Futuroscopio

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i figli dello spazio

Il 1962 fu un anno di svolta, unico. Anche tragico. In quell’anno moriva Marilyn e nascevano i Beatles. Morgan Perdinka andava in vacanza sotto il Monte Buio e nelle sale usciva il primo film di James Bond. E una generazione di bambini, o poco più, sentiva parlare di guerra fredda, della grande e bellissima isola di Cuba, di missili e di blocco navale. E di guerra atomica. Ma, soprattutto, vedeva una cosa mai vista prima: la paura, anzi il terrore, negli occhi degli adulti. E qualcosa, senza che gli adulti se ne rendessero conto, andava sgretolandosi nel loro mondo di fanciulli. Nell’estate del ‘62, di qua e di là sul pianeta, arrivavano le canzoni. Una in particolare, per giunta senza parole. Solo musica, ma ti proiettava in alto. Nello spazio. S’intitolava Telstar, uscita dalla mente di un uomo che si chiamava semplicemente Joe. A raccontare oggi, da adulto, la storia del Telstar e di Joe, sarebbe facile. Perché molte cose sono conosciute perché, si dice, sono entrate a far parte della cosiddetta cultura di massa. Però per il Telstar e per Joe in particolare non è del tutto vero. Joe, che si chiamava Joe Meek (ma in verità era stato battezzato Robert), fu per quell’epoca un autentico pazzo, contro tutto e contro tutti, un lupo solitario il cui sogno era d’infrangere le barriere del tempo e del cosmo attraverso la musica. Oggi è molto dimenticato e, per quel che ogni tanto si riesce a leggere, sono veramente pochi a vedere in lui un pioniere di quel pianeta rumoroso e fischiante che è stato battezzato, un po’ dopo il ‘62, “psichedelia”. Prima di convertirsi alla musica spaziale, Joe aveva fatto l’ingegnere e l’operatore radar della RAF, giusto quel che bastava per mandare il cervello in orbita. Quando decise di passare all’arte come produttore e compositore, si acquistò quasi un caseggiato intero al n° 304 di una rumorosa via di Londra, la Holloway Road, che era forse l’unico posto dove si riusciva a tollerare anche il suo di rumore. Qui fondò la RMG Sounds (dalle sue vere iniziali, Robert George Meek) e tentò di catturare l’essenza spaziale del suono. I dischi che produceva erano pieni di strani brusii, oscillazioni elettroniche, pianoforti distorti, suoni attutiti come provenienti da un’altra dimensione, brusii, interferenze, diavolerie varie impastate assieme dai semplici macchinari che aveva a disposizione (elaboratori, pedali, amplificatori). Un nastro veniva fatto scorrere al contrario o il rumore di uno sciacquone veniva amplificato con risultati sconcertanti sotto il profilo sonoro. Joe fu forse il primo a concepire lo studio di registrazione 319


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