: il Codice di Condotta, la Vision Etica e Diamante dei Valori e i Principi di Relazione con gli Stakeholder. Avevamo rilevato necessità di affiancare ai contenuti “rules-based” – tipici di un Codice Etico ispirato al Modello 231 – dei contenuti “values-based”, basati su impegni reciproci tra azienda e stakeholder (primi tra tutti i dipendenti) e finalizzati a indirizzare i destinatari all’adozione di criteri di decisione e comportamento

basati sull’attuazione – in maniera autodeterminata e responsabile – di un nucleo di principi etici condivisi. Questo processo ha seguito una metodologia bottom-up. Un gruppo di lavoro comprendente colleghi di tutti gli inquadramenti professionali ha autonomamente lavorato sugli statement, alimentando la propria riflessione attraverso focus group e web discussion, ecc. che hanno ulteriormente ampliato il bacino di coinvolgimento». E gli altri due progetti? «Il secondo è relativo all’ottenimento, quest’anno, della certificazione Family Audit, che impegna la nostra azienda a realizzare un articolato piano triennale di interventi – elaborati da un gruppo di lavoro costituito da dipendenti di tutte le aree e gli inquadramenti professionali – finalizzati a migliorare la conciliazione famiglia-lavoro, alcuni dei quali già in corso di attuazione. Il terzo progetto è “The Social Challenge”, un processo di selezione di progetti sociali partecipato dai dipendenti, che possono presentare un progetto di una realtà non profit a loro nota e far-


LA CARTA D’IDENTITÀ DEL GRUPPO SEA sene sponsor presso l’azienda. In parallelo viene sollecitata la partecipazione, attraverso un bando, delle piccole realtà non profit, invitate a presentare progetti che vengono posti all’attenzione delle persone di SEA attraverso la intranet aziendale, per consentire a chiunque in azienda di diventarne sponsor. I progetti presentati e quelli adottati vengono poi selezionati da una Commissione di esperti (in prevalenza esterni all’azienda) e i progetti finalisti vengono votati attraverso un referendum on-line dalla comunità aziendale, che designa i 6 progetti (più uno speciale) che si aggiudicano 10 mila euro ciascuno. Ho citato queste 3 iniziative non tanto per ciò che rappresentano in sé, ma per il fatto che c’è un filo rosso che li unisce e che definisce molta della nostra filosofia di CSR. I valori e i principi dell’azienda non sono stati riscritti attraverso il classico workshop tra board e società di consulenza. Le iniziative di miglioramento del benessere lavorativo non sono frutto dell’autoderminazione della Direzione HR. Le decisioni di investimento sociale non sono prese in ma-

niera autoreferenziale dall’area CSR. In tutti e tre i casi abbiamo sostituito le decisioni normalmente prese dagli “specialisti” con processi inclusivi e aperti in cui gli specialisti svolgono un ruolo di regia e si avvalgono del contributo di coloro che poi rappresentano i terminali di quelle decisioni. I manager devono diventare sempre più “costruttori di contesti”, rinunciando al decisionismo solipsistico. Ne guadagnano la qualità delle decisioni ma anche l’applicabilità delle stesse al contesto al quale sono riferite». Quali sono i progetti che pensate di realizzare nell’immediato futuro? «Nel 2016 è partito il progetto “Valori in corso”, un piano di change management fondato sull’implementazione dei corporate values nelle prassi manageriali, in diretta connessione con i contenuti del Piano Industriale 20162021. L’obiettivo è ricondurre al minimo comune denominatore dei Valori i nostri soft asset (mindset, dinamiche decisionali, stili di leadership), rendendo il tutto sinergico e funzionale alla

Fondazione: 22 maggio 1948 Sede: Aeroporto di Linate Segrate (Mi) Capitale sociale: 27.500.000 euro Numero dipendenti (2015): 2.866 Ricavi totali 2016: 700,1 milioni di euro Utile netto 2016: 93,6 milioni di euro Passeggeri 2016: 29 milioni Movimenti aerei 2016: 285,4mila Movimenti Merci 2016: 549mila tonnellate

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strategia di business. L’accountability in merito alle nostre strategie, ai nostri processi e ai nostri impatti non è circoscritta alla sola realizzazione del Bilancio di Sostenibilità. Da 5 anni abbiamo in corso una partnership con il gruppo di ricerca del CeRST-LIUC che ha l’obiettivo di misurare, in maniera sempre più precisa e affidabile, le esternalità socio-economiche generate, su scale territoriali diverse, dai nostri aeroporti di Malpensa e Linate. L’obiettivo è da un lato definire il ruolo economico che i nostri aeroporti rivestono nel contesto lombardo e nazionale, dall’altro supportare modalità ottimali di confronto con il territorio». I vostri progetti riguardano solo l’Italia o si spingono anche oltre confine? «Stiamo lavorando con grande soddisfazione con la Fondazione Opes, qualificato fondo di impact investing. Abbiamo acquisito in tal modo il ruolo di erogatore di capitale filantropico da investire – attraverso Opes – in imprese economicamente sostenibili, capaci di favorire il progresso sociale e l’emancipazione dalla povertà. I target che abbiamo individuato insieme a Opes sono imprese sociali già esistenti - a uno stadio iniziale di sviluppo e che stiano cercando di validare il proprio business model - localizzate in Africa (Kenya e Uganda). Noi crediamo che l’impact investing sia il più avanzato ed efficace approccio possibile alla questione dell’autosviluppo del Sud del mondo e, quindi, la migliore risposta possibile per

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dare sostanza al concetto dell’“aiutiamoli a casa loro”, che altrimenti rischia di essere niente più che uno slogan». Spesso si parla di aeroporti e di problemi di impatto ambientale. Qual è la vostra visione in merito? «È una visione molto laica. È indubbio che un’infrastruttura come un aeroporto, che occupa decine di ettari di territorio, dove ogni anno avvengono migliaia di decolli e atterraggi e transitano milioni di passeggeri e centinaia di migliaia di tonnellate di merci, dove ogni giorno si recano al lavoro decine di migliaia di persone, produca delle esternalità ambientali di cui è necessario prendersi cura. Noi in questi anni ci siamo dotati di strumenti e processi per cercare di farlo al meglio delle nostre possibilità: siamo “neutrali” in termini di emissioni di CO2 sin dal 2010 (tra i primi gestori aeroportuali in Europa insieme ad alcuni scali scandinavi), abbiamo sistemi di gestione certificati sull’energia e sull’ambiente, siamo all’interno di gruppi di lavoro internazionali dedicati alla sperimentazione di nuove soluzioni per la riduzione dei consumi idrici, energetici e delle emissioni di rumore. Qualunque sia però il livello di committment ambientale adottato, la dialettica con gli stakeholder si gioca anche sulla capacità del gestore aeroportuale di accreditare il profilo di public interest della propria attività e di saper misurare e rendicontare le esternalità positive (prevalentemente socio-economiche, ma non solo) legate alla presenza di uno scalo aeroportuale. Non c’è quindi

solo il discorso della riduzione dell’impatto ambientale, ma anche del saper ben rappresentare in ragione di quali benefici sistemici quell’impatto viene generato». In conclusione, quali caratteristiche ritiene debba avere un aeroporto per essere considerato “sostenibile”? «La crescita di connettività aerea diretta, che rende possibile la mobilità di persone e merci su grandi distanze con tempi e costi economicamente congrui, è la missione imprenditoriale di un gestore di aeroporti come SEA. La connettività aerea diretta alimenta l’economia di un territorio in termini di commercio, turismo, investimenti esteri, incrementi di produttività del sistema manifatturiero. Questa missione viene perseguita ormai in un contesto caratterizzato da fenomeni di trasformazione, spesso anche perturbativi, sempre più ravvicinati e invasivi. Nel mondo del trasporto aereo gli ultimi 5-10 anni hanno registrato una densità di fattori di cambiamento superiore a quella che aveva caratterizzato i precedenti 50 anni. E c’è da scommettere che i prossimi 5 anni vedranno una accelerazione ulteriore di questo trend. Di fronte a tutto questo, l’innalzamento della capacità di risposta di chi gestisce nodi primari del network di trasporto globale è profondamente legata alla sua capacità di aprirsi a profonde e sistematiche modalità di co-operazione con gli stakeholder. È su questo che si connota il profilo di sostenibilità.


Non è un caso che realtà aeroportuali continentali caratterizzate da ottime performance e programmi di crescita ambiziosi stiano andando già da tempo proprio in questa direzione. Cosa spinge London Stansted a lanciare una open consultation sul proprio Piano di Sviluppo Sostenibile, centrato sulle misure strategiche da adottare per dare risposta all’incremento di domanda di trasporto aereo, puntando al contempo a mantenere invariata la propria impronta ecologica? Perché l’aeroporto di Copenaghen ha lanciato il portale di crowdsourcing “CPH Ideas” attraverso il quale si propone di raccogliere spunti, opinioni, commenti e riflessioni da parte di passeggeri, clienti, operatori economici in merito al modello di aeroporto futuro che hanno in mente? Come mai Swedavia ha promosso un “International Swedavia Airport Innovation Challenge”, chiedendo aiuto a tutti i propri stakeholder sulla individuazione di smart solutions riguardanti la riduzione del rumore che colpisce l’area residenziale di Bromma, presso l’aeroporto di Stoccolma? Ciascuno è libero di avere una propria opinione in merito. Ma sarebbe alquanto bizzarro pensare che tutto questo non abbia niente a che vedere con il mettere mano a un modello di business che deve essere in grado di fronteggiare cambiamenti epocali e che lega il conseguimento del valore economico alla capacità di ripensarne i meccanismi in profonda sinergia con tutti gli stakeholder depositari di quelle competenze che, ormai, nessuna azienda può sognarsi di accumulare all’interno del proprio perimetro. Anche SEA si sente chiamata a partecipare a questa evoluzione».

MILANO LINATE DATI TRAFFICO 2017 (GEN-AGO)

MILANO MALPENSA DATI TRAFFICO 2017 (GEN-AGO)

Movimenti Passeggeri Nazionali 33.596 3.241.234 Internazionali 31.341 3.147.014 Totale Commerciali 64.937 6.389.070 Aviazione Generale 14.088 28.940 TOTALE 79.025 6.418.010

Movimenti Passeggeri Nazionali 14.813 2.103.966 Internazionali 101.506 12.652.515 Totale Commerciali 116.319 14.836.469 Aviazione Generale 2.855 5.978 TOTALE 119.174 14.842.447

CARGO Merci avio 7.849 Posta 1.183 TOTALE 9.032

CARGO Merci avio 385.075 Posta 8.274 TOTALE 393.349

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B CORP aziende

di Luca Palestra

PER UNA PROSPERITÀ DUREVOLE E CONDIVISA

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ric Ezechieli è Evolution officer e co-fondatore di Nativa, la prima Società Benefit in Europa e la prima Certified B Corporation in Italia. Con lui, e con Anna Cogo, che di Nativa è Benefit Unit Officer, cerchiamo di capire quale sia l’attività principale di Nativa e che cosa significhi, oggi, per una azienda, essere B Corp e Società Benefit. Che cos’è e di che cosa si occupa Nativa? «La nostra mission è aiutare intere aziende a innovare, a trasformare i loro processi, prodotti e servizi in modo che siano massimizzati gli impatti positivi sulla società e l’ambiente. In altri termini, Nativa aiuta le medio e grandi imprese a integrare a 360° nella propria strategia di business la sostenibilità sociale e ambientale. Nei casi più avanzati, i nostri clienti diventano rigeneratori della società e dell’ambiente. Nativa è stata nel 2013 la prima Certified B Corp in Europa, ed è Partner di B Lab». In quale modo aiutate le aziende? «Facciamo in modo che le aziende che già negli anni si sono strutturate in maniera solida sui temi di innovazione sostenibile

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possano svolgere un percorso che le porti a divenire B Corp, cioè misurare esattamente il valore sociale e ambientale che creano e certificare il risultato raggiunto. A questo fine B Lab, il nostro partner internazionale, ha sviluppato negli anni un protocollo di misura degli impatti che ogni azienda può utilizzare gratuitamente online per svolgere in autonomia un’autovalutazione del proprio profilo ‘benefit’. Si crea il proprio account, si descrive il tipo di azienda, il settore, il numero di dipendenti, dove opera l’azienda, dove ha la sede principale e tutta la sua catena di fornitura, che spesso è in Paesi diversi, si genera un account e si procede all’autovalutazione. I quattro ambiti che vengono valutati corrispondono agli impatti sociali generati sulle comunità in cui si opera, agli impatti ambientali, al valore creato dal modello di governance e alla trasparenza. Il concetto di “impatto” è centrale, non a caso il protocollo si chiama B Impact Assessment, cioè protocollo benefit di misurazione degli impatti. È un po’ come se l’azienda facesse un checkup completo dal medico. C’è la possibilità di verificare come si è posizionati dal punto di vista della sostenibilità in tutte le va-

Eric Ezechieli

Anna Cogo


Eric Ezechieli e Anna Cogo di Nativa ci spiegano che cos’è una Società benefit e quali passi devono essere compiuti dalle aziende per raggiungere questa ambiziosa e importante qualifica.

rie aree che la compongono: su una scala di 200 punti massimi bisogna raggiungere almeno la quota di 80. È un’opportunità per scoprire dove sia il caso di investire per i prossimi anni per migliorare le proprie prestazioni in questo senso». Che cosa succede dopo che l’azienda si è autovalutata? «L’autovalutazione permette all’azienda di verificare dove performa bene e in quali aree o sottocategorie può considerarsi “al passo”. Se il risultato è positivo, può decidere di sottomettersi alla verifica da parte di B Lab, che farà tutti gli approfondimenti sulla solidità di quanto dichiarato. Quindi l’autovalutazione passa sotto la verifica dei certificatori e arriva alla fine del processo. In altri casi le aziende, soprattutto quelle strutturate e più grandi, richiedono un nostro supporto. Nativa aiuta a fotografare quello che c’è: verifichiamo lo status attuale e poi aiutiamo a raggiungere i risultati che consentano di avere un alto impatto sociale e ambientale e quindi alti punteggi. Insieme all’azienda predisponiamo un piano di miglioramento – che può essere biennale o triennale – in cui, step by step e sempre con l’azienda – decidiamo dove sia necessario intervenire».

Quale rapporto create con le aziende? Vi occupate anche della formazione dei manager? «Partiamo sempre dai livelli di vertice, dalla proprietà e dal top management. Di solito la nostra attività ha inizio perché lo vuole un fondatore, o il presidente o AD, o comunque chi ha pieno potere decisionale, dal momento che si tratta di un processo che ha a che fare con la strategia aziendale. Costruiamo un dialogo con i massimi decisori, con un kick-off che prevede la partecipazione di tutte le prime linee, durante il quale spieghiamo come e cosa vogliamo fare. Dobbiamo fare evolvere prima la cultura, sviluppare le competenze, il modo di pensare, entrare anche nella sfera emozionale di ognuno in azienda: presi singolarmente noi tutti sappiamo che cosa è giusto e che cosa non è giusto fare e quindi creare questo coinvolgimento iniziale è davvero fondamentale». Una volta ottenuta la certificazione, ogni quanto deve essere aggiornata? «La certificazione è biennale, ogni due anni l’azienda si risottopone all’audit di B Lab per confermare il mantenimento della certificazione. In fase di ricertificazione può essere che il respon-

CHI È NATIVA Nativa, country partner di B Lab per l’Italia, è una Società Benefit e Certified B Corporation. Lo scopo di tutte le sue attività di Innovation Design è creare un impatto positivo sulla società, la biosfera e l’economia. Nativa è tra i fondatori del movimento in Europa e ha collaborato con il Senato italiano per l’introduzione della legge sulle Società Benefit. (www.nativalab.com)

CHI È B LAB B Lab è un’organizzazione non profit che dal 2007 verifica e certifica il modello di business e il rispetto dei più alti standard che misurano gli impatti ambientali e sociali. B Lab e la community globale delle B Corp promuovono l’introduzione di nuove forme giuridiche d’azienda, come le Benefit Corporation in USA e le Società Benefit in Italia. La visione di B Lab è che un giorno tutte le aziende competano non solo per essere le migliori al mondo, ma le migliori per il mondo. (www.bcorporation.eu)

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sabile che ha già avuto rapporti con noi ci contatti. Ma in genere l’azienda si muove in autonomia, dopo avere capito come funziona con la prima certificazione. Del resto la filosofia di Nativa è quella di lasciare il prima possibile che l’azienda porti avanti in modo autonomo i propri progetti». Quale differenza c’è tra l’avere una certificazione B Corp e l’impegno delle aziende che decidono di fare un proprio bilancio sociale?

«Il bilancio sociale non da una misura chiara del valore creato o distrutto per la società e, non avendo un benchmark di riferimento, non permette di confrontare la propria azienda ad altre. Confrontando i bilanci sociali di due diverse aziende non è possibile capire se una opera meglio o peggio dell’altra dal punto di vista della sostenibilità e dell’impatto sociale. Per poterlo fare bisogna partire da parametri comparabili, che siano uguali per tutte le azien-

de di uno stesso settore. L’azienda che rendiconta non è spinta al miglioramento proprio perché non ha parametri di confronto con le altre aziende. In fondo si tratta di un discorso di trasparenza e di comunicazione al pubblico. Se devo scegliere un prodotto da acquistare e lo voglio fare anche in base alle caratteristiche dell’azienda che lo produce, l’avere un parametro molto semplice, di facile e immediata lettura – per esempio un semaforo rosso, giallo o verde – può

CHE COSA VUOL DIRE ESSERE UNA BENEFIT CORPORATION Le B Corp sono aziende che soddisfano i più alti standard al mondo di performance ambientale, sociale e economica. Le B Corp hanno insieme sviluppato e portato all’introduzione di una nuova forma giuridica di impresa nota come Società Benefit (Benefit Corporation in USA), introdotta in Italia il 1° gennaio 2016. Questa garantisce la base per allineare la missione dell’azienda e creare valore condiviso nel lungo termine. Gli amministratori di una Società Benefit devono perseguire il bilanciamento tra gli interessi degli azionisti e gli interessi della collettività. In pratica, le B Corp sono aziende che decidono di diffondere un paradigma più evoluto di business attraverso le proprie pratiche e attraverso nuove forme giuridiche di impresa. Possono essere viste come

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l’equivalente delle aziende che secoli fa scelsero di competere sul mercato senza utilizzare schiavi, fino a rendere normali le loro pratiche e rendendo inconcepibile un comportamento diverso. Le 2.300 B Corp presenti oggi nel mondo (in 140 settori e 50 Paesi, mentre in Europa sono circa 400, 70 in Italia) vanno oltre l’obiettivo del profitto e massimizzano il loro impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano e l’ambiente. Una scelta che si traduce in una forza rigeneratrice per la società e per il pianeta. Ogni Società Benefit ha un responsabile dell’impatto che predispone il piano di miglioramento e ne assicura l’applicazione. In Italia possono diventare Società Benefit le aziende elencate nel libro V, titoli V e VI del Codice Civile.


aiutarmi a preferire una piuttosto che l’altra azienda. Una possibilità che non è data né dal bilancio sociale nè dai classici bilanci di sostenibilità, che sono molto importanti dal punto di vista della rendicontazione aziendale ma che nessun cliente leggerà mai prima di fare un acquisto…». Questo processo è adattabile alle sole società profit o può essere applicato anche alla pubblica amministrazione? «La certificazione B Corp e il concetto di Società benefit sono nati per il mondo profit, perché il non profit e la PA già dovrebbero avere lo scopo ultimo di portare beneficio alla società. La società benefit e la misurazione di impatto delle B Corp dovrebbe essere uno strumento ‘naturale’ per le municipalizzate: contiamo che entro fine anno emergano dei casi importanti di riferimento su questo fronte. Ai nostri convegni la pubblica amministrazione è sempre presente e cominciano a esserci delle prime avvisaglie di un’evoluzione che prima o poi si imporrà. Cito ad esempio Regione Veneto che il 2 ottobre scorso ha fatto un bando dove parla proprio di B Corp e Società benefit: risarcisce fondi alle aziende che raggiungono queste performance, che fanno questi progetti. Anche regione Toscana

ha promosso dei bandi che citano specificamente le Benefit. Insomma, comincia a esserci sensibilità sull’argomento». In conclusione, che cos’è per voi di Nativa, la sostenibilità? «La sostenibilità è un imperativo: non esiste la possibilità di prosperare al di fuori dei limiti di capacità della nostra unica ‘Astronave Terra’. Non possiamo avere una società coesa e piena di fiducia se alcune persone sono in grado di causare danni ad altre. Se non facciamo evolvere i nostri paradig-

mi di business e i nostri modelli di produzione e consumo abbiamo di fronte un futuro triste. Se al contrario siamo capaci di farli evolvere e di adeguarli rapidamente, possiamo creare quello che è il nostro motto e anche quello del movimento delle B Corp: “Una prosperità durevole e condivisa”. Perché alla fine in queste condizioni si vive bene. Se invece depauperiamo la società, le persone e l’ambiente, perché applichiamo dei modelli primitivi, alla fine creeremo un futuro spiacevole da vivere».

I 3 PASSAGGI PER DIVENTARE UNA B CORP 1. Completare il questionario di Analisi di impatto (BIA, Benefit Impact Assessment). Su una scala da 0 a 200 è ne cessario raggiungere un punteggio di almeno 80. Se il punteggio è <80, è opportuno avviare un piano finalizzato al miglioramento della propria performance 2. Validare il punteggio con B Lab, l’ente certificatore 3. Ufficializzare il risultato firmando la dichiarazione di interdipendenza che specifica i diritti e i doveri delle B Corp.

I 10 BUONI MOTIVI PER DIVENTARE UNA B CORP 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Differenziarsi sul mercato e costruire fiducia Creare presenza mediatica Attrarre e trattenere talenti Avere accesso a know-how per migliorare performance e impatto Misurare le propria performance rispetto alle altre aziende Far parte di una comunità di leader con valori condivisi Risparmiare e migliorare i risultati economici Attrarre investimenti Proteggere la missione aziendale Guidare il cambiamento verso un paradigma di business più evoluto

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non profit di Andrea Lisi

FONDAZIONE FRANCESCA RAVA, SEMPRE DALLA PARTE DEI BAMBINI Nata nel 2000, la fondazione con sede a Milano offre un aiuto concreto ai bambini in situazioni di disagio in Italia e nel mondo. Come dimostrano gli interventi prestati, tra l’altro, per i terremoti di Haiti e del Centro Italia e per l’emergenza migranti del mare Mediterraneo.

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a Fondazione Francesca Rava è nata a Milano nel 2000 per ricordare quanto Francesca amasse la vita. «La perdita di mia sorella – dice Mariavittoria Rava, fondatrice e presidente della fondazione – ha stravolto la mia esistenza. Poi il destino ha fatto il resto, facendomi incontrare l’organizzazione umanitaria N.P.H. (Nuestros pequenos Hermanos, nostri piccoli fratelli), che è un’organizzazione umanitaria internazionale fondata nel 1954 in Messico e che oggi opera in 9 Paesi dell’America Latina tra i quali Haiti, Paese cui siamo oggi molto legati». Da quell’incontro è nata Fondazione Francesca Rava – NPH Italia Onlus un’organizzazione che oggi coinvolge tantissimi volontari. Da quelli che partecipano ai vari progetti, oltre 2.000 su tutto il territorio nazionale per In farmacia per i bambini, ai medici che si susseguono in team sulle navi della Marina Italiana, più di 200, a coloro che decidono di andare a lavorare nelle Case NPH in America Latina, circa 200 ogni estate. Un aiuto per l’infanzia in condizioni di disagio La mission di Fondazione Francesca Rava è offrire un aiuto concreto ai bambini in situazioni di disagio in

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Italia e nel mondo. Il motto di NPH è “Un bambino per volta, dalla strada alla laurea”. Per questo il concetto di infanzia viene dilatato fino al punto in cui i bambini presi in carico – bambini di strada, orfani, abbandonati o che non hanno nessuno al mondo o hanno i genitori ma sono troppo poveri, o dediti alla prostituzione o, ancora, in prigione – non raggiungano la maturità per uscire dalle case di NPH, o perché hanno finito gli studi o perché hanno cominciato a lavorare. «Nelle case NPH in America Latina – sottolinea Mariavittoria Rava – i bambini crescono sotto la nostra tutela in via continuativa, non in affido temporaneo. La loro permanenza varia a seconda delle scelte di vita che decidono di fare. Alcuni escono a 18 anni per iniziare una professione che può essere quella di coltivatore, estetista, parrucchiera, falegname. Altri decidono di studiare e quindi escono solo una volta laureati. Escono dalle case, insomma, solo quando sono in grado di provvedere a sé stessi e hanno la possibilità di formarsi una famiglia e di contribuire con la loro attività alla comunità in cui vivono». L’applicazione pratica, questa, dell’idea di Padre Watson, fondatore di NPH: «La misura del successo del nostro lavoro non è quanti laureati riu-

sciamo ad avere, ma quanti ragazzi arrivano a essere autonomi e in grado di contribuire ad aiutare gli altri». Sei scuole consegnate ai bambini terremotati Fondazione Rava non opera solo in America Latina. «Quello che abbiamo imparato in NPH lo stiamo portando in Italia – spiega la presidente –. Per esempio in Haiti 2010, con il terremoto, abbiamo mandato molti volontari per aiutare per il colera, per i soccorsi. Quando abbiamo cominciato a intervenire anche nel Mediterraneo, prestando assistenza medica ai migranti raccolti in mare dalle navi della Marina Militare con pediatri, ginecologi e medici d’urgenza, abbiamo chiamato per primi i volontari che erano stati in Haiti. Quando poi c’è stato il terremoto in Centro Italia, tanti donatori ci hanno chiamato: “Vogliamo aiutare i bambini italiani tramite voi perché ci fidiamo del vostro lavoro”. Siamo riusciti a consegnare sei scuole ai bambini del Centro Italia. Il primo giorno di lezione – insieme a Martina Colombari, nostra amica e volontaria da tanti anni – ho suonato la campanella a Norcia, in una delle tre scuole che abbiamo consegnato in primavera. Ci sembra una cosa molto bella, molto concre-


Nella foto a sinistra: Mariavittoria Rava con i bambini di Haiti. Sopra: bambini della scuola di Norcia. Sotto: Martina Colombari, testimonial dell’iniziativa “In farmacia per i bambini”. (foto S. Benedusi) ta, avere realizzato in così poco tempo, con l’aiuto di molte aziende, questo importante traguardo». Il rapporto con gli ospedali pediatrici Fondazione Francesca Rava ha da sempre un rapporto privilegiato con i principali ospedali pediatrici italiani, come il Buzzi a Milano, il Bambino Gesù a Roma, il Gaslini a Genova, per la formazione professionale dello staff dell’Ospedale Saint Damien. «Il cuore del nostro lavoro è proprio l’ospedale pediatrico che abbiamo in Haiti – precisa Mariavittoria Rava –. È stato realizzato da noi, su progetto italiano, e inaugurato nel dicembre 2006. È stato al centro dei soccorsi internazionali quando c’è stato il terremoto del 2010: la protezione civile italiana aveva la sua base nel nostro ospedale pediatrico, così come la Marina Italiana, che era presente con la portaerei Cavour». La supervisione dell’ospedale è affidata a padre Rick Frechette, che è arrivato in Haiti nel 1987 per fondare la prima casa orfanotrofio NPH,

rendendosi conto della quantità di bambini moribondi che arrivavano all’orfanotrofio e del bisogno che c’era della presenza di un medico. Per questo a 36 anni ha ricominciato a studiare medicina e si è laureato. Oggi come direttore di NPH Haiti e dell’affiliata Fondazione Saint Luc, dove lavorano i ragazzi cresciuti nella prima Casa NPH sull’isola, rimasti per aiutare la loro gente negli slums, gestisce una squadra di 1.600 haitiani che assistono ogni giorno migliaia di bambini in scuole di strada, centri per bambini disabili, un orfanotrofio con 600 bambini e una baby house. «C’è anche un centro di formazione professionale – conclude la presidente della Fondazione – che abbiamo costituito noi e che si chiama “Francisville Città dei mestieri”. Comprende un panificio, un pastificio, una sartoria, un allevamento di pesci e rappresenta l’attuazione di un processo sostenibile che si basa sul fatto che nelle scuole di strada possiamo distribuire pane e pasta che sono prodotti lì, a pochi metri di distanza dagli edifici che accolgono i ragazzi».

In farmacia per i bambini

FONDAZIONE FRANCESCA RAVA – NPH ITALIA ONLUS La Fondazione Francesca Rava aiuta l’infanzia in condizioni di disagio e rappresenta in Italia l’organizzazione internazionale Nuestros Pequeños Hermanos (NPH, I nostri piccoli fratelli), che dal 1954 accoglie i bambini orfani e abbandonati nelle sue case e ospedali presenti in nove Paesi dell’America Latina. Tra questi la poverissima Haiti, dove si trova l’Ospedale Pediatrico NPH St. Damien, In Italia Fondazione Rava ha ricostruito sei scuole per i bambini del Centro Italia colpito dal terremoto; è presente con volontari di primo soccorso sanitario ai migranti, in particolare bambini e donne incinte sulle navi della Marina Italiana nel Mediterraneo; aiuta famiglie e minori colpiti da povertà sanitaria con “In farmacia per i bambini”, insieme a KPMG lotta contro l’abbandono neonatale con il progetto “ninna ho” (www.ninnaho.org). È possibile sostenere le attività della Fondazione anche in occasione del Natale, scegliendo per partner, collaboratori, clienti, amici i doni solidali e biglietti augurali che aiutano i bambini di Haiti e la ricostruzione delle scuole in Centro Italia. Info: www.nph-italia.org

Info: infarmaciaperibambini.nph-italia.org

Il 20 novembre 2017, giorno in cui ricorre la “Giornata Mondiale dei diritti dell’Infanzia” Fondazione Rava organizza la quinta edizione di “In farmacia per i bambini”, l’iniziativa di raccolta di farmaci da banco e prodotti a uso pediatrico che ha come partner istituzionali Federfarma e Cosmofarma. Un’importante azione di responsabilità sociale che vede coinvolti farmacie (nel 2017 saranno più di 1.300), volontari che nelle farmacie aderenti invitano i clienti a partecipare alla raccolta e aziende che donano i loro prodotti. Tra questi, molte espressioni di volontariato delle aziende che partecipano al progetto, come KPMG, Eco Eridania, Chiesi Farmaceutici, Mellin, Lierac, Anallergo, Silc-Trudi Baby care. Nel 2016 la raccolta di 163mila confezioni è stata donata a 282 case famiglia ed enti che aiutano i bambini sul territorio delle singole farmacie e in Haiti all’Ospedale Pediatrico N.P.H. Saint Damien, che assiste 80mila bambini l’anno.

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leggi

TERZO SETTORE. E VENNE IL GIORNO DELLA RIFORMA A luglio 2017 si è concluso l’iter legislativo che ha condotto a una riforma che coinvolge oltre 300mila organizzazioni, quasi un milione di lavoratori e oltre oltre 7 milioni di volontari. A cura di Ciessevi, Centro servizi per il volontariato Città Metropolitana di Milano

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i è concluso l’iter di realizzazione della prima Riforma italiana del Terzo settore, iniziato nel 2016 con la legge 106 di “Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”.

Terzo settore “le organizzazioni (…) costituite per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale (elencate all’art. 5) (…) e iscritte nel registro unico nazionale del Terzo settore”. Il nuovo conIl 3 luglio di quest’anno sono stati cetto di interesse generale rispecchia approvati cinque decreti legislativi at- la volontà del legislatore di definire tuativi della legge delega: chiaramente il Terzo settore un insie• Codice del Terzo settore me di enti che lavorano a beneficio di • istituzione e disciplina del servizio tutti e di nessuno in particolare. civile universale • disciplina dell’istituto del cinque Il Registro unico nazionale per mille Perno attorno a cui ruotano (e di• revisione della disciplina in materia pendono, soprattutto in relazione ai di impresa sociale tempi di attuazione, argomento che • approvazione dello statuto della affronteremo nel prossimo numero) Fondazione Italia Sociale. molte novità, è l’introduzione del Registro unico nazionale per tutti gli Enti La riforma coinvolge un settore in del Terzo settore cui l’organizzazione costante crescita di cui oggi fanno che vorrà essere riconosciuta come parte oltre 300mila organizzazioni, ETS dovrà iscriversi. con quasi un milione di lavoratori e 5 Il Registro unico prenderà il posto milioni di volontari (aggiungendo an- degli oltre 300 registri, albi e anagrafi che i volontari non legati alle organiz- in cui sono suddivisi oggi gli enti non zazioni, Istat ne ha censiti 7,1 milioni) profit e sarà pubblico e consultabile e un volume economico di circa 64 online. Sarà uno strumento fondamiliardi di euro. mentale per conoscere più da vicino gli ETS, il loro operato e il modo in cui Attività di interesse generale utilizzano i fondi ricevuti in donazione. Il Codice del Terzo settore (D.L. 3 luL’iscrizione al Registro è obbligatoria glio 2017, n. 117) riordina la vita delle per usufruire delle agevolazioni fiscali organizzazioni, le loro caratteristiche, i e della legislazione di favore ma per loro obblighi e le agevolazioni: è stato iscriversi al Registro l’ETS dovrà rispetpensato per essere, sostanzialmente tare adempimenti e obblighi inerenti e con pochissime eccezioni, l’unica la trasparenza, i rapporti di lavoro, la disciplina in materia di Enti del Terzo democraticità. settore. Tra i primi ad esempio, figura l’obNel Codice sono considerati Enti del bligo per tutti gli ETS, ad eccezione di

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quelli iscritti nel registro delle imprese, di depositare nel Registro Unico i rendiconti e i bilanci, e l’obbligo per gli enti del Terzo settore con ricavi o entrate comunque denominate superiori a 100mila euro di pubblicare annualmente sul proprio sito internet i compensi attribuiti ai componenti dell’organizzazione. Nuove misure fiscali ai donatori La Riforma (art. 83) ha introdotto nuove misure fiscali vantaggiose per chi dona denaro e beni agli ETS. In particolare per le aziende le donazioni in denaro e natura saranno deducibili fino al 10% del reddito complessivo dichiarato ed è stato cancellato il limite imposto dalla normativa precedente (70mila euro/annui). Un’altra importane novità è il regime forfettario agevolato previsto per tutti gli ETS e in modo speciale per le attività commerciali svolte dalle organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale: OdV e APS, infatti, potranno applicare alle attività commerciali svolte, il regime forfettario se nel periodo d’imposta precedente hanno percepito ricavi non superiori a 130mila euro. Da queste prime indicazioni, che riteniamo particolarmente interessanti per il pubblico di questo periodico, si intuisce quanto la Riforma del Terzo Settore possa cambiare non solo lo scenario del settore non profit, ma anche le relazioni tra questi soggetti e gli altri attori sociali che concorrono a costruire il welfare nazionale.



dall' estero

COME LA RENDICONTAZIONE NON FINANZIARIA PUÒ AUMENTARE LA FIDUCIA DEGLI INVESTITORI Il sondaggio di Ernst&Young

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egli ultimi 3 anni in tutto il mondo c’è stata un’espansione del ruolo dei fattori ambientali, sociali e di governance. Il parametro E.S.G. (Environment Social Governance) è divenuto centrale nella valutazione del futuro economico. Secondo il sondaggio di Ernst&Young intitolato “Regole dell’investimento del domani”, il fulcro della discussione ruota attorno a una domanda: «L’investitore è attirato da una maggiore apertura strategica, integrata e prevedibile, con i fattori E.S.G. attivi nella valutazone operata ai fini dell’aumento del business?». La risposta a questa domanda offre la possibilità di cogliere come l’analisi E.S.G, già significativa, sia diventata un fattore decisivo per gli investitori istituzionali e le aziende che la seguono. Consideriamo alcuni dei recenti titoli. Nel novembre 2016 Blooming Media dichiarava: «Larry Fink il Presidente e CEO di BlackRock vuole che le aziende parlino di più del futuro». In questo caso, il più grande manager di investimenti al mondo scrisse alla 500 aziende “quotate” da Standard&Poor’s e alle più grandi Corporate europee per esaltare le virtù della forte performance E.S.G. e i suoi effetti sulla valutazione di trend aziendale. È da ben considerare la potenza del richiamo all’azione rivolta agli azionisti. Circa un terzo degli investitori istituzionali, associazioni di investimento e consiglieri di Ernst&Young parlò dei rischi ambientali e sociali come di una priorità da mettere in conto per la di Elide Bonazzi

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stagione 2017: cioè più del doppio di quelli che l’avevano fatto l’anno precedente. La faccia cambiata dell’Informazione e del Reporting E.S.G. . Storicamente gli investitori sono interessati dalla salute dei lavoratori e dalle informazioni che riguardano la sicurezza delle aziende che rientrano soprattutto nella categoria dell’industria pesante. Oggi, però, l’attenzione degli investitori si è ampliata su più settori e su un ‘’range” più vasto di temi E.S.G. Tra questi spiccano il mutamento delle aspettative sociali, l’impatto delle tecnologie, i cambiamenti demografici, la scarsità delle risorse, i diritti umani a rischio, il trattamento economico-sociale dei dipendenti, il costo della diversità della post-crisi finanziaria. Il Nesso tra la ESG e la Performance La storica tendenza a guardare con indifferenza il rapporto tra la performance di un’azienda E.S.G. e la performance finanziaria sta svanendo. Seri rischi di reputazione e di pericoli ambientali affiorano e hanno un vero impatto sulla linea politica di fondo. Fattori E.S.G. ugualmente importanti possono essere usati per aiutare a trovare nuove opportunità e gestire i rischi degli investimenti a lungo termine, come anche evitare la scarsa performance aziendale causata da una governance negligente o da debole attenzione all’ambiente e al sociale. Tratto da CR Magazine Settembre 2017


dall'estero

ABBIGLIAMENTO, AZIENDE UNITE PER MISURARE LA SOSTENIBILITÀ

Nel 2010 negli Stati Uniti è nata la Coalizione Sostenibile per l’Abbigliamento, formata oggi da 200 marchi globali che fanno riferimento a un indice comune con cui viene misurato l’impatto ambientale dei prodotti.

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ue marchi molto diversi tra loro, Walmart e Patagonia, nel 2009 hanno allineato i loro punti di forza e hanno lanciato un appello comune al mondo dell’industria e della distribuzione. In un invito rivolto ad alcuni dei più grandi rivenditori al mondo, il responsabile del merchandising di Walmart, John Fleming, e il fondatore di Patagonia, Yvon Chouinard, hanno proposto la creazione di una collaborazione tra aziende mai tentata prima. L’idea è stata quella di unire vari concorrenti del settore tessile per sviluppare un indice comune (Higg) capace di misurare l’impatto ambientale dei loro prodotti. La prima riunione della Coalizione Sostenibile per l’Abbigliamento (SAC) ha avuto luogo giusto un anno dopo, nel 2010, e ha visto la partecipazione, oltre che di Patagonia e Walmart, di grossi marchi come Target, Gap, Kohl, Levi, Nike, JCPenney, Esquel Jeans, Li & Fung, Marks & Spencer, Otto Group, Timberland, Duke University, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA), il Fondo per la difesa ambientale e il gruppo di lavoro senza scopo di lucro Verite. La SAC, dieci anni dopo Ora, a quasi dieci anni di distanza, la SAC è un’iniziativa multi-stakeholder che ha sede a San Francisco e Amsterdam ed è composta da più di 200 marchi globali, tra rivenditori, produttori, organizzazioni governative, non-profit e istituzioni accademiche. E l’indice Higg, con la sua ambizione di “creare un approccio unico per misurare la sostenibilità nel settore dell’abbigliamento”, è lo standard industriale che è stato creato per valutare la sostenidi Elide Bonazzi

bilità ambientale e sociale in tutta la catena del valore, dalla progettazione, alla produzione e alla logistica. E non solo l’indice Higg aiuta le aziende a ridurre gli impatti ambientali negativi sin dalle prime fasi di progettazione, ma ne aumenta anche l’efficienza creando uno standard industriale condiviso e aiutandole a migliorare le pratiche sociali positive. Valore della collaborazione globale Il modo in cui i marchi membri della SAC partecipano allo sviluppo dell’indice Higg è per certi versi sorprendente. Spesso sono rivali feroci sul mercato, ma quando si riuniscono all’interno della SAC, le loro differenze non contano più e sono tutti uniti nel sostegno a questa iniziativa di trasformazione del mondo industriale. In particolare, i membri SAC elaborano in modo collaborativo strumenti che aiutino a migliorare l’intera catena del valore. «La SAC è la nostra partnership più preziosa per perseguire una strategia di sostenibilità mirata», ha dichiarato Colleen Vien, responsabile della sostenibilità di Timberland.

Non si può essere trasparenti a metà Partecipare all’indice Higg significa voler alineare i propri obiettivi aziendali con le aspettative dei clienti dal punto di vista della sostenibilità. Adidas, ad esempio si ripromette di raggiungere il 50% del risparmio di acqua nei fornitori di materiali di abbigliamento entro il 2020: «Sappiamo che possiamo avere successo solo se tutti i nostri partner della catena di approvvigionamento contribuiscono alla nostra ambizione», dicono i rappresentanti dell’azienda. A partire dal 2013, Ann Taylor e LOFT hanno incentivato i fornitori a ridurre il loro utilizzo di energia. I fornitori si sono impegnati a realizzare progetti di risparmio energetico che li hanno portati a risparmiare collettivamente più di 3,5 milioni di dollari entro il 2015. «Questo programma è stato vincente per i nostri fornitori e per il nostro business», ha dichiarato Ferran Astorga. Tratto da CR Magazine Settembre 2017 http://apparelcoalition.org

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eventi

SALONE CSR 2017, SUCCESSO CONFERMATO La quinta edizione, intitolata “L’arte della sostenibilità” ha affrontato molti temi attuali come la sostenibilità della filiera, l’evoluzione del welfare e l’impatto sociale sulla comunità. a cura della redazione di CSRoggi

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l Salone della CSR e dell’innovazione sociale che si è svolto il 3 e 4 ottobre scorsi negli spazi dell’Università Bocconi di Milano e che quest’anno era intitolato “L’arte della sostenibilità”, ha confermato di essere l’appuntamento principe per quanto riguarda la responsabilità sociale d’impresa in Italia. I numeri parlano chiaro: oltre 5mila visitatori hanno seguito gli 85 eventi che hanno visto come protagoniste ben 161 organizzazioni provenienti da tutta Italia.

Foto di Luca Palestra e Marco Taverna

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«Ascoltare le esperienze di oltre 300 relatori ci ha fatto capire che la strada è avviata e non si può tornare indietro – ha commentato Rossella Sobrero, membro del Gruppo promotore del Salone –. La sostenibilità sta rapidamente diventando un impegno per molte organizzazioni: sempre più spesso si è parlato di Valore Condiviso, un insieme di politiche e pratiche operative che accrescono la competitività delle organizzazioni e allo stesso tempo migliorano le condizioni economiche e sociali all’interno delle comunità in cui operano».


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le news

Vai sul sito www.csroggi.org e iscriviti alla newsletter di CSRoggi per ricevere tutte le settimane le ultime news dal mondo della CSR.

Sky, entro il 2020 addio alla plastica monouso La campagna “Sky Ocean rescue”, lanciata da Sky a gennaio 2107 entra nel vivo. Entro il 2020, ha dichiarato l’azienda, per salvaguardare la salute degli oceani verrà dichiarata guerra alla plastica, in particolare a quella monouso che sarà eliminata da attività, prodotti e catene di approvvigionamento. Già oggi tutti i prodotti Sky hanno imballaggi privi di plastica monouso, entro la fine del 2017 anche gli stessi prodotti ne saranno privi. Inoltre, Sky aiuterà i suoi partner commerciali e le catene di distribuzione e approvvigionamento a trasformare le loro attività in questa direzione. Tra gli obiettivi di Sky c’è anche quello di individuare e sostenere – attraverso un fondo dedicato, che metterà a disposizione 25 milioni di sterline in 5 anni – imprese e start-up che stanno sviluppando tecnologie per eliminare le plastiche monouso, così che non finiscano più negli oceani. In arrivo è anche un accordo con il WWF per la salvaguardia delle aree marine protette delle zone costiere dei territori europei nei quali opera l’azienda britannica: Regno Unito e Irlanda, Germania e Italia. «Dobbiamo affrontare uno dei più grandi disastri ambientali causati dall’uomo sul nostro pianeta – ha dichiarato Jeremy Darroch, Ceo Sky Group –. Le

MetLife, 90mila ore di volontariato nel mondo

Lo scorso agosto, il gruppo assicurativo MetLife ha pubblicato Global Impact, l’annuale report in cui vengono rese note tutte le iniziative dell’azienda in chiave CSR ed ESG. Nel 2016 MetLife ha investito 26,2 milioni di dollari per garantire accesso e alloggi a prezzi accessibili, sostenere l’istruzione e le emergenze sanitarie e supportare le infrastrutture fondamentali per la comunità. 9,7 milioni di dollari sono stati stanziati per investimenti “verdi”, 2,6 milioni di dollari in energie rinnovabili. Nel corso dell’anno è cresciuto l’impegno del gruppo verso i propri dipendenti per sostenerne il talento, valorizzarne la capacità e offrire loro un ambiente di lavoro salutare. Tramite la Fondazione collegata al Gruppo, i dipendenti di MetLife hanno partecipato a progetti di volontariato nel mondo per un totale di 90mila ore, il 25% in più rispetto al 2015. MetLife ha ricevuto il Climate Leadership Award per essere stata la prima compagnia assicurativa americana carbon free e avere così ridotto le emissioni di gas serra.

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statistiche sono sconvolgenti: se non ci fermiamo entro il 2050 la quantità di plastica nell’oceano peserà più di tutti i pesci. La campagna “Sky Ocean Rescue” ha già coinvolto oltre 6 milioni di persone, ridotto il consumo aziendale di plastica di oltre 300mila bottigliette e portato Plasticus (vedi foto), una balena lunga 10 metri fatta della stessa quantità di plastica che entra negli oceani in un secondo, in tour in tutto il Regno Unito.

Il bilancio è migliore quando il rating CSR è alto

Le imprese del Nord America che nel triennio 2014/16 hanno ricevuto punteggi più alti da parte di CSRHub, società di rating della sostenibilità, hanno mostrato anche di avere performance finanziarie migliori. A rivelarlo è un’analisi condotta dal Centre for Sustainability and Excellence (www.csenet.org) su oltre 550 aziende distribuite tra USA e Canada. La ricerca spiega anche che i settori più sensibili ai report di sostenibilità, sempre nel Nord America, sono energia e utility, alimentare, minerario e servizi finanziari. Poco rappresentato è invece il settore tecnologico, Prendendo in considerazione le aziende che hanno presentato un rapporto di sostenibilità tra il 2015 e il 2016, si scopre che otto imprese su dieci sono public company, ad azionariato diffuso. Molto meno numerose sono le piccole e medie imprese, che in Canada raggiungono l’8% e negli USA non riescono a superare il 5% del totale.


Da Estra un premio giornalistico per le buone notizie nello sport

MARSH, AL LAVORO PER LA RESPONSABILITÀ SOCIALE Oltre 150 dipendenti (circa 1 su 5) di Marsh Italia hanno aderito al progetto di volontariato “Sosteniamo le comunità a rischio” promosso dell’azienda

Estra SpA, società multiservizi italiana a partecipazione pubblica, in collaborazone don l’Unione Stampa Sportiva Italiana (USSI) e SG Plus Ghiretti & Partners, organizza anche per quest’anno il Premio giornalistico “Estra per lo sport: raccontare le buone notizie” che ha l’obiettivo di offrire un riconoscimento ai giornalisti che mettono in luce lo sport come strumento di responsabilità sociale e crescita per il territorio. «Raccontare le buone notizie – spiega Francesco Macrì, Presidente di Estra –, il fair play, puntare su quelle eccellenze capaci di coniugare lo sport con i valori dell’inclusione: questi sono i cardini su cui si fonda questa seconda edizione del nostro Premio». Il Premio è riservato a professionisti e pubblicisti iscritti all’Ordine di categoria e prevede tre premi da 1.500 euro per i migliori servizi nelle categorie “Televisione e radio”, “Carta stampata” e “Web e blog” per i media a valenza nazionale e territoriale per le regioni Toscana e Marche. Inoltre la giuria potrà attribuire due premi speciali del valore di 1.000 euro e una Menzione d’Onore. Potranno essere presentati elaborati pubblicati, trasmessi o diffusi nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2017 e il 15 maggio 2018. Il bando del premio è scaricabile sui siti web di Estra (www.estraspa.it), Ussi (www.ussi.it) e SG Plus (www.sgplus.it).

Il pecorino che sostiene i pastori sardi Quando la solidarietà arriva sulla tavola. Biraghi, azienda casearia piemontese, ha lanciato il nuovo prodotto “Ricetta tipica al pecorino 100% latte italiano” frutto di un accordo di filiera con Coldiretti Sardegna. L’azienda si è infatti impegnata a sostenere i pastori sardi garantendo un prezzo di acquisto equo della materia prima. Per questo su ogni confezione del prodotto, in vendita in oltre 1.000 punti vendita in tutta Italia, è stato apposta una speciale etichetta con la dicitura “Prodotto solidale”.

Anche quest’anno Marsh, leader mondiale nell’intermediazione assicurativa e nella consulenza sui rischi, ha coinvolto i dipendenti in un programma di volontariato aziendale. Un’iniziativa partita nel 2012 e che nel tempo è cresciuta ed è arrivata oggi a coinvolgere oltre 150 dipendenti (circa 1 su 5). Numerose le iniziative proposte, con i dipendenti che hanno potuto scegliere le attività in linea con le proprie inclinazioni. Per Fondazione Arché sono stati organizzati corsi di informatica e di orientamento al lavoro destinati alle mamme, spesso giovanissime e senza il sostegno di una famiglia, gite al Parco Faunistico Le Cornelle per i piccoli ospiti dell’associazione e attività di riordino dei locali, senza dimenticare la partecipazione al progetto Negozio Vintage Solidale. A Milano, per “La Strada”, si è partiti dall’imbiancatura del centro di aggregazione giovanile in via Salomone, per continuare con i lavori di ripristino della Cascina Nosedo (vedi foto sotto), i corsi di inglese per i giovani, la giornata allo stadio per gli adolescenti e il pomeriggio di intrattenimento per gli anziani. L’Ufficio Marsh di Padova ha invece supportato l’associazione Medici con l’Africa CUAMM e quello di Genova ha realizzato un murales sulle pareti del cortile della Casa Circondariale Marassi per rendere il luogo deputato agli incontri con le famiglie più allegro e colorato. Con l’associazione Raggio di Sole Onlus, che segue giovani con disabilità, Marsh ha inoltre puntato sull’intrattenimento e ha messo in scena un vero e proprio talent show musicale. È entrata inoltre in azione con Retake, per rimettere in sesto alcune parti della città di Roma da tempo trascurate. «Quando abbiamo iniziato il programma di volontariato – spiega Barbara Ghirimoldi, Direttore Marketing e Comunicazione per l’Europa Continentale in Marsh –, ci siamo interrogati sul valore delle iniziative. È stato il crescente livello di entusiasmo e di partecipazione dei colleghi a farci continuare. Ma soprattutto sono state le associazioni a ricordarci che anche la banale imbiancatura di una stanza significa per loro soldi risparmiati e quindi possibilità di aiutare qualcuno in più. Senza dimenticare che fare del bene agli altri è il miglior esercizio di team building possibile».

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universita'

LE TESI CHE TRATTANO DI CSR A partire da questo numero CSRoggi ha deciso di segnalare le tesi di laurea e di dottorato che affrontano i diversi aspetti legati alla responsabilità sociale d’impresa. Pensiamo che rendere note queste ricerche possa aiutare il mondo del lavoro a cogliere le migliori proposte utili allo sviluppo aziendale e possa offrire agli Istituti Universitari e ai neo laureati o a coloro che hanno acquisito il dottorato l’occasione di dare una valenza concreta a studi compiuti con grande sforzo e impegno. CSR COME LEVA STRATEGICA DELL’IMPRESA: DUE REGIONI A CONFRONTO UNIVERSITÀ DI BOLOGNA – SCUOLA DI SCIENZE POLITICHE Tesi di laurea di Irene Vigiani Relatore prof.ssa Pina Lalli
 È importante valutare come la CSR e le sue pratiche si sono insediate nelle regioni italiane; come è stata interpretata questa tematica in territori come la Toscana e il Piemonte, tenendo conto delle iniziative promosse a favore di una responsabilità sociale, degli stakeholder coinvolti nella promozione e diffusione di questa e i vari progetti che caratterizzano questi territori e che rappresentano l’approccio principale delle imprese nell’inserimento di CSR nella dimensione aziendale.

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: PROBLEMATICHE E OBIETTIVI MANAGERIALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI – SCUOLA DOTTORALE IN DIRITTO ED ECONOMIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI
 Tesi di dottorato di Claudio Fundoni Tutor:
prof. Carlo Marcetti L’obiettivo del presente studio è un’analisi in chiave di Corporate Social Responsibility degli aspetti e delle dinamiche relazionali che l’azione di impresa implementa, nel tentativo di individuare le opportunità che questa offre alla compagine organizzativa e gli elementi di criticità che, al contempo, pone in evidenza. (…) A tale scopo, si intende avviare il progetto di ricerca dall’esame dell’azienda proponendone un’analisi del concetto stesso: l’intento è senza dubbio lontano da un tentativo tautologico di ridefinizione dell’istituto aziendale, su cui altri hanno già ampiamente e autorevolmente dibattuto.

LA FORMALIZZAZIONE DELLA CSR: OBIETTIVI E STRUMENTI POLITECNICO DI MILANO – FACOLTÀ DI INGEGNERIA DEI SISTEMI Tesi di laurea di Chiara Motta e Mariachiara Suman Relatore prof. Paolo Maccarrone La presente ricerca ha lo scopo di identificare quali sono i vantaggi che le imprese hanno conseguito attraverso il processo di formalizzazione della CSR. Si vuole indagare se gli obiettivi delle imprese relativi ai vantaggi dell’adozione degli strumenti siano di tipo reputazionale, oppure se le imprese ricerchino benefici che abbiano un impatto interno. L’analisi dei vantaggi attesi permette di individuare i diversi approcci alla formalizzazione che le imprese possono adottare in tale processo.

STRATEGIE DI COMUNICAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE DELL’IMPRESA. LA SITUAZIONE IN VENETO UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI VENEZIA - CORSO DI LAUREA MAGISTRALE
IN MARKETING E COMUNICAZIONE Tesi di laurea di Melissa Cuccarolo Relatore prof.ssa Cinzia Colapinto Alla luce dell’evoluzione del contesto socio-culturale del mercato, il presente lavoro si prefigge di chiarire il ruolo della Responsabilità Sociale e le modalità attraverso le quali veicolare le informazioni al pubblico d’interesse in merito alle iniziative promosse in questo ambito. (…) L’analisi della letteratura sarà il punto di partenza per definire i criteri della ricerca descrittiva in merito alla diffusione della responsabilità sociale in Veneto: in tal modo si cercherà di comprendere come le imprese abbiano realmente compreso e declinato l’approccio nelle quotidiane prassi aziendali.

DALLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA ALL’ECONOMIA DI COMUNIONE: MANIFESTAZIONI DI UNA “CULTURA DEL DARE” NEL NOSTRO TEMPO UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE PIACENZA – FACOLTÀ DI ECONOMIA Tesi di laurea di Laurea di Bagnato Chiara Relatore
 Prof.ssa Carlotta D’Este L’obiettivo di questa tesi non è soltanto quello di approfondire il concetto di RSI, illustrare i diversi interlocutori nei confronti dei quali la responsabilità è esercitata ed esaminare i costi e i benefici connessi agli interventi di RSI, ma proporre un nuovo modello di agire economico, quello dell’Economia di Comunione nella libertà, lanciato per la prima volta in Brasile nel 1991 e oggi diffuso nel mondo, da una proposta di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari.

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i libri

di Elvira Vigorelli

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE ORGANIZZAZIONI

IMPRESA E CSE: LA «NON COMUNICAZIONE» DI SUCCESSO

di Silvio de Girolamo e Paolo D’Anselmi

di Cecilia Casalegno e Chiara Civera

L’ECONOMIA DELLA CIAMBELLA

di Kate Raworth

L’impresa sostenibile e lo sviluppo competitivo

Regole per una gestione responsabile delle relazioni

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

Il volume offre un quadro critico delle varie anime che si affrontano attorno al tema della “responsabilità sociale delle imprese”. Particolare attenzione viene rivolta al “popolo della Rete” e ai social network che stanno modificando i rapporti fra consumatori e aziende, nonché al ruolo crescente della Pubblica Amministrazione nella CSR. La “responsabilità sociale delle imprese” (CSR) riguarda tutte le implicazioni di carattere etico inerenti l’attività imprenditoriale. Ma il suo significato cambia secondo i punti di vista: per molte aziende è un’attività che si mette in atto solo per compiacere cittadini e stakeholder, ricevendone in cambio un “ritorno di immagine”. Per altre e per i governi, l’obiettivo è una crescita sostenibile e la creazione di occupazione durevole nel medio e lungo termine. Per cittadini e lavoratori si tratta di difendere i diritti fondamentali alla salute, alla sicurezza e al posto di lavoro. Un libro che mette a confronto i punti di vista di due esperti: un manager del settore privato - esperto di corporate governance e sostenibilità - e un consulente di direzione aziendale che mette in evidenza il ruolo della concorrenza all’interno dei diversi settori dell’economia, inclusa l’amministrazione pubblica.

Le imprese sono sempre più coinvolte nella riduzione del rischio relativo al business di riferimento, tramite la costruzione e il mantenimento di relazioni basate su fiducia, integrazione con il territorio circostante e implementazione di processi e politiche che permettano di ottenere un alto grado di reputazione sostenibile. In tale panorama si fa sempre più strada la questione che riguarda la vera natura della Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR) come modello di business innovativo, assieme alla sua comunicazione verso l’audience di riferimento. In quale misura l’impresa ottiene benefici in termini di immagine e di reputazione, comunicando ai pubblici di riferimento il proprio coinvolgimento nelle problematiche sociali, economiche e ambientali? Quanto le audience sono predisposte alla ricezione di input da parte di chi vuole comunicare il proprio impegno responsabile? Esiste la possibilità che talvolta la “sovra-comunicazione” conduca a false percezioni e che quindi la miglior comunicazione sia proprio la volontaria “non comunicazione”? Il libro si propone di rispondere in modo esaustivo a tali quesiti e, attraverso la metodologia dei casi di studio, stabilire linee guida per una comunicazione di successo in merito alla Corporate Social Responsibility.

Il modello economico oggi prevalente ha aiutato miliardi di persone a migliorare le proprie condizioni di vita. Tuttavia, questi risultati sono stati ottenuti imponendo un prezzo altissimo ai sistemi naturali prima e a quelli sociali dopo. Da un lato, inquinamento, cambiamenti climatici e distruzione della biodiversità; dall’altro, livelli di diseguaglianza che contribuiscono a dare forza ai movimenti populisti che incendiano gran parte dei paesi dell’Occidente. È chiaro che qualcosa non funziona, e che l’economia deve essere aggiornata alle realtà del XXI secolo. Per farlo, Kate Raworth ricostruisce la storia delle teorie che stanno alla base dell’attuale paradigma economico, ne evidenzia i presupposti nascosti e con grande sagacia li smonta pezzo per pezzo. Dopo aver fatto piazza pulita di teorie che, pur risalendo all’Ottocento continuano a essere insegnate ancora oggi, Raworth indica sette passaggi chiave per liberarci dalla nostra dipendenza dalla crescita, riprogettare il denaro, la finanza e il mondo degli affari e per metterli al servizio delle persone. In questo modo, si può arrivare a un’economia circolare capace di rigenerare i sistemi naturali e di redistribuire le risorse, consentendo a tutti di vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo.

Anno: 2017 – Pagine 134 Editore: Franco Angeli Prezzo: 18 euro

Anno: 2016 – Pagine: 208 Editore: Franco Angeli Prezzo: 27 euro

Anno: 2017 – Pagine: 304 Editore: Edizioni Ambiente Prezzo: 22 euro 37

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secondo me di Ugo Canonici

LE DUE GABBIANELLE Oggi mi piace parlarvi di due gabbianelle che mi è capitato di seguire nel loro affacciarsi alla vita. Ho solo un piccolo dubbio: forse non c’entra con la CSR. Forse. Trascorro i miei momenti di vacanza in un incantevole angolo della Riviera Ligure, dove ho le mie radici. Dove l’armoniosa disposizione degli scogli sul mare ha come contrappunto il verde dei pini marittimi che affondano le loro radici nell’azzurro. Incantato ad ammirare questa poesia di colori e di pace, con lo sguardo che si perde sin verso l’orizzonte, mi sono spesso sorpreso a contemplare il volo dei gabbiani. Che stile, che classe, che ritmo. Eleganti uccelli dalle grandi ali che tracciano imprevedibili percorsi nel cielo. Qualche battito d’ali, ogni tanto, e poi lunghe planate come dei deltaplani (ma forse è più corretto dire che sono i deltaplani a planare come dei gabbiani?) che si divertono a tracciare disegni nel blu. Eleganti, col petto bianco, la punta delle ali marroncino/grigio cenere, il becco giallo, adunco e le zampette protese all’indietro per limitare la resistenza al volo. Ogni tanto da soli, spesso in tanti. E vengo al punto. Un certo giorno ho visto su uno scoglio piatto che si protende nel mare, due piccole figure, tutte grigie, che zampettavano vicino a un gabbiano grosso. Mamma e due figli. La mamma li incoraggiava a stare in piedi sulle zampe e a muovere i primi passi verso l’acqua. Essendo quel posto un po’ in disparte ma comunque frequentato dagli umani, ogni tanto capitava che qualcuno si avventurasse verso quello scoglio. E lì scattava un fenomeno imprevisto. Agli strilli acuti della mamma appariva da chissà dove un nugolo di gabbiani strillanti che, con circonvoluzioni sempre più strette, convergevano sull’intruso con picchiate sempre più minacciose. Solo quando questi si allontanava cessava

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il carosello. La pattuglia se ne andava e la mamma poteva riprendere il suo processo educativo. (E questo mi ha ricordato una bella frase che ho letto da qualche parte: «Io non posso, ma insieme possiamo»). E il processo continuava secondo schemi e tempi ben precisi, che a me sfuggivano, ma che potevo testimoniare sull’arco di alcune settimane. Dopo aver insegnato ai piccoli a muoversi sullo scoglio e a prendere confidenza con l’acqua, quando ha deciso che fosse il momento, con gesto gentile ma deciso, la madre col becco li ha spinti nel mare. Era il momento di imparare a galleggiare. E i due (o “le” due, chissà perché a me piaceva pensare che fossero due gabbianelle) superato qualche sbattimento scomposto hanno cominciato a muoversi disinvoltamente. Dopo qualche altro tempo ancora era il momento di imparare a volare. La solita premurosa mamma li ha accompagnati con estrema pazienza a fare i primi balzi e poi a sollevarsi dallo scoglio e poi a un timido volo nelle vicinanze e infine, accompagnati da altri gabbiani del gruppo (evidentemente a difesa dei piccoli, non si sa mai) hanno cominciato a volteggiare nel cielo, incrociando anche piccioni (dal volo più frenetico e, lasciatemi dire, più scomposto) e altri volatili, erano pronti al loro ingresso nei cieli, nella vita. E adesso cambiamo film Mi è capitato in questi ultimi anni di cercare di avvicinarmi alla conoscenza delle cose della Sostenibilità Sociale. Ho partecipato a ogni incontro, seminario, congresso che avesse come tema la CSR, ho navigato nei testi e “sfruculiato” il maggior numero possibile di siti su tale argomento. E ho maturato prima una sensazione e poi una convinzione. La CSR non è una novità per il nostro Paese, molti la conoscono e la praticano, anche con

risultati degni di menzione. Ma. A mio avviso c’è un grosso “ma”. Sembra che gli addetti ai lavori, che sanno tutto e fanno tanto, si sentano un po’ come in una categoria a sé. (Per carità preciso, come di dovere, non tutti ovviamente.) Io, a volte facevo fatica a trovare il bandolo della matassa. Più volevo capire più mi accorgevo che era quasi necessario entrare in un’enclave, acquisire un gergo, crearmi una mia propria autonomia. Le prime (errate?) impressioni erano quelle di essere in contatto con lo “stregone” (in senso buono) del villaggio con le sue movenze ed espressioni difficili da comprendere. Non mi sembrava, insomma, un accompagnamento per allargare il gruppo, ma una comunicazione criptica. A me, vecchio comunicatore, avevano insegnato che “comunicare” vuol dire “mettere in comune”. Beh, non mi sembrava che ciò avvenisse. Tanto è vero che, provando a chiedere alla “gente comune” se sapessero cosa volesse dire “fare Sostenibilità” ho ottenuto spesso gli esempi più disparati o i silenzi più preoccupanti. «La CSR non è ancora arrivata alla pancia della gente» mi aveva detto tempo fa un grande esperto di Sostenibilità Sociale. Per concludere. Ho pensato che forse sarebbe bello che chi ne sa, volesse e potesse accompagnare, passo dopo passo, chi ne vorrebbe sapere. Senza troppi voli difficili. Per volare non si deve pensare di entrare tutti a far parte della Pattuglia Acrobatica, ma almeno poter raggiungere la percezione di un volo sicuro. Ed è qui che mi torna alla mente la mamma-gabbiano. Con i suoi piccoli passi, con la sua pazienza e disponibilità che ha portato le due gabbianelle a volare. Ma forse le gabbianelle non c’entrano con la CSR. Forse.




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