Il Fatto Quotidiano (26 Gennaio 2010)

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Dopo il processo breve va avanti alla Camera il legittimo impedimento. Berlusconi, in silenzio, si fa gli affari suoi y(7HC0D7*KSTKKQ(

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Martedì 26 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 21 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

Grandi riforme: abolire gli elettori di Marco Travaglio

è un che di pervicacemente odioso nel comportamento degli elettori pugliesi del Pd. Alle primarie di cinque anni fa D’Alema ordina di votare Boccia e loro votano Vendola al 51%. Ora D’Alema riordina di votare Boccia e loro rivotano Vendola, ma al 75%. Percentuale che a Gallipoli, casa D’Alema, sale all’80 e a Fasano, casa Latorre, all’85. Più passa il tempo e meno gli elettori capiscono le alte strategie dell’Attila del Tavoliere. Non che Boccia fosse proprio senza speranze: le ha perse quando D’Alema ha deciso di dargli una mano. In quel preciso istante persino Vendola, con tutte le cazzate che ha fatto in questi ultimi mesi, è parso uno statista. Quando poi Max ha dichiarato che “Vendola ha fallito come leader” e “io non ho mai perso un’elezione in vita mia”, è apparso chiaro che Nichi avrebbe stravinto. Quando infine Max ha assicurato a Boccia che, alla peggio, avrebbe “perso bene”, il giovanotto ormai terreo si è visto definitivamente perduto. Infatti, candidato di un partito al 30%, s’è fatto doppiare da quello di un partito al 2%. Un trionfo. Qualche schizzinoso osserva che non è stata una mossa geniale contrapporre a Vendola un candidato già sconfitto da Vendola e poi, per giunta, meravigliarsi se ha riperso con Vendola. Ma questa è gente che non capisce l’intelligenza di Max. Che ora, per così poco, non deve darsi per vinto, anzi, insistere nell’opera di rieducazione delle masse. Magari, fra cinque anni, quando si ripresenterà per la terza volta in Puglia con Boccia al fianco, prenderà solo i voti di un paio di anziane prozie, ma nel frattempo i voti complessivi del Pd saranno scesi a tre: vittoria assicurata col 66%. L’importante è continuare a seguire gli amorevoli consigli del Pompiere della Sera, che con i suoi Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Battista e Franco ha gioiosamente sospinto il Pd verso la proficua alleanza con l’Udc di Casini, Cesa e Cuffaro, infinitamente più graditi al popolo del centrosinistra che non, poniamo, un Vendola o un Di Pietro. Da anni questi giganti del pensiero si affannano a invitare il Pd al dialogo con Berlusconi e a metterlo in guardia dall’antiberlusconismo, come se il travaso di voti del Pd all’Idv fosse colpa di Di Pietro e non merito del Pd. Ora finalmente assaggiano il risultato dei loro amorevoli consigli: nel giro di un mese l’Attila di Gallipoli ha trasformato il centrosinistra in un campo di Agramante in una delle poche regioni in cui, nonostante lui, aveva ancora un senso e qualche voto. Ma niente paura: nemmeno le primarie in Puglia serviranno da lezione. E’ già pronto l’alibi: non potendo dare la colpa a Di Pietro (che si è detto pronto a sostenere tutti i candidati indicati dal Pd, purché gli vengano comunicati prima delle elezioni), il capro espiatorio è già stato individuato nel sindaco di Bari, Michele Emiliano, che per dar retta a Max è uscito pure lui con le ossa rotte dal Risiko dalemiano. Come se alle primarie non votasse la gente, ma le nomenklature. Michele Vietti dell’Udc ha le idee ancora più chiare: “Il Pd o abolisce le primarie, o si suicida” (l’Udc le ha abolite prima ancora di farle, anche perché verrebbero continuamente interrotte da retate delle forze dell’ordine). Ecco, è colpa delle primarie: finché si interpelleranno gli elettori, l’Udc non potrà mai allearsi col Pd. E manco col Pdl, visto che Casini, Cuffaro e Cesa sono molto popolari anche a destra. Massimo Franco, sul Pompiere, concorda: guai se il Pd arguisse dalle primarie che i suoi elettori non vogliono l’Udc, guai se tornasse all’“Unione prodiana già bocciata dagli elettori alle politiche del 2008” (in realtà nel 2008 non c’era nessuna Unione prodiana, ma il Pd di Veltroni che l’aveva appena fatta cadere). Ora, sempre col Pompiere nel taschino, Attila è atteso dalla mission più impossible della vita: dopo aver perso tutte le elezioni e averle fatte perdere anche a Boccia e al Pd, deve riuscire a perdere pure la Puglia contro un Carneade scelto da quel genio Raffaele Fitto. Ma, con un po’ d’impegno, ce la può fare.

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Modesti consigli per sopravvivere di Antonio Padellaro

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U Luca Telese A Bologna si dimette & MAX Delbono travolto dallo NICHI EPIFANIA E scandalo per i viaggi CREPUSCOLO maximo ha incassato con la sua ex fidanzata. I lunaliderbatosta che prelude alla crisi del dalemismo reale. La vitPuglia, la vittoria toria delle primarie, proietta Vendola su una possibile vittodi Vendola mette ko ria alle regionali. Vite divergenti di due duellanti, tra “realpoil sistema dalemiano di

a condizione in cui versa il Pd ci fa arrabbiare come si fa con gli amici che non riconosci più, con chi rischia di sperperare l’ultimo gruzzolo di speranza. Perché se il maggior partito d’opposizione non ne azzecca una, addio opposizione, e pag. 2,3,4,5 e 6 z litik” e “sogno”. pag. 4 - 5 z forse anche addio partito. Con questo andazzo di errori politici (Vendola) e di catastrofi a sfondo sessuale (Marrazzo, Delbono) sarà difficile non morire berlusconiani, caro BerHAITI x Dopo la “lezione” del capo della Protezione civile sugli aiuti sani che dai cartelloni vagheggi sorridendo l’alternativa. Poiché questo è il Pd che abbiamo, e non ci resta molto altro vorremmo recitare un ultimo atto di fede. Pochi consigli non richiesti, sicuri di non essere ascoltati ma per metterci almeno la coscienza in pace. Primo. Il caso Vendola insegna che giochini e contorcimenti vari per scansare le primarie sono una dannosa perdita di tempo. Tanto vale arrivarci subito. E quindi ci aspettiamo di Giampiero Gramaglia TV x I dati che che siano, al più presto, indette le primarie in opo due settimane di immaGarimberti “cancella” tutte le regioni dove concorrono più candine tragedia, centinaia di midature. Dall’Umbria alla Campania, alla Cagliaia di vittime, dolore e distrulabria. Si eviteranno veleni e risse indecorozione, impreparazione e disorse. E poi, i 200 mila della Puglia dimostrano ganizzazione, il terremoto che il che le primarie riscaldano il cuore degli elet12 gennaio devastò Haiti diventa tori, il che non guasta visto l’encefalogramla scena di un battibecco tra Usa ma dei democratici. e Italia. Hillary Clinton, segretaSecondo. Considerata la frequenza con cui rio di Stato americano, liquida sindaci e presidenti di regione si fanno trocon uno sprezzante “polemiche vare in situazioni, per così, dire piccanti, sada Bar Sport” le critiche agli aiuti rebbe il caso di pretendere dai candidati didel capo della Protezione civile chiarazioni giurate sull’esistenza di eventuali Paolo Garimberti (F A ) Tecce pag. 8 z pag. 13 z Guido Bertolaso. scheletri (video, foto, carte di credito compromettenti) nell’armadio. Tanto, poi, esce tutto. E, se NUOVA ogni maledetta domenica esce sarebbe auspicabile EDIZIONE piantarla lì con il grottesco STORIA balletto sull’“io non mi dimetDEL to”, quando si sa che, poi, si MOVIMENTO dimettono eccome. ANTIMAFIA Terzo. E’ così folle pensare di Beha pag. 15z che il Pd dovrebbe affidarsi a Umberto Santino candidati competenti, degni lazio LA PRIMA di stima? Invece che ai soliti STORIA DELLE LOTTE SOCIALI volponi, esperti nell’arte del CONTRO maneggio politico e degli acLA MAFIA Fini sul processo breve: “La cordi sottobanco? Perdere Camera può modificare il per perdere, non è meglio a testo”. L’importante è che resti www.editoririunitiuniversitypress.it uguale la dedica(www.Spinoza.it) testa alta? Lillo pag. 7z

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La Clinton mette in riga Frattini: fate tacere quel Bertolaso D

In Rai 13 programmi pro Berlusconi 6 contro

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“Mourinhopoli”: le effervescenze verbali del tecnico

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Quelle tasse sulla casa evase dalla Polverini


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Martedì 26 gennaio 2010

Da Del Turco a Pescara fino a Marrazzo: tutte le crisi

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CAOS PD

uestioni di politica e questione morale. Per il Pd turbolenze a non finire. A ripartire dal caso Del Turco, l’ex governatore dell’Abruzzo finito nell’inchiesta sulla sanità - era l’estate del 2008 e poi dimessosi. Risultato: nuova tornata elettorale e presidente della Regione che va al centrodestra con Chiodi che sconfigge

Costantini. Altro round quello di Pescara - erano i giorni a cavallo tra 2008 e 2009 - con il primo cittadino D’Alfonso prima finito ai domiciliari - misura poi revocata - e poi dimessosi anch’egli. In ultimo l’affaire Marrazzo e lo sconquasso per la Regione Lazio. Era lo scorso ottobre, lo scandalo dei videoricatti con i trans di via

Gradoli. Strani traffici, immagini che hanno compiuto i percorsi più strani e ambigui, soldi, droga. Con Berlusconi che a un certo punto avverte il governatore del “pericolo”. Niente da fare, però. Lo scandalo deflagra, Marrazzo prova a resistere, poi si dimette. Si va alle elezioni. E ora è duello tra Renata Polverini ed Emma Bonino.

POSTUMI SOLLIEVI

Rutelli il “menomalista”

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n altro sospiro di sollievo quello tirato domenica sera da Rutelli alla notizia della vittoria di Vendola alle primarie: “Che sollievo essere andato via dal Pd: penso a quale scusa avrei dovuto inventare per evitare un commento”. E già. Verrebbe da ricordare quanto imbarazzo deve aver provato quando venne sostenuto per diventare sindaco di Roma, quanto deve aver sofferto per la candidatura a premier nel

2001 – finita al tappeto –, quanto ancora dev’essergli sembrato insostenibile il posto di vicepremier con Prodi nel 2006 o ancora la chance – ciccata – di battersi con Alemanno per il Campidoglio. Ah, che sollievo essersi adesso affrancato degli insopportabili democrat con l’invenzione di una creatura tutta sua, l’Api (Alleanza per l’Italia). A lui la solidarietà postuma di tutti gli elettori del Pd.

Sopra il Partito democratico visto da Marilena Nardi. In basso il segretario Bersani

PROFONDO ROSSO

Dalla Puglia alle Due Torri, doppio ko. Bersani: bene Vendola ma non si cambia. Parisi: perché D’Alema ora sta zitto? di Paola Zanca

spettano che la polvere si posi. Nessuno che abbia voglia di prendere scopa e paletta. Il giorno dopo la sconfitta del candidato Pd alle primarie pugliesi, lo stesso in cui il sindaco di Bologna è costretto a dimettersi dopo solo otto mesi, il Pd sembra tapparsi le orecchie. Pierluigi Bersani per più di un’ora ai dirigenti nazionali del partito parla di crisi economica, di consumi che calano, di prezzi che salgono: è il Paese reale, si dirà. E la sconfitta di Boccia? “Non è stata capita la nostra strategia per allargare la coalizione”. Ok Vendola, ma il progetto non cambia. L’affare Delbono? Questione privata. L’unica che prova a richiamare il codice etico e ammette che “dobbiamo imparare a scegliere i nostri candidati”, è Livia Turco. Per il resto, chi si aspettava spiegazioni, se n’è andato deluso. A Walter Verini – ex braccio destro di Veltroni – è sembrato “che si sia sorvolato un po’ troppo: bisognava affrontare con più forza la vicenda pugliese”. Anche Arturo Parisi non è soddisfatto: “Per la prima volta speravo di avere chiarimenti. Invece anche stavolta i dirigenti che con più determinazione hanno guidato la vicenda pugliese hanno ritenuto di non partecipare al dibattito”. Massimo D’Alema, il regista dell’operazione-Boccia, se n’è andato dopo il discorso di Bersani. Il suo fedelissimo, pugliese anche lui, Nicola Latorre, ha lasciato la sede di Sant’Andrea della Fratte dall’uscita sul retro. Filippo Penati, candidato alla presidenza della regione Lombardia, invece fila via all’ora di pranzo dall’ingresso principale. Ma chi lo aspetta fuori, pensa di aver sbagliato sede di partito. Non parla di Boccia, di Delbono, di D’Alema. Ripete come un mantra il nome di Pierferdinando Casini: “L’Udc corre da sola – annuncia – Cinque anni fa in Pu-

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glia era alleata con il centrodestra. Oggi siamo più forti”. L’allargamento della coalizione è l’ossessione dell’intera giornata. Ivan Scalfarotto – vice presidente in quota Marino – teme si tratti di “un esercizio fine a se stesso”, se prima non si capisce che ne pensa l’Udc di tante questioni, a cominciare dai diritti: “Non dimentico – dice – che l’Udc ha affossato la legge sull’omofobia”. L’attenzione verso il partito di Casini

Direzione Pd abbottonata Bindi: tregua per non rompere alla vigilia delle regionali. Oggi summit con Idv

è tale che Marina Sereni, franceschiniana, avverte: “Occhio che a forza di allargare la coalizione, ci restringiamo noi”. La sensazione di molti – soprattutto vicini a Ignazio Marino – è che, “per star dietro alla Puglia”, ci si sia fatti sfuggire di mano situazioni che avrebbero potuto risolversi in maniera meno arzigogolata. Altri – bersaniani – invece danno la colpa agli alleati: “Se uno dice: ti appoggio ma non voglio le primarie che fai? – ragionano – Non fai la coalizione o non fai le primarie?”. Già, le primarie. Un altro dei nodi che ieri non si è riusciti a sciogliere. Umbria e Calabria restano fronti aperti: entro oggi il Pd calabrese dovrebbe ratificare la sfida tra il presidente uscente Agazio Loiero e il re del tonno, Pippo Callipo. Di Umbria se ne parla mercoledì: il candidato a dire il vero è uno solo, Mauro Agostini. Ma il partito non lo vuole. “Se non vi sto bene io – ha ripetuto ieri

per l’ennesima volta – fate un altro nome e andiamo ai gazebo, ma io ho diritto a competere”. Sul Lazio, invece, continua la querelle cattolici vs Emma Bonino, che ieri ha avuto un altro affondo, questa volta per mano di Pierluigi Castagnetti. Tutto da decidere – entro questa settimana, promettono – sul versante campano. Nessuno lo dice a bocca aperta, ma la sensazione è che la bagarre-regionali abbia messo più che in discussione la “gestione unitaria” del partito di Bersani. La tregua recitata ieri, sembra più che altro apparente. Rosi Bindi – dai più descritta come arrabbiatissima per lo scivolone su Vendola – ammette che non si è arrivati allo scontro solo perché “ha prevalso il senso di responsabilità di fronte all’appuntamento elettorale”. Sandra Zampa, già portavoce di Romano Prodi, ora deputata Pd, va un po’ più al sodo: “Dopo il congresso abbiamo spartito il potere in

base alle quote delle mozioni, ma se funziona così non andiamo da nessuna parte”. Lei al congresso ha sostenuto Bersani, ma ammette che “l’operazione in Puglia è stata sbagliata. Mi conforta solo il fatto che i nostri elettori sono più intelligenti di noi”. Gli uomini di Franceschini non la pensano diversamente: “In questo partito non c’è lessico comune, non c’è un orizzonte di respi-

ro – dice Luigi Zanda – ma nonostante questo in direzione non c’è stato un clima torrido, la solita cucina di chiacchiere”. Bersani – che oggi discuterà di regionali con Di Pietro – ha un’altra versione: “Noi lavoriamo en plein air, gli altri si chiudono ad Arcore. Quella che sembra debolezza si rivelerà la nostra forza. Quando sarà caduta tutta la polvere, ce la giocheremo”.

LIBERO MANCUSO

“C’È UNA QUESTIONE MORALE CHE RISCHIA DI SEPPELLIRCI” di Malcom Pagani

una situazione molto de“È primente”. Ansima, sbuffa, riflette. Fa cadere le risposte lentamente. Libero Mancuso, magistrato in trincea negli anni ‘80, napoletano a Bologna dal 1983, cittadino della politica confuso, in un nulla che si somma al niente. Mancuso, cosa succede a Bologna? Siamo di fronte all’offuscamento della politica. Al crollo della tensione civile, della trasparenza. Si può parlare di questione morale? Certo, ma soprattutto di scelte moderate, di rincorsa ingiustificata del centro. Le alleanze, per il Pd, rappresentano un dilemma serio. C’è stata

una discesa senza freni verso un moderatismo fine a se stesso. Verso situazioni che non hanno niente a che fare con quelle storiche, che avevano tenuto al riparo dai condizionamenti l’amministrazione comunale. Questo disastro, non nasce oggi. Rimedi? È necessario riformare la politica, pensi a quello che è accaduto in Puglia. Il modello da seguire è quello. La ribellione alle imposizioni? Il rifiuto di Vendola di arrendersi di fronte a richieste arroganti è stato importante. La pretesa che si facesse da parte per dare spazio a una una politica moderata di dubbia provenienza, era discutibile. L’Udc.

Che proprio al Sud abita in sfere e ambiti tutt’altro che trasparenti. Guazzaloca sostiene: è la parabola finale di una intera classe politica. Dice che se non fosse arrivato Cofferati, il risultato delle elezioni sarebbe stato differente. Io credo che Guazzaloca sia stato sconfitto dalla pochezza della sua politica. E Cofferati? Da parte di segmenti basilari della città veniva una richiesta di cambiamento. Non averla esaudita e aver provato paura del nuovo, ha avuto il suo peso. Perchè lei non è entrato in giunta con Delbono? (Ride, prende tempo) Col senno di poi, arrivati a questo punto, non credo valga la pena inda-

gare. Prodi, dicono, è mortificato. È comprensibile, su Delbono aveva puntato in prima persona. Comunque, vorrei dire una cosa. Va dato atto al sindaco di essersi assunto, con le dimissioni, le propria responsabilità. Non avrebbe potuto far altro. Scelta responsabile e obbligata. C’è la necessità di fare chiarezza e mettere in luce collegamenti che questa città non merita e che subisce da molti anni. Simili vicende danno fiato al qualunquismo. Credo che il cittadino debba tornare fino in fondo a esercitare i propri diritti di cittadino. Per recuperare credibilità,

il percorso è lungo. Mi auguro che il Pd si assuma fino in fondo il proprio ruolo e comprenda la portata della crisi nella quale si trova, approfittandone per rilanciare la questione morale. Altrimenti si autoseppellisce.

L’ex magistrato ed assessore a Bologna: crisi figlia di un moderatismo senza senso


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Per il voto si attende da Roma un decreto legge di Giampiero Calapà

lavio Delbono non sarà più il sindaco di Bologna, rassegnerà le dimissioni dopo l'approvazione del bilancio comunale, "per il bene della città". La decisione è stata presa nella notte tra sabato e domenica, "da solo, in casa con il cane e mia figlia", ha provato a scherzarci su ieri, al termine dell'ennesima giornata drammatica, cominciata con l'interrogatorio in procura dell'assessore ai servizi sociali Luisa Lazzaroni, accusata di esser stata la "mediatrice" dei rapporti tra il sindaco e la sua ex amante, Cinzia Cracchi. In realtà le pressioni sarebbero state forti, soprattutto da parte del governatore Vasco Errani, interessato a chiudere questa pagina quanto prima per evitare contraccolpi sulle elezioni regionali di marzo; e per allontanare le voci - circolate ieri in ambienti giudiziari - su un suo possibile coinvolgimento nell'indagine, perché infatti sarebbe stato tirato in ballo anche lui dalle dichiarazioni rilasciate in procura dalla Cracchi: "Delbono per portarmi in Regione si è rivolto ai suoi superiori, anche al presidente". Affermazioni che sarebbero arrivate alle orecchie dello sfidante di Errani, l'ex direttore del Resto del Carlino Giancarlo Mazzucca, pronto ad affondare il coltello sull'avversario per tentare quella che fino a poche ore fa era un'insperata rimonta per la conquista della rossa Emilia: "Nulla è impossibile di fronte a un terremoto di queste proporzioni", dicono nel Pdl, credendoci sempre di più. Anche perché circolano i sospetti di un vaso di Pandora che, se scoperchiato, possa rivelare più di un caso Delbono in Regione: "Non dovete domandare a me. Chiedete agli altri assessori della giunta regionale", ha lanciato il sasso il sindaco durante la conferenza stampa seguita al suo intervento in Consiglio comunale. Tutto è cambiato nel giro di 48 ore, il sindaco è stato scaricato, perché così era meglio per tutti e, capito come si stavano mettendo i giochi, lui non ha opposto molte resistenze, nonostante la sicurezza ostentata sabato anche dai suoi collaboratori, come il portavoce Luca Molinari: "Adesso ci occuperemo solo di cose serie". Mentre Delbo-

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ologna guidata da un commissario prefettizio con poteri limitati all'ordinaria amministrazione, come Rosarno, come le città i cui consigli comunali sono stati sciolti per mafia. E' un'ipotesi molto probabile, perché la legge non consente di indire due elezioni nello stesso anno. Proprio per questo motivo il consiglio

comunale bolognese ieri, dopo le dimissioni annunciate dal sindaco Flavio Delbono, è corso ai ripari con un documento unitario, votato all'unanimità da tutti i partiti, per chiedere al governo di intervenire. Da Roma dovrebbe arrivare un decreto legge che, modificando la legge precedente, possa consentire lo svolgimento di un'altra elezione nel 2010,

qualsiasi data può esser presa in considerazione, anche con la possibilità di accorpare il voto per Palazzo D'Accursio a quello delle regionali, in un election day il 28 e 29 marzo. Altrimenti, se tutto resta così com'è, non c'è altra possibilità che l'arrivo del commissario prefettizio in attesa della data elettorale del 2011.

DELBONO SI ARRENDE ORA BOLOGNA È UNA ROULETTE

L’INCHIESTA IN PROCURA

“QUELLA BUSTA DA 5MILA EURO”

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Il sindaco lascia, l’ok di Prodi Risiko sui tempi delle elezioni Il sindaco Delbono (FOTO ANSA)

no dopo l'interrogatorio, messo sotto torchio per cinque ore dalla pm Morena Plazzi, annunciava: "Non mi dimetto, neppure in caso di rinvio a giudizio". Proprio questo riferimento all'intenzione di andare avanti in ogni caso, ha scatenato su Delbono le ire di mezzo Pd e l'irritazione degli alleati, a cominciare dall'Italia dei valori: sarebbero state diverse le telefonate tra Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersani. Per l'Idv diventava intollerabile continuare a sostenere un sindaco che sulla giustizia assumeva posizioni giudicate simili a quelle del premier Silvio Berlusconi. Delbono lo ha ripetuto anche ieri "perché non è giusto che sia impedito ad alcuni amministratori di governare e non sto parlando di complotti della magistratura, non sto dicendo che ha ragione Berlusconi, ma sto invitando a una seria riflessione politica". Quindi, per Di Pietro ristabilire un'azione unitaria di coalizione passava immediatamente dalle dimissioni di Delbono e, in seconda battutata, da quella che l'ex magistrato chiama "debassolinizzazione" della Campania. Il primo scoglio è stato superato, tanto che oggi ci sarà un conferenza stampa unitaria Di Pietro-Bersani proprio a sancire una ritrovata unità.

EX AMORI Lady Cinzia “Se ne va? Meglio così” i è ripresentata al suo posto di lavoro, al Cup, il centro Strasferita prenottazioni servizi sanitari, il posto a cui è stata dopo la fine della storia d'amore con il sindaco Flavio Delbono. Il posto che odia, perché vuole di più Cinzia Cracchi, rivuole quel lavoro in Comune che aveva prima che l'amore capace di farle lasciare il marito la portasse con sé in Regione, come sua segretaria. Ieri ha preso un caffé intorno alle 11, al bar dietro al Cup, Cinzia Cracchi. Volto disteso e sicuro di sé, l'esatto opposto del Delbono provato e teso visto qualche ora dopo in Consiglio comunale. "Si dimette? Davvero? Mi dispiace...", dice che le dispiace, ma nell'espressione del viso tutto la smentisce ieri mattina. Quando apprende dell'imminente annuncio del sindaco dà sfoggio a un sorriso beffardo, simbolo di una vendetta che si è compiuta, anche se ormai era insperata. Parla di "livore e accanimento" che stupisce anche lui, il sindaco Delbono riferendosi all'ex amante. Lei riappare in serata alla Tgr: "Umanamente mi dispiace molto, ma è meglio così per la città". Quasi le stesse parole del sindaco, che ha messo le sue dimissioni sul piatto "perché Bologna viene prima di tutto, prima anche di me". Ma Cinzia Cracchi tira dritto, andrà avanti, dirà altre cose e tiene a precisare una cosa: lei non è causa dell'uragano che ha travolto il suo ex amato, "non mi sento assolutamente responsabile". Mentre lui, in questo colloquio a distanza, ultimo filo che li lega prima della fine politica del sindaco prodiano, ha ammesso con lo sguardo fisso nel vuoto, mentre una ressa di cronisti e telecamere lo assediavano puntandogli i flash: "Tornassi indietro l'unica cosa che non farei è mischiare il privato con la mia vita politica e amministrativa, perché ora tutto questo si è riversato nelle cose buone che stavo facendo per Bologna e di cui sono orgoglioso". g. cal.

Delbono, invece, non ha vacillato nell'assicurare "che la decisione è stata soltanto mia, non ho parlato né con Bersani né con Prodi". Già, perché oltre al vertice del partito, inviti a fare un passo indietro dopo l'improvvida dichiarazione di sabato, sarebbero arrivati anche da ambienti vicini al Professore: "Quello del sindaco è stato un gesto di grande responsabilità - ha commentato Prodi che gli permetterà di essere più libero e forte nel dimostrare l'estraneità dei fatti contestati, preservandolo come risorsa per il futuro della politica italiana". Conferme dell'azione persuasiva prodiana arrivano anche da uno dei collaboratori storicamente più vicini all’ex premier, Giulio Santagata: "Delbono ha fatto bene a dimettersi, saprà dimostrare la sua innocenza, ma una città come Bologna non fa sconti a nes-

Scandalo spese: pressing incrociato, le dimissioni operative dopo la legge di bilancio Il ruolo di Errani

suno, è esigente verso i suoi dirigenti. Sarebbe stato ingiusto tenere Bologna sotto pressione". Le dimissioni di Delbono verranno notificate venti giorni dopo l'annuncio di ieri, permettendo quindi il compimento dell'iter per l'approvazione del bilancio comunale. Una questione di responsabilità, ha motivato il sindaco. I tempi tecnici per una decretazione d'urgenza da Roma, che scongiurerebbe il commissariamento di Bologna, sarebbero strettissimi per consentire di votare anche il nuovo primo cittadino nell'election day del 28 e 29 marzo. "Questi sciagurati - si butta Filippo Berselli (Pdl), presidente della commissione giustizia al Senato - hanno complicato tutto, bastava che Delbono si dimettesse prima del 20, quando già era chiara la piega che la vicenda stava prendendo. Io sto lavorando per arrivare al decreto da parte del governo". Altrimenti Bologna si dovrà rassegnare ad avere un commissario prefettizio e il voto slitterebbe al 2011. Il centrodestra deciderà nelle prossime ore cosa conviene di più: apparire come i salvatori della patria oppure attendere l'arrivo del commissario per lanciarsi la volata l’anno prossimo, accusando il Pd di aver causato un disastro senza precedenti per la città? Possibilità concreta, che per la Cgil sarebbe grave: "Bologna non può permetterselo con la crisi economica e sociale senza precedenti che stiamo vivendo".

ultima a passare dall'ufficio della pm Morena Plazzi è stata l'assessore ai servizi sociali Luisa Lazzaroni, che all'uscita dalla Procura si è esibita in un “Ma cosa volete?!” rivolto ai cronisti, che ha fatto il paio con il “piantatela” di sabato del sindaco Flavio Delbono. Lazzaroni avrebbe avuto un ruolo da intermediario, per cercare di ricucire i rapporti e di convincere a tacere l'ex amante del sindaco, Cinzia Cracchi. Soprattutto Lazzaroni avrebbe consegnato, nei giorni immediatamente successivi alla vittoria di Delbono alle primarie, una busta contente 5 mila euro in contanti, a quanto dice senza però conoscere il contenuto della busta stessa. Quello che negli scorsi giorni appariva una possibilità è ormai una certezza, per Delbono ci sarebbe un quarto capo d'imputazione: istigazione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni false all'autorità giudiziaria (che si aggiunge a peculato, abuso d'ufficio e truffa aggravata). Sabato è stata sentita dalla pm anche Manuela Gallo, responsabile legale del Cup, che avrebbe ospitato in casa propria due incontri tra Delbono e Cracchi avvenuti recentemente. g. cal.

La carta “Cev ” contro la sindrome Titanic CEVENINI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE: UN MR. PREFERENZE TRA IL PCI E FACEBOOK di Silvia Truzzi

è semplicemente “il AdenteCBologna ev”. Maurizio Cevenini, presidel consiglio comunale, l’uomo sui cui il popolo del Pd riversa le speranze per il futuro e che ieri ha accompagnato quel che restava di Flavio Delbono al confronto con il consiglio comunale, subito avvisa: “Sono arrabbiato, arrabbiatissimo, per questa situazione. La mia è una reazione emotiva e di cuore, le persone vengono prima dei loro ruoli. È facile ergersi a censori, ed è una cosa che non sopporto”. Ma non perde lucidità e nemmeno il consueto low profile. Prima di parlare di sé, prova a delineare orizzonti per Bologna. “Abbiamo chiesto al governo di farci andare alle urne in autunno: tutti i capigruppo all’unanimità. Spero che voteremo il bilancio, quella è la cosa più importante”. Il consiglio, spiega, sembra il Titanic. La nave affonda e intanto “si discute di testamento biologico”. Qui invece non è ancora tempo di testamenti politici, nei corridoi del Palazzo spuntano “avvoltoi del centrode-

stra” per godersi lo spettacolo della caduta di Flavio il rubacuori. “Ma io la nave non l’abbandono”, dice il Cev. “Mi sento parte di questa squadra e sono legato a questo sindaco, che è un amministratore qualificato e poteva mettere in equilibrio Bologna in un momento di crisi. È troppo presto per tutto”. Intanto però il popolo di Facebook si è scatenato. E sulla pagina del presidente del consiglio di Palazzo d’Accursio è un plebiscito. Nulla di nuovo: lui è mister preferenze, il politico più votato d’Italia. Con un numero del cuore, quattromila: 4.054 preferenze incassate alle ultime amministrative, 4.900 amici su Fb in meno di un mese durante la campagna elettorale, 4.000 matrimoni celebrati dal 1995 alla fine del 2009. In ottobre c’è stata una festa a tema: “Noi che c’ha sposato Maurizio Cevenini”, in dono una pergamena e una poesia di Gibran. E poi il Bologna, grande amore del Cev, che qualche giorno fa ha prestato a Gianfranco Fini, bolognese di nascita in visita sotto le Torri per presentare l’ultimo libro, la sua in-

Maurizio Cevenini (FOTO ANSA)

separabile sciarpa rossoblù per le foto. Così si spiega il successo di Cevenini, che si fece la campagna elettorale delle primarie in Apecar. Niente salotti buoni per lui, che dopo la laurea in Sociologia ha iniziato a lavorare nel 1976 al Villalba Hospital di Bologna come impiegato-centralinista, per diventare capo del personale e poi amministratore delegato, dal 1982 al 2006. E una carriera politica iniziata nel Pci, come usava una volta: prima consigliere di quartiere, poi al comune di San Lazzaro, poi al comune di Bologna, poi presidente del consiglio

provinciale (virtuosissimo: in tre anni di riunioni a Palazzo Malvezzi non se n’è mai perso una, 60 su 60 nel 2007, 168 su 168 dal 2005). Perché i bolognesi lo vogliono? Risposta: “Forse i cittadini cercano una boa in un mare agitato, un punto di riferimento sicuro. Io non sono mai stato amico di quelli che contano in città e ora è un mio punto di forza. Però non voglio parlare di nessun dopo, adesso”. Ma questo è lo stile Cevenini, che sorride anche quando Delbono gli nega la poltrona di vicesindaco, nonostante il risultato delle urne. Mai una parola fuori posto verso il segretario del Pd locale, Andrea De Maria che decise di candidare Andrea Mingardi, forse temendo di essere oscurato dalla popolarità del Cev (De Maria prese la metà dei suoi voti, nonostante lo sforzo del partito e gli spot televisivi con il maglioncino a losanghe da bravo ragazzo). Solo una frase, in giugno: sono un valore aggiunto per il Pd, che un “debito di gratitudine” con lui ce l’aveva. E forse è il momento buono per riscuotere.


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Martedì 26 gennaio 2010

I risultati: Vendola batte Boccia 73% contro 27%

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BATTAGLIE ALLE REGIONALI

ichi Vendola ha vinto in maniera schiacciante le primarie in Puglia. È lui il candidato alla presidenza della Regione e la sfida finale sarà con Rocco Palese, il delfino del ministro Fitto scelto a sorpresa dal centrodestra qualche minuto prima dell’apertura delle urne del derby interno del centrosinistra. I risultati arrivati

dagli oltre 200 seggi sparsi in tutta la regione parlano di un successo netto e inequivocabile del presidente della Regione, 73% contro il 27. Quasi 200 mila i votanti alle primarie. Numeri che superano ogni aspettativa: nelle primarie che nel 2005 videro in campo gli stessi sfidanti, Vendola e Boccia, alle urne erano andati in 80

BATTAGLIA ALLE REGIONALI

mila. Per le consultazioni che hanno eletto Bersani segretario del Pd nello scorso autunno, invece, a votare sono stati 150 mila. Nella precedente sfida con Boccia, Vendola (appoggiato dal suo partito il Prc, dai Verdi e da alcune associazioni) partiva sfavorito: i sondaggi lo davano all’80% contro il 20%. Ma vinse a sorpresa con 40.358 preferenze (il 50,9%),

mentre Francesco Boccia (allora Margherita), appoggiato da Ds, Margherita, Sdi, Psdi, Italia dei Valori, Nuovi liberali, i sindaci dei tre comuni capoluogo di provincia retti dal centrosinistra e i presidenti delle cinque amministrazioni provinciali, ottenne 38.676 voti (49,1%). Vendola appena resi noti i risultati nella tarda

L’OBAMA DI TERLIZZI

serata di domenica ha dichiarato: “In casa del centrosinistra il candidato alla presidenza della regione Puglia non viene deciso a Palazzo Grazioli, ma da una porzione del corpo elettorale rilevante di 200 mila elettori”. E rivolto a Boccia: “Nessuno si deve sentire sconfitto. Da oggi, insieme, dobbiamo lavorare perché l’energia messa in campo dai sostenitori

vevo seguito le primarie in Puglia anche nel 2005, dovevo intervistare i due candidati. Chiamai Francesco Boccia, che mi disse: “E’ venuto a sostenermi D’Alema, c’è un comizio alle 18.30, ci vediamo in sala”. Vendola mi disse: “Comincio alle 4.30 del mattino ai cancelli delI’llva, troppo presto?”. Aveva 10 comizi in calendario quel giorno. Mi convinsi allora che il deputato di Rifondazione avrebbe vinto le primarie, e quello che è accaduto domenica è stato solo il replay amplificato di una scena già vista: stesso avversario, stessa tempistica, stesso risultato. Tele-sincretismo. Così ieri, nel giorno della sua nuova epifania mediatica, a Nichi Vendola è riuscito anche un piccolo miracolo sincretico e televisivo: comparire contemporaneamente su RaiUno a Porta a Porta e a L’infedele su La7. Possibile? Sì, perché il programma di Gad Lerner (che lo aveva prenotato con lungimirante intuito) è in diretta da Milano, e quello di Vespa registrato da Roma. E se non bastasse questo, per capire la dimensione della vittoria delle primarie dovrebbero aiutare le 25 richieste di intervista di ieri, compresa quella della cronaca di Usa today e l’arrivo precipitoso a Bari di un plotone di documentaristi desiderosi di filmare una nuova epopea. Anche la precedente vittoria, quella del 2005, produsse un libro (Nikita, di Cosimo Rossi) e un film (Nichi, di Gianluca Arcopinto). Nessun passo indietro. Niente male per uno che fino a sabato sera veniva definito “un pazzo” dall’80 per cento del Pd pugliese, e ridicolizzato per la sua richiesta di elezioni primarie. Se c’è una cosa che ha reso possibile la vittoria rigeneratrice di Vendola è stata la sua capacità di non mollare nemmeno un centimetro rispetto a tutte le sirene di chi gli offriva risarcimenti, compensazioni e cariche, in cambio di un eventuale ritiro e di rinuncia alla richiesta delle primarie. Nei tempi in cui i leader di sinistra cambiano idea dalla mattina alla sera o sbeffeggiano l’idea di dimettersi la mattina, per poi annunciarla quella dopo (vedi Marrazzo e Delbono), Vendola ha avuto la capacità di non accettare nessuna mediazione e nessuna buonuscita. Ieri il governatore era magnanimo con tutti: “Ora siamo più forti”, diceva alle agenzie “D’Alema è stato coraggioso”, ribadiva ai giornali (un riconoscimento quasi perfido, a ben vedere). “Vinco anche le regionali”. “Mi volevamo come legna per il forno di Casini”, scherzava da Vespa. Ma sempre ieri ha opposto un altro niet al voltafaccia volubile di chi una settimana fa gli voleva fare la festa e ieri gli porgeva un ramoscello d’Ulivo: “Non mi iscriverò mai al Pd”. Delle ore di racconti durante un viaggio in Puglia mi restano due immagini vividissime dell’uomo delle primarie. La prima, dolorosa e dolcissima: gli ultimi giorni del padre, scompar-

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so a gennaio, dopo una lunga malattia. In quel tristissimo periodo di accompagnamento al fine vita, Nichi vedeva assieme a lui – quasi ogni sera – un’opera lirica. E quando era fuori Bari e chiamava a casa, il padre, immancabilmente gli chiedeva: “Me, Nichi! Oggi hai pensato ai poveri?”. Ma questa estate, quando avevano provato a tirarlo dentro l’inchiesta sul sistema Tarantini, quel padre che lo aveva consigliato per una vita non c’era: “Sono diventato grande allora”. E’ una delle tante immagini che i detrattori del vendolismo derubricano sotto il marchio sarcastico della “poesia”, e che per il governatore invece sono i pilastri di una identità “diversa”, moderna e antichissima insieme. In realtà il tratto originale e raro della narrazione che “Nichi” ha offerto ai suoi elettori è proprio questo: il primato della lingua orale, e la velocità di Internet. E la capacità di trasformare la propria biografia in una narrazione. Prima di Obama, e dopo di lui. Un “Berlusconi rosso” ha detto il regista Amedeo Piva a Curzio Maltese. Una definizione

che fa storcere il naso a molti, ma che rende l’idea della capacità di penetrazione interclassista (anche ben oltre i confini dell’elettorato di sinistra) del suo messaggio, dal mercato di Bari vecchia alla buona borghesia salentina, agli imprenditori dell’Olio e delle tecnologie ecosostenibili. L’auto narrazione del vendolismo – a metà strada tra Montale e YouTube – arriva dove nessuno poteva immaginare. “Populista”, dicono. Mentre lui risponde con orgoglio: “Combattere il populismo può significare solo andare verso il popolo, non allontanarsi da lui in nome dell’estetica radical chic”. Vendola è in gra-

destra ha deciso di schierare contro il neo-vincitore delle primarie del centrosinistra. Evidentemente le sue credenziali di stakanovista, consigliere più votato alle ultime regionali e mastino hanno pesato di più del veto di Berlusconi che lo considerava un candidato troppo poco telegenico. Nato ad Acquarica del Capo (Lecce) cinquantasette anni fa, Palese è un medico chirurgo. Iscritto a Forza Italia dal 1999, fino al 2000 è stato vicepresidente della giunta regionale pugliese con delega al Bilancio. Responsabilità che gli è stata confermata anche dal successivo governatore, l’attuale ministro Raffaele Fitto, considerato politicamente il suo padrino, che dal 2000 al 2005 lo nomina assessore al Bilancio e alla Programmazione. Attualmente è il presidente del Gruppo consiliare del Pdl alla Regione Puglia. Palese è per tutti un gran lavoratore: la sua partecipazione alle commissioni consiliari della regione è stata esemplare: del 100% in quella di cui è

do di stupire, non solo quando dice che “combattere Berlusconi significa smettere di odiarlo”, ma anche quando aggiunge – spesso gridando – nei suoi comizi: “Io ho bisogno del mio avversario, perché è misurandomi con lui che definisco la mia identità”. Intanto, anche in nome di questa storia, per aiutarlo correva in piazza Riccardo Scamarcio, mentre gli stati maggiori del Pd non trovavano di meglio che arruolare (!) Er “califfo” – Franco Califano – per sostenere Boccia. Connessione. Vendola chiedeva un seggio nelle università del nord? O davanti alle fabbriche? “Il Pd rispondeva no: “C’è il rischio che gli operai votino due volte”

di Luca Telese

componente e del 94% in quelle nelle quali non è componente. E se il suo lavoro in regione è spendibile come prova di serietà, al Pdl fanno gola i suoi voti: è stato infatti il consigliere più votato in Puglia nelle regionali del 2005, forse il più votato d' Italia, con 28.448 voti. In questi anni si è scagliato contro Vendola praticamente su ogni questione, dalla sanità al piano casa, dalla gestione amministrativa e finanziaria della Regione all’idea di chiudere i Cpt, fino ad accusarlo di assunzioni e consulenze d’oro e a chiederne le dimissioni dopo le politiche del 2008 per la sua scelta di seguire la campagna elettorale, chiedendosi dove fosse finito il “poeta del nulla'?”. Oggi Palese dichiara: “Sono contento che ci sarà un confronto con Vendola perché così si potrà discutere nel merito di quello che riteniamo il fallimento di 5 anni di governo del centrosinistra”. Ricambia Vendola: “Stimo Palese che ha tenuto in piedi per 5 anni anche con una capacità da bombardiere la visione di una opposizione martellante, ma si è battuto come un leone”. Wanda Marra

(non si è fatto più). “Vedi – raccontava – mi ricordo girando per la Puglia, che in mille angoli di questa regione ho stretto un nodo, un legame, la memoria di una battaglia. A Fasano sono arrivato quando nei primi anni ‘80 bruciarono una ragazza, Palmina. A Terlizzi ci siamo battuti per l’ospedale, a Brindisi contro chi voleva il rigassificatore...”. Prende in prestito una definizione dell’amato Gramsci: “E’ una connessione sentimentale con il popolo”. Se si prova a ragionare con i cannoni della vecchia politica bisognerebbe calcolare coi sondaggi quanto prendono l’Udc e la Poli Bortone. Ma nel tempo di Obama, ciò che concede possibilità di vittoria è

che la narrazione continui. E che gli elettori possano aggiungere un capitolo con il loro voto. lu.tel.

Ha costruito una carriera sull’autonarrazione. Parla bene e naviga sul web meglio

Winspeare: “Il no a Boccia? Amiamo l’indipendenza” IL REGISTA PUGLIESE PARAGONA IL VINCITORE DELLE PRIMARIE AL PRESIDENTE USA E D’ALEMA A RICHELIEU di Alessandro Ferrucci

ual è il punto? Qual è il motivo del (doppio, ndr) no a “Q Boccia? Semplice, siamo un popolo tollerante che ama la sua indipendenza”. E su questo non si transige, per Edoardo Winspeare, 45enne salentino, regista (“Il miracolo” e “Galantuomini”) e produttore vinicolo; da sempre dedito alla politica “indiretta”, quella fatta di endorsement e colloquialità pubblica. Quindi è contento del risultato delle primarie? Molto, anche perché Nichi ha lavorato bene in questi cinque anni. Cosa, in particolare? Bè, penso sia alle varie iniziative culturali, sia alla vicenda legata all’Acquedotto pugliese. Però sulla sanità ha avuto

qualche problema... Quella questione ha toccato più la corrente Pd, lui ha solo subìto ed ereditato personaggi legati al passato. Legati a D’Alema... Massimo l’ho conosciuto e apprezzato tante volte. Anche io lo considero molto intelligente e preparato. Certo qualcosa ha sbagliato... In particolare? Parla solo alla testa delle persone, non riesce a inquadrare i contesti e toccare i cuori. Eppure il lìder Maximo dovrebbe conoscere i pugliesi, vista la sua antica frequentazione, in particolare con Gallipoli... Sì, per carità, ma se Nichi lo immagino come un Obama, a D’Alema associo immediatamente la figura del cardinale Richelieu.

LA SCONFITTA DEL LÌDER MAXIMO METTE IN CRISI LA SUA REALPOLITIK FONDATA SUL GIOCO DI PALAZZO

SFIDANTE PALESE Il Pdl schiera il mastino del governatore stato lo sfidante numero uno di Nichi Vencome presidente del gruppo consiliare Èdeldola Pdl, Rocco Palese, che a sorpresa il centro-

Gli ha dato del “potente manovratore”? Vede, qui da noi non esiste il concetto feudale del potere: non siamo in Calabria o Sicilia, dove il notabile si porta dietro pacchetti interi di voti. Forse ciò accadeva solo ai tempi della Dc e dei preti che davano indicazioni. Neanche Fitto? Lui forse sì. Anzi, togliamo il forse: in questi anni ha sicuramente messo in piedi una serie di rapporti clientelari. Però, ribadisco: con questo voto abbiamo dimostrato quanto siamo liberi; abbiamo dimostrato di non farci influenzare neanche dal suo essere comunista... E gay dichiarato... In quanto a omosessuali dichiarati abbiamo una lunga tradizione, che parte da Giò Stajano (nipote del gerarca fascista Achille

D’ALEMA AL COPASIR

PREMIO DI CONSOLAZIONE M

entre passa per il vero perdente della sfida pugliese, Massimo D’Alema si appresta oggi ad essere eletto presidente del Copasir, al posto del dimissionario Rutelli. Entrato a farne parte la scorsa settimana al posto del componente Pd, Emanuele Fiano, D’Alema dovrebbe contare su un voto unanime del comitato. Una volta insediatosi l’ex presidente del Consiglio dovrà far fronte ad un’agenda fittissima di impegni tra cui spiccano l’esame della legge 124 sui segreti di Stato e la verifica della procedura di applicazione. Ma anche una serie di altri temi delicatissimi, in primo luogo la vicenda dei due italiani rapiti in Mauritania. Nei giorni scorsi D’Alema, intervistato da Fabio Fazio su Rai Tre, aveva sottolineato l’esigenza di utilizzare il segreto di Stato "con parsimonia perché qualche volta serve a tutelare dei valori e qualche volta serve a nascondere delle magagne. Il compito del Copasir è quello di vigilare e distinguere".

battaglia per l’elezione sarà molto dura. Un aiuto potrebbe arrivare dalla candidatura della Poli Bortone per l’Udc... Anche lei è veramente brava, da sindaco ha fatto molto. Che fa, cambia “cavallo”? Aspetti... no, no resto con Nichi. A marzo voterò lui, per fargli terminare quello che ha iniziato.

Ha sostenuto Boccia ventre a terra, ora dà il mesto appoggio ufficiale al vincitore

(che “dimenticava”, tanto per fare un esempio, le regionali che gli costarono Palazzo Chigi). E subito dopo aggiungeva: “Se Vendola vince le primarie perderà le secondarie!”. Adesso è quasi divertente leggere il suo sermoncino, unitario ed encomiastico, indietro tutta compagni: “Ora il Pd – spiega come se non avesse mai detto tutto quello che ha detto – ritrovi la sua unità nello sforzo di costruire intorno al candidato Vendola la convergenza più ampia possibile e di rafforzare l’ispirazione riformista della nostra proposta di governo”. Parole simili a quelle di un altro convertito delle primarie, quel Michele Emiliano che due settimane fa diceva: “Nichi è un traditore!”, e che ieri salmodiava: “Vendola non ha dato una lezione a Boccia, ma a tutto il Pd” (ovvero anche a lui?). La “realpolitik” d’abord. Però, se si prova a leggere questa ennesima sconfitta del dalemismo presi dalla lente dell’emotività o della febbre mediatica, si rischia di non capirne la portata. Per lungo tempo l’ex ministro degli Esteri aveva rappresentato l’incarnazione di un’idea antichissima e persino razionale della politica. L’apologia della realpolitik, l’elevazione dell’iperrealismo pessimista a dogma, la necessità della manovra di corridoio non come compromesso di bassa lega, ma come sublimazione delle irrevocabili leggi dettate dalla scienza machiavellica. Il dalemismo non è stato un incidente della storia, ma la sublimazione di un mondo, un modo di vedere le cose. Dalemismo tolemaico.Da ieri, dopo essere stato sconfitto nella sua Gallipoli per 800 a 200 (e nella Fasano del suo epigono Nicola

Latorre con uno stacco ancora più netto), D’Alema dovrebbe avere il coraggio di rivedere le sue convinzioni tolemaiche: non è più la politica italiana che deve girare intorno alle certezze del lìder maximo, ma lui che deve capire che è giunto il momento di un passo indietro. Sabina Guzzanti, nelle sue indimenticabili imitazioni lo raffigurava sempre intento a tessere grandi disegni, strategie, accordi, i cosiddetti “dalemoni”. E lui, che nella sua prima passione pugliese non indossava mai i jeans perché troppo pop, che passava ore a giocare a Risiko e spezzava i tappi di bottiglia con le mani per conquistarsi il nomignolo epico di “Spezzaferro”, sotto-sotto ha sempre gradito questo riconoscimento. Fu “un dalemone” l’operazione che portò alla caduta di Prodi, aperta da un vero e proprio discorso di metodo a Gargonza (fece indignare Umberto Eco) all’insegna dello slogan: “Prima i partiti”. Fu un dalemone la cattedrale incompiuta della Bicamerale. E’ stato un dalemone il tentativo di usare Palazzo Chigi come piedistallo per costruire (come scrivevano i suoi “Lothar”) una leader-

Tutti i “dalemoni”, dall’operazione che portò alla caduta di Prodi alla Bicamerale

PERIZIA POST-AGGRESSIONE

UN BERLUSCONI SENZA CAPELLI VA AL SAN RAFFAELE e avaro di sorrisi, ma soPpelliallido prattutto senza i suoi amati cache dopo il famoso trapianto

Starace, ndr), passa per Vladimir Luxuria e finisce con il parcheggiatore del mio paesino (Depressa, 1.600 abitanti, ndr)... Cosa è successo al parcheggiatore? È diventato donna a 26 anni. E sa cosa hanno detto tutti? ‘Il signore ha voluto così, basta che sia felice’. Capito? Qui è tutto molto più dolce, tranquillo. Anche se ora la

hissà quanto deve essergli costato al lìder maximo, ieri, dopo la vittoria a valanga di Nichi Vendola, vergare quel comunicato apparentemente anodino, e in realtà amarissimo (almeno per lui): “La larga vittoria di Vendola nelle elezioni primarie del centrosinistra pugliese – spiegava dopo la scoppola il presidente di ItalianiEuropei – conferma il legame del presidente della nostra regione con tanta parte dell’elettorato del centrosinistra, compresi gli elettori del Pd”. Sublime. Voltafaccia doloroso. Chissà quanto deve essergli costato, dopo sette giorni passati a combattere ventre a terra in Puglia contro Nichi, dopo le decine di comizi e le centinaia di telefonate, dopo le dichiarazioni roboanti, dopo aver gridato quello slogan-tormentone su tutte le piazze: “Abbiamo il dovere di difendere Nichi Vendola da se stesso!” (che ora si potrebbe tranquillamente applicare a lui). “Non ho mai perso un’elezione!”, assicurava spavaldo con una certa spensierata approssimazione

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di Davide Milosa

Il regista salentino Edoardo Winspeare (FOTO ANSA)

Boccia, dal canto suo, durante la conferenza stampa di stanotte tenuta insieme col neocandidato governatore, ha dichiarato: “I pugliesi si sono espressi e i numeri sono evidenti, non lasciano spazio ad interpretazioni, toccherà ora al presidente Vendola fare tutti gli sforzi possibili per costruire una coalizione che noi del Pd continuiamo a chiamare alternativa”.

Il crepuscolo del dalemismo reale

Massimo D’Alema (sotto) e Nichi Vendola (nella pagina accanto) visti da Emanuele Fucecchi

“Populista”? Lui cita Gramsci: “ la connessione sentimentale con il mio Popolo”. E assicura: “Vinco ancora”

di Boccia e dai miei possa diventare un unico grande cantiere, una fabbrica per la popolazione pugliese. La Puglia ha il diritto di essere il laboratorio della buona politica”. Vendola ha poi atteso l’arrivo di Boccia sulla strada, chiedendo alle decine di sostenitori che erano fuori dal comitato di accoglierlo con un applauso alla conferenza stampa congiunta.

ringiovanivano un volto da settantenne. Ecco come appariva ieri Silvio Berlusconi all’ingresso dell’ospedale San Raffaele. Qui lo attendevano i due medici nominati dalla Procura di Milano per controllare l’effettivo danno subito dopo l’ormai storica aggressione del 13 dicembre scorso, quando, durante un comizio del Pdl, Massimo Tartaglia gli ha scagliato in faccia una statuetta del Duomo. Per i risultati della perizia bisognerà aspettare 15 giorni. Un tempo piuttosto lungo durante il quale si dovrà accertare l’effettiva durata della prognosi, fissata a 25 giorni dal medico del San Raffaele e portata poi a 90 dal dottore per-

sonale del premier. Il presidente del Consiglio è apparso oltremodo dimesso. Sentito in serata, il dottor Piero Rosati, artefice del trapianto, ha parlato “di possibile stress” per giustificare una tale caduta di capelli. Berlusconi si è presentato all’ospedale poco dopo mezzogiorno e mezzo. Con lui, la scorta personale e Niccolò Ghedini. Pochi secondi davanti alle telecamere, nessun commento ed è scomparso dentro l’ospedale. L’appuntamento era con il medico legale Carlo Goj e il dottor Federico Biglioli, vice-direttore del reparto di chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale San Paolo di Milano. Al centro della visita, il controllo sulla prognosi, voluto dal procuratore aggiunto Armando Spataro, titolare dell’inchiesta sull’aggressione di piazza Duomo. Insie-

me a loro anche il professor Antonio Farneti, docente di medicina legale all’Università degli Studi di Milano, l’esperto individuato dagli avvocati del presidente del Consiglio, e il dott. Maurizio Dalla Pria, neurologo e psichiatra forense, scelto da Tartaglia. Capire quanti siano effettivamente i giorni di guarigione è decisivo per formulare in maniera esatta l’accusa nei confronti di Tartaglia. Va detto, infatti, che per una prognosi inferiore ai 40 giorni l’imputazione è di lesioni lievi e in questo caso si può agire solo tramite querela di parte. Diversa la situazione sopra i 40 giorni che prevede l’azione diretta della magistratura e il reato di lesioni gravi o pluriaggravate. Imputazione, quest’ultima, per la quale ad oggi è indagato Massimo Tartaglia, vista anche l’alta carica pubblica rico-

perta dalla vittima. Questa poca chiarezza sulle accuse è dovuta a uno strano gioco delle parti. Va, infatti, ricordato che la sera del 13 dicembre scorso, a poche ore dal ricovero di Berlusconi, il medico dell’ospedale aveva emesso una prognosi di 25 giorni. Verdetto successivamente ritoccato dal medico personale del premier, dottor Alberto Zangrillo, che aveva alzato a 90 giorni l’asticella della convalescenza. Tre mesi di convalescenza giustificati, però, da un bollettino medico piuttosto vago e nel quale si parla di conseguenze sui nervi facciali oltre che a lesioni interne capaci di alterare “la mimica del sorriso”. La visita di ieri, durata poco meno di un’ora, si è svolta davanti ai due periti della Procura e ai consulenti di Berlusconi e dello stesso Tartaglia. “Abbiamo recuperato più

Berlusconi al San Raffaele (FOTO ANSA)

documentazione possibile”, ha commentato Goj. Dal canto suo il procuratore Spataro, mantenendo uno stretto riserbo sul caso, si è limitato a confermare le due settimane per avere il verdetto della perizia. Perizia, va detto, che si svolgerà solo sui risultati effettuati dal medico del San Raffaele che prevedono una guarigione entro 25 giorni. Tempistica del tutto verosimile, visto che, esattamente 24 giorni dopo l’aggressione, il 6 gennaio scorso, durante un viaggio in Provenza, Berlusconi è apparso ristabilito e senza segni sul volto.

ship moderna e personale di tipo blairiano. Un lavoro paziente doveva portarlo alla presidenza della Camera (dove invece si piazzò Fausto Bertinotti) e un altrettanto meticoloso disegno doveva spalancargli le porte del Quirinale (dove invece Veltroni piazzò Giorgio Napolitano). Nulla di tutto questo è riuscito: se si leggesse la carriera di D’Alema con gli occhi della realpolitik che lui voleva imporre alla Puglia, si dovrebbe registrare un cumulo di fiaschi. Ciò che resterà del “dalemismo reale”, paradossalmente è la scrittura quasi letteraria di un personaggio affascinante e drammatico, un carisma algido ma innegabile, un combattente indefesso, ma molto vicino alla dimensione fantastica del don Chisciotte di Cervantes. La disgrazia (o la fortuna) di D’Alema, oggi, è l’essersi circondato da una setta di adoratori inventivi che lo seguirebbero anche nelle fiamme – i lothar - ma che non lo hanno preservato da se stesso. Solo un mese fa D’Alema si misurava i panni del ministero degli Esteri europeo, ora ripiega mestamente sulla poltrona del Copasir, che per lui è la caricatura di un incarico istituzionale, la parodia di una carriera. Certo la Commissione di controllo sui servizi garantisce l’auto con il lampeggiatore blu, la vivificazione del titolo onorifico di “presidente” (che nella politica italiana non si nega nemmeno ai peones dei consigli comunali), l’ufficio e lo staff di quattro collaboratori a contratto. Chi ha amato la linearità del pensiero dalemiano anche quando non ne condivideva una virgola, le battute salaci (“Le bugie hanno le gambe corte anche se portano i tacchi”), le definizioni folgoranti (“I cacicchi”, “L’inciucio”, “i flaccidi imbroglioni Prodi e Veltroni”), gli origami, il foot foot che faceva impazzire Striscia, le partite di Tetris a L’Unità e le regate da capitano coraggioso sul suo Ikarus, resta come deluso, da questa ricerca di un fondo pensione di Palazzo. A Federico Geremicca, alla vigilia del voto pugliese, quando i sondaggi già annunciavano la débâcle consegnava parole scaramantiche: “Immagino già le sciocchezze che scriveranno: ‘La fine del dalemismo’, ‘la sconfitta del re di Puglia’, ‘il declino di D’Alema’. Sono anni che aspettano di poterlo dire”. Invece noi de Il Fatto – anime candide – non ci avevamo pensato. E’ stato lui a darci l’idea: sempre brillante, se non altro, nello scriversi l’epitaffio. A L’Espresso D’Alema, con piglio neo-andreottiano disse: “La sinistra è un male che solo l’esistenza della destra rende sopportabile”. Se Vendola ha un merito, è quello di aver dimostrato che è un bellissimo gioco di parole. Ma non è vero.


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Martedì 26 gennaio 2010

Bagnasco alla Cei: “Sogno una generazione di politici cattolici”

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BATTAGLIA ALLE REGIONALI

ngelo Bagnasco ha un sogno: “Una generazione nuova di italiani e cattolici che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico”. Politici che sappiano “proporsi l’obiettivo urgente delle riforme, attese per dare compiutezza a quella transizione istituzionale, politica e strutturale che, se ritardata, assorbe le

risorse e corrode gli entusiasmi”. Il numero uno della Cei detta l’agenda al Consiglio permanente dei vescovi: documento per il sud, no alla Ru486 e al testamento biologico, solidarietà delle parrocchie e delle diocesi per superare la crisi, alla quale vanno ricondotti anche i fatti di Rosarno. Ma fa anche richieste precise: dopo l’appello al “disarmo degli animi”, nota che “la

situazione interna ha continuato a surriscaldarsi fino all’episodio violento ed esecrabile che ha riguardato il premier”, e sottolinea come “non serve che il confronto pubblico diventi rissa”, chiede alle banche “una politica più attenta alle aziende in affanno”, ma soprattutto sostiene che la politica abbia come perno “le famiglie, in particolare quelle con i figli”. Andrea Gagliarducci

CON CASINI E LA POLI BORTONE NASCE LA POLITICA “DEL TERZO FORNO” L’Udc in Puglia candida l’ex sindaco di Lecce. E “aiuta” Vendola di Sandra

Amurri

uando la politica esce dalle chiuse stanze delle segreterie e scende per strada, assume il volto dei giovani delle donne e degli uomini in carne e ossa, i conti non tornano più. Anche l’Udc smette di essere l’ago della bilancia. E inizia la sua corsa solitaria. Come è accaduto in Puglia. “Non è una novità – ha detto Casini – abbiamo sempre detto che un progetto nuovo che ci comprendesse non era identificabile con il progetto Vendola”. E conclude: “Ora sarete tutti contenti visto che vi piace tanto la politica dei due forni ora i forni diventano tre”. Battuta con cui Casini ha annunciato la candidatura di Adriana Poli Bertone, ex

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Confermata l’alleanza con il paritito di Bersani nelle Marche e in Piemonte Dubbi in Liguria

sindaco di Lecce, ex An, fondatrice del movimento “Io Sud”, senatrice del Pdl passata al gruppo misto. Tre forni, dunque, per una sola sfornata ed una sola ciambella. E se come si dice non tutte le ciambelle escono con il buco toccherà attendere i risultati per vedere chi questa volta prenderà il buco. Per ora è cosa certa che la decisione di Casini è alquanto preziosa per due ragioni. La prima perché scongiura l’ipotesi che la sinistra cosiddetta radicale, per non allearsi con il partito di Cuffaro si vedesse costretta a correre da sola rischiando di avvantaggiare il centrodestra. La seconda perché la senatrice ex Pdl toglierà voti al centrodestra. Analisi, ovviamente, non condivisa dalla Poli Bertone “So che è stata frutto di una specie di primarie fatte con la società pugliese perché ci sono stati tanti sondaggi che mi hanno dato sempre vincente sugli altri candidati e quindi l’Udc ha visto i sondaggi. Avevamo un sodalizio già in piedi quindi non è stato difficile trovare una soluzione del genere soprattutto dopo quel documento da parte degli ex An non smentito da nessuno dei vertici del Pdl”. Conclude ri-

PROTESTA FAMILIARI

PROCESSO BREVE, RISCHIO BEFFA PER GLI AQUILANI

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na beffa insopportabile. Per salvare il premier attraverso il “processo breve” potrebbero subire una battuta d'arresto e ottenere la successiva estinzione del reato senza sentenza, tutti i responsabili ora indagati dalla procura abruzzese per responsabilità connesse alla costruzione di stabili costruiti non a norma di sicurezza e poi divenuti la tomba di centinaia di aquilani nel terribile terremoto del 6 aprile scorso. La questione è legata ai tempi stabiliti dal processo breve: le udienze preliminari potrebbero non tenersi prima dell'estate. Se i piani venissero rispettati, entro luglio (ad agosto scatta la sospensione dei termini) a un anno e tre mesi circa dal sisma del 6 aprile 2009, potrebbe svolgersi le udienze preliminari (fissate dal gup) per i due crolli che sono costati la vita a 11 giovani della Casa dello Studente. Ma tutto dipenderà dalla velocità con cui la Procura chiuderà il fascicolo. Il rischio che, però, ci possano essere degli slittamenti, anche solo dei semplici ritardi, è davvero molto forte. Proprio questo ha denunciato il Comitato dei familiari delle vittime della Casa dello Studente, guidato da Antonietta Centofanti. "Se il disegno di legge sul processo breve venisse approvato - si legge in una nota della Centofanti - molti processi verrebbero falcidiati. E a causa della complessità delle inchieste, potrebbero non vedere la luce processi come quelli per il crollo della casa dello Studente e del Convitto, ma anche per i crolli di altri palazzi". Sara Nicoli

ferendosi al documento sottoscritto da esponenti pugliesi del Pdl secondo cui la sua candidatura è “illogica e inaccettabile” A conferma che porterà via voti al centrodestra. Morale: non tutti i casini vengono per nuocere. Almeno in Puglia. Mentre nelle Marche i casini ci sono e rischiano di disintegrare la coalizione di centrosinistra che ha sostenuto il governo uscente se, come ha confermato il presidente Spacca, ricandidato per la seconda volta, il Pd ha già deciso di navigare imbarcando l’Udc. Mentre l’Idv per bocca del suo coordinatore regionale Gianfranco Borghesi spiega che non è stato siglato alcun accordo e nell’eventualità, non affatto remota che Sl, i Comunisti italiani e Rc decidano di presentarsi da soli con un loro candidato che potrebbe essere l’ex presidente della provincia di Ascoli Piceno Massimo Rossi – una sorta di Vendola marchigiano – potrebbero unirsi al grido: “Mai con Casini”. Anche per via di quella condanna per favoreggiamento alla mafia collezionata in appello da Cuffaro che non è stata ovviamente cancellata dalle dimissioni del senatore siciliano da vicesegretario del partito. Gettando lo sguardo

sulle altre regioni dove si vota, si vede un Udc saldamente alleato del centrosinistra in Piemonte con Mercedes Bresso dove la sola novità è Grillo con il suo Movimento 5 Stelle. Buio fitto in Liguria invece dove l’Udc resta a guardare in attesa di scegliere se appoggiare Burlando, candidato del centrosinistra o Biasotti candidato del centrodestra. Incertezza in Basilicata dove il Pd ha già scelto puntando sull’attuale governatore Vito De Filippo ma in ritardo sulla tabella di marcia è il Pdl. Udc in stand-by in Umbria dove il centrosinistra è stretto tra due fuochi: da un lato la presidente uscente Maria Rita Lorenzetti che rivendica la nomina di un suo candidato e i veltroniani che non mollano su Agostini e chiedono le primarie. Per Casini che studia da candidato premier di uno schie-

ramento tutto da costruire con il Pd, con l’Api di Rutelli, magari anche con Fini chissà, l’obiettivo è vincere il più possibile in questa tornata elettorale per rafforzare il suo peso politico. Tanté che nel Lazio e in Calabria opta per il centro-destra. Ma, potendo scegliere, preferisce il centrosinistra non certamente per una que-

stione di affinità di appartenenza bensì perché a livello nazionale il Pdl è legato mani e piedi con il suo unico e vero nemico, la Lega di Bossi, altroché Berlusconi. Così quando il diavolo non ci mette la coda con le primarie, vedi Puglia, guarda al centrosinistra altrimenti corre da solo come farà in Toscana, in Veneto e in Emilia Romagna.

Pier Ferdinando Casini visto da Manolo Fucecchi; sotto Niccolò Ghedini (FOTO ANSA)

Udienza Mediaset, B. quasi salvo: rinvio di un mese in attesa del legittimo impedimento di Antonella

Mascali e Sara Nicoli difesa di Silvio BerluLre asconi è riuscita a ottenequello che voleva: un rinvio di oltre un mese del processo Mediaset sulla compravendita dei diritti tv. Tempo prezioso che l’avvocato-deputato Ghedini, e l’avvocato-senatore Longo, possono sfruttare al meglio in Parlamento per far approvare almeno una delle leggi ad personam per bloccare o affos-

sare definitivamente i processi a carico del premier. E’ a fine udienza, che Longo ieri ha tirato fuori l’asso nella manica: ha presentato una lettera della segreteria generale della presidenza del Consiglio per opporre legittimo impedimento in vista della prossima, già fissata, per il primo febbraio. “Il presidente non potrà essere al processo – ha detto l’avvocato – perché impegnato dall’1 al 3 febbraio in Israele per una visita ufficiale”. Siccome il calendario è stato fissato tenendo conto dell’agenda di Berlusconi, il Pm De Pasquale si è fatto sentire: “Abbiamo parlato di leale collaborazione, vorrei sapere se Berlusconi abbia preso l’impegno prima o dopo che la difesa ha concordato le date delle udienze”. Nessuna risposta. Ma a prescindere dalla questione posta dall’accusa, il premier, che può avere improvvisi impegni istituzionali, potrebbe però non far valere il legittimo impedimento. Il Tribunale comunque glielo ha rico-

nosciuto e ha aggiornato il processo al primo marzo, senza motivare perché ha fatto saltare altre due udienze, quelle dell’8 e del 22 febbraio, senza alcuna richiesta delle parti. Il presidente D’Avossa tuttavia ha avvertito la difesa del premier: “Se dovesse continuare il legittimo impedimento saremo costretti a separare il processo a carico di Berlusconi da quello degli altri imputati, per poi eventualmente riunirli” . Un’ipotesi che non piace all’avvocato Longo. Non saranno neppure acquisiti - come volevano i pm - i verbali di Berlusconi che riguardano i vecchi processi Guardia di finanza e consolidato Fininvest, accettata invece una memoria difensiva del ’99. Intanto la maggioranza alla Camera sta lavorando per Berlusconi. Il legittimo impedimento è approdato oggi in aula dove, questa settimana, sarà discusso solo a livello generale. Dal primo febbraio si passerà alla votazione degli emendamenti, al momento circa

200, presentati soprattutto da Pd e Idv. Ma anche la maggioranza sta pensando ad alcune modifiche per concedere il privilegio anche ai parlamentari. Dice il relatore Enrico Costa (Pdl): “Si sta valuntando l'estensione del legittimo impedimento anche a deputati e senatori, oltre che a premier e ministri”. Ma quello che verrà certamente modificato riguarderà il riferimento agli impedimenti del presidente del Consiglio, in modo da essere coperto per qualsiasi tipo di impegno che i giudici saranno costretti a riconoscere in automatico. Dunque per legge dovranno rinviare il processo fino a sei mesi consecutivi, sospesa la prescrizione. Il Pdl punta ad approvare definitivamente il legittimo impedimento entro la fine di febbraio. In questo modo Berlusconi sarà “salvo” dai processi per almeno 18 mesi, (la legge sarebbe a tempo), in attesa dell'approvazione del nuovo lodo Alfano per via costituzionale.


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La sindacalista dell’Ugl e il “mattone d’oro” grazie ad Inpdap e Ior

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BATTAGLIA ALLE REGIONALI

a candidata alla presidenza del Lazio, come Il Fatto Quotidiano ha già raccontato il 23 gennaio scorso (Polverini tutta case e chiesa), ha acquistato due case a Roma nel 2002 a prezzi molto bassi. La sindacalista, proveniente da una famiglia povera, è riuscita a comprare un appartamento di sette vani catastali più box in zona Eur-Torrino (viale Grande Muraglia) per il prezzo ridicolo di 148 mila e

583 euro. La sindacalista, che all’epoca era vicesegretario del sindacato di destra Ugl, era inquilina dell’Inpdap, l’ente previdenziale nel quale l’Ugl siede per tutelare le pensioni dei dipendenti pubblici. Allora il prezzo di mercato era doppio. Oggi un appartamento dello stesso taglio costa intorno ai 400 mila euro. La Polverini usufruì dello sconto del 40 % rispetto al valore di stima già basso. L’affarone

le è permesso perché ha avuto la fortuna di entrare nella casa giusta (che tante persone bisognose sognavano) poco prima della vendita. Otto mesi dopo, a dicembre del 2002, c’è il secondo affarone: un primo piano vicino all’Aventino con doppi ingressi sei stanze, tre bagni e due box per soli 272 mila euro. Stavolta a offrirle la casa a un prezzo d’occasione è lo IOR, la banca del Vaticano.

LA FURBETTA DEL PALAZZO La Polverini ha mentito in un atto pubblico ed evaso 19mila euro nell’acquisto del suo appartamento

di Marco Lillo

’abolizione della tassa sulla seconda casa è la carta segreta di Renata Polverini. Non se ne trova traccia nel programma, ma il leader dell’Ugl ha già realizzato il sogno di milioni di elettori sorpassando a destra il Cavaliere proprio sul terreno fiscale. E’ solo un problema di comunicazione. Tutti sanno che il Cavaliere ha abolito l’Ici sulla prima casa, nessuno sa invece che la leader sindacale, senza tanto baccano, ha abolito le tasse di registro sulla seconda casa. Il taglio dell’odiosa aliquota del 10 per cento è avvenuto (caso unico nella storia) prima ancora di diventare presidente e risale addirittura al 2002. Polverini ha preferito non dirlo in giro per la semplice ragione che l’imposta l’ha tagliata solo per sé, mentendo al fisco, mentre gli altri italiani hanno continuato a pagarla fino all’ultimo euro. Dopo avere consultato i numerosi atti di compravendita del candidato presidente, Il Fatto Quotidiano, ha scoperto che Renata Polverini ha mentito in un atto pubblico e ha evaso le imposte per circa 19 mila euro. Non solo: per risparmiare altri 10 mila euro in un secondo acquisto ha architettato una doppia donazione con la mamma, realizzando un risparmio fiscale che puzza di elusione. Siamo di fronte al classico esempio di beffa dopo il danno: in entrambi i casi gli appartamenti erano stati acquistati a prezzi di saldo, il primo dall’Inpdap e il secondo dal Vaticano. Per capire l’in-

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Renata Polverini con Storace; accanto l’atto della casa di San Saba e la casa all’Eur (FOTO ANSA)

ghippo bisogna partire dall’inizio. Nel 2001, Renata Polverini compra la casa del portiere di uno stabile in cortina vicino a villa Pamphili. Nel frattempo le capita un affarone. Già dalla fine degli anni Novanta è inquilina di “Affittopoli”. Ha ottenuto dall’Inpdap un grande appartamento al Torrino, vicino all’Eur. La casa è dell’ente previdenziale nel quale l’Ugl e gli altri sindacati sono presenti in consiglio per tutelare le pensioni dei lavoratori e non, come spesso accade, per accaparrarsi le case più belle. Come da copione quella affittata (chissà in base a quali criteri) dall’ente governato dai sindacati all’allora

vicesegretario Ugl finisce in vendita a marzo del 2002 e lei compra per un prezzo stracciato: 148 mila e 583 euro per sette vani e un box. Un terzo del valore attuale, metà del prezzo di mercato dell’epoca. Polverini però non vuole pagare nemmeno le tasse sulla seconda casa pari al 10 per cento del valore. Così, pochi giorni prima del secondo acquisto dall’Inpdap dona alla mamma la prima casa di Monteverde. L’atto è registrato il 28 marzo. Così, lo stesso giorno, Polverini si può presentare al fisco come una nullatenente per pagare l’aliquota del 3 per cento, risparmiando circa 10 mila euro di tasse. Ov-

viamente, dopo 5 anni la mamma le restituisce la casa di Monteverde. E quella del Torrino finisce a un altro appartenente alla casta: il segretario confederale della Ugl, Rolando Vicari che dichiara di pagarla 234 mila euro nel 2007. Se, quando compra dall’Inpdap, Polverini si limita al trucchetto della donazione, quando compra dallo Ior passa del tutto il guado dell’evasione fiscale. Il 17 dicembre del 2002, 9 mesi dopo l’acquisto della casa dell’Eur dall’Inpdap, Renata Polverini non si fa sfuggire un’altra grande occasione. Le offrono un primo piano di ampia metratura a San Saba, vicino all’Aventino a un prezzo imperdibile. Anche stavolta il venditore non è un privato qualsiasi ma lo Ior, la famigerata banca del Vaticano. L’avvocato Gabriele Liuzzo, in rappresentanza dello Ior diretto da Angelo Caloia, le cede sei stanze, tre bagni, due box e tre balconi al prezzo ridicolo di 272 mila euro. Stavolta Polverini dovrebbe pagare il 10 per cento di aliquota, ma fa la furba e dichiara al notaio Giancarlo Mazza “di non essere titolare esclusiva di diritti di proprietà di altra casa nel comune di Roma”. Le carte del catasto

però la smentiscono: Renata Polverini è stata proprietaria della casa dell’Eur fino all’aprile del 2007. Se la sindacalista non ha corretto con una dichiarazione successiva o un condono la sua posizione, è ancora debitrice verso l’Erario di circa 19 mila euro, cioè la differenza tra il 3 e il 10 per cento di 272 mila euro. Anche se non ha più nulla da temere perché è scaduto il termine per l’accertamento. E non si può nemmeno dire che l’allora vicesegretario dell’Ugl non avesse dimestichezza con

le regole: è stata azionista di una serie di società della galassia Ugl che si occupavano di tasse: da Consulfisco Telematica a Servizi telematici fiscali. Né si può dire che le mancavano i soldi per pagare l’Erario. Meno di due anni dopo era pronta a comprare un altro mega appartamento gemello con i soliti doppi ingressi e tre bagni, nello stesso palazzo di San Saba. Il Fatto Quotidiano ha contattato lo staff di Renata Polverini per avere una spiegazione. La candidata ha preferito non replicare.

VISITE ELETTORALI

Renata “irrompe” in una scuola

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d alcuni genitori non è andata proprio giù, la visita di Renata Polverini alla scuola elementare Montessori di Roma. E quindi hanno scritto una lettera. “Protestiamo per quanto avvenuto in data 21/1/10. Stando ai racconti di alcuni nostri bambini, confermati da testimoni e dagli articoli presenti su giornali e siti Internet del giorno seguente, la sig.ra Polverini è entrata nella scuola insieme con un gruppo di giornalisti, fotografi e operatori video, facendo irruzione senza preavviso nella classe I B. All’interno sono state scattate fotografie ai bambini e realizzate riprese. Sembra che in classe sia entrata anche una persona armata di pistola, e che con il calcio dell’arma abbia urtato la testa di un bambino. La gravità dell’accaduto è evidente, ed esprimiamo la nostra vibrata protesta per non essere stati preavvertiti”.

APPUNTAMENTO ALL’UNIVERSITÀ

GRILLO A OXFORD: “ATTENTI CARI INGLESI, STATE IMPARANDO TROPPO DA NOI” di Leonardo Clausi Oxford

antipolitica con la scritta “Export” sulla Èlia dilattina quella di Beppe Grillo. Alla vigiun tour europeo che lo vedrà portare il suo show in giro per l’Europa (Germania, Francia e Svizzera seguono la serata di Londra, domani allo Sheperd’s Bush Empire) il comico genovese, definito “Italian activist” da Time Out London, è nella solenne Taylor Institution di Oxford per dare un assaggio dello show ma anche per discettare di “Internet e democrazia in Italia”. Il dibattito avrebbe dovuto svolgersi sotto la conduzione di John LLoyd, (reuters) contributing editor del Financial Times e di David Fogarcs, professore di italianistica al University College di Londra. Avrebbe dovuto, perché contenere Grillo è impossibile. “Quando parlo devo essere abbattuto, scherza”, e i due illustri perso-

naggi hanno dovuto accontentarsi della panchina durante tutto lo show. Davanti a una platea di un centinaio scarso di persone, the “activist” parte a tavoletta. “Io sono solo un detonatore. Il movimento esisteva già, era pronto per formarsi. Noi non abbiamo bandiere, abbiamo idee, non ideologie. Io non sono un leader politico. Non ho l’anima, non sono capace, sono vecchio ho 62 anni, ho sei figli che mi tengono con i piedi per terra, ho la fedina penale sporca, non sono candidabile”. “Siamo un virus”, dice Grillo, rivolto agli inglesi in sala. “Sono venuto ad avvisarvi perché il nostro mondo è pericoloso e voi state imparando fin troppo bene da noi. State attenti a noi italiani. Abbiamo inventato le banche, Mussolini, il fascismo. Abbiamo inventato il debito. Da noi la mafia è cambiata: è stata corrotta dalla politica”. È un fiume in piena. Le battute sono irresistibili e si susseguono a mitraglia: Berlusconi viene definito “colui che ama: faccia di Duomo è brutto. Il giudice Carnevale? Me l’ha consigliato Totò Riina”. Inframmezzano il racconto di quello che è diventato il suo movimento. “I cittadini sono tagliati fuo-

Il comico sale in cattedra e spiega la sua visione della crisi italiana

ri dalle istituzioni. La gente non conta più. Ma con la Rete cambia tutto. Io sono ottimista. Con la rete ogni click vale uno. Dai Meet up, le nostre liste civiche raccolte da trentenni incensurati residenti nelle rispettive città, sta arrivando il cambiamento, nonostante sia ignorato continuamente dalla stampa e dalla televisione di regime. Abbiamo 40 consiglieri in 32 città, come Bologna, Ancona, Ferrara Treviso, Brindisi, Reggio Emilia. Da sei mesi stiamo cambiando i comuni. Ciascuno di loro è un terminale di una rete, non un iscritto a un partito”. La fede di Grillo nell’orizzontalità della Rete è assoluta: il fatto che contenga un mare magnum di roba indistinta, non lo turba. “Basta guardare a Wikipedia e a come si autogoverna”. I trentenni in sala gli fanno domande assai benevole, dandogli il destro per altre tirate, soprattutto sulla stampa italiana. “Tremorti va in Cina a vendere debiti… Siamo un paese in default… Sui giornali non esce nulla di quello che facciamo, perché sono quotati in Borsa e i padroni, si chiamano Caltagirone, Benetton, Montezemolo. Nel Corriere della Sera ci sono venti banche: come fa un giornalista a fare un’inchiesta su una banca che è anche il suo editore?”. E la sala applaude.


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Martedì 26 gennaio 2010

TV DI REGIME

RAI: 13 A 6 PER LUI

A differenza di quanto dice Garimberti, i programmi delle reti pubbliche sono quasi tutti a favore di B. di Carlo Tecce

on porta il pallone. Comprato con i soldi del canone pagato dagli italiani. Eppure Silvio Berlusconi convoca le squadre, distribuisce le pettorine, divide il campo a metà: una parte azzurro della libertà, un’altra rosso comunista. Fuor di metafora, il vero presidente della Rai indossa con orgoglio la maglia azzurra, anche in trasferta a New York: “C’è un paradosso nell’azienda: ci sono più programmi anti-Berlusconi che pro-Berlusconi. E’ una delle ragioni – spiega Paolo Garimberti da New York – per cui cerco di evitare le telefonate di Berlusconi, è che si lamenta sempre del fatto che il servizio pubblico è contro di lui”. Proviamo a osservare, spettatori dalle tri-

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bune che desiderano giocare. I conti sembrano sbagliati: tra informazione e intrattenimento nelle tre reti Rai – secondo le categorie di Garimberti – i pro (13) doppiano gli anti (6). Il Tg1 di Augusto Minzolini va in onda più volte al giorno, Annozero e In mezz’ora sono settimanali. Il professore Francesco Siliato (studio Frasi) ha calcolato che – se il palinsesto fosse composto dai soli 19 programmi indicati – oltre l’80 per cento degli italiani guarderebbe trasmissioni pro-Berlusconi (vedi grafico in basso, ndr). I conduttori (i giocatori) devono scegliere una posizione, un colore: a favore con l’elmetto, a sfavore con scudo. Non conta né la classe né la fantasia. Non vale l’indipendenza, squalificata la neutralità. Se Report di Milena Gabanelli fa in-

chieste su RaiTre – l’ultima enclave rossa – viene inserito nell’angolo più alto e più infido a sinistra della lavagna. Se Lucia Annunziata fa delle domande a Giulio Tremonti – In mezz’ora – raggiunge la Gabanelli nella lista nera. Accanto adAnnozero di Michele Santoro e persino a Ballarò di Giovanni Floris che, tra Renata Polverini e un ambasciatore della Confindustria, pagherà in eterno i cinque minuti di Maurizio Crozza: non con la panchina, ma con il disgusto di governo. La partita in Rai è h24: Glob di Enrico Bertolino (alle 23.30 la domenica sera) dovrà soppesare le parole più di Paolo Liguori – alla stessa ora – a Controcampo su Rete 4. Chi è anti dovrà giocare in difesa, chi è pro dovrà attaccare: offendere, in senso calcistico, of course. A di-

spetto dei risultati e delle capacità: ricordate Malpensa Italia di Gianluigi Paragone, chiuso per ascolti da retrocessione? Aspettando Maurizio Belpietro. Chi è pro gioca titolare. Al presidente piace perdere. Anzi, ai presidenti.

Ogni giorno il premier manda in campo i giocatori e non cambia la squadra, anche se perde ascolti Paolo Garimberti (FOTO GUARDARCHIVIO)

PRO

ANTI?

Uno mattina (Rai Uno) Conduttori: Michele Cucuzza, Eleonora Daniele. Spettatori medi: 1,1 milioni. Contatti medi: 2,5 milioni. In onda: dal lunedì al venerdì alle 6.45, sabato e domenica alle 7. La vita in diretta (Rai Uno) Conduttore: Lamberto Sposini. Spettatori medi: 2,5 milioni (I parte). Contatti medi: 4,8 milioni. In onda: dal lunedì al venerdì alle 16.15.

Tg1 (Rai Uno) Direttore: Augusto Minzolini. Spettatori medi: 6,7 milioni (edizione serale). Contatti medi: 11,2 milioni. In onda: ogni sera alle 20.

Domenica In, l’Arena (Rai Uno) Conduttore: Massimo Giletti. Spettatori medi: 4 milioni. Contatti medi: 8 milioni. In onda: ogni domenica alle 14.

Speciale Tg1(Rai Uno) Conduttore: Monica Maggioni. Spettatori medi: 1,6 milioni. Contatti medi: 5,8 milioni. In onda: ogni domenica alle 23.30.

Tv7 (Rai Uno) Direttore: Augusto Minzolini. Spettatori medi: 1,3 milioni. Contatti medi: 4,4 milioni. In onda: ogni venerdì alle 23.

Porta a Porta (Rai Uno) Conduttore: Bruno Vespa. Spettatori medi: 1,4 milioni. Contatti medi: 5.6 milioni. In onda: dal lunedì al giovedì alle 23.

Elaborazione dati: Studio Frasi, analisi e ricerche sui media

Il fatto del giorno (Rai Due) Conduttore: Monica Setta. Spettatori medi: 1,6 milioni. Contatti medi: 4 milioni. In onda: dal lunedì al venerdì alle 14.

Annozero (Rai Due) Conduttore: Michele Santoro. Spettatori medi: 4,8 milioni. Contatti medi: 14 milioni. In onda: ogni giovedì alle 21.

L’Italia sul 2 (Rai Due)

Ballarò (Rai Due)

Conduttori: Milo Infante, Lorena Bianchetti. Spettatori medi: 1 milione. Contatti medi: 4 milioni. In onda: dal lunedì al venerdì alle 14.45.

Conduttore: Giovanni Floris. Spettatori medi: 4 milioni. Contatti medi: 12,6 milioni. In onda: ogni martedì alle 21.

L’ultima parola (Rai Due)

Parla con me (Rai Tre)

Conduttore: Gianluigi Paragone. Spettatori medi: 0,5 milioni. Contatti medi: 3,8 milioni. In onda: ogni venerdì alle 23.30.

Conduttore: Serena Dandini. Spettatori medi: 1 milione. Contatti medi: 3 milioni. In onda: dal martedì al giovedì alle 23.20

Tg Parlamento (Rai Uno e Due)

Report (Rai Tre)

Direttore: Giuliana Del Bufalo. Spettatori medi: 2,2 milioni. Contatti medi: 2,8 milioni. In onda: ogni giorno.

Conduttore: Milena Gabanelli. Spettatori medi: 2,9 milioni. Contatti medi: 10,5 milioni. In onda: domenica sera alle 21.30.

Tg 2 (Rai Due)

In mezz’ora (Rai Tre)

Direttore: Mario Orfeo. Spettatori medi: 1,9 milioni (edizione serale). Contatti medi: 4,8 milioni. In onda: ogni sera alle 20.30.

Conduttore: Lucia Annunziata. Spettatori medi: 1,4 milioni. Contatti medi: 3 milioni. In onda: ogni domenica alle 14.30.

Telecamere (Rai Tre)

Glob (Rai Tre)

Conduttore: Anna La Rosa. Spettatori medi: 0,27 milioni. Contatti medi: 0,9 milioni. In onda: ogni domenica alle 12.45.

Se l’informazione diventa propaganda La torta è costruita sulla relazione tra le occorrenze (n. volte-durata) e i contatti (n. persone) delle singole trasmissioni. Si tratta di un indice che usammo spesso con la struttura VQPT (Verifica Qualità Programmi Trasmessi) della Rai, ideato con Edgar Morin in un seminario svoltosi a Taormina e in seguito perfezionato a Perugia. L’indice, nominato Nexus, serve a valutare tipi e generi di programmi televisivi in base a una classificazione. In questo caso la tassonomia prevede la ripartizione di alcuni programmi in filogovernativi e di altri in critici. Va da sé che la classificazione è arbitraria, come va da sé che nella professione giornalistica l’esercizio della critica è un dovere per chiunque, di qualsivoglia orientamento e militanza. La gravità della situazione italiana è data dalla rilevanza assunta dalla propaganda nell’informazione pubblica e privata. Francesco Siliato, docente al Politecnico di Milano

Conduttore: Enrico Bertolino. Spettatori medi: 0,8 milioni. Contatti medi: 2,6 milioni. In onda: ogni domenica alle 23.30.

PROVE D’INCIUCIO

di Caterina Perniconi

SULLA GIUSTIZIA COMANDA FINI a evitato l’avvento di una democrazia giudiziaria ma l’indipendenza dei giudici è irrinunciabile”. Questo il senso del pensiero del presidente della Camera, Gianfranco Fini, sulla Giustizia, espresso ieri durante la presentazione a Montecitorio del libro di Luciano Violante “Magistrati”. Fini parla per primo e ruba la scena al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e a Violante, alla loro prova generale di dialogo. I due si guardano, sorridono, applaudono reciprocamente ai loro discorsi, ma a farla da padrone

“V

è Fini. Del resto, gioca in casa: “Bisogna porre un argine alle tentazioni della politica di condizionare l’indipendenza della magistratura con norme che mirino alla sua sottoposizione politica” ha detto il presidente della Camera, che ha anche precisato come occorra valorizzare “con riferimento ai magistrati, il principio di responsabilità che consiste nell’adempiere ai doveri di ufficio con imparzialità e rigore deontologico”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, quindi, per riprendersi una posizione al centro del dialogo tra i poli.


Martedì 26 gennaio 2010

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CRONACHE

QUEL VECCHIO CONFINE CHE INGHIOTTE ANIME A Nova Gorica, il varco da cui ogni anno entrano in Italia migliaia di immigrati di Elisabetta Reguitti Gorizia

e migrazioni irregolari a Gorizia le ha risolte il trattato di Schengen del 20 dicembre 2007, data della “caduta” del confine italo-sloveno. Fino a quel giorno questa città-simbolo fra est e ovest, considerata ai tempi della Guerra fredda il “confine più aperto d’Europa”, rappresentava un facile ingresso per chi fuggiva dalla miseria e dalla mancanza di libertà lungo i sentieri dei Balcani. C’era di tutto: dai turchi di etnia armena ai serbi fino ai pachistani. Solo gli sbarramenti confinari ufficiali di Sant’Andrea e della “Casa Rossa” non erano accessibili ai profughi. Ma già nelle immediate vicinanze, nella immediata periferia della città, e soprattutto lungo i sentieri di campagna e del Carso, per anni ci sono stati i massicci flussi di disperati che, con quel poco che avevano in tasca e con figli e vecchi sulle spalle, entravano in Italia accompagnati da spregiudicati passeurs la cui prestazione era pagata a peso d’oro. Prima di varcare la frontiera, quasi sempre di notte, si liberano dei propri documenti per diventare fantasmi anonimi. Il tragitto portava i più sulla statale Gorizia-Trieste (denominata il Vallone) che corre parallela al confine. Un confine “colabrodo” controllato a vista

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dai graniciari (milizia di frontiera) di Tito fino alla caduta della Jugoslavia, poi di fatto libero. E che in città, a Gorizia, era protetto da una rete solo davanti alla stazione della Transalpina, quella che il giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz – anche per fotografare la collaborazione che Gorizia e la dirimpettaia città slovena di Nova Gorica avevano saputo allacciare – aveva ribattezzato con efficacia il “muretto di Gorizia”. Contrapponendolo al più celebre e drammatico Muro di Berlino. Negli anni è diventato tutto più semplice sia per Trieste sia per Gorizia: di là, a Nova Gorica, ci sono i casinò e le file di auto italiane passano con un’attesa inferiore a quella sofferta ai caselli dell’autostrada. Ma nel 2000, attraverso il confine italo-sloveno, sono passati circa 17 mila irregolari e, di questi, solo il 10 per cento è stato rimandato indietro. Una vera e propria invasione silenziosa se paragonata, nello stesso periodo, alle più modeste cifre degli sbarchi sulle coste siciliane, calabresi e pugliesi, che però generano più allarme e fanno più notizia. Nel 2000, per ogni clandestino che approdava sulle coste italiane, ce ne erano 15 che varcavano il confine italo-sloveno. E dietro questo traffico c’erano organizzazioni criminali turche, croate, serbe, slovene e italiane: nel porto turco di Smirne, un clan-

destino pagava 5 mila euro per salire su una carretta del mare. Ce ne volevano 10 mila, invece, per stipare un nucleo familiare in un Tir che dalla Turchia viaggiava lungo la ex Jugoslavia fino a Nova Gorica, da dove i passeurs li guidavano in Italia. Oggi è diverso. Per gli irregolari il viaggio più difficile finisce al confine tra la Slovenia e la Croazia. Poi ad aspettarli ci sono le auto che li conducono lungo lo Stivale. Oggi non esiste nessun controllo di frontiera perché non esistono più i confini. E intercettare gli immigrati appartiene alla casistica dei fermi per i normali controlli su strade e autostrade. Oggi i problemi, per queste terre di confine (le ultime ad essere state smilitarizzate) un tempo ferite dall’odio tra italiani e sloveni, dalle foibe e dai campi di concentramento (come il lager nazista della risiera di San Sabba a Trieste) sono altri. Hanno nomi come Cie (centro di identificazione ed espulsione qualche anno fa denominato più cortesemente Cpt, centro di permanenza temporanea), Cara (centro accoglienza richiedenti asilo) oppure ancora Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati) o Cir (consiglio italiano dei rifugiati). Acronimi sempre In alto il vecchio confine con la Jugoslavia; sotto, immigrati a Gorizia (FOTO DI ELISABETTA REGUITTI)

GLI OSPITI DELLA CARITAS

ZANDRAN, L’AFGANO CHE HA ATTRAVERSATO L’ASIA

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re 11. 30 è ora di pranzo al centro San Giuseppe della Caritas di Gorizia. La prima ad arrivare è sempre la signora Loretta. Indispensabile per tutti. Poi arrivano anche gli ospiti. Il cortile del vecchio edificio si popola. Si sente l’odore del cibo. C’è fermento di volontari che si scambiano informazioni su cose da fare e persone con cui parlare. Gli uomini che vivono nel centro sono in attesa di protezione sussidiaria o del riconoscimento di rifugiato politico. Alli è nato in Nigeria ed è albino. Una colpa troppo grave per la sua comunità di appartenenza, dalla quale è scappato. Una vera maledizione, il non-colore della sua pelle, da perseguire fino alla condanna a morte. Motivazioni fondate e sufficienti per ottenere l’asilo in Italia. Lo stesso pericolo lo avevano corso la moglie Kriss e la loro piccola Osamudia (1 anno) anche lei affetta da albinismo. Questa famiglia ha attraversato il Ciad e la Libia. A piedi prima, con mezzi di fortuna poi, fino alla fantomatica carretta del mare. Ha invece attraversato il Pakistan, l’Iran, la Turchia e la Grecia, l’afghano Zandran arrivato a Gorizia dopo essere stato nascosto in un container caricato su una nave salpata dalle coste elleniche e arrivata a Bari. Zandran fugge dalle forze speciali della polizia dell’emirato islamico. Suo padre era un mujaheddin e i talebani vogliono che lui combatta la guerra santa contro l’America. “In qualsiasi angolo dell’Afghanistan tu ti possa nascondere – si legge in una lettera che Zandran porta con sé – saremo in grado di rintracciarti”. (El. Reg.)

nuovi per descrivere realtà di ospitalità “condizionata”. Mondi troppo spesso paralleli con regole diverse e in continua, frenetica evoluzione. Difficili da seguire anche per gli stessi operatori, impegnati a risolvere i problemi quotidiani di persone in fuga dai propri paesi di origine. Cibo, alloggi, vestiario. Ma soprattutto una possibilità di futuro per coloro che riescono a ottenere il riconoscimento di rifugiato politico: circa il 20% dei richiedenti. Sono loro, oggi, la vera emergenza lanciata dalla Caritas di Gorizia. Che rischia di scoppiare. Tra settembre 2008 e marzo 2009 ha accolto quasi 600 immigrati dimessi (allo scadere dei 6 mesi) dal Cara: oggi sono una sessantina a fronte di una capienza massima non superiore a 42 posti. I richiedenti asilo sono senza soldi, senza prospettive e non sanno dove andare. Sono persone che rischiano di essere inghiottite

Crollo di Favara, la rabbia del vescovo PER PROTESTA NON CELEBRA I FUNERALI DELLE BAMBINE: “MORTI ANNUNCIATE” omani mattina, per i fu“D nerali, il mio posto sarà tra la gente di Favara, con loro pregherò per Marianna e la piccola Chiara”. Con queste parole, affidate a una nota, ieri il vescovo di Agrigento Francesco Montenegro ha annunciato che non celebrerà i funerali delle due bimbe di Favara morte nel crollo della loro abitazione. La scelta del prelato è in polemica contro le istituzioni che non hanno fatto nulla per prevenire la tragedia. Già ad ottobre, dopo l’alluvione di Giampilieri, l'arcivescovo Montenegro aveva infatti lanciato l'allarme per il dissesto nel centro storico di Agrigento. E aveva avvertito che non avrebbe celebrato i funerali di eventuali

vittime di quel contesto fatiscente, degradato, in cui era urgente fare controlli. É l’arcivescovo stesso a ricordare che, in seguito all’alluvione nel messinese, aveva scritto a Guido Bertolaso: “Chiedo al Signore che non arrivi mai il momento di dovermi rifiutare di celebrare funerali previsti o preannunciati, perché quel giorno, se mai dovesse arrivare, il mio posto da agrigentino sarà tra la gente a pregare, ma non me la sentirò di parlare, come sarebbe successo se fossi stato a Messina”. Sono queste le parole che Montenegro scrisse al capo della Protezione Civile e alle autorità della provincia di Agrigento. “Sono parole che ricon-

fermo e nella loro interezza”, ha detto ieri il prelato. Una tragedia annunciata, insomma, che poteva essere evitata. I riscontri sul luogo del crollo, in cui sono morte le due bimbe (Marianna di 14 e Chiara Pia di 4 anni) hanno infatti confermato il cedimento della casa per il degrado delle strutture in muratura. Il padre delle bambine, il 37enne Giuseppe Bellavia, nei giorni scorsi aveva detto: “Nessuno è mai venuto a fare controlli a casa mia, eppure la condizione di queste case le vedevano tutti”. Per quelle stanze, da cui è stato miracolosamente estratto vivo il figlio Giovanni, pagava un affitto di 100 euro. Così, il vescovo ha deciso di

esprimere il suo dissenso. “Non è un sottrarmi al mio ruolo di vescovo – ha detto – ma un farmi solidale e vicino alla famiglia Bellavia in questo giorno di preghiera e silenzio”. Un’immagine del crollo di Favara (FOTO ANSA)

Per ogni persona che sbarca irregolarmente sulle coste del sud, ce ne sono 15 che arrivano dalla Slovenia dalla criminalità perché non hanno occupazione. “Li manteniamo a spese nostre”, ci racconta il direttore della Caritas don Paolo Zuttion. Dieci euro al giorno per ogni immigrato in attesa del riconoscimento a fronte dei 40 euro del Cara dove si può stare sei mesi, non un’ora in più. Poi finisci per strada. Come nel caso di quella ragazza che era stata “gentilmente” invitata a lasciare il Cara. Si è scoperto, poi, che era incinta. “Noi abbiamo ospitato 620 persone in un anno. Allo Stato ognuna di loro sarebbe costata 800 euro – prosegue il sacerdote – Abbiamo chiesto al prefetto di Gorizia di sottoscrivere una convenzione ma stiamo ancora aspettando”. Non vanno certo meglio le cose rispetto ai contributi elargiti dall’amministrazione comunale, che tra il 2008 e il 2009 ha tagliato ben 16 mila euro sulla gestione del dormitorio di piazza Tommaseo: un servizio per i senza fissa dimora (pochi) che viene usato per i richiedenti asilo che escono dal Cara (tanti). Che raccontano storie tutte diverse, anche se uguali nella drammatica sostanza. Intanto però gli operatori e i volontari cercano di districarsi nella giungla degli acronimi dei tanti (troppi) progetti ministeriali funzionanti sulla carta ma meno nella realtà delle cose. Procedure complesse da capire, anche per i più esperti. Difficili da applicare. Soprattutto quando mancano le risorse.

N PROCESSO

Lo stupratore seriale alla sbarra

É

iniziato ieri a Roma il processo al presunto “stupratore seriale” Luca Bianchini. I pm Maria Cordova e Antonella Nespola contesteranno all'indagato almeno tre episodi di violenza sessuale avvenuti il 5 aprile, il 4 giugno ed il 3 luglio scorsi nella Capitale. Il ragioniere di 33 anni, già segretario di una sezione Pd, è detenuto a Regina Coeli dal 10 luglio. Ieri ha del tutto respinto le accuse proclamandosi innocente.

N REGGIO CALABRIA

Un proiettile al pm Lombardo

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na busta anonima, contenente un biglietto di minacce e un proiettile è stata inviata al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, il magistrato a cui il procuratore capo Pignatone ha affidato le inchieste sulle cosche della città. Lombardo ha inoltre disposto il sequestro di beni per milioni di euro della cosca Condello. Nei giorni scorsi Lombardo aveva iniziato la requisitoria nel processo “Testamento” contro presunti affiliati alla cosca Libri, una delle più potenti di Reggio. L’inchiesta vede coinvolto anche un ex consigliere comunale di An, Massimo Labate, già ispettore della polizia. Lombardo, insieme con Pignatone, è stato il pm che con un altro processo riuscì a far sequestrare beni per 60-70 milioni.

TORINO

Una pallottola per Chiamparino

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na pallottola calibro 9 è stata inviata assieme a una lettera farneticante al sindaco del capoluogo piemontese, Sergio Chiamparino. Oggetto della missiva, le posizioni del primo cittadino a favore della Tav. Domenica c’era stata la manifestazione a favore dell’alta velocità, cui ha partecipato nella Sala Gialla del Lingotto Fiere, anche la presidente della regione Bresso. Tra sabato e domenica notte invece un incendio probabilmente doloso aveva distrutto un ex presidio dei No Tav a San Didero. “Sono sereno – ha detto Chiamparino – e credo che una lettera come questa, così come gli incendi ai presìdi siano del tutto estranei agli schieramenti favorevoli e contrari alla Tav, che civilmente hanno manifestato lo scorso fine settimana”.


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Martedì 26 gennaio 2010

La scalata del governatore alla poltrona della Bce

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ECONOMIA

el 2011 scade il mandato di Jean-Claude Trichet come presidente della Banca centrale europea. Per la successione sono in corsa Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, e Axel Weber, governatore della Bundesbank tedesca. Il secondo è dato per favorito, forte dell’appoggio della cancelliera Angela Merkel. Draghi ha però il vantaggio di essere presidente del Financial

Stability Board, organismo di raccordo tra governi, Banche centrali e istituzioni finanziarie, che sta lavorando ai nuovi principi regolatori della finanza dopo la crisi. Lo stesso Trichet, anche giovedì scorso, ha apertamente avallato l’operato di Draghi come capo del FSB. Tra due settimane, però, si deciderà la vicepresidenza della Bce: se la spunterà il candidato portoghese (su quello lussemburghese), potrebbe

diventare più difficile insediare alla presidenza un altro rappresentante di un paese del sud Europa. Per questo, domenica, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli ha chiesto in un editoriale che il governo si spenda subito a favore di Draghi, per una questione di prestigio nazionale dopo i numerosi fallimenti recenti in cui l’Italia ha perso tutte le poltrone europee per cui era in corsa.

I BANCHIERI DA DRAGHI CON UN OCCHIO ALLA RIFORMA OBAMA Vertice alla Banca d’Italia con il timore di nuove tasse di Stefano

Feltri

ggi Mario Draghi incontra i vertici delle sei principali banche italiane: Unicredit, Monte de’ Paschi, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Banco Popolare, Ubi. Il vertice di inizio anno è una prassi per il governatore della Banca d’Italia, ma questa volta arriva in un momento particolarmente delicato. In agenda per l’incontro a cui parteciperà anche tutto il direttorio della Banca d’Italia, ci sono l’uscita dalla crisi, la stretta creditizia, l’andamento dell’economia e l’evoluzione del rischio di credito.

O

PIÙ O MENO TASSE? Corrado Passera, Alessandro Profumo, Alberto Nagel e gli altri cercheranno anche di capire qualcosa di più su quanto Draghi voglia davvero imitare il presidente americano Barack Obama nel colpire le banche. Draghi è anche presidente del Financial stability board (Fsb), organismo di raccordo tra banchieri centrali, governi e istituzioni finanziarie. E venerdì scorso, con un comunicato ufficiale, il Fsb ha “accolto con favore la proposta americana per ridurre l’azzardo morale”. Obama è pronto a chiedere al Congresso di introdurre un pacchetto di restrizioni alle banche commerciali e un sistema di tasse che dovrebbe portare nelle casse del governo 117 miliardi, colpendo so-

prattutto gli istituti considerati “too big to fail”, troppo grandi per essere abbandonati al loro destino (e quindi sicuri di essere salvati dallo Stato). Il Financial stability board osserva con interesse la misura e a giugno produrrà un documento di sintesi in cui dirà se e e come si può estendere ad altri paesi. Intanto i banchieri italiani iniziano a preoccuparsi: stanno ancora aspettando i tagli fiscali promessi dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti (li aveva preannunciati a fine ottobre, ribaditi a dicembre) di cui non si è mai vista traccia, nonostante il presidente dell’Abi Corrado Faissola prima di Natale li dava quasi per certi. Adesso che Tremonti si è battuto contro ogni riduzione delle tasse, le banche si sono ormai rassegnate e l’obiettivo minimo diventa quindi evitare che lo spirito della Riforma Obama venga tradotto in italiano troppo alla lettera. Il presidente della Banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini (considerato vicino a Tremonti) sabato spiegava che il calo in Borsa delle azioni della sua banca era colpa del piano Obama e non di una scarsa fiducia nel piano industriale di Bpm appena presentato. Il ministro,

nare alla normalità, secondo l’ultimo bollettino di Bankitalia. Unici segnali positivi: “La flessione dei prestiti alle imprese risulta sostanzialmente in linea con la diminuzione del fabbisogno” (cioè le banche prestano meno anche perché le imprese chiedono meno) e “il graduale adeguamento dei tassi praticati sui finanziamenti bancari alle pregresse diminuzioni dei tassi ufficiali” (le banche hanno iniziato a ridurre i prezzi dei servizi per adeguarli alla riduzione del tasso di sconto praticato dalla Banca centrale europea).

Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e il presidente Bce Jean-Claude Trichet (FOTO ANSA)

per ora, vuole mantenere la pax bancaria che ha instaurato nelle ultime settimane e ieri, in un incontro a porte chiuse al Club Ambrosetti, ha apprezzato l’attenzione ai terri-

Tremonti aveva promesso alle banche benefici fiscali che finora non sono arrivati (e non arriveranno)

Svolte e giravolte di Guglielmo Epifani arà il congresso che si avvicina e il problema della successione, ma la linea attuale della Cgil di Guglielmo Epifani non è facile da decifrare. Basta vedere le sue ultime due interviste. L’8 gennaio dichiara al Messaggero che “il governo ha avuto la capacità di governare la crisi perdendo poco consenso” e ancora: “Gli riconosco un’abilità di fondo nel modo con il quale ha agito, una straordinaria capacità di ingegneria finanziaria”. Passano venti giorni, ed ecco la svolta: sciopero generale contro il governo per chiedere un taglio delle tasse che sia Silvio Berlusconi sia Giulio Tremonti hanno detto essere inattuabile. Bisogna dare atto a Epifani che chiede da tempo un intervento contro il “drenaggio fiscale”, il fenomeno con cui gli aumenti salariali vengono erosi dal fisco perché scatta un’aliquota più alta. Dove si trovano i soldi per farlo? Alzando le aliquote sulle rendite finanziarie (lo

NON È FINITA. Intesa e Unicredit sono impegnate, rispettivamente, in una battaglia sul rinnovo delle cariche di vertice e in una riorganizzazione complessa che ridurrà le poltrone importanti, scontentando molti top manager attuali. Vicende che Draghi segue con attenzione. Ma nell’incontro di oggi si parlerà soprattutto dei fondamentali, dell’andamento del mercato del credito non accenna a tor-

si conferma un alIconltro2009 anno nero per la Fiat, una perdita di 800 milioni di euro dopo quattro anni di utile (nel 2008 l’utile netto era stato di 1,7 miliardi di euro). Un anno “incredibilmente difficile, devastante in modo impensabile e senza precedenti per l’economia”, ha commentato l’amministratore delegato del Gruppo torinese, Sergio Marchionne, sottolineando però che il Lingotto è stato “in grado di gestire la crisi”. Nonostante il bilancio in rosso, la società ha deciso comunque di distribuire il dividendo. Non ci sono previsioni ottimistiche per il 2010: Marchionne ha comunicato che si aspetta un ulteriore calo del mercato europeo dell’auto del 12 per cento, anche in caso di rinnovo degli incentivi. Le speranze sono tutte concentrate sul mercato brasiliano, l’unico ad annunciarsi dinamico, mentre in Europa la strategia del gruppo è di ridurre la capacità produttiva in eccesso. I dati di bilancio non sono piaciuti alla Borsa: dopo un avvio positivo a Piazza Affari, le azioni Fiat sono arrivate a perdere quasi il 4 per cento alla fine della giornata, fermandosi a 9,35 euro (nel momento migliore dell’era Marchionne valevano quasi 24).

SCANDALO OMEGA

SCIOPERO GENERALE

S

tori e alle piccole e medie imprese dimostrata da Unicredit e Intesa.

VERSO LA BCE. Non vi sarà neppure un accenno, al vertice di oggi. Eppure il futuro di Mario Draghi è uno dei temi di cui più si discute in questi giorni. E’ uno dei (due) candidati alla successione di Jean-Claude Trichet nel 2011 come presidente della Banca centrale europea, insieme con il governatore della Bundesbank Axel Weber. Due giorni fa, sul Corriere della Sera, il direttore Ferruccio de Bortoli ha chiesto al governo di sostenere in modo più esplicito la candidatura Draghi, soprattutto dopo che l’Italia ha fallito nel tentativo di ottenere la presidenza dell’Europarlamento (con Mario Mauro) e ha rinunciato a sponsorizzare Giulio Tremonti per la guida dell’Eurogruppo, coordinamento tra ministri economici dell’area euro.

800 milioni di euro in rosso per Fiat, ma torna il dividendo

promettono da quindici anni destra e sinistra e nessuno è riuscito a farlo) o con un tipo di imposta patrimoniale che piace molto a Tremonti, affezionato allo lo slogan “trasferire l’imposizione dalle persone alle cose”. Ma resta un dubbio. Pochi mesi fa Epifani ha promosso a Roma una “manifestazione” (di sabato) invece che uno sciopero, perché non si può chiedere a operai già in cassa integrazione o con redditi dimezzati da contratti di solidarietà di perdere una giornata di lavoro per protestare. Perché Epifani ha cambiato idea? La situazione non è migliorata, secondo la Banca d’Italia la disoccupazione – contando anche gli “scoraggiati” che aspettano la ripresa – è superiore al 10 per cento. E la richiesta della Cgil non è direttamente collegata alla crisi, perché il sindacato denuncia la perdita di potere d’acquisto dei salari, ma l’inflazione è allo 0,8 per cento, quasi nulla. Quindi? Non sarà che l’unica differenza è che il congresso è sempre più vicino?

LA PROTESTA DI EUTELIA PARALIZZA ROMA di Beatrice Borromeo

ianni Letta, il sottosegretario alla presidenza Gin crisi, del Consiglio riferimento di molti lavoratori l’aveva promesso: dopo la decisione del Tribunale di Roma su Eutelia-Omega, il governo interverrà. “Ci avevano garantito il sostegno al reddito”, urlano i 400 dipendenti di Omega mentre bloccano via del Corso a Roma. Perché il tribunale ha preso la decisione quasi due mesi fa, a dicembre, quando ha affidato la gestione di Omega a tre commissari, sollevando la proprietà (i controversi manager Claudio Marcello Massa e Sebastiano Liori) da ogni compito. Ieri, in manifestazione, i lavoratori erano arrabbiati: sono ormai passati sei mesi dall’ultima volta che hanno visto uno stipendio, il loro caso è diventato uno scandalo pubblico, la magistratura indaga (la Procura di Milano si occupa di Omega e quella di Arezzo sta investigando su Eutelia) eppure nulla migliora. Forse chi ha commesso reati – se verranno provati – sconterà la sua pena, ma la priorità per i diecimila dipendenti del gruppo Omega è essere pagati. Per questo, mentre attendono gli sviluppi giudiziari, confidano nel governo. “Ieri – racconta al Fatto il sindacalista della Fiom Fabrizio Potet-

ti che è salito a Palazzo Chigi assieme a una piccola delegazione – Letta non si è fatto trovare. Un suo assistente ci ha però detto che finché la magistratura indaga il governo non può far nulla. Una follia, un controsenso”. Ma la presidenza del Consiglio rassicura: riceverà i sindacati il primo febbraio. Dalle facce di chi ieri era in piazza si capiva l’esasperazione dei lavoratori del gruppo Omega, arrivati in pullman da tutt’Italia, mentre nelle sedi dell’azienda – in presidio permanente da settimane – hanno scioperato per l’intera giornata. “Vogliamo almeno gli anticipi sui Tfr”, dice Patrizia, tecnica informatica. “Bisogna salvare le commesse rimaste”, spiega invece Mauro, che resta ottimista. Sono tanti i clienti importanti che hanno già dato forfait: la Camera dei deputati, le Poste Italiane, la Rai. Intanto si apre un nuovo scenario: il Tribunale di Roma ha da poco dichiarato antisindacale la cessione del ramo d’azienda Agile a Omega, imponendo a Eutelia di “rimuovere gli effetti” della vendita. La sentenza, secondo alcune interpretazioni, potrebbe implicare il ritorno di duemila lavoratori in Eutelia. Che (almeno) dovrebbe a quel punto pagare gli stipendi.

“Il governo e Gianni Letta non mantengono le promesse e noi siamo senza stipendio da sei mesi”


Martedì 26 gennaio 2010

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L’Expo 2015 e i rischi d’infiltrazioni mafiose

L’

ECONOMIA

Expo, esposizione universale che nel 2015 si svolgerà a nord di Milano (nei comuni di Rho e Pero), ha scelto per la prossima edizione il tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Si baserà tutto dunque su ciò che riguarda l’ambiente e il cibo: dalle tecnologie alla cultura alle possibili scelte innovative. Come in tutte le iniziative che coinvolgono ingenti

stanziamenti di risorse e concessione di appalti, è stato da subito chiaro il rischio che associazioni mafiose potessero infiltrarsi nel progetto dell’Expo. Il pm palermitano Antonio Ingroia, intervistato sulla questione, ha dichiarato: “L’approccio degli amministratori del Nord è, come al solito, di sottovalutazione e convivenza: sottovalutazione nel senso che si pensa che le

organizzazioni e la criminalità organizzata siano fronteggiabili con l’azione della sola magistratura, senza il sostegno della pubblica amministrazione; convivenza perché si pensa che un’eventuale presenza di interessi mafiosi sia compatibile con il sistema, senza capire che più tolleri la presenza della mafia e più la mafia ti toglie spazio e ti trasforma in suo strumento”.

Il piano segreto per l’Expo E’ COMINCIATA LA GUERRA DI FORMIGONI di Gianni Barbacetto Milano

I l contratto da cui nasce l’Expo di Milano è un documento di 25 pagine e sette planimetrie che nessuno ha mai visto: non il consiglio comunale, che lo aspetta da un paio d’anni, non i cittadini milanesi che avrebbero diritto di sapere che cosa si sta progettando. È una convenzione sottoscritta, già nel giugno 2007, dal comune e dai due proprietari dell’area su cui, nel 2015, si svolgerà l’evento: la Fiera di Milano e la società Belgioiosa (gruppo Cabassi). È il documento, finora segreto, che fa finalmente capire dov’è il trucco dell’Expo 2015: un’iniziativa intitolata “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, che nutrirà però soprattutto i proprietari dell’area, i quali potranno cementificarla con grande energia, oltre ogni regola. IL CONTRATTO. Che cosa

In concessione per sette anni, dopo l’evento l’area espositiva tornerà ai proprietari ma sarà edificabile

prevede, infatti, il contratto? Che quell’area sghemba a nord di Milano tra Pero e Baranzate, contigua alla nuova Fiera, prescelta per celebrare i fasti dell’Expo, resti ai proprietari. Viene data in concessione alla società Expo per sette anni (2010-2017), al termine dei quali Fiera e Cabassi se la riprenderanno. Ma, passata la festa, ci troveranno alcune gradite sorprese. Oggi l’area (circa 1 milione di metri quadri, 70 per cento della Fiera, 30 di Cabassi) è agricola. Non ci si può costruire nulla. Che cosa dice invece la miracolosa convenzione segreta? Che nel 2017 l’area sarà restituita a Fiera e Cabassi con un indice d’edificabilità 0,6: ossia puoi costruire 6 metri quadri ogni 10, per un totale di 600 mila metri quadri. Non è meraviglioso? Ma c’è di più. Il nuovo Piano di governo del territorio (Pgt) in approvazione a Milano innalza per le aree agricole l’indice di costruzione allo 0,2 (puoi costruire 2 metri quadri ogni 10); ma l’area Expo è considerata un’eccezione (“zona di trasformazione speciale”), con un eccezionale indice 1: dunque si potrà costruire ben 1 milione di metri quadri. E con un mix funzionale libero, dice il contratto Expo, a gentile discrezione dei proprietari. In una prima ipotesi, c’era anche un regalo aggiuntivo, come nelle fiere di paese. Guardate l’illustrazione numero 1 in questa pagina: padiglioni, edifici, uffici, abitazioni, una grande torre... Il primo progetto prevedeva che la società

REVISIONISMI

SEVERINO, IL DEBITO E I LADRI NECESSARI l filosofo Emanuele Severino, in un paginone del Corriere della Sera, per un giorno si cala nell’attualità con un’analisi che al confronto fa sembrare dei giustizialisti persino Piero Ostellino o Pigi Battista. Ecco un assaggio: “In questi giorni si è ricordato che Bettino Craxi ha raddoppiato il debito pubblico dello Stato italiano. Ma vale, per il raddoppio del debito, quello che vale per i ladri: se è servito a salvare dal comunismo la società italiana, il raddoppio era inevitabile come l’alleanza con i ladri”. E pure la trattativa con la mafia, teorizza Severino, proprio non si poteva evitare, perchè “chi è in pericolo di vita fa di tutto per salvarsi, anche cose sconvenienti”. Note a margine: nel pezzo non si parla di tangenti, dei tesori di Craxi, di come è stato speso quel debito pubblico (appalti gonfiati, competizione tra imprese alterata, ruberie personali). Ma sono dettagli .Perché nella visione di Severino la storia e la stagione di Tangentopoli non possono essere giudicate dai magistrati. Figurarsi dai filosofi, aggiungiamo noi dopo aver letto l’ar ticolo.

I

Expo costruisse molto, sull’area. Così nel 2017 i proprietari si sarebbero ritrovati una gran parte del lavoro già fatto, senza neanche la fatica di costruire a loro spese. Poi la crisi, i litigi politici, i ritardi, le incertezze, la mancanza di soldi hanno determinato un cambiamento di rotta. Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha chiamato cinque architetti a ripensare l’Expo. Una consulta internazionale formata da Stefano Boeri, Richard Burdett (quello che sta progettando le Olimpiadi di Londra 2012), Jacques Herzog (quello dello stadio-nido di Pechino), William McDonough (collaboratore di Al Gore) e Joan Busquets (Olimpiadi di Barcellona). Il nuovo progetto, presentato in pompa magna nel settembre 2009, lo vedete nell’immagine numero 2. Niente più grandi padiglioni, ma un immenso orto botanico. Ognuno dei 120 paesi che parteciperanno all’Expo avrà una striscia di terreno larga 20

Nell’immagine 1, a sinistra, la prima versione di come sarà l’area Expo. A destra, nell’immagine 2, il secondo progetto con il parco (ma l’area sarà edificabile, quindi senza vincoli di conservarlo)

metri in cui potrà presentare le sue coltivazioni, i suoi prodotti, le sue eccellenze, con serre e terreni che riproducono le biodiversità, i climi del mondo e le loro tipicità alimentari. Ogni striscia s’affaccia su un lungo boulevard-tavola dove i paesi ospiti potranno mettere in mostra e condividere le loro colture e i loro prodotti. Un piccolo villaggio-Expo, di edifici bassi, sarà costruito discretamente sui bordi dell’area. Così, dopo l’Expo, alla città potrà restare in eredità un grande parco botanico planetario. L’EXPO DOPO L’EXPO. Questo dice il progetto realizzato con

la collaborazione anche di Carlin Petrini, il papà di Slowfood. Ma se le aree nel 2017 torneranno ai loro proprietari, e con la possibilità di costruirci sopra un milione di metri quadri, dove andrà mai a finire la promessa del parco botanico planetario da regalare alla città? Per non sbagliare, comunque, si sta passando dal “concept plan” al “masterplan”. Ovvero: ora che i cinque grandi architetti, sotto l’ala del sindaco Moratti, hanno detto la loro (“concept plan”), la palla passa all’Ufficio di Piano dell’Expo, che dovrà realizzare il progetto vero (“masterplan”). E qui arriva il bello. L’Ufficio di Piano sta remando in direzione opposta: il sogno dei cinque super-architetti è troppo leggero, troppo agreste, troppo bucolico. Bisogna riempire, costruire, appesantire. Dare la possibilità ai paesi espositori di potersi esibire innalzando come vogliono i loro padiglioni nazionali. Ad aprile vedremo il risultato. Questo è il

PERSONAGGI&INTERPRETI DELLE BATTAGLIE MILANESI hissà se è pentita, Letizia Moratti, di aver fatCl’Expo to vincere a Milano la gara internazionale per 2015. Finora da quel successo le sono venuti solo guai. Ora è preoccupata, tesa. È in forse anche la sua ricandidatura a sindaco. Credeva di poter gestire l’evento con i suoi uomini senza le interferenze dei partiti. Ha imparato a sue spese che non è possibile. Ha dovuto subire subito i boicottaggi degli expo-scettici, Lega e Giulio Tremonti. E poi gli assalti dei poteri, delle correnti, delle cordate. Umberto Bossi all’Expo non ha mai creduto, lo chiama “Expo di territorio”, vorrebbe che coinvolgesse paesi, città, territori e genti di tutta la Padania. Vorrebbe insomma che, se proprio si deve fare, fosse utile a portare consenso (ma anche poltrone, potere e soldi) alla Lega. Ha imposto un suo uomo, Leonardo Carioni a presidiare il consiglio d’amministrazione. Tremonti dell’Expo avrebbe proprio fatto a meno: il suo ministero ha pochi soldi da spendere e non li vuole buttare per la gloria di Donna Letizia, che quando è andata a Roma a batter cassa si è sentita rispondere: “Letizia, il governo non è tuo marito”. Così Tremonti ha garantito per ora soltanto 133 milioni per il triennio 2009-2011, che dovrebbero diventare (chissà) 1,4 miliardi entro il 2015. Non si sa se arriveranno davvero i 600 milioni di competenza degli enti locali e i 500 dei privati. Tanto per cominciare bene, già quest’anno il bilancio previsionale di Expo spa è in rosso di 15 milioni di euro. Le grandi opere già previste e infilate a forza nel progetto Expo (le superstrade Pedemontana, Tem, Brebemi, le linee di metrò M4 e M5) non si sa se saranno finite in tempo per il 2015. Si sa però che mancano i soldi: almeno 2,5 miliardi di euro. Alcune opere sono state addirittura cancellate: non sarà fatta la linea M6, non

sarà fatta la torre Landmark; non sarà fatta la via d’acqua navigabile che avrebbe dovuto portare dalla città all’Expo. Per fortuna gli orti costano meno. Del resto, alla stima iniziale di 30 milioni di visitatori previsti non crede più nessuno. E le previsioni di fatturato sono già precipitate da 44 a 34 miliardi. Chissà se Lucio Stanca, il mediatore imposto da Silvio Berlusconi dopo tante polemiche, tanti litigi, tanti ritardi, resisterà fino al 2015. C’è già chi lo dà per sconfitto, bruciato dal braccio di ferro in corso (lui vuole comprare l’area, la Fiera vuole mantenerne la proprietà). C’è chi fa già il nome del successore: l’uomo di Berlusconi per le imprese impossibili, il super commissario Guido Bertolaso. Intanto ha messo il suo cappellone sull’Expo anche Bruno Ermolli, a cui piace tanto essere definito il Gianni Letta di Milano. Attraverso la Camera di commercio-Promos, ha organizzato nei giorni scorsi un incontro sull’Expo per dire: occhio, ci sono anch’io. Ma è la Fiera, ormai, il vero dominus dell’operazione, strappata alla povera Moratti. Dunque Roberto Formigoni, che ha occupato anche l’Expo, e non si fa certo disturbare dall’arrivo del nuovo presidente della holding di controllo della Fiera, l’ex banchiere craxiano (ora berlusconiano) Giampiero Cantoni. L’uomo forte di Formigoni che ha lavorato nell’ombra (anche) per l’Expo è – tenetevi forte – l’avvocato Paolo Sciumè. Ora ha dovuto sospendere il suo impegno, perché è stato arrestato con l’accusa di aver presentato clienti mafiosi al presidente della Banca Arner, Nicola Bravetti. Il personaggio giusto, Sciumè, per lavorare a un’impresa che, già per conto suo, è a rischio infiltrazioni mafiose. (Gia. Bar.)

primo dei durissimi scontri in atto. Il secondo è sulla proprietà dell’area. Il terzo è sul dopo: che cosa sarà l’Expo dopo l’Expo? LA FIERA. La Fiera (più che Cabassi) vuole mantenere il controllo dell’area, come previsto dal contratto, e dopo l’Expo avere uno spazio immenso da valorizzare, con un guadagno immenso. Case, uffici, il nuovo centro di produzione Rai (ma con quali soldi?), magari un po’ di housing sociale (abitazioni a basso costo) tanto per indorare la pillola. L’amministratore delegato di Expo spa, Lucio Stanca, sta invece provando a percorrere un’altra strada, su cui s’incamminerebbe qualunque manager serio: acquistare le aree. Perché lasciarle ai proprietari, a cui regalare un valore immenso? Oggi l’area Expo è terreno agricolo, potrebbe dunque essere comprata a prezzi ragionevoli (100-130 milioni di euro). Ma, naturalmente, la Fiera non ci sta. Preferisce il regalo miracoloso del milione di metri quadri di cemento. Se proprio costretta, potrebbe anche vendere, ma alzando di molto il prezzo. Ma per capire questa partita, che è il vero, feroce conflitto in corso, bisogna capire la geografia del potere che si sta ricomponendo attorno all’Expo. Fiera vuol dire Roberto Formigoni, cioè Pdl ala Comunione e liberazione. Formigoni, eterno presidente della regione Lombardia, ha lavorato sottotraccia per diventare il vero padrone dell’Expo. Sottraendo il giocattolo a Letizia Moratti. Formigoni non solo controlla attraverso i suoi uomini la Fiera, proprietaria dell’area, ma ha anche abilmente occupato l’Ufficio di Piano, d’ora in avanti vera cabina di regia dell’Expo. Sono di area Comunione e liberazione (e formigoniani di ferro) Matteo Gatto, il direttore dell’Ufficio di Piano; Andrea Radic, responsabile della comunicazione; Alberto Mina, responsabile delle relazioni istituzionali. Il comitato scientifico è presidiato da uno dei grandi capi di Cl, Giorgio Vittadini. Nel consiglio d’amministrazione di Expo spa siede invece Paolo Alli, già capogabinetto di Formigoni. La guerra è cominciata.

CONDOGLIANZE A BONAZZI La redazione tutta del Fatto Quotidiano è vicina al carissimo collega e amico Francesco Bonazzi, a suo padre Luigi e al fratello Paolo, per la perdita della mamma, Franca Bruscagnin. A tutta la famiglia le condoglianze più sincere.


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Martedì 26 gennaio 2010

DAL MONDO

KAPUSCINSKI E IL SUO GUATEMALA RITROVATO Tradotto il libro del reporter sugli orrori latinoamericani di Francesco

Comina Bolzano

un libro sconvolgente. Forse per questo motivo è uno dei pochi libri del grande reporter polacco Ryszard Kapuscinski che fino ad oggi non è mai stato tradotto in italiano. Ora, proprio nel giorno del terzo anniversario dalla morte avvenuta a Varsavia il 23 gennaio del 2007, esce nelle librerie grazie a una piccola casa editrice di Trento. “Perché è morto Karl von Spreti. Guatemala, 1970” (il Margine). È uno dei libri più crudi, più ruvidi, più militanti di Kapuscinski. È sempre lui, il giornalista che raccoglie dati, notizie, umori, sentimenti, che mantiene il controllo delle emozioni davanti a una storia allucinante. Ma si percepisce l’orrore, la denuncia, l’insopportabilità di una realtà in gran

È

parte dominata da interessi economici, strategici, stravolta da sfruttamenti di ogni tipo, uccisioni indiscriminate, torture, rastrellamenti, sevizie, imposizioni, rapine, umiliazioni. La sua storia del Guatemala si intreccia fortemente con la ricostruzione dell’allora giovane Eduardo Galeano, “Guatemala, Pais ocupado”. Ma Kapuscinski non fa lo storico, l’analista. Kapuscinski vuole sapere cosa si nasconde dietro il sequestro e l’uccisione dell’ambasciatore tedesco Karl von Spreti, avvenuto nel 1970 per opera dei gruppi guerriglieri delle Far. Questo è il fatto concreto da cui partire per sciogliere la rete degli intrighi di Palazzo, per riannodare i fili di una memoria che si bagna nel sangue degli innocenti, nelle sofferenze di un popolo impoverito e reso schiavo dai rapporti di dominazione e di colonialismo. Kapu-

scinski non risparmia nessuno. Solleva lo scandalo delle multinazionali che controllano il territorio, chiarisce la posizione ambigua degli Stati Uniti che preferiscono sostenere presidenti corrotti e sanguinari per sfruttare al massimo le risorse naturali piuttosto che dare libera espressione al popolo sfruttato e sottomesso. E soprattutto inchioda la Germania alle sue responsabilità davanti alla morte del conte Karl von Spreti, uomo di impegno, diplomatico con alle spalle una lunga esperienza di America Latina. Kapuscinski parla di un atteggiamento “remissivo” del governo tedesco: “Già ai tempi del cancelliere Adenauer – scrive Kapuscinski – Bonn aveva inserito il Guatemala nella lista dei paesi privilegiati per quanto riguarda la concessione di aiuti. Ogni anno

Ryszard Kapuscinski in Alto Adige con un gruppo di studenti (FOTO FRANCESCO COMINA)

Bonn paga all’incirca tre milioni di dollari per mantenere la dittatura guatemalteca. Dopo gli Stati Uniti, la Repubblica Federale Tedesca è il secondo partner commerciale del Guatemala. È difficile stabilire il valore preciso degli investimenti tedeschi nel paese, ma è comunque consistente”. Il 4 aprile 1970 arriva in Guatemala il ministro degli Esteri tedesco Herr Hoppe. L’ultimatum dei guerriglieri ha le ore contate. Scrive Kapuscinski: “L’alto funzionario non capisce nulla e si comporta come se fosse arrivato in un paese normale. Invece di andare dritto filato dall’ambasciatore statunitense, perché il tempo sta passando e l’ultimatum sta per scadere, il direttore Hoppe dà inizio ai suoi tentativi recandosi al protocol-

lo diplomatico del ministero degli Esteri. Poi chiede di poter vedere il presidente che in quel momento – e Hoppe questo avrebbe dovuto saperlo – non ha nessun potere”. Il colloquio non porta a nulla. Karl von Spreti viene ucciso. Kapuscinski spiega: “ln fondo il governo tedesco, quando Karl von Spreti era ancora vivo, avrebbe potuto minacciare la rottura dei rapporti diplomatici e commerciali con il Guatemala. Forse la sorte del conte sarebbe mutata: il Guatemala non può permettersi di perdere il mercato della Germania ovest dove vende la metà del suo caffè, il prodotto di cui il Guatemala vive. Eppure non fu posto alcun ultimatum del genere. Anzi, dopo la morte di von Spreti lo chargé d’affaires dell’ambasciata tedesca in Guatemala, Gerhard Mikesch, ebbe a dichiarare: la situazione ve-

MULTICULTURALISMO

UN MESE NELLA PRIGIONE DEL BURQA H

a vissuto portando il burqa tutti i giorni per un mese, soffrendo il caldo, gli sguardi duri delle altre donne, quelli spaventati dei bambini, subendo persino gli sputi di alcuni uomini. Quel mese a Berengere Lefranc, artista parigina di 40 anni, atea, che si è voluta mettere nei panni delle donne musulmane con il velo integrale, è parso infernale. La Lefranc racconta la sua esperienza in un libro “Un voile, un certain mois de juin”, che esce in Francia, dove l’attesa proposta di legge contro il velo integrale, burqa e niqab, sarà presentata in Parlamento oggi. “Per la prima volta nella mia vita ho avuto paura della gente”, racconta Berengere al quotidiano Le Parisien. “Le persone mi squadravano, mi indicavano, bisbigliavano al mio passaggio. Mi sentivo handicappata - continua - non vedevo quasi nulla e avrei avuto una gran voglia di fumare una sigaretta”. Tra le conseguenza fisiche l’aver perso 6 chili.

Melinda e Bill Gates (FOTO ANSA)

“Siete taccagni: donate di più ai paesi poveri” LA FONDAZIONE DI BILL GATES DÀ I VOTI AI PAESI EUROPEI E BOCCIA L’OPERATO DEL GOVERNO BERLUSCONI l governo guidato da Silvio BerluIpaesi sconi ha fatto dell’Italia “uno dei più tirchi tra quelli europei negli aiuti allo sviluppo dei paesi poveri”. É l'accusa che il fondatore di Microsoft, Bill Gates, lancia nella let-

L’Ue chiede che gli stati destinino lo 0,7% del Pil per lo sviluppo: lo fanno solo Norvegia, Svezia, Olanda e Danimarca

tera annuale della fondazione benefica, Bill and Melinda Gates Foundation, che guida assieme alla moglie. “L'Italia – scrive Gates – era già tra i paesi europei che versavano di meno, anche prima che il governo Berlusconi fosse al potere. Ora però sono stati tagliati più della metà di quei pochi fondi e l’Italia è diventata uno dei paesi più taccagni tra i donatori europei”. Bill Gates attacca così il governo italiano e definendolo “particolarmente tirchio” (uniquely stingy). Il padre della Microsoft ormai immerso nella sua nuova veste di filantropo, dà le pagelle ai paesi ricchi per il loro impegno

a favore di quelli più bisognosi. E dalle 14 pagine, diffuse ovviamente sul sito della fondazione, il Belpaese ne esce con le ossa rotte. Gates sottolinea di condividere la denuncia lanciata nei mesi scorsi di Bob Geldof, il cantante inglese da decenni in prima fila nella lotta contro la fame nel mondo: “Bob aveva ragione quando disse che il governo italiano vuole risanare il proprio bilancio sulla pelle dei poveri, in modo vergognoso. Ho incontrato personalmente Silvio Berlusconi a giugno per sollecitare un maggiore sostegno, ma non ho avuto successo. Tutto ciò è motivo di grande delusione visto che ancora penso che il popolo italiano voglia essere

generoso come i popoli degli altri paesi”. Nella lettera Gates, dati alla mano, promuove Svezia, Norvegia, Olanda e Danimarca, i paesi più generosì al mondo, con una percentuale di aiuti superiore allo 0,7 per cento del loro Pil, che è la soglia richiesta dalle Nazioni Unite. Tra gli europei, rispetto all’anno scorso, cala la Francia, paese tradizionalmente leader in Europa, mentre Germania, Spagna e Regno Unito hanno fatto passi avanti. Dietro l’Italia, nella classifica della generosità, ci sono Grecia, Giappone e, fanalino di coda, proprio gli Stati Uniti. Che non arrivano a destinare neppure lo 0,2 per cento del proprio Pil. Mentre l’Italia è allo 0,21%.

Il racconto della morte del diplomatico tedesco come lezione degli errori occidentali nutasi a creare con l’assassinio dell’ambasciatore non ha danneggiato né danneggerà i buoni rapporti commerciali esistenti tra i due paesi. Il giro d’affari tra i due paesi è considerevole. Crediamo fortemente che la tensione si allenterà nel momento opportuno”. Tutto questo avviene dentro una storia incredibile, la storia del Guatemala, paese occupato dai poteri delle grandi imprese straniere e dalle strategie geopolitiche in atto in quegli anni. Una storia nera, piena di chiazze rosse di sangue. Nella prefazione il premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel scrive: “Le vicende storico-politiche del Guatemala, esposte con chiarezza e maestria in questo libro, evidenziano la tragica storia di resistenza di questo popolo: la colonizzazione del paese da parte dei latifondisti tedeschi e nordamericani, la dominazione subìta fin dall’epoca della conquista dagli spagnoli e successivamente da parte di imprese come la United Fruit Company, l’espulsione dei contadini indigeni verso le terre più aride e l’eterno dominio degli Stati Uniti e dei colonnelli conniventi. Elementi questi che hanno impedito al paese di raggiungere la democrazia”. Ieri il libro è stato presentato in anteprima nazionale al teatro Cristallo di Bolzano – dove Kapuscinski venne a parlare all’università per il suo ultimo incontro pubblico della vita nell’ottobre del 2006 – con la presenza della moglie e della figlia del grande reporter polacco, con i giornalisti Ennio Remondino e Maurizio Chierici e la collaboratrice del premio Nobel Pérez Esquivel, Grazia Tuzi.


Martedì 26 gennaio 2010

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DAL MONDO

CLINTON E LE CRITICHE DI BERTOLASO ”CHIACCHIERE DA BAR SPORT” Su Haiti gli Usa replicano all’Italia. Imbarazzo di Frattini

La portaerei Cavour Accanto, Hillary Clinton e Franco Frattini (FOTO ANSA)

di Giampiero Gramaglia

opo due settimane di immane tragedia, centinaia di migliaia di vittime, dolore e distruzione, impreparazione e disorganizzazione, il terremoto che il 12 gennaio devastò Haiti diventa la scena di un battibecco tra Usa e Italia. Hillary Clinton, segretario di Stato, liquida con uno sprezzante “polemiche da Bar Sport” le critiche agli aiuti (gestiti dagli Usa) del capo della protezione civile italiana Guido Bertolaso, spedito sul posto senza un ruolo e senza un mandato dal presidente del Consiglio Berlusconi. Bertolaso constata i ritardi e la disorganizzazione dei primi interventi: l’ammontare delle vittime resta incerto negli ordini di grandezza e la sopravvivenza degli scampati non è affatto assicurata, tra problemi d’approvvigionamento e di sicurezza e denunce di tratte di bambini. In polemica con gli Usa, intervenuti con migliaia di uomini e mezzi ingenti, mentre l’Onu contavo i

D

propri morti, Bertolaso dichiara: “Qui, non funziona niente” e propone un vertice internazionale su Haiti – Washington e Parigi, in realtà, ci hanno già pensato - e la creazione d’una protezione civile ‘planetaria’, sotto egida Onu –l’Ue, però, non se n’è ancora dotata. I rilievi di Bertolaso sono oggettivamente corretti, ma suonano autocandidatura: “Ci sono tanti elicotteri, macchine, mezzi, ma poi sul territorio arriva molto poco. Se non c'é uno che coordina e poi va a verificare che cosa si sta facendo, è inevitabile che sia così”. Il contesto degli interventi è più mediatico che umanitario: conta farsi vedere più che fare. La sortita del capo della protezione civile mette in difficoltà il governo, proprio nel giorno in cui il ministro degli Esteri Frattini incontra la Clinton. Risultato: Frattini zittisce Bertolaso, “le sue sono dichiarazioni a titolo personale”, frutto d’una “reazione emotiva”. Hillary, in conferenza stampa congiunta, ci va giù pesante. “Monday morning quarterback”, dice chiac-

chiere da bar il giorno dopo la partita, quando tutti sono buoni a criticare; e ancora: “Ringrazio l’Italia, ma il sisma di Haiti non è quello dell’Aquila” ed è necessaria una presenza militare, oltre che civile. Frattini abbozza (“Non vogliamo dare lezioni a nessuno”) e rileva: l’Italia sta mandando una portaerei e dei carabinieri. Ma Bertolaso non molla e replica: “Le mie non erano critiche agli Usa, ma constatazioni tecniche” e “sono pagato per stare calmo e fare le cose per bene”. Lo screzio Usa-Italia e il pasticcio italo-italiano non aggiungono né chiarezza né efficacia agli interventi pro-Haiti. Bertolaso afferma: “Attendiamo la Cavour per concordare con le autorità locali l’impiego dei nostri genieri, che avranno molto da fare, visto che c'é da mettere a posto strade e scuole e strutture pubbliche”. Ma che cosa ci va a fare ad Haiti la portaerei Cavour, alla sua prima missione? L’interrogativo, che ha finora trovato ampia eco sui ‘new media’, se lo sono posti, con particolare intensità, la Tavola della Pace e la Rete

Italiana. Attualmente, la Cavour è in navigazione: la missione, approvata in prima persona da Berlusconi, prevede che la portaerei, salpata martedì 19 dal molo Fincantieri di La Spezia e fermatasi il 20 a Civitavecchia per completare il carico, giunga ad Haiti verso la fine della settimana. Deve pure imbarcare in Brasile uomini e mezzi, essendo la sua un’operazione congiunta italo-brasiliana. È chiaro che l’invio della Cavour non risponde all’esigenza di soccorsi immediati e neppure a quella di aiuti d’urgenza, in un paese dove l’impatto del sisma si somma alla povertà e al sottosviluppo cronici di uno degli Stati più inefficienti e più corrotti al mondo. E la task force del genio – 185 militari della Brigata Julia con tutte le loro attrezzature - poteva arrivare via aerea. Pax Christi riconosce che “i tecnici della lobby industrial-militare adducono ragioni per giustificare l’opportunità dell’invio della portaerei per soccorrere i terremotati”; ma aggiunge: “Non possiamo nascondere il timore che la missione, sponsorizzata da aziende che hanno realizzato la nave, si risolva in un’operazione di facciata, utile più all’apparato militare che alla popolazione di Haiti”. Insomma, i pacifisti sospettano che la Cavour ad Haiti sia una sorta di vetrina del ‘made in Italy’ militare italiano. E il fatto che il 90% delle spese siano sostenute dall’industria – Finmeccanica, Fincantieri, Eni ed altre - alimenta i dubbi. Tanto più che la missione ha costi

elevati: 200mila euro al giorno quando la portaerei naviga, circa la metà alla fonda. Poiché l’operazione è ipotizzata di 60 giorni, il conto potrebbe essere di 12 milioni d’euro. Presentandone la missione alla commissione difesa del Senato, il ministro della difesa Ignazio La Russa ha detto che la Cavour è “un vero e proprio ospedale avanzato” con 1208 posti letto, 400 mq di sale, due sale operatorie, una tac e un centro anti-ustioni. A bordo ci sono 922 militari: uomini d’equipaggio (560) ed elementi di Marina, Aviazione e Sanità, del Reggimento San Marco, della Brigata Giulia, dei carabinieri. Fra i mezzi 6 elicotteri e blindati Lince, quelli dell’Afghanistan. Come aiuti, ci sono 135 tonnellate di derrate alimentari Fao e 77 della Croce rossa italiana. Per La Russa, uomini e mezzi opereranno “sotto le direttive dell’Onu”, nell’ambito di una risoluzione ‘in fieri’ sulla stabilità e la ricostruzione di Haiti.

Intanto la portaerei Cavour è in navigazione verso l’isola terremotata: arriverà tra qualche giorno

Guido Bertolaso dopo il suo arrivo ad Haiti per coordinare gli aiuti umanitari (FOTO ANSA)

LITIGI DI GOVERNO

GUIDO IL “PREZZEMOLINO” CONTRO TUTTI TRA I BERLUSCONES NON LO AMA PIÙ NESSUNO di Carlo Tecce

a Venezia, piena dei fiumi a Gsina,ondole Roma, rifiuti a Napoli, frane a Mesterremoto all'Aquila. Ovunque c'è un'emergenza, arriva Guido Bertolaso in maglia blu con stringe tricolori e il logo della Protezione civile (stile Acrobat, il programma per il pdf): capo del dipartimento, commissario straordinario e poi sottosegretario. E così il medico e funzionario diventa il primo e l'ultimo ministro del governo Berlusconi: e tra scrivanie e poltrone, contro chi veste in giacca e cravatta, il Bertolaso ecco, ci penso io fa ingelosire i colleghi. Il governatore Roberto Formigoni ha spedito in “aereo lombardo” viveri e medicinali per la popolazione di

Dal ministro degli Esteri a quello dell’Economia, la troppa libertà del sottosegretario fa innervosire

sottosegretario spende. E nessuna CorHaiti: un guaio, dovevano avvertire mo. Bertolaso. Che ha replicato, piccato, La Protezione civile spa ha normalizza- te dei conti potrà fare calcoli precisi. con una lettera a Formigoni, Frattini e to l'emergenza: la presidenza del Con- Per affinità politica e religiosa (leggi VaLetta: “Basta aiuti isolati”. E per accon- siglio, tra il 2001 al 2009, ha firmato ticano), Gianni Letta è il referente e tentare il sottosegretario, che a ottobre 587 ordinanze. Emergenza per i fune- protettore principale: qualche mese, a voleva lasciare l’incarico e poi ci ha ri- rali di papa Giovanni Paolo II, emergen- palazzo Grazioli, Bertolaso quasi litigò pensato (“Resto un anno, due...), il pre- za per un mercantile turco spiaggiato. con Berlusconi. Il giorno dopo, Gianni sidente Berlusconi ha aggiunto un'al- Vuol dire che Bertolaso (aveva) avrà stirò gli spigoli. L’esperto delle emertra medaglia alla giacca: “Manca coor- poteri illimitati su appalti, ricostruzio- genze politiche in aiuto di quelle natudinamento, mandiamo il nostro Berto- ni, miliardi di euro: il governo stanzia, il rali. laso”. E il ministro degli Esteri Frattini, per evitare una crisi diplomatica con BUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline gli Stati Uniti, l'Unione Europea e l'Onu, deve riprendere l'ambasciatore in tuta: “È bravissimo, ma Le “smart grid” fino ai caricabatterie dei cellulari che non può comandare il Negli Stati Uniti sono note come “smart prelevano corrente solo di notte mondo”. Dagli Esteri alla grid”, mentre in Italia si stanno (quando costa meno). Difesa: Bertolaso aveva affermando col nome di “Reti Come da anni va dicendo Beppe chiesto al ministro La Rusintelligenti” e si spera che possano far Grillo: se tutti gli italiani spegnessero sa di ritardare la partenza parte delle politiche energetiche del le luci del loro televisore quando non della nave Cavour. futuro. Con il termine Rete intelligente lo usano, si risparmierebbe tanta E l'Economia? Giulio Trenon si intendono modifiche vere e energia quanta ne produce una monti, per mesi e invano, proprie alla rete distributiva, ma un uso centrale nucleare. provava a intralciare l'appiù razionale e, appunto, intelligente In un recente test condotto in 112 provazione del decreto dell'elettricità. abitazioni di Seattle, riportato sul sito legge che trasforma la Il primo passo delle “smart grid” sono Ecologiae.com, grazie alle Smart Grid Protezione civile in una state le ecotecnologie che tagliano gli si è ottenuto un risparmio medio del società per azioni: appesprechi: apparecchi che spengono le 10% nelle bollette e del 20% na il Consiglio dei minilucine degli stand-by o bloccano il flusso nell'utilizzo della rete elettrica. stri ha licenziato il testo, di corrente quando si lascia un (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Bertolaso ha annunciato elettrodomestico attaccato alla spina, Cristina Dalbosco, Gabriella Canova) il ritiro del ritiro: non lascio né raddoppio, vedre-

ELETTRICITÀ INTELLIGENTE

N LIBANO

Precipita aereo novanta vittime

S

ono tutti morti i 90 tra passeggeri e membri dell’equipaggio che si trovavano a bordo dell’aereo delle linee aeree etiopiche precipitato in mare a largo delle coste libanesi subito dopo il decollo dall’aeroporto di Beirut. Secondo quanto affermato dall’Ethiopian Airlines, sul Boeing 737-800 non ci sono sopravvissuti. Nella lista degli 83 passeggeri non figurano italiani, mentre ci sono 58 libanesi (quattro dei quali titolari di passaporti britannico, russo e canadese), 22 etiopi, un iracheno, un siriano e una francese, Maria Sanchez Pietton, moglie dell’ambasciatore di Francia in Libano, Denis Pietton.

IRAQ

Impiccato Alì il Chimico

A

li Kamil Hassan al-Majid (nella foto), cugino e genero dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, condannato a morte quattro volte per crimini contro l’umanità è stato impiccato ieri a Bagdad. Era considerato uno dei più feroci esponenti del deposto regime. Già condannato a morte nel giugno 2007 per genocidio del popolo curdo, nel 2008 per la repressione degli sciiti durante la guerra del Golfo del 1991, nel 2009 per le uccisioni di sciiti del 1999, era soprannominato “Ali il Chimico” per l'attacco con gas nervini contro la cittadina di Halabja, in cui nel 1988, in piena guerra contro l’Iran, furono uccisi 5.000 civili.

SUDAN

Scarpa contro Bashir

U

n uomo ha lanciato oggi la propria scarpa contro il presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, senza però riuscire a colpirlo, nel corso di una conferenza a Khartoum. Lo hanno riferito alcuni testimoni, precisando che Bashir ha negato l’accaduto. L’episodio è simile a quello che coinvolse l’allora presidente americano Bush durante una conferenza stampa a Bagdad


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Martedì 26 gennaio 2010

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

ALBERT CAMUS

I PARTITI CHE TRADIRONO LA RESISTENZA

Materazzi La maschera di Berlusconi gli costa il deferimento, guai in vista

Tornatore Il regista siciliano sarà il presidente del Festival di Roma

Depp La bufala sulla sua presunta morte fa il giro del Web

Miti in caduta Arnold nei guai, finisce in carcere per violenza domestica

“Criticava la democrazia ‘finta’, quella che esclude i cittadini e premia gli apparati”, Paolo Flores D’Arcais analizza il grande scrittore francese scomparso 50 anni fa

Mezzo secolo fa, il 4 gennaio 1960, moriva in un incidente automobilistico Albert Camus, appena quarantaseienne, che tre anni prima aveva ricevuto il premio Nobel per la Letteratura, e che ancor oggi è uno degli autori francesi più letti nel mondo. L’editore “Codice” manda in libreria da oggi un volumetto di Paolo Flores d’Arcais dal titolo “Albert Camus filosofo del futuro”, che si compone di due parti: il saggio “L’assurdo e la rivolta: Albert Camus filosofo del finito” e una tavola rotonda in cui con Flores d’Arcais (“Alber t Camus contro la menzogna”) discutono Fernando Savater e Alain Finkielkraut. Ne pubblichiamo uno stralcio.

I

l pensiero di Camus e il suo agire politico sono tra i più coerenti del nostro tempo (…) e io so perfettamente che, in generale, si ritiene che la cosa più importante e attuale siano le sue riflessioni sul terrorismo. Io invece preferisco sottolineare due altre traiettorie che caratterizzano il pensiero di Camus. La prima: Camus non è stato, mai, uomo del “giusto mezzo”, uomo di mediazione tra “opposti estremismi”, uomo di “moderazione”. Anzi, e al contrario: ha cercato di essere un uomo di verità, sempre e senza riguardi per nessuno. Tenendo ferme, nelle sue analisi, le realtà dei fatti, e il rigoroso rifiuto della menzogna: “Amicus Plato, sed magis amica veritas”. La seconda è che Camus è stato uno dei più grandi intellettuali tra quelli che si sono impegnati nella lotta antitotalitaria. E questo, però, senza mai utilizzare la lotta contro il totalitarismo come un alibi per sottrarsi alla critica radicale della società nella quale viveva. Camus ha addirittura rovesciato l’argomento che il comunismo occidentale (in Francia come in Italia) utilizzava per delegittimare e bloccare in

anticipo ogni critica dell’Urss in quanto totalitarismo realizzato. La logica di questo “argomento” è nota: non si deve parlare di quello che succede davvero in Urss, non si devono chiamare le cose con il loro nome, perché altrimenti si fa un regalo alla borghesia reazionaria e, come si diceva un tempo, “si toglie la speranza a Billancourt” (si toglie la speranza agli operai sfruttati). Camus demolisce questo atteggiamento sbagliato sostenendo addirittura che se non si è totalmente antitotalitari, dunque radicalmente critici verso le società che si pretendono socialiste, si finisce proprio, malgrado ogni apparente paradosso, per fare un regalo all’establishment, all’esistente, alla società che si avrebbe il dovere di criticare. Scrive infatti: “Il giorno in cui la liberazione del lavoratore è accompagnata da luridi processi farsa, e una donna porta i suoi figli in tribunale per subissare di accuse il loro padre e chiedere per lui una punizione esemplare, quel giorno l’avidità e la viltà della società borghese rischiano di impallidire, e la società dello sfruttamento riesce a perpetuarsi non più in forza delle sue virtù, ormai scomparse, ma grazie ai vizi impressionanti della società rivoluzionaria”. (…) Per Camus, essere antitotalitario nasce dalle stesse motivazioni che lo spingono ad essere il critico dei vizi, delle viltà e dell’egoismo della società in cui vive (la Francia, l’Occidente). E questo mi sembra un punto cruciale che in generale si rischia (o si desidera) dimenticare. Infine: Camus non vuole neppure rappresentare una sorta di “terza via” tra un socialismo che non è socialista – come ri-

peterà infinite volte – e un liberalismo americano che non è affatto liberale. (…) La sua è l’affermazione di una politica che rifiuta i cosiddetti realismi politici, una politica che non teme di evocare la necessità di partire da una morale, di una politica che non ha paura di fare riferimento ai grandi valori (libertà, giustizia, lotta contro la menzogna) ma che, con un’azione coerente, e giorno dopo giorno, cerca di restituire a queste parole – troppo spesso logorate e troppo spesso utilizzate in modo ipocrita – il loro significato più semplice e au-

Borsa di studio Cristina Pavesi Una storia contro la mafia BANDO E CONCORSO L’Associazione Culturale Mondo di Carta, Libera in collaborazione con altre Onlus, promuovono la seconda edizione del Concorso per l’assegnazione di una Borsa di studio dedicata a Cristina Pavesi, vittima della mafia. Viene richiesto un racconto breve in lingua italiana sui temi della mafia, non inferiore alle tre pagine dattiloscritte, o superiore alle dieci pagine. Possono concorrere i giovani di età compresa tra i 13 e i 19 anni. I racconti dovranno pervenire in busta chiusa all’Ufficio Protocollo del comune di Campolongo Maggiore, via Roma 68, 30010 Campolongo Maggiore (Venezia), entro e non oltre le ore 12.00 del giorno 15 aprile 2010. Al racconto giudicato migliore verrà riconosciuto un premio di mille Euro . Per informazioni, sig.ra Oriana Boldrin Piccolo, tel. 333.2139482.

tentico. Non è dunque un caso che nel suo lavoro teatrale sulla vita in un sistema totalitario (L’État de siège) abbia collocato l’azione in Spagna e non in Russia. Del resto, un suo articolo molto importante si intitola proprio “Pourquoi l’Espagne?” e in esso Camus risponde alle obiezioni che, per quella sua scelta, gli furono mosse dagli ambienti conservatori della società e della cultura: “Lei [Gabriel Marcel] ha dimenticato che nel 1936 un generale fellone ha sollevato, in nome di Cristo, un esercito di Mori per gettarlo contro il governo legittimo della Repubblica spagnola, e ha fatto trionfare una causa ingiusta dopo massacri inespiabili, e da quel momento ha dato inizio ad una atroce repressione che è durata dieci anni e non accenna a finire. Sì, davvero, perché la Spagna? Perché, insieme a molti altri, lei ha perso la memoria”. Penso che questa sia una lezione molto importante proprio per i giorni nostri. Oggi, ormai, con la fine dei comunismi i crimini dei paesi socialisti non possono più funzionare da alibi per nascondere i crimini dei paesi nei quali viviamo. Ma vediamo come gli establishment cerchino immediatamente dei nuovi alibi surrogatori, ed è per que-

Lo scrittore francese Albert Camus in una istantanea d’epoca e in alto, la copertina del libro (FOTO ANSA)

sto che credo che l’atteggiamento di Camus sia più che mai attuale. Il secondo tema, legato al precedente, riguarda un aspetto che non ho mai visto sottolineato a sufficienza. Vi è in Camus, soprattutto negli articoli di Combat immediatamente precedenti e successivi alla Liberazione, un tema ricorrente, insistente, e trattato con toni assolutamente coerenti sia nei giorni della lotta armata che in quelli successivi all’avvenuta Liberazione. Si tratta della critica – assai severa e perfino molto dettagliata – del funzionamento della politica dei partiti. Accompagnata da un’idea assai chiara sulla necessità che la lotta (di Liberazione) debba prolungarsi in quella di un rinnovamento radicale della democrazia politica. (…) Nei suoi articoli vi è una critica energica e impietosa della democrazia parlamentare divenuta sempre più, ormai, una democrazia non già “formale” ma semplicemente una democrazia finta. Democrazia finta, perché esclude i cittadini realmente esistenti, li rende “privati”, e diventa sempre meno democratica nella misura in cui diventa

sempre più democrazia di “apparati”. Camus considera insomma necessario trovare i modi istituzionali perché il “calore” e l’impegno della Resistenza non vengano meno anche nella dimensione “normale” della vita politica. Essa deve perciò essere rinnovata da cima a fondo in modo da dare spazio ai cittadini realmente esistenti, in carne ed ossa, la donna e l’uomo che ciascuno di noi possono essere in quanto protagonisti della vita politica, persone che abbiano l’effettiva possibilità di influire sulle decisioni, di con-dividere una parte del potere con gli altri, senza dover diventare – per contare davvero – dei politici di professione, ma anzi continuando a dedicare alla politica solo dei frammenti del proprio tempo libero e delle proprie passioni. Penso che la formula che Camus ha usato per riassumersi e definirsi (“solitaire, solidaire”), sul piano politico voglia dire esattamente questo: non immaginare di far parte della (e meno che mai sottomettersi alla) Storia maiuscola, perché la Storia non esiste, ed è anzi il feticcio che trasforma i suoi pretesi “fini” oggettivi in strumenti e alibi per ogni possibile oppressione. E invece – proprio all’opposto – in quanto esseri umani concreti, esistenze finite, fissarsi dei piccoli scopi giorno per giorno, che riescano a “diminuire aritmeticamente il dolore del mondo”. Ma l’uomo della finitezza, condannato dal punto di vista metafisico ad essere solitario perché non può più fare ricorso a una Trascendenza che fissi per lui le norme, porta dunque su di sé tutto il peso dell’decisione delle norme, poiché le sceglie. È dunque questo uomo concreto, questa esistenza irripetibile, insieme a tutti i sui “simili”, che deve diventare il protagonista di una democrazia che altrimenti – se gli resterà “estranea” perché sottratta dagli apparati – diventerà sempre più vuota. Tutto questo è parte essenziale della nostra attualità europea (e non solo attualissima nelle vicende italiane). In Italia viviamo il problema della “eclissi” della democrazia in modo particolarmente acuto, ma il tema ci riguarda tutti: tutti noi europei. E su questo tema possiamo trovare, negli articoli di Camus su Combat, delle indicazioni più che mai vive.


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SECONDO TEMPO

OGNI MALEDETTA DOMENICA

MOURINHOPOLI

Le effervescenze verbali del tecnico dell’Inter e il complotto (antico) che non muore mai di Oliviero Beha

a ragione Mourinho. E’ in atto un complotto per “non far vincere all’Inter lo scudetto”oppure in subordine per “rendere incerto fino in fondo il campionato” e quindi “più appetibili i suoi dividendi, a partire dai diritti tv”. Quello che l’effervescente ma incolto picaro di Setúbal si è dimenticato di aggiungere, è che si tratta del solito complotto “demo-pluto-giudaico-massonico” in attività ormai da parecchio tempo e magari non soltanto nel calcio. Ha ragione Mourinho ma soltanto se lo si prende come sineddoche, se cioè il portoghese e le sue accuse sono intesi come “la parte per il tutto”. Sono completamente d’accordo con il tecnico dell’Inter, che oltre ad aver impartito lezioni di mediaticità “berlusconiana” al paese subspecie pallonara ha infuso nella sua legione quasi straniera un mordente che nessun’altra squadra italiana possiede (una sorta di Juventus dei tempi migliori, se non come gioco certo come stamina e mentalità vincente), cfr. il derby ultimo da “primarie” con Inter-Vendola e Milan-Boccia, e prima tante altre occasioni in particolare la partita con il Siena di due settimane fa, ma a una condizione precisa. Mourinho deve aggiungere, con il suo italiano lessicalmente già fosforescente, una serie di piccole notazioni. E cioè: vogliono far perdere l’Inter perché dopo un quadriennio fa notizia, e se vince il Milan è meglio. Vogliono far perdere l’Inter che ha avuto in questi anni spesso arbitraggi favorevoli, esattamente come è accaduto ma al contrario nell’ultimo derby. Vogliono far perdere l’Inter in un campionato segnato dagli errori arbitrali, questo come gli ultimi come i penultimi, mentre invece si tende a far passare l’ultimo quadriennio come un quadriennio “vergine” dopo lo scandalo di Calciopoli e la “discarica Moggi”. Vogliono far perdere l’Inter grazie anche ad arbitraggi disastrosi come quello di Rocchi, che nel dubbio su quale dei due club fosse da trattare con un occhio di riguardo (giacché per gli arbitri come per

H

tutti il “must” è fare carriera, per riaverne successo, denaro e visibilità, seguendo il cammino ineguagliabile del designatore Collina) ha finito per combinare un macello. Ma, dovrebbe annotare Mourinho con il suo ghigno affabile che personalmente mi convince parecchio, tenete a mente che Rocchi è uno degli arbitri di Calciopoli, perlomeno uno rinviato a giudizio dai pm di Napoli e poi assolto dal rito abbreviato. Meglio per lui, direte, potrebbe continuare Mou. Ma perché ha arbitrato per tre anni essendo prima inda-

La Juventus è ostaggio di una dirigenza incapace e accusabile di falso ideologico gato e poi rinviato a giudizio? Quale credibilità hanno vertici arbitrali e federali che hanno permesso questo scempio se non del diritto certamente del senso di opportunità? E, concluderebbe un Mourinho al massimo della forma e del godimento dopo il derby superbo portato a casa, finché Rocchi mi andava bene me lo sono tenuto, eccome se me lo sono tenuto. Lui come gli altri arbitri. Quindi, stigmatizzerebbe Mou nel finale della sua sortita magari profittando di uno Sconcerti repentinamente disallineato e in vena di domande, è ovvio che mi lamenti oggi perché quello che temo non succeda in futuro davvero in un calcio che da sempre in Italia – mi hanno detto – funziona così: tutti in soccorso del vincitore, tutti a cercare denari in tv e nello strizzamento delle rape in tempi di bancarotta, tutti a mistificare l’affare predicando lealtà sportiva e razzolando al contrario, tutti a sapere perfettamente che è un campionato (una società inte-

sa non come club ma come sistema sociale) di vasi di ferro e vasi di coccio, a scalare. C’è un torto arbitrale, ne subisce uno metti la Sampdoria che so dall’Inter o dal Milan e poi passa all’incasso contro l’Udinese o qualche altro vaso leghista (Beretta, non Bossi) di coccio meno robusto del proprio. Una catena di compensazioni, alla faccia della trasparenza e dell’uniformità del fischio e del fischietto. Anche per questo, cioè per il lungo discorso che Mourinho ha fatto con se stesso e che ho avuto la fortuna di origliare travestito da Pompa o Betulla, temo tanto il fantomatico “processo breve” che oltre a salvare qualcuno e a fottere le vittime dei reati trancerebbe via per ragioni schiettamente cronologiche anche il processo di Calciopoli. E attenzione, a dimostrazione del mio più che scadente giustizialismo, in questo processo mi importerebbero certamente moltissimo le sentenze, se ve ne fossero – meglio se definitive, cfr. Giraudo e company –, ma ancora di più per come va il mondo (non solo del calcio) mi importerebbero le testimonianze e le deposizioni degli imputati, autentica miniera di informazioni su cosa è il calcio oggi e cosa è diventato sulla scorta del calcio di ieri. Ho fatto quest’esperienza con Cellino, il presidente dell’ottimo Cagliari e il mancato acquirente del West Ham. Il suo interrogatorio di un mese fa o poco più dovrebbe essere mandato integrale in tv, o fatto vedere nelle L’allenatore dell’Inter, il portoghese José Mourinho (FOTO ANSA))

scuole calcio ai bambini, ai loro genitori e ai tecnici. E’ esattamente quello che (non) ha detto Mourinho a proposito del complotto demo-pluto-giudaico-massonico. E questo vale per Mourinho, e il vertice societario dell’Inter, e il prima (cfr.Calciopoli), e il durante. Per Leonardo e Galliani, statuine del medesimo presepe, non mancherà occasione, come si dice… Qui vorrei tornare sulla Juventus, dopo aver riconosciuto tutti i meriti alla Roma di Ranieri (sa giocare di prima come qualunque squadra di qualità dovrebbe saper fare, mentre la Juventus soffre nella precisione, nella sicurezza, nella

DELLA VALLE Domande senza risposta Fiorentina è in crisi in campo perché Prandelli “non si Ltroaspiega l’incredibile primo tempo della Fiorentina conil Bologna” e dice che “non è colpa sua se negli anni la società non gli ha garantito continuità d’organico”.E’ in crisi fuori campo per la questione dello stadio e del “gioco delle tre carte” fatto dai Della Valle con il comune, con conseguenti dimissioni dell’assessore allo sport. A Diego Della Valle, che miete più di quanto semini, il 4 ottobre scorso qui le seguenti domande: 1) Non hanno mai delocalizzato i loro prodotti, tanto per confermare la loro buona fede?; 2) In sette anni e mezzo, calcolando proprio tutte le voci inclusa la pubblicità planetaria intrinseca che garantisce rappresentare Firenze e la Fiorentina, quanto hanno guadagnato o quanto hanno perduto ?; 3) Che cosa hanno fatto per Firenze extracalcio, per la cittadinanza non tifosa, di cui menar vanto in un “progetto” che li coinvolgesse socialmente?; 4) Che ne è dei terreni di Incisa? Perché non ne forniscono tutte le cifre?; 5) Sanno benissimo che i suoli in località Castello, che vorrebbero per il nuovo stadio e il resto, sono sotto sequestro. Perché sono sotto sequestro? Lo spiegano loro oppure il titolare, tal Ligresti imprenditore pressoché sconosciuto? I D.V. Brothers stanno forse chiedendo alla magistratura prima e al comune successivamente di dissequestrarli perché altrimenti se ne vanno? (O.B.) Aspetto risposte (promesse telefonicamente).

dimostrazione dei cosiddetti “fondamentali”). E al Napoli di Mazzarri, e al Palermo di Delio Rossi, a scalare. Per la Fiorentina, leggasi l’abstract in questa pagina. La Juventus è ostaggio di una dirigenza incapace, alla resa dei conti. Proporsi come la “Juve pulita” contro la “Juve sporca” è intanto un falso ideologico. Se il “complotto” che Mourinho ha sgomitolato tramite il vostro cronista riguarda tutto il calcio, è evidente che parlare di pulizia circoscritta ha poco senso. In più, l’incapacità si vede e si tocca. E Gianni e Umberto Agnelli mi dicono essere stati leggermente più “consistenti” dei fratelli attuali che vanno per la minore… Blanc fa un mestiere che a guardare i fatti non è il suo, è una specie di “legge di Peter” che

qualcuno (chi? Pazientate) gli ha cucito addosso. La campagna acquisti è stata un aborto, non perché ognuno dei giocatori acquistati non possa rendere più e meglio da un’altra parte, ma perché complessivamente non si è pensato al Meccano Juve con i pezzi giusti, facendo in parte qualcosa richiesto da Ranieri cacciato intempestivamente e malamente contro ogni vecchia regola del buon juventino e in parte qualcos’altro per assecondare Ferrara che a sua volta è un ostaggio tecnico e societario di Lippi, ormai da 8-9 mesi. Gli tenga o non gli tenga in caldo la panchina, è vissuto comunque dalla squadra, dallo staff e dai vertici come un tecnico dimezzato (alla Calvino: Italo. Questa è per John e Lapo). I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il calcio della rotondocrazia sarà pure una porcheria universalmente accettata e “complottata”, ma una sua logica ce l’ha. Come tutto, appunto.

IL FESTIVAL DI BELLARIA COME MISS PADANIA Lettera dell’ex direttore dell’evento, Fabrizio Grosoli: “Io, allontanato senza un perché” di Fabrizio Grosoli

o appreso da notizie riportate da alcuni organi di “H stampa locali di essere “decaduto” dal mio ruolo di direttore artistico del Bellaria Film Festival (ruolo esercitato per 4 anni, dal 2006 al 2009) e di essere stato “sostituito” dalla dottoressa Emma Neri. Il Bellaria Film Festival è una manifestazione culturale storicamente promossa (nel 2009 si è svolta l’edizione n. 27) e materialmente in gran parte finanziata dal comune di Bellaria Igea Marina. L’amministrazione comunale allora in carica (l’attuale di orientamento centrodestra è in carica dal giugno 2009) mi aveva affidato il compito impegnativo e ambizioso di rilanciare il progetto culturale del Festival, compito che io ho interpretato trasformando la manifestazione in un festival del Cinema Documentario indipendente, sia nazionale sia internazionale. Non sta a me giudicare la riuscita di questo progetto.

Evidentemente la nuova amministrazione deve averlo giudicato fallimentare, vista la mancata conferma dell’incarico e visto il fatto che non mi è arrivata neppure una telefonata di cortesia (sarà il brutto vezzo di imitare i “poteri forti”, con il triste spettacolo che dà spesso il nostro Parlamento, a incoraggiare la maleducazione). Invece no. Le “linee di programma” della 28ma edizione redatte dalla nuova direttrice non solo mantengono “le linee guida degli anni precedenti” (cioè quelle della mia direzione), ma ne sono di fatto un esatto ricalco (verrebbe da dire un plagio): le sezioni competitive sono le stesse, i titoli sono gli stessi, perfino alcune delle rassegne collaterali sono riprese da quelle delle ultime edizioni. E allora che cosa non andava bene? Che cosa rendeva necessario un cambio radicale di conduzione del Festival a tutti i livelli, visto che anche l’associazione culturale che di fatto gestiva l’organizzazione del Festival è stata esautorata? Nella delibera del consiglio comunale in cui si assegnano i nuovi incarichi si fanno generici rimproveri alla gestione prece-

Il lavoro disinteressato ed entusiasta di un gruppo straordinario è stato spazzato via in un amen

dente circa lo “scarso impatto sulla città” (eppure commercianti ed esercenti avevano manifestato soddisfazione, eppure le serate all’Astra erano piene di gente), o l’aver scelto un periodo infelice (le date del 2010 però sono esattamente le stesse dell’anno scorso) oppure ancora si affermano falsità come quella che il Festival avrebbe avuto riscontro soltanto “sulle riviste specializzate senza raggiungere un pubblico più vasto” (ci sono volumi di rassegne stampa a dimostrare il contrario oltre che eventi televisivi come la celebrazione dei 30 anni di L’altra domenica ripresa da RaiSat). La verità, allora, deve essere un’altra. E se vogliamo chiamare le cose con il loro nome si chiama lottizzazione, spoil system, o come altro si voglia definire l’intrusione volgare e cialtrona del potere politico in tutti i settori della vita pubblica. Al punto da identificare gli operatori culturali come altrettanti soldatini militanti della parte avversa e quindi da spazzare via. Ma l’aspetto più sgradevole della vicenda è il concetto che nasconde: tagliamo le teste e le braccia di chi ha fatto le cose (con dedizione e onestà) e il “prodotto” alla fine non cambierà. Come se si parlasse di qualsiasi sagra del pesce azzurro o dell’elezione di Miss Padania. E invece un festival di cinema è il frutto della passione – quasi sempre disinteressata fino all’autolesionismo – di decine e decine di belle persone che arrivano a identificarsi in un pro-

getto culturale fino a farlo diventare vita. Ed è un delicato equilibrio tra messa in campo di idee, intrattenimento popolare, riflessione sul mondo che ci circonda. Tutto questo non nasce a caso e non è sostituibile. Così come non sono intercambiabili i rapporti costruiti con pazienza e ostinazione con le istituzioni, i media, le associazioni di categoria (tra i tanti: le università italiane e in particolare il Dams di Bologna, le associazioni Doc/It e DER, i canali TV Cult, CurrentTV, RaiSat, l’Arc-Ucca, e forse la stessa regione Emilia-Romagna più di tutti). Non ci illudiamo con questo messaggio di cambiare le cose. Non credo che i politici si faranno vivi o che la nuova direttrice si faccia prendere da un moto di cristiana solidarietà (o anche da un gesto semplice come una chiamata per ricevere magari un consiglio professionale). Ci auguriamo soltanto che la nuova gestione voglia e sappia muoversi con la stessa passione che ha contraddistinto il meraviglioso gruppo che ha fatto il BFF negli ultimi 4 anni. Se così non sarà, se dovessero prevalere ancora una volta il cinismo, la furbizia, i calcoli di bottega, la rimasticatura di concetti da parte di chi si sforza di sbandierare un’identità culturale senza averla mai avuta, penso che se ne accorgerebbero in tanti, a cominciare dal pubblico, quindi dai cittadini, di Bellaria Igea Marina”.


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TELE COMANDO TG PAPI

Se si arrabbia Hillary di Paolo

Ojetti

g1 Troppo calda la sconfitta T della segreteria Bersani per poter imbastire riflessioni e commenti. Così, il Tg1 si limita alla pura cronaca, sia pure condita da qualche intervento. La vittoria di Vendola – con percentuali similbulgare – viene incassata da Bersani al microfono di Giorgio Balzoni come quella della “popolarità” che brucia la “proposta”. Fatto sta che, solo nel sottofondo, si odono i primi squilli di allarme di Rosy Bindi e Marina Sereni (“Perdiamo i pezzi, ci vuole più collegialità, se perdiamo non ce ne sarà per nessuno”). Dal centrodestra (curato da Bruno Luverà) toni soft: il lavorìo fallimentare di D’Alema viene liquidato dai vari Cicchitto e cloni come una malriuscita politica “dei patti verticistici”. Nell’insieme, il Tg1 avrebbe potuto ca-

valcare la tigre, ma non lo ha fatto. Allo stesso modo, in punta di piedi, la sparata di Bertolaso: Frattini imbarazzato, Hillary Clinton imbufalita, Berlusconi assente. g2 La buona scelta del Tg2 T sta tutta nell’apertura, anche se limitata ai titoli di testa: il vescovo di Agrigento non celebrerà funerali solenni per le due sorelline morte nel crollo della casa fatiscente di Favara. Come dargli torto? Troppe volte fra applausi, benedizioni e parate di autorità si sono seppelliti scandali e morti, incensi, baci di presidenti lacrimosi, parenti in gramaglie accarezzati e via così, chi muore giace e chi resta si dà pace. Questa volta no, per una strage annunciata niente omelie e fiori. Lo stesso vescovo ha annunciato che sarà con la gente “e non dietro l’altare”. Gesti di formidabile laicità civile e –

allo stesso tempo – di alta religiosità. La pagina politica, come quella del Tg1, non decolla, sembra quasi che – di fronte a notizie vere e fuori dal sistema dei pastoni obbligatori – nessuno sappia più da che parte cominciare. g3 Eravamo partiti con una certa diffidenza. Invece il Tg3 scende nel campo del Pd per vedere cosa c’è fra le macerie cadute in capo al gruppo dirigente dopo la vittoria di Nichi Vendola, anche se le responsabilità dalemiane rimangono in un angoletto oscuro. Ma ci sono terribili mal di pancia. Roberto Toppetta, accampato fuori dalla sede di Sant’Andrea delle Fratte, informa: Franceschini non ha parlato, Veltroni non c’era nemmeno, Bersani è solo. E Terzulli non è meno apodittico: “Il laboratorio pugliese chiude”. Pagina impietosa anche per l’ormai ex-sindaco di Bologna, Flavio Delbono, affossato dal Cinziagate con accuse pesantissime di truffa, peculato, interesse privato. Bologna sarà commissariata? Il pensiero corre a tempi ormai mitici, ma cristallini, i tempi di Dozza, Zangheri, Imbeni, Cofferati. Bologna commissariata, Bologna con il tintinnio di manette.

T

di Fulvio Abbate

SECONDO TEMPO

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Com’era profondo Dalla

ucio Dalla, c’è poco da fare, non lo riconosco più. Lo guardo e lo riguardo nel suo Lshow di Sky Uno, “Una finestra sul cielo”, titolo di per sé molto dalliano, lo guardo lì e, no, che non lo ritrovo neppure un po’, e quasi prendo a soffrire di questa nuova cattiva percezione che ho di lui. Mi dico allora: ma ti ricordi di quando ascoltavi “Cara” o perfino “Futura” o “L’anno che verrà”, e nonostante quel suo baschetto all’uncinetto da gnomo peloso, avevi la sensazione netta che Lucio, lo stesso che avevi già visto recitare ne “I sovversivi” dei Taviani e perfino ne “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone” di Pupi Avati, ti sembrava appunto che Dalla stesse lì a raccontare, a cantare il suo tempo; e con tutto il cuore, per giunta. Adesso invece… Siccome non ce la fai ad accettare il verdetto del tempo (ma dipenderà davvero dal tempo, dagli allori, dai diritti d’autore ottenuti grazie a un pezzo-dépliant della pro-loco come “Caruso”?) allora decidi di consultare gli amici, li chiami, li butti giù dal letto per sottoporgli il quesito: Dalla, che gli è successo, è lui o non è più lui? Le riIl cantautore Lucio Dalla , sposte ovviamente si conduce dodici puntate sprecano: c’è quello monografiche su Sky che ti dice di aver cambiato canale appena lo ha visto; c’è quell’altro pronto a spiegare che dopo la fine della sua collaborazione con il poeta Roberto Roversi, tipo “Com’è profondo il mare” o “Nuvolari”, Lucio non ne ha imbroccata neppure

una giusta; c’è addirittura colui che te lo descrive come un personaggio di un ideale romanzo d’appendice musicale, del genere che all’inizio della storia è buono e mite, poi, conquistato il regno (e qui c’è chi si scaglia nuovamente contro “Caruso” e perfino “Attenti al lupo”) diventa bisbetico e prepotente, e perfino, dicono i più perfidi, un po’ berlusconiano e baciapile, e ancora anatemi contro il “parrucchino biondo”, tanto che alla fine non puoi fare a meno di chiedergli nuovamente se l’hanno almeno visto su Sky Uno. La risposta, come direbbe Bob Dylan, è sospesa nel vento. E riecco il fantasma del tempo di “Attenti al lupo”. Ricordate quel suo videoclip un po’ circo e un po’ miracolo della donna cannone? Bene, Lucio allora aveva ancora freschezza, una cifra propria; che tristezza invece quando Lucio prova adesso a ricicciare un certo suo gusto per il caravanserraglio a metà strada fra Cirque du Soleil e, sia detto con il massimo rispetto, il veglione presso la Comunità di Sant’Egidio. E ti chiedi infine: ma non si sarà reso conto che quello che riesce a Celentano, e perfino a Morandi, nel suo caso diventa una baracca posticcia, nonostante l’ospite bravo? Il punto è però che non riesci a volergliene, perché al fondo di tutto, tu che in quel momento stai cambiando canale, ti ricordi nuovamente di quando, ed era il 1980, lui cantava “Stella di mare”, e insieme a cantarla bene, sembrava ancora in grado di tratteggiare un mondo insieme alla sua voce, perfino con l’assolo dell’insopportabile clarinetto, e invece ora, niente, non ce la fai. Ma che gli sarà successo, sarà davvero tutta colpa del parrucchino come dicono i più crudeli. Se si degnasse infine di rispondere il diretto interessato, se… www.teledurruti.it

MONDO

WEB

Cliccate e moltiplicatevi inizio di una nuova storia”. “L’ “Andate ad evangelizzare il continente digitale”. Sono queste le parole esposte dal Papa in persona nel messaggio per la 44esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali. Il mese scorso in Vaticano è stato organizzato un convegno sui social network rivolto ai cardinali: anche un hacker aveva varcato le porte sante per illustrare ai porporati i segreti della comunicazione online. Ora Benedetto XVI va anche oltre, e pronuncia un discorso da esperto: “I sacerdoti devono offrire agli uomini che vivono in questo nostro ‘tempo digitale’, i segni necessari per riconoscere il Signore”. Solo così, aggiunge: “La Parola di Dio potrà prendere il largo tra innumerevoli crocevia creati dal fitto intreccio delle autostrade che solcano il cyberspazio”. Un’apertura totale della Chiesa cattolica ai nuovi strumenti di comunicazione: anche se, ha confermato mons. Celli, presidente del Dicastero vaticano per le comunicazioni sociali: “Il Web non potrà mai sostituire le parrocchie reali, la preghiera, il

contatto umano, anche perché i sacramenti devono essere amministrati di persona”. È stato così esplicito il discorso del Papa che dal Vaticano chiariscono “non diciamo ad ogni prete di aprire un blog”. D’altronde molti sacerdoti sono anziani e pochi avvezzi a mouse e tastiera. Le parole del Pontefice sono importanti. In primo luogo perché riconoscono al Web il suo valore, spesso snobbato se non infangato dalla tv e dai politici. Non solo: quando Gutemberg inventò la stampa, la Chiesa fece una lotta senza quartiere alla circolazione della conoscenza: la Bibbia era l’unico libro degno di questo nome. Non solo. Alla fine del medioevo “evangelizzare” voleva dire anche dare via libera a genocidi nella Americhe. Adesso la Chiesa, pacificamente, sbarca sul Web. Ed è la benvenuta.

è RSF CONTRO IL DECRETO ROMANI IL TIMES: BERLUSCONI CENSURA GOOGLE?

Il governo sembra intenzionato ad approvare il decreto Romani che, tra l’altro, obbliga ogni sito Web che trasmette immagini video ad adempiere gli obblighi dei canali televisivi. All’estero si segue con molta attenzione di Federico Mello questa vicenda. L’associazione Reporter senza frontiere si dice “preoccupata per il decreto che richiederebbe a tutti i siti Web video una licenza da parte del governo per operare”. Anche il Times si è è SARKOZY SU FACEBOOK occupato del decreto con un lungo reportage “MANDATEMI LE VOSTRE DOMANDE” dal titolo: “Berlusconi contro Google: l’Italia “Stasera sarò in televisione per parlare censurerà YouTube?”. La televisione francese delle grandi questioni del 2010. Mandatemi sta seguendo la vicenda: possibile, si le vostre domande”. Così è intervenuto chiedono, che l’Italia possa mettere in atto ieri il presidente francese Nicholas Sarkozy censure di stampo cinese? sul suo account Facebook. All’appello presidenziale hanno risposto oltre 3.000 tra i 200.000 fans che lo seguono sul social network. Sarkozy non interviene molto sul suo account Facebook: pubblica più o meno un aggiornamento al mese. Ma per lui, evidentemente, 10 domande non sono un problema.

feedback$ è TWITTER Commenti al post: “Tu chiamale se vuoi estorsioni” di Marco Travaglio Una visione pessima di un quadro pessimo! Dannazione... non è per niente assurda! (Marcello) Come stiamo messi male!!! E il “bello” è che c’è gente che crede ancora in lui :( (Stefy) Ormai è finita anche la frutta... un ammazza processi (oops… caffè) e via... (Giuseppe) Legislatura ad orologeria, impensabile che ormai da due anni il Parlamento è bloccato e imperniato su un’unica questione. Solo in questo paese possono succedere cose del genere. Nonostante tutto io spero che si faccia giustizia (Ercole) A furia di “mali minori”, questa classe politica è riuscita a sfornare il male peggiore per gli italiani, più il bene migliore per B. e la sua banda. Yes, we could (Jcaro)

Il sito Pope2You; Sarkozy su Facebook; il video pro-Polverini; l’articolo del Times

DAGOSPIA

NON DITE A BERSANI

1) Avviso ai naviganti Prove tecniche di erosione del Pd da parte dell'Udc, ieri, al ristorante Quirino a Roma. Attovagliati il presidente Pierfurby Casini con Paola Binetti, Rocco Buttiglione ed Enzo Carra. Tema del giorno: la tutela dei cattolici dalle grinfie pdcomuniste. 2) Tutta la Camera sussurra in questi giorni della storiaccia tra una giovane deputata di Forza Gnocca e un collega del Pd, già rutelliano della prima ora. Chi saranno i piccioncini? Ah, saperlo... 3) Non dite a Bersani che il Mago Dalemix, dopo la clamorosa suonata presa nel suo “laboratorio pugliese”, sta dicendo ai suoi sodali come Nicola Latorre che il meccanismo delle primarie in qualche modo va fermato, per tornare alle decisioni dei candidati prese in segreteria come ai bei tempi... 4) Super poltrona al Poligrafico dello Stato per Manuela Bravi, per anni efficientissima capoufficio stampa di Giulietto Tremonti. La Bravi assume l'incarico dell'Area Relazioni Istituzionali, Immagine e Comunicazione, a stretto contatto con il neopresidente Roberto Mazzei, voluto lì proprio da Tremonti e da Gianni Letta, dovrà dare finalmente impulso al progetto per far decollare la carta d'identità elettronica. La Bravi era in aspettativa al Poligrafico dove rientra è NEWS A PAGAMENTO: ora dallo INTERVIENE DE BENEDETTI scalone “È ORA DI CAMBIARE REGISTRO” principale; per ora al suo posto al ministero Il New York Times, il più importante quotidiano Usa, ha deciso che dal 2011 le dell'Economia è LA POLVERINI E STAR WARS notizie sul sito Web saranno a pagamento. dovrebbe andare “RISPOSTA AD EMMATAR” Ora anche alcuni giornali europei Guido Rivolta, oggi Mentre in Rete spopola il video potrebbero seguire la stessa strada. alla Cassa Depositi e Emmatar, dove immagini del film di Secondo Le Monde, Oltralpe Le Figaro e Prestiti. Cameron si mischiano a slogan l’Express stanno studiando misure simili. della laeder radicale, arriva la E l’Italia? Per Carlo De Benedetti, editore risposta della sfidante della Bonino: del gruppo l’Espresso: “La rete - ha scritto Renata Polverini. A differenza di Emmatar, il video della in un intervento sul Sole 24 Ore - non Polverini, non è ufficiale: è firmato da “gruppo corsaro può restare un far west senza regole dove di sostenitori di Renata Polverini” e s’intitola “Polverini tutto è gratis e la pirateria non è reato. E’ Presidente contro Emma – il Nulla Che avanza”. In un ora di cambiare registro”. De Benedetti tono millenaristico, vengono riprese immagini dalla saga non ha parlato dei siti Web delle testate di Star Wars sovrapposte a immagini della candidata. del suo gruppo l’Espresso (compresa Compaiono anche degli slogan: “Traffico, droga, Repubblica.it), ma ha chiarito che “far disoccupazione ti assediano?”. Ci pensa Renata, pagare le notizie di qualità su Internet è naturalmente. Più avanti immagini di un feto si parte del mix di misure anticrisi che gli sovrappongono a scene da Kill Bill. In confronto ad editori stanno delineando”. L’intervento Emmatar, sembra tutto più volgare. Si può fare di più. dell’editore, arriva sul Sole 24 Ore, dove negli scorsi giorni il direttore Gianni Riotta ha aperto un dibattito criticando l’attendibiltà della notizie sul Web.

Il governo non vuole migliorare la giustizia con le riforme, ma renderla sempre più inefficace, come si é provato e fatto in tutti questi anni. (Filomena) Un’ulteriore conferma che non vale la pena ritornare a casa! Resto dove sono! Grazie Marco (Jujiza) I soldi vengono sistematicamente e stupidamente buttati via!!! Se solo venissero investiti per far funzionare meglio i Tribunali, non ci sarebbe bisogno di alcuna legge Pinto e di nessun processo “breve”, e l'orrido “re” figurerebbe ancor più nudo di quanto già non sia!!! (La Laica) Certo che dati gli attacchi alle leggi attuali e alla Costituzione, ormai divenute carta straccia come solo i bottegai possono considerarla, gli organi costituzionali di vigilanza avrebbero valide ragioni per sciogliere d'ufficio questo Parlamento (Jugurtha) Solo la verità vi farà liberi... Le menzogne sporcano indelebilmente chi le propala!! (Anna) Stasera uscirò, ruberò una bella macchina: chissà cosa si prova, a fuggire inseguiti per poi far perdere le proprie tracce? Potrei parcheggiarla solo un po' più in là. Se non sarò colto in flagrante, potrebbe essere eccitante. Uno scherzo da prete per i tempi che corrono. Poi penserò ad organizzare un'ingegnosa truffa finanziaria, semplice, efficace (John K.) Vedere il bluff di Mr B. almeno è un modo per sbloccare la matassa di ricatti incrociati che è questo Parlamento. Forse così il processo che coinvolge anche Confalonieri (che anche se amico del B. non sembra esattamente un "eroe" di mutismo come Mangano) avrà qualche speranza di riuscire bene a controriforma legale abrogata in Consulta (Diego)


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Martedì 26 gennaio 2010

SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Concorso (esterno) a premi di Marco Travaglio

a condanna di Totò Cuffaro a 7 anni in appello per favoreggiamento alla mafia è stata usata da un giornalista solitamente bene informato come Attilio Bolzoni per impartire su Repubblica una strana lezione di antimafia alla nuova Procura di Palermo: quella subentrata alla controversa gestione di Piero Grasso, da cinque anni procuratore nazionale Antimafia. Sostiene Bolzoni che la condanna di Cuffaro (peraltro non definitiva) sarebbe “l’unico marchio di mafiosità sulla pelle di un potente di Sicilia, l’unico rimasto dalla morte di Falcone e Borsellino… il solo ‘processo politico’ che resiste dal 1992”. Addirittura! Subito dopo Bolzoni chiarisce dove vuole andare a parare, ricordando le “due strategie contrapposte nella lotta giudiziaria a Cosa Nostra: una inaugurata da Caselli e l’altra da Grasso”. La prima “ha portato a giudizio uomini politici per concorso esterno in associazione mafiosa”, l’altra “ha puntato ‘solo’ sul favoreggiamento mafioso”. Risultato: “Tutti assolti” gli imputati di concorso esterno, mentre “Cuffaro è stato condannato”. Dunque “vince la linea Grasso”. Ma ora, scrive Bolzoni, la nuova Procura sembra tornare agli anni bui di Caselli, infatti Cuffaro è stato appena rinviato a giudizio anche per concorso esterno (accusa fatta archiviare a suo tempo da Grasso): ma Bolzoni già sa che “fra cinque o dieci anni magari ci sarà un’assoluzione che cancellerà tutto”. Naturalmente Bolzoni è liberissimo di preferire Grasso a Caselli: è in buona compagnia, visto che il governo Berlusconi approvò ben tre leggi ad personam (peraltro incostituzionali) per sbarrare a Caselli la strada per la Procura nazionale e mandarci Grasso. Ma i fatti, la logica, il diritto e persino la contabilità della serva devono pur contare qualcosa. Anzitutto: i giudici non possono scegliere a piacimento il loro reato preferito fra il favoreggiamento alla mafia e il concorso esterno, visto che sono due delitti completamente diversi. Il primo è un episodio sporadico (al massimo due o tre) di aiuto alla mafia da parte di chi non vi ha nulla a che fare; il secondo è un rapporto stabile di scambio di favori fra Cosa Nostra e chi, pur non essendovi affiliato, è a sua disposizione sine die. Quindi il reato da contestare non è un capriccio di Grasso o di Caselli: dipende dai fatti accertati. Siccome la Procura di Palermo ha accertato ben più di un paio di favori di Cuffaro a Cosa Nostra, cioè un comportamento di disponibilità che dura da vent’anni, alcuni pm contestarono a Grasso la scelta minimalista di archiviare il concorso esterno e affibbiargli il solo favoreggiamento. Era ovvio che, essendo il concorso esterno un insieme più ampio del favoreggiamento, fosse più facile ottenere una condanna per il secondo che per il primo delitto. Ma i giudici devono obbedire alla legge e la legge descrive le condotte attribuite a Cuffaro come concorso esterno, non come favoreggiamento. Dire poi che aveva ragione Grasso col suo minimalismo solo perché Cuffaro è stato condannato anche in appello per favoreggiamento è un nonsense: chi lo dice che non sarebbe stato (o non sarà) condannato anche per concorso esterno? Un gip, rinviandolo a giudizio anche per questo reato un mese fa, ha già stabilito che il concorso esterno reg-

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I giudici non possono scegliere a piacimento il loro reato preferito fra il favoreggiamento alla mafia e il concorso esterno. Ma i fatti, la logica, il diritto e persino la contabilità della serva devono pur rappresentare qualcosa ge. Quanto al confronto con gli altri “processi politici” (che non esistono: esistono processi “ai politici”), Bolzoni ha qualche problema con il pallottoliere. I “potenti” imputati per concorso esterno dalla Procura di Caselli non sono stati affatto “tutti assolti”: condannati definitivamente Bruno Contrada e il suo braccio destro Ignazio D’Antone, più il democristiano Franz Gorgone; condannato in appello il senatore Vincenzo Inzerillo; condannato in primo grado Marcello Dell’Utri. Quanto al giudice Carnevale, condannato in appello, è stato salvato in Cassazione da un ribaltamento ad hoc della giurisprudenza, che all’improvviso ha ritenuto inutilizzabili le testimonianze dei giudici di Cassazione a proposito delle pressioni in camera di consiglio per annullare i processi di mafia. Gli unici assolti nel merito sono Mannino e Musotto, peraltro per insufficienza di prove. Ma di Calogero Mannino è provato che aveva “stretto un patto di ferro elettorale con le cosche agrigentine”, dunque il processo andava fatto; idem per Francesco

Musotto, nella cui casa di famiglia al mare i giudici hanno ritenuto provato che si ospitavano latitanti, tant’è che suo fratello è stato condannato in via definitiva. Quanto ad Andreotti, c’entra come i cavoli a merenda: non era imputato per concorso esterno, ma per partecipazione diretta a Cosa Nostra (reato che la Cassazione ha ritenuto “commesso fino al 1980”, ma prescritto). Sarebbe questo il “nulla di fatto” del metodo Caselli? Certo, il suo successore ha mietuto ben altri successi: di potenti alla sbarra, in cinque anni, ne ha portato uno solo, Cuffaro, anche perché le prove a carico di altri finivano misteriosamente nei cassetti della Procura o dei carabinieri (il pizzino di Provenzano a Dell’Utri e Berlusconi, le intercettazioni fra Ciancimino jr. e gli onorevoli Vizzini, Cuffaro, Cintola, Romano…). Per il resto, tra concorsi esterni e favoreggiamenti, pare proprio che Grasso e i suoi ne abbiano azzeccate poche. Nel processo alle “talpe”, per esempio, il maresciallo Riolo era imputato per favoreggiamento, ma i giudici l’han condannato per concorso esterno; il maresciallo Ciuro era imputato per concorso esterno, ma i giudici l’han condan-

LA STECCA di INDRO l Coi “trinariciuti”, sia di destra che di sinistra, non mi abbasso a discutere. E se fra i lettori della “Voce” ce n’è qualcuno, lo prego di cambiare giornale: non abbiamo niente da dirci.

nato per favoreggiamento (per giunta semplice, non mafioso: dunque s’è fatto due anni di galera, ma non avrebbe dovuto neppure essere arrestato). Per concorso esterno è stato condannato in primo e secondo grado l’ex assessore comunale Mimmo Miceli, fedelissimo di Cuffaro, in quanto anello di congiunzione fra l’ex governatore e il boss Giuseppe Guttadauro. Possibile che, se i due facevano le stesse cose, Cuffaro risponda di favoreggiamento e Miceli di concorso esterno? Che differenza c’è fra i due, a parte che uno è potentissimo e l’altro non conta più nulla? Qualcuno si è per caso scordato che la legge è uguale per tutti?

Un’immagine della spaventosa tragedia di Haiti (FOTO ANSA)

Noi e loro

É

di Maurizio Chierici

IL SENSO DI HAITI PER L’ITALIA F

ra un po’ gli haitiani arrivano in Europa: welcome, benvenuti, come nel film che fa rabbia. Benedizione se bambini che consolano la solitudine dei senza figli; insopportabili se adulti che vogliono un lavoro. Sporcano le nostre città. Sono tante le Haiti del mondo. Arrivano ragazzi cresciuti da soli nelle afriche e nelle americhe, ma anche nell’Europa delle badanti; soli, perché padri e madri sono via per mandare i soldi della loro sopravvivenza. Milioni di adolescenti privati dei rapporti sui quali formare la personalità. E’ una delle differenze che li divide dai paesi del mondo educato. Loro maleducati e violenti, noi perbene. Perché gli italiani tirano su i figli come si deve: vestiti, libri, scuola, telefonini, moto, vacanze bianche e azzurre. Spendono tra i 190 mila e i 430 mila euro fino a quando gli eredi entrano nella maggiore età. 18 anni che in realtà diventano 35 coi chiari di luna del precariato che proibisce la vita normale. Si dice “precariato” ma è l’anticamera della schiavitù. Impossibile immaginare casa lui-lei senza parenti nell’altra stanza. Finché possono madri e padri hanno il cuore di burro. Italia, Francia e Spagna aprono le borse con un affetto che sconvolge le statistiche Ue. Per farli crescere “senza complessi” sopportano mode costosissime che il Berlusconi dei miracoli incoraggia. Mettiamo: se i compagni di classe portano occhiali firmati, che senso ha privarli delle celluloidi rosa o azzurre, diritto d’appartenenza alla miopia doc? Con qualche sacrificio perché i prodotti “enfant-junior” obbligano ad inseguire le tendenze: 120, 150, 200 euro, più o meno i soldi che un ragazzo dell’altro mondo raccoglie in 150 giorni per mangiare. E che un decimo degli adolescenti italiani non riuscirà mai a spendere. Ecco il capitolo Haiti nel quale i genitori danno esempio di generosità. Si commuovono appena Nazioni Unite, Caritas, Ong, raccolgono il superfluo per le cento Haiti dalle tasche vuote e non solo tasche. Indignati contro la fame che uccide 290 milioni di ragazzi; contro lo scandalo dei senza acqua potabile (un miliardo) destinati a morire di mal di pancia, e dei senza casa ed elettricità impietriti lungo la frontiera della comunicazione elettronica. E la rabbia alza la voce appena le tv fanno varietà coi bambini minatori dallo sguardo adulto. O bambini soldato, o adolescenti bionde e nere che i padri di famiglia cercano nella notte dei viali. Adesso, le giornate della solidarietà per Haiti. Giornata del bambino povero, giornata del migrante, giornata della donna umiliata. Giornate, appunto. Passano 24 ore e si torna alla vita normale. Ce ne ricorderemo al prossimo ciclone. Purtroppo le facce nere, gialle, marroni maleducatamente non possono aspettare. Niente di nuovo. Dalla Svizzera anni Settanta che voleva liberarsi degli immigrati italiani, ai Bossi, Fini e Calderoli dei nostri giorni, lo straniero è sempre meglio lasciarlo fuori. Non importa da cosa scappa. Ma se lavora a occhi bassi, paga in nero, ben vengano le braccia. Purché le braccia non preghino, non pensino, non si ammalino. E i figli delle braccia non appestino le scuole dei nostri bambini. I negrieri di secoli fa dividevano le famiglie intimoriti dagli sguardi oscuri delle prede africane. Attenzione, gli haitiani sono cimarrones, neri spazzatura. Avete mai sentito qualche ministro preoccuparsi delle famiglie di chi scappa dove non può vivere? E il cuore d’oro dei nostri padri può resistere oltre le 24 ore di solidarietà? L’Europa aspetta 200 milioni di extra meno rassegnati e più arroganti di chi è già qui. Stiamo per ereditare l’eredità che la nostra tradizione continua a difendere. Sintetizzando: dopo l’emergenza ognuno si tenga il suo terremoto.

L’ipocrisia del buon governo di Giovanni Ghiselli

i bene calculum ponas, ubique naufragium est, se fai bene i conti, il naufragio è dappertutto, si legge nel Satyricon di Petronio che, a detta di Huysmans, dipinse con lingua da orafo i vizi di una civiltà decrepita, di un impero che si andava sfasciando. Vero è che il naufragio rappresenta la condizione della vita umana in generale, ma questa sentenza latina in particolare può costituire la carta d’identità della casta che amministra gli affari nostri e ci comanda. Abbiamo criticato senza mezzi termini Berlusconi, la sua pretesa di essere sopra le leggi, le sue sibaritiche orge popolate dalle cosiddette escort. Poi è venuto il turno di Marrazzo e non abbiamo esitato a biasimare i suoi baccanali corrotti. Delbono sembrava Ora qui a Bologna, e non solo, è sulla bocca solo un burocrate di tutti il caso del sindaco indagato per abuso d’apparato, ma d’ufficio, peculato e aggravata. Flavio di squarciare il velo truffa Delbono sembrava un tipico burocrate d’apsulla sua vita, si è parato, piuttosto incoincaricata una lore, certo non brillante e nemmeno in vena donna tradita di avventure rischiose. direttore del Resto e messa nell’angolo: L’ex del Carlino e candidato Pdl alla presidenza deluna trama eterna la regione Emilia-Roche ricorda da magna, Giancarlo Mazzuca, ha dichiarato: vicino Medea “Questi signori si pote-

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vano consentire tutto perché nessuno li controllava”. Infatti qui a Bologna, come in tanti altri luoghi, e almeno fin dai tempi di Guicciardini: “Tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India”. In questi giorni ho fatto una rapida indagine nell’Arci più grande e più frequentato della provincia. Domandavo se il sindaco è colpevole o è piuttosto la vittima di una montatura in vista delle elezioni regionali. Alcuni erano reticenti; altri rispondevano: “Sono tutti uguali”; altri ancora: “Lo hanno preso in mezzo”; però la risposta più frequente era: “Tanto la verità non la sapremo mai”. Ma se la casta non subisce alcun controllo dal popolo, se la piazza e il palazzo sono separati da un grosso muro o da una nebbia folta, come è saltata fuori questa storia? Una donna è stata motrice del fatto: dux femina facti. Una donna ha aperto una breccia nel muro e ha squarciato la nebbia. Una donna che, piantata dal compagno e degradata nel lavoro dall’uomo di potere, si è voluta vendicare, anche a costo di danneggiare se stessa. A questo punto viene in mente l’amante abbandonata della letteratura, prima fra tutte Medea che, carica di risentimento rabbioso, si ingegna per trovare il punto debole dell’uomo “perfido”, e una volta individuatolo, pur di farlo soffrire, è disposta ad andare in rovina lei stessa. “La donna infatti per il resto è piena di paura: teme davanti a un atto di forza e a guardare un’arma; ma quando sia offesa nel letto, non c’è altro cuore più sanguinario” dice la Medea di Euripide (vv. 263-266), lasciata da Giasone per una fidanzata più conveniente. E quella di Seneca, la furibonda che ha subìto lo stesso ripudio: “Non un fiume travolgente, non il mare in tempesta con i flutti inferociti dal Maestrale, non la forza dei fuochi potenziati dal vento potrebbero ar-

restare l’impeto dell’ira mia: abbatterò e rovescerò tutto” (vv. 411-416). Del resto non mancano le richieste di aiuto da parte dell’esasperata e squilibrata ex compagna: Medea chiede a Giasone di renderle meno misera la sorte occupandosi dei figlioli comuni. Delbono ha dichiarato a proposito di Cinzia Cracchi: “Passava dalla richiesta di riprendere la nostra relazione a scoppi di rancore, dall’aggressività alle richieste di aiuto, voleva essere trasferita in comune, forse per starmi di nuovo vicino”. Adesso la signora in questione sostiene che l’ex compagno ha cercato di comprare il suo silenzio e la sua acquiescenza; se questo è vero, il sindaco non conosce il topos letterario e l’attitudine donnesca secondo cui sarebbe più facile fermare il mare che placare la volontà di vendetta di una femmina umana infuriata. “Ama così il suo ruolo di primo cittadino? – si sarà detta la non mite signora, tutt’altro che incline al perdono – Va bene, ce l’ho in pugno, ho trovato un varco aperto per la ferita”. Ora l’intero gruppo dirigente del Pd è in imbarazzo, mentre l’opposizione gongola. Ancora non sappiamo se Flavio Delbono sia colpevole o innocente come un agnello. Ci sembra strano che si sia messo in così gravi ambasce per poche decine di euro. Speriamo che la magistratura faccia chiarezza. Certo è che la classe dirigente andrebbe selezionata secondo criteri che premiassero l’integrità morale, la cultura, la volontà e la capacità di fare il bene dei cittadini, anche a costo di sacrifici personali. Solo quando i re saranno filosofi o i filosofi saranno re, diceva Platone buonanima, avranno tregua i mali delle città. E con “filosofi” l’antico maestro intendeva non solo uomini colti e capaci di pensare, ma anche persone perbene, che abbiano nell’anima il paradigma attivo, operante del Bene morale, del Bene in sé, del Bene assoluto. "Infine il sindaco, preoccupato per la città, si è dimesso. Questo gli fa onore".


Martedì 26 gennaio 2010

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SECONDO TEMPO

MAIL Nichi Vendola il nostro leader Nella serata amara di Bersani si è probabilmente verificato qualcosa di importante: quando si manifesta un leader carismatico, quando il popolo democratico fa sentire forte e chiara la sua voce, il burocrate – l’uomo della nomenclatura – non capisce. “Elia è venuto, e non l’hanno riconosciuto”. Il popolo non ha più un solo faro di riferimento etico e culturale, Roberto Saviano. Da oggi probabilmente ha ritrovato in Nichi Vendola il leader politico che da tempo attendeva: capace di unirlo e di ridargli il ruolo politico che gli compete. Non se ne sono accorti i cacicchi del Pd (a eccezione di Bindi e Marino), troppo impegnati in giochi di potere: se ne è accorto da tempo il Pdl, che ha scatenato un furibondo attacco contro Vendola tra l’indifferenza della sinistra, che anzi ha accusato Vendola di protagonismo. Nichi, consolati: Obama non è affetto da protagonismo: è un protagonista! Credete anche voi che forse, questa volta, potremmo davvero aver trovato il nostro leader? Grazie e buon lavoro a tutta la redazione. Luigi Cerutti

Il trio Medusa dell’opposizione

Furio Colombo

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BOX A DOMANDA RISPONDO MA OBAMA PERDE O VINCE?

aro Furio, il tuo Obama sta prendendo botte da orbi. Più o meno si prende un colpo al giorno, con il Parlamento, con i sondaggi, con la Corte suprema. Dove sono finite tutte le profezie gloriose e gli squilli di tromba per il Nobel? Vittorio

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MOLTI hanno predetto una grande presidenza per il primo afro-americano presidente degli Stati Uniti. Molti gli avevano augurato il peggio perché si è ribellato alle dinastie della destra americana (Reagan, Bush1, Bush2). Nessuno ha previsto per lui una presidenza facile, perché è stato eletto nel mezzo di una paurosa crisi economica, perché il predecessore aveva tolto fiducia e prestigio al paese, perché c’erano due guerre in corso, e quella con l’Iran era sul punto di cominciare. Adesso? Adesso la crisi è stata fermata, la guerra in Iraq è finita. Tutto il resto è una specie di Haiti dopo il terremoto, ma in varie parti del mondo, dall’Afghanistan ancora trascinato da un conflitto più subìto che condotto (nel senso di una potente forza di inerzia del passato) all’Africa in cui quasi ogni pezzo è in rovina o in pericolo, con alleati infidi (il Pakistan) o amici di dubbia lealtà, dalla Russia alla Cina. Come se non bastasse manca tuttora un barlume di pace in medioriente e c’è un’Europa senza cuore, senza testa, senza volto, dove vi sono realtà diverse e sguardi

strabici. Da parte mia (ma assieme a tanti in America e nel mondo) confermo la fiducia intellettuale e morale in Obama. Credo nel suo sogno pazzesco: se si può fare la guerra preventiva, si può tentare l’opposta e impossibile pace preventiva. Vincerà la riforma sanitaria negli Usa, anche perdendo qualche pezzo e ciò cambierà la storia degli Stati Uniti. La Corte suprema ha emesso una sentenza paurosa secondo cui la libertà di espressione è proporzionale alla quantità di ricchezza. Se vince, presso l’opinione pubblica, il pericolo è grande. Ma se perde, nel senso che la gente resta contro le lobby, dalla parte di Obama, il colpo è durissimo per la destra. Quanto all’Iran, un solo, splendido discorso di Obama ha fatto nascere una grande, giovane, coraggiosa rivolta interna. Il discorso è tutt’altro che chiuso, la speranza tutt’altro che finita. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

I nostri errori Per un mio errore di taglio, nella corrispondenza che ho scritto da Hammamet le opinioni del libraio Piero Piani di Bologna sono state attribuite a Giovan Battista Lombardozzi. Il quale, invece, mi aveva raccontato un epico duello con Craxi che non era entrato nell’articolo. Ne approfitto per recuperare: lui, sindaco di Guidonia, fu convocato da Bettino: “Ti devi dimettere da sindaco”. E lui: “Perché?”. Craxi: “Perché ho deciso così”. RIsposta: “Il partito non è una tua proprietà privata”. Il sindaco fu costretto a chiudere la sua esperienza, ma a testa alta. Ad Hammamet non c’erano molti craxiani che si scappellavano di fronte al leader socialista, ma c’era Lombardozzi. La schiena dritta non è un optional. (Lu. Tel.)

Nel sommario dell’articolo del Fatto Quotidiano “Agrama e Berlusconi avrebbero gonfiato i costi del film Mrs. Doubtfire” da 130 a 315 milioni, a corredo dell’articolo “Mister Agrama e un’amicizia ad Arcore che vale un tesoretto svizzero da 100 milioni”, pubblicato sabato 24 gennaio, c’è un evidente errore. Il sommario, contrariamen-

LA VIGNETTA

Finalmente ha vinto la base, Nichi Vendola ha vinto! Per una

IL FATTO di ieri26 Gennaio 1975 Per non dimenticare l’umiliante vicenda dell’“Adele in manette”. Lei era Adele Faccio, femminista e radicale, e il flash che ci torna in mente è quello di una domenica mattina del 26 gennaio ’75. Roma, ex Teatro Adriano. Al convegno nazionale sull’aborto, organizzato dall’MLD e dai radicali, più di tremila persone. Donne, tante donne, dentro e fuori dal teatro. Sul palco, assieme a tutto il gotha dei radicali, l’Adele, già inseguita da un mandato di cattura per procurato aborto pluriaggravato, latitante a Parigi da giorni e riapparsa pubblicamente a Roma per autodenunciarsi e manifestare contro lo scandalo dei cucchiai d’oro e delle mammane. L’irruzione della polizia è istantanea. Lei, dopo aver letto al microfono il mandato di arresto, impassibile, offre i polsi al commissario, mentre le femministe insorgono e qualcuno intona canti anarchici. Nel carcere di Firenze si farà un mese, mentre la piaga degli aborti clandestini, al tempo oltre 350.000 l’anno, diventerà materia incandescente. “Contraccezione per non abortire, aborto libero per non morire”, questo lo slogan di battaglia di Adele Faccio, coraggiosa paladina dei diritti delle donne, che ci ha lasciato tre anni fa. Giovanna Gabrielli

volta la casta, presuntuosa e insolente si deve arrendere. Forse ora (anche se dubito) capiranno che i voti li danno gli elettori, non loro, i dirigenti burocrati lontani dalle nostre realtà. Bravo Nichi. Non mollare. Anzi, vorrei proporre il nuovo trio medusa dell’opposizione (Nichi Vendola, Antonio Di Pietro, Ignazio Marino), il trio che secondo me sarebbe capace di pietrificare l’avversario (la Medusa) di ritrovare ascolto e di ridare fiducia: loro ascoltano, credono, mettono passione, lealtà e sono fra noi. Vi prego unitevi e rovesciate questa ca-

sta immobile del Pd! Anne

Che fine ha fatto il diritto all’istruzione? Secondo una nota del ministro Gelmini le scuole devono attingere al fondo cassa amministrativo, che include i contributi volontari delle famiglie, per colmare la carenza di finanziamenti relativi alle spese ordinarie per l’erogazione del servizio scolastico di base. In poche ma crude parole se prima i contributi volontari delle famiglie costituivano un surplus

per promuovere l’innovazione tecnologica, l’edilizia scolastica e l’ampliamento dell’offerta formativa ora sono come ossigeno vitale per la sopravvivenza stessa. Il quadro della scuola pubblica è desolante: scuole costrette ad elemosinare la carta igienica e quella per le fotocopie, alunni che restano senza docente per un gran numero di ore perché mancano i fondi per pagare i supplenti, aule chiuse perché inagibili, i servizi di pulizia ridotti con conseguenze sui livelli di igiene. Esiste un debito dello Stato nei confronti degli istituti statali pari a circa un miliardo di euro per spese legittimamente affrontate negli anni passati, ma i finanziamenti per le scuole private, quasi tutte della Chiesa, non mancano di certo. Dov’è finito il diritto allo studio previsto dalla nostra Costituzione? Due i pilastri della democrazia insiti nella nostra Carta: il diritto all’istruzione e quello al lavoro stabile, con uno stipendio dignitoso, cardini fondamentali per avere la reale possibilità di esercitare la democrazia attraverso la partecipazione politica. Questa maggioranza li sta scientemente demolendo. Silvio Zanchet

Le tasse del governo Berlusconi Sia Berlusconi sia i suoi ministri spesso sostengono con orgoglio di “non aver messo le mani nelle

tasche degli italiani” non avendo aumentato, a loro dire, le tasse. E’ pur vero però che in un solo anno il debito pubblico è aumentato a dismisura passando da circa 1.650 miliardi di euro (gennaio 2009) a 1.800 miliardi (ottobre 2009). Chi pagherà per questo enorme aumento? Non è questo un modo indiretto di “mettere le mani in tasca agli italiani”? Non è questa comunque una “tassa” che i cittadini si devono e dovranno sobbarcare? Già paghiamo, e dovremo pagare ancora di più. Si dirà: “C’è la crisi, in qualche modo lo Stato deve pur battere cassa”! Forse è vero ma allora, signori ministri e presidente Berlusconi, non mentite dicendo che non mettete le mani nelle nostre tasche. Non continuate a prenderci in giro. O siamo noi italiani che ci facciamo deridere e imbrogliare senza capire? Flavio

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te a quanto scritto, si deve leggere così: “Agrama e Berlusconi avrebbero gonfiato i costi di pellicole acquistate a Hollywood, tra queste, ad esempio, Mrs.Doubtfire, da 130 a 315 milioni di dollari”.

L’abbonato del giorno LUCA PASCOLO “Nostro papà si chiama Luca. Nel Fatto trova notizie sincere e quando lo legge ha l’aria di un gatto che ha mangiato un grosso topo. E’ contro l’inquinamento, specie contro l’energia nucleare perché può essere pericolosa, e pensa che sia meglio sprecare di meno e riciclare di più. Ammira le persone oneste e spera che ne rimangano abbastanza per quando saremo grandi. Roberta e Anna, 11 e 6 anni”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

Diritto di Replica Capisco che si è già in campagna elettorale e che è iniziata la stagione delle interpretazioni arbitrarie e delle necessarie rettifiche. In seguito alle varie opposte “traduzioni” della mia intervista, tirando ciascuno l’acqua al proprio mulino, intendo precisare che non ho inteso affatto esprimere pareri preferenziali sull’una o sull’altra candidata. Le mie opinioni e valutazioni, richieste dalla giornalista, sono del tutto personali e riguardano solo, come osservatore della realtà viterbese e della sua storia, le nostre ormai “secolari” aspettative. Quello che ho riferito in merito non è voce né della “chiesa di base” né tantomeno espressione degli orientamenti ufficiali dell’Autorità ecclesiastica, già noti del resto, per la correttezza e non parzialità della prassi pastorale. Sull’accusa rivoltami di condividere le idee e i principi etici della corrente radicale è semplicemente ridicolo solo il pensarlo. Come sacerdote confermo, con la Chiesa tutta, la linea di non coinvolgimento in alcuna scelta di schieramento politico o di partito. Don Salvatore Del Ciuco

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