TennisBestMagazine n.3

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I racconti di Cino Marchese agonistica che ha caratterizzato la sua carriera. Jimmy amava stare in casa e quando abitava a Turnberry Isle, in Florida, era tradizione che una sera gli cucinassi la pasta alla carbonara, da lui particolarmente amata. Era il periodo che seguivo tutti gli anni l’Orange Bowl di Miami e lui invitava alcuni ospiti dello stesso condominio di lusso dove abitava. Uno di questi era Lionel Richie che divenne un ospite fisso perché anche lui amava l’Italia e il nostro cibo. Alla fine del pranzo, Jimmy si metteva in cucina, lavava i piatti e rimetteva tutto in ordine. E di lavoro ce n’era molto perché la carbonara mi viene abbastanza bene, ma la cucina la lascio piuttosto in disordine! Questo era Jimmy, in privato un uomo semplice e molto legato alla famiglia. Ricordo che ebbe una crisi con la moglie, tanto che sembrava avesse deciso di separarsi. Andò dal suo avvocato che gli prospettò quali sarebbero state le condizioni del divorzio e lui, particolarmente attento coi soldi come quasi tutti i grandi campioni, si fece i suoi conti e tornò a casa dalla moglie dicendo che aveva scherzato. Jimmy è sempre stato molto legato anche alla madre che ha avuto un ruolo importantissimo nella sua carriera. Tutte le decisioni importanti le ha prese lei che ha rappresentato una presenza costante nella sua vita. Jimmy aveva una sua logica nella scelta delle persone che voleva intorno e si affezionava tantissimo quando sentiva che una di queste era in difficoltà. Un anno, a fine carriera, feci di tutto per convincerlo a venire a Roma e alla fine ci riuscii anche perché Vitas Gerulaitis stava particolarmente male e aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino. Con il suo amico Nastase decisero di occuparsi di lui e lo presero sotto la loro ala protettiva. Erano alloggiati all’Hilton e conoscendolo molto bene lo marcarono a vista, senza mollarlo un istante. Una sera però, Vitas si fece prestare una Vespa e scappò. Mi telefonarono e insieme andammo a cercarlo. Lo trovammo che era quasi giorno e all’indomani Connors doveva giocare contro Massimo Cierro. Quasi perse perché aveva dormito due ore. Però dal campo mi urlava che piuttosto che arrendersi si sarebbe ammazzato. Alla fine, sotto la pioggia, vinse. Questo era Jimmy Connors, testardo e volitivo fino all’inverosimile, ma grande campione e, soprattutto, grande combattente.

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TORO SCATENATO Mi raccontava suo fratello Johnny che quando Jimmy aveva 16, 17 anni ed erano a St.Louis, tutte le sere dopo essersi allenati, uscivano e andavano nei bar più malfamati e, appena nasceva la minima discussione, Jimmy cominciava a menar le mani, che poi sfociavano in vere e proprie risse e scazzottate. Forse questo è stato un valido allenamento visto come Connors avrebbe poi impostato le sue partite. In questo modo sfogava la sua aggressività dal momento che lui sentiva proprio il bisogno fisico di fare a botte, mentre a tennis c’è una rete di mezzo a dividere i due avversari. Sono sempre stati proverbiali i suoi atteggiamenti sul campo e in particolare, ricordo un suo match al mitico Madison Square Garden dove per un certo periodo si disputò il Masters di New York. Era l’edizione del 1980 quando Ivan Lendl “sciolse” una partita per evitare di giocare con Bjorn Borg in semifinale. È sempre stata molto dibattuta la formula del round robin, il girone all’italiana, perché permette di fare dei calcoli al punto che talvolta conviene perdere una partita per ottenere un miglior accoppiamento in semifinale. Quel giorno Jimmy giocava contro Roscoe Tanner ma fin dalla prima palla cominciò a inveire contro... Lendl, dicendogliene di tutti i colori. “Sei un coniglio, un fottuto coniglio” tuonava Jimmy. Lì per lì era perfino difficile capire con chi ce l’avesse, ma poi il manager (che a quei tempi era Ray Benton) spiegò quale fosse il problema, tanto che pure il malcapitato Tanner che gli giocava contro capì che non ce l’aveva con lui. Un altro match che può spiegare l’atteggiamento di Jimmy in campo è stato quello contro Aaron Krickstein in una delle sue ultime apparizioni allo US Open quando, ormai quarantenne, giocò una partita straordinaria e ad ogni punto vinto arringava la folla come fosse un torero in una plaza de toros. La partita arrivò al quinto set e fu uno spettacolo nello spettacolo vedere Jimbo aggredire ogni palla con una determinazione unica e compiere tutti quei gesti di esultanza che poi qualcuno ha cercato (inutilmente) di imitare. Perché James Scott Connors era e rimane l’unico tennista a meritare l’appellativo di Toro Scatenato.


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