Brochure 40 anni Teatro Officina

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nascita

La e l’ad ol e s ce n z a Quando

Il Teatro Officina davanti alla FALC

Il

Milano era d a be re

teatro s o ci a l e

La Casa del

Teatro Officina D edi che e ringraziamenti


nascita

Sala di viale Monza prima di Teatro Officina (1949)

La e l’ adol e s ce n z a

Inverno 1973: durante una riunione del Comitato di Quartiere Ponte Nuovo, che all’epoca si riuniva in una sala di Via Adelaide Bono Cairoli 8, u n g r upp o d i c itt ad i n i decise di trasformare la sala di Viale Monza 140 in uno spazio in cui potessero avvenire manifestazioni teatrali e cinematografiche. Era una sala del Circolo Famigliare di Unità Proletaria usata per lo più come balera. Così, i n u n f re d d o s ab ato p omeri g g i o , nacque il Teatro Officina, nell’ambito di quel decentramento culturale che invero stava interessando tutto il Paese, e che a Milano aveva già dato buoni frutti con i programmi della Municipalità e di alcune importanti istituzioni culturali, tra cui il Piccolo Teatro.


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Il carro del Teatro Officina al carnevale

Il nome richiamava u n a fu cin a cre ati v a e il mondo del lavoro (nel 1973 i fondatori del Teatro Officina organizzarono spettacoli fuori dai cancelli della Breda, per p a l co u n c am i on s cop erchi ato ) ma l’“officina” di Viale Monza dimostrò subito un interesse verso una cultura “non consumistica” e a lter nati v a – così allora la definirono i primi organizzatori.

Del resto, ospitare in uno spazio periferico le cooperative e i gruppi teatrali non “ufficiali” era già una piccola rivoluzione. Mentre il gruppo di ragazzi dell’Officina era impegnato in quartiere a raccogliere dati sugli sfratti e a creare collegamenti fra le scuole e le fabbriche di Zona, si apr ì l a pri ma st ag i on e te at r a l e , e fu un debutto all’insegna della classicità: un Antigone del Gruppo della Rocca e un Edipo a Colono del Teatro Artigiano di Cantù. In quegli anni ’70 i punti di riferimento culturali per i giovani del quartiere erano sostanzialmente tre: il Leoncavallo, il Teatro Officina e Radio Popolare (che allora aveva sede in via Pasteur); ed essere in cartellone al Teatro Officina era un passaggio obbligato per coloro che erano interessati a coniugare arte e politica: approdarono così in quella sala i l pr i mi ssi mo Te at ro d el l’ E l fo che rappresentò lo storico Zumbi, i cantautori Iv an d el l a Me a , Paolo Pietrangeli, Gi ov anna Mari n i , Gualtiero Bertelli, musicisti come Gaslini e Liguori; la C o op er at i v a Nu ov a S c en a , fondata nel ’68 da Dario Fo a Bologna, vi portò La ballata dello spettro di Vittorio Franceschi, un testo ispirato al Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels; grazie a quell’incontro, tre membri della cooperativa bolognese scelsero di fermarsi al Teatro Officina, stregati da quel fervore culturale. Fra questi l’attore e regista Massimo de Vita.


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Negli anni successivi iniziarono

Agosti) sotto la supervisione di Roberto Escobar e di Lorenzo Vitalone, e si avviarono le prime ospitalità di esperienze teatrali d’impegno e di ricerca: nel 1 9 7 6 il Teatro Studio di Reggio Emilia portò Un amore di tipo normale di Auro Franzoni, e il Gruppo Teatro Evento di Bologna Rabbia della terra, di Gianni Raimondi, che rievocava

Il comico e il suo contrario

i pr im i c orsi s er a li di d r am m aturg i a e d i mu si c a, proiezioni di film di cine asti it a li an i d i ten d enz a (Bellocchio, Segre,

i movimenti di protesta contadina del secolo scorso; la situazione storica della donna venne illustrata nel 1 9 7 7 dal gruppo Teatro Insieme con Lui e lei, un’antologia femminista che riuniva una serie di atti unici di Strindberg, mentre Luciano Meldolesi con la sua cooperativa fece conoscere Mistero buffo di Majakovskij.


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prima

Nel 1979

sv olta

L a pri ma pro du z i on e fu

Massimo de Vita

Maccheronea , un excursus sulla poesia dialettale, da Ruzzante a Porta, Belli, Di Giacomo, Noventa, Butitta, Loi. CosĂŹ il poeta Fr an c o L oi , che in quegli anni lavorava fianco a fianco a de Vita, riassumeva allora la poetica che stava alle spalle del filone di ricerca sui dialetti:

promosse la fondazione della Cooperativa teatrale del Teatro Officina, di cui era ormai Direttore Ar ti sti co . La sala di viale Monza non si sarebbe piĂš limitata a proporre spettacoli di compagnie ospiti ma avrebbe prodotto spettacoli con

una propria compagnia

.

Animazione al Teatro Officina

La


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Cos’è

una lingua ?

Nell’etimologia più antica significa leccare , qualcosa che ha attinenza con l’ assaporare , e, se si pensa che la parola “sapienza” deriva proprio dal sapore delle cose , ecco che si chiarisce la connessione tra conoscenza ed esperienza corporea, tra lo sguardo dell’anima e le vicende del corpo. Per questo e

Graziadio Ascoli ,

grande fondatore della linguistica,

Fernand De Saussure ai giorni nostri,

E’ lingua di chi vive nei sotterranei della storia, è lingua dei corpi e delle cose, è il lato oscuro della vita che affiora nella coscienza dell’uomo.

Per “nominare le cose” bisogna amarle, congiungersi a loro. Il dialetto è questo.

Maccheronea

Nominare le cose, si dice nel libro della Genesi. Ma come si possono nominare se non conoscendole, lavorando e vivendo dentro le stesse. In questo senso, nella Bibbia, la parola “ conoscere ” è usata persino nel senso di “ fare l’amore ”. Il conoscere, il sapere derivano dall’assaporare con tutto il proprio essere.

Animazione sul tram

hanno precisato che solo le lingue orali -i dialettihanno vero statuto di lingue, mentre quelle nazionali sono astrazioni politiche. Pier Paolo Pasolini ha scritto che l’italiano non si può nemmeno considerare una lingua poiché non ha tradizioni orali, e Giacomo Noventa così rispondeva a chi gli domandava perché scrivesse in veneziano: «Dante, Petrarca e Quel dei Diese Giorni gà pur scrito in toscan. Seguo el loro esempio!».


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Nel 1 9 8 0 l’attenzione di de Vita si spostò sul genere comico. Il comico e il suo contrario propose brani della Commedia dell’Arte e di scrittori come Molière e Courteline, di eccezionali attori comici “storici” (Giorgio De Rege ed Ettore Petrolini), fino ai più recenti scrittori del teatro dell’assurdo, come Ionesco e Beckett. I l c omi c o

Massimo de Vita è un attore in qualche modo anomalo , che ha sempre seguito strade alternative.

Un po’ di cabaret all’inizio, se ricordo bene, poi un periodo abbastanza importante, la milizia – perché di vera e propria milizia si trattava – nella Cooperativa Nuova Scena quando si faceva teatro alla Camera del Lavoro di Milano – ricordate? – e gli spettacoli di de Vita e di Vittorio Franceschi si alternavano, sotto la stessa insegna, a quelli di Dario Fo.

e i l su o cont r ari o d i ventò u n a s or t a d i march i o d i f abbr i c a e viene ripreso, con le opportune varianti, ancora

oggi. È in un certo qual senso per il Teatro Officina quel che fu per il Piccolo Teatro di Strehler Arlecchino, servitore di due padroni; “comico” non tanto come scelta di genere, quanto come ver a e propr i a d i ch i ar az i on e d i p o e t i c a . Si legge infatti nelle note informative dello spettacolo:

dire spontaneismo a ruota libera, ma sintesi e collaborazione fra le potenzialità espressive autoctone (dei quartieri, dei paesi) e l’elemento rigorosamente professionistico. Fa sempre piacere ascoltare, da un buon attore, le parole del Porta e del Belli , i sanguigni e disperati sproloqui del Ruzzante, un’ironica e malinconica Assunzione dei poveri di Napoli in Paradiso, del Di Giacomo, e il Noventa e il Delio Tessa e il Buttitta; e, a conclusione o quasi, uno straordinario monologo di

Franco Loi, pieno di rabbia, tristezza e beffarda ironia.

Ridere oggi è sempre più difficile. Il comico è un personaggio solitario […]. Si approda sull’ultima spiaggia della risata, ove trionfa il “ niente da fare ” di Aspettando Godot di Beckett, con Estragone e Vladimiro nuovi clown tragici di un presente affacciato sul vuoto . Il gioco del teatro, come quello della vita, non accetta l’immobilità: strappa la spina acutissima dell’assurdo e nel gioioso e disperato tentativo di riempire quel vuoto riprende il cammino, riaffermando le ragioni della sua esistenza. (Massimo de Vita)

de Vita continua a inseguire il sogno – o l’utopia? - di un decentramento vero, di livello primario , che non vuol

Roberto De Monticelli sul “Corriere della Sera” (10 febbraio 1979) così recensiva:


Negli anni successivi due produzioni aprono nuove strade di ricerca: Frammenti di storia di Maria Speranza di Tom m a s o Gu ar i no, (1982) attore, autore e pittore, socio della Cooperativa Teatro Officina, con la quale aveva già messo in scena i suoi A corte con la pancia vuota e Quannu nascette lu patrone suscitando l’attenzione della stampa (“ u n ar tista a tutto tondo”, come lo definì Mor an d o Mor and i ni , “uno degli autori contemporanei più profondi quanto isolati e misconosciuti”, come annoterà Anna Bandettini su “La Repubblica”). Guarino non dismetterà mai negli anni il suo sguardo amorevole sugli ultimi, trovando sempre nel Teatro Officina un luogo ove esprimere l a g r a z i a d el su o af f l ato p o e ti co . L’altra nuova produzione è Maschere in libertà vigilata (1983), in cui de Vita, con a fianco una giovanissima A l e ss and r a Fai el l a , riprende il discorso sulle maschere dell’arte ponendolo in chiave moderna, stimolando l’interesse della critica. Così recensisce Pa ol o A . Pagan in i il 14 aprile 1983 su “La Notte”:

Una bimbetta di quattro, cinque anni, ieri sera al Teatro Officina, impavida e divertita se ne stava seduta a gambe incrociate, sul pavimento tra palco e platea.

In nessun teatro di Milano si vedrà mai qualcosa del genere. Ma anche così si prepara il pubblico di domani, per educarlo al rispetto dei classici ma anche al rischio della cultura (e la cultura senza rischio riguarda solo gli imbalsamatori di professione). Massimo de Vita , che ieri sera ha rappresentato “Maschere in libertà vigilata” non è un imbalsamatore.

Nello spoglio hangar della Cooperativa Teatro Officina la sua vita è tutta un rischio : calcolato e di estrema professionalità, cioè

intelligente, come ha dato prova con questo spettacolo di poco più di un’ora. Da Arlecchino e Pulcinella alle masse di lavoratori manipolati da robusti manipolatori della politica. Questo pressappoco è il tracciato che ha seguito de Vita, con una componente in più: la capacità risolutrice d’una singolare ancorché abbozzata ricerca critica: gli occhi sbarrati nel nulla , nell’angoscia moderna dell’uomo sopraffatto da nuovi bisogni, alla ricerca di Dio, di stella in stella, dicono più di qualsiasi trattato di sociologia. Bene, dunque.

Maschere di libertà vigilata

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Fra tanto teatro povero d’idee, volentieri segnaliamo questo spettacolo, allestito poveramente, ma con ricchezza di pensiero e di estro non gratuitamente comico.


Natura Natura 1993

Quando

Milano e r a d a b e re

I l gen n ai o d el 1 9 8 4 s e g n a u n a nu ov a n as c it a.

Un incendio doloso – di cui non vennero mai individuati i responsabili, legati forse a piccole mafie locali – compromise l’utilizzo della sala di viale Monza 140. La cooperativa teatrale mutò allora il proprio statuto diventando nuovamente associazione, e si mise i n c erc a

d i u n a nu ov a s e d e.


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Fu il Consiglio di Zona, consapevole del molto lavoro che l’Officina aveva fatto per il quartiere, che assegnò all’associazione u n

c ap annone c omu n a l e intern o a l l e c a s e p op ol ar i di via S. Elembardo 2, dove tuttora risiede: il Pa d i g l i one Cu c ito . La nuova sala distava poche centinaia di metri dalla

vecchia, ma il cambio di contesto aprì prospettive diverse. Essere i mm ersi qu oti d i an amente nel mondo delle case popolari affinò lo sguardo culturale (antropologico) del Teatro Officina, segnando fortemente la sua pratica teatrale, che lo vedrà d’ora in poi più impegnato dentro i luoghi della vita piuttosto che sulle tradizionali tavole del palcoscenico. E’ in questi anni che parte con nuovo slancio la collaborazione con le biblioteche, le scuole, i centri giovanili e degli anziani, che operavano nelle cosiddette “periferie”.

Ma l a nov it à più sig n if i c ativa f u l’ i ni z i ati v a d el

Teatro nei cortili, rassegna estiva itinerante nei cortili d’abitazione. Essa realizzava quel che si poteva chiamare i l d e centr am ento

d el d e c entr amento.

Erano g l i an n i’ 80 , quelli della “ Mi l an o d a b ere ”, e il Teatro Officina, in netta controtendenza, volle precisare invece sempre di più la propria vo c az i on e al lavoro teatrale su l territori o . Per la Milano d’Estate del Comune di Milano l’Officina realizzò numerose edizioni di Teatro nei cortili, con proposte singolari e innovative quali ad esempio La vita non è tutta un quiz, uno spettacolo-animazione costruito sulla partecipazione attiva del pubblico, in cui si trattava di donne, di comicità, di operai, di solitudine: già 25 anni fa il Teatro Officina aveva inventato e praticato forme di c oi nvol g i mento atti vo del pubblico. Analogamente nel 1989 lo spettacolo Memorie mostrò come “popolare” non significasse affatto “bassa divulgazione”: nei cortili di via Famagosta, in quelli di via Ludovico il Moro lungo il naviglio, alla cascina Monlué, l’umile gente priva di titoli di studio proprio attraverso quello spettacolo si commosse ascoltando le voci di Sant’Agostino, di

Marcel Prou st , d i Wa lter B enj ami n e d i Gi ac omo L e op ard i .


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le stagioni teatrali di quegli anni furono contrassegnate da una particolare attenzione al grottesco. Nel 1986 i l du o d e Vita -Fai el l a affrontò i temi della scuola con Di scuola si muore, che si concludeva con la Lezione di Ionesco. L’anno successivo fu la volta di una vera e propria serie dedicata alla “Dimensione dell’assurdo”: la prima serata, Briciole di assurdo, associò testi di Pe trol i ni, C amp an i l e, B aj in i, A l l en ; nella seconda Il potere e il suo assurdo teatralizzava brani del romanzo di Pieraldo Marasi I fuochi dell’assedio, che ebbero successivamente una più ampia realizzazione; la terza serata infine, Dal Guatemala con orrore, si riferiva allo scandalo del mercato degli organi da trapiantare, una proposta “alla Swift” di vendere a tale scopo i neonati del Guatemala. Ormai la stampa si occupava regolarmente dell’attività dell’Officina con recensioni lusinghiere e attente, ma un altro spi azzante cambiamento maturava fra gli Officinanti...

Massimo de Vita

L e tavol e d el p a l co s ceni co non fu ron o p erò d el tutto abb an d on ate : le produzioni per


Un giorno si aprì la porta d el Te atro Of f i ci na : un

Antonio Bozzetti

anziano, Antonio Bozzetti, entrò per chiedere l’utilizzo della sala per un’assemblea - era socio di una Cooperativa Sociale che operava nel cortile di case popolari in cui il teatro ha sede. Si accomodò, e iniziò a raccontare storie della sua vita, e lo fece in dialetto milanese. Fu un incontro karmico: Antonio - che sarebbe diventato un’icona intramontabile del Teatro Officina – divenne da quel pomeriggio un collaboratore instan c abi l e di progetti e spettacoli, un amico fraterno, padre e nonno per generazioni di giovani attori formati alla Scuola del Teatro Officina. Ed è proprio dall’ i ncontro con Antoni o che prese vita il lavoro di r a ccolta d i m emori e d e g li abitanti di Viale Monza e della Barona, i quali raccontarono al Teatro Officina la loro esperienza di lavoro, la loro vita, la loro socialità, racconti poi restituiti da Antonio stesso sul

palcoscenico nel gennaio del 1991; e mentre i sinistri bagliori della Guerra del Golfo si affacciavano sul mondo, fu ancora su suo pungolo, “cristiano catacombale” qual era, che l’O f f ic i na avrebbe prodotto lo spettacolo Una voce per i Va ngel i , inaugurando così il t r it t ico Un’anomala spiritualità che la impegnerà per diversi anni. Nel 19 91 il gruppo intraprese quindi u n c a m m i no d i r i cerc a che lo avrebbe poi condotto, in due tappe successive, ai testi dostoevskijani e turoldiani. La radicalità delle domande di senso che lo attraversano è chiaramente rinvenibile nelle note informative de Una voce per i Vangeli:

Vangeli

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premessa: coloro che si mettono in cammino (donne e uomini del Teatro Officina) per lo più non hanno avuto il dono della fede. Sono dunque dei laici e dei non credenti che si inquietano di fronte alla parola scandalosa del Vangelo e, ancor prima, davanti alla testimonianza di chi cerca di incarnarlo quotidianamente. Ci è voluta un’attenzione inedita per fermarci di fronte a un cristiano – Cristo, o una persona concreta che lo segue radicalmente – e lasciarci invadere dallo stupore della domanda: chi sei tu? Cosa stai indicandomi che io non vedo? Nessun bisogno di un Dio generico e consolatorio (…)ma una riflessione che pone come drammatica e ineludibile per noi occidentali l’opzione fra l’Essere e il Nulla: in un mondo che ci appare sempre più scagliato verso il Nulla ecco che si pone l’interrogativo sull’Essere. ( Massimo

d e Vit a )

Vangeli

Questo percorso sulla spiritualità contiene delle anomalie fin dalla


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p erfe tt a c onvergen z a f r a l a p o e t i c a e l a pr at i c a del Teatro Officina, come stigmatizza Iv an d el l a Me a su “l’Unità” dell’8 febbraio 1991

Una voce per i Vangeli è un punto di

Parole di giustizia, pace, uguaglianza, libertà e amore risuonano nella piccola e gremita sala del Teatro Officina dove Massimo de Vita, concretizzando un’idea a cui

lavorava da molto tempo con il suo gruppo , sta presentando il

suo nuovo spettacolo “Una voce per i Vangeli”. Sono le parole dell’Antico e del Nuovo Testamento (scelte dallo stesso de Vita e da Maurizio Meschia) che in momenti terribili come quelli che si stanno attraversando,

brillano per la loro forza utopica . Non messaggi consolatori, ma dardi carichi di tensione morale e civile che impongono una attenta e sofferta riflessione.

Lo spettacolo sui Vangeli, che verrà negli anni replicato nei luoghi più impensati, scuote gli animi e le coscienze, come annota Magd a Poli nella sua recensione sul “Corriere della Sera” del 26 gennaio 1991:

con un articolo dal titoloViva l’Officina e il suo teatro degli scalzi:

Andare a teatro, in via Sant’Elembardo, traversa di viale Monza. Tra case popolari degli anni 30 scalcinate, scrostate, le terre polverose, i giardini brulli; eppure case pensate e

costruite per un vivere comune con luoghi comuni per comuni bisogni; come il capannone per il cucito dove un tempo le donne del condominio si riunivano per cucire. Case ieri operaie, per i lavoratori delle grandi fabbriche della vicina Sesto. Case, oggi, di non pochi dolori e miserie e solitudini d’anziani come di giovanissimi e droga e prostituzione per la droga. Nessuno cuce più nel Cucito , negli anni cambia funzione: magazzino, fabbrichetta, asilo nido, teatro.

Andare a teatro. All’ex Cucito oggi Teatro Officina, un teatro che “ha vissuto (e vive) con disponibilità umana e con attenzione professionale le avventure e le disavventure materiali e spirituali nelle aree periferiche della nostra città con la convinzione profonda di dover mettere al centro dei suoi interessi culturali il mondo degli emarginati, delle antiche e nuove povertà ”. Non c’è retorica populistica in questa dichiarazione d’intenti. C’è la verità della fatica quotidiana di Massimo de Vita e dei suoi collaboratori; la verità d’una scelta che vuole il teatro come aggregazione, vivo della vita dove questo teatro si f a, un teatro che mai si celebra e sempre si discute, un teatro vero che si costruisce, da anni, un giorno appresso all’altro tra queste case e questi cortil i: tra e con questa gente.

...


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Solo in un teatro così, in questo teatro, è dato di vedere e ascoltare Una voce per i Vangeli. Tra stuoie e canapi e iute che fanno le sabbie del deserto d’una Galilea di ieri siccome il deserto della guerra d’oggi e gli stai delle misure d’un grano e d’un frumento che furono la parola del Cristo delle genti diventa dirompente, prende spesso di verità più vissuta che rivelata, diventa dramma, tragedia dell’uomo e delle sue miserie. E tra i ragazzi

del quartiere interpreti di se stessi sulla scena come nel cortile ; e il Verbo del Vecchio testamento che è disincanto e contrappunto del Nuovo di grande efficacia per l’interpretazione di Antonio Bozzetti; e la credibile dolcezza di Katia Potrandolfo Maria e Maddalena che si fa donna per tutte le donne e madre per tutte le madri; Massimo de Vita – Emanuele Unto e Cristo - si fa l’Uomo che dice all’uomo l’uguaglianza, la giustizia sociale, la carità che è solidarietà disinteressata. Andare a teatro , al Teatro Officina e riscoprire il bisogno del tempo per riflettere, per capire; tempo liberato dalle urgenze consumistiche; tempo per gli affetti, le amicizie e gli amori; tempo per la pace individuale e collettiva; tempo per la bontà e per la dolcezza ; tempo come cosa d’uomo e della natura e della reciproca armonia.

...

...

Caro de Vita, Massimo amico e compagno mio, e voi tutti del Teatro Officina: otto milioni di lire annue certo non pagano nemmeno le spese minime ma rappresentano la garanzia che il Teatro Officina scalzo è nato e scalzo sarà. Insomma, “vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole; e questa che parrebbe una citazione dantesca è in realtà la parola del Comune di Milano e dà giusta misura – lire 8.000.000 e finché dura- del suo “impegno” culturale.

“scalza” da “animatori scalzi”: giusto quella che occorre per fare davvero della periferia “ il centro dei nostri progetti ” come recitava un poster elettorale del Pci di qualche tempo fa. Sono anni e anni che de Vita e i suoi animatori scalzi fanno del Teatro Officina il centro del proprio operare periferico e, naturalmente, la loro fatica è conosciuta e riconosciuta e, oh sississì!, “ sovvenzionata ”: 8.000.000 di lire all’anno e finché dura.

...

Memorie

Andare a teatro al Teatro Officina e ritrovare il valore della parola contro l’orgia massmedianica delle parole d’oggi; una parola


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Continuava intanto il decentramento del decentramento. Nella primavera del 1993 il Teatro Officina elaborò e gestì per conto dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano il pro ge tto Imperiferie. Non si trattava più soltanto di esportare manifestazioni culturali, ma di rendere attivi gli spazi inutilizzati, teatrali e non, che già esistevano nelle zone periferiche di Milano. A Br uzzano, a D ergan o , nei quartieri urbani di Mol i s e C a lv air ate, del G a l l ar ates e e persino nella Cassina Anna, sp az i abb an d on ati di cui si ignorava l’esistenza si sveg l i arono d a u n lu ngo s on no , e accolsero, animate da diversi gruppi e circoli del proprio quartiere, inattese serate di te at ro , di p o esi a , di mu si c a . In quell’anno l’Officina produsse lo spettacolo O natura, o natura, un oratorio a più voci su testi di E r aclito , di Lu cre zi o , d el l’Ap o c a l i ss e d i S an Gi ov anni , di D ante , di L e op ard i , e del Pa s ol i ni di Petrolio, con musiche originali di Gaetano Liguori. Sempre nel ’93, in occasione del 25 aprile, approdano sul palco il francescano Cantico delle creature e brani da Una vita operaia di Gianni Manzini – libro sulla vita dell’ op er ai o d el l a Fa l k Giu s e pp e Gr anel l i , che assisteva in sala allo spettacolo – e ancora da Uomini e no di Vittorini, da L’assedio di Adrianopoli di Marinetti e dal Diario di Anna Franck.

1 9 9 4 fu l’anno della crisi. Il c ap ann on e di via S. Erlembardo avrebbe dovuto avere requisiti Il

particolari che ne garantissero la sicurezza: determinate vie di fuga, servizi igienici particolari, ecc. Principio ineccepibile sul quale non si poteva che essere d’accordo. Il Teatro Officina non poteva farsi carico di ristrutturare a sue spese u n b en e i mmobi l e c omu n a l e , su cui – però – neppure l’Ammistrazione aveva alcuna intenzione di investire.

Per for tun a

l’inagibilità riguardava il luogo e non gli attori, che poterono continuare l’attività a l l’ap er to con l’iniziativa Teatro con il cappello, di cui furono allestite sei repliche nelle pubbliche vie (dove non si sviluppano incendi e dove i gabinetti sono sempre in regola perché non ci sono). La casa del Cucito del comprensorio della Fondazione Crespi Morbio non fu comunque abbandonata, e accolse le lezioni di drammaturgia e un s em i n ari o d i s c rittu r a tenuto da Fr an c o L oi . E questa intuizione pratica – destinare la sala ad un uso interno – fu l a chi ave d i volt a : il Teatro Officina avrebbe organizzato e accolto conferenze, letture, corsi e piccoli allestimenti teatrali riservando l’ i ng re ss o i n s a l a ai s ol i s o c i muniti di tessera annuale.


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Il 1 9 9 5 , in compenso, fu un anno di “messi doviziose”. Il cinquantenario della liberazione fu commemorato con Officina della memoria, una serie di testi contro il razzismo e la guerra, dove al contraltare di Marinetti si opponevano Ungaretti, Petrolini, Nuto Revelli, Primo Levi e Anna Franck. Alle donne fu dedicato Femminile singolare ovvero donne di nevrosi, di e con Alessandra Faiella e Giorgio Ganzerli. E poi ancora Linea d’ombra, concerto per pianoforte (Gaetano Liguori) e voce recitante (Massimo de Vita), lo spettacolo Un’assurda solitudine, collage di testi di Cechov, Marasi, Pavese e Pasolini, passando per lo storico Beckett di Giorni felici (con Barbara Zappa) e per uno studio preparatorio di quell’ Aspettando Godot che Massimo de Vita, Francesco Mazza, Antonio Grazioli e Gigi Durin metteranno in scena nel 2002, fino alle serate dedicate a Padre Turoldo e al Teatro e poesia compagni di strada, in cui de Vita diede voce a Noventa, Belli, Tessa, Di Giacomo, Eduardo, Totò, Majakovskij, Butitta, Pasolini, Loi, Ritsos e altri. L’anno si concluse con L’aula delle loro parole, spettacolo basato su un processo per stupro allestito proprio mentre si approvava finalmente la legge contro la violenza sessuale.

‘ 9 6 la seconda tappa di Anomala Spiritualità incontra D o sto e vsk ij : debuttò La rivolta (tratto da I fratelli Karamazov e

Nel

raccordato con il racconto Il fanciullo presso Gesù), e ritornò Una voce per i Vangeli. Come tornò il tema del potere con l’ospitalità di Ti c v i n Te atro , un gruppo che operava teatralmente nel c arc ere d i S an Vittore e che realizzò con un carcerato Il cunto di Riccardo III. Ci fu spazio anche per Tomasi d i L amp e du s a e S c i as c i a , con letture dal Gattopardo e da Il giorno della civetta, e pure per un intenso ricordo dell’olocausto con Vo c i d a l l a Sh o a h , testo curato da Roberto Carusi e da Claudio Facchinelli. Nel 1 9 9 7 si chiude la trilogia Anomala Spiritualità con la nuova produzione Lo scandalo della speranza, dedicato a D av i d Mari a Turol d o ; in scena Antonio Bozzetti e Massimo de Vita danno voce ai testi turoldiani scelti da Roberto Carusi, che risuonano in un’altra cosiddetta “periferia”, la Barona, altro luogo dove il Teatro Officina raccoglie memorie e apre nuovi spazi di socialità, come il Barrio’s. Il critico de “L’Avvenire” D omen i c o R i gott i, che si recò al Barrio’s per recensire lo spettacolo, rammenta come neppure il taxista conoscesse quel luogo ai marg i n i e st remi d el l a c itt à .


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di quel Teatro Officina, a suo capo il generoso e utopistico de Vita, che da tanti anni è cantiere o meglio officina nelle realtà emarginate della periferia urbana. E con difficoltà spesso d’azione. Basterà dire che quest’anno per operare ha dovuto trovare ospitalità nella sperduta Piazza all’italiana alla Barona al Centro d’accoglienza di don Rigoldi. Ben coadiuvato nella drammatizzazione da Roberto Carusi (a tratti, ed è commozione, torna a noi su nastro registrato anche la voce dello stesso Turoldo), de Vita l’impagina con sapienza e amore. E parte da uno spunto felice , quasi da olmiano, da “Albero degli zoccoli” . Sulla ribalta intorno a un semplice tavolo da cucina all’ora di cena , fa trovare riunita una vecchia famiglia di contadini friulani. E’ sulla loro bocca, quella del giovane capo famiglia e dell’anziano padre, ma anche delle donne e di un vicino che viene a raggiungerli (lo stesso de Vita che si riserva i versi più alti e nobili) che mette le vibranti parole del poeta. Parole di pace ma che cadono spesso come rasoiate . Parole profetiche e che hanno dentro il fuoco dell’amore; si rievocano i duri anni di guerra e si arriva ai nostri giorni, al nostro tempo infangato dal consumismo e da un benessere che può offendere lo spirito. “Lo scandalo della speranza”, un piccolo grande esempio di teatro civile e spirituale che non conosce le leggi dell’Auditel. Che vale la pena di andare a cercare tra le nebbie della Barona , in quella Piazza all’italiana che forse nemmeno i taxisti conoscono.

Lo scandalo della speranza

Un titolo “Lo scandalo della speranza” ben trovato e che segna anche una piccola novità nel cammino


Via Padova e oltre

Il

teatro s o c i a l e C ome sp e ss o ac c ad e a l Te at ro O f f i c i n a , le svolte accadono

perché “è la vita che fa la vita”, è cioè la prassi che orienta e porta con sé visioni che diventano aperture sul mondo, sguardi aurorali sulla realtà che, svelandosi, nasce ancora.


E’ i l 1 997 e si va a Ol e van o di L om el l i na , u na ter r a di ris ai e. Un paese stretto intorno al proprio Museo

della Cultura contadina - spazio autogestito dai paesani stessi viene prescelto dal Teatro Officina per un progetto sulla memoria: inaugurerà l’esperienza ancor oggi viva del Teatro sociale, luogo di espressione di una comunità che si pensa e si racconta. Per sei mesi

g l i of f i c inanti entr an o n el l e c a s e, nel l e sta l l e,

Olevano - backstage Memorie di terra contadina

nel Municipio di Olevano e ascoltano, registrano ore e ore di racconti, cercano una credibilità del loro operare teatrale: il paese – dapprima

Olevano Memorie di terra contadina

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sospettoso, poi grato e generoso – si affida: racconta la propria storia attraverso questi testimoni. Il Teatro Officina la raccoglie, richiama per le prove bimbi, anziani, donne, e da questi incontri e coinvolgimenti nasce il progetto Mem or i e d i terr a c ont ad i n a. Il 5 luglio 1997 i n u n a notte i nc ant at a , fu ori d a l l e st a l l e e s otto l e stel l e , va in scena la storia di quel mondo contadino che inesorabilmente è tramontato, e di cui le nuove generazioni nulla sanno. E i giovani ascoltano, e vedono, e comprendono.


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1998. Il Te atro Of f i ci na a l z a l a p o st a del suo fare Teatro sociale e gioca una

scommessa difficile e complessa: narrare la storia di un altro mondo scomparso, quello operaio di

Alla Camera del Lavoro di Sesto per mesi il Teatro Officina ascolta gli ex operai della Breda, della Falk, le donne della Magneti Marelli: l e g r an di fabbri che sono state tutte chius e in u n a man ci ata d i anni , e quella è un’umanità ammutolita da licenziamenti, da prepensionamenti vissuti come una ferita aperta alla propria dignità di uomini, di sapienti lavoratori, gemme di u n a c u ltu r a op er ai a che era pi en e zza d el mon d o fino a pochi anni prima. E così, al Teatro Rondinella di Sesto S. Giovanni, l’ in d imenti c abi l e Cu ore d i f abbri c a , straordinario affresco di un secolo di vita, di lotte, di conquiste, di sconfitte e di cultura operaia, replicato a Milano in Camera del Lavoro.

Cuore di fabbrica - 1998

S e sto S. Gi ovan n i, l a città d el l e f abbri che.


Mohamed Ba

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Fin ito i l s e col o d el l e g r and i nar r a z i oni il

Teatro sociale dell’Officina nel nuovo millennio si tingerà dei colori di un mondo multietnico, il mondo che bussa alle porte dell’Occidente. Tre sono i perni su cui ruota questa av ventu r a

di cono s cenz a d el l e c u ltu re a ltre attraverso

le storie concrete di accoglienza e di rifiuto che questi nu ov i f r atel l i nar r ano , tappe che si dispiegano dal 2001 al con 2012: L’ i ncontro Moham e d B a , autore e attore cresciuto al Teatro Officina come un figlio spirituale di pelle nera, che qui produrrà i suoi primi spettacoli: Parole fuori luogo (2001), B-Sogni (2006),

Il canto dello Spirito (2007), lavorando anche nei progetti sociali dell’Officina. L a c ol l ab or az i on e st abi l e c on l a C as a d el l a C ar it à , nata nel 2004 in un quartiere limitrofo a viale Monza, Crescenzago, un luogo di accoglienza voluto dal Cardinal Carlo Maria Martini, diretta da Don Virginio Colmegna (con cui il Teatro Officina collaborava fin dagli anni ’80 quando Colmegna era prete a Sesto S. Giovanni). Un mon d o d i profu g h i, d i st r an i eri s en z a d i r itti, d i rom sgombr at i t rov a qu i as c olto , letto, cibo, accompagnamento verso un futuro possibile. Come far accettare al quartiere la presenza di questa u man it à i n t r ansito? L’Officina progetta e realizza degli interventi culturali sul territorio che diverranno – poi e anche – e vent i te at r a l i, r appre s ent at i a l Te atro d a l Verme i n c ent ro c itt à , a simboleggiare il farsi policentrico di Milano, metropoli in cui, come nel resto del mondo, la distinzione fra centro e periferia non ha ormai né senso né fondamento. Tre i progetti di Teatro sociale realizzati: Voci dai quartieri del mondo (2005) in cui le esperienze di guerra degli anziani di Crescenzago si intrecciano con quelle dei profughi ospitati da Casa della Carità, disvelamento di scambi e di conoscenze fra umanità altrimenti destinate a ignorarsi; Canto la lingua di tutti (2006), ossia un affresco di culture dal mondo e di dialogo fra le diverse religioni;


Nel nome della donna

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Nel nome della donna (2007) ispirato al romanzo di Erri de Luca (Nel nome della madre), corredato da testimonianze di donne straniere e rom attraversate da percorsi di maternità difficile, con le quali si è creato un ambito di ascolto e di condivisione. Il Teatro Officina porterà proprio questo spettacolo in Casa della Carità in occasione della pri ma Fe st a d el Te at ro (ottobre 2007) – di cui la Casa sarà una delle tante location essendo diventata ormai un luogo di riferimento culturale per tutta la città.


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Infine Vi a Pa d ova , qu attro chi l om e tr i urbani ed umani che condensano l a città d el

f uturo, l a Mi l an o cosm op ol ita .

Questa realtà così complessa e variegata ha da sempre interrogato profondamente l’Officina, sempre più esortata ad utilizzare gli strumenti propri del teatro come uno mezzo attivo, con l’obiettivo di raccontare la città e di offrire degli spazi di riflessione su di essa, magari con l’ambizione di innescare dei cambiamenti, delle evoluzioni.

L avor are p er l’ i nte g r az i on e d i vent a così una n e c e ssit à v it a l e

per il quartiere, e nel 2009 viene lanciato un progetto organico su via Padova, grazie alla presenza della Rete di 50 associazioni Via Padova è meglio di Milano. Nel 2010 i progetti dell’Officina sono diversi: ai

g i ov an i ssi mi mu ssu l man i ch e f re qu ent an o l a C as a d el l a Cu ltu r a Isl ami c a d i v i a Pad ov a 14 4 il Teatro Officina

dedica un laboratorio di teatro che diventa palestra di ascolto e di dialogo; con le forze artistiche della via, e particolarmente con l’O rch e st r a d i Vi a Pad ov a , si stringono legami di collaborazione che porteranno nel 2011 all’evento condiviso “Via Padova…angolo via Rovello” n el

Canto la lingua di tutti

ch i ost ro d el Te at ro Gr assi.


Via Padova e oltre

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Nel 2 0 1 1 ,

nel solco di una tradizione artistica ormai consolidata, si raccolgono stori e e memori e d eg li abitanti , italiani e stranieri, che saranno poi condensate nello sp e tt ac ol oe vento allestito al Piccolo Teatro (Teatro Studio) Via Padova e oltre, compimento naturale di un lungo lavoro portato avanti all’interno della Rete di via Padova. Il lavoro teatrale dentro le reti territoriali trova in via Padova un incubatore fecondo che, a cascata, potrebbe estendere questa prassi virtuosa ad altre parti della città. E poi la Festa di via Padova: nella prima edizione il Teatro Officina porta lo spettacolo Teatro col cappello n e g l i angol i più u mi l i d el l a v i a , mentre l’anno seguente realizza - in collaborazione con la Biblioteca rionale di Crescenzago - un progetto di Teatro coi cortili, i n c u i g l i abit ant i s on o c oi nvolt i in qualità di coautori e coprotagonisti dello spettacolo, nel clima festoso di un pasto condiviso puntellato da narrazioni, canti e danze popolari.


I volti della povertĂ

L a C as a d el

Teatro Officina I l d e c en n i o 20 0 1 - 2 0 1 1

- senza dubbio caratterizzato da un forte investimento del Teatro Officina

vers o i territori e l e u man it Ă che li abitano -

vede anche alcune importanti produzioni di spettacoli.


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parte nel 2001, seconda parte nel 2002), in cui Francesco Mazza, Antonio Grazioli e Pierluigi Durin - che affiancano in scena Massimo de Vita - svelano una grande qualità interpretativa maturata in anni e anni di pratica teatrale, dopo il percorso formativo della Scuola del Teatro Officina in cui si sono formati. Pro du ce Il burqa e la velina di e con Al ess andr a Fai el l a (2007) con la quale in realtà non è mai stato interrotto l’antico sodalizio. Nel 2008 con la Provincia di Milano viene prodotto il f i lm-v i d e o Antonio Bozzetti - Milano, la vita e il sogno con musiche originali dei Sursumcorda e per la regia di Antonio Grazioli. ri c ambi o Si intraprende un percorso di

gener azi ona l e che d à sp azi o a nu ove pro duzi oni f irmate d a g i ovani attori dipl omati a l l a propri a S c u ol a di Te atro ,

come la regia di Sacha Oliviero ne La luna nel tombino (2009) e quella di Enzo Biscardi in Io, Minotauro (2010);

Aspettando Godot

Q u and o torna a l l e p olveros e tavol e d el p a l cos ceni co l’Of f i cina rip ar te d a l l’amato Aspettando Godot di Beckett (Prima


si valorizzano talenti, come quello di Stefano Grig nani, attore cres ciuto nel cors o ad ol es centi Il centro d el l’emozi one che D ani el a Airol di Bi anchi condu ce d a 15 anni. Grignani è interprete centrale

di Lasciatemi divertire! (2010) e di Petrolini… amo (2011), e affianca de Vita nell’ u lti m a

pro du zi on e d e d i c ata a D av i d Mar i a Tu rol d o I volti della povertà

(2011), insieme a Irene Quartana e a Daniela Airoldi Bianchi; quest’ultimo spettacolo nel maggio 2012 viene inserito nella rassegna I Teatri del Sacro, riscuotendo grande successo di pubblico e critica. Nel 2011 inoltre, la produzione del testo di Andrea Balzola Democrazia, per la regia di Maria Arena e con Emanuela Villagrossi, raffinata e intensa attrice con cui continua ancor oggi l’attività produttiva. Negli anni si consolida anche la collaborazione artistica

g l i s c en og r af i Gi an lu c a Mar ti nel l i e C arl a C ip ol l a , la

con

cui ricerca sui materiali scenici offre la giusta cifra stilistica ad un teatro volutamente essenziale e povero. Un discorso a parte merita il sodalizio che fin dal 2009 il Teatro Officina ha stretto con il prof. Bruno Andreoni, primario dell’Istituto Europeo di Oncologia, intorno al tema del “fine vita” e della Me d i c i n a Nar r ati v a , format che coinvolge nel lavoro di palcoscenico in qualità di testimoni narranti, infermieri, badanti, medici e assistenti, esperienza con cui tra l’altro verrà aperta la Stagione Teatrale 2012-2013. Ed un altro tratto saliente di questo operare culturale e teatrale insieme è l a g r an d e

i mp or tan z a att ribu it a f i n d a l 1 9 7 5 all’attività formativa, la cura attenta e dedicata che L a S c u ol a d el Te at ro O f f i ci na riserva ai giovani.

Mavis Castellanos

Daniela Airoldi Bianchi

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Con queste parole de Vita accoglie e accompagna nel tempo gli allievi:

Breviario per un giovane attore. Non è obbligatorio fare l’attore.

Meglio un buon sarto oggi che un mediocre commediante domani. Provate a dire “buongiorno” allegramente la mattina quando vi alzate. Se ci riuscite, non avete bisogno di esercizi yoga. Aprite la porta, o la finestra, e sorridete al vostro vicino. Se lo farete siete ancora vivi. Come dire: avete una buona mimica.

“ Ma cosa c’entra tutto questo con il teatro?” C’entra. Credetemi, c’entra.

(Massimo de Vita)

Massimo de Vita

Alzate gli occhi al cielo:

se vedete “dall’alto fiammeggiar le stelle in purissimo azzurro”, voi siete proprio fuori di testa, cioè sani da legare. Scendete fra la gente , date una mano senza chiedere nulla in cambio a storpi, casalinghe, drogati, impiegati bancari… Così, tanto per correre un rischio , una volta nella vita. Insomma, non abbiate paura del nuovo. Amate e odiate voi stessi , non l’immagine che vi regalano i mass-media: nel fondo di Dash c’è il vuoto, sempre; nel fondo del vostro cuore un inesauribile tesoro (che non si paga in gettoni d’oro). Toglietevi dalla testa Brando , De Niro, la Bellucci, e anche Antonio Albanese. Ne guadagnerete in salute. Cercate di essere Pietro, Anna, Giulia, Daniele. Costa fatica, ma alla lunga è più gratificante … Stavo per dire, più umano. Voi mi chiederete:


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Giova infine rammentare, come an n otav a a c utam ente Anton i o C a lbi su “La Repubblica” (17 novembre 2003) che le stagioni del Teatro Officina, “senza sostegni pubblici ma cibandosi della propria sola necessità”, sono state spesso il pr i m o lu o go d i

appro d o a Mi l an o di molte comp ag ni e d el Su d

che verranno inserite anni dopo nei cartelloni dei più importanti teatri della città. Tr a qu este, i l Te atro Mi ni m o d i B ar i , che nel 2003 portò Otello o la gelosia di Jago interpretato da Michele Sinisi e nel 2004 il bellissimo Konfine, per la regia di Michele Santeramo; i romani di Biancofango con In punta di piedi, per la regia di Andrea Trapani (2006); per la R a ss eg n a Periferie del Sud ( 2 0 0 7 ) Muccia del TeatroScalo di Bari, Morra di e con Roberto Capaldo, Venticinquemila granelli di sabbia del brindisino Alessandro Langiu.

Ins om m a, l a C a s a d el Te atro O f f i ci na ha p or te ap er te per esperienze di qualità di giovani compagnie che troveranno

qui negli anni una “palestra” in cui sperimentare e mostrare i propri lavori, in uno spirito d i accog li enz a e d i o spita l ità

est r ane o ad u n a l og i c a d i intere ss e e conom i co. Ed è con la stessa logica amichevole e solidale che i l Pi ccol o

Te atro h a ospit ato n e g l i an n i a l c u n i e vent i sp e ci a l i d el Te at ro O f f i c i n a , come Quel pasticciaccio

brutto di via S. Elembardo al Teatro Grassi nel 2002 o come Via Padova e oltre al Teatro Studio Expo nel 2011.

L a città ren d e or a omag g i o ai 4 0 an n i d el Te at ro O f f i ci na : i l Pi c c ol o Te at ro ospita il 29 ottobre 2012 al

Teatro Studio lo spettacolo Viaggio_Concerto per poesia, musica, umanità e silenzi, di e con Massimo de Vita, accompagnato sul palco da Emanuela Villagrossi, Mavis Castellanos e dall’ensemble musicale dei Sursumcorda; il Te at ro E l fo P u c c i n i il 30 e 31 ottobre 2012 accoglie Teatro con il cappello, spettacolo di strada nato durante il cammino dell’Officina nei quartieri della città.

Un c am mi n o lu ngo 4 0 an n i.

Il

viaggio c ont i nu a

...


D edi che e ringraziamenti

Prove per l’evento del 29.10.2012 al Piccolo Teatro

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Il Teatro Officina è un posto dove ogni anno decine di giovani si avvicinano alla cultura attraverso una relazione profonda con il proprio sentire. Se ci fossero dieci, cento Officine ecco che Milano sarebbe un’altra città

(Franco Loi)

Ringraziamo tutti e, nel nostro cuore, singolarmente ognuno, per quello che ha dato a questa lunga esperienza. Grazie a tutti gli allievi, a ognuno di loro, irripetibile individualità. Ai soci dirigenti, dai fondatori fino agli attuali. Agli attori, ai tecnici, ai drammaturghi, ai registi, agli organizzatori, ai segretari, agli scenografi e ai costumisti. Grazie ai poeti, agli scrittori, ai sociologi, agli architetti. Ai sindacalisti. Ai sacerdoti. Agli amministratori comunali (a quei pochi, per così dire, coraggiosamente “ lucidi”!). Grazie alle umanità del nostro cortile, a quelle di viale Monza e di via Padova. Alle strade della città che ci hanno accolto, ai circoli, alle bocciofile, al Piccolo Teatro, all’Elfo Puccini, alla Stazione Centrale, ai Comitati Inquilini, ai marciapiedi, alle chiese sconosciute, alle biblioteche rionali. Grazie agli infiniti luoghi della città in cui siamo stati, dove abbiamo dato ma dove abbiamo anche ricevuto. Grazie ai volti di ognuna delle persone incontrate in 40 anni, una per una vive nel nostro cuore, nessuna dimenticata. Grazie. I testi sono stati scritti e raccolti da Sandro Bajini e da Daniela Airoldi Bianchi, cui va la nostra gratitudine.


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Teatro Officina via S. Elembardo 2 Milano - tel 022553200 - info@teatroofficina.it - www. teatroofficina.it


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