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“Nudo di donna”, 2000

Neorealismo”. E poi spiega che “il Neorealismo è una pittura nuova ma, nello stesso tempo, ancorata alla realtà”. La pittura di Giuseppe Padovano guarda a Renato Guttuso e al Pablo Picasso dei periodi blu e rosa e trova il suo significato nel continuo contatto con le persone. L’arte, per lui, deve comunicare qualcosa all’umanità. E dev’essere chiara, perché la gente, quanta più gente possibile, possa coglierne il messaggio. Soggetti delle sue opere sono i fiori, i paesaggi, le nature morte. “Questo – spiega - è il periodo dei fiori. Per fare una pittura come la mia – continua - bisogna prendere un po’ dappertutto. Nella mia pittura c’è un misto di stili”. Il primo maestro di Padovano è il realista Otto Braschler, suo docente di pittura a Coira, nel Linchtenstein, dove lui si trasferisce, da Casarano, appena sedicenne, una volta conseguita la licenza media. Braschler è amico dello scultore Giacomo Manzù, che ha studiato a Parigi, e di Alberto Giacometti, che è già artista affermato. Il “Ritratto di Giuseppe Padovano” da lui realizzato a cera per l’allievo nel 1970 è un tipico esempio di pittura impressionista. E a quest’opera Padovano guarderà per il suo autoritratto, steso con tocchi piccoli e veloci e ancorato saldamente al figurativo.

Ottenuto il diploma presso la scuola di Coira, Padovano si iscrive all’Accademia di Brera, a Milano. “A Milano si stava bene, tranne che per la nebbia – ricorda -. Io ero abituato a svegliarmi alle sei del mattino, quando tutti ancora dormivano. Col tempo ho iniziato ad adattarmi alla vita della città e a prenderne i ritmi. Milano è bella, per la cultura, per l’arte, per tutto. Anche la Svizzera sembra troppo tranquilla in confronto”. A Milano, in quegli anni, si respira l’Europa. Si respirano le contestazioni, i movimenti studenteschi, le avanguardie artistiche. E lui riesce a stringere contatti con molti grandi del panorama culturale. Come Enzo Cucchi, ad esempio, del movimento Transvanguardia, Nicola De Maria e Alì Cavaliere, grande amico di Dario Fo, già tutti docenti a Brera. La sua arte risente gradualmente dell’influenza astratta, sotto gli insegnamenti di Guido Ballo, esponente del Futurismo e suo maestro di pittura all’Accademia. Ma Ballo ritiene che l’arte debba essere sperimentazione ad ogni costo, mentre, secondo Padovano, è così solo in parte, perchè non bisogna perdere di vista le proprie tradizioni. La vera arte secondo lui è quella che si rinnova sulla base di un ceppo già esistente. “Come quella di De Chirico – ad esempio - che ha saputo innovare ma sulla base di una tradizione sempre italiana”. “L’attesa”, 1983

DURANTE GLI ANNI A BRERA, PADOVANO STRINGE AMICIZIA CON ARTISTI CON I QUALI SCAMBIA OPERE D’ARTE. E COSÌ, OGGI, CONSERVA NEL SUO STUDIO SCHIFANO, VAN DYCK, DE GRADA, TRECCANI, MANDELLO, BRASCHLER, PURIFICATO, CHAGALL, DALÌ, MORLOTTI, HARTUNG, GIACOMETTI

“Ragazze a cavallo”, 2000

A Brera i suoi maestri sono Domenico Purificato, Francesco Messina, Luciano Minguzzi. “Anche se erano miei docenti – racconta – avevano nei miei confronti un riguardo particolare. Forse perché sono sempre stato un tipo passionale. La sera ci vedevamo negli studi d’arte – continua - oppure andavamo a cena insieme. Ci confrontavamo sulle tendenze da seguire. Respiravamo cultura”. Dalle frequentazioni anche con Raffaele De Grada suo docente all’Accademia, col quale fonderà la rivista culturale “Arts”, scaturiscono scambi di opere d’arte. Così oggi Padovano può vantare una collezione di tutto rispetto che raccoglie cinque tele di Mario Schifano, una di Anton Van Dyck, un acquerello di De Grada e numerosi altri pezzi, tra litografie, serigrafie e disegni, di Ernesto Treccani, Arno Mandello, Otto Braschler, Domenico Purificato, Marc Chagall, Salvador Dalì, Ennio Morlotti, Hans Hartung, Alberto Giacometti. La sua produzione è intanto ritornata al figurativo. Ma con i colori, molto vivaci, stesi a larghe campiture, che richiamano l’Espressionismo di Matisse e Derain. Ma rivisitato, ovviamente. “Perché - come sostiene il nostro – è giusto guardarsi intorno, ma per scegliere la propria strada”.


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