Il Fatto Quotidiano (23 Gennaio 2010)

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Compravendita di foto compromettenti. Gira e rigira c’è sempre di mezzo Signorini, il giornalista più amato da B.

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www.ilfattoquotidiano.it

€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Sabato 23 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 19 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

“INSULTATI DAL PREMIER MINACCIATI DALLA MAFIA”

La rivolta dei giudici in prima linea contro i boss Il procuratore Di Matteo: ingiurie che fomentano gli stessi clan. Strage di via D’Amelio, ritratta il superpentito. I magistrati: Spatuzza attendibile pag. 2-3 z di Sandra Amurri

Udi Marco Lillo POLVERINI TUTTA CASE E CHIESA enata Polverini nel 2002 ha Ra prezzo acquistato una delle sue case stracciato dallo IOR, la banca del Vaticano. Lo stesso anno aveva comprato con lo sconto una casa all’Eur dell’Inpdap, l’ente previdenziale nel quale l’Ugl è rappresentato. pag. 7 z

ino Di Matteo, sostituto procuraNa questa tore della Dda: “Da qualche anno parte è diventata abitudine da parte di uomini delle istituzioni e giornalisti dire che i magistrati sono politicizzati, deviati, che desiderano il male altrui, fino a diventare ‘plotone di esecuzione’. È un’assenza di rispetto per il ruolo del magistrato che non ha nulla a che vedere con le legittime critiche ai provvedimenti”. pag. 2 z

L’INCHIESTA x Si aggrava la posizione del sindaco

BOLOGNA, ECCO PERCHÉ DELBONO DEVE DIMETTERSI Udi Luca Telese

Udi Gianfranco Pasquino

VENDOLA LA CORSA DEL FAVORITO

accuse nei confronti del sindi Bologna Delbono soLno edaco molte e pesantissime: abuso

e si vuole provare a capire Sglia,cosa sta accadendo in Pudove il ciclone di Nichi Vendola ancora una volta sconvolge i calcoli della classe politica non bisogna fare altro che seguirlo: ore, chilometri, discorsi a raffica. pag. 8 z

d’ufficio, peculato, truffa aggravata (perché pubblico ufficiale ai tempi in cui viaggiava allegramente il mondo con la sua fidanzata). Naturalmente, come di solito dicono gli esponenti del Partito democratico quando tocca a qualche politico del centrodestra, “lasciamo che la giustizia faccia il suo corso”. pag. 18 z

NUOVA EDIZIONE STORIA DEL MOVIMENTO ANTIMAFIA di Umberto Santino

LA PRIMA STORIA DELLE LOTTE SOCIALI CONTRO LA MAFIA

www.editoririunitiuniversitypress.it

Dopo le accuse della segretaria e fidanzata oggi sarà interrogato dai magistrati di Silvia Truzzi

opo la buca presa da CofferaDno non ti, l’uscita di strada di Delboci voleva: Pd incidentato,

Flavio Delbono e sotto Piersilvio Berlusconi

ammaccato, soprattutto scosso. E molta tensione a Bologna, culla rossa d’Italia. pag. 9 z

Udi Stefano Feltri

nimmigrazione

IL GOVERNO ASSEDIA TELE COM

Saviano alla Normale di Pisa: vi racconto trent’anni di schiavitù

on potevano essere più espliciti al convegno di ieri: ministri, sottosegretari e deputati, da Scajola a Cicchitto, vogliono decidere le strategie industriali di Telecom. Ma Franco Bernabè, l’amministratore delegato, prova a resistere. pag. 10 z

N

Calapà pag. 5z

nmediatrade Indagati Silvio e Piersilvio per fatti fino al 2009 Gomez pag. 10z

CATTIVERIE D’Alema attacca Vendola “Da soli le elezioni si perdono e io non ne ho persa una”. È vero. Preferisce farle perdere ai compagni (Brutus)

Chiamiamola amnistia di Marco Travaglio

lla fine il sagace Gasparri, ad Annozerol’ha ammesso. Non se n’è accorto, come spesso gli accade, ma l’ha ammesso: “Siccome nel 2006 il centrosinistra ha fatto l’indulto, i processi per reati commessi fino al 2006 sono inutili e quindi tanto vale non celebrarli più. Per questo abbiamo reso retroattivo il processo breve”. Cioè: dopo l’indulto del centrosinistra (votato anche da Forza Italia e Udc), arriva l’amnistia del centrodestra. Solo che, se la chiamassero col suo vero nome, quelli del Pdl non potrebbero approvarla con la loro maggioranza, avrebbero bisogno dei due terzi; ma, soprattutto, non potrebbero più uscire di casa nemmeno con barba posticcia e plastica facciale: qualcuno dei milioni di gonzi che li votarono meno di due anni fa in nome della “sicurezza”, della “certezza della pena” e della “tolleranza zero”, li riconoscerebbero e li farebbero a fette. Perché l’amnistia è ancora peggio dell’indulto: se questo “abbuona” 3 anni di pena, quella cancella il reato e dunque il processo. Per questo il “processo breve” retroattivo è un’amnistia camuffata: estingue il processo e dunque il reato. Con l’indulto, i colpevoli vengono comunque condannati e se han danneggiato qualcuno devono risarcirlo. Con l’amnistia (e il processo breve) non c’è neppure l’accertamento della verità, dunque il colpevole la fa franca, rimane incensurato e la parte offesa deve imbarcarsi in una lunghissima causa civile dall’esito incerto (visto che non c’è stata condanna in sede penale). E per i processi nuovi, che succede? Per quelli niente paura, dice Gasparri: i giudici avranno “da 10 a 15 anni di tempo”. Campa cavallo. E, se lo dice lui che della legge è il primo firmatario, c’è da credergli. Purtroppo, come disse un giorno Storace a proposito di quella sulle tv, “Gasparri ‘sta legge non solo non l’ha scritta, ma manco l’ha letta”. Infatti, salvo per i reati più gravi e più rari, puniti con pene superiori ai 10 anni (omicidio, mafia, terrorismo, strage), i processi non potranno durare più di 6 anni e mezzo: 3 dalla richiesta di rinvio a giudizio alla sentenza di primo grado, 2 da questa alla sentenza d’Appello, 1 e mezzo da questa alla sentenza di Cassazione. Il che significa, in un paese dove durano in media 7 anni, un’amnistia anche per i processi futuri. Anche perché, con una furbata da azzeccagarbugli, lorsignori hanno infilato al comma 3 dell’articolo 5, un codicillo che ammazza il processo ancor prima dei 6 anni e mezzo: “Il pm deve assumere le proprie determinazioni in ordine all’azione penale entro e non oltre tre mesi dal termine delle indagini preliminari. Da tale data iniziano comunque a decorrere i termini di cui ai commi precedenti, se il pm non ha già esercitato l’azione penale…”. Traduzione: se il pm non chiede il rinvio a giudizio entro 3 mesi dalla scadenza delle indagini, al 91° giorno parte comunque il conteggio dei 3 anni concessi per il primo grado. Ma è impossibile chiedere il rinvio a giudizio entro tre mesi dalla scadenza delle indagini, perché prima il pm deve far notificare l’avviso di chiusura indagini, i difensori hanno 20 giorni per chiedere nuove indagini e interrogatori, dopodiché il pm deve farli e depositare gli atti conseguenti. Impensabile che bastino 3 mesi. Non solo: nei processi di media complessità, le indagini non scadono lo stesso giorno per tutti gli indagati: alcuni vengono iscritti prima e altri dopo; alla fine il pm chiede il rinvio a giudizio per tutti quelli che lo meritano. Quindi, con la nuova legge, la sabbia dei 3 anni per il calcolo della prescrizione processuale comincerà a scendere nella clessidra per i primi iscritti sul registro degli indagati ancor prima che scadano i termini delle indagini per gli ultimi iscritti. E il processo morirà certamente prima della sentenza di primo grado. Ecco la filosofia del processo breve: prendono un atleta, gli tagliano le gambe, poi gli ordinano di correre i 100 metri in 10 secondi netti; se non ce la fa, gli sparano.

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Sabato 23 gennaio 2010

Inchiesta “Talpe alla Dda”: oggi il verdetto su Cuffaro

È

COSE LORO

attesa per oggi la sentenza del processo “Talpe alla Dda” che vede imputati, tra gli altri, l’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, condannato, in primo grado, a 5 anni per favoreggiamento. Come due anni fa, il perno essenziale della vicenda giudiziaria di Cuffaro ruota attorno al riconoscimento della circostanza aggravante dell’avere agevolato Cosa Nostra. Contestata al politico dalla

Procura, ritenuta insussistente dal tribunale, che lo ritenne colpevole del solo favoreggiamento semplice, l’aggravante, tecnicamente definita dell’articolo 7, è stata riproposta dai pg, che hanno sostenuto l’accusa in appello e che hanno chiesto la condanna dell’ex governatore a 8 anni di carcere. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici ritennero provato che Cuffaro avesse rivelato all’ex assessore

comunale Miceli che c’erano indagini su di lui e nei confronti del capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Miceli, poi condannato per mafia a 10 anni, avvertì Guttadauro dell’inchiesta. Ma la circostanza, a dire della sentenza, proverebbe solo l’intenzione del politico di aiutare il suo delfino a sottrarsi alle inchieste e non la sua volontà di avvantaggiare l’intera Cosa Nostra.

Caso “Addiopizzo”, la procura non ci sta: “Faremo ricorso”

“F

ermo restando che sarà necessario leggere le motivazioni della sentenza, in particolare in relazione all’assoluzione dei due commercianti accusati di favoreggiamento, la procura impugnerà la sentenza emessa ieri sera nel processo Addiopizzo. Certamente, tra l’altro, appelleremo i proscioglimenti dei boss

Il procuratore antimafia Di Matteo: denigrazione continua che fomenta gli stessi mafiosi. C’è un clima da ritorno alle stragi

ino Di Matteo, sostituto procuratore della Dda, è il pm che ha chiesto il rinvio a giudizio per Totò Cuffaro per concorso esterno in associazione mafiosa. Il 5 febbraio si svolgerà l’udienza preliminare. Richiesta arricchita dai pizzini inviati da Provenzano a Ciancimino e consegnati dal figlio Massimo secondo cui a proposito dell’amnistia ha scritto che ne aveva già parlato con Cuffaro e Mormino ricevendone segnali buoni. Di Matteo, 48 anni, vive scortato da 16 anni. “Rinunce e sacrifici fanno parte del mestiere che ho scelto di fare” dice, ma

N

c’è un ma a rendere diversa la condizione dei magistrati oggi: “Da qualche anno a questa parte è diventata abitudine da parte di uomini delle istituzioni, di giornalisti dire che i magistrati sono politicizzati, deviati, che desiderano il male altrui, fino a diventare ‘plotone di esecuzione’. Trattasi di assenza di rispetto anche formale per il ruolo del magistrato che non ha nulla a che vedere con le legittime critiche ai provvedimenti”. È un clima che percepisce anche nei processi? Il clima che si respira nel paese si è diffuso anche nel tessuto criminale. I parenti degli imputati assumono atteggiamenti spaval-

La frase del premier e le ingiurie “Le ascoltiamo anche nelle intercettazioni dei boss”

di, di denigrazione preventiva, prima impensabili, nei confronti di chi indossa la toga. Qualche esempio? Sono tantissimi. Lo ascoltiamo anche nelle intercettazioni. I mafiosi parlano con i loro parenti additando il magistrato che li indaga o li giudica come un persecutore che vuole a tutti costi la loro condanna. E nell’ultimo periodo è sempre più frequente. Così come accade che alla lettura della sentenza di condanna i parenti degli imputati gridino, inveiscano contro i giudici contro i pubblici ministeri. Offese personali, di ingiurie violentissime. Clima che contagia anche alcuni testimoni che convocati a rendere dichiarazioni in dibattimento mostrano una spavalderia nel mentire convinti che possono farlo impunemente. A cui si aggiungono i provvedimenti adottati e quelli in corso come il processo breve. Certamente accrescono l’incertezza sull’efficacia e sugli esiti dei processi. È stato così per l’indulto e sarà ancora peggio, ovviamente, per il processo breve che renderà sempre più diffusa la sensazione che in un modo o nell’altro si possa eludere la giustizia e che comunque anche

quando si incappa in una sentenza di condanna si potrà in ogni caso uscirne impunemente affermando di essere stati perseguitati da una magistratura che risponde a intenti persecutori o politici. Di fronte a questi continui attacchi così violenti, e purtroppo certe volte provenienti dalle istituzioni, la magistratura è sempre stata in silenzio e continuerà a fare il suo lavoro senza condizionamenti. Ma non si può non evidenziare che certe condotte, affermazioni che caratterizzano la cronaca di ogni giorno provocano conseguenze gravissime nel tessuto sociale e anche in quello criminale. Non dimentichiamo che isolamento e denigrazione, ancor più di singoli magistrati, è il ‘brodo di coltura’ nel quale la mafia ha agito per preparare le stragi. E un normale senso istituzionale dovrebbe ricordare a tutti che quando si parla in maniera così offensiva dei magistrati si parla di persone che comunque quotidianamente sono a contatto in prima persona con i mafiosi, li arrestano chiedono gli ergastoli o li infliggono, sequestrano i loro beni. Noi esposti per natura, ne siamo consapevoli e non ci lamentiamo ma

Toghe rosse e guerra civile: i “pizzini” di B. MAGISTRATI “COMUNISTI” E “MATTI”: IL BREVIARIO DEL PREMIER E IL DOSSIER DEL CSM

fa rabbia constatare come la nostra esposizione venga esponenzialmente accresciuta da affermazioni offensive, inopportune che di fatto conducono all’isolamento della magistratura. Le indagini in corso rivelano segnali che Cosa Nostra può tornare a colpire? Vi sono segnali che rendono plausibile un ritorno a scelte strategiche di contrapposizione frontale. Il dna di Cosa Nostra è tale per cui alterna periodi di inabissamento a quelli di attacchi frontali. Non dobbiamo illuderci che la sommersione di Provenzano sia eterna. Rispetto ad altri periodi la forza militare è indebolita però la storia insegna come la capacità di reclutamento di uomini e di forze sia sempre tale da permettergli di rialzare la testa. Penso all’intenzione di colpire la sorella del gip di Caltanissetta Giovanbattista. Fino ad ora la vendetta trasversale è stata dedicata solo a chi “saltava il fosso”. Vuol dire che tutti coloro che ci sono vicini possono diventare bersagli. È preoccupante. Amareggia constatare che ai rischi naturali si aggiungono quelli di una denigrazione generalizzata.

Scarantino: ho detto il falso Si sgretola l’impianto di prove che ha retto per nove sentenze

La politica innocente e impresentabile a repressione di Cosa Nostra è vigorosa, continua, efficace. E però chi denuncia il pizzo entra a far parte di una piccola, fragile, per quanto Lcoraggiosa minoranza. Anche se rispetto al recente passato il trend è

Il Consiglio superiore della magistratura ha aperto un fascicolo per raccogliere le dichiarazioni contro i giudici di Silvio Berlusconi. Un raccoglitore potenzialmente infinito, poiché il presidente del Consiglio non perde mai occasione per attaccare le “toghe rosse e comuniste”. E mai si sottrae, anzi promuove sempre, quel che Leoluca Orlando (Idv) ha definito “terrorismo istituzionale”. Di seguito riportiamo le più recenti esternazioni del premier e una delle più gravi.

Plotoni in tribunale “I miei avvocati insistono a dire che (in aula, ndr) mi troverei di fronte a dei plotoni di esecuzione”. (Visita al cardinal Ruini, 19 gennaio 2009) Come Tartaglia

“Mi attaccano sul piano politico e, lo vedete, sul piano giudiziario le aggressioni sono parificabili a quelle di piazza del Duomo, se non peggio”. (13 gennaio 2009, conferenza stampa a Palazzo Chigi) Partito dei giudici “Il popolo elegge i suoi rappresentanti in Parlamento che fanno le leggi. Ma se queste leggi non piacciono al partito dei giudici, questi si rivolgono alla Corte costituzionale che ha 11 membri su 15 di sinistra, nominati da 3 presidenti della Repubblica di sinistra, che abroga le leggi del Parlamento”. (Bonn, 10 dicembre 2009) Guerra civile “È in atto una persecuzione giudiziaria che porta sull’orlo della guerra civile”. (riunio-

ne di presidenza del Pdl, 26 novembre 2009) Comunisti “La vera anomalia italiana sono pm e giudici comunisti di Milano che da quando Berlusconi è entrato in politica e ha tolto il potere ai comunisti lo hanno aggredito con oltre cento processi e cinquemila udienze”. (Intervento a Ballarò, 27 ottobre 2009) Cospiratori “So che ci sono fermenti in Procura, a Palermo, a Milano, si ricominciano a guardare i fatti del ‘93, del ‘94 e del ‘92. Follia pura. Quello che mi fa male è che della gente così, con i soldi di tutti, faccia cose cospirando contro di noi”. (Fiera di Milano, 8 settembre 2009). Matti “Questi giudici sono dop-

I “messaggi alla nazione” del Cavaliere: insulti all’ombra dei suoi processi piamente matti! Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. (4 settembre 2003, intervista a Boris Johnson, direttore The Spectator).

senz’altro positivo, qualcosa continua a non andare. Ad esempio, nei meccanismi attraverso i quali si perpetua la classe dirigente della Sicilia. La nebbia è fitta, ma ce ne accorgiamo solo quando “sbattiamo la faccia”, e anche allora ne facciamo solo una questione penale, che va circoscritta, accer tata…e fino a quando un giudice non ci dice che ci siamo rotti la faccia, praticamente non è successo niente. La vicenda di Totò Cuffaro, che la Procura di Palermo intende far processare di nuovo, ora per concorso esterno in associazione mafiosa, presenta anche alcuni personaggi e alcuni fatti, che con il codice penale – è già accertato – non hanno nulla a che fare. Ma socialmente hanno delle responsabilità. E bisogna gettare una luce su questi fatti, per far diradare la nebbia. Un politico potrebbe risultare penalmente non responsabile, ma ciò non toglie che possano esserci altre responsabilità che dovrebbero comunque esser sanzionate: dai partiti, dagli ordini professionali, per esempio. E allora proviamo a fare un po’ di luce. L’onorevole e avvocato Salvino Caputo (...) è stato imputato di falsa di testimonianza, ma è stato assolto, perché nel procedimento penale è possibile mentire per evitare di autoaccusarsi di reati più gravi, in questo caso di favoreggiamento. Se avesse ammesso di avere mentito o di avere favorito Cuffaro nel processo Talpe, cosa che secondo il giudice avvenne, “avrebbe danneggiato in modo evidente e definitivo” il proprio prestigio e quello dell’Istituzione che rappresentava, il comune di Monreale. I commercianti vittime del pizzo, che non confermano le prove a carico dei mafiosi, rischiano di essere condannati per favoreggiamento a Cosa Nostra, mentre Caputo può permettersi di testimoniare il falso in ragione di una finta integrità morale e professionale da salvaguardare. (...) E Cuffaro? Durante il processo Talpe ha riferito in aula di aver conosciuto e frequentato i medici Salvatore Aragona e Vincenzo Greco. I due, all’epoca dei fatti (2001), avevano già condanne definitive alle spalle. “(di Greco, ndr) sapevo che era stato condannato [...] Non mi appassiona il reato con cui vengono condannate le persone”. (...) Anche se in Appello o in Cassazione dovesse essere assolto, socialmente è già giudicabile: spende una montagna di soldi pubblici per i cartelli “la mafia fa schifo” e poi non sa nemmeno stare alla larga dallo schifo che assedia la politica! La nostra piccola storia di resistenza va avanti, accanto a ciascuna storia di dignitosa opposizione al racket. Ma se non sapremo diradare la nebbia, non sarà mai possibile vedere un luminoso futuro. Se dalla classe politica non proverranno modelli di comportamento esemplari non ci si potrà aspettare da parte degli operatori economici denunce collettive contro il racket dell’estorsioni mafiose. A ciascuno le proprie responsabilità. Comitato Addiopizzo

ultimi accusati di favoreggiamento, conclusosi ieri notte con 13 condanne e 4 assoluzioni. A non convincere la procura, oltre al proscioglimento dei commercianti accusati di avere favorito Cosa Nostra negando le richieste estorsive, e, in particolare, la parte della sentenza relativa al taglieggiamento di Guajana e all’incendio della sua azienda.

NUOVI ELEMENTI SULL’IPOTESI-DEPISTAGGIO. SPATUZZA RITENUTO ATTENDIBILE: PER LUI NUOVA RICHIESTA DI PROTEZIONE indagine – di avere raccontato un cumulo di menzogne. Candura è il sedicente autore materiale del furto della Fiat 126, Andriotta è un ex compagno di cella di Scarantino che ne avrebbe raccolto le confidenze in carcere. Si sgretola così l’impianto processuale d’argilla che ha faticosamente retto a nove processi e tre gradi di giudizio, fino in Cassazione, e da oggi i magistrati e gli inquirenti di Caltanissetta iniziano a scrivere una nuova storia investigativa della strage più miste-

A sinistra Nino Di Matteo. Sopra, la strage di via D’Amelio e un manifesto per chiedere verità sulle stragi

Salvatore e Sandro Lo Piccolo e Massimo Troia e quello di Vittorio Bonura che erano accusati dell’estorsione e dell’attentato subiti dall’imprenditore Rodolfo Guajana”. È l’annuncio dei pm della Dda Marcello Viola, Francesco Del Bene, Gaetano Paci e Anna Maria Picozzi, che hanno rappresentato l’accusa nel processo a 17 tra capimafia, estorsori e commercianti, questi

Via D’Amelio, profondo nero: il superpentito ora ritratta

“IL PLOTONE? CONTRO NOI PM” di Sandra Amurri

COSE LORO

di Giuseppe Lo Bianco

e Sandra Rizza l pm Alfonso Sabella, oggi giudice a Roma, lo aveva detto 18 anni fa: Vincenzo Scarantino è un pentito ‘’fasullo dalla testa ai piedi’’. Oggi arriva la duplice conferma: l’ex picciotto della Guadagna, considerato il teste-chiave della strage di via D’Amelio, ha confessato di avere sempre mentito e Gaspare Spatuzza ha ottenuto l’attestato finale di attendibilità dai pm di Firenze e Caltanissetta, che per lui hanno chiesto l’applicazione del programma definitivo di Protezione. Tra il vecchio e il nuo-

I

vo pentito di via D’Amelio, gli inquirenti nisseni hanno scelto di credere a Spatuzza che confessando il furto della Fiat 126 utilizzata per uccidere Borsellino ha sbugiardato Scarantino. E quest’ultimo oggi ammette: “Ho reso false dichiarazioni, mescolando circostanze realmente accadute ad altre apprese dalla lettura dei giornali e atti giudiziari”. Scarantino è crollato dopo i primi due interrogatori nei quali si era avvalso della facoltà di non rispondere, ed ha ammesso anch’egli – dopo le ritrattazioni di Salvatore Candura e di Francesco Andriotta, gli altri due sostegni della vecchia

riosa del nostro paese, quella che il 19 luglio 1992 ha aperto la strada alla Seconda Repubblica. Una storia che riparte dalle fasi immediatamente successive al botto di via D’Amelio. Scrivono infatti i pm nella richiesta di protezione per Spatuzza: “Se le indagini dovessero confermare la nuova e diversa versione dei fatti fornita da Spatuzza, si aprirebbero inquietanti interrogativi sulle cause, ragioni e modalità della diversa ricostruzione investigativa – effettuata nella fase iniziale delle indagini – di alcuni importantissimi segmenti della fase esecutiva di un even-

to che ha segnato la storia d’Italia; evento che ancora oggi presenta numerosi aspetti oscuri e interrogativi irrisolti”. Qui entriamo nel cuore del “depistaggio”: la falsa pista che, ruotando attorno a Scarantino, ha consegnato ai magistrati di allora una verità inventata, portando in carcere alcuni innocenti e lasciando fuori i veri responsabili della strage. Per questa ragione, i pm stanno valutando adesso la possibilità di trasmettere gli atti alla procura generale per avviare il procedimento della revisione processuale che alimenta un interrogativo cruciale: chi si adoperò per indirizzare le indagini sul gruppo di balordi della Guadagna? E soprattutto: perché lo fece? Secondo i pm, che stanno indagando su tre funzionari di polizia del gruppo Falcone-Borsellino, l’inchiesta sul depistaggio dovrà verificare se “gli interventi di polizia giudiziaria siano stati causati da volontà di mutare il vero o, invece, da una convinta anche se errata valutazione dei fatti allora acquisiti, rappresentata con “metodi forti” a Candura prima, e successivamente ad Andriotta e Scarantino”. I tre hanno accusato i poliziotti di avere utilizzato “pressioni psicologiche” con l’obiettivo di strappar loro le false confessioni. E, a riscontro delle menzogne raccontate in passato da Scarantino, i magistrati hanno raccolto le dichiarazioni del pentito catanese Giuseppe Ferone, detenuto nel ’99 con il picciotto della Guadagna nel carcere di Velletri. A lui Scarantino avrebbe confidato la sua estraneità alla strage. Dopo aver analizzato le bugie di Scarantino, i pm indagano adesso sulle verità di Spa-

tuzza che avrebbero ottenuto un nuovo riscontro: il nome del complice da lui citato nel furto della 126, Vittorio Tutino, era già stato indicato dal pentito Tullio Cannella che, interrogato in questi giorni, ha confermato di aver ricevuto, poco dopo la strage, confidenze da Tutino che sottintendevano un suo coinvolgimento. Nella richiesta finale di applicazione del Programma di Protezione nei confronti di Spatuzza, ritenuto in condizioni di “grave e attuale pericolo”, i magistrati considerano infine superate le perplessità suscitate all’inizio da alcune delle rivelazioni del pentito di Brancaccio, in particolare sulla sottrazione delle targhe

ASSOCIAZIONE MAFIOSA

Nuove accuse a Ciancimino jr.

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indagine era stata archiviata anni fa perché i pm sostennero che agiva su indicazioni del padre Vito e non era “pienamente consapevole della sua attività”, ma adesso – su richiesta della Procura di Palermo – il gip ha disposto l’apertura dell’inchiesta per associazione mafiosa a carico di Massimo Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco del sacco di Palermo, si è dichiarato sereno: “Ho piena fiducia nei magistrati – ha commentato l’indagato che, da mesi, rende dichiarazioni ai magistrati sulla trattativa tra Stato e mafia – È giusto che facciano luce sul ruolo che ho avuto in certe vicende. Non faccio parte di quelli che gridano al complotto: i pm lavorino serenamente, io sono tranquillo e dimostrerò che, dai primi contatti con i carabinieri fino ad oggi, ho sempre contrastato la mafia”.

Mitra, mostri e fantasmi: la vita blindata delle famiglie dei giudici FIGLI-BAMBINI CHE ESORCIZZANO LA PRESENZA DELLE ARMI CON IL GIOCO. E IL TERRORE DELLE TELEFONATE Falcone non voleva figli GPaoloiovanni per non mettere al mondo orfani. Borsellino ha dovuto fare i conti con l’anoressia che ha colpito sua figlia quando assieme a Falcone venne portato all’Asinara per scrivere il maxiprocesso. Storie che si ripetono anche oggi come dimostrano i recenti attentati sventati contro magistrati siciliani. Chi le racconta chiede l’anonimato per non accrescere l’ansia dei famigliari che spesso vengono tenuti all’oscuro dei reali pericoli per non compromettere ancor di più quella sfera privata, unico respiro di libertà, di una vita che altro non è che una prigionia a cielo aperto. Per questo i nomi, ma solo quelli, sono di fantasia. Marco ha 12 anni. È il maggiore dei due figli di un magistrato di punta della Procura palermitana. Dall’ospedale dove è nato è tornato a casa su un auto blindata. E da al-

lora non ha mai fatto una passeggiata con il suo papà da soli. Non hanno mai corso nel parco senza avere accanto uomini armati. E se fino a qualche anno fa per Marco quei mitra al collo erano un gioco ora inizia a coglierne il pericolo. Allora preferisce non uscire. Resta sempre più in casa. E sempre più in silenzio. Sente di essere un problema per i genitori dei suoi compagni che quando lo vedono arrivare a scuola accompagnato dagli agenti di scorta mormorano frasi indignate. E se i figli sono grandi, maggiore è la consapevolezza del pericolo e la reazione che l’accompagna come gli attacchi di panico di cui soffre Monica, 20 anni. Un’altra figlia di un altro magistrato al fronte. Monica quando va a Roma all’Università viene assalita dalla paura di ricevere una di quelle telefonate che non si vorrebbero mai ricevere. E nel salire sulla scaletta

dell’aereo si volta indietro mille volte, guarda il suo papà che la saluta e piange. È la vita dei magistrati antimafia quella che nessuno racconta, fatta di sentimenti, di affetti, di svaghi, che ogni persona dovrebbe avere il diritto di coltivare. Un cerchio necessario che si restringe sempre più ogni volta che arriva la notizia che Cosa Nostra sta preparando un attentato. La paura si insinua in ogni pensiero, condiziona ogni decisione. Lo sa bene la mamma, vedova, di un altro pm che in Sicilia è nato, dalla Sicilia è dovuto andare via perché minacciato di morte e in Sicilia è voluto tornare. Nessuna domanda. Sa che suo figlio è in pericolo e prega per lui ogni sera. Così come ogni sera al primo segnale di ritardo Francesca 15 anni passeggia davanti alla porta in attesa che suo padre rientri e quando squilla il telefono prima che la mano alzi la cornetta il cuore inizia

di un’altra Fiat 126 nella carrozzeria di Orofino (si tratta delle targhe “pulite”, apposte sull’autobomba e poi ritrovate in via D’Amelio) e, grazie all’analisi dei tabulati telefonici, ritengono chiarito anche il momento storico nel quale Spatuzza ricevette da Fifetto Cannella l’incarico di rubare l’auto per la strage. Sono adesso, per i pm, dichiarazioni “convincenti e logicamente coerenti con la ricostruzione dei fatti complessivamente fornita”. Si apre, da questo momento, una nuova stagione giudiziaria: quella della ricerca della verità, stavolta si spera genuina, sulla morte di Paolo Borsellino e sullo stragismo in Italia.

GIUGNO 2009

PALERMO, SCRITTE SUL MURO: “PIÙ CAPACI, MENO LINARES” 19 GENNAIO 2010

IL PIANO: AUTOBOMBA CONTRO IL PROCURATORE DI CALTANISSETTA

Auto blindate e scorta: la vita di frontiera dei magistrati (FOTO ANSA)

a battere forte. Luigi, “topino” così lo chiamano i fratelli maggiori, ha solo 4 anni, pochi per percepire la paura che pure regna già nell’innocenza delle parole “tu lo distruggi il mostro che fa male a papà, vero?” che rivolge ad uno degli agenti di scorta con cui si vanta di essere grande amico. Figli di uomini abituati a fare i conti con il pericolo ma non a sopportare

di essere definiti “plotone di esecuzione” e a restare in silenzio, perché se parlassero sarebbero politicizzati più di quanto lo siano già tacendo. Ma la paura resta nascosta nelle pieghe dell’animo, negli sguardi smarriti dei loro cari. Mentre cresce la vergogna per quelle parole “istituzionali”. S. A.

20 GENNAIO 2010

NEL MIRINO LA SORELLA DEL GIP NISSENO E L’EX SINDACO DI GELA


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Sabato 23 gennaio 2010

Lumia: il governo deve prendere provvedimenti

I

INGIUSTIZIA

l senatore del Pd Giuseppe Lumia, ex presidente della Commissione antimafia, costretto da anni a vivere sotto scorta per i progetti di Cosa Nostra di ucciderlo, non può credere a quello che ha letto nella relazione del prefetto di Milano, Giallombardo: “La mafia a Milano e in Lombardia non esiste”. “E i Papalia, i Barbaro, i

deve valutare se il prefetto sia adeguato al suo ruolo. Deve prendere provvedimenti”. Lumia smentisce anche la tesi del prefetto che non c’è una presenza della mafia sul territorio: “Dietro le quinte il lato militare c’è, ed è sempre pronto a operare. Lo dimostrano gli omicidi degli ultimi anni in diverse zone della Lombardia”.

Morabito, i Fidanzati?”, si chiede e poi parte l’affondo contro il prefetto: “È un’affermazione grave e sbagliata, che ci fa tornare indietro di anni nella lotta alla mafia. A Milano la criminalità organizzata si fa direttamente impresa e finanza, bisogna fare un salto di qualità nelle indagini come dicono i magistrati. Dopo una dichiarazione del genere, il governo

PREFETTO, LEGGA LE RELAZIONI: A MILANO LA MAFIA C’È (ECCOME) I magistrati della DDA denunciano: le mani sull’Expo di Antonella Mascali

a relazione della direzione distrettuale antimafia di Milano e le note delle forze di polizia, che Il Fatto è in grado di riportare, smentiscono quanto scritto dal prefetto Giallombardo, e cioè che la mafia non esiste nel capoluogo e nel resto della Lombardia. Per magistrati e investigatori la mafia esiste, eccome, tanto che “l’Expo 2015 è già oggetto di specifico interesse da parte delle associazioni criminali”. Ieri sono stati ascoltati dalla commissione parlamentare, il procuratore Minale, l’aggiunto Ilda Boccassini, che ha interrogato recentemente anche il pentito Spatuzza, e l’aggiunto Francesco Greco, che coordina il pool che indaga sui reati finanziari. Proprio Greco ha parlato di società di comodo a cui fanno riferimento le organizzazioni mafiose per il riciclaggio di soldi. E invece nella sua relazione riservata che abbiamo visionato, il prefetto fa un ragionamento a sostegno della negazione di una presenza solida della mafia. Ha scritto che “se alcuni cognomi evocano la presenza mafiosa, questo non vuol dire che a Milano e in Lombardia esiste la mafia”. Nella stessa relazione le analisi opposte delle forze dell’ordine. Raccontano di imprenditori che “non disdegnano l’ingerenza delle organizzazioni criminali e anziché rivolgersi ai competenti organi istituzionali e denunciare illeciti interessi mafiosi, talora stringono accordi strategici che consentono alle organizzazioni criminali

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di inserirsi nei settori di interesse delle imprese”. Se non fosse chiaro quanto accade a Milano e in Lombardia, almeno dagli anni ’70, ci ha pensato il documento della direzione distrettuale antimafia. Nel periodo 1 luglio 2008-30 giugno 2009 sono aumentati i procedimenti per 416 bis, sono passati da 10 a 31. L’aumento dei procedimenti per mafia è dovuto anche a indagini sofisticate, effettuate grazie a alle intercettazioni. E a questo proposito c’è un passaggio della relazione contro il ddl Alfano che vuole di fatto neutralizzarle, pur vantandosi di fare la lotta alla mafia. Scrive la Dda di Milano: “…pur essendo formalmente escluse dalle limitazioni (delle intercettazioni, ndr) le indagini per i reati mafiosi, è notorio che le indagini non si iniziano” per reati tipicamente di mafia, ma per reati diversi “ quali estorsione, usura, spaccio…”, e diventano indagini di mafia in seguito. Un passaggio delicato della relazione è dedicato alle conseguenze del forte calo dei pentiti che negli anni passati hanno portato a grossi risultati. In questo caso la Dda fa un riferimento anche al premier, senza citarlo: “A fronte di 223 complessive proposte di ammissione al piano di protezione”, ce ne sono state solo 12 nel 2007. Non solo per la reazione feroce dei boss finiti in carcere a causa loro, ma anche per la restrittiva legge del 2001. Ed è a questo punto che c’è un riferimento implicito alle dichiarazioni dell’ex boss Spatuzza su Dell’Utri e Berlusconi: “Negli ultimissimi tempi, infine, a segui-

to di polemiche sull’affidabilità “delle dichiarazioni rese da ‘dichiaranti’ nei confronti di esponenti politici di primo piano, si parla di modificare nuovamente la normativa in oggetto al fine di renderla ulteriormente restrittiva. La prospettiva appare molto scoraggiante…”. Quanto alla penetrazione della mafia e della ‘Ndrangheta in particolare, nelle imprese, i magistrati scrivono che i soldi frutto di spaccio e altre attività illegali vengono reinvestiti “in svariate attività economiche apparentemente lecite, ma commesse attraverso imprese che possono definirsi mafiose”. Altro che semplici contatti, come ha detto il prefetto. Ecco perché devono essere previsti non solo controlli adeguati per gli appalti sulle grandi opere ma anche sugli appalti minori e “ un capillare controllo delle vendite immobiliari avvenute negli ultimi tempi nelle zone di Milano e dell’hinterland, già note in quanto a infiltrazione mafiosa”. La Dda parla anche di una forma di controllo “sociale e ambientale”, diversa rispetto alle zone mafiose di provenienza, ma “ estremamente pericolosa” per la sua occulta pervasività, per gli effetti sulle persone e sul mercato”. Tanto che ”sempre più spesso si è verificato che alcuni degli imprenditori concorrenti, pur originariamente estranei all’associazione criminale, siano passati dalla fase in cui erano solo soggetti passivi dell’intimidazione ambientale, a quella in cui sono divenuti complici delle imprese mafiose”.

In alto il prefetto Giallombardo; in basso l’arresto nel capoluogo lombardo del boss Gaetano Fidanzati (ANSA)

Dal primo luglio 2008 al 30 giugno 2009 solo i 416 bis sono passati da 10 a 31

STRATEGIA DEL PDL

PROSSIMO OBIETTIVO: LACCI E LEGACCI ALLA MAGISTRATURA di Sara Nicoli

processo breve distruggerà la giustizia, ma Ialto.lquesto governo ha in serbo di volare più in Con una proposta di legge costituzionale nuova di zecca, l’ultima della serie negli interventi contro lo Stato di diritto, la prodigiosa Jole Santelli, ex sottosegretaria alla giustizia e oggi vice presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, punta direttamente al cuore del problema: distruggere la magistratura, rendendo impossibile lo svolgimento dell’azione penale e civile e sottoponendo tutti i giudici, di ogni ordine e grado, a tagliole disciplinari per limitare al massimo i tentativi di andare oltre l’ordinaria amministrazione. Perla del provvedimento, rubricato alla Camera sotto la voce “Modifiche al titolo IV del-

La proposta Santelli bloccare lo svolgimento penale e civile sottoponendo tutti i giudici a tagliole disciplinari

la Costituzione concenente la magistratura e l’esercizio della giurisdizione”, il taglio del legame tra politzia e giudici. Le forze dell’ordine non saranno più alle dipendenze del pm bensì a quelle del governo attraverso il ministero della Giustizia. Al pm, dunque, verrà sottratta l’arma principale della professione, l’iniziativa delle ricerca di notizie di reato. E per di più, in barba a quanto stabilito dall’art. 112 della Costituzione sull’obbligatorietà dell’azione penale, in caso di notizie di reato, il Parlamento delegherà il governo a stabilire una sorta di listino di priorità dei reati da perseguire a cui il pubblico ministero dovrà attenersi scrupolosamente. Insomma, se il governo dovesse stabilire che prima della persecuzione del reato di corruzione bisogna investigare sui furti d’auto, il giudice non potrà far altro che chiudere gli occhi e andare oltre. In nome delle priorità. Siamo all’apoteosi delle leggi ad personam. In questo caso “ad castam”. Quella dei politici contro quella dei giudici. Forse è proprio in questo articolato che si nasconde l’offensiva finale. Basti pensare che la proposta Santelli è stata scritta da avvocati (la stessa Santelli lo è) che, grazie a questo testo, mirano a vedere costituzionalizzata la loro figura professionale al pari di quella giudici; da semplici liberi professionisti, gli avvocati si trasformeranno in elementi “essenziali” nello svolgimento “di ogni

CRIMINALITÀ IN LOMBARDIA

DAI LOCALI AGLI APPALTI: MA TUTTO PARTE DALLA COCAINA

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Milano la mafia esiste. Il suo odore lo si respira in periferia come negli attici del centro. A cercarla si trova. Un modo è inseguire il denaro. Il volano resta la droga. In città i grossisti fissano il prezzo per tutta l’Europa. E in città la coca ritorna sottoforma di denaro. Milioni di euro che infiltrano ogni campo: dalla ristorazione alle discoteche, dall’edilizia alla Borsa. Soldi sporchi ripuliti anche grazie a imprenditori del nord. La movida, ad esempio: buona parte dei locali è in mano alla ‘Ndrangheta. Se, poi, accanto ci metti il racket dei baracchini che vendono i panini, si può dire che l’intero ciclo notturno è proprietà dei clan. Sempre i soliti noti: Trovato e Flachi. Torta ghiottissima resta il business dell’edilizia. Oggi più di ieri con una città da rinnovare in vista di Expo 2015. Oltre 4.000 i cantieri aperti. Un rinascimento urbanistico dentro al quale le ruspe dei clan Papalia-Barbaro, Mandalari, Novella, Strangio viaggiano a gonfie vele. Tanti appalti, sempre di più. Tocca, quindi, distribuire. Ecco allora che da Reggio Calabria è stato nominato un referente per razionalizzare la “torta”. Perché può capitare, ed è capitato, che qualcuno pretenda troppa autonomia. In questi casi si muore. È successo per Carmelo Novella e Cataldo Aloisio, uccisi tra marzo e luglio 2008. Sangue e denaro. Spartito identico, a Reggio come a Milano. Con una conta finale che nel capoluogo lombardo per ora si ferma a cinque omicidi in un anno e mezzo. L’ultimo, quello di Natale Rappocciolo, mai sfiorato dalle cronache. Ma in fondo è giusto così visto che a sentire il prefetto Lombardi “a Milano la mafia non esiste”.

procedimento giudiziario”. C’è solo da immaginare quanto questa promozione istituzionale potrà gravare sui cittadini sotto forma di levitazione di parcelle. È bene dire subito che, sul fronte dell’eccesso di zelo, la Santelli è arrivata seconda. Un simile disegno di legge era già stato depositato al Senato circa un mese fa, primo firmatario Marcello Pera, e conteneva - come quello Santelli - anche norme sulla separazione delle carriere, la previsione di due distinti consigli superiori della magistratura (giudicante e requirente) e limiti ai mezzi di impugnazione delle sentenze. La Santelli, però, è andata oltre, aggiungendo la famigerata norma sul ritorno della polizia giudiziaria sotto il controllo del governo e l’istituzione di un’ Alta Corte, ovvero di un terzo organo per le sanzioni ai giudici e ai pm. E chiosando che contro i provvedimenti disciplinari sarebbe ammesso soltando il ricorso alle sezioni riunite della Cassazione per “violazione di legge”. In pratica, quest' Alta Corte, nella mente della deputata Pdl, dovrebbe essere un altro piccolo Csm, composto da nove membri che durano in carica nove anni e sono per un terzo nominati dal Presidente della Re-

Davide Milosa

pubblica e per due terzi eletti dal Parlamento. E per non negarsi davvero nulla, ecco, infine, il disegno del nuovo Csm: diviso in due (uno requirente e l’altro giudicante) con funzioni uguali (amministrative come assunzioni trasferimenti e promozioni) in virtù della divisione delle carriere. Insomma, sempre peggio. A parte le parole di Fini. Che ieri, sul processo breve, ha annunciato che “c’è tempo per fare alcune modifiche”. Sul tema della giustizia è tornato anche il Guardasigilli Angelino Alfano, ribadendo tuttavia che processo breve e legittimo impedimento sono due provvedimenti «che rispondono a ragioni differenti e che andranno avanti insieme". Sempre netto, infine, Di Pietro. "Il nostro auspicio è che, una volta approvato, il presidente Napolitano non lo firmi».


Sabato 23 gennaio 2010

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Rosarno: “Un’onta” lavata via a un anno di distanza

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MEZZOGIORNO DI FUOCO

a cacciata degli schiavi neri di Rosarno ci racconta meglio di mille saggi cos’è il potere della 'Ndrangheta. Organizzazione potentissima che in ventiquattro ore è riuscita a fare quello che le varie Bossi-Fini, le ronde leghiste e i sindaci con la camicia verde non sono riusciti a fare: espellere migliaia di immigrati senza sé e senza

ma. La stragrande maggioranza dei braccianti che affollavano i due ghetti della città erano regolari, avevano tutti i documenti a posto, eppure sono stati cacciati. Non servivano più, il raccolto era alla fine e la loro presenza sul territorio era ormai solo un fastidio per le cosche. Per di più i neri di Rosarno non accettavano la dittatura dei Pesce e dei

Bellocco, le due cosche padrone della città e del suo futuro. Un anno fa, dopo l’ennesimo agguato a uno di loro, fecero quello che i rosarnesi raramente fanno: andarono dai carabinieri e denunciarono l’aggressore. Ci misero la faccia. Un anno dopo i “mazzieri” dei clan hanno lavato quella insopportabile offesa.

TRENT’ANNI DI SCHIAVITÙ

Saviano in cattedra alla “Normale” di Pisa spiega i rapporti tra criminalità organizzata e immigrazione di Giampiero Calapà

Roberto Saviano, ieri pomeriggio alla Scuola Normale, ha lanciato due appelli alla politica: no alla messa all’asta dei beni confiscati alla mafia e basta con gli attacchi a chi scrive di mafia e racconta al mondo la criminalità organizzata italiana. C’era già stato il 15 maggio dello scorso anno. Non era mai successo alla Scuola Normale di Pisa, nell’occasione dei "Venerdì del Direttore" che qualcuno fosse invitato per due volte in un lasso di tempo così ristretto. Invece, Roberto Saviano è stato con questo nuovo invito per la "sua assidua ricerca della verità e della dimostrazione di ciò che racconta, grande giornalista e raffinato scrittore che opera con un prezioso lavoro di ricerca che lo accomuna in modo particolare a noi", ha spiegato il direttore della Normale Salvatore Settis, definendo Saviano "il simbolo migliore dell'Italia che vorremmo". È piombato il silenzio ieri pomeriggio nella sala principale e nelle altre attrezzate con gli schermi quando è arrivato, poi un lungo applauso.

Non ha rinunciato a togliersi un sassolino dalle scarpe, riferendosi a quanto detto solo poco tempo fa da Silvio Berlusconi, "Strozzerei chi scrive i libri sulla mafia": "È una cosa molto grave, oltre a essere un'evidente baggianata: c'è tutto un mondo che può diventare strumento intellettuale antimafia, che l'Italia già produce. Quando ne parli non ci identificano con la schifezza, con l'omertà, ma la parte sana della comunità italiana all'estero è felice perché non vuole identificarsi con la mafia e sanno che l'italiano che ne parla rompe il luogo comune per cui gli italiani sono tutti mafiosi. E per un altro motivo, che sento sulla mia pelle, perché in quei territori dove sono cresciuto, la prima cosa è il deprezzamento sociale: devono occuparsene i poliziotti di queste cose, tu sei un parolaio. Usano spesso contro di me, ma non solo contro di me, l'accusa: sei un professionista dell'antimafia. Direi meglio professionista che dilettante dell'antimafia. La verità è che io sono un privilegiato, ma non dimenticherò mai che la prima volta che consegnai "Gomorra", mi dissero: bello, peccato che è un argomento che non interessa nessuno". Roberto Saviano (FOTO ANSA)

i lusingano le parole con cui il direttore della Normale Salvatore Settis mi ha presentato: mi piace ricordare che è rosarnese. Mi è dispiaciuto in questi giorni non leggere cosa è accaduto veramente a Rosarno: risposte superficiali e analisi troppo generiche. Io sono nato nel 1979. All’inizio degli anni Novanta nel casertano, in Puglia, in Calabria, arrivò la grande ondata dei lavoratori africani. A fine anni ‘80 a Villa Literno arrivano in tanti, per raccogliere i pomodori. Li avevano utilizzati già dieci anni prima: manodopera africana da far lavorare nei cantieri di edilizia abusiva. Le sponde campane, quindi, erano già note. Villa Literno diventa poi nota a tutti perché ci fu lì la prima manifestazione in assoluto contro il caporalato di Camorra. Gli africani si organizzano in una sorta di sindacato, ricordano l’episodio dell’uccisione di Jarry Maslow, ammazzato perché si rifiutò di pagare il costo di una giornata al capo-zona. Lo

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bruciano anche, perché lo scempio del corpo è tipico. Una serie di fortune mediatiche rendono Villa Literno nota, ci fanno un film, se ne occupa anche il coraggioso vescovo Nogaro. La Camorra reagisce dando fuoco alle baracche. La comunità inizia a fare pressione, vogliono vivere meglio, vogliono lavorare meglio e l’organizzazione non se l’aspetta: “Vi rendete conto che vi stiamo dando da mangiare, che vi stiamo facendo vivere, siete solo animali”. Manifestare a Villa Literno negli anni ‘80 significa esporsi al solito meccanismo: chi si lamenta per aumentare il salario viene licenziato, perché nessuno può pensare che esistano parti che trattino tra loro. Infatti non c’è mai un rappresentante, perché sarebbe il bersaglio. Subito dopo Villa Literno, viene ucciso don Beppe Diana, e c’è il tentativo riuscito dell’organizzazione criminale di costruirsi un rapporto con i “Rapaci”, la mafia nigeriana, che diventano interlocutori dei clan,

i quali ci guadagnano due volte: perché avere gli africani alleati significa avere sconti sulla droga. Quindi, avere tra gli africani interlocutori criminali conviene, tanto che viene consegnata Castel Volturno alla mafia nigeriana. E i Rapaci organizzano traffico di droga e prostituzione. Quando arrivò la notizia di Castel Volturno, nel settembre 2008, dissero che si trattava di un regolamento di conti tra bande: dei morti nessuno di loro era nigeriano, nessuno aveva precedenti penali e nessuno aveva rapporti col narcotraffico. L’obiettivo era terrorizzare la comunità africana, a colpi di kalashnikov. Un ragazzo ghanese, carrozziere, viene ammazzato perché quella sera va da un connazionale e quando incrocia il plotone ha la cintura di sicurezza... non riesce a slacciarla, mentre tutti gli altri scappano, uno del commando si accorge di lui, lì nell’auto che trema, e lo ammazza. Uccisi anche un barbiere, un sarto, un piastrellista. Nessuno ha raccontato questa

Loro vogliono stare lì, non vogliono andare via, vogliono crescere in un territorio migliore e le altre storie. Se si fosse trattato di una strage di italiani avremmo saputo tutto. Erano immigrati che lavoravano, che lavoravano duramente e che non c’entravano con la criminalità organizzata. Dopo l’esecuzione c’è la rivolta. Gli africani scendono in piazza e non sono i Rapaci. Non ci sono armi per strada. Ma madri, ragazzini, lavoratori, i quali dicono “mai più, non osate”, e lo dicono con la sicurezza di chi per sopravvivere ha già rischiato tutto. Loro vogliono stare lì, non voglio-

no andarsene, vogliono crescere in un territorio migliore, non come me che da piccolo sognavo di andar via, perché loro dicevano: “Questo territorio non è cosa vostra”. A Rosarno i giovani gambizzati, non sono una bravata come qualcuno ci ha raccontato. Quando ero piccolo io a Casal di Principe si sparava in testa ai cani per addestramento, ora gli adolescenti sparano agli immigrati. Anche il segnale stradale con il buco del proiettile ha un significato, vuol dire che il territorio è sotto controllo. Una prima rivolta di Rosarno non arriva sulle pagine nazionali, sulla seconda il ministero degli Interni ci dice che è stata lo scoppio di un malessere, non di uno scontro con la ‘Ndrangheta. Peccato che il giorno prima la casa di uno Bellocco fu accerchiata da un gruppo di africani, che volevano intimidirlo con l’unica arma possibile: il numero. Ora, dopo la cacciata degli africani da Rosarno, l’unica speranza rimangono le orga-

nizzazioni criminali. Le mafie in Germania molte volte non sono mica state fermate dalla polizia tedesca, ma dalla comunità italiana che non ci stava, da chi non voleva essere identificato con l’immagine di mafioso. La parte sana, quella che non si piega al potere criminale, che fa argine a quella malata. Qui, fino ad ora non lo abbiamo permesso. I migranti slavi, ad esempio, sono per lo più rassegnati per un episodio preciso: un centinaio di lavoratori polacchi spariti in Puglia, tre ventenni avevano fatto una denuncia il 10 agosto 2005 dove raccontano dettagliatamente il caporalato in Puglia. Ogni tanto trovano qualche ossicino, qualche resto di cadavere. Chi invoca leggi più severe sui migranti, come in Francia, in Germania, in altri paesi, dimentica di dire che qui non ci sono diritti certi e che 112 polacchi possono sparire prima ancora di potersi organizzare per protestare. *estratto dalla lezione tenuta alla Scuola Normale di Pisa il 22 gennaio 2010

Auto “esplosiva” a Reggio: c’è un arresto di Lucio Musolino

n filo rosso collega la bomUgresso ba esplosa davanti all’indella Procura generale di Reggio Calabria al rinvenimento della Fiat Marea imbottita di armi e abbandonata venerdì all’aeroporto, a pochi minuti dal passaggio del corteo di auto blu con il presidente Giorgio Napolitano. Un filo rosso che la ‘Ndrangheta sta tenendo ben teso da venti giorni, e che alle cosche lega Francesco Nocera, un meccanico di 46 anni arrestato ieri con l’accusa di favorire il piano intimidatorio ordito dalla ‘Ndrangheta. È il proprietario della Fiat Marea. Ne

aveva denunciato il furto poche ore prima che la macchina venisse ritrovata. Nelle dichiarazioni rilasciate ai carabinieri, l’uomo ha omesso particolari che avrebbero consentito di individuare l’autista dell’auto con dentro due fucili a canne mozze, una pistola semi automatica calibro 7 e 65, un revolver, tre passamontagna, una tanica di benzina con fiammiferi antivento e due ordigni artigianali. I precedenti di Nucera e le sue amicizie pericolose con esponenti della cosca Ficara-Latella hanno fatto il resto. Gli inquirenti non hanno dubbi nel contestargli l’accusa di favoreggiamento e detenzione il-

legale di armi ed esplosivo. Il tutto aggravato dall’articolo 7 della legge antimafia. E resta radicato il sospetto di un’unica regia che sta alimentando un clima di tensione che ha raggiunto il culmine il 3 gennaio con l’ordigno (una bombola a gas collegata al panetto di tritolo) collocato e fatto esplodere davanti alla Procura generale. Una sfida allo Stato. Una dichiarazione di guerra a quella magistratura che da qualche anno ha inferto colpi durissimi all’onorata società: dall’arresto del mammasantissima Pasquale Condello, “Il Supremo”, a quello del boss Giuseppe De Stefano, figlio di don Paolo. Dalle

informative dei carabinieri emerge un disegno inquietante. L’attentato alla Procura generale si inserisce in un momento storico in cui le cosche

Fermato il proprietario: è uomo vicino ai clan Piero Grasso: le ’ndrine sono in sofferenza

stanno vivendo una fase di riassetto. A piazzare la bomba sarebbero stati due soggetti a bordo di un ciclomotore guidato da una donna, ribattezzata “lady ‘Ndrangheta”. Il tipo di bombola utilizzata è identico a quelle noleggiate da un esponente della cosca Condello, imparentato con il “Supremo”. Chi ha agito è un professionista e ha avuto l’autorizzazione dei De Stefano, padroni incontrastati del centro storico. Ma c’è anche il radicato sospetto che dietro questa strategia ci sia il “non gradimento” delle cosche per il nuovo corso che sta caratterizzando l’attività della magistratura

reggina sul fronte della lotta alla mafia. Secondo il procuratore nazionale Piero Grasso “c’è sofferenza della 'Ndrangheta ma non parlerei di paura”. Poi, il capo della Dna, trova il tempo per polemizzare con la parlamentare Angela Napoli che ieri invocava l’utilizzo dell’esercito in chiave antiNdrangheta: “Se scoppia una guerra allora è giusto inviare l'esercito e magari l'onorevole Angela Napoli può fare anche la crocerossina. Ma in questo tipo di guerra contro il crimine organizzato non serve mostrare i muscoli, questi fenomeni si combattono con le indagini”.


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Sabato 23 gennaio 2010

Fiumi di inchiostro contro Emma: la strategia degli Angelucci

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POLITICA

rosegue l’offensiva del quotidiano della famiglia Angelucci, Libero, contro Emma Bonino. Dopo l’edizione di giovedì, concentrata per svariate pagine sul tema “Abortista e presidente”, ieri il giornale diretto da Belpietro rincara la dose e ritorna sui “procurati aborti” che la parlamentare avrebbe effettuato negli anni Settanta. “Gli scheletri presentano il

delle più potenti lobby della sanità? Con la giunta Storace, gli editori di Libero erano arrivati a gestire un business che si aggirava attorno ai 100 milioni di euro. Sotto Marrazzo le cose non erano cambiate di molto, se non che il pesante deficit della regione in materia sanitaria aveva portato a piani di rientro e a pesanti perdite (attorno ai 30 milioni di euro) per le cliniche della famiglia.

conto a Emma” è il titolo del servizio in seconda pagina, in cui si racconta Emma “mammana” ai tempi delle battaglie per l’aborto, quando dunque l’atto era illegale. Ma anche in terza pagina si insiste sulla faccenda, per non parlare dell’apertura del giornale che affronta “Il caso di Emma l’abortista”. Una questione morale? O una questione di interessi, visto che gli Angelucci in Lazio sono una

CLINICHE PRIVATE COMANDANO LORO

Nel Lazio il peso delle case di cura convenzionate è pari al 50% di Enrico Fierro

la sanità la fetta più ricca della torta. 11 miliardi di euro, l'80% del bilancio regionale del Lazio. Ospedali pubblici, cliniche private, centri universitari, ospedali religiosi, strutture accreditate, laboratori di analisi e di riabilitazione. Migliaia di ammalati e dipendenti da gestire. Un mare di soldi, ma anche di voti. Con la sanità si può arrivare ai vertici della politica, ma anche finire nella polvere. Scandali, inchieste e arresti non mancano. Eppure sarà proprio la sanità il terreno di scontro fra Renata Polverini e Emma Bonino. Privati e grandi lobby sono già al lavoro. E hanno già deciso di cambiare cavallo. Si torna a destra. Augusto Battaglia, già assessore alla Sanità della giunta Marrazzo, si mostra sconsolato: “Vedo con estrema preoccupazione aggirarsi attorno alla Polverini i protagonisti della vecchia sanità, gli attori degli scandali da lady Asl in poi, i responsabili dell’enorme deficit che ha divorato il settore nel Lazio”. Luigi Nieri, tessera di Rifondazione comunista in tasca ed ex assessore regionale al Bilancio, ha affidato al periodico Car ta i suoi giudizi sulla sanità durante il governo Storace. La gestione era caratterizzata da “affari, negligenze, squilibri finanziari, accreditamenti a strutture private oltre i bisogni reali e la capacità di sopporta-

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zione economica del Servizio sanitario nazionale”. Insomma, quanto bastava e avanzava per allargare il “buco” a 9 miliardi di debiti e due di deficit per ogni anno. Nel favoloso quinquiennio di Ciccio Storace e della giunta di centrodestra, è ancora Nieri a parlare, “molte delle decisioni sulla sanità laziale venivano prese in un loft dello Sheraton”. In pratica la “casa” di Lady Asl, Anna Iannuzzi, la protagonista di uno dei più grandi scandali della sanità del Lazio con immancabile contorno di mazzette, politici e funzionari pubblici corrotti. Lobby private e sanità religiosa. Nel Lazio il “mercato” è in mano a gruppi che fanno riferimento direttamente al Vaticano e a privati che si chiamano Angelucci, Ciarrapico, Raia, Paganini, Garofalo. Angelucci e Ciarrapico hanno due caratteristiche in comune: sono entrambi parlamentari del partito di Berlusconi ed entrambi editori. Tonino, fondatore e patron di Tosinvest, è editore di Libero e Riformista, dopo una fugace partecipazione nell'azionariato de L'Unità e un tentativo fallito nel 2007 di acquistare tutte le azioni del quotidiano fondato da Gramsci. L'ex braccio destro di Giulio Andreotti è invece il padre-padrone di ben dieci giornali locali, la maggior parte nel Lazio, qualcuno in Molise. Quotidiani che possono fare la fortuna o decretare la rovina di un politico. E la sanità

Candidature “calde”

TINTO CON I RADICALI

era allo sfascio nel Lazio dopo la “cura” Storace. Un sistema destinato ad esplodere senza un pesante risanamento. Una cura da cavallo che in pochi anni è riuscita quasi a dimezzare il deficit. Grazie anche ai tentativi di ridimensionare il peso dei privati, che nel Lazio è pari al 50% del bilancio delle Asl. Se poi si pensa che nel Piano regionale sanitario della Giunta Marrazzo era prevista la chiusura di 21 cliniche private, si capiscono meglio una serie di reazioni e prese di posizione delle grandi lobby. Ne sa qualcosa Augusto Battaglia, assessore alla Sanità della giunta Marrazzo, sgradito a Tonino Angelucci. L'ex portantino del San Camillo diventato imperatore della sanità privata, ne chiede la testa ai suoi amici dirigenti del Pd e la ottiene. É il 2007, la Tosinvest è investita dallo scandalo del San Raffaele di Velletri. I carabinieri dei Nas sono entrati nell'istituto e hanno sequestrato cartelle cliniche, documenti e bilanci. Il patron Tonino è furibondo: “Ma al Comando generale (dell'Arma, ndr) chi mandano in giro?”. E giù pressioni e telefonate. Perché gli Angelucci sono fortissimi, bipartisan, sanno come arrivare al cuore della politica e

Emma Bonino e la sede della Regione Lazio (FOTO ANSA)

L’ex assessore Battaglia: “Vedo i protagonisti dei vecchi scandali sanitari aggirarsi attorno alla Polverini” del potere. “Antonio Angelucci”, scrivono i magistrati, “svolge un'azione di pressing sulla Regione, a elevati livelli politici, per isolare l'assessore alla Sanità Augusto Battaglia”. Un'operazione che pochi mesi dopo, giugno 2008, va in porto. Tutto come previsto. Il patron è soddisfatto. “Ho fatto l'accordo, finalmente levano la delega a quel deficiente di assessore”. Battaglia oggi non commenta. “C'è una inchiesta aperta”, ma insiste: “Sono allarmato vedo troppi vecchi squali della sanità aggirarsi attorno alla Polverini”.

Il vescovo che sostiene la radicale

“C

ontano i fatti, non i temi etici”. Punto. Come a dire: tutto il resto è solo polemica, strumentale, legata alla battaglia politica sul nome di Emma Bonino. È l’opinione di don Salvatore Del Ciuco, vicario del vescovo viterbese monsignor Lorenzo Chiarinelli, a sua volta vicepresidente della Conferenza episcopale laziale, espressa a Federica Lupino sulle pagine de il Messaggero. Per lui “un giudizio sulla buona amministrazione della Bonino lo si potrà dare solo dopo aver veduto quello che per Viterbo concretamente avrà fatto. Sono i fatti e non i temi etici che i viterbesi si aspettano da un governatore della regione”.

REGIONALI IN CAMPANIA

DI PIETRO: “CANTONE? È TRA I NOMI CHE HO DATO A BERSANI” di Vincenzo Iurillo

ttacca con veemenza gli imprenAlia-Agile ditori che hanno decotto Eutee le istituzioni rimaste a guardare, proclama sfiducia verso la Consob e tutti quegli organismi “dove i controllati nominano i controllori e questi sono i risultati”, liquida con un “tanto vale suicidarsi” l’eventualità di un terzo mandato di Antonio Bassolino alla regione Campania. Fin qui è l’Antonio Di Pietro “solito”. Ma nella visita di sostegno ai 148 dipendenti campani ex Eutelia che dal 24 dicembre presidiano l’ingresso degli uffici a cui non possono più accedere e tengono il registro presenze

Il regista di “Monella”, Tinto Brass, si candiderà nelle liste dei Radicali in Veneto e nel Lazio per le regionali. Lo ha annunciato lui stesso, precisando che sono stati i Radicali a proporglielo e che il suo programma avrà un solo punto: Eros è liberazione.

PAROLE SANTE

Il leader dell’Idv ha fatto le sue proposte al segretario Pd, ma il magistrato non sembra interessato a candidarsi

per strada, il leader di Idv va oltre e prova a lanciare un sasso nell’acqua stagnante delle trattative del centrosinistra campano. Centrosinistra condizionato da un Pd locale fermo al palo nella ricerca del candidato governatore da contrapporre al Pdl Stefano Caldoro. “Ho proposto a Bersani – dice Di Pietro – una rosa di nomi che stanno in una mano. Non sono di Italia dei Valori, ma della “Campania dei Valori”: esponenti della società civile che possono garantire il riscatto in questa regione. Tra questi c’è anche Raffaele Cantone. Gli altri? Non li rivelo, non è il caso di bruciarli”. Peccato che da ambienti vicini a Cantone – indicato nei giorni scorsi anche dall’esponente del Prc Tommaso Sodano – rimbalzino notizie sull’indisponibilità del magistrato antiCamorra a scendere in campo. Così il pallino è sempre nelle mani del segretario regionale del Pd Enzo Amendola, che ieri alle 19 ha radunato nell’Hotel Tiberio i 58 componenti della direzione campana con lo scopo di dipanare la matassa della candidatura. Diverse le opzioni in campo. A cominciare dal nome dello

stesso Amendola, classe 1972, che potrebbe essere investito di un mandato esplorativo. In calo le quotazioni del rettore Guido Trombetti, che paga il fallimento della tattica attendista del Pd che voleva allargare la coalizione all’Udc affidandone la guida a un esponente della società civile. Tattica così commentata dall’ex ministro Luigi Nicolais: “Abbiamo commesso l’errore di corteggiare una ragazza senza considerare che forse si era già fidanzata con un altro”. Con i centristi di Casini sempre più vicini all’accordo con Caldoro, il rettore della Federico II avrebbe fatto sapere di non essere disposto a immolarsi. C’è poi il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca che pensa a uno strappo stile Emma Bonino: autocandidarsi, confidando nell’appoggio incondizionato dei franceschiniani e del Pd salernitano, e vedere se il partito campano lo segue o lo ostacola. L’ultima opzione è quella di resuscitare le primarie. Prima fissate per il 24 gennaio, poi annullate, potrebbero essere celebrate domenica 31 gennaio.


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“Eva contro Eva”: le tappe di una sfida al femminile

C

POLITICA

hi avrebbe pensato, qualche mese fa, che la sfida nel Lazio sarebbe stata tutta al femminile? Prima arriva, per il Pdl, la candidatura di Renata Polverini che rompe gli indugi e si butta in politica. Di fronte al nome dell’ex leader sindacale, il Pd (già in difficoltà dopo la vicenda Marrazzo) tergiversa e non oppone rapidamente un proprio esponente. Il 5 gennaio, invece, scende

nell’arena Emma Bonino. In prima battuta i Democratici non sembrano entusiasti. La reazione, infatti, è quella di mandare in missione “esplorativa” il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti. In sostanza deve capire se ci sono le condizioni di sostenere la radicale Emma e come si comporterà l’Udc. Che il 7 gennaio rende nota la sua posizione: sosterrà la Polverini. Anche se questo, precisa il

segretario Lorenzo Cesa, non significa “sostenere i partiti della sua coalizione”. L’esplorazione del Pd dura poco. Qualche giorno dopo Bersani incontra la Bonino, in un’azione di avvicinamento rapido. Lei, intanto, ha già ricevuto il via libera di Sinistra e Libertà. E il sostanziale placet dell’Idv. Infine il pieno sostegno del Pd. Nonostante le minacce della cattolica Paola Binetti di andarsene dal partito.

TUTTA CASE E CHIESA Gli affari immobiliari di Renata Polverini e quell’appartamento comprato dallo Ior

In alto l’appartamento comprato dall’Inpdap. Sopra, Renata Polverini (FOTO ANSA)

di Marco Lillo

a prima scena consegnata ai biografi immortala la piccola Polverini nella sua modesta casa romana. Renata si è appena diplomata all’istituto di ragioneria della Magliana. La sua materia preferita è l’educazione fisica e vorrebbe iscriversi all’Isef. Mamma Giovanna, umile sindacalista della vecchia Cisnal (il sindacato di destra che oggi si chiama Ugl) deve dirle di no. Rimasta vedova quando Renata aveva due anni, è stanca di tirare la carretta da sola. Guarda la figlia con gli occhi rossi e per la prima volta la tratta da donna: “Renata, non ce lo possiamo permettere”. In quell’istante, racconterà poi lady Ugl a Vittorio Zincone sulMagazine, “realizzai che le cene di mamma a base di pane e tè non erano solo una tecnica per restare leggeri”. La scena finale è ritratta da Giovanna Vitale su Repubblica: “47 anni, da 4 alla guida dell’Ugl, il piccolo sinda-

L

cato di destra che lei ha portato al tavolo dei grandi, corteggiatissima dai talk show e frequentatrice della Roma bene che ama ricevere nel suo salotto sull’Aventino”. Il passaggio dalla Magliana al salotto dell’Aventino sembra la declinazione immobiliare del “sogno italiano”. Il catasto parla chiaro: Renata Polverini possiede due appartamenti (con quattro ingressi) per complessivi 16,5 vani catastali più tre box e due cantine in un palazzo non lussuoso ma incastonato nel verde della collina di San Saba, tra Aventino e Testaccio. Come ha fatto ad accumulare un patrimonio che vale oggi circa 1,5 milioni di euro? La leader sindacale nel 2002 ha acquistato una delle sue case a prezzo stracciato dallo Ior, la banca del Vaticano. Mentre la seconda è arrivata (a prezzo più alto) da una società vicina allo Ior, la Marine Sud Investimenti, intestata per il 99 per cento a una società anonima.

Non solo: la leader sindacale ha comprato con lo sconto un appartamento all’Eur dell’Inpdap, l’ente nel quale l’Ugl è rappresentato o sovrarappresentato (vedi box). Non c’è nulla di illecito ma è bene chiarire tutto. Renata Polverini è sostenuta dalla Chiesa contro l’abortista Emma Bonino. Ma, per risanare la sanità laziale dovrà intervenire anche sulle cliniche del Vaticano. E poi c’è la questione dei soldi. Ogni volta la sindacalista ha acceso un mutuo per comprare ma le rate sono state onorate grazie a uno stipendio rilevante per una sindacalista. Al Magazine, disse di guadagnare “solo” 3 mila euro al mese. Ma nella classifica delle dichiarazioni dei redditi pubblicate nel 2008 risultava davanti agli altri leader sindacali con 140 mila euro lordi annui. Evidentemente i numeri (degli iscritti e dei redditi) non sono il suo forte. Per fortuna va meglio con gli affari. Il 28 marzo del 2002 compra dall’Inpdap vicino all’Eur, al Torrino, un secondo piano di sette vani catastali più box e cantina. Sono i palazzi abitati anche da sindacalisti e politici raccomandati, quelli descritti dal Giornale di Vittorio Feltri nel 1995. Evidentemente Affittopoli non riguardava solo i sindacati di centrosinistra. Dopo quella campagna, alla fine degli anni novanta, l’allora rampante sindacalista ottiene un appartamento appena costruito in affitto. Poco dopo lo compra, grazie allo sconto riservato a tutti gli inquilini e pari al 40 per cento, al prezzo stracciato di 148 mila e 583 euro. La casa sarà poi venduta il 4 aprile del 2007 per un prezzo dichiarato di 234 mila euro, 150 mila in contanti e il resto come accollo del mutuo. Il prezzo non è giusto nemmeno stavolta. Basti dire che il settimo

Ugl e iscritti: dati falsi perdite vere IL SINDACATO DELLA POLVERINI, L’UGL, è stato accusato di taroccare i dati sugli iscritti. L’inviato di Report, Bernardo Iovene, ha raccontato che l’Ugl dichiara 2 milioni e 145 mila iscritti. Se fossero veri, sarebbe il terzo sindacato. In realtà, almeno nei pensionati, l’Ugl è addirittura il quinto sindacato. In questo settore dichiara più di 500 mila iscritti. Ma le trattenute in busta paga smentiscono le dichiarazioni trionfali. Ugl è lontanissima dalla Uil. Non solo. Senza rumore mediatico, grazie alle sue varie sigle tra cui la più nota è lo Snals-scuola, la quarta confederazione è la Confsal. I dati sono impietosi. Da un lato dimostrano che i numeri della Polverini sono falsi. Dall’altro segnano un calo netto nella sua gestione. Cgil e Cisl perdono più iscritti ma in percentuale é l’Ugl a soffrire di più: meno 4 per cento.

Un primo piano all’Aventino con 6 camere, 3 bagni e due box dalla banca del Vaticano: 272 mila euro piano dello stesso palazzo, molto più piccolo (4 vani contro sette) e senza box viene comprato all’asta negli stessi giorni a 256 mila euro. Il fatto è che Polverini vende al segretario confederale dell’Ugl (suo amico e sostenitore) Rolando Vicari. Ancora più interessante è la storia dell’abitazione di San Saba. Polverini compra dallo Ior, la banca del Vaticano coinvolta in tanti scandali, il 17 dicembre del 2002 un primo piano con doppi ingressi, 5 camere, cameretta più tre bagni, cucina e tre balconi, più due box e cantina, al prezzo di 272 mila euro, un

vero affare. Il prezzo di mercato è il doppio. “Non c’è stato nessuno sconto dello Ior”, dice oggi Renata Polverini, “ho seguito la stessa trafila degli altri acquirenti di appartamenti nel palazzo. Ho comprato tramite un’agenzia”. Meno di due anni dopo, nel 2004, il leader Ugl compra un secondo appartamento gemello al piano terreno dalla Marine Sud Investimenti amministrata da Michele D’Adamo. Il piano terra costa 666 mila euro, più del doppio, e ha solo un box. Le ipotesi sono due: lo Ior ha fatto un prezzo basso alla Polverini oppure ha dichiarato meno del pagamento reale. Comunque la sindacalista non si ferma. E subito dopo vende una delle stanze per poter pagare il mutuo. La vicina sgancia 50 mila euro. Per un solo vano.

“Il dovere di informare, il diritto di essere informati” ASSEMBLEA NAZIONALE PER ARTICOLO21, DEDICATA ALLA LIBERTÀ DI STAMPA E ALLA COSTITUZIONE di Elisabetta Reguitti

i è aperta ieri, ad AcquasparSsemblea ta in provincia di Terni, l’asnazionale “Il dovere di informare, il diritto di essere informati” organizzata dall’associazione Articolo21. Difesa della Costituzione e della libertà di informazione i temi del forum al quale hanno aderito, tra le tante realtà, Arci, Libertà e Giustizia, Tavola della Pace, Anpi, Reporters Sans Frontières Italia, Fnsi, Liberacittadinanza e ancora Associazione nazionale giuristi Democratici, Giovani per la Costituzio-

ne, l’Anac (associazione nazionale autori cinematografici), Il popolo viola, Fare sviluppo, Mediacoop, Cgil e Libera. Obiettivi: aprire una nuova stagione di confronto tra società civile, mondo delle professioni, associazioni di volontariato, sindacati, movimenti e politica sui 139 articoli di “sana e robusta Costituzione”; promuovere un dialogo con le rappresentanze della società nazionale, per definire i contenuti di prossimi impegni a difesa dell'ordinamento costituzionale e per lo sviluppo democratico, pluralistico, giusto

della società. Linguaggi diversi con un unico fine: difendere la Costituzione. Relazioni di 15 minuti per quanti intendano far sentire la propria voce in difesa della Carta. Ad Acquasparta si vuole creare una rete tra movimenti. Soggetti in grado di promuovere 365 giorni di incontri e manifestazioni per la libertà, la solidarietà e la legalità a difesa della Costituzione. Ma anche creare un osservatorio delle “notizie non date” e soprattutto lanciare la campagna “Ti illumino di più” per raccontare il mondo che sparisce spesso confinato nei

cassetti di tante redazioni. Ma Acquasparta intende segnare il passo rispetto all’emergenza democratica. “Bisogna intervenire per fermare l’ipotesi di una Repubblica presidenziale a telecomando unificato, che punta all’indebolimento dei poteri di controllo, del Parlamento, della Giustizia dopo avere già fatto morti e feriti nel sistema dell’informazione” ha affermato il portavoce di Articolo21. Ieri c’è stata l’apertura dei lavori che oggi proseguiranno (nella sala della Cultura Matteo di Acquasparta) con l’intervento, tra gli altri, di

monsignor Franco Paglia fondatore della comunità di Sant’Egidio, dei lavoratori dell’Ispra, dell’associazione familiari vittime dell’amianto di Casale Monferrato e quelli della Umbria Olii che lanceranno ai media le loro lettere aperte sulla scomparse dei “fatti”. Non mancheranno i rappresentanti dell'Anpi a difesa delle Memoria. In serata si terrà un incontro dal titolo Il caso Iran, la protesta verde con Ahmad Rafat. Domani interverranno il magistrato Antonio Ingroia e il costituzionalista Roberto Mastroianni.

IL FATTO POLITICO dc

Weekend decisivo di Stefano

Feltri

il Partito Pdueerdemocratico iniziano giorni in cui si deciderà buona parte del suo successo alle prossime elezioni regionali di marzo. E la giornata di ieri, quindi, è stata una lunga vigilia. In Puglia Nichi Vendola sfida Francesco Boccia, che sarebbe il candidato di mediazione necessario per l’alleanza con l’Udc. Se il progetto pugliese Pd-Udc fallisse, sarebbe più facile il completo riassorbimento di Pier Ferdinando Casini nel centrodestra. Il ministro Gianfranco Rotondi prepara il terreno: “Con l'Udc si potrà ricucire quello che si è lacerato”. Mentre Casini, rassicurato solo in parte dalle posizioni espresse dall’Ufficio di presidenza del Pdl di due giorni fa, annuncia: “Con l'Udc si potrà ricucire quello che si è lacerato”. omenica ci sarà anche Dfavore la manifestazione a della Tav a cui interverranno i politici del Pd piemontese favorevoli all’infrastruttura. Può essere l’ennesima occasione di tensione con i No-Tav (ce ne sono state molte in questi giorni), oppure l’occasione per rimediare a quella che il sindaco di Torino Sergio Chiamparino definisce una una “situazione rischiosa” creata da una “partita delle candidature” che ha di fatto “esternalizzato la leadership” (all’Udc). Umberto Bossi, segretario della Lega che nei giorni scorsi si era lasciato sfuggire qualche perplessità inedita sulla Tav, precisa: “E’ evidente a tutti che sono favorevole alla Tav”. nche a destra restano Ariguardo in sospeso molti punti alle regionali e l’esito delle primarie pugliesi potrebbe innescare un domino che consentirà di riempire le caselle ancora vuote (intanto il ministro Mara Carfagna si candida come capolista in Campania). si regge Ttrautto sull’enensima tregua Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Ma il presidente della Camera inizia già a rimarcare la propria diversità, parlando di un parlamento debole vittima di “interessi oscuri” e lasciando intendere che la norma sul processo breve potrebbe cambiare molto nel passaggio alla Camera.


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CASO PUGLIA

“Solo con tutti” il ciclone finale di Vendola In giro con il candidato Comizi a raffica sempre diversi di Luca Telese

er esempio a Taranto, quando le mamme in prima fila si commuovono con i bambini stretti tra le braccia e lui grida: “Voi lo sapete cosa c’è voluto, per andare a mettere i sensori sopra le ciminiere dell’Ilva! E poi per votare una legge regionale che obbligasse le imprese a ridurre il limite di emissioni di diossina da 10 nanogrammi a uno solo. Uno!”. E’ come un’onda di emozione, prima ancora che un sentimento politico, qualcosa che attraversa la platea: “E voi lo sapete che cosa ho detto al padrone dell’Ilva, quando ci ho parlato? ‘Dottor Riva, io con lei sono stato scostumato. Io spesso l’ho insultata, pubblicamente. L’ho criticata quando lei ha licenziato gli operai… quando ha fatto resistenza ai controlli. Perché vede, dottor Riva io la rispetto, ma non sono sul suo libro paga! Se lei da cattolico ama la vita, deve rispettare anche la vita dei bambini di Taranto che si ammalano di tumore!’”. E a quel punto boato, ovazione, applausi, cori dal fondo “Ni-chi, Ni-chi!”, nella città più avvelenata d’Italia.

P

NICHI-EXPRESS. Se si vuole provare a capire cosa sta accadendo in Puglia, dove il ciclone di Nichi Vendola ancora una volta sconvolge i calcoli della classe politica e ribalta il verdetto di una partita che lo vedeva solo contro tutte le segreterie dei partiti del centrosinistra, non bisogna fare altro che seguirlo: ore, chilometri, discorsi a raffica, uno dopo l’altro. Oppure entrare nel suo quartier generale, a Bari, “La fabbrica di Nichi”. Un locale spartano arredato con materiali di recupero (tappi colorati per disegnare la cartina della Puglia, scatole di cartone al posto dei mobili, un logo con lettere di stoffa ritagliata) dove ogni giorno lavorano 30 volontari. Ci sono

solo i tavoli: età media 25 anni, ognuno con il suo portatile, stanno tutto il giorno sulla Rete a battere su Twitter e Facebook, ad aggiornare il sito, a coordinare i Nichi-express, ovvero gli autobus che fanno tornare in Puglia, gli studenti che vogliono votare alle primarie. “La fabbrica” da un contributo, i ragazzi pagano il resto (ogni autobus costa 2.500 euro). Ieri, giunti a quota 15 Nichi-bus, Ciccio Ferrara – l’uomo-macchina – ha allargato le braccia: “Abbiamo altre trenta richieste ma non abbiamo più una lira”. VIDEO LETTERE. Oppure, per esempio le video lettere. Ogni giorno, a notte fonda, Vendola torna dai suoi massacranti giri di comizi, e ne registra una nella stanzetta in fondo. C’è un ragazzo con la webcam, la scenografia di un muro con qualche adesivo attaccato e il candidato che scherza: “Oh, così sembra la prigione di Aldo Moro…”. Ma, ogni sera Vendola registra una video-lettera che finisce sul sito. Ai fuorisede, alle madri, persino una, agrodolce a Massimo D’Alema. Il giorno dopo quel messaggio diventa regolarmente il titolo di apertura della Gazzetta del Mezzogiorno. Guerriglia mediatica a costo zero, ma efficacissima. Ci sono anche i sei per tre, 34 in tutto (hanno svuotato le casse del comitato). La campagna pubblicitaria, invece, è stata approntata, a prezzo politico, dai creativi di Proforma. Un grande manifesto con Vendola contornato da una folla di ragazzi. Slogan: “Solo contro tutti”. Ma siccome “tro” è cancellato, lo slogan diventa: “Solo con tutti”. E tutti l’hanno capita, tranne Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, che ha denunciato un peccato di narcisismo (proprio lui, che ne è notoriamente immune). IRONIE ANTI-MACHO. Non ci sono due appuntamenti

dove faccia lo stesso discorso. Per esempio a Brindisi, dove sfodera un registro tutto ironico, in cui scherza e persino sulla propria omosessualità. Esordisce citando uno striscione: “Anche qui, Donne per Nichi….”. Sospiro teatrale. “Non sapete quanto mi faccia piacere, ma devo confessarvi che questa cosa mi sta creando problemi a casa” (risate, applausi). Per esempio a Fasano, alle undici di sera, con un megafono di fortuna, nella piazza centrale, trecento persone strette nei cappotti e un freddo cane: “Il primo gesto di Nichi presidente – spiega il coordinatore che lo introduce – è stato riaprire i reparti del nostro ospedale chiuso da Fitto! Nichi, noi siamo qui perché non ce lo siamo dimenticati”. E lui risponde con un discorso contro il localismo, spiegando che la cosa di cui va orgoglioso “è aver riorganizzato dal nulla la Protezione civile, che in questa regione non esisteva!”. Alcune volte Vendola si dimentica persino di fare un appello al voto per le primarie. Va nei posti e lega la sua storia a quella delle persone che incontra. A Foggia, mille persone, e gli “internalizzati” della Sanità (quelli che lavorano nelle cooperative dei subappalti e che lui ha fatto assumere) con gli striscioni: “Ci avevano raccontato che era il mercato che imponeva la vostra precarietà… Ma poi scoprivo che le ditte di subappalto pagavano i lavoratori in nero, li facevano lavorare più del contratto e li pagavano meno! Allora abbiamo fatto una società della regione, vi abbiamo assunto, e abbiamo risparmiato un milione di euro!”. A un certo punto si alza un uomo con un bambino: “Nichi, ho chiamato mio figlio Nicola, perché tu ci hai ridato la speranza!”. Scena simile a Lecce, un uomo grida: “Presidente, grazie a te mia moglie adesso è incinta”. Sorriso e battuta senza rete del governatore: “Oddìo, il padre

chi è?”. Viene giù la sala e incredibilmente l’uomo non si offende. ANELLO D’ORO. Ecco, se si vuole capire che cosa sta sorreggendo il governatore in queste ore bisogna sentirlo quando parla della vicenda dell’iscrizione nel registro degli indagati: “Quest’estate, quando mi hanno sbattuto nel Tg1 di Minzolini con il titolo ‘Prostitute e cocaina’ stavo per mollare tutto. Ero disgustato. Ho detto a mia madre: ‘Meno male che papà non c’è più…”. Grida dalla sala: “Noooo! Nooo!”. E qui si innesta un numero quasi teatrale. Vendola si tocca il pollice, si sfila un anello d’oro: “Lo sapete cos’è questa? E’ la fede che un pescatore di Mola di Bari mi ha relegato quando sono stato eletto, il ricordo più ricco che aveva di sua madre. E’ il mio anello di fidanzamento con il popolo della Puglia! E io mai potrei macchiarmi di un reato, o di una scorrettezza, sapendo che lo porto al dito… Perché mi conoscete: io non ho case, non ho soldi, non ho truppe cammellate. Ho solo la mia onestà!”. Di nuovo gli applausi lo sommergono. Oppure quando racconta: “Il più bel regalo di Natale che ho ricevuto è la lettere di Danielle, madre di tre bambini, che mi ha scritto: ‘Ho passato bene il primo Natale della mia vita, grazie di avermi aiutata’”. Quando D’Alema e i suoi uomini attaccano Vendola

gli rimproverano di essere “un raccontatore di sogni”. Uno “Jacopo Ortis”, “un poeta”. Ma quando giri per le piazze di questa campagna elettorale, invece, trovi pezzi di comunità che sono stati toccati dall’inedita ed eclettica rete del welfare vendoliano. Non solo madri e disoccupati, pazienti, ma un pezzo di borghesia che spesso è stato catturato fuori dai confini della sinistra. Costruttori – come Fabrizio Nardoni, vicepresidente di Confindustria Taranto – conquistati dall’idea “dell’edilizia ecocompatibile”. Oppure imprenditori che si sono buttati sul business dell’eolico (“Compravamo energia, ora siamo il primo produttore italiano”). O incuriositi dal tormentone dei pannelli solari: “Lo

La scuola va avanti a contributi volontari

sapete? A Verona, alla fiera del solare, c’era un solo politico italiano. E sapete chi era? Io! Ho visto dei pannelli di nuova generazione che sono ‘sexy’ e che assorbono dieci volte più energia dei vecchi. Se vinco li voglio su ogni edificio pubblico di questa regione! E voglio vendere ancora più energia!”. Scelte politiche che gli hanno portato l’unica dichiarazione di voto che Beppe Grillo abbia fatto per un politico in questi anni: “Il movimento Cinque Stelle non si presenta e invita a votare per Vendola”. Per non parlare delle borse di studio e dei master pagati ai giovani (il vero motore del sistema vendoliano) in tutta Europa: 10, 15 mila euro a fondo perso con una sola condizione: “Noi abbiamo fatto studiare gli splendidi ragazzi di questa regione – ha raccontato Vendola a Bari – anche quelli che non vengono da famiglie povere. Con una sola condizione: che provino a tornare a casa, e a portare le loro conoscenze qui, nella loro terra”. E così, in ogni città e paese in cui Vendola mette piede, appena scende dalla macchina c’è una ragazza che fa: “Sono Giulia, ho fatto ‘Bollenti Spiriti’ l’anno scorso!”. C’è un pezzo di Puglia che lo ama per queste coNichi Vendola nell’illustrazione di Manolo Fucecchi

Vendola, pronto alla sfida delle primarie, punta su welfare, energia pulita e istruzione se, e non è quel tipo di consenso che si può costruire in una settimana o un mese. L’ultimo anello di ragionamento è l’unica strofa che si ripete su tutte le piazze: “Sì, sono solo, perché non sono mai rimasto intrappolato nel Palazzo. Sono solo perché con la nostra esperienza di Riformismo radicale abbiamo fatto passare la pubblica amministrazione della Puglia, in cinque anni, dal feudalesimo al capitalismo. Sono solo perché non ho paura”. L’ultimo miracolo di Vendola è tutto qui: aver trasformato la propria debolezza nella propria forza. E aver usato la guerra di D’Alema come un lavacro rigenerante. E così, per la seconda volta, se Vendola perde sarà “Jacopo Ortis” come vuole D’Alema, ma se – come sembra – vince le primarie contro gli apparati, viene proiettato alla vittoria alle regionali.

SARDEGNA

CACCIA AL CONSIGLIERE FANTASMA F

ossero a scuola rischierebbero la bocciatura per le troppe assenze. Ma questo pericolo non c’è perché ad essere indisciplinati non sono giovani studenti, bensì persone un po’ più cresciutelle e con un ruolo che imporrebbe grande senso di responsabilità: i consiglieri regionali della Sardegna, che ogni mese, sommando lo stipendio base, indennità, diaria e una voce per il pagamento di eventuali collaboratori, si portano a casa una cifra che supera i 15 mila euro. Ovviamente non tutti tassabili. Giusto per fare un paragone, dieci volte tanto lo stipendio medio di un operaio, straordinari compresi. Un assenteismo bipartisan che giovedì mattina ha costretto Claudia Lombardo, presidente del Consiglio regionale, a rinviare la seduta: erano presenti, infatti, appena 11 consiglieri su 80. Lombardo, con piglio severo, ha rimbrottato i colleghi e, non potendo “bocciare” gli assenteisti, ha annunciato che pubblicherà sul sito (Cinzia Simbula) istituzionale presenze e assenze.

SI MOLTIPLICANO GLI ISTITUTI CHE CHIEDONO SOLDI AI GENITORI di Paola Zanca

un po' raccoglieranno i soldi perfino con gli Tnatrasms. “Come con i terremoti, come per i disastri urali”, dice un papà. Non servono a ricostruire una città distrutta, ma a tenere in piedi una scuola che cade a pezzi. Quella pubblica italiana. Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato la storia dell'Istituto Domenico Purificato di Roma e dei 30 euro che sono stati chiesti ai genitori, in assenza di fondi del ministero per il funzionamento della scuola. Cambiano le cifre, ma a chiedere l'elemosina sono ormai la stragrande maggioranza dei dirigenti scolastici. All'Istituto Livia Gereschi di Pontasserchio, provincia di Pisa, di euro ne hanno chiesti 20: servono a comprare il materiale didattico, a pulire i locali, a fare le fotocopie e comprare i libretti di giustificazione. Stessa cifra ad Aversa, comune del casertano:

anche qui, già dall'anno scorso, la scuola è vittima “del continuo assottigliarsi del contributo ordinario che lo Stato mette a disposizione”, come ha scritto la preside nella lettera ai genitori. Nel 2005 dal ministero erano arrivati 13800 euro per le spese di funzionamento, nel 2008 si era scesi a 5200, fino ad arrivare a quota zero. Alla Giacomo Leopardi di Pesaro, “come negli anni precedenti”, chiedono di versare 33 euro. I genitori della 2E, sul loro blog, si lamentano dell'indifferenza di alcune famiglie, visto che “in passato si è registrato uno scarso afflusso di contributi volontari che pure sono molto importanti per l’attività didattica che viene progressivamente penalizzata dai provvedimenti del governo che taglia i finanziamenti all’istruzione pubblica”. “Sarebbe auspicabile – proseguono i genitori – una maggiore sensibilità verso le necessità dei nostri ragazzi sia versando la quota per nulla proibitiva, sia

facendo sentire la voce dei genitori quando si parla di tagli all’istruzione. Consideriamo il contributo un piccolo investimento sulla preparazione dei nostri figli: andiamo a fare il bonifico”. Il punto è questo: che le scuole chiedano contributi (volontari) alle famiglie non è una novità. Addirittura nel 2007 il decreto Bersani aveva introdotto la possibilità di detrarre questa spesa nella dichiarazione dei redditi. La differenza sta nei motivi per cui vengono richiesti: se prima gli istituti potevano ricevere contributi e destinarli “all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa”, oggi si può fare cassa su qualsiasi cosa. Anche su quelle voci di bilancio di cui dovrebbe preoccuparsi il ministero. Chi lo ha deciso? Il ministro Maria-

stella Gelmini, in una nota diffusa alle scuole lo scorso 22 dicembre. Lo spiega il professor Giuseppe Marotta su lavoce.info: “Secondo il ministro, si deve attingere all’avanzo di amministrazione, la cui componente di fondo cassa comprende i contributi volontari, per colmare la carenza di finanziamenti relativi alle spese ordinarie per l’erogazione del servizio scolastico di base”. È un terremoto, una catastrofe. Ma non possiamo prendercela con Madre natura.

Una nota del ministero autorizza i presidi a fare cassa anche su carta igienica e fotocopie


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CRONACHE

SEXY GATE CON TRUFFA Si aggrava la posizione del sindaco di Bologna, che oggi sarà interrogato dai pm

di Silvia Truzzi

opo la buca presa da Cofferati, l’uscita di strada di Delbono non ci voleva: Pd incidentato, ammaccato, soprattutto scosso. E molta tensione a Bologna, culla rossa d’Italia. Dove il fu Pci ha radici (e interessi) saldi. Ma non i nervi. Ieri il sindaco è stato invitato (le parole a volte hanno suoni più dolci del loro significato) dalla procura a presentarsi oggi di buon mattino (interrogatorio alle 9) per spiegare e giustificare i suoi viaggi all’estero, quando era vicegovernatore, con segretaria-fidanzata al seguito. Oltre alle accuse di abuso d’ufficio e peculato, ieri se n’è aggiunta un’altra: truffa, aggravata perché commessa ai danni di un ente pubblico e da parte di un pubblico ufficiale. Le missioni all’estero su cui i magistrati si stanno concentrando sono sette: Pechino, New York, Gerusalemme, Parigi, Praga, Santo Domingo e Messico. Molte nuvole su quest’ultimo viaggio perché la signora ha già dichiarato che “è stata proprio una vacanza, pagata con che soldi non so”. La difesa sembra però molto serena: solo un equivoco. Delbono avrebbe dovuto partecipare a un convegno a Città del Messico e

D

aveva già iniziato le pratiche di rimborso per la diaria giornaliera. Poi avrebbe rinunciato al convegno, optato per le ferie con la compagna e avrebbe dimenticato di stoppare il rimborso, comunque di poche centinaia di euro. Il procuratore aggiunto Massimiliano Serpi e il sostituto Morena Plazzi ascolteranno il sindaco solo su questo aspetto dell’indagine: non sul misterioso bancomat e gli affari bulgari (Delbono ha un appartamento a Sofia) perché sono ancora in corso gli accertamenti. Il bancomat, dal quale la signora Cracchi poteva prelevare fino a mille euro al mese, è di Mirko Divani, dirigente in pensione di Farmacom (ora consulente del Cup, uno dei posti preferiti del sindaco: ci ha mandato a lavorare anche la sua ex segretaria-fidanzata alla fine del loro rapporto). Ricevuto l’invito della Procura, ieri Delbono si è precipitato negli studi Ètv, emittente locale, dove ha rilasciato un’intervista con appello ai bolognesi. L’intrepido giornalista ha esordito: “Non le chiedo nulla sui fatti di questi giorni perché sono oggetto di indagini”. Ma a una domanda poi si spinge: “È riuscito a lavorare in questi giorni convulsi?”. Così inizia un interessante excursus sulle attività dell’ammini-

strazione: la sistemazione delle buche stradali (davvero), l’inaugurazione di un nuovo reparto al Bellaria, la definizione del percorso del Civis (un tram a guida ottica che hanno adottato a Ruens, cui i cittadini vorrebbero dar fuoco e i cui lavori stanno sventrando Bologna). A fine “intervista”, l’appello ai bolognesi: “Siate sereni, chiarirò tutto. Abbiate fiducia, nei magistrati ma anche in chi vi governa”. Intanto il clima in città comincia a scaldarsi. Siluri da destra. Filippo Berselli, reggente del Pdl regionale e presidente della Commissione giustizia in Senato: “Chi ha giocato e strumentalizzato la questione morale oggi vi si trova affogato andranno in difficoltà il Pd e soprattutto il suo principale alleato da sempre giustizialista: cercano la pulce nel centrodestra, ma in questo momento si trovano conficcata una trave nell'occhio”. Giancarlo Mazzuca, ex direttore del Resto Carlino e candidato Pdl alla Regione Emilia-Romagna: “Que-

SENTENZE

SÌ AL CROCIFISSO, NO AL GIUDICE uigi Tosti sapeva di giocare da solo – senza l’assistenza di un avvocato o di un collega magistrato – nel campo affollato tra laicità e simboli religiosi: “O date ragione a me e rimuovete i crocifissi nei tribunali, oppure non potete far altro che cacciarmi”. E la sezione disciplinare del Csm ha rimosso il giudice di Camerino dall’Ordine. La toga non vale la resa: “Si è scritta una pagina nera per la laicità dello Stato italiano, impugnerò il verdetto prima davanti alle sezioni unite civili della Cassazione, poi, se sarà confermata una sentenza negativa, alla Corte europea”. Dal maggio di cinque anni fa, Tosti era

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diventato il “giudice anti” perché s’era rifiutato di tenere udienza nelle aule con il crocifisso esposto. Dieci mesi a braccia incrociate, la nomina di un sostituto, la raccomandata all’allora ministro Castelli: “Niente stipendio, sono fermo”. Il Csm, nell’immediato, ratifica la sospensione. Per la contestazione del reato di “omissione di atti d’ufficio”, Tosti viene condannato a sette mesi di reclusione, un anno di interdizione dai pubblici uffici, ma la sentenza penale viene annullata dalla Cassazione perché il fatto non sussiste: non aveva impedito né intralciato i lavori (ca.te.) del Tribunale di Camerino.

Il sindaco Delbono. Nel riquadro l’intervista televisiva di ieri (FOTO ANSA)

sti signori si potevano consentire tutto perché nessuno li controllava o c’era una voce contraria a questa situazione”. Ma se la reazione della destra era prevedibile, forse un po’ meno quella della sinistra. La presidente dell’ assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, Monica Donini (Rifondazione): “Se emergessero dall'istruttoria giudiziaria questioni concretamente dimostrate, chi si è reso colpevole di un comportamento sbagliato dovrebbe indubbiamente pagare”. E Giovanni Favia, consigliere comunale della lista Beppe Grillo: “In caso di rinvio a giudizio, come accade in altri Paesi, per correttezza il sindaco Delbono dovrebbe dimettersi o quanto meno autosospendersi politicamente dall’incarico affidando la città al vicesindaco, per affrontare più velocemente possibile il procedimento penale". Anche

Scosse nel Pd, che inizia a prendere le distanze: fiducia a Delbono e ai giudici

il Pd locale, in un primo tempo fermamente innocentista, comincia a prendere un po’ di distanze. Il segretario Andrea De Maria, al termine di un esecutivo del partito ha salomonicamente spiegato: “Piena fiducia nella magistratura e nel sindaco”. Come dire, né con lo Stato, nè con le Br. Romano Prodi (domenica a messa in Santo Stefano con Delbono) non parla, ma i suoi lo dipingono piuttosto arrabbiato (anche se non come la signora Flavia). Nessuno dei piddini si lascia scappare nulla. Maurizio Cevenini, presidente del consiglio comunale, amatissimo e già indicato come possibile successore ha solo voglia di far approvare il bilancio, in calendario la settimana prossima: prima è meglio è, che non si sa mai. Anche il governatore Vasco Errani, in corsa per la riconferma, è un po’ nervoso, pur ostentando calma: Delbono era il suo vice. E lo scandalo potrebbe creare problemi anche a lui: “Penso che i cittadini di questa regione vorranno giudicare rispetto ai fatti e io sono assolutamente convinto che lo faranno. E sono anche contento che i cittadini giudichino sui fatti: questa è una Regione che ha un governo di qualità, ha dato delle risposte e vuole continuare a farlo”. Un altro Vasco, di casa a Bologna e caro al segretario Bersani: “Voglio dare un senso a questa storia”.

A OTTOBRE IL DIRETTORE DI “CHI”, SIGNORINI, L’HA AVVERTITO DEGLI SCATTI REALIZZATI AL “BOISE DE BOULOGNE”

l foto-ricatto da 300 mila euro su cui sta indagando il pm di Milano Frank Di Maio, riguarda Lapo Elkann. A Il Fatto risulta che Lapo sia stato fotografato in ottobre a “Boise de Boulogne” a Parigi assieme a uno o più transessuali e che le immagini, scattate da un paparazzo francese, siano poi state vendute all’agenzia milanese, “UnoPress”. Una società che tra i suoi amministratori ha uno dei migliori amici del direttore di Chi e spin doctor di Silvio Berlusconi, Alfonso Signorini. La UnoPress è pure la medesima agenzia che in primavera tentò d’incastrare due giornalisti de L’espresso che lavoravano sul caso di Noemi Letizia, la minorenne che frequentava il premier. Allora, con un servizio poi pubblicato da Il giornale la UnoPress, con la complicità di un’attrice, provò a dimostrare falsamente

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che il settimanale pagava profumatamente le notizie sul Cavaliere. In questo caso, invece, siamo al ritiro, grazie a un pagamento record, di foto considerate compromettenti. Le immagini di Elkann finiscono infatti quasi subito sul tavolo di Signorini. Immediatamente il giornalista, chiama Alessia Margiotta, che cura le pubbliche relazioni di Elkann, e le dice che ha bisogno urgentemente di parlare con Lapo: “Devo parlargli personalmente, è una faccenda molto delicata”. L’assistente di Elkann, lo avverte e subito dopo Lapo chiama il direttore di Chi. È durante quella conversazione che verosimilmente Signorini dice ad Elkann di aver visionato le sue foto. E infatti subito dopo, Elkann chiama la sua assistente e le confessa di aver “combinato una cazzata” a Parigi e che bisogna ritirare assolutamente delle immagini dal mercato. La Mar-

GLOBAL FORUM

Condannati venti poliziotti

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enti tra funzionari e agenti di polizia, responsabili delle violenze sui manifestanti contro il Global Forum che si tenne a Napoli 2001, sono stati condannati in primo grado. Inflitti 2 anni e 8 mesi ai funzionari Fabio Ciccimarra e Carlo Solimene, responsabili di quanto avvenne nella caserma Raniero.

MANUEL E FRANCESCO

Lapo Elkann a i trans parigini: fotoricatto da 300 mila euro di Antonella Mascali

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giotta però non ne vuole sapere di condurre la trattativa. Al suo posto l’avrebbe fatta un familiare di Elkann, con Roberta Arrigoni della “UnoPress”. Le foto vengono così comprate per 300 mila euro e adesso Di Maio vuole ricostruire il percorso del denaro. È andato tutto all’agenzia e al paparazzo o qualcosa si è perso per strada? Per ricostruire la vicenda Signorini potrebbe presto essere ascoltato con il rischio di dover parlare pure di una serie di altre trattative scottanti di cui è stato protagonista. L’autunno, del resto, è stato per lui un periodo molto intenso. Il 5 ottobre il direttore Chi riceve per esempio in visione una copia del video dell’ex governatore del Lazio Piero Marrazzo, nella casa di una transessuale a Roma. Subito il giornalista avverte Marina Berlusconi, che poi chiamerà il padre, al quale il filmato viene recapitato a Palazzo Chigi. È sempre Signo-

Digiuno a oltranza per i diritti civili

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n pochi se ne accorgono ma lui va avanti: Francesco Zanardi continuerà lo sciopero della fame “fino a quando il Parlamento non metterà in calendario la legge sulle unioni civili”. Al suo fianco il compagno, Manuel Incorvaia, che ha dovuto sospendere il digiuno per motivi clinici. Francesco ha già perso 9 chili. La sua protesta è visibile sulla Tv GLBT. Ha scritto al presidente della Repubblica, all’Unione europea e a tutti i partiti. Con pochissime risposte. Oggi il senatore Pd Ignazio Marino accenderà in diretta tv la fiaccola che simbolicamente girerà l’Italia intera per raggiungere Montecitorio.

FIRENZE

Condannato pm di Meredith

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l pm di Perugia, Giuliano Minnini, che ha coordinato l’inchiesta sull’omicidio Meredith, è stato condannato dal Tribunale di Firenze a un anno e 4 mesi di reclusione per abuso d’ufficio: insieme all’ex capo del Gides, Michele Giuttari, era accusato di aver svolto indagini illegali nei confronti di alcuni giornalisti e funzionari del ministero dell’Interno critici nei confronti dell'inchiesta sul mostro di Firenze.

SCUOLA

Reintegrato docente straniero

C rini, poi, a procurare a Carmen Masi, dell’agenzia Photomasi, che aveva il video, un appuntamento il 12 ottobre con il direttore di Libero, Maurizio Belpietro. La storia si ripete due giorni dopo, il 14 ottobre, quando presso l’agenzia fotografica visiona il filmato con Giampaolo Angelucci, importante imprenditore della sanità nel Lazio ed editore di Libero e Il Riformista.

Il Tribunale di Genova ha deciso il reintegro di un professore di origine marocchina, licenziato due anni fa dalla scuola media Volta-Gramsci di Cornigliano perché straniero. Il giudice ha anche condannato il ministero a un risarcimento materiale e morale. Il docente, italiano figlio di marocchini, era stato assunto dalla scuola poi licenziato perchè privo di cittadinanza.


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Sabato 23 gennaio 2010

Com’è cambiata la proprietà della compagnia

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ECONOMIA

el 2007 Marco Tronchetti Provera vuole uscire dall’azionariato di Telecom. Sotto la regia del governo Prodi viene creata Telco. E’ una holding che controlla la compagnia telefonica (con il 22,5 per cento delle azioni), stanza di compensazione tra un partner industriale (la spagnola Telefonica) e alcune istituzioni finanziarie che si fanno garanti

ASSEDIO A TELECOM IL GOVERNO LANCIA L’ASSALTO FINALE ALL’AD FRANCO BERNABÈ di Stefano

Feltri

’ultimatum del governo a Franco Bernabé, l’amministratore delegato di Telecom, adesso ha anche una data di scadenza: “Dopo le regionali serviranno soluzioni forti su questi temi”, dice Mario Valducci, Pdl, presidente della Commissione trasporti della camera e tra i più attivi della maggioranza su Telecom Italia. I “temi” sono quelli che vedono il governo e Bernabé su due posizioni opposte e inconciliabili: uno vuole subito una nuova e costosa infrastruttura, la rete di banda larga, l’altro dice che è inutile (e che comunque non vuole essere lui a pagarla). La divergenza era nota da tempo, ma ieri si è tenuto a Roma un convegno – promosso dai piccoli azionisti Telecom e dalla fondazione Rel che fa capo a Fabrizio Cicchitto – che si inserisce in un contesto dove la velocità del cambiamento sta accelerando.

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IL CONVEGNO. Il governo non poteva essere più esplicito. In una sala affollata da tutti i dirigenti del settore, da Fastweb a Vodafone, ha fatto capire cosa si aspetta da Telecom. Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, dice che la rete in fibra ottica costa 8-10 miliardi di euro (le stime di Bernabé sono sempre state superiori), che ci sarà un “incentivo statale” di cui si sta discutendo per favorire l’accesso a Internet e creare quindi le condizioni di domanda che giustifica l’investimento, che al Paese serve una sola rete “di nuova generazione” che dovrà essere costruita da Telecom insieme ad altri soggetti (tra cui Mediaset, molto interessata a evitare che

la tivù via web insidi il nuovo equilibrio che la vede in una posizione di forza nelmercato digitale). “Telecom dovrà cedere quote della propria rete”, dice Cicchitto, anche alla Cassa depositi e prestiti, emanazione del ministero del Tesoro. Il rientro dall’investimento si otterrà “in otto-dieci anni”. Se Bernabé non ci sta, sembra essere il sottinteso, può andarsene. Anche il ministro allo Sviluppo, Claudio Scajola, spiega che si arriverà a “una società ad hoc per la rete in fibra”, in cui Telecom avrà un ruolo ma non sarà più la sola ad avere il controllo dell’infrastruttura. Scajola dice che dovrà essere coinvolta anche l’Agcom, l’autorità garante per le telecomunicazioni, che però non è stata invitata al convegno (manca anche l’Antitrust). LA DIFESA. Bernabé replica che lui risponde soltanto agli azionisti: “Noi andiamo avanti con il nostro piano industriale”. Secondo l’ammini-

stratore delegato, in Italia non c’è bisogno di una rete in fibra ottica costruita ex novo – “le regioni che l’hanno costruita ora non sanno bene che farsene” – ma di una combinazione tra potenziamento di quella attuale in rame con innesti, dove serve, di fibra ottica. Il senso della sua opposizione al progetto del governo è questo: la banda larga (o ultralarga, come si dice ora), serve quasi soltanto per scericare in fretta i file video. E visto che la grande maggioran-

Scajola e Cicchitto vogliono una rete di banda larga pagata con i soldi degli azionisti

perché i soci italiani non hanno un vero interesse nella telefonia, a differenza di Telefonica. La famiglia Benetton, che aveva il 2 per cento di Telco, a dicembre è uscita dall’investimento. L’ipotesi che circola in queste ore è che Telefonica acquisisca Telco, e quindi il controllo di Telecom. Ma ci sono due nodi importanti da sciogliere: il prezzo e il destino della rete.

dell’italianità della compagnia (Intesa Sanpaolo con l’11,6 per cento, Mediobanca con la stessa quota e le assicurazioni Generali con il 30,6 per cento). Scopo primario dell’operazione è evitare che una risorsa di interesse nazionale come la rete telefonica (l’infrastruttura indispensabile per erogare ogni servizio) finisca in mani straniere. E’ chiaro fin da subito che si tratta di una soluzione temporanea,

za dei video viene scaricata in modo illegale, senza ritorni economici per chi offre la connessione, non c’è alcuna ragione commerciale per costruire la nuova infrastruttura. Anche perché Cicchitto ha messo in chiaro che la banda larga non sarà sviluppata con soldi pubblici – il governo si limiterà a incentivi mirati e occasionali – ma con quelli di Telecom e dei suoi concorrenti o produttori di contenuti, come Mediaset (che infatti era presente al convegno). Chi segue da vicino questi dossier, poi, non manca di notare come l’attacco governativo a Bernabé arriva proprio nel momento in cui Mediaset inizia a blindare i contenuti che ha on-line, mentre la direttiva europea “Televisione senza frontiere” è stata recepita nel modo più restrittivo per Internet (dirette via web sottoposte ad autorizzazione ministeriale, obbligo di rettifica per quello che viene detto da web tv e web tg).

gnerebbe però decidere prima cosa fare della rete). Ieri Cicchitto ha detto che questa opzione non è auspicabile, “perché sarebbe l’alleanza tra due ex monopolisti, Telecom e Telefònica, che avrebbero entrambi più interesse a gestire la cassa che a fare investimenti”. Due giorni fa è arrivata un’altra ipotesi: fusione tra Telco e un piccolo azionista di Telefònica, la holding Criteria. Su richiesta della Consob i soci italiani hanno smentito (e lo stesso ha fatto Telefònica). Ma in Borsa il titolo Telecom ha registrato un rialzo molto superiore alla media del mercato: +4 per cento. Anche se tutto si decide a livello di Telco – e quindi non ci sarà nessuna offerta pubblica di acquisto sulle azioni Telecom e nessuna prospettiva di vero guadagno per i piccoli azionisti – la Borsa sembra credere che qualcosa stia per succedere.

LA PROPRIETÀ. Mentre lo scontro sulle strategie industriali cresce, la situazione dell’assetto proprietario di Telecom è sempre più confusa. La società è controllata dalla holding Telco, i cui azionisti principali sono l’azienda spagnola Telefònica e tre soci finanziari italiani, Mediobanca, le Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo. Da settimane circola l’ipotesi che Telco e Telefonica siano pronte a fondersi, con i soci italiani che uscirebbero dall’investimento (biso-

GERONZI. Non ci sarà un’altra scalata ostile, come fu quella ai tempi della

privatizzazione, nel 1999, e neanche un’operazione come quella di Marco Tronchetti Provera: Telecom ha già troppi debiti (34 miliardi) per affrontare altri riassetti fatti a spese sue. Ma le cose si stanno muovendo e tutto passa dalla Mediobanca di Cesare Geronzi. Anche se ieri il comitato esecutivo, presieduto da Geronzi, si sarebbe limitato a “operazioni di routine” è chiaro che il futuro assetto proprietario di Telecom viene discusso in questi mesi nelle stanze di Piazzetta Cuccia (e in quelle romane di Palazzo Chigi, nello specifico negli uffici di Gianni Letta). Ci sarebbe proprio Geronzi, sostengono fonti vicine alla vicenda, dietro questi piani anticipati dalla stampa e poi smentiti dalla stessa Mediobanca, da Intesa Sanpaolo e dalle Generali. Per tastare il polso al mercato (e a Intesa che vorrebbe uscire da Telco ma senza rimetterci troppo) in attesa che, d’accordo con il governo, si arrivi alla soluzione definitiva. L’amministratore delegato di Telecom Franco Bernabè visto da Manolo Fucecchi

MEDIATRADE

NUOVI GUAI PER I BERLUSCONI: INDAGATI SILVIO E PIERSILVIO di Peter Gomez

rank Agrama, chi era costui? Ruota tutta intorno Fficialmente a questa domanda l’indagine Mediatrade-Rti ufchiusa ieri dal pm milanese Fabio De Pasquale, con la notifica del 415 bis, l’atto che solitamente precede la richiesta di rinvio a giudizio. Mentre il centrodestra, come un sol uomo, protesta per un provvedimento ampiamente annunciato in cui l’unica sorpresa è la presenza tra i 12 indagati di Piersilvio Berlusconi, accusato di frode fiscale fino al 2009 nella sua qualità di presidente Rti e vicepresidente Mediaset, i riflettori tornano ad accendersi sull’egiziano Mohamed Farouk Agrama, da tempo cittadino americano e da tempo considerato dalla procura il “socio occulto di Silvio Berlusconi”. È Agrama infatti il proprietario (ufficiale) di un tesoro da oltre 100 milioni di euro già sequestrato in Svizzera. E creato, per l’accusa, gonfiando il costo dei diritti televisivi acquistati negli Usa da Mediaset. Soldi che in parte, secondo il pm, andavano a gonfiare le tasche del ricchissimo proprietario di Mediaset e di alcuni suoi dirigenti. A Berlusconi è per questo contestata una appropriazione indebita di circa 34 milioni in concorso con l’amico mediorintale, con Daniele Lorenzano (ex capo acquisti diritti di tra-

smissione per il Biscione), e gli ex manager di Mediatrade Roberto Pace e Gabriella Ballabbio. Un reato “allo stato non coperto da prescrizione” che sarebbe stato commesso tra Milano e Dublino dal 30 luglio 2002 fino al 30 novembre 2005. Per la procura di Milano, insomma, Berlusconi rubava soldi dalle casse della sua società quotata negli anni in cui era per la seconda volta presidente del Consiglio. Fino al 30 settembre 2009, il premier avrebbe poi concorso pure in un’evasione fiscale da circa 8 milioni di euro con suo figlio, con Fedele Confalonieri, a Agrama, Lorenzano, Pace, Ballabio e Giorgio Dal Negro (definito socio occulto di Lorenzano). IL RUOLO DI AGRAMA. I nuovi guai del presidente del consiglio nascono comunque tutti dall’antico legame con Agrama, un intermediario di diritti che Piersilvio Berlusconi, dopo la quotazione di Mediaset, tentò inutilmente di far fuori dalla catena degli acquisti di film americani ricevendo in risposta una serie di lettere molto pressanti che spinsero l’azienda a continuare il rapporto con lui. Agrama, del resto, sa molte cose. Nato al Cairo, regista in Libano e poi sullo scorcio degli anni Sessanta, residente a Roma, dove comincia a dirigere e produrre pellicole trash, come L’amico del Padrino e Sesso e pazzia, Agrama diventa l’uomo di Berlusconi a Los Angeles a partire dai primi anni Ottanta. Qui compra pellicole per conto del Cavaliere dalla Paramount e nel 1983 fonda, su Sunset Boulevard, la casa di produzione Harmony Gold, nei cui uffici avrà pure sede l’unico Club californiano di Forza Italia. Con lui lavora da subito un altro storico collaboratore del premier, Lorenzano (oggi residente in Marocco), mentre Agrama prende a rifornire il gruppo di Segrate di diritti su programmi Usa, tramite la Wiltshire Trading, in apparenza gestita da amministratrici di Hong Kong, come Paddy Yiu Mei Chan e Katherine Chun May Hsu. Secondo l’accusa, anche questa società svolge «un ruolo di intermediario analogo a quello di Universal One e Century One (due off shore personali di Berlusconi su cui venivano accanto-

nati fondi neri ndr)”. I pm sostengono addirittura che, tra il 1988 e il 1999, Fininvest prima e Mediaset poi abbiano speso 170 milioni di euro più del dovuto nell’acquisto di diritti dalla Paramount. Che sia il Cavaliere il dominus della situazione, lo si evince da molti documenti riassunti in una lunga relazione redatta dalla società di revisione Kpmg. In un memorandum interno della Paramount del 3 marzo ’92, il manager Peter Carey si rivolge, per esempio, al collega Joe Lucas lamentandosi dell’errore commesso inviando materiale pubblicitario alla Wiltshire Trading: “La sola cosa di cui siamo orgogliosi è di servire un cliente e quando si chiama Berlusconi è estremamente importante che il servizio sia perfetto. In un’altra nota del 18 luglio ’97 indirizzata a Joe Lucas, alla voce «Berlusconi receivables» (crediti da incassare da Berlusconi), si legge: “Porto alla tua attenzione il significativo ammontare dei crediti scaduti di Harmony Gold/Wiltshire Trading». Mentre in una lettera dell’11 febbraio 1999, inviata su carta intestata Wiltshire Trading ai vertici di Paramount e per conoscenza a Pier Silvio Berlusconi, Agrama commenta: «Il gruppo Berlusconi lavora con Paramount da più di vent’anni e ha preso programmi per oltre 250 milioni di dollari». Insomma Berlusconi e Agrama, dal punto di vista delle major americane, sono la stessa persona. Agrama nega. Ma gli amici lo descrivono come molto preoccupato. Perchè negli Usa la sua storia potrebbe ora interessare il poco tenero fisco americano.

L’accusa è di frode fiscale per acquisti gonfiati di diritti televisivi, i fatti arrivano fino al 2009


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Gli auspici di Violante e le ispezioni del ministro Alfano

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ECONOMIA

uciano Violante, deputato del Pd, lo scorso 5 gennaio, nel corso di un dibattito a Cortina, dice: “Il ministro della Giustizia dovrebbe fare delle ispezioni”. Si riferisce alla Procura di Rovigo, che sta indagando sull’inquinamento degli impianti Enel a Rovigo. Violante è presidente della fondazione Italia Decide, di cui Enel è

uno dei soci fondatori. Giovedì gli ispettori, come auspicato, sono arrivati a Rovigo. Arcibaldo Miller, capo dell’ispettorato del ministero, ha spiegato così la decisione: “Abbiamo avviato un’inchiesta amministrativa per verificare se le accuse dell’onorevole Violante sono vere”. Secondo Violante i pm, con richieste eccessive di

documentazione, stavano bloccando la trasformazione di una centrale Enel a olio combustibile in una a carbone. E’ la centrale vicina al rigassificatore, che doveva essere a gas, ma poi il progetto è cambiato (anche perché il rigassificatore è costruito, tra gli altri, da un concorrente di Enel come Edison).

ECCO IL RIGASSIFICATORE DI ROVIGO CHE È PRONTO A PARTIRE CON IL GAS DEL QATAR L’Enel vuole una centrale a carbone (invece che a gas) sulla costa di Nicola Brillo Porto Levante (Rovigo)

Una rara immagine del rigassificatore di Rovigo fotografato da una barca

impianto si vede perfettamente dalla riva, anche nei giorni di foschia, che da queste parti non mancano. E’ difficile infatti nascondere all’orizzonte un rigassificatore di queste dimensioni: lungo 180 metri, largo 88 e alto 47 metri, per metà sotto il livello del mare. “Eppure la società costruttrice e politici regionali ci avevano assicurato che dalla riva non si sarebbe visto nulla”, commentano da queste parti. Ma questa è soltanto una delle promesse non mantenute dalla Adriatic Lng, la società proprietaria dell’impianto di rigassificazione, unico al mondo di questa stazza posizionato off shore, a largo di Porto Levante (Rovigo). Soci della Adriatic Lng sono l'italiana Edison (10 per cento), la seconda società a più alta capitalizzazione al mondo ExxonMobil (45 per cento) e la Qatar Petroleum (45 per cento).

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VISTA PARCO. Il rigassificatore è stato posizionato “con vista” sul Parco del Delta, patrimonio dell’Unesco, molto frequentato da turisti e con allevamenti di mitili. Una zona splendida che il governatore del Veneto Giancarlo Galan invita a visitare, paragonandola alla Camargue francese. Qui è presente la più vasta estensione di zona umida protetta d’Italia, con circa un migliaio di specie diverse. E’ la più importante zona ornitologica italiana, fra le più conosciute d’Europa. Peccato che la provincia di Rovigo sia disseminata di 28 impianti energetici. L’ultimo arrivato è il rigassificatore. “Si tratta di una potenziale bomba a pochi chilometri dalla costa: se fuoriesce del gas, a contatto con l’aria si trasforma in grisou,

tortuoso di circa 100 chilometri. All’inizio erano tutti contrari: le forze politiche locali, ambientalisti, pescatori, comitati di cittadini, sindacati, Ente Parco, provincia e consiglieri regionali della zona (raccolte 50.000 firme contro). “Berlusconi e Bersani, sono invece sempre stati entrambi favorevoli”, ricordano i comitati. E persino gli industriali che nella vicina isola di Albarella avevano investito per lo sviluppo turistico di qualità (e che in alcuni casi finanziavano anche i comitati), erano contrari. In meno di dieci anni hanno cambiato idea quasi tutti. Meno che i cittadini e ambientalisti che convivono con il rigassificatore sotto casa.

facilmente infiammabile, in caso di esplosione le conseguenze sarebbero drammatiche – spiega Vanni Destro, a capo del Coordinamento comitati per la difesa salute e ambiente del Polesine – Inoltre si tratta di un rigassificatore sperimentale, unico al mondo. Negli Stati Uniti per questioni legate a sicurezza e antiterrorismo, non vengono costruiti in acqua. Perché farne uno nel delicato ecosistema del Delta del Po?”. Tutto inizia circa 15 anni fa, quando il primo progetto di impianto presentato da Edison era destinato ad alimentare la vicina centrale di Polesine Camerini, che funzionava a olio combustibile, altamente inquinante. Fer-

ma dal 2005, è stata al centro del recente processo d’appello, che ha visto imputati (e poi assolti) i vertici dell’Enel. Ma la società ha dovuto comunque pagare risarcimenti sostanziosi alle parti civili. Ora la parola è alla Cassazione. CARBONE O GAS. I lavori di riconversione a carbone stanno attendendo la Conferenza di servizi, che si terrà quasi sicuramente dopo le elezioni. L’impianto ha già ricevuto la Valutazione di impatto ambientale e l’ok dei ministri all’Ambiente e ai Beni culturali (manca ancora quello allo Sviluppo economico). Questa è la centrale, proprietaria l’Enel, a cui si riferiva il senatore del Pd

Luciano Violante poche settimane fa nelle dichiarazioni sull’operato della magistratura del capoluogo veneto. Violante ha invitato il ministro della Giustizia Angelino Alfano a inviare gli ispettori del ministero. Che mercoledì si sono materializzati in Procura a Rovigo. Una situazione sempre più complicata in Polesine, dove si contrappongono i lavoratori della centrale (circa 300, che con la conversione raddoppierebbero) contro i comitati e ambientalisti. Naufragato il progetto originario del rigassificatore, la Edison ha pensato di costruirlo autonomo e collegarlo alla rete nazionale di distribuzione del gas attraverso l’hub di Minerbio (Bologna), dopo un percorso

LA PRIMA NAVE. E’ iniziato l’iter amministrativo che ha visto denunce, ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato da ambo le parti, fino a ottobre scorso quando c’è stata la seconda inaugurazione. Presenti tutti, da Silvio Berlusconi all’emiro del Qatar in giù. A marzo è atteso l’arrivo della prima nave e l’inizio vero e proprio delle attività. Solo allora si potranno valutare direttamente le conseguenze: la società ha garantito che l’abbassamento della temperatura dell’acqua sarà di 5 gradi per alcuni chilometri quadrati. I comitati sostengono che saranno ben sette, riportando alcuni studi fatti negli Stati Uniti. Nelle operazioni di rigassificazione verranno infatti utilizzati quotidianamente 620 milioni di litri di acqua, che poi verrà ributtata in mare. “In pericolo c’è il 25 per cento della fauna e della flora marine, con grave danno per mitilicoltura e pesca”, prosegue Destro, che cura il blog ambien-

tepolesine.blog-attivo.com . Una questione che preoccupa le cooperative di pescatori, visto anche l’area di interdizione alla navigazione e alla pesca è di 43 chilometri quadri intorno all’impianto. “Il gas naturale è da tempo riconosciuto come il più pulito tra i combustibili fossili, la sua combustione produce soprattutto vapore acqueo e anidride carbonica in quantità limitata, senza praticamente alcun altro residuo, né polveri, fuliggine o metalli pesanti”, si difende la Adriatic Lng. L’impianto di Rovigo ha una capacità di rigassificazione di 8 miliardi di metri cubi l’anno, corrispondente a circa il 10 per cento del consumo nazionale. Le mega navi gasiere trasportano il gas liquefatto a 162 gradi dal Qatar, che poi viene riportato allo stadio gassoso dalla struttura di Rovigo. E inserito nella rete nazionale. Altra promessa non mantenuta: le assunzioni. “L’azienda aveva garantito quasi 200 assunzioni tra quelle dirette e indirette di persone del posto – dice Destro – a quanto ci risulta c’è un solo polesano assunto, mentre l’azienda di trasporti su nave è da fuori provincia”. E nemmeno per la costruzione sono state favorite le imprese locali: l’impianto è stato costruito in Spagna (trasportato via mare), durante l’installazione hanno lavorato francesi, americani, inglesi e svedesi, mentre i serbatoi sono stati costruiti in Corea del Sud. Il vantaggio delle strutture come quella di Rovigo risiede nella flessibilità e potenzialmente si può dirottare un carico verso i mercati ove il gas ha le quotazioni più elevate. Ed è proprio questo il pericolo che i comitati del Polesine lamentano: “A noi rimangono solo i problemi ambientali e i pericoli, mentre gli altri consumano e altri ancora fanno profitti”.

LE PAURE PER L’IMPIANTO DI TRIESTE Anche il Friuli dovrebbe avere il suo rigassificatore ma la Procura di Trieste ha aperto due inchieste sul progetto di Ivana

Gherbaz Trieste

luglio il governo ha approvato il Aspagnola progetto della multinazionale Gas Natural. Un rigassificatore a Trieste? Sì, in mezzo alla città: nel porto industriale, nel mare più chiuso e meno profondo d'Italia. La sopraelevata corre a 100 metri, a meno di un chilometro dalle prime abitazioni e lo stadio. A pochi metri un terminal petrolifero, i depositi costieri di olio combustibile, di formaldeide e di gpl. Poco più in là l’oleodotto transalpino (colpito nel 1972 da un attentato dei terroristi palestinesi di Settembre Nero). “Il rigassificatore è sicuro – spiega il direttore sviluppo internazionale, Narcis De Carreras – sulla sicurezza del progetto lavoriamo dal 2004, ma gli studi non sono finiti. E’ anche

un’opportunità ambientale più che una minaccia”. Ne sono convinti i politici locali, l’impianto è sicuro e porterà importanti ricadute: la bonifica del sito inquinato di interesse nazionale e 200 milioni di entrate fiscali per i prossimi vent’anni. “Sono impianti ad alto rischio per l’ambiente e per la sicurezza dicono invece gli ambientalisti, e poi, il progetto presentato da Gas Natural – una montagna di rapporti tecnici approvati dalla Commissione governativa Via (valutazione di impatto ambientale) – è pieno di inspiegabili anomalie”. A denunciare le irregolarità anche un gruppo di esperti, docenti universitari, interpellati dal sindacato dei Vigili del fuoco. Mappe del porto che non corrispondono alla realtà. Documenti su carta non intestata, senza firma, elaborati da anonime società lussemburghesi.

Temperature del mare prese ad Ancona e tabelle del vento con calcoli fatti a Caorle, dove la bora soffia a 36 chilometri orari rispetto ai 100 di Trieste. “Si tratta di palesi violazioni della legge, sostengono. Gli elaborati prodotti da Gas Natural sono incoerenti, contraddittori e privi della necessaria scientificità perché si possa valutare con cognizione di causa gli effetti di un’attività a rischio di incidente rilevante. Siamo costretti a prendere posizione, politici favorevoli al rigassificatore asseriscono disinvoltamente che il metano non può esplodere, rischiando di creare non poca confusione”. Invece, il gas liquido – hanno spiegato – è inodore, a contatto con il mare crea una nube asfissiante e gelida (-162°) carica di metano che, se si dovesse incendiare, fonderebbe l’acciaio in pochi minuti. Se a que-

sto aggiungiamo che nel processo di trasformazione del metano liquido in gas si utilizza il calore del mare, a Trieste, due volte all'anno verrebbe risucchiata l'intera Baia di Muggia e rigettata nel golfo piena di cloro. Per gli esperti si rischiano anche danni all'ambiente, alla pesca e alle attività del porto. Le critiche alla mancanza di sicurezza di certe organizzazioni sono un po’ infondate, replica il responsabile commerciale della Gas Natural. “Sono già in programma, presentazioni, anche molto pedagogiche per trasmettere ai cittadini i benefici di cos’è e come funziona il rigassificatore, e spiegare che i famosi rischi sono davvero ridotti”. Non ci credono Nerio Nesladek e Fulvia Premolin, sindaci dei comuni di Muggia e Dolina, i più vicini al sito dell'impianto. “I cittadini sono

terrorizzati. Di fronte ad una documentazione così lacunosa né il governo, né tanto meno la regione, la provincia e il comune sono intervenuti”. E la Procura di Trieste ha aperto due inchieste. Una si è conclusa a febbraio con il trasferimento del fascicolo a Roma: il gip ha ritenuto infondato il reato di falso. Cinque i ricorsi al Tar del Lazio presentati dai sindaci Nesladek e Premolin, dalle associazioni ambientaliste e dal comune di Capodistria in Slovenia, direttamente coinvolto in caso di danno ambientale. Endesa (ora E-On) ha poi presentato un progetto per un altro rigassificatore questo però in mezzo al golfo, mentre il metanodotto della Snam e una centrale a turbo gas, in attesa del via libera del governo, si allacceranno all'impianto della Gas Natural.


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DAL MONDO

GOSSIP POCO DIPLOMATICO E LE PENE DELL’A M B A S C I AT O R E La lettera della moglie del nostro rappresentante a Washington imbarazza la Farnesina ammaliante marchesa e l'ambasciatore. Potrebbe essere il titolo di un romanzetto Harmony da quattro soldi. È invece una querelle alla guerra dei Roses scoppiata sulle colonne del sito Dagospia. La vicenda, se non fosse per i soggetti coinvolti, sarebbe un classico nel suo genere: una ex moglie che affida agli avvocati la separazione dal marito e che se la prende con la neo-compagna del rimpianto (?) consorte che nel mentre ha avuto due splendidi gemelli dalla nuova unione. Il problema sono appunto le parti in causa: la marchesa Gianna Terzi di Sant'Agata, eroina dei salotti romani e della diplomazia all'amatriciana, ed il nuovo ambasciatore italiano a Washington, Il sessantenne Giulio Terzi di Sant'Agata per l'appunto. In mezzo, accusata di vivere more uxorio nonostante l'assenza di titoli (quantomeno nobiliari), Antonella Cinque, già presidente dell'Agenzia Italiana del Farmaco ed ex assistente del ministro della Salute Girolamo Sirchiana. Per la verità la faccenda è nota a tutti ed è forse il segno dei tempi

L’

che cambiano, anche nella moderna concezione della diplomazia e dei suoi non più rigidi protocolli. Basta leggere un articolo del Washington Post del 5 novembre scorso. L'ambasciatore Terzi presenta le credenziali al presidente Barack Obama “insieme alla mia famiglia” composta dalla “longtime girlfriend”, la compagna di lunga data Antonella Cinque, e dai due gemelli Giulio e Nina. L'erede di Castellaneta nella più importante e prestigiosa sede diplomatica mondiale - ovvero Washington - ha comprato assieme alla compagna un appartamento sulla Terza Strada del valore di quasi due milioni e mezzo di dollari nel giugno 2009. Così come i due sono inseparabili negli eventi mondani e di rappresentanza dell'ambasciatore: che sia la prima della Tosca a Houston o la cena per il Wounded Warrior Tribute Concer t, il concerto in tributo dei soldati feriti, organizzato da Finmeccanica North America. Certo, in qualche sito americano si confonde la “long time girlfriend” con la moglie. Ma chi vorrebbe mettere il dito nella piaga? La bella marchesa non ci sta e sul

SCATTI D’AUTORE

Un ministro in posa

I

l giro del mondo di un solitario; è l’impressione che si ricava a sfogliare l’album fotografico che sono state caricate sul sito del ministero degli Esteri. Una serie di immagini di Franco Frattini ritratto in vari luoghi del mondo, più o meno esotici (o mentre è impegnato nel suo sport preferito, lo sci, di cui è stato anche maestro dei figli di Berlusconi). Scatti pensosi e assorti nel quale il globe-trotter titolare della Farnesina (su Twitter ha spiegato che pochi mesi ha più volte fatto il giro del mondo), è in posa per una foto-ricordo. Tutto molto poco diplomatico e non molto glamour, una modalità che sembra essere un tratto del ministro, che usa senza problemi i mezzi di comunicazione contemporanei per comunicare anche questioni private, come l’sms con la quale diede il benservito alla fidanzata Chantal.

sito Dagospia compare una copia di una lettera, peraltro senza intestazione e alquanto spiegazzata, nella quale il presunto avvocato della Terzi si lamenta del danno d'immagine patito a causa di colei che viene definita come “l'ambasciatrice o moglie dell'ambasciatore”. Roba da far accapponare la pelle se non fosse che la missiva sarebbe stata indirizzata al presidente della Repubblica e giù via sino al Segretario generale del ministero degli Esteri. Alla Farnesina cascano dalle nuvole e si evita di commentare sulle vicende personali delle feluche, anche perché la querelle arriva alla vigilia della visita del ministro Frattini al segretario di Stato americano Clinton (ieri l’ambasciatore americano a Roma Thorne confermava l’“amicizia affidabile” che lega i due paesi). L’unico appunto, casomai, che viene mosso a Terzi negli ambienti diplomatici, che o considerano un ottimo diplomatico, è di non aver saputo sopire, troncare in perfetto stile da feluca, la reazione affatto diplomatica della consorte. Quando interpellato sulla questione dal Washington Post, l'ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata ha glissato con diplomazia: “Nessun commento su delle procedure legali in corso”. Noblesse oblige, vero signora Terzi di Sant’Agata? E.P.

Sopra, Giulio Terzi di Sant’Agata e Franco Frattini; nella foto grande, Gianna Terzi di Sant’Agata; a destra, la pagina del Washington Post con il servizio sull’ambasciatore e la compagna

Per il divorzio la consorte di Terzi di Sant’Agata scrive a Napolitano e Berlusconi

Lite Formigoni-Bertolaso su Haiti e il premier deve fare da paciere che vuoUmicalen complimento nascondere una polee delle buone parole per sedare i cattivi umori tra due esponenti di peso della compagine berlusconiana: Formigoni e Bertolaso sugli aiuti ad Haiti. Ieri il premier in una dichiarazione di perfetto equilibrismo cerchiobottista ha salvato capra e cavoli: “Esprimo l'apprezzamento mio personale e del governo per la tempestività con cui il presidente Roberto Formigoni ha messo in campo gli aiuti della Regione Lombardia alla popolazione di Haiti sin dalle prime

ore dopo il terremoto”. “La solidarietà e l’efficienza sono virtù tradizionalmente riconosciute ai milanesi e ai lombardi e il presidente Formigoni se ne è reso come sempre interprete. Il contributo di uomini e mezzi, sotto il coordinamento della nostra Protezione civile, che tante prove ha dato della sua capacità organizzativa, testimonia - conclude Berlusconi - l’impegno dell’Italia a fianco della popolazione di Haiti”. Tutti accontentati, dunque; il numero uno lombardo che ha bypassato il sottose-

gretario plenipotenziario della Protezione civile inviando autonomamente aiuti sull’isola colpita la settimana scorsa dal sisma, e Bertolaso - che aveva inviato un fax a Formigoni nel quale lo accusava di aver “promosso un intervento in completo isolamento, al di fuori di ogni coordinamento, non solo con l’intervento italiano, ma anche con quello Ue e Onu” - a cui Berlusconi riconosce il ruolo e le capacità grazie alle quali è appena stato inviato ad Haiti a coordinare lo sforzo umanitario italiano e non solo.


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DAL MONDO

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INTERNET È LIBERTÀ: GUAI A CHI LA FERMA

FRANCIA

L’imam dice no all’uso del burqa

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assen Chalghoumi, imam della moschea di Drancy, sobborgo ad alta densità di islamici alle porte di Parigi, si schiera a favore di una legge che vieti l’uso del burqa. Posizione difficile per un religioso islamico: Chalghoumi ha già ricevuto diverse minacce.

Il discorso di Hillary Clinton che ha fatto arrabbiare i cinesi Ieri il presidente americano Barack Obama si è detto “preoccupato” per il contenzioso tra Google e la Cina; qui di seguito pubblichiamo una sintesi del discorso del segretario di Stato Usa Hillary Clinton sulla libertà di Internet pronunciato al Newseum di Washington giovedì e subito criticato da Pechino.

e reti di informazione che si vanno rapidamente diffondendo stanno dando vita ad un nuovo sistema nervoso sul nostro pianeta. Quando accade qualcosa nel mondo lo veniamo a sapere in tempo reale. E possiamo rispondere in tempo reale. Lo stesso principio si applica a ogni aspetto della vita degli esseri umani. Mentre ce ne stiamo qui seduti, tutto quello che diciamo può essere trasmesso a miliardi di persone in tutto il mondo. L’informazione non è mai stata così libera. Ci sono più modi per diffondere più idee a più persone che in qualunque altro momento della storia. E anche nei Paesi autoritari le reti d’informazione aiutano la gente a conoscere la realtà e a chiedere conto ai governi del loro operato. Ma dobbiamo riconoscere che queste tecnologie non sono solo una benedizione. Questi strumenti servono anche a ostacolare il progresso dell’uomo e i diritti politici. Come l’acciaio l’energia nucleare può fornire energia ad una città o distruggerla, così le moderne reti di informazione e le tecnologie informatiche possono essere impiegate per il bene o per il male. Le stesse reti che contribuiscono a organizzare i movimenti per la libertà consentono anche ad Al Qaeda

L

di diffondere l’odio e incitare alla violenza contro gli innocenti. Nel corso dell’ultimo anno sono aumentate le minacce contro il libero flusso di informazioni. Cina, Tunisia, Uzbekistan (e altri Paesi) hanno varato provvedimenti per censurare Internet. Se è chiaro che queste tecnologie stanno trasformando il mondo, non è chiaro come queste trasformazioni influiranno sui diritti umani e sul benessere degli abitanti del pianeta. Le nuove tecnologie sono neutre rispetto alla lotta per la libertà e il progresso, ma gli Usa non lo sono. Noi ci battiamo perché Internet sia uno solo e accessibile a tutta l’umanità. È una sfida nuova, ma il nostro dovere di aiutare a garantire il libero scambio di idee risale alla nascita della nostra repubblica. Accettando il premio Nobel, il presidente Obama ha parlato dell’esigenza di costruire un mondo nel quale la pace poggi sui diritti e sulla dignità di ciascun individuo. Al mondo ci sono molte altre reti: alcune contribuiscono alla circolazione di risorse e persone, altre facilitano gli scambi tra individui che fanno lo stesso lavoro o coltivano stessi interessi. Internet è una rete che amplifica le capacità e le potenzialità di tutte le altre reti. Bisogna garantire alcune libertà fondamentali: la libertà d’espressione è la prima e non consiste più solo nel poter andare nelle piazze e criticare chi ci governa senza timore di ritorsione. Blog, email, social network e sms hanno aperto nuovi luoghi di incontro e di scambio di idee e hanno creato nuovi obiettivi per i censori. Ci sono governi che lavorano per cancellare le mie parole; ma

la storia ha già condannato questi comportamenti. Due mesi fa commemoravamo il 20° anniversario della caduta del Muro di Berlino. Il Muro era il simbolo di un mondo diviso. Oggi la nuova icona del nostro tempo è Internet. Internet è motivo non di divisione, ma di legami. Ma al posto dei muri visibili stanno nascendo un po’ dappertutto muri invisibili. Alcuni Paesi hanno eretto barriere elettroniche per impedire, almeno in parte, l’accesso alle reti informatiche. Tutte le società riconoscono che la libertà d'espressione deve avere dei limiti. Non tolleriamo quanti incitano alla violenza come Al Qaeda che usa Internet per promuovere attentati. Così sono da condannare discorsi che incitano all’odio per motivi razziali, religiosi, etnici, di genere o di orientamento sessuale. Internet può contribuire a colmare il divario tra persone di fede diversa. La libertà di religione è essenziale affinché un popolo possa vivere insieme. Ci sono centinaia di milioni di persone che vivono senza i vantaggi di queste tecnologie. Il talento è distribuito in modo uni-

“Straordinario veicolo di informazioni e di diritti che deve essere regolato per avere più forza”

CIPRO Il presidente Barack Obama e il segretario di Stato Usa Hillary Clinton (FOTO ANSA)

forme, le opportunità no. La possibilità di accedere alle reti di informazione globale è una rampa di lancio verso la modernità. Agli albori della rivoluzione informatica molti temevano che queste tecnologie avrebbero diviso il mondo tra ricchi e poveri. Non è accaduto. Ci sono al mondo 4 miliardi di cellulari. Le reti di informazione sono diventate uno strumento di livellamento e dobbiamo usarle per aiutare la gente a sconfiggere la povertà. Governi e cittadini debbono avere la certezza che le reti sono il fulcro della sicurezza nazionale e della prosperità economica. E questo richiede la risposta coordinata dei governi, del settore privato e della comunità internazionale. Stati, terroristi e quanti operano per attaccare le reti sappiano che gli Usa le proteggeranno. Chi mette in pericolo il libero flusso delle informazioni attenta all’economia, al governo e alla società civile. Paesi e individui che attaccano le reti informatiche debbono essere puniti. I principi ora delineati ci guideranno nell’affrontare il tema della libertà di Internet e del libero accesso a queste tecnologie. Gli Stati Uniti sono impegnati a fornire le risorse diplomatiche, economiche e tecnologiche necessarie a far progredire queste libertà. Ridisegnare le nostre politiche e le nostre priorità non sa-

rà facile. Ma non è mai facile adeguarsi ai progressi tecnologici. Per questo il prossimo anno collaboreremo con l’industria, il mondo accademico e le organizzazioni non governative affinché le potenzialità di queste tecnologie possano essere applicate ai nostri obiettivi diplomatici. Internet ha già portato enormi progressi in Cina. Oggi moltissimi in Cina usano Internet. Ma i Paesi che limitano l’accesso all’informazione o violano i diritti fondamentali degli utenti di Internet rischiano di autoescludersi dal progresso del prossimo secolo. Usa e Cina hanno posizioni diverse su questo tema e noi intendiamo affrontare queste divergenze nel contesto di un rapporto di cooperazione e di comprensione. Stiamo rafforzando la Global Internet Freedom Task Force per far fronte alle minacce e invitiamo i mezzi di comunicazione americani a svolgere un ruolo attivo nel contrastare le richieste di censura da parte di governi stranieri. Facciamo in modo che queste tecnologie promuovano il progresso in tutto il mondo. E battiamoci insieme per proteggere queste libertà nell’interesse dei giovani che meritano tutte le opportunità che saremo in grado di creare. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

“TV SENZA FRONTIERE”, MA SOLO PER B. L’Eurodeputato Vattimo: anche la Ue critica il decreto Romani che aiuta Mediaset e limita le libertà del web di Alessandro Cisilin

lo chiede l’Europa. È il CChigiemantra recitato da Palazzo sul decreto Romani che dovrebbe recepire la nuova direttiva europea sull’audiovisivo. Invece il decreto coglie l’occasione per fare altro, abbassando i tetti pubblicitari per il principale concorrente di Mediaset, allentando gli obblighi di investimento nelle produzioni indipendenti e ponendo la videoinformazione Web sotto controllo governativo. Le obiezioni dell’Agcom e le proteste del mondo del cinema, della tv e di Internet hanno indotto la Camera ad aprire un giro di consultazioni con gli operatori. Pareri non vincolanti, naturalmente, e altrettanto sarà quello votato dal Parlamento ai primi di febbraio. Il testo in discussione differisce molto dalla direttiva europea “Tv senza frontiere” – protesta da Bruxelles Gianni Vattimo, eurodeputato Idv alla

commissione Cultura. “Non faccio dietrologie sull’aggressione subìta da Berlusconi, ma da quando il Duomo di Milano gli è finito in faccia si è levata una campagna contro Internet accusata della storia dell’“odio”. E ora si passa ai fatti. I maligni citano anche i contenziosi giudiziari tra Mediaset e YouTube. La questione di YouTube è complessa e coinvolge una riflessione sui diritti d’autore. Ma qua si parla d’altro. Si vuole condizionare chiunque trasmetta in “live-streaming”, chiunque abbia un blog e voglia diffondere immagini in movimento. Secondo lei Berlusconi davvero teme la concorrenza del Web? Non credo, l’interesse commerciale viene perseguito in un altro punto, quello che modifica i tetti della pubblicità. Si abbassano quelli per le tv a pagamento a beneficio delle al-

tre, ossia Mediaset. In breve, si fotte Sky. Su Internet la finalità è invece politica, ossia quello di aumentare ulteriormente il “controllo”. Quindi: se il primo obiettivo è come al solito a favore del Cavaliere, il secondo è a favore del fascismo. Non ritiene però che anche il Web debba conoscere qualche regola e responsabilità? No, credo nella massima libertà, specie se si tratta di tv a pagamento e degli altri media che vengono consultati attraverso una scelta attiva dell’utente. E qui sono contrario perfino se si tratta di porno. Il decreto Romani sta suscitando mobilitazioni di piazza sul taglio alle produzioni audiovisive indipendenti. Tagliare gli obblighi di investimento sulle produzioni italiane ed europee significa mortificare il principale settore di esportazione negli Usa, ossia l’industria culturale, cruciale per l’Italia.

L’Europarlamento reagirà? Certo, ci mobiliteremo. E sarete di nuovo accusati di gettare discredito sull’Italia. Ogni volta che si parla di mafia,

BUONE NOTIZIE

illegalità, conflitti di interesse, concentrazione dei media, è imbarazzante, ma non è un’invenzione nostra che l’Italia sia un’anomalia in Europa.

La presentatrice e l’editore ucciso

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a presentatrice della tv privata cipriota Sigma Elena Skordeli (nella foto) e suo fratello, il giornalista Anastasios Krasopoulis, sono stati fermati dalla polizia nell’ambito delle indagini sull'omicidio dell’editore Antis Hadjicostis, 41 anni, direttore generale del grande gruppo editoriale Dias, ucciso l’11 gennaio a Nicosia.

STATI UNITI

A Guantanamo restano in 50

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er loro Guantanamo potrebbe non chiudere mai: quasi 50 combattenti nemici dell’America, detenuti da anni nel carcere cubano, sono stati messi in una “lista grigia” di prigionieri troppo difficili da processare o troppo pericolosi per poter essere trasferiti o rilasciati. Secondo gli impegni iniziali del presidente Obama il carcere per presunti terroristi, affollato un anno fa di oltre 800 prigionieri, avrebbe dovuto chiudere nell’anniversario dell’ingresso alla Casa Bianca; la data precisa doveva essere il 22 gennaio 2010, ieri.

a cura della redazione di Cacaonline

MENO NUCLEARE PIÙ BICI Anche la Sicilia dice No al nucleare Mentre il sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia annunciava che entro un anno verranno resi noti i siti di costruzione delle nuove centrali nucleari italiane e che saranno scelti d'intesa con le regioni, alla maggioranza di quelle contrarie (15 regioni su 20), si aggiungeva anche la Sicilia. Il voto contro la costruzione di una centrale nucleare nell'isola è stato unanime. E chiara sembra essere la posizione del presidente Raffaele Lombardo: “Ci batteremo perché in Sicilia non si parli più nemmeno lontanamente di nucleare”. Scartata anche l'ipotesi di un

referendum sul tema. Cresce il Bike sharing a Milano La regione Lombardia stanzierà 200 mila euro per incrementare il servizio di Bike sharing, “condivisione della bicicletta”, a Milano. I soldi finanzieranno otto nuove stazioni per la bici a noleggio, ciascuna dotata di 20 nuove biciclette e 33 postazioni di parcheggio. Nuove rastrelliere saranno installate anche nelle stazioni ferroviarie di Bovisa, Lancetti e Villapizzone. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

VIA ETERE

Terroni parassiti Odio e identità di Radio Padania

Ghini Dà il volto alla prima fiction sulle morti bianche

Bestemmia Telespettatori cattolici: brutta figura del Grande Fratello

Verona Tosi: stop alle partite con i cori razzisti (vedremo)

Jacko Il fratello: Michael era pronto per convertirsi all’islam

Un giorno qualunque, ai microfoni dell’emittente leghista. Le parole degli ascoltatori sulla carovana del sud: disposti a crepare per il nord

di Evelina Santangelo

R

adio Padania Libera 14 gennaio 2010. “...io riconosco un solo tipo di cultura che hanno portato loro, la cultura mafiosa...”; (conduttore) “Le telefonate viaggiano alla grande”; “l’intervento di quell’animale sudista... gente che non sa leggere né scrivere e nemmeno parlare...”; (conduttore) “unico commento minchia...”; “Io sono scandalizzata da questi meridionali... la carovana del sud”; (conduttore) “Noi lo ricordiamo, che non è che la Lega ce l’ha con i meridionali, ce l’ha con tutta una serie di parassiti che ci sono al sud, al sud ce ne sono tantissimi, perché abbiamo visto a Rosarno... anche al nord dove ci sono dei parassiti dove purtroppo si sono infiltrati in tante istituzioni, in tante aziende o meno... questo è chiaro. Però non è che la Lega ce l’ha con i meridionali, l’abbiamo detto tante volte, ci sono tanti meridionali che votano la Lega, che ci sostengono, che ci danno fiducia... poi non è che si può pretendere che avendo il ministro dell’Interno tutto cambi dall’oggi al domani”; “Per fortuna ha chiamato il primo calabrese che dimostra che, ogni tanto, c’è qualcuno col cervello anche al sud... volevo invitare il secondo calabrese, se vuole, a venirmi a trovare così discutiamo pacificamente... magari se lui mi regala una busta di proiettili e io gli regalo una testa di coniglio mozzata... questa gente non ha ancora capito che noi siamo disposti anche a crepare...”; (conduttore) “No, questa gente deve capire che la Padania, se s’incazza, son dolori, altroché”; “...guarda, io ho 23 anni, ma sono disposto a crepare, se è il caso...”. A parte la sintassi claudicante, il filisteismo e le risatine spavalde del conduttore, questo il tenore delle dichiarazioni di diversi radioascoltatori di Radio Padania Libera riguardo a un pezzo d’Italia i cui abitanti od oriundi (a meno che non convertitisi alla fede leghista) sono chiamati indifferentemente “meri-

dionali”, appellativo pronunciato con un tono e una serie di epiteti che lo rendono molto simile all’espressione “extracomunitari”: cioè esemplari del genere o specie “meridionale” così come esistono esemplari del genere o specie “extracomunitaria”. E questo detto da gente (esemplari del genere o specie “padana”, verrebbe da dire, se si volesse seguire una tale logica aberrante) che propugna il rispetto delle più particolaristiche identità locali (le proprie identità) anche a costo di imbastire pseudomemorie collettive in cui si fatica a riconoscersi (sfiderei chiunque, a parte qualche padano di fede cieca, a identificarsi nel prossimamente mitico beato Marco D’Aviano). Di simulacri d’identità così, che di fatto si definiscono per contrapposizione contro chiunque ne minacci o sembri minacciarne o possa minacciarne presunte prerogative, più o meno reali interessi socio-economici, ne ha conosciuti, eccome, la Storia... e non sono mai stati forieri di nulla di buono. Ora, le parole hanno memoria, creano senso anche per associazione, così non può lasciare indifferenti il fatto che l’espressione più ricorrente tra questi zelanti padani riguardo ai “meridionali” è “parassiti”, com’erano genericamente definiti “parassiti” gli ebrei nella Germania nazista, viene da pensare, come sono genericamente (o forse geneticamente) definiti “parassiti”i rom (rumeni, albanesi, jugoslavi... o chiunque abbia quell’aria lì), come lo sono, “parassiti” – sempre genericamente per carità – gli “extracomunitari”, al-

meno fino a quando non incrociano le braccia e fanno pesare davvero il loro contributo all’economia italiana... (non oso immaginare cosa succederebbe se a incrociare le braccia fossero i quattro “meridionali” non parassiti)... Tutti “parassiti”, s’intende, per antonomasia, perché appartenenti a un certo genere di umanità (“non laboriosa e non onesta”). Ma le parole hanno pure corollari, producono senso anche per una sorta di concatenazione automatica. E infatti la parola “parassita” si porta dietro puntualmente un ulteriore giudizio d’inferiorità. Così, è ovvio: questi “meridionali” si esprimono male, sconoscono l’italiano, la professionalità e, colpa gravissi-

VERDONE Il Festival di Siena lo risarcisce Tribunale di Siena ha condannato Maria Pia Corbelli a risarcire IvalCarlo Verdone per il mancato pagamento dell’incarico che avesvolto per l’edizione del 2006 del Festival Cinematografico Terra di Siena. Il regista si è dichiarato soddisfatto della sentenza, anche perché chiarisce alla città di Siena, agli addetti ai lavori e ai tanti appassionati di cinema il motivo della sua assenza dopo varie edizioni consecutive che lo hanno visto direttore artistico, “ nell’impossibilità di proseguire in un lavoro serio e appassionato che ha visto transitare al festival i nomi più prestigiosi del Cinema Italiano e della Critica nazionale”. “Non è solo una questione economica” - dice Verdone - “ma l’amarezza estrema di aver fatto per alcuni anni un lavoro serio per la conservazione della nostra memoria storica cinematografica. Retrospettive su Tognazzi, Germi, I grandi caratteristi del cinema italiano, Il cinema delle donne in Italia. In pratica un lavoro serio gettato alle ortiche. E in più in una città a me cara, Siena: la città di mio padre”.

ma in questa visione proprietaria dell’Italia, invadono il nord. Come se in Italia esistesse (già, perché del doman non c’è certezza) un diritto di cittadinanza a chilometraggio, o un diritto di cittadinanza attribuito in base al grado di padanità, come se i “meridionali” fossero dei clandestini in patria oltre quella linea immaginaria che, in questa visione proprietaria del paese appunto, separerebbe la “nazione-Stato” (per dirla con Bossi) della Padania federata e leghista dall’indistinto sud mafioso e parassitario. E tutto questo è detto con quella presunta evidenza che va sempre al di là di ogni evidenza e di ogni verità (che, per sua stessa natura, non può che essere sempre complessa, sfaccettata). Tutto questo è dichiarato senza il sospetto del dubbio, addirittura senza pudore alcuno, quasi si trattasse di dati incontrovertibili, anzi di ovvietà da pronunciare in tono apodittico, quel tono che porta con sé la fine di qualsiasi confronto con l’esperienza e di qualsiasi discorso. Il tono preferibilmente usato da chiunque non ammetta repliche. Cazzate sotto forma di luoghi comuni. Si potrebbero certo liquidarle così, queste dichiarazioni, se non fosse che, ad affermare una tale quantità di pregiudizi o giudizi arbitrari (visto il loro tasso di genericità appunto), non sono un pugno di irresponsabili o di teste calde farneticanti in una qualsiasi radio autogestita, ma padri e madri di famiglia, ai microfoni della radio della Lega. Possibilmente anche brava gente, dedita alle sue opere di bene e alle sue, più o meno or-

La sfida fra Capitan Padania (in verde) e Neo Pulcinella al PalaLottomatica di Roma affollato dai fan del wrestling (FOTO ANSA)

La violenza, dice Hannah Arendt, comincia laddove il discorso finisce dinarie, opere di male, gente preoccupata per il proprio lavoro onesto e la propria famiglia in un’onesta cittadina del nord. Ed è questo che inquieta. “La violenza, dice la Arendt, comincia laddove il discorso finisce. Le parole... diventano cliché. Ed è proprio il livello di penetrazione dei clichè nel nostro linguaggio e nei nostri dibattiti quotidiani a darci la misura... di quanto siamo disponibili a ricorrere a mezzi di violenza... per risolvere le nostre controversie”. Ora, non c’è violenza peggiore che ridurre chiunque altro a esemplare di una qualche specie, e farlo non solo in modo assolutamente arbitrario, ma come se si trattasse di opinioni innocue, addirittura assennate, talmente assennate da essere diventate, di fatto (e da tempo ormai) assunto culturale (se non addirittura ideologi-

co) per un progetto politico, anzi, un progetto-politico-di-governo destinato a incidere (a quanto pare) in maniera sempre più profonda e capillare sull’intero tessuto della realtà del nostro paese, con tutto quel che ne consegue. Che un consenso si fondi anche su assunti del genere, e che assunti del genere diventino sottotesto di strategie politiche di governo non può non suscitare in chiunque abbia un po’ di cervello un intimo senso di sconcerto... Né ci vuole tanto acume per intuire dove può portare una strada del genere. Stigmatizzare il “meridione” come terra di parassiti, ignoranti e mafiosi, misconoscere – se non in alcuni casi, addirittura attaccare – il lavoro delle procure antimafia, complicare l’impegno di moltissimi insegnanti di ogni ordine e grado per contribuire a radicare, assieme al valore della conoscenza, la cultura della legalità e della convivenza civile, sottovalutare le sfide d’eccellenza di tante realtà produttive, o il lavoro di diverse associazioni giovanili e professionali sul fronte della lotta al racket, del diritto al lavoro e, di contro, presentare il nord – al di là di ogni evidenza investigativa e giudiziaria – come un pezzo d’Italia di per sé refrattario alla corruzione, all’illegalità e alla penetrazione socio-economica delle mafie, non sembra giovi a nessuno abbia a cuore davvero le sorti di questo paese (del sud, con le sue contraddizioni, come del nord, con le sue, di contraddizioni). Giova semmai proprio a chi vorrebbe un nord e un centro dove portare avanti affari illeciti senza troppi intralci, tra gente che si fa gli affari propri, e, di contro, un sud rassegnato, un sud in cui magari continuare a scaricare indisturbati i rifiuti tossici provenienti da ogni dove, un sud seppellito dalla sua stessa immondizia e dai debiti accumulati fino all’inverosimile da amministrazioni ancor più parassitarie del passato, amministrazioni che in Sicilia ad esempio (a Palermo come a Catania) questo governo, di cui fa parte la Lega, ha continuato a foraggiare, alimentando di fatto quel clientelismo e quell’assistenzialismo così deplorato dai leghisti, e umiliando quel sud non rassegnato, anzi, combattivo, che ogni giorno prende in mano il proprio destino. Per questo suona ancora più sinistra, nella sua assoluta cecità, la dichiarazione dell’ultimo radioascoltatore, che si dice disposto a “crepare”. Crepare in nome di cosa...? Crepare contro chi...?


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SECONDO TEMPO

MEDIA&MEDIA

FACEBOOK FILM FESTIVAL

Paranormal Activity sbarca in Italia Una pellicola fatta in casa conquista il mondo di Federico

Pontiggia

aranormal Activity”: non è solo il titolo dell’horror di Oren Pelin, ma la sua storia. Al box office americano, ha incassato quasi 108 milioni di dollari, ed è costato 15: sarebbe già un super risultato, ma questi 15 non sono milioni, bensì migliaia di dollari, di cui ben tremila spesi per una videocamera ad alta definizione. Paranormale, forse semplicemente insolita, è la storia dello stesso regista: nato in Israele, emigrato a 19 anni negli States per programmare videogiochi e software d’animazione, gira da un appartamentino all’altro, fin quando non conosce Toni Taylor, ci si mette insieme e… si trasferisce in una tranquilla villetta di periferia a San Diego. “Mi ero subito reso conto che si poteva sentire ogni minimo rumore”, ricorda Pelin, mentre la sua compagna si dice addirittura “tormentata” da quell’esperienza. “Paranormal Activity” nasce così, negli scricchiolii suburbani e nella paura del buio, nella scelta di Pelin, maniaco della tecnologia o, se preferite, nerd, di mettere delle telecamere per capire che succedesse in quella casa. Ma non sarebbero state camere a circuito chiuso, di sorveglianza, tutt’altro: di larga osservanza, aperta al pubblico. Con Toni e il suo migliore amico Amir

“P

Zebda, Oren pensa a un film, scrive il copione e ristruttura la casa: parquet, quadri, nuova camera da letto. E’ tutto pronto, anzi quasi fatto: il 39enne regista fa i provini, sceglie i debuttanti Katie Featherstone e Micah Sloat (pagati 500 dollari a testa), e gira con ragazza e amico per troupe. Gira forte, fortissimo, guerrilla-style: una sola settimana di riprese nel 2006, e “Paranormal Activity” vola allo Screamfest 2007, festival hollywoodiano di produzioni amatoriali. Gli spettatori vanno in visibilio, anzi nel terrore: “Vedere un pubblico pagante che si copriva gli occhi e reagiva fisicamente è un’esperienza che non dimenticherò mai”, gongola Pelin. Ma è solo l’inizio e, dietro gli applausi, non sono rose e fiori: il film stenta a trovare una distribuzione, finché il dvd non finisce nelle mani del produttore Steven Schneider e, tramite il collega Jason Blum, arriva alla Paramount. Ma ancora non basta: la Paramount traccheggia, ma l’allora controllata DreamWorks si mette in mezzo, comprando i diritti per un remake ad alto budget, nella convinzione che l’originale fosse troppo povero per la distribuzione in sala. Non è così, e a dirlo è “uno che di cinema se ne intende piuttosto bene”, come ammetterà ironicamente l’esordiente Pelin: Steven Spielberg, che il film lo vede,

capace pure di ridicolizzare “The Blair Witch Project”, il peso piuma del cinema indie-horror che si scoprì campione dei massimi. “Paranormal Activity” esce il 25 settembre 2009, solo in 12 sale, ad alta affluenza studentesca, con proiezioni a mezzanotte o giù di lì: al primo weekend, fa 77.873 dollari. La Paramount fiuta il colpo, e mette in campo il marketing: a basso budget, pure questo, ed alto contagio. Marketing virale, che si serve di Facebook – con il sistema Demand It! – e del Web per testare la domanda: se avessero ottenuto un milione di richieste di virtuali spettatori, la distribuzione sarebbe diventata nazionale. Potenza del passaparola multimediale, l’obiettivo viene raggiunto il 9 ottobre: una settimana più tardi, “Paranormal Activity” arriva su 760 schermi, un mese dopo sono 2.712. C’è un altro segreto: il trailer. Che non offre immagini del film, ma le reazioni degli spettatori in sala, la loro paura fisica, come ricordava Pelin.

Non si “vende” il prodotto, ma l’effetto: e pure questo fa venire l’acquolina, con il link del teaser su YouTube che viene stracliccato. Letteralmente un Kammerspiel (dramma da camera) costruito su Internet, ora vedremo che farà da noi, perché il 5 febbraio esce con Filmauro, mentre Oren Pelin sta utilizzando 5 milioni di dollari – speriamo non gli giri la testa… – per l’aliena opera seconda “Area 51” e Kevin Greutert, il regista di “Saw VI”, dirigerà il sequel del suo “Paranormal Activity”. Che dire ancora? Ci sarebbe da raccontare la trama, ma non la sveliamo, con una sola avvertenza: fidatevi di quel che vedrete e soprattutto intuirete, al netto della verosimiglianza. Lasciatevi trasportare in questo rumore di sottofondo, tra queste oscure presenze e basta. Abbandonata (?) l’epoca splatter, l’horror oggi punta alla (para)normalità, e vuole fiducia: la vostra. Abbiate fede, e al ritorno a casa statene certi: non dormirete (più) sonni tranquilli…

Una scena di “Paranormal activity”. Sotto Eric Cantona (FOTO ANSA)

e ne rimane terrorizzato. Per giunta, il mattino seguente la porta della sua camera da letto misteriosamente si blocca dall’interno: devono buttarla giù. Fatto sta, Spielberg, patron della DreamWorks, decide di prendere sotto la sua ala protettiva il giovane collega – un po’ come recentemente

ha fatto Peter Jackson con il genietto Neill Blomkamp per “District 9” – e catalizza l’uscita del film nella versione originale, a cui Pelin s’era attaccato come una cozza. Ma suggerisce un finale alternativo: Oren fa l’inchino e accetta. Il resto è storia. Quella del film più proficuo del mercato Usa,

CANTONA, DEPARDIEU DEL PALLONE PARIGI, L’ESORDIO A TEATRO DEL CAMPIONE CON “FACE AU PARADISE” di Malcom

Pagani

ui dice, in una prevalenza fisica, verbale, Lporto, confusa, di accentato marsigliese zona che se ci prende il lusso di non osservare: “La vita vale meno” e poi gioca col paradosso, mettendosi a nudo, su un palco, per recitare. Per Eric Cantona, 43 anni, è cambiato poco. Dagli spalti inglesi, dove gli capitava in un turbinìo dialettico, di essere applaudito in piedi da 80.000 ossessi o alternativamente, di essere insultato e di rispondere a colpi di kung fu, a un teatro parigino. Quattrocento persone, critici col monocolo, curiosità verso questo Depardieu del pallone che muove un quintale con l’inconsapevole grazia degli autodidatti e dopo quasi due decenni di palloni, viaggi e ribellioni, ha indossato il distratto abito dell’intellettuale disorganico. Da martedì, al Marigny di Parigi con i centralini impazziti e un’attesa non meno cattiva che curiosa, lo aspettano al varco. “Face au paradise”, di Nathalie Saugeon, è un testo difficile. Per il cinema, l’autrice ha scritto “Mascarades”, la miglior opera prima dell’anno scorso. Cantona non si preoccupa. “Per vedere se si è capaci, bisogna rischiare”. Così Eric si mette nelle mani della moglie Rachida Brakni, ex attrice qui nel ruolo di regista e non si ferma. E’ all’undicesimo film. Opere importanti. Kate Blanchett ed Etienne Chatiliez. L’ultimo, “Looking for Eric”, quello in cui con la complicità di Ken Loach, ironizza sulla sua figura di confine a metà tra il genio e il bluff, ha fatto ricredere qualcuno. Oltre la trincea (ma fosse altrimenti, Cantona non sarebbe Cantona), tutti gli altri. Quelli che giudicano i suoi quadri poco più che dilettanteschi, i perfidi burattinai di “Guignols l’info”, il program-

ma di France+, che giocando con le maschere e deridendo mezza Francia (potente), lo descrive come un cialtronesco usurpatore dal nome evocativo, Picasso. Cantona è un oggetto strano. Il nonno, comunista, fuggì dalla Spagna durante la Guerra civile. Il padre, Albert, infermiere psichiatrico, aveva le tele in soffitta. “Rapito da luce e colori” come racconta Cantona stesso. Mostre, regali a tema, l’immaginario del ragazzo segnato. Abitavano a Caillols. Il quartiere popolare delle mobilitazioni e dei dialetti dove passò anche Zidane. Emigrati e mobilitazione continua. Lui dice di essere rimasto il bambino d’allora e che il campo, in cui ha sputato talento senza le pause asburgiche di un Platini o la correttezza di un Rivera, altro non è che la continuazione di un’arte da esprimere a ogni costo. Come gli altri, Eric il pazzo non sa vivere. Ha guadagnato tanto ma non cosa sia la moneta corrente. Se deve pagare un caffè tira fuori la carta di credito. Non è un trucco letterario, solo la distanza pretesa e marcata con il resto del mondo. Che è ingiusto, diseguale, marcio. Eric non può curarlo. Tappare buchi, lavorare attivamente con l’Abbé Pierre per dare una speranza a chi non ha nulla, fare beneficenza senza pubblicità. Come in gioventù, Cantona deve lottare per non diventare un’attrazione da circo. Convincere due volte. Essere tanto bravo da far dimenticare la diversità. E’ una scissione, non sempre governata, che lo rende indefinibile. Il cal-

cio, il palcoscenico, il presente da reinventare col rischio di aver tatuato nell’immaginario altrui, l’incancellabile fotogramma del clown. Una condanna che lo costringe a dimostrare con il linguaggio del corpo. “Hai una bocca, due orecchie, devi più ascoltare che parlare”, gli suggeriva il padre. Ha dato retta solo in parte. Il silenzio, un’illusione. Sforzarsi era inutile, erano le prime pagine a correre da lui. A Manchester, dove i tifosi, più che ricordarlo, lo idolatrano, accumulò targhe, multe, risse, gol da commozione immediata, squalifiche. Come a Marsiglia. Dove un giorno lo mandarono via con la destra fingendo di punirlo per un gesto di insubordinazione, contando con la sinistra i milioni di franchi guadagnati nell’operazione. Al ritorno, invece di passare davanti al Vélodrome , andò al Teatro le Planche. Corsi di recitazione. E poi divorzi, figli, matrimoni. Libri di Pasolini e Hesse divorati, pellicole recitate a memoria. Per Cantona, Kafka e una sola esistenza non bastano. Quindi, largo alla soddisfazione sognata nell’infanzia. Giornalista, critico letterario, fotografo. Tanti mestieri in uno. Eric passa felice tra una sfilata e una tavola rotonda. Cena con l’amica Isabelle Adjani, va al cineforum per Fassbinder, colleziona opere d’arte. A 22 anni aveva già acquistato Ambrogiani, Chabaud, Deroubaix e Barrer. Tinte cupe che gli appaiono solari. Quando im-

Sul palco, dopo il film di Ken Loach: “Per vedere se si è capaci, bisogna rischiare”

pugna il pennello, Cantona imprime dolore. Emarginati. Esclusi. Piccoli fiammiferai. Aver cambiato marcia, pensa Eric. Serviva, dopo la parentesi sui campi di Beach Soccer, con le vecchie glorie sempre più vecchie in un esodo nomade che aveva finito per deprimerlo. I pub e le raggelanti serate con le famiglie dei compagni di squadra sono alle spalle. Il pallone è la preistoria. Degli ex colleghi parla pochissimo. Per bastonarli, spesso. Non ha mai sopportato il gruppo in senso stretto. L’eremitaggio dei primi tempi ha fatto comunque posto a un’affabilità nuova. Oltre il personaggio, la persona interpreta più parti. E’ Pirandello ma anche Frank Capra e lui non fa niente per diradare una nuvola funzionale all’equivoco. La macchina del dubbio crea curiosità, biografie apologetiche (Philippe Auclair “Il ribelle che volle diventare un re”) , in cui si postula l’assoluta continuità tra l’Henri Leconte del pallone e l’artista in borghese, con dichiarazioni sulle quali dividersi, per dare a Eric, una tribuna da filosofo: “La mia cultura è soprattutto visiva”. Ora pensa a un altro film. Vuole girarlo. Si occuperà di un prozio sardo. Asceta, come Eric volle essere, senza riuscirci. La fama ti insegue. O forse è solo la fame di un tempo che impedisce la noia. “Se i gabbiani seguono un peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine”. Si siedano gli altri. Naviga Eric, alla direzione penserà con calma.


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TELE COMANDO TG PAPI

Parla il premier di Paolo

Ojetti

g1 T Parla il “premier” e Sonia Sarno riferisce. Sembra un’eco, niente di più. Verrà un giorno in cui qualcuno si renderà conto che questo genere di “inviato” al seguito è del tutto pleonastico. Si chiederà gentilmente a Paolo Bonaiuti (era un giornalista) di passare direttamente al servizio politico del Tg1 il filmato con Berlusconi parlante, già tagliato, missato e con musiche di Apicella. E poi, cosa ha detto Berlusconi? Che dobbiamo ringraziarlo in ginocchio perché non ci ha aumentato le tasse e non ha messo “le mani nelle tasche degli italiani”. Immaginiamo un vero giornalista davanti a Berlusconi: “Presidente – avrebbe chiesto – ma il bollo auto non lo ha tolto, le accise sui carburanti non le ha ridotte, le autostrade hanno

aumentato i pedaggi, le addizionali regionali fanno come vogliono, il canone Rai è cresciuto e i programmi sono orridi, le due aliquote dell’Irpef promesse erano una frescaccia gigante. E allora, come la mettiamo?”. Esiste ancora un giornalista così? g2 T Spazio per una notizia mostruosa. Un magistrato, Luigi Tosti, è stato espulso dall’ordine giudiziario perché si rifiutava di lavorare in aule con il crocifisso. Il Csm, improvvisatosi in Sant’Offizio, ha sentenziato: via, sciò, a casa. Arriveranno le motivazioni, ma è forse scritto da qualche parte che il crocifisso debba essere obbligatoriamente esposto? E che rifiutarlo sia un sacrilegio verso lo Stato? Cosa c’entra – a pensarci bene – il crocifisso sopra il famoso distico “la legge è uguale per tut-

ti”? E’ forse la presenza di questo simbolo a far pendere la bilancia della giustizia da una parte piuttosto che da un’altra? I giudici in Camera di Consiglio pregano, chiedendo lumi all’Eterno? I testimoni giurano sulla Bibbia, come nei telefilm americani? Il Tg2 non si pone nemmeno mezza di una di queste domande. Il giudice Tosti è espulso? E chi se ne frega di questo perfido infedele. E poi dicono dei musulmani. g3 T Alla fine almeno un telegiornale, questo, ha pensato di chiedere a un costituzionalista (in questo caso il presidente emerito della Consulta, Valerio Onida) se questo “processo breve” è davvero una sciagura. Lo è, avrà effetti retroattivi e disastrosi, cancellerà un numero imprecisato, comunque altissimo, di processi; manderà in libertà i delinquenti e non darà giustizia agli innocenti. Pare che Berlusconi (è Terzulli che informa) ci stia ripensando: intanto si farà votare un “legittimo impedimento” su misura e tirerà a campare. Aveva chiesto una leggina per abolire Mills. Ma anche Bondi gli ha detto che ci sono forti dubbi.

di Nanni Delbecchi

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Mara matricola

sorpresa, esiste qualcosa di più effimero della fama in vita, almeno in Italia: la fama Atelevisiva. È uno dei tanti effetti della capacità di accelerazione di cui è dotata la tv; quel che nella vita reale può richiedere anni di studi, fatiche e preparazioni (dopodiché si può trovare finalmente lavoro all’estero) nella vita catodica può avverarsi nello spazio di un reality show, di uno spot o di una crisi isterica bene assestata. C’è una contropartita; nella vita catodica si può sparire in modo non meno istantaneo, magari proprio sul più bello; il famoso quarto d’ora di celebrità può prolungarsi fino ai tre mesi di prova, per poi non essere rinnovato mai più. Dietro la facciata luccicante nella videocrazia si affanna un esercito di co.co.co. Ecco allora che un programma come “Matricole e meteore”, presentato da Nicola Savino su Italia 1, mostra il volto della popolarità televisiva sotto il suo profilo più autentico, quello bifronte. Si rivedono gli esordi di chi sarebbe diventato famoso, alternati ai brevi attimi di gloria di chi sarebbe ripiombato nell’oblio. In una sorta di fratellanza universale, si osserMara Carfagna, vano queste due veministro per le Pari rità uguali e contraopportunità rie, lo yin e lo yang della società dello spettacolo. Anche se confinato in uno studio-sgabuzzino, con una scenografia optical ispirata alle discoteche degli anni Ottanta e spazzato da luci arancioni che fanno sospettare che sui

conduttori si sia abbattuta una vera meteora, lo show funziona. Savino, scuola “Striscia” e Gialappa’s band, si destreggia con verve adrenalinica tra le vagonate di ospiti prima e dopo la cura, e si è esercitato a distogliere – quasi sempre – lo sguardo dal campo magnetico del décolleté di Juliana Moreira, hostess sorridente sospesa in uno stato di perenne estasi. Le matricole appaiono solo tramite spezzoni d’annata e si rivedono gli esordi di Paolo Bonolis, Simona Ventura, Fiorello intervenuto anche via telefono (il massimo dello status symbol); le meteore invece accorrono in carne e ossa, non si sa mai nella vita, ed ecco rimaterializzarsi chicche degne di Porta Portese, come la regina della disco-music Sandra o il gruppo degli Oro, misconosciuti autori dell’immortale “Vivo per lei”. Ma si può essere meteore e al tempo stesso matricole; è il caso di quei politici che, pur non avendo avuto fortuna nello spettacolo, si sono rifatti diventando onorevoli o addirittura ministri. E’ il caso di Daniela Santanchè, che si è proprio rifatta da capo a piedi. E di Mara Carfagna, che abbiamo visto cantare, ballare e suonare al pianoforte “Imagine”. Ma perché questa così promettente matricola ha poi deciso di darsi alla politica? Un mistero a proposito del quale si sono fatte già parecchie ipotesi. La visione di “Matricole e meteore” ne suggerisce ulteriori; alla Carfagna potrebbe essere apparso il fantasma di John Lennon; oppure potrebbe averle scritto il legale di Yoko Ono. O magari, più semplicemente, non c’è stata alcuna conversione. Quel provino era già il primo, consapevole passo del futuro ministro delle Pari opportunità; perché nell’Italia di oggi la tv è il vero luogo della formazione politica, le nuove Frattocchie stanno a Cologno Monzese.


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MONDO

WEB

Diritti Web e dirette tv on fa neanche mezzo passo Nceministro indietro, Paolo Romani, vicon delega alla Comunicazione. Il decreto legislativo che il governo si appresta ad approvare, prevede varie norme contestate dal mondo della cultura, del cinema e della rete. Su Internet in particolare, molte critiche ha ricevuto la proposta di equiparare i siti che trasmettono video in streaming a dei veri e propri canali televisivi: se il decreto passerà per trasmettere dovranno richiedere un’autorizzazione al governo e rispettare gli obblighi di legge previsti per le tv. Romani ha parlato di polemiche “pretestuose e strumentali”. Ha spiegato di non voler regolamentare il Web confermando però che: “Chi trasmette contenuti con un ritorno economico deve essere equiparato ai broadcaster. Non c’è nessun limite invece per chi trasmette contenuto senza ritorno economico”. In realtà, il viceministro dovrebbe sapere che il “ritorno economico” sul Web, è difficilmente equiparabile a quello delle tv (e non solo nella raccolta di pubblicità). Per esempio Marco Travaglio ogni

lunedì trasmette sul blog di Beppe Grillo una rubrica in diretta streaming: Passaparola; e lo stesso Grillo ha una sua rubrica video: Grillo 168. Come noto, sul blog di Grillo si trovano in vendita i Dvd degli spettacoli: si può dire per questo che il blog abbia “un ritorno economico” per i video streaming tanto da essere equiparato a Canale 5? O ancora, numerosi blog, specialmente sui territori, realizzano di tasca loro servizi e inchieste video. Per finanziarsi chiedono un aiuto ai lettori. Per questo possono essere considerati come RaiUno? In questo tritacarne, inoltre, rientrerebbe anche YouTube, che si finanzia con la pubblicità. Romani dice di non voler regolamentare il Web. Ma anche il governo cinese ha affermato ieri che “La Costituzione cinese garantisce ai cittadini la libertà di opinione”. Non gli ha creduto nessuno.

è YOUTUBE COME UNA WEB-RADIO CON PLAYLIST, SUGGERIMENTI E “MIX-TAPE”

Sulla strada di siti come Pandora, Spotify e Last.fm che offrono la possibilità di ascoltare musica online, YouTube ha inaugurato un nuovo servizio gratuito: “Music Discovery Project” all’indirizzo youtube.com/disco. Il software permette di cercare i brani per autore, di Federico Mello suggerisce artisti simili ma, soprattutto, permette di creare playlist da modificate e salvare. Il nuovo servizio offre anche l’opzione “Mixtape” che crea una radio online con brani di autori simili a quello cercato. Completa il tutto una scheda è TWITTER DALLO SPAZIO biografica del singolo artista. GLI AGGIORNAMENTI DEGLI ASTRONAUTI “Find-Mix-Watch” è lo slogan di YouTube Twitter debutta nello spazio: gli astronauti della Disco che si candida a spopolare sui Stazione Spaziale Internazionale saranno in grado computer di tutto il mondo. di usare il servizio di microblogging senza alcuna assistenza da Terra. L’annuncio arriva direttamente dalla Nasa. Finora i messaggi spaziali dovevano passare dal centro di controllo prima di essere pubblicati. Ora invece, arriveranno direttamente sui loro account: “Hello Twitterverse! We r now LIVE tweeting from the International Space Station” il primo messaggio dell’astronauta T. J. Creamer che informa i suoi lettori della novità.

feedback$ è ANTEFATTO.IT Commenti al post: “Il giudice breve” di Marco Travaglio Mai articolo più veritiero ho avuto modo di leggere nelle ultime settimane... Una vergogna le parole di Gasparri ad Annozero... Alla fine L'Ottaviano Augusto del Duemila farà ancora i suoi comodi dopo aver comprato quasi tutti in Parlamento. Per fortuna ci sono piccoli grandi uomini come Di Pietro e giornalisti come Travaglio che non ci stanno!!! Non ci resta altro da fare ke tenere duro e smascherare tutte le loro skifezze. Grazie Travaglio e a tutti i coraggiosi del Fatto! (Luigi De Blasio) Ma vogliamo capire che questi pagliacci sono una Casta di privilegiati? Ormai è impossibile riportarli al livello dei comuni mortali. Nel 2006 Berlusconi, il più alto in grado della combriccola di nababbi, conoscendo la stupidità degli italiani, promise durante la campagna elettorale del 2006 di eliminare la casta. Pensate un po' voi dove siamo finiti. Proprio al fondo (Giulio)

L’account Twitter dell’astronauta; il Gf dei giornalisti; il nuovo servizio YouTube; Stallman

DAGOSPIA

LA PASCALE DI “SILVIO CI MANCHI” NEL LISTINO DEL LAZIO

1) Ultime dalla premiata ditta Silvio&Umberto: Galan al posto di Zaia anche se Cota perde in Piemonte ma con Calderoli vicepremier. 2) Ultime dal Lazio: tutti nel Pdl rimpiangono la Todini, l'unica che avrebbe messo d'accordo tutti, a cominciare dal Cavaliere. E ora? Il Cav. vuole la rottura con Pierfurby e per arrivarci lo metterà alle strette negandogli posti nel listino bloccato e accordi sugli assessorati. Tanto Casini con la Bonino non ci può certo andare. Per cui l'Udc verrà imbarcato, eventualmente, solo a voto avvenuto e verrà "premiato" solo in base ai risultati elettorali concretamente ottenuti. (Caro Pierfurby, stavolta t'hanno fregato). 3) Ma allora Silviuccio nostro proprio non vuole imparare... Indovinate chi ci sarà nel listino della regione Lazio? La giovanissima, carinissima e soprattutto napoletanissima Francesca Pascale, attuale consigliere provinciale a Napoli e fondatrice del movimento “Silvio ci manchi” 4) Voci certe all'interno del Pdl dicono che sicura sul listino blindato del Pdl nella lista per le regionali nel Lazio ci sarà l'avv Antonia Postorivo, coniuge del senatore Antonio D'Ali. 5) E mò chi glielo dice a quelli del Foglio che l'ottima Loretta Napoleoni ha è GIORNALISTI AL CONFESSIONALE scritto un UN ESPERIMENTO IN STILE REALITY bellissimo commento “Ma cosa avranno da dirsi tutto il con tanto di foto in tempo?”. Questa la domanda che si bianco e nero (“Tra pongono molti telespettatori che non si è RICHARD STALLMAN eroina e bombe appassionano alle gesta dei concorrenti OGGI A BOLOGNA suicide”) del Grande Fratello. Ma adesso - come UN SEMINARIO SUL sull'Espresso? racconta Marco Pratellesi sul suo blog SOFTWARE LIBERO in una delle tante versioni del Richard Stallman è presidente e programma, concorrenti saranno cinque fondatore della Free Software giornalisti radiofonici. Il programma è Foundation. É figura di riferimento realizzato dalla Radio Pubblica assoluto per tutti gli amanti di informatica e dei Francoforte, che riunisce emittenti del sistemi opensource e ha creato strumenti informatici Canada, Francia, Belgio e Svizzera. I e legali (la licenza Gnu) per il software libero. Richard giornalisti non potranno avere né i Stallman è in Italia e oggi, a Bologna, terrà per un cellulari, né quotidiani, tv o radio. Che seminario pubblico organizzato dal Master in Scienze faranno tutto il giorno? Semplice. e Tecnologie del Software Libero. Il seminario, dal Avranno a disposizione Twitter e titolo “Free software and freedom in government, Facebook (senza poter accedere però a education, and your life” (Il software libero e la libertà link di quotidiani) e ogni giorno dovranno nelle istituzioni, nell'istruzione e nella tua vita) si informare il pubblico delle loro rispettive svolgerà presso l'Aula Magna del Dipartimento di emittenti. Il programma è un Chimica, dalle 10 e 30. esperimento sul giornalismo: riusciranno i concorrenti a raccogliere informazioni sufficienti solo grazie a notizie pubblicate degli utenti? Staremo a vedere.

Di leggi ad personam potrà farne ormai quante ne vuole. La legge elettorale (anche quella ad personam) ha determinato la paradossale situazione che vede in Parlamento gente votata non dagli elettori, ma messi in lista dal capo. Ogni deputato o senatore quindi ha la propria coscienza sotto sequestro: il minimo accenno di dissenso porrebbe chi vuole esercitare libertà di giudizio e di voto fuori lista alle elezioni successive. Riguardo al processo breve, mi sarei aspettato che in parlamento, nel discutere la legge, qualche esponente dell'opposizione ricordasse che, all'indomani della bocciatura del lodo Alfano, Berlusconi dichiarò furente ai microfoni di tutte le sue TV che sarebbe andato a sbugiardare (proprio così disse) i magistrati che lo perseguitano. Con la legge sul processo breve si sottrae a questa possibilità. Questo corrisponde ad una chiara ammissione di colpevolezza. (Mario Z) Un’altra delle possibili conseguenze della legge sul processo breve è che se passa diminuiranno anche le denunce e dunque le aperture di processo scusate il linguaggio non giuridico - poichè si dirà 'tanto non si fa in tempo ad istruire il processo, cadrà in prescrizione prima' Insomma Marco non si potrà neanche più affermare: Tizio è indagato per.. :( (Fabaindirosa) Un grazie affettuoso da parte di tutti i cittadini onesti e osservanti delle leggi, ci chiediamo a questo punto se viviamo in un paese normale o siamo finiti in una di quelle republiche sudamericane . é una vergogna.. Quello che rattrista è che questo "illusionista" ottiene ancora consenso, ma è possibile che la gente non se ne renda conto? Comunque Grazie Marco Travaglio non mollare. (Michelangelo)


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PIAZZA GRANDE Delbono a orologeria di Gianfranco

Pasquino

e accuse nei confronti del sindaco di Bologna Delbono sono molte e pesantissime: abuso d’ufficio, peculato, truffa aggravata (perché pubblico ufficiale ai tempi in cui viaggiava allegramente per il mondo con la sua fidanzata). Naturalmente, come di solito dicono gli esponenti del Partito democratico quando tocca a qualche politico del centrodestra, “lasciamo che la giustizia faccia il suo corso”. In verità, qualcun altro nel Pd ha già fatto ricorso all’altra classica espressione ipocrita: “Giustizia ad orologeria” poiché si sta avviando la campagna elettorale per le elezioni regionali. Difesa preventiva del presidente della regione e già autorevole sponsor di Delbono, Vasco Errani, alla ricerca del suo terzo irrituale mandato: “Non influenzerà l’esito”. Certo che no, il blocco di potere del Pd mica si lascia sgretolare da qualche scandaletto, anche se l’attuale appare davvero molto grave. Spinto in campo dalla sua ambizione e dalla necessità dei dirigenti del Pd bolognese di ovviare all’errore commesso, ma mai apertamente riconosciuto, con Cofferati, Delbono ricevette subito l’appoggio preventivo (ovvero prima che le primarie ne facessero un candidato effettivo) di Bersani e di Zangheri e poi quello giubilante di Prodi (a suo tempo molto rallegrato anche dalla candidatura di Cofferati) e del suo loquacissimo staff. Infine, incassò il benemerito baldanzoso sostegno di Repubblica di Bologna. Allorquando il candidato del centrodestra Cazzola sollevò in campagna elettorale il problema delle numerose, frequenti e lunghe vacanze della coppia Delbono-Gracchi, fu lui a venire attaccato, con sdegno perbenista, e i giornalisti bolognesi si dimenticarono della nobile tradizione dell’investigazione almeno sui fatti. No, Bob Woodward e Carl Bernstein non

L

Il caso Bologna: poiché la politica ha bisogno di un’etica, siano i politici a dimostrare con il loro apprezzabile esempio personale che sanno osservarla scrupolosamente abitano a Bologna. Cosicché quello che poteva essere il Cinziagate già otto mesi fa sparì dalle pagine dei giornali, non influenzò l’esito delle elezioni, giunse fino alla quasi archiviazione, ma… cambiò il procuratore generale, le indagini furono riaperte e il vaso di Pandora (pardon, di Cinzia) si è rivelato ricchissimo, generosissimo di fatti, date e dati, in attesa dei sacrosanti estratti conto di qualche carta di credito, della regione e personale dell’allora assessore e vicepresidente Delbono. Si scoprì anche, e questo dovrebbe fare piacere sia a tutto il centrodestra sia ai saccenti garantisti del Partito democratico e dintorni, che le toghe non sono tutte rosse e che a Bologna l’inf luenza dell’ambiente ex Pci e ex Ds non è più soffocante. In altri luoghi, se fosse toccata a un sindaco di centrodestra una roba delle dimensioni che vanno emergendo, la parola dimissioni sarebbe stata non pronunciata, ma urlata, scritta sui muri, esposta su cartelli in consiglio comunale, soprattutto dalla rigorosissima Italia dei Valori. Nelle file del Partito democratico di Bologna, già molto attivamente provato dalla necessità di aggiornamento degli organigrammi locali, ovvero a decidere chi, magari eletto pochi mesi fa in comune, deve fare il grande balzo (in termini di carriera

Processo greve di Norberto

Lenzi (*)

n avvocato delle Camere penali mi ha preannunciato in udienza uno sciopero di tre giorni contro il processo breve. Gli ho chiesto se avessero in cantiere anche uno sciopero contro il processo greve. Ho colto nel suo sguardo quella stessa espressione di indifeso stupore che avevo già visto in De Magistris quando, ricordandogli che tra i suoi principali indagati c’era un esponente dei Ds che si chiamava Adamo e un esponente di Forza Italia che

U

si chiamava Abramo, gli chiesi se eravamo legittimati a pensare che la trasversalità della corruzione risaliva a tempi biblici. Eppure è prima di tutto contro la ridondanza, la superfluità, la farraginosità delle norme che appesantiscono il processo penale fino a condurlo a fasi di vera e propria paralisi che occorrerebbe protestare. Prima che entrasse in vigore il codice del 1989 i 6 giudici penali della Pretura di Bologna depositavano 3.000 sentenze all’anno. Gli stessi 6 giudici, affiancati da 3 gip e da 11 pm, l’anno successivo depositarono 1.500 senten-

e di guadagno) in regione, alla faccia della rappresentanza dei suoi elettori di giugno? Chi deve andare ad occupare la delicata, ma importante, e adesso scottante, poltrona di segretario provinciale? Insomma, questa faccenda di Delbono era proprio meglio che finisse sotto il tappeto, anche per evitare che qualcuno, se il blocco di potere targato Pd si sgretola, finisca per doversi assumere le sue responsabilità nella malaugurata e disastrosa scelta del sindaco (la cui immagine fu sempre alquanto opaca, e il cui stile di lavoro lascia molto a desiderare). Finalmente, i giornalisti sono balzati sull’argomento che appare molto promettente, densissimo di sviluppi, quasi emblematico. La mancata alternanza, avrebbero dovuto impararlo tutti già nel periodo del pentapartito, apre la strada all’arroganza del potere e a un inebriante senso di impunità (condivisa). Gli avversari non vincono mai; possiamo fare quello che vogliamo; nessuno riuscirà ad andare a vedere le carte. Sì, a Bologna c’è stato un forse troppo breve, ma non troppo doloroso, interludio di Guazzaloca, non abbastanza per scombussolare i poteri locali che, professionisti importanti e organizzazioni, si sono subito riposizionati nella grande sfera di influenza e di provvigioni occupata e garantita dal Pd, tenendone fuori gli sfidanti di qual-

LA STECCA di INDRO

siasi tipo, ad esempio, alla Ignazio Marino. Adesso, sembrerebbe probabilmente venuto il tempo di dare un’occhiata al codice etico del Partito democratico. Qualche volta I conflitti di interesse si nascondono per esempio nel cumulo delle cariche oppure nell’utilizzo spregiudicato di una carica per conseguirne una superiore, come status e indennità. Si creano in questo modo anche le famigerate cordate, una specialità non soltanto democristiana. Qualche volta, infine, chi viene, non “lambito”, ma travolto da accuse gravissime, prima sdegnosamente rifiutate con l’arroganza del silenzio, dovrebbe sentire il dovere morale di lasciare la carica per difendersi, come molti affermano, quando tocca agli altri, più liberamente e per non fare sprofondare nell’imbarazzo il partito che è all’origine della sua carriera e dei suoi privilegi. Poiché la politica ha bisogno di un’etica, siano i politici a dimostrare con il loro apprezzabile esempio personale che sanno mettercela questa etica e osservarla scrupolosamente. Mercedes Bresso

l

Il Cavaliere vincerà a mani basse non tanto per forza propria, quanto per debolezza altrui, cioè per l’incapacità degli avversari a opporgli un antagonista: Prodi, che potrebbe esserlo, non avrà il tempo di diventarlo anche perché non ci sembra che abbia la stoffa dello sprinter. La Voce, 23 febbraio 1995

Lo scandalo della prescrizione ha trasformato il processo in una insana partita di rugby dove l’accusa, in un’orgia di colpi bassi, cerca di placcare le fughe dei difensori verso la meta ze. E così l’anno dopo. I principi di sana amministrazione avrebbero dovuto imporre ad ognuno qualche domanda e qualche ragionata risposta. Si è invece proceduto sulla stessa strada con nuove norme che da un

lato appesantivano ulteriormente il processo e dall’altro accorciavano i tempi della prescrizione. Quasi tutte norme volte ad incrementare i sacrosanti diritti della difesa comprimendo, necessariamente, gli altri pilastri del processo e cioè la tutela delle parti lese e l’interesse dello Stato ad una efficace repressione del crimine. Lo scandalo della prescrizione ha ormai trasformato il processo in una insana partita di rugby dove l’accusa, in un’orgia di gomitate e colpi bassi, cerca di placcare le fughe dei difensori verso la meta, senza che si riesca più ad occuparsi del merito se non nei ritagli di tempo concessi dalle eccezioni procedurali. Parlo di scandalo perché la opinione pubblica è stata ormai incredibilmente condotta e fuorviata ad una mediatica indifferenza tra assolu-

battibecco

É

di Massimo Fini

LEGA NO TAV I

nterrogato da TelePadania sulla Tav, l’Alta velocità che dovrebbe connettere Torino con Lione, Umberto Bossi ha risposto: “Io non so se il Piemonte ha bisogno della Tav. So che il Piemonte ha bisogno di restare collegato con la Lombardia”. Ne è nata subito una bega da cortile in funzione delle prossime regionali. Mercedes Besso, presidente uscente del Piemonte e in corsa per la riconferma è balzata su questa dichiarazione affermando che la Lega si è smascherata: non vuole la Tav. Ha inoltre denunciato “la mentalità da colonizzatori dei leghisti che vorrebbero rendere il Piemonte succube della Lombardia”. I colleghi di Bossi, imbarazzati, hanno cercato di far passare il vecchio leader leghista per uno ormai un po’ balengo che di queste cose non capisce un’acca. Roberto Calderoli, viceministro alle Infrastrutture, e quindi direttamente interessato, ha spiegato che Bossi “non si è mai occupato direttamente di infrastrutture, dunque non sa bene”. Invece l’acciaccato leader leghista ha ritrovato, in un momento di lucidità, se stesso e le ragioni per cui creò il suo movimento. La Lega è nata come forza localista e in quanto tale antiglobalizzante e antimodernista. Ha perso via via queste caratteristiche originarie quando ha dovuto allearsi con Berlusconi che ne rappresenta l’esatto contrario col suo ipermodernismo. Ma le ragioni stanno dalla parte del primo Bossi. Scriveva Giuseppe Prezzolini nei suoi Diari già nel 1957: “Mi pare che il mondo stia per esplodere: tutto cresce, popolazione, profitti, redditi, produzione, velocità e tensione; non se ne esce che con uno scoppio, una distruzione formidabile”. Noi, se vogliamo salvarci, come specie e come individui, non dobbiamo più crescere, ma decrescere. Non dobbiamo aumentare la velocità ma diminuirla. Una ventina di anni fa andai a trovare Carlo Rubbia al Cern di Ginevra proponendogli i miei dubbi sul modello di sviluppo occidentale. Lui per un po’ mi trattò malissimo. Diceva che ero un millenarista, un apocalittico, un reazionario. Ad un certo punto gli dissi: “Professor Rubbia lei è un fisico e le faccio una domanda per la quale vorrei una risposta da fisico: andando avanti a questa velocità, ed essendo costretti oltretutto ad aumentarla progressivamente, noi, come minimo, stiamo accorciando il nostro futuro”. Lui cambiò improvvisamente atteggiamento: “Capisco la sua angoscia” disse “noi siamo su un treno che va a mille all’ora e che, per sua coerenza interna, è obbligato ad aumentare costantemente la velocità. Sulla locomotiva non c’è il guidatore e se c’è non controlla più i comandi, si illude solo di farlo. Il treno viaggia ormai per conto suo. Per soprammercato non sappiamo nemmeno se abbiamo già superato il punto di non ritorno. Se anche decidessimo di frenare, non siamo affatto certi che riusciremmo a evitare di andare a sbattere, tale è la velocità che abbiamo preso”. E Rubbia non è un irrazionalista, un reazionario, un apocalittico, è uno scienziato, un positivista, un razionalista, perfettamente inserito nel mondo attuale . Del resto, Rubbia a parte, a me pare così ovvio. Le crescite esponenziali, su cui stiamo trionfalmente marciando da due secoli e mezzo, esistono in matematica, non in natura. A un certo punto qualcosa ci fermerà, in modo catastrofico. Corre, corre la “società del benessere”, col suo sole in fronte e le sue inattaccabili certezze e, come un toro infuriato non si rende nemmeno conto, mentre già gronda sangue da tutte le parti, che, in ogni caso, al fondo, non più tanto lontano, della strada delle crescite esponenziali l’aspetta la spada del matador. www.ilribelle .com

zione e prescrizione. Quando dovrebbe essere chiaro che la prescrizione evita la galera ma non la vergogna, ove i fatti siano stati accertati. Una soluzione che dovrebbe apparire preclusa agli uomini delle istituzioni per loro volontaria rinuncia a tale ambigua conclusione del processo o per esservi costretti da una opinione pubblica resa consapevole da una corretta informazione. Pochi tratti di penna sul Codice di procedura penale potrebbero dimezzare i tempi del processo. A costo zero. Penso al divieto di aumentare la pena se l’imputato fa appello. Nessun tipo di giuoco ti consente una seconda chance gratis e senza rischio. A maggior ragione se non si tratta di un giuoco ma della efficienza delle istituzioni. Lo stesso grado di appello

andrebbe poi ripensato e ridimensionato dopo l’ipertrofico incremento delle garanzie difensive nella fase precedente il giudizio di primo grado (udienza di convalida, Tribunale del Riesame, udienza preliminare). Soprattutto se si pone mente al fatto che oggi, a differenza del passato, i giudici di primo e di secondo grado sono assolutamente intercambiabili per età, esperienza e preparazione giuridica. Ma la inefficienza della giustizia, al di là dei proclami, fa comodo a molti. A molti che contano. Gli ultimi mostri legislativi in gestazione daranno il colpo di grazia. Non mi stancherò mai di ripetere con l’amico Bruno Tinti che questo succede perché si vuole che sia così. Mi auguro che altri si associno a questo coro “eversivo”. *giudice della Corte d’appello di Bologna


Sabato 23 gennaio 2010

pagina 19

SECONDO TEMPO

MAIL Da Berlinguer a Bersani, il naufragio della politica Leggevo nella seconda pagina del Fatto dell’altroieri gli articoli su Pertini, Berlinguer, Borsellino, Falcone e Ambrosoli (quando sento o leggo qualcosa su Ambrosoli mi commuovo sempre dato che lui sapeva bene che presto sarebbe stato ucciso, e non ha pensato a salvarsi la vita ma è rimasto fedele alla sua integrità). Collegavo anche due altre notizie: quella su come è naufragata la nostra opposizione al Senato sul processo breve, ma non è il primo naufragio a cui assisto, e quella su Latorre che giustifica la latitanza di Craxi, e mi chiedevo se è possibile chiedere al Pd o a Bersani se mi possono restituire i miei due euro che ho sborsato dopo essere rimasto in fila per più di un’ora per eleggere il segretario dell’opposizione. Dino Napoli

BOX

LA VIGNETTA

Cinecittà ostile coi giovani

Dal palco in cui c’era il presidente della Repubblica si voleva dimostrare che la Calabria non era razzista, e invece, impedendo a Fatima di parlare, è arrivata la conferma che l’Italia lo è. Cosa c’era di disdicevole in quel volto casto, innocente e maturo allo stesso tempo, incorniciato nel hijab? Forse fa vergognare i nostri governanti per la spudoratezza con cui stanno fomentando il razzismo mascherato da bisogno di sicurezza e legalità? Impedire a una bambina di parlare da un palco perché ha il capo coperto, significa che d’ora in poi nessuna suora potrà parlare in pubblico con il velo? Che nessuna donna barbaricina potrà parlare con su ilmuncadore in testa? Che nessuna italiana potrà parlare in pubblico con un fazzoletto sulla testa? Una bambina ci ha dato una grande lezione di moralità e coerenza, grazie Fatima, ne avevamo davvero bisogno. Da oggi coprirò il capo come te.

Vivo da due anni a Roma, dove ho frequentato un corso di regia in un’accademia cinematografica. In precedenza ho vissuto a Londra facendo il cameriere per migliorare il mio inglese e procurarmi i soldi per iscrivermi al corso. Il cinema, nel nostro paese, è una casta più forte di quella politica: lavorano i figli dei figli, finanziamenti pubblici lautamente elargiti a film “culturali”, lavoro spesso non retribuito, una Cinecittà in grottesca decadenza e inaccessibile ai giovani (che potrebbero farla lavorare in un modo nuovo e di nuovo produttivo), e così via. Un uomo (non ragazzo) di 26 anni, che vuole iniziare una carriera di questo tipo, dovrebbe mandare a quel paese questo paese e tornarsene all’estero? Sono tante le storie di ragazzi che non trovano uno spazio in Italia per lavorare, per crescere, per restituire quello che hanno imparato: perché, per una volta, non provate a fare qualcosa? Grazie e buon lavoro a tutta la vostra redazione, continuate a far sentire la nostra voce.

Teresa Mele

Giovanni

La Calabria è razzista?

IL FATTO di ieri23 Gennaio 1969 Se n’è andato solo pochi giorni fa, Eric Rohmer, in un freddo inverno parigino. E viene voglia di ricordarlo con “Ma nuit chez Maud”, forse il suo film più colto, ambientato nello scenario innevato di Clermont Ferrand e finito di girare il 23 gennaio 1969. Storia di un triangolo amoroso immaginato e perfettamente simmetrico, declinata sul filo di un dilemma morale e religioso. Quasi un divertissement filosofico in cui i tre personaggi, un cattolico, una giovane atea e un marxista giansenista, tutti “dogmatici esitanti”, secondo i “Cahiers du Cinéma”, si sfidano e si confrontano a colpi di ideologia, in un raffinato gioco dialettico senza sbocco. Il più emblematico “film di parola” di Rohmer, nel quale il tema del caso e della predestinazione evocati da Pascal ne “Les Pensées”, è il fil rouge che accompagna le lunghe conversazioni dei protagonisti, coinvolti in un intreccio di reciproca seduzione, ma incapaci di rinunciare ai propri valori di riferimento. Incantevole, ironico racconto di una sfida tutta intellettuale, giocata sullo sfondo di un’esitazione morale senza scampo e sul conflitto tra conformismo e libero pensiero. Non a caso girato a Clarmont Ferrand, terra d’origine di Pascal. Giovanna Gabrielli

Furio Colombo

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a Craxi era un santo o un ladro? Era un grande statista a cui abbiamo negato il dovuto riconoscimento o un imputato che si è reso latitante ai suoi processi? Nicola

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L’abbonato del giorno MANUELA ANZINI “Salve, mi chiamo Manuela. Non sono un’abbonata perché mi piace acquistare il Vostro giornale la mattina in edicola e leggermelo mentre vado a lavoro negli affollati mezzi pubblici romani. C’è una gran difficoltà a trovare una buona informazione, di cui fidarmi. Ma ora che l’ho trovata sono pronta a leggere anche appesa a testa in giù! Grazie, grazie di cuore”!!! Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

ORA CHE è iniziato e appare inarrestabile il processo di santificazione, è un po’ tardi per discuterne. La scelta, ai più alti livelli, sembra molto simile a quella fatta per spingere avanti la santificazione di Pio XII. Va bene, deve essersi detto Ratzinger: non avrà detto una parola in pubblico per condannare le leggi razziali, non si sarà mosso di traverso per impedire la deportazione degli ebrei romani la notte del 16 ottobre 1943. Ma dentro di sé era un uomo disposto alla solidarietà, uno che ha dato una mano in segreto e non era affatto filo-nazista. I disturbatori di questa interpretazione (il bene non dipende dalle opere), non prevarranno, ti dice una salda pattuglia di teologi. Allo stesso modo sempre più deputati e senatori e giornalisti (insomma il sistema di “Porta a Por ta”) sembrano persuasi che la grandezza di un politico non dipende dall’osser vanza delle leggi e dalla ferma decisione di accettare i processi. Per poter celebrare il politico, che certo ha avuto un peso nella vita pubblica italiana, bisogna declassare le iniziative giudiziarie, dichiararle ostacoli deliberatamente buttati sul camino della grande politica per bloccare o deviarne il percorso. In questo modo i processi sono un incidente non casuale ai quali è giusto e ragionevole ribellarsi. Mettiamo il tutto sul

lo sappiamo, grazie anche alla compiacenza di tutto il suo servile sultanato (a proposito: Fini, dove sei?), non demorderà. La speranza, per la sinistra e per non pochi democratici, peraltro scettici visti i precedenti, è che Napolitano, stavolta davvero, non firmi la legge. Se succedesse le conseguenze sarebbero gravi, l’ha denunciato anche l’Associazione nazionale dei magistrati, l’hanno detto i giornalisti onesti. Non ce lo possiamo permettere: far accrescere il senso di impunità, nell’Italia di oggi, è un’istigazione a delinquere. Lo vogliamo? Vincenzo Ortolina

Il processo breve non convince nessuno Che vi sia un urgente bisogno di accorciare, finalmente, i tempi di tutti processi (civili, penali, amministrativi e contabili) è pacifico. Che la legge sul cosiddetto processo breve, approvata ieri dal Senato (tra sconcertanti canti di giubilo della maggioranza), sia una nuova porcata, pensata dai berlusconiani per ragioni che anche i bimbi dell’asilo comprendono – e che è destinata non ad abbreviarne i tempi, bensì a impedire la conclusione dei procedimenti giudiziari, a partire da quelli ben noti – mi pare fuori discussione. Il Partito democratico si ritrova a dover affrontare una pletora di nuove norme ad personam: lo smacco è evidente. Dovrebbe indignarsi di più, a mio avviso, il maggior partito di opposizione, ma tant’è. Si aspetta, a questo punto, il passaggio alla Camera. Ma l’uomo di Arcore,

L’assurda depenalizzazione del falso in bilancio La Cassazione ha confermato la condanna di un medico siciliano che si era attribuito senza averne diritto alcune ore di straordinario. La stessa Cassazione ha inoltre ribadito che la condanna scatta anche in caso di ravvedimento, questa volta nella forma di tentata truffa. Ma è possibile che per un reato che vale poche centinaia di euro scatti il penale e per il falso in bilancio, che può causare danni per milioni di euro e che può truffare migliaia se non centinaia di migliaia di persone (vedi casi Cirio e Parmalat), non scatti nulla? Mi sembra incredibile. Silvio Zanchet

Diritto di Replica Spero sia un refuso, ma in questo testo si dice infatti che io non “sarei nuovo nelle stanze dei bottini della Venezia che conta”, affermazione quanto

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conto di un grande complotto detto “giustizialista” per cancellare con le sentenze il voto popolare. E passiamo alla celebrazione politica. A questo punto, spostando il luogo e il tempo ma non il senso della questione, chiamo a testimoniare il fantasma del molto indagato presidente americano Richard Milhouse Nixon. E’ stato un presidente importante nella storia degli Stati Uniti? Qualsiasi politologo americano, di una parte politica e dell’altra direbbe di sì. Basti ricordare la fine della guerra nel Vietnam e l’apertura con la Cina. E’ un presidente da celebrare con cerimonie, discorsi e uso del suo nome per strade, piazze, aule universitarie, busti nell’atrio? Negli Usa non verrebbe in mente a nessuno. Soprattutto non verrebbe in mente ai repubblicani, che vogliono tenersi a distanza dal ricordo delle gravi imputazioni che sono state mosse. Nixon è stato certamente vittima di una giustizia implacabile (ricordate il giudice italo-americano Sirica che, giorno dopo giorno, ha arrestato tutti i collaboratori e consiglieri di Nixon, incluso il suo avvocato John Dean?). Quella giustizia, costringendo Nixon alle dimissioni, ha certo cambiato il corso della Storia e della politica. Ricordo che a questa obiezione il giudice Sirica ha risposto: “Non è la giustizia che cambia il corso della politica. Soni i reati”. Gli americani, politici e non politici, non hanno mai più sollevato la questione Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

mai distante dalla mia storia personale e professionale, oltre che un’illazione fuori di verità. Le stanze che ho sempre frequentato sono piuttosto le aule universitarie a contatto con i molti giovani che a Venezia studiano, i tanti luoghi dell’impegno civile verso questa straordinaria città, nei cui confronti ho messo a disposizione, in tutta la mia vita, la mia esperienza di professionista, studioso, sportivo. Anche l’affermazione secondo la quale io avrei deciso di dare un “taglio netto con Rifondazione, Verdi, Ambientalisti, da sempre spina nel fianco della ventennale amministrazione Cacciari” è bellamente inventata. Fin dal primo giorno della mia candidatura alle primarie di Venezia ho dichiarato che ritenevo indispensabile allargare il campo tradizionale del centrosinistra guardando alle forze del centro moderato e dell’Udc, non solo per convenienza elettorale, bensì per anticipare a Venezia quella nuova

alleanza di forze alternativa al centrodestra che auspico divenga concreta anche nel paese. Sempre ho dichiarato, comunque, che questa attenzione non deve precludere il rapporto con le forze tradizionali della Sinistra, che a Venezia hanno un radicamento ben consolidato. Da ultimo, tengo a ribadire che le mie idee non sono vicine al centrosinistra, ma si riconoscono in pieno nel patrimonio ideale di coesione sociale, solidarietà, civismo con cui esso ha saputo contribuire alla storia del nostro paese, e della mia città. Avv. Giorgio Orsoni

Ovviamente si è trattato di un refuso. Ce ne scusiamo con il diretto interessato e con i lettori.

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Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo; Società Tipografica Siciliana S. p. A., 95030 Catania, strada 5ª n°35 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: poster@poster-pr.it Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599



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