Patafisica

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Patafisica di Ilaria La Magna Antropologia delle societa' compelsse Prof. Giuseppe Gaeta


Patafisica Intro.

Che cos’è la patafisica? La patafisica è una parodia della teoria e dei metodi della scienza moderna, essa esplora quello che è al di là della metafisica. La teorizzazione di questo orientamento del pensiero si dev e ad Alfred Jarry intellettuale francese che l’ha definita come :“Scienza delle soluzioni immaginarie”.

Letteralmente ‘patafisica (dal francese ‘pataphysique, formazione scherz. e arbitraria con (é) p(i)- «epi-» e (mé) taphysique) significa: ciò che è vicino a ciò che è dopo la fisica (per dopo la fisica s’intende la metafisica). Jarry ne fa risalire l’origine a Ibicrate il Geometra, pseudonimo di Ippocrate

Provinciale intelligente e curioso, compì studi brillanti. Jarry trovò nella Parigi di fine secolo e nell’eccentricità dei suoi ambienti artistici la strada di una vocazione letteraria che lo portò a contatto con i simbolisti. Collaborò al “Mercure de France” e pubblicò due numeri della sua rivista “Perhinderion”. La sua fama, è legata all’invenzione di un personaggio: “Padre Ubu”; grottesca marionetta umana, avida di potere e di denaro, ingorda, cinica, brutale e paurosa che rappresenta il piccolo borghese del tempo, affascinato dall’idea del potere e della gloria; le avventure di Ubu proposte a teatro non lasciano mai affiorare il moralismo e si svolgono nella frantumazione delle consuetudini linguistiche e sceniche tradizionali. Jarry morì di tubercolosi, complicata fra l’altro dall’uso di alcol e droghe. Il suo corpo fu tumulato nel Cimitero di Bagneux, vicino Parigi.

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Che cos’e’?

Enrico Baj artista patafisico, attraverso un saggio (o insano) del 1994 ci introduce alla patascienza.

Enrico Baj ci introduce nel mondo della Patafisica e lo fa contestualizzando idee, immaginazioni, congetture di quello che costituì ai suoi esordi la scienza delle soluzioni immaginarie. E lo fa partendo proprio dal suo ideatore Alfred Jarry. Alfred Jarry nasce a Laval nord della Francia l’8 settembre 1873 al liceo di Rennes. Durante gli anni del liceo crea il personaggio fondamentale, la chiave di volta per comprendere la patafisica, Padre Ubu o meglio Re Ubu. Vale la pena di soffermarsi su questa figura in quanto nasce da un personaggio reale, e cioè il professore di fisica Hérbert, da cui Padre Hérbert. Non a caso si tratta del professore di fisica, attua cioè Jarry una corruzione di quello che è il simbolo di razionalismo e fede scientifica. Il movimento Patafisico ha attuato un ribaltamento di qualsiasi ordine precostruito, a partire dal calendario, che cambia la sua nomenclatura per cominciare non il primo gennaio, quanto il giorno della nascita di Jarry; singolare anche la sostituzione dei mesi e dei giorni con mesi nuovi: il primo mese è Assoluto, il calendario continua così con il mese di As, di sabbia si continua con il mese di Ha Ha che sarebbe poi anche il saluto. Ritornando alla figura di Ubu, sappiamo che si è trasformata col tempo in una figura teatrale al pari di Don Chisciotte, in quanto rappresenta la totale eresia democratica, un uomo ridico goffo e autocratico, che rappresenta il lato più becero del

potere. Allo stesso Ubu, Jarry fa dire:”La patafisica è la scienza che abbiamo inventato perché ve ne era un gran bisogno.” Jarry fu amico di numerosi artisti, tra i quali Rousseau il doganiere, col quale lavora alla macchina che dipinge da sola, precorritrice della Mèta- Matic che e il pittore Jean Tinguely proporrà al Museum of Modern art di New york alla fine degli anni ’60.

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Altro filone determinante della filosofia di Jarry è una sorta di anarchia nella fede scientifica, e nel potere scientifico proprio per questo la patafisica è altrimenti detta la scienza delle soluzioni immaginarie, in quanto prende le distanze dalla Scienza per come nei primi decenni del 900 stava definendosi, e cioè una nuova forma di schiavitù umana per osservarla da un punto di vista capovolto e distaccato in maniera ironica. Per Bocca del dottor Faustroll, Jarry intende la patafisica come la scienza per antonomasia, non suddivisa in specializzazioni, contro la fisica, la chimica e la “merdicina”.Quindi l’immaginario, e il fantastico, contro il paradigma delle scienze come appropriazione del mondo. La Patafisica sfata tutte le regole e i paradigmi, perché essa crede che la scienza e la religione esistano, solo perché ci si basa su assunti apodittici. Contemporaneamente si può dire che questo movimento sia nato in un periodo si di forte propulsione scientifica,che poi darà vita agli assetti moderni della scienza e della tecnologia, che ha fede sul razionalismo, e dall’altro lato a movimenti opposti fondati sull’irrazionale che rifuggono con panico, e rigetto la svolta tecnologica moderna, come Nietzche e Heidegger . La patafisica anche irridendo l’eccessiva razionalità ha un approccio col dubbio, diverso, ottimista se non gioioso. Ricerca la saggezza con impassibile serenità. Altro

elemento di forza dell’homo patafisicus, è il ricorso all’elemento dissacratore della satira, che viene mal tradotto con lo humor, che dalla cultura classica greca serve appunto ad esorcizzare il male, e ha una funzione soprattutto apotropaica. La satira, anche il cattivo gusto se vogliamo e il vernacolare si oppongono anche ad un tipo di linguaggio strutturato e burocratico che ogni giorno ci attanaglia e crea modelli comunicativi incomprensibili.

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Che cos’E’?

La Patafisica accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per mezzo della loro virtualità.

Altro elemento da introdurre è quello di Patacessione e patacessore cioè ciò che precede, chi precede la patafisica. Un Patacessore può essere Zenone di Elea, che attraverso il paradosso sfata le certezze sul movimento e la velocità. Celebre è quello di Achille e la tartaruga; la storia narra che Achille confidando nella sua velocità di corsa dieci volte superiore a quella della tartaruga concede dieci metri di vantaggio alla tartaruga la quale porterà con sé sempre quel vantaggio in ragione dell’infinità dello spazio infinitamente suddivisibile così Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga. Altra grande figura è Leonardo da Vinci il quale attraverso l’immaginazione è riuscito a progettare macchine che tutt’oggi sono in uso. Altro personaggio è Marcel Duchamp il quale esaurisce la questione relativa alla problematicità contemporanea con un lapidario: “Non ci sono problemi perché non ci sono soluzioni.” Ritornando ai protagonisti dell’immaginario patafisico, queste due figure in Jarry costituiscono la contestazione del potere politico (Padre Ubu), e la contestazione del potere scientifico dall’altro (Dottor Faustroll) Scritta nel 1994 quest’opera di Baj diventa attuale in quanto molti rappresentanti politici, hanno preso ad esempio la figura di Ubu, uno fra questi l’anomalia Berlusconi in Italia che attraverso

lo strapotere mediatico incarna un ologramma vociferante e traboccante di banalità ed egoismo politico. Dall’altro lato il dottor Faustroll che è anticipatore di molti archetipi di tecnocrati che confidano solo e unicamente nella tecnica. Riguardo alla questione della problematicità della vita, secondo la patafisica questa andrebbe accettata in maniera aproblematica, in quanto tutti i tentativi di risolvere un problema si basano su un percorso per trovare una soluzione, che molto spesso viene cercata in canoni fortemente negativi, quali l’oppressione mediatica, che è una vera e propria manipolazione psicologica.

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Tra le varie leggi della patafisica ve n’è una che afferma che questa accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per mezzo della loro virtualità. Questo significa che gli oggetti fisiognomicamente sono, cioè si è in base a ciò che si appare, come nella contemporanea superiorità dell’apparenza sull’essenza. Questo ragionamento pare anticipare la nostra cultura che converge sull’immagine. La realtà veicolata dalla televisione smette di avere le sue qualità precipue, così il sangue gli assassini e tutte le nefandezze di cui il mondo è capace, smorzano la loro intensità se visti attraverso un monitor, tanto da riuscire a renderci indifferenti, così che tutto è il contrario di tutto, la realtà è un brodo virtuale indifferenziato. Così che dicendola alla Mc Luhan the medium is the message, il contenitore è anche esso il contenuto. La stessa notizia o lo stesso messaggio veicolati attraverso un medium differente sortiscono effetti differenti. Il rimando alla virtualità dell’oggetto rimanda alla patafisica che aveva prefigurato l’illusione dell’oggetto già più di cento anni fa.


Popper ci insegna che la scienza va confutata, nel senso che tutte le certezze per essere provate devono essere analizzate, nel caso non siano infallibili rigettate per trovare altre soluzioni. In questo la filosofia Patafisica insegna che è meglio ricercare le soluzioni immaginarie invece che quelle scientificamente provate, le particolarità anziché le leggi generali. Esistono inoltre due tipi diversi di Patafisica. La ‘Pataphysica preceduta quindi da un apostrofo, è la diretta discendente della filosofia Platonica e Aristotelica, quindi di ciò che va al di là della metafisica ed è un tipo di Patafisica volontaria, l’altro tipo di patafisica è invece quella senza accento senza condizionamenti, e l’assenza stessa dell’accento denota questa sua libertà e anarchia. Tra i patafisici è nata una disputa, su quale fosse la patafisica da preferire rispetto all’altra. La risposta del Collegio fu che non esiste una patafisica preferenziale piuttosto ognuno di noi nell’agire quotidiano in qualche modo fa delle azioni patafisiche, volenti o nolenti. I patafisici si riuniscono in un organigramma che è detto Collegio di Patafisica il primo fondato fu quello di Parigi nel 1948, dove c’era una tendenza a preferire la patafisica involontaria in quanto illimitata e priva di dogmi. La stessa parola patafisica dall’etimo greco possiamo definirla come un fenomeno che si ag-

giunge ad un altro, proprio perché al di là della metafisica, occorreva cioè superare le posizioni aristoteliche per creare una non-scienza nuova. Questo orientamento del pensiero come detto prima è contro la massificazione, non si può infatti ricondurre ad un denominatore comune la varietà delle eccezioni che diventa quasi singolarità nei fenomeni che accadono nel mondo; ma se da un lato la patafisica combatte tutto ciò che è massificante, dall’altro lato è estremamente inclusiva. Ingloba cioè in sé tutti, e non fa nulla per attirare nuovi proseliti.

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Che cos’E’? Viva il Padre Ubu, viva Faustrollo! Cornagiduglia ! Epì metà tà physicà!

In Italia le prime organizzazioni patafisiche si sono formate a Milano con Institutum Pataphysicum Mediolanense l’8 Marzo 1963 con la partecipazione di Raymond Queneau e l’avvallo del Barone Mollet. Sono state organizzate delle mostre, in cui Ubu ha fatto la sua comparsa nei palazzi Milanesi. Altro collegio è a Torino con il Turin Institute of Phatapysics il quale seguendo le tracce del MIT dovrebbe condurre una ricerca di tipo scientifico . A Locarno in occasione della mostra dell’Imperatore Analogico della patafisica milanese Enrico BAj è stato fondato L’Istituto Locarnese di Patafisica in data 4 dicembre 1993. Particolarmente emblematico è il simbolo patafisica, che ne rappresenta l’insegna assoluta, sarebbe a dire la spirale studiata da Bernouilli, la quale è oggetto di disputa perché non si capisce che giro debba condurre, se destrogiro o levogiro. Che vada a destra o a sinistra quello che importa è che queste volute convergano in un centro, che rappresenta il centro dell’ombelico di Padre Ubu la giduglia. Dal francese gidouille che significa ombelico. Grande importanza viene data dalla Patafisisica alla Gerarchia, in quanto come nella repubblica di Platone, valgono le competenze evidenti degli associati, e può anche verificarsi il cumulo della cariche perché la Patafisica è un tipo di istituto

prettamente meritocratico. La gerarchia si divide per ambiti, Gerarchia della Scienza, e dell’Ordine Cavalleresco per cui esistono Commendatori, Cavalieri, Opliti. A questi vengono di solito assegnate le mansioni più semplici come spedire pacchi, compilare indirizzi etc.

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Questo è il collegio. Poi vi è L’ Ordine della Giduglia rappresentato come una semisfera con il Consiglio superiore , il Discretorio, il capitolo dei Roganti, il capitolo dei Sigilliferi Suffraganti I Deferenti, gli Energumeni. Questi diplomi nel tempo sono stati conferiti un po’ indiscriminatamente, e questo ha generato le critiche al sistema patafisica in contraddizione ai suoi statuti. Ma in quanto scenza dell’indistinto e del “tutto fa la stessa cosa” Il collegio ha dato queste cariche perchè ingloba tutto e il contrario di tutto. Oltre ad essere una forma di pensiero libero, e dissacratore, la patafisica ha anche una funzione liberatoria e di resistenza resistenza al potere. Oggi sembriamo infatti vivere sotto un panottico, dove siamo continuamente osservati da poteri di tipo mediatico,

politico burocratico. Viviamo in una sorta di omogeneizzazione dove il singolo e le sua identità e alterità fatica ad emergere, siamo immersi in una dittatura mediatica, che attua i modi della tortura in maniera differente da quella di un potere totalitario, ma in maniera più subdola meno apparente, ma più sottile. La patafisica in questo è un arma di resistenza.

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Che cos’e’? Arte Scienza. La Patafisica, un modo per resistere.

Enrico Baj continua le sue riflessioni con un introduzione al mondo dell’arte che è nato dalla patafisica o che si è ispirato alla patafisica per nascere. Movimenti quali il surrealismo, Dada, e il situazionismo devono molto alla patafisica in quanto hanno tutti come denominatore comune l’avversione verso un modo costruito e rigorosamente logico di vedere l’arte. Ma affidano all’automatismo psichico la capacità di poterla generare. Nell’opera inoltre fa una considerazione sulla mercificazione attuale dell’arte, che non è libera dalle logiche di consumo, alla stregua di qualsiasi altro bene e servizio. Per questo fa l’esempio del Centre Pompidou di Parigi, che è stato concepito in una maniera tanto megalomane da avvicinarlo alla funzione di un grande centro commerciale, un centro che funge da consumo di massa, un luogo adatto per fare le gite, dove la teatralizzazione e la spettacolarizzazione fanno la parte più consistente. C’è secondo Baj una tendenza a vedere il museo e la galleria come un grande supermercato, altamente democratizzato, ma per questo con un calo di qualità, dove si può fare un arte sì più accessibile a tutti, ma per questo sminuita. Il poeta attuale non ha altra scelta che essere rivoluzionario o non essere poeta. Enrico baj continua le sue argomentazioni, con la definizione di impegno, in patafisica, affermando che la patafisica non va in contraddizione col con-

cetto di impegno, di responsabilità anche qualora artistica. La patafisica non è un modo per non pensare, ma è un sistema di pensiero che ammette in se stesso anche il paradosso, l’assurdità e il gusto per l’ironia. Anche qualora ci si imbatta in opere importanti dal punto di vista civile, come i” funerali dell’anarchico Pinelli” nel guardare a queste opere si avrà bisogno di patafisicità ugualmente, la pittura non è vuoto estetismo, e intento decorativo. Questa deve per Baj, veicolare dei contenuti la patafisica aiuta a combattere anche la malinconia, di un mondo popolato di scadenze, di militari, di generali. Tutto oggi sembra trascinarci in una spirale pessimista, la burocrazia, la lotta contro un potere costituito che non accenna a venire in contro al cittadino; anche confidare in uno stato anarchico non giova, perché anche queste hanno deluso meglio ripiegare in un sistema serenizzante come quello che è la patafisica. In un mondo in cui regna sovrana l’entropia del tutto indifferenziato, confuso insieme. Dire Bakunin e coca cola, equivale a dire la stessa cosa. Quello di cui non ci persuadiamo è che siamo continuamente immersi in un mondo patafisico. La clonazione, le possibilità più fantascientifiche che scientifiche di trapiantare nell’uomo un cuore di babbuino. Oppure ipotesi ancora più inversosimili con la tesi di bombardare la luna per modificare il flusso delle stagioni, quasi richiamando le aspirazioni poetiche di Ma-

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rinetti con il suo “uccidiamo il chiaro di luna”. E cosa più assurda, diversi premi Nobel tra cui Rita Levi Montalcini, hanno firmato una mozione contro l’ecologia a Rio, per non intralciare quello che è il decorso “naturale” della scienza. La scienza, e gli scienziati che confidano eccessivamente nelle potenzialità del progresso e credono di essere dalla parte della verità, non si accorgono invece di essere contro l’uomo. Continua Baj a parlare del movimento che è stato il precursore anche del movimento patafisica. Il Dadaismo è stato un evento liberatorio incredibile in quanto al Cabaret Voltaire di Zurigo, nel 1915 quando l’Europa era un bagno di sangue, si sono riuniti Hans Arp, Hugo Ball artisti che erano fortemente anarchici e con una spinta al libertarismo contro la guerra ma civilmente impegnati. In Italia invece abbiamo avuto il Futurismo una corrente che al contrario vedeva nella guerra l’igiene del mondo, che osannava la mitraglia, il passo di corsa il pugno e lo schiaffo. In tutto questo Baj vede una profonda mancanza di Patafisicità.


Tutti i pittori di quel periodo erano in qualche modo vicini al fascismo, lo stesso Carrà era tesserato al partito. Altra figura patafisica era Francis Picabia, il quale ha espresso una frase che non può che essere interpretata in maniera patafisica: La testa è tonda per permettere alle idee di cambiare direzione. Altri patacessori, che hanno ispirato Jarry sono stati, Baudelaire, Apollinaire, Rousseau Lautremont Rimbaud, Breton con l’automatismo psichico. Dal principio del Tutto fa la stessa cosa la patafisica ha redatto un Manifesto del futurismo statico. In quanto tutto fa la stessa cosa, al contrario del manifesto dinamico del futurismo, la velocità se estremizzata e viene equiparata alla statica. Critica verso lo spazialismo di Fontana. Lucio Fontana intendeva andare oltre la pittura. La pittura per Fontana è un fatto superato, che i mezzi di comunicazione erano cambiati e che quindi l’arte potesse avvicinarsi alla televisione, perché con la televisione si potevano proiettare sensazioni attraverso l’etere, la televisione le captava e le restituiva in forma di immagine. Non sapeva però che la televisione sarebbe diventata, consigli per gli acquisti, veline, e presentatori imbrillantinati. Con il Sesto manifesto spaziale per la Televisione credeva che fosse possibile proiettare l’arte. Questi artisti volevano cambiare l’arte, perché

stavano cambiando i mezzi di produzione e di fruizione, un rinnovamento della sensibilità proporzionale al cambiamento del mezzo tecnico. Con il movimento Nucleare si cercava di abbattere tutti quegli stilemi che ingabbiano la vita di ogni giorno, dai riti quotidiani che se non vengono celebrati rischiano di fare sembrare l’uomo un borderline. L’arte per la patafisica deve rientrare nella vita, dovrebbe avere una funzione sociale. Utilizzare l’arte nella vita, nei momenti drammatici come nel caso di Dresda nel 1849 dove per scongiurare l’avanzata nemica delle milizie contro gli insorti Bakunin avesse proposto di prendere il più bel quadro del museo cioè la Madonna Sistina di Raffaello e di metterlo come deterrente davanti alle barricate. In questo caso l’arte ritorna a vivere, e non essere più appetibile esteticamente, ma il suo valore porta ad un cambiamento di opinione, ad un cambiamento di atteggiamento, riesce a scuotere le coscenze. Il vero cambiamento, proviene dall’immaginario, e se Gregory Bateson fautore dell’ecologia della mente, dice che tutto l’inquinamento nasce prima che dalle azioni dalla mente che le concepisce, si dovrebbe rivedere tutto il sistema degli input che suscitano le idee. Bateson afferma che un economia rivolta al denaro, al profitto è quanto di più antibiologico esista eppure questa pratica è assai

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fervida tra gli uomini. L’arte di oggi, orientata al denaro ha perso la sua fisionomia principale, e cioè rappresentare lo spirito dei tempi. Oggi l’opera d’arte è diventato un feticcio da mettere nel caveaux delle banche, come lingotti, sotto pretesto di una esteticità ritrovata si fa del capitalismo di accumulo. In un mondo in cui tutto ciò che si fa si crede sia essenziale, così l’avvocato crederà che la contesa, e il litigare siano l’essenziale, una teenager pensa che l’estetica sia il massimo dell’aspirazione umana, Baj contrappone la sua personale visione affermando che il quadro è niente è solo un azione umile di fronte al dramma, alla tragedia ad una morte. E’ un fatto umano.


Patafisica e arte del vedere Jean Baudrillar, sociologo, filosofo del novecento, si addentra nella riflessione sull’immagine attraverso alcuni saggi in cui scardina la realtà come sistema di oggetti, la realtà come simulazione e rappresentazione di segni che oramai rimandano solo a sé stessi.

Sulla storia. Al di là della fine.

Centrale nella riflessione di Baudrillard è il rapporto che le cose hanno con la realtà, e come di simulacri stessi della realtà. Viviamo in un mondo che è impregnato di una profonda disillusione, e cioè l’illusione della fine. Nel senso che nella nostra cultura c’è sempre stata una sorta di finalità di speranza nelle cose, negli eventi e anche nella storia tutto porta verso un compimento futuro, sembra che ci sia un utopia nelle cose, nella cultura occidentale e sembra che siamo già al di là dell’utopia della fine. Sembra cioè che tutte le utopie in qualche modo sono state realizzate, e quando è tutto realizzato non se ne vede più il senso e lo scopo, forse perché abbiamo superato la fine, perché siamo andati troppo lontano, o addirittura da un’altra parte. Il tempo con la sua prospettiva lineare non è più verificato, viviamo in un tempo confuso, in cui vi è una forte spinta revisionista per andare a rintracciare lo scopo originario tutto si realizza sulle tracce a ritroso senza una volontà di vedere oltre. E’ una specie di sistema impazzito che va al di là delle proprie possibilità ma che allo stesso tempo ha la nostalgia di tutto quello che ha superato. Abbiamo il panico di dichiarare una cosa finita perché automaticamente ne cancelleremmo il percorso la sua esistenza.

La storia procede per continue messe in discussione per cercare la sua verità perché una volta concluso un evento, per provarne la sua stessa esistenza si deve analizzarne la traccia per rintracciare il suo percorso. Per Baudrillard viviamo in una società a perdita di memoria, sempre più affidiamo l’archiviazione di dati a memorie artificiali a pc che diventano i depositari del nostro passato. Il problema dell’origine –fine è sempre qualcosa che ci sfugge, perché il nostro procedere nell’analizzare la storia ci fa vedere gli avvenimenti del passato in maniera quasi imbiancata. Questo non significa che la storia sia ciclica e non per forza progressiva, siamo all’interno di un tempo invece caotico con delle ricorrenze, dei ritorni delle turbolenze. Non esiste una definizione esatta di storia c’è sempre una forma di accelerazione esistono troppi eventi, ma la storia non è definita dagli eventi. L’informazione, contrariamente a ciò che si crede è una sorta di buco nero che assorbe l’evento lo diluisce perde la sua stessa concentrazione. Più si diluisce più si moltiplica un evento un fatto più se ne perdono i connotati. Abbiamo tanti scarti informativi, perché abbiamo informazione in sovrabbondanza per cui un evento semplice si carica di tutti questi altri significati. E l’immagine secondo Baudrillard è il mezzo più distorto per rappresentare la realtà odierna.

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Sul Nichilismo.

Il Nichilismo, prende atto della fine di qualcosa, accellera il pensiero. Ma Baudrillard non conviene pienamente con queste affermazioni, perché ci troviamo davanti all’illusione della fine, perché il movimento trans-storico attuale non ci fa persuasi della fine di qualcosa, piuttosto delle fine dei valori. Ma prendere atto della fine dei valori non significa essere nichilisti. Forme come la seduzione, la sfida, l’illusione la reversibilità sono indistruttibili.

Sul sociale, l’utopia e l’illusione.

Siamo immersi in una cultura che sta sterminando l’utopia e il sogno. In quanto questo è il mondo delle utopie realizzate. L’utopia in quanto tale non è fatta per essere realizzata, con la tecnica e le scienze oggi si realizzano tutti i sogni. Il sociale aveva ad esempio un potere fantasmatico molto forte, addirittura mitico nella misura in cui costituiva una prospettiva, un sogno. Una certa nostalgia l’abbiamo non per l’illusione della fine, ma per la fine dell’illusione. Oggi tutto deve dare prova della sua esistenza niente deve partecipare dell’illusione. Il reale, forse anche esso stesso è una forma provvisoria, in quanto lo abbiamo voluto reificare quando invece bisognerebbe arrendersi all’illusione del reale.

Sul viaggio e le altre culture

Il viaggio è in prima istanza un modo per sbarazzarsi della propria cultura. La curiosità esterofila è solo un fattore secondario. La cultura, è un modo di entrare in contatto con la realtà in un modo mediato, attraverso un mezzo. Per Baudrillard, la fotografia è un modo di temperare il contatto con l’esterno per averne uno virtuale con l’ambiente naturale, non si può credere di avere un arricchimento etnologico, culturale, non si può credere di penetrare un tipo di cultura. Bisogna cercare, per mantenere le identità e le differenziazione delle cose, mantenere un distacco. Perché siamo in una cultura del tutto vale la stessa cosa, tutto è reso compatibile e caotico, forse sarebbe meglio rispettare l’alterità. Attraverso questi scambi culturali, la vera cosa che ci si scambia sono i virus, la parte peggiore.

Sulla morte

Questa società tende ad oltrepassare la morte attraverso il dispositivo della sopravvivenza. Il sistema ci assicura che in qualche modo ci potrà essere una perpetuazione dell’esistenza. Attraverso i cloni quindi cerca di porre sullo stesso livello in maniera indistinta, vita, e morte, un tutto indistinto senza alterità. A prezzo della vita che in questo caso viene a perdere i suoi stessi connotati.

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Sull’emarginazione l’integralismo, e l’Europa.

La società attuale non ha più margini. Un mondo che ha represso ogni margine di diversità non ha né un centro né una periferia E’ una società integralista che vuole assoggettare allo stesso codice tutte le sue parti, questo è il corso dell’Europa unita dove un movimento antistorico tenta di appiattire tutte le diversità come l’esperanto che fa una media delle lingue per codificarne una sola.


Patafisica e arte del vedere

Sull’arte

Il problema dell’arte è che oggi si trova davanti ad uno statuto dell’immagine che è sfuggito. L’arte è un simulacro che non rimanda a qualche altro significato ma è autoriferita. Ha smesso di essere un illusione contrapposta alla realtà, ma la realtà continuamente rimanda ad essa, tutto sotto la tirannia dell’immagine, non c’è altro gioco artistico fuori da quello dell’immagine. L’arte di oggi gioca molto con la rivisitazione dell’arte antecedente, non si parla quindi di avanguardie quanto di retroguardie, perché in un continuo esperimento ludico si accostano capolavori passati con quelli presenti. Siamo arrivati al di là dell’estetica, le forme dell’arte contemporanea, di circa secolo e mezzo non fanno altro che riciclare quelle passate per cui lì illusione estetica può considerarsi conclusa.

L’allevamento di polvere.

Ogni nostra realtà è impregnata dell’elemento sperimentale,l’uomo è condannato alla sperimentazione senza limiti su se stesso. Per parlare dell’illusione mediatica del reale Baudrillard prende in esame il fenomeno mediatico di Catherine Millet e del Loft story. Il Loft story è diventato un parco mediatico dell’attrazione, la reclusione volontaria come esperimento di convivialità di sintesi. Quindi dal Grande fratello, e tutti

i reality shows si percepisce il grado zero della società, la sparizione dell’altro la manifestazione evidente che l’uomo non è un essere sociale. Banalità della sintesi, dove si tenta di dare l’illusione di un mondo normale quando invece è l’illusione di un mondo reale tutto è Disneyland. Quello che la società vuole accendendo la televisione non sono più gli avvenimenti tragici o meno che caratterizzano il mondo, quanto un assurdo spettacolo della banalità. La nullità è la vera oscenità televisiva. Il pubblico stesso è diventato il Grande fratello, il solo in grado di giudicare. Ma la reazione che si ottiene non è quella del panottico, e cioè di un occhio esterno capace di controllare il singolo, in una sorta di potere, ma è la capacità di rendere le cose trasparenti. Così gli spettatori trasferiscono quello che vedono nella televisione nella loro vita. Ci sono due modi per sparire: o si esige di non essere visti, oppure ci si espone ad un esibizionismo sfrenato delle proprie nullità. Si diventa nessuno a patto di potere essere visti, Tutto finisce nella visibilità, anzi il meglio che si possa fare è confessare parlare in continuazione per non custodire alcun segreto. A questo punto il linguaggio diventa non più medium, quanto estremizzato così perde ogni suo significato simbolico. La società del visibile si è così alienata da se stessa, da diventare l’oggetto della propria contemplazione e visione, quando

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nell’età classica era la divinità a contemplare l’umanità adesso abbiamo assunto sia il posto di osservatori che di osservati. Catherine Millet conduce la stessa operazione, ma sul campo sperimentale del sesso. Un protocollo in cui l’immaginario della stessa sessualità è sparito resta solamente il protocollo come verifica illimitata del funzionamento sessuale. La Millet mette a nudo un doppio controsenso: la sessualità solo come ipotesi, che viene ricercata per essere confermata, ottenuta afferrata ma che non raggiunge mai uno scopo. Il suo scopo è perpetuarsi all’infinito senza fine oltre la fine. La seconda e l’illusione di liberare la sessualità, non si libera un ipotesi, non si prova il sesso tramite il sesso. Ma tutto si esplica attraverso il filtro della seduzione, non nel sesso e nel desiderio, ma nel gioco col sesso e col desiderio. La corruzione del potere è quella di voler iscrivere nel reale tutto ciò che era nell’ordine del sogno. Di poter permettere tutto, che tutto possa essere fotografato ubbidiamo alla funzione scopica, principio della real erotik in questo continuo acting out copulatorio, per avverare un uso sessuale del corpo illimitato. Niente più seduzione niente più desiderio tutto nella ripetizione illimitata dell’atto sessuale. What are you doing after the orgy è la domando che l’uomo sussurra alla donna, lei non sa che rispondere perché dopo l’orgia non ha nul-


la da fare, il suo fine e il suo scopo è l’orgia una continua coazione a ripetere. Quando il sesso è solo sex processing, ripetizione all’infinito smette di avere senso di trovare la sua fine. La vera rivincita della seduzione è quella ancora di dare dignità al desiderio, che non è quello di vedere tutto svelato ed esibito, quanto di pensare al modo in cui una donna si toglie i vestiti, a quello che rimane inespresso, al come potrebbe essere. Questa è la cultura moderna che vuole tutto svelato. Mentre le culture della maschera e del velo e dell’ornamento dicono l’esatto contrario: il corpo è una metafora il vero oggetto di piacere sono i segni, i contrassegni che lo strappano alla sua nudità alla sua naturalità alla sua verità integrale. La donna afgana, coperta rappresenta l’eccesso di pudore, mentre la sessualità eccessiva di C. Millet rappresenta l’esatto contrario. Forse dovremmo tutti ammettere che oltre questi veli, oltre questi ultimi baluardi di pudore non c’è proprio nulla da vedere, per cui non vale la pena vivisezionare, sviscerare e duplicare all’infinito.

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Patafisica e arte del vedere

Telemorfosi

Il problema del loft story è di ordine triplice: quello che accade all’interno del loft, e la fascinazione che esercita lo stesso. Cosa lo rende affascinante? Sicuramente un elemento di fascino potrebbe essere quello di far sentire gli spettatori meno idioti, l’altro potrebbe essere che lo spettatore si immerge in questa nullità sentendosene parte. Dentro il loft c’è un abbattimento di tutte le regole che dovrebbero esistere in una società normale, il merito e il riconoscimento vengono dati a chi dimostra il massimo grado di banalità. C’è cioè questo squilibrio tra il merito e il riconoscimento pubblico, un tipo di anomalia che ha generato la televisione. L’esercizio della libertà non è un dato di base dell’antropologia e l’uomo se mai ha esercitato questo diritto, se n’è anche privato. Un problema potrebbe essere quello di avere offerto allo sguardo delle folle un’orgia senza fine, senza domani una continua ripetizione.

Perché l’illusione non si oppone alla realtà?

La fotografia è il nostro esorcismo, la società primitiva aveva le sue maschere, la società borghese i suoi specchi, la società contemporanea ha le sue immagini. Ma quando pensiamo di fotografare qualcosa, in realtà dobbiamo pensare che è quel mondo che si sta lasciando fotografare. L’immagine è il medium per eccellenza di quell’enorme pubblicità che si fa il mondo. Farsi immagine oggi significa scomparire. Oggi le apparenze sono ridotte a schiavitù volontaria si rigirano verso di noi, e contro di noi. La gioia di fotografare di cogliere una parte di mondo, quindi il particolare e non il generale è senza dubbio fonte di grande gratificazione. Solo che il mondo si impone davanti all’obiettivo fotografico in tutta la sua discontinuità, siamo capaci di cogliere un frammento non il tutto. L’intensità dell’immagine è commisurata alla sua negazione del reale, all’invenzione di un’altra scena, in quanto se ne astrae una parte, un dettaglio la foto toglie tutte le sue dimensioni, come il peso, il profumo, la profondità il tempo. Il desiderio di fotografare deriva forse solo da questo, eternare il dettaglio farlo vivere, perché la totalità del mondo è priva di senso. Così la fotografia crea un illusione, che non si oppone alla realtà, ma ne crea una più sot-

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tile che affascina l’altra nel segno della sua scomparsa. Quindi l’operazione fotografica si avvera nel segno di una scomparsa, la scomparsa del mondo per l’apparizione dell’altro. E’ un desiderio dell’oggetto quello vale a dire non quello che ci manca, o ciò a cui manchiamo, ma quanto ciò a cui non manchiamo. Il desiderio è quello di cogliere questa perfezione estranea ma allo stesso tempo di distruggerla. Il desiderio è quello di non prendere il mondo per oggetto quanto di farlo diventare oggetto, rompere questa sua alterità per farlo diventare cosa tra le cose. L’individuo stesso perde la sua soggettività per diventare parte dell’ingranaggio per svuotare la propria mente e farsi esso stesso pellicola nel momento di accogliere l’immagine fotografica. La vera drammaticità dell’immagine fotografica è quella della staticità. Non è immobile un corpo fermo, ma è immobile ad esempio un peso all’apice del suo pendolarismo, quando conserva ancora in sé una qualche vibrazione, un movimento appena effettuato. Così nell’immagine si ha un istantanea di quel movimento l’attestazione del movimento senza farlo vedere. Quello che si fotografa è anche il silenzio e il deserto. Anche quando si strappa al mondo un immagine violenta, quello che si restituisce con un’immagine fotografica è il silenzio.

Cosa si fotografa? Si fotografa meglio coloro per cui l’altro non esiste più quasi alla stregua di oggetti i primitivi, i miserabili, gli oggetti. Gli esseri umani sono troppo sentimentali anche gli animali. C’è stato un periodo, gli albori della fotografia in cui il confronto tra l’obiettivo e il soggetto fotografato esprimeva una lotta, una sfida. Il contadino si vedeva puntato davvero un’arma addosso, e nell’atto dello scatto assumeva una posa da morto, il sorriso e la compiacenza nei confronti dell’obiettivo è un’invenzione contemporanea. Nei festival nelle gallerie, cosa campeggia sono immagini che sfilano continue con il loro senso cercano di veicolare un messaggio che invece non hanno. Hanno smesso di veicolare la loro vera essenza. La foto si inserisce profondamente in un’altra dimensione, una dimensione non estetica in senso proprio qualcosa come il trompe d’oeil che racchiude in sé una certa fascinazione, è una rappresentazione della realtà. L’immagine non è un medium di cui bisogna trovare la migliore utilizzazione, quanto bisogna rendersi all’evidenza che essa sfugge ad ogni nostra considerazione morale, essa esiste, non ha alcun ruolo specifico. Sta a noi fuggire la nostra rappresentazione e diventare il vettore immorale dell’immagine.

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