Il Fatto Quotidiano (20 Gennaio 2010)

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Confermata la minaccia di una nuova stagione stragista della mafia. Anche in questo caso nel mirino ci sono i magistrati y(7HC0D7*KSTKKQ(

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Mercoledì 20 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 16 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

I LORO EROI CRAXI E MANGANO I I NOSTRI EROI BORSELLINO, FALCONE, PERTINI, BERLINGUER, Gli uomini AMBROSOLI giusti

Schifaxi

di Marco Travaglio

di Antonio

Padellaro

dc

inirà che Falcone e Borsellino sarà soltanto il nome di un aeroporto. Che di Pertini si ricorderà la pipa e magari la coppa innalzata al Mundial spagnolo. Di Berlinguer neppure questo. Quanto ad Ambrosoli: Ambrosoli chi? E’ il prezzo inevitabile quando nel decennale della scomparsa di un latitante il sistema unico dell’informazione si somma al sistema unico della politica (con rare eccezioni) per celebrare, con il contributo autorevole del capo dello Stato, la figura di un perseguitato. Onoranze mai tributate a coloro che hanno cercato soltanto il bene del proprio Paese. A chi ci ha rimesso la vita. Agli uomini giusti. Ciò che provoca rabbia è il capovolgimento della realtà, la menzogna che si fa verità, il disvalore elevato a valore. Perché se Craxi fosse stato semplicemente un ex leader socialista morto senza carichi pendenti, a parte qualche affezionato, chi ne avrebbe parlato dieci anni dopo? In quel caso riconoscere gli eventuali meriti del personaggio sarebbe stato un normale esercizio, e non l’alibi per coprire la memoria di un misfatto. Come se aver firmato il Concordato possa costituire il contrappeso morale a una serie di gravi reati. Ecco che allora l’omaggio della casta finisce per essere tributato non allo “statista” ma all’illegalità e a quel desiderio di impunità che tutto sembra avvolgere e mortificare. Perché non ricordiamo analoghi, solenni e lunghi messaggi alla famiglia di Enrico Berlinguer, pochi mesi fa, nel venticinquennale della morte? Forse perché egli aveva puntato il dito sulla questione immorale che già soffocava la vita pubblica italiana? Forse per il modo con cui cadde sul campo, consumato dalla fatica davanti al suo popolo e non in una bianca villa tunisina? Mai come in questo momento abbiamo sentito il bisogno di aria pura, di esempi da seguire, di ideali da difendere. Fortunatamente i nostri eroi non hanno bisogno di monumenti o di simposi. Ci basta la testimonianza di come sono vissuti e di come si sono preparati ad essere uccisi. Lasciando una lettera ai propri figli e chiedendo loro di essere dei bravi cittadini. Come il giudice Paolo Borsellino. Come l’avvocato Giorgio Ambrosoli.

F

Prima Berlusconi con lo stalliere mafioso. Ora gli onori per un ex premier latitante. Il Fatto risponde con i nomi dell’Italia migliore. pag. 2 e 3 z

Sandro Pertini

Giovanni Falcone

Paolo Borsellino

Enrico Berlinguer

Giorgio Ambrosoli

SENATO x Oggi il via libera al processo breve

nelezioni

Impunità per B. loro vanno avanti

Indagato Vendola In Puglia è tutti contro tutti

Il Partito democratico attacca il provvedimento del governo. L’Italia dei Valori occupa l’aula.

Massari pag. 6z

ncooperazione Riaperta l’inchiesta sui due ragazzi morti a Kabul Citati e Lillo pag. 13z

di Sara Nicoli e Antonella Mascali

Madama – la Camera alta della RePallaalazzo pubblica – ha dato un sostanziale via libera legge ad personam più attesa dal Cava-

Vladimiro Polchi

liere, tra gli sghignazzi scomposti e le grida di scherno di una maggioranza esaltata da una vittoria conquistata a mani basse. pag. 7 z O UN GIORN

CATTIVERIE

MIGRATI SENZA IM

ai ro che, se m o. uno sciope La storia di metterebbe in ginocchi ci accadesse,

Schifani: “Craxi fu un innovatore: rivoluzionò la politica dei redditi”. Personali (Brutus)

eri abbiamo provato un sincero moto di solidarietà per Cesare Previti e per la buonanima di Bottino Craxi. Del primo, che tanto ha fatto per la causa berlusconiana comprando giudici, affrontando processi, subendo condanne, subendo l’onta del carcere e dei domiciliari senza neppure fuggire all’estero come i veri statisti, nessuno si ricorda più. Nemmeno una fugace riabilitazione, un vicoletto alla Magliana, un messaggino del capo dello Stato. Anzi, una mazzata della Corte europea che ha giudicato “eque” le sue condanne, inflitte dallo stesso Tribunale di Milano che, secondo il capo dello Stato, riservò a Craxi un processo iniquo. Quanto a Bottino, si può anzi si deve pensarne tutto il male possibile. Ma non che meriti di esser commemorato da Schifani: questo no, questo è troppo anche per lui. Farlo ricordare da un ex autista, già principe del foro del recupero crediti, per giunta alla presenza di Del Turco e Sgarbi, denota un accanimento inaccettabile, anzi – come direbbe qualcuno – “una durezza senza eguali”. Un estremo oltraggio che non auguriamo nemmeno al nostro peggior nemico. Del resto di estremi oltraggi il povero Bottino ne sta subendo parecchi: se l’altro giorno avesse potuto balzare fuori dalla tomba di Hammamet, non osiamo immaginare che ne sarebbe stato di Fabrizio Cicchitto, proteso verso il tumulo a pontificare nella certezza che l’illustre inquilino non potesse più parlare. L’incappucciato piduista, ultimamente in borghese, ha poi traslocato dal cimitero tunisino a quello di Vespa. E lì s’è ritrovato di fronte, sia pure in un’intervista registrata 14 anni fa con Vespa, il Craxi autentico, che parlava con la massima naturalezza dei conti esteri del Psi e non solo. Era un Vespa inedito, quello modello 1996: un insetto superaccessoriato, con molti più nei e molte più domande di oggi. Pareva quasi un giornalista. Mostrava financo di conoscere qualche fatto. E chiedeva conto dei conti, dei prestanomi personali Tradati e Raggio del tutto estranei al partito, delle ruberie, degli arricchimenti. Parlava di Tangentopoli citando le tangenti: roba da matti, oggi infatti ha smesso. Craxi provava a giustificarsi con la scusa dei “costi esorbitanti dei partiti” e della “legge ipocrita sul finanziamento pubblico” e l’insetto l’incalzava: “Perché non l’avete cambiata? Che dovevano fare i giudici, visto che violavate le vostre leggi? Possibile che decine di giudici si siano messi d’accordo per perseguitarla”. In studio, sconvolto, Cicchitto rinunciava alla litania sulla persecuzione dell’innocente, visto che l’innocente aveva appena confessato tutto. E, uscito fuori copione, delirava: “Perché Craxi è stato condannato e Occhetto e Scalfaro no?”. L’idea che Occhetto e Scalfaro non rubassero, non si facessero portare le mazzette sul letto, non avessero conti personali in Svizzera per comprarsi case e aerei privati o regalare ville e alberghi al fratello e all’amante, non lo sfiora. Per lui, vero garantista, la giustizia giusta deve condannare tutti i politici a prescindere dai reati e dalle prove, oppure assolverli tutti. C’era anche il piccolo Bobo, ma quando il dipietrista Donadi gli ha ricordato i versamenti che papà faceva per lui dai conti delle tangenti (80 milioni per affittargli un villino a Saint Tropez) è letteralmente evaporato. E c’era pure Nick Latorre che, nonostante la faccia e le intercettazioni Unipol, i vertici del Pd continuano a mandare in tv per perdere qualche altro voto. Pure lui, come tutti i politici della casta che partecipano alla beatificazione di San Bottino, lacrimava sincera sofferenza per la grave ingiustizia subìta da Craxi visto che rubavano tutti. Questa gente non si rende nemmeno conto del danno che fa innanzitutto a se stessa. Vedendo un politico che piange per le condanne di un ladro reo confesso e dice che erano tutti come lui, qualcuno potrebbe porsi una domanda semplice semplice: scusa, tesoro, ma hai rubato anche tu?


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Mercoledì 20 gennaio 2010

Il pm Paci: “Borsellino, esempio di coscienza civile”

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I NOSTRI EROI

n “esempio di coscienza civile”, non solo “uno straordinario investigatore”. Così ieri Gaetano Paci ha ricordato Paolo Borsellino nel 70° anniversario della sua nascita durante la commemorazione al Quirinale. Secondo il pm della Dda di Palermo, Borsellino “seppe anche assumersi la responsabilità di

denunciare all’opinione pubblica la situazione di perdurante paralisi dell’amministrazione della giustizia e di isolamento dei magistrati nel sud come anche nel resto del paese, richiamando l’attenzione del Parlamento e del governo sull’impossibilità di perseguire una reale riforma della giustizia attraverso provvedimenti singoli e disomogenei e sulla

necessità invece di misure globali e strutturali”. Nel corso della cerimonia è intervenuto anche il capo dello Stato che ha richiamato “l’esigenza di applicare pienamente quella grande conquista che fu la legge Rognoni-La Torre per la confisca dei beni mafiosi, uno strumento essenziale di lotta che ha avuto successo”.

UNA BUONA MEMORIA

Da Pertini ad Ambrosoli: il pantheon di un Paese che non deve dimenticare le sue figure migliori oltre fitta di nebbia, di omissioni, di distorsioni – che pure ieri Napolitano ha giudicato inammissibili. Ma su Craxi si sta esercitando – da tempo e inesorabilmente – la macchina della contraffazione politica e storica. Una “riabilitazione” l’ha chiamata ieri Pietro Ingrao su La Stampa ricordandone provocatoriamente “l’orrendo termine” d’origine comunista. “Eroe”, “esempio”, insomma un padre della patria l’ex leader del Psi. Morto “esule” e non “latitante”. Ma abbiamo saputo avere altri “esempi”: di etica politica e personale. Converrebbe pensare a loro. Per immaginare l’Italia di oggi, diversa. E di domani, migliore.

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PARTITO DELL’AMORE

di Wa.Ma.

Papi XXIII nel nome dei bimbi

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a papi a papa: l’evoluzione di Silvio Berlusconi passa per Coppito e consolida l’immagine di paladino del partito dell’amore, figura scelta e interpretata nel “dopo statuetta”. In visita in Abruzzo, ieri, nella scuola primaria intitolata a Mariele Ventre, il Cavaliere si rivolge ai bambini, riecheggiando il discorso storico di Papa Giovanni XXIII (“Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza”). Dice il Cavaliere: “Questa sera, quando tornerete a casa, dite al vostro papà e alla vostra mamma che il presidente è stato qui, che li saluta e che manderà tanti bei libri da distribuire a tutti. So che avete perso una biblioteca di 4500 volumi. Ve ne bastano 2000?”.

Paolo Borsellino

IL FILO NORMALE CHIAMATO GIUSTIZIA di Sandra

Amurri è un filo che lega C’ la vita di Paolo Borsellino a quella di ognuno di noi. È un filo che non ha colore, che resiste al tempo, ai moderni tentativi di rimozione e delegittimazione perché è un filo che ha la forza della normalità. Paolo Borsellino non era un eroe dalle gesta impossibili e irraggiungibili, ottimo alibi per sentirsi dispensati dal vivere con la schiena dritta e il cuore a portata di mano. Paolo Borsellino è morto mentre stava combattendo una guerra giusta, ucciso da due eserciti – uno visibile e uno invisibile – uniti dallo stesso obiettivo: cancellare chi non si vende perché non è in vendita, chi si fa guidare di giorno dalla luce del sole e di notte dalla luce della luna. E come il sole e la luna è trasparente. Borsellino magistrato ha detto “no” a patti scellerati tra Cosa Nostra e lo Stato perché era semplicemente un magistrato. Tutto era normale attorno a lui. Normale la vita che conduceva. Normale la

casa dove viveva. Normali gli amici. La sua famiglia è normale. I suoi figli sono normali. Come normale è l’esempio che ci ha lasciato in eredità. Un esempio che in un paese che brancola alla disperata ricerca di riferimenti e deve fare i conti con riabilitazioni forzate allo scopo di abbassare la soglia di moralità per potercisi rapportare, per potervi trovare deroghe per se stessi, assume una valenza eroica. Cosa ha fatto Paolo Borsellino di così straordinario per poter essere rinchiuso nello scrigno degli eroi? È stato un uomo che ha vissuto rispettando le regole di quel gioco che si chiama vita. È stato un marito che ha riempito di senso parole come fedeltà, rispetto, famiglia. È stato un padre che ha contribuito a educare i figli a non scegliere scorciatoie, a contare sulle proprie forze, a non diventare ostaggi ma donne e uomini liberi. È stato un bravo magistrato costretto a fare i conti con la disumanità senza disperdere la sua umanità. Quell’umanità che la domenica lo portava al Malaspina a giocare a carte con i ragazzi che lui stesso aveva fatto arrestare convinto che nulla avesse più forza dell’esempio per dire loro che un’altra vita era possibile. Borsellino non ha bisogno di riabilitazioni. La sua memoria è presente come la richiesta di verità e giustizia sulla strage di via D’Amelio.

Sandro Pertini

IL PRESIDENTE SENZA SCONTI, NEANCHE PER SÉ di Maurizio

Chierici

andro Pertini era Ssempre simpatico, non con i giornalisti. Nel luglio ‘74 Roma preparava le vacanze, ma il Pertini presidente della Camera minaccia di tenere aperta Montecitorio fino a quando non salta fuori l’elenco di tutti i politici ai quali i petrolieri hanno pagato tangenti. Prezzo della benzina da gonfiare. La bomba era scoppiata a Genova e il gioco delle illazioni moltiplica per mesi i sospetti da un partito all’altro. Anche perché l’incorruttibile Ugo La Malfa confessa di aver intascato un po’ dei 40 miliardi che hanno chiuso in galera Vincenzo Cazzaniga, vecchio presidente dell’Unione petrolifera. Mentre gli onorevoli sono pronti per mare e montagna, Pertini punta i piedi: vuole tutta la verità. Il massacro deve finire altrimenti non si parte. Ecco che “Il Borghese” (settimanale Msi ) aggiunge un sospetto in più, proprio quel Pertini fu-

Giovanni Falcone

CONTRO I BOSS FINO IN FONDO ANCHE DA SOLO di Giuseppe

Lo Bianco on sé portava semCKennedy: pre una frase di “Un uomo deve fare il suo dovere sino in fondo, quali che siano gli ostacoli, quali che siano le conseguenze; è questa la base della moralità umana”. Da uomo dello Stato Giovanni Falcone l’ha onorata fino alle 17.56 del 23 maggio 1992 dopo avere scoperto, per primo, il volto della Piovra, messo a nudo nel 1984 da 366 mandati di cattura che avevano colpito quelli che nessun organo dello Stato aveva mai osato colpire: capi mandamento, capi famiglia, l’esercito di picciotti, killer e gregari, il popolo di Cosa Nostra. Nel Pantheon civile dell’Italia di oggi, il suo è un posto in prima fila, conquistato all’inizio degli anni ’80 quando sosteneva, isolato: se il crimine è organizzato lo Stato deve esserlo ancora di piu. Il modello giudiziario era il pool sperimentato ai tempi del terrorismo, quello investigativo era importato dall’America: faceva spesso la

rioso che rovina l’estate ai poveri deputati. Sbalordimento, mormorii, eppure con tanto fumo l’arrosto deve essere da qualche parte. Nessun giornale prova a capire cosa nasconde la lapidazione. Stavo lavorando a Roma, telefona Barbiellini Amidei, vicedirettore del “Corriere della Sera”. Piero Ottone chiede di far chiarezza: Pertini colpevole o innocente? Cerco, ascolto e alla fine metto in fila voci e documenti che smascherano l’invenzione dispettosa. Alle 8 del mattino mi sveglia il telefono: “Sono Sandro Pertini, il suo giornale è l’unico a smontare la buffonata”. Fa piacere cominciare il giorno così. Ne parlo con Milano e la direzione suggerisce di provare un’intervista visto che Pertini rifiuta la domanda: davvero non chiuderà Montecitorio? Chiamo il presidente; voce squillante: “Per il momento preferisco il silenzio, ma se mi viene a trovare, è un piacere “. Ricomincia con ringraziamenti e amarezza. “Ma adesso preferisco tacere. E se proprio devo spiegare non parlerei mai con lei, né con altri del ‘Corriere’. Mi avete difeso, insomma, un favore. Sarebbe disonesto dirlo proprio a voi che siete dalla mia parte”. 36 anni dopo, una sera a guardare la tv. Come siamo cambiati.

Enrico Berlinguer

spola tra le due sponde dell’Atlantico, nel giardino della scuola dell’Fbi a Quantico, in Virginia, un busto ricorda il suo sacrificio. Professionalità e meriti antimafia non gli bastarono per diventare capo dell’ufficio istruzione: il Csm gli preferì nel 1988 l’anziano Nino Meli regalandogli la prima amarezza della sua carriera e aprendo la stagione delle polemiche e dei veleni. E delle minacce: “Lei è il Maradona dei giudici – gli disse un giorno Michele Greco, il capo della Cupola – per fermarla bisogna farle lo sgambetto”. Lui lo sapeva di essere il primo della lista. La signora vestita di nero si presentò un pomeriggio di primavera avanzata, sull’autostrada Punta Raisi-Palermo. Fedele alle parole di Kennedy, Falcone ne completò il concetto attingendo alle proprie radici: “Sono un siciliano – disse alla giornalista Marcelle Padovani – per me la vita vale quanto il bottone di una giacca”. E aggiunse, spiegando i rischi del suo mestiere: “Si muore quando si è soli, o quando si è entrati in un gioco troppo grande”. Adesso che si rilegge la storia di quegli anni, forse si scoprirà che Falcone, motore nell’ultimo periodo della sua vita di iniziative antimafia senza precedenti condivise da quel governo, almeno in quell’occasione non rimase solo.

Giorgio Ambrosoli

IL DITO PUNTATO SULLA QUESTIONE MORALE di Luca Telese

i cosa va più orgoglioDnell’ultima so? gli chiede Minoli intervista tv. Pausa. “Di non aver mai tradito gli ideali della mia giovinezza”. La scelta di classe nel tempo in cui costava davvero. Nascere in una famiglia nobile di Sassari – bisnonno garibaldino, nonno liberale padre socialista – buttare tutto a mare per iscriversi al Pci sotto il fascismo. Finire in carcere per i moti del pane, è il 1944. “Adunata sediziosa”, 3 mesi, lettere serie dalla prigione al fratello Giovanni: “Impegnati nella lotta!”. Lui 22 anni, Giovanni 20, due ragazzi. Enrico Berlinguer non ha il fisico e il curriculum dell’eroe predestinato. Chiuso, minuto, testardo, viso che si illumina di sorrisi timidi ma rari. Però mostra carisma magnetico anche se fa le squadre di calcio sulla spiaggia di Stintino. A scuola va male in italiano, perde la madre a 14 anni, una malattia terribile: encefalìte letargica. Legge libri proibiti – Marx, Bakunin e Lenin – nella biblioteca di uno zio. Liceo all’Azuni, quello della classe dirigente. Ma di sera corre in bicicletta – di

PER LO STATO “QUALUNQUE COSA SUCCEDA” ualunque cosa “Q succeda” scriveva l’avvocato Giorgio Ambrosoli a sua moglie. Parole che si toccano. E raccontano la storia di un uomo libero: la libertà di chi “è capace di affermare la propria libertà”. Di chi non conosce il volto del ricatto che rende schiavo più di mille catene. Di chi può restare libero “con se stesso, rimanendo coerente al proprio pensiero, alle proprie convinzioni. Con gli altri, quando ha respinto blandizie e ricatti senza neanche cercare protezioni ‘politiche’ nella consapevolezza che anche quelle potevano avere un prezzo” scrive il figlio Umberto nel suo libro. Libero “nel senso più completo del termine, quello che include la consapevolezza del proprio ruolo. Non istituzionale, di commissario liquidatore, ma di uomo, di marito, di padre, di cittadino”. La libertà di non fuggire. Di restare al proprio posto con la convinzione che il coraggio, sia la prima qualità che garantisce tutte le altre. Della coerenza “con se stesso e ai

nascosto dal padre – in campagna: riunioni clandestine con gli operai antifascisti. Alla Liberazione è segretario della Fgci: piace a Togliatti, ma dopo la morte del Migliore lo retrocedono: segretario in Sardegna. Torna al vertice, però: nel 1968 è vicesegretario del Pci e leader designato (il candidato sconfitto: un certo Napolitano). Nel 1968 è a Mosca, nemico dell’ortodossia brezneviana. Porta i compagni a discutere sotto un albero per non farsi intercettare: il primo grande strappo del Pci. Nello stesso anno il partito condanna l’invasione della Cecoslovacchia. Dice: “Sono comunista dalla punta dei piedi alla radice dei capelli”. Però è un comunismo eretico e antisovietico. Sofia, 1973, un finto incidente. Il Kgb prova a farlo fuori, è salvo per miracolo: “È un attentato”, spiega. Ma il segreto regge vent’anni. Mosca, 1976, XXV congresso del Pcus: “Non può esistere socialismo senza democrazia”: è l’eurocomunismo (copertina su Time). Nel 1980 ai cancelli della Fiat: operai in sciopero, microfoni legati con lo scotch: “Il Pci è con voi”. Nel 1981, a Scalfari: “I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni... Esiste una questione morale”. Duella con Craxi, fischi al congresso del Psi e battaglie contro (tutti) i missili. “Noi siamo convinti che questo terribile intricato mondo possa essere letto, conosciuto, interpretato, messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, e della sua felicità” . Muore durante un comizio a Padova, giugno 1984. valori nei quali credeva – all’unisono con mia madre nella vita familiare, professionale e sociale, ma anche quando da commissario liquidatore la tenuta di quei valori è stata sondata da proposte corruttive, dall’isolamento istituzionale, dalle minacce di morte”. Un uomo che per tenere “dritta la barra della propria condotta” confidava sull’onestà, sul senso del dovere per “impedire un compromesso”. Un esempio da custodire gelosamente di fronte al denaro e al potere che tutto concedono e tutto giustificano, che restituisce dignità alla parola “Stato”. Uno Stato che dimentica uomini che come lui gli hanno dato un’anima e si affanna a dare un’anima a chi non l’ha mai avuta. “Papà non era mosso da un’ambizione di eroismo, né da un sentimento di martirio, né da spirito rivoluzionario: ha voluto, con le sue scelte, vivere appieno la responsabilità che si era assunto nell’interesse del paese. È rimasto l’uomo che voleva essere: quello che contribuisce, attraverso l’esercizio della propria responsabilità, a costruire il paese nel quale crescere i suoi figli”. Sono le parole che ci affida Umberto Ambrosoli, parole di pietra in un paese in cui l’interesse personale, l’assenza di responsabilità sono “vir tù” che fanno grandi uomini piccoli. S.A.


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Visita per la prognosi del premier, il Pdl assalta i pm di Milano

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I LORO EROI

nvoca addirittura l’intervento del Csm contro i magistrati milanesi, rei si direbbe di “lesa maestà” per aver stabilito di mandare i medici legali a controllare l’effettivo danno subìto da Berlusconi per il lancio del souvenir da parte di Tartaglia lo scorso 13 dicembre. Così ieri il vicecapogruppo del Pdl in Senato, Francesco Casoli, si è

scatenato. “Quanto stabilito da Spataro (e raccontato ieri da “Il Fatto Quotidiano”) è al limite di ogni buon senso istituzionale. I giudici della procura del capoluogo lombardo continuano a sentirsi superiori a qualsiasi legge e autorità eletta democraticamente dal popolo italiano”. La prima prognosi per il premier parlava di 25 giorni. Poi, dopo l’entrata in gioco

del medico personale di B. Alberto Zangrillo, il termine si allunga fino a 90 giorni. Il premier si rimette abile al lavoro il 6 gennaio. Che fine hanno fatto allora i 90 giorni? “Chiediamo – aggiunge Casoli – un intervento fermo di Mancino non solo a difesa della carica istituzionale che ricopre Berlusconi ma anche a difesa dell’arroganza di alcune toghe”.

CRAXI, OPERAZIONE COMPIUTA: “UNA VITTIMA SACRIFICALE” Schifani chiude il cerchio-beatificazione. L’omaggio di B. enite, qui si riabilita il martire. Entri nella sala della biblioteca del Senato, stipata fino all’ultima poltrona nel giorno del rito, e ad un certo punto ti chiedi se Bettino Craxi avrebbe apprezzato questa liturgia stanca, claustrale e vagamente mummificata. Silvio Berlusconi, alla fine, ha scelto di non parlare. E così, il colpo di teatro è mancato; la scintilla che poteva illuminare l’anniversario non c’è stata. Lui che aveva mandato tutti al diavolo tra invettive e rifiuti, finisce celebrato in una messa vagamente soporifera, un rito di oratoria mediocre e piatta come un encefalogramma terminale, se solo non ci fosse l’elettrochoc di Renato Brunetta. Almeno lui prova a disegnare un profilo epico: “Ricordo ancora la notte del decreto di San Valentino. Quella sera salvammo l’Italia dal disastro economico e dal declino!”. Berlusconi sonnecchia. Ma il ministro della funzione pubblica la passione la mette anche se parla di tornelli. Sono gli altri che non funzionano. L’occhio corre sulle pantere grige delle prime file. Silvio Berlusconi ha gli occhi che si chiudono per tutto il tempo: una battaglia eroica (ma più volte persa). Il premier si emoziona solo per la ver ve rapsodica di Beatrice Lorenzin: “Craxi è stato il leader della modernità degli anni ottanta, come Berlusconi è stato il lea-

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der della modernità degli anni novanta. E Silvio fa sì-sì con il capo. Gianni Letta invece è pietrificato nella sua impassibilità: chissà quante emozioni represse, sotto quella maschera di cera. Qui si riabilita il martire: ed Emilio Colombo ha un viso senza tempo, appoggiato al bastone, come del resto Giuseppe Ciarrapico. Fantastico il Ciarra. Tutti saltano in piedi, quando esce Berlusconi alla fine della prima tavola rotonda. Solo lui resta immobile: “ Ma che devono fà? Qui non s’emoziona nessuno”. Poco più indietro c’è donna Assunta, e quell’ombra diafana invece è Francesco De Lorenzo. Vittorio Sgarbi apostrofa ironico un signore dal viso asciutto: “Ma questo non è Forlani?”. Sorriso: “Sì, sono io”. Seconda stoccata: “Bravo. Non potevi mancare, tu che di Craxi sei stato la effe.... Viva il Caf”. Nel palazzo Venite nella biblioteca di Palazzo Madama: un meandro di cunicoli infilati nello stomaco del Palazzo per arrivare alla sala. Luogo elettivo di convegni sulla forma stato. Forse Craxi avrebbe voluto essere riabilitato in una piazza, non nel fortino del Palazzo sorvegliato da bodyguard e commessi, tra i

Berlusconi abbraccia Stefania Craxi (FOTO ANSA) In alto il leader Psi (FOTO GUARDARCHIVIO)

Al Senato quasi una messa. C’è pure Forlani. Brunetta: “Con la scala mobile salvammo l’Italia” suoi ex portaborse promossi a principi, e nel coro dei leader che aveva oscurato, imbiancati dagli anni (o dalle condanne). De Rita e i soldi. C’è Giuseppe De Rita, tra i relatori, che prova a cesellare i suoi piccoli distinguo cautelativi: “Ho fre-

Popolo Viola in piazza

“SANTIFICANO IL DEFUNTO PER SALVARE L’UNTO” di Paola

Zanca

iazza Navona, Roma, è il No-Craxi-day. Cento metri più a ovest c’è l’Hotel Raphael, dove il 30 aprile del ’93 Bettino Craxi venne travolto da una pioggia di monetine, dopo che i parlamentari avevano negato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Centro metri più a est c’è Palazzo Madama, sede del Senato, impegnato a celebrare l’ex segretario del Psi a 10 anni dalla sua scomparsa. In mezzo ci sono loro, il Popolo Viola. Inferociti perché diciassette anni dopo quella rivolta, ora a Craxi dovremmo intitolare una via e ricordarlo come “un grande italiano”. Non sono in molti, va detto. “Ma è martedì mattina, la gente lavora – spiega Giorgia Hojjat Ansary, una delle organizzatrici – Il movimento c’è, è vivo, pronto a scendere in piazza contro qualsiasi legge che vada contro la Costituzione”. Chi c’è, comunque, si fa sentire. “Craxi e Berlusconi sono due ladroni”, urlano. “Santificano il defunto per salvare l’Unto”, sostengono. Il doppio filo che li lega è raccolto in una lettera, che i manifestanti distribuiscono in piazza. Porta la data del 20 ottobre 1984. Quel giorno, il governo Craxi varò il “decreto Berlusconi”, che salvò Canale 5, Rete 4 e Italia 1 dall’oscuramento. “Spero di con-

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traccambiarti”, scriveva il Cavaliere. Lo speciale del Tg1 diretto da Augusto Minzolini andato in onda tre giorni fa, dicono i viola, è uno di questi regali. Le tasse che non scendono, una diretta conseguenza: “Berlusconi ha detto che Craxi è una figura incancellabile? – si indigna Fiore Ranauro, 40enne ’oltre i partiti’ – Incancellabile come il debito pubblico che ci ha lasciato!”. “Commemorano Craxi per attaccare Di Pietro e il lavoro che ha fatto durante Mani Pulite”, sostiene Giuliano Girlando, responsabile dei Giovani Idv nel Lazio. Quando ti stringono la mano, lo fanno a metà. Nel palmo hanno una monetina. Ieri sono tornati a lanciarle davanti al Raphael. I passanti sorridono. Forse sono convinti che tangenti e mazzette non abitino più qui.

A Piazza Navona quelli del No-Bettino-day E davanti all’Hotel Raphael revival con lancio di monetine

quentato Craxi senza essere nella cerchia dei craxiani...”. E che si incarta malamente in un discorso sulla capacità di Craxi di assecondare l’onda della società: “Lui sapeva cavalcare la società senza provare a cambiarla”. Poi ad un certo punto il cristallo che si rompe, gli scappa detto: “Aveva capito la necessità della mediatizzazione, della leadership personale, del controllo verticale del partito. Per questo servivano soldi. Ma lui non era ricco di suo”. Ecco, poverino. Il premier che invece èricco di suo, però, non afferra il riferimento, e continua a sonnecchiare, in prima fila. C’è Renato Schifani, al suo fianco. Uno che quando Craxi sfidava gli americani a Sigonella faceva pratica legale. Sono questi i convitati che si sarebbe scelto Bettino, se avesse potuto curare la regia? Per Schifani “Craxi è stato vittima sacrificale della tragedia di Tangentopoli, abbandonato

al suo destino da un ceto politico intimorito ed esausto”. Quello lì è Enzo Scotti. Ed ecco Carlo Tognoli. Sandro Bondi è un po’ più indietro, ascolta. La bocca aperta si muove, e sembra che stia sillabando le parole di chi parla, o recitando un rosario. Forse sta componendo una poesia. Chissà quanto avrebbe sofferto Bettino per una poesia di Bondi. Stefania la pasionaria. Certo, di questa giornata resta il discorso di Stefania, la figlia che si è fatta custode dell’eredità politica: “Craxi - dice ha cambiato la cultura del Paese opponendo la tradizione riformista liberale all'egemonia del marxismo comunista”: Pausa: “Forse la tragedia di Craxi sta tutta qui, nell'imparità delle forze contro un pensiero che aveva occupato le università, sedotto gli intellettuali, persino contagiato frange del mondo cattolico”. Poi Stefania prova a cesellare un ritratto magnanimo: “Mi au-

FIORI SPONTANEI

guro, come è negli auspici del presidente Napolitano, che in suo nome si potrà lavorare per oltrepassare quella sorta di cultura di guerra, che e' alla base, oggi, del linguaggio politico italiano”. E’ questo il Craxi che si può offrrire alla cultura italiana? L’uomo della pacificazione e della concordia? “Nell'esilio di Hammamet - spiega la figlia - Craxi dirà di aver cercato per tutta la vita, senza trovarla, una maggioranza in grado di realizzare la Grande Riforma. Oggi il momento sembra arrivato: auguriamoci che il risultato sia pari alle attese”. Senti queste parole e ti viene in mente Ghino di Tacco, il leader con gli stivaloni disegnato da Forattini, il segretario che parlava sotto il tempio greco e nel vertice delle piramidi disegnate da Panseca. Si sta celebrando Bettino, ma non è il vero Bettino: “Craxi - prosegue Stefania - aveva la visione di un'Italia pacifica, tollerante, dove prima di dare del criminale a un avversario politico ci si pensa due volte, dove si lavora per creare sviluppo e progresso, dove si ha alto e forte il senso della comunità e della Nazione”. Sarebbe bello che fosse vero, e che si emozionasse qualcuno. Invece, in questa occasione solenne, si viene per presenziare e per vedere chi c’era. Se Craxi potesse assistere, forse non gradirebbe, e darebbe di certo del pirla a qualcuno. Lutel

di Giusto Lipsio

RAIDUE, CARRAMBA CHE GAROFANI l fatto del giorno è, ovviamente, la riabilitazione di Benedetto Craxi, detto Bettino, ma non quella celebrata al Senato. L’evento più straziante si è consumato, e come avrebbe potuto essere diversamente, in via del Corso, a Roma. Lo ha organizzato la signora Monica Setta (per l’occasione vestita sobriamente) dagli studi, appunto, del “Fatto del Giorno”, finestra di attualità di RaiDue. Alla fine di un’intervista a Stefania Craxi sulla tragica persecuzione subita da papà Bettino, la Setta aveva gli occhi lucidi. Ha consegnato alla sua ospite un bel mazzo di garofani: “Quelli che amava tanto suo papà. Deve scusarmi, ce li hanno portati proprio adesso un gruppo di giovani, senza

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nemmeno la carta intorno…”. Applauso in studio. Poi, il finale al cardiopalma. Passanti per caso sono stati interpellati sulla figura di Craxi, immaginate da soli i giudizi. E, infine, il colpaccio. Il malcapitato cronista-dicitore è stato inquadrato con un giornale in mano mentre legge, come un condannato al patibolo, alcune frasi del messaggio del capo dello Stato alla vedova del martire. Poi si è avvicinato a un portone e ha deposto un mazzo di garofani (senza carta) tra le inferriate di un’anta. “Bettino – ha gridato con voce rotta – questi a nome del presidente Napolitano!”. Da via del Corso 476, ex Direzione Psi, linea alla Setta.


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Con Giorgio Amendola parte il dialogo con Psi e Psdi

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QUEGLI ANNI

n principio fu Giorgio Amendola (Roma, 21 novembre 1907 - Roma, 5 giugno 1980) a parlare di “migliorismo”. Poi arrivarono (in ordine alfabetico) Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Nilde Iotti, Luciano Lama, Edoardo Perna, Giovanni Pellegrino, Giovanni

Pellicani, Michelangelo Russo e Antonello Trombadori. Oltre ai “tre”: Giorgio Napolitano, Giovanni Cervetti ed Emanuele Macaluso. La prospettiva era quella di un graduale allontanamento dall’ideologia marxista per puntare verso lidi riformisti e socialdemocratici. In sostanza ritenevano utile mettere in campo un dialogo con

partiti più moderati come il PSI e il PSDI, ma senza parlare di fusione o di soggetto unico; piuttosto ritenevano fondamentale isolare i gruppi della Nuova sinistra (tra i quali il più rappresentativo era Democrazia Proletaria). L’ala migliorista è sempre stata avversa, dentro il partito, al centralismo democratico.

NAPOLITANO E I “SUOI” MIGLIORISTI: COSÌ LONTANI E COSÌ VICINI A CRAXI Rapporti e affinità tra una delle correnti del Pci e il leader socialista di Gianni Barbacetto

e Peter Gomez on dimentico il rapporto che fin dagli anni Settanta ebbi con lui... Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni”. “Lui” è Bettino Craxi. E chi “non dimentica” è Giorgio Napolitano, oggi presidente della Repubblica. Nella sua lettera inviata alla vedova di Craxi a dieci anni dalla morte del segretario del Psi, il capo dello Stato sostiene che, nel “vuoto politico” dei primi anni Novanta, avvenne “un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia”. A farne le spese fu soprattutto il leader socialista, per il peso delle contestazioni giudiziarie, “caduto con durezza senza eguali sulla sua persona”. Il rapporto tra Craxi e Napolitano fu lungo, intenso e alterno. Naufragò nel 1994, quando Bettino inserì Napolitano nella serie “Bugiardi ed extraterrestri”, un’opera a metà tra satira politica e arte concettuale. Ma era iniziato, appunto, negli anni Settanta, quando il futuro capo dello Stato si era proposto di fare da ponte tra l’ala “riformista” del Pci e il Psi. Negli Ottanta, Napolitano rappresentò con più forza l’opposizione interna, filosocialista, al Pci di Enrico Berlinguer: proprio nel momento in cui questi propose la centralità della “questione morale”. Intervenne contro il segretario nella Direzione del 5 febbraio 1981, dedicata ai rapporti con il Psi, e poi ribadì il suo pensiero in un articolo sull’Unità, in cui criticò Berlinguer per il modo in cui aveva posto la “questione morale e l’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”. È in quel periodo che la vicinanza tra Craxi e Napolitano sembra cominciare a farsi più forte. Tanto che nel 1984, il futuro presidente appoggia, contro il Pci e la sinistra sindacale, la politica del leader socialista sul costo del lavoro. Il mondo, del resto, sta cambiando. E in Italia, a partire dal 1986, cambiano anche le modalità di finanziamento utilizzate dai comunisti. I soldi che arrivano dall’Unione Sovietica sono sempre di meno. E così una parte del partito – come raccontano le sentenze di Mani pulite e numerosi testimoni – accetta di entrare nel sistema di spartizione degli appalti e delle tangenti. La prova generale avviene alla Metropolitana di Milano (MM), dove la divisione scientifica delle mazzette era stata ideata da Antonio Natali, il padre politico e spirituale di Craxi. Da quel momento alla MM un funzionario comunista, Luigi Miyno Carnevale, ritira come tutti gli altri le bustarelle e poi le gira ai superiori. In particolare alla cosiddetta “corrente migliorista”, quella più vicina

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a Craxi, che “a livello nazionale”, si legge nella sentenza MM, “fa capo a Giorgio Napolitano”. E ha altri due esponenti di spicco in Gianni Cervetti ed Emanuele Macaluso. Per i “miglioristi” Mani Pulite è quasi un incubo: a Milano molti dei loro dirigenti vengono arrestati e processati per tangenti. Tutto crolla. Anche il loro settimanale, Il Moderno, diretto da Lodovico Festa e finanziato da alcuni sponsor molto generosi: Silvio Berlusconi, Salvatore Ligresti, Marcellino Gavio, Angelo Simontacchi della Torno costruzioni. Imprenditori che sostenevano il giornale – secondo i giudici – non “per una valutazione imprenditoriale”, ma “per ingraziarsi la componente migliorista del Pci, che in sede locale aveva influenza politica e poteva tornare utile per la loro attività economica”. Il processo termina nel 1996 con un’assoluzione. Ma poi la Cassazione annulla la sentenza e stabilisce: “Il finanziamento da parte della grande imprenditoria si traduceva in finanziamento illecito al Pci-Pds milanese, corrente migliorista”. La prescrizione porrà comunque fine alla vicenda. Più complessa la storia dei “miglioristi” di Napoli, che anche qui hanno problemi con il metrò. L’imprenditore Vincenzo Maria Greco, legato al regista dell’operazione, Paolo Cirino Pomicino, nel dicembre 1993 racconta ai pm che nell’affare è coinvolto anche il Pci napoletano: il primo stanziamento da 500 miliardi di lire, nella legge finanziaria, “vide singolarmente l’appoggio anche del Pci”. E lancia una velenosa stoccata contro il leader dei miglioristi: “Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l’impegno con il capogruppo alla Camera del Pci dell’epoca, onorevole Giorgio

Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci... Mi spiego: il segretario provinciale del Pci dell’epoca era il dottor Umberto Ranieri, attuale deputato e membro della segreteria nazionale del Pds. Costui era il riferimento a Napoli dell’onorevole Napolitano. Pomicino mi disse che già riceveva somme di denaro dalla società Metronapoli... e che si era impegnato con l’onorevole Napolitano a far pervenire una parte di queste somme da lui ricevute in favore del dottor Ranieri”. Napolitano, diventato nel frattempo presidente della Camera, viene iscritto nel registro degli indagati: è un atto dovuto, che i pm di Napoli compiono con cautela, secretando il nome e chiudendo tutto in cassaforte. Pomicino, però, smentisce almeno in parte Greco, negando di aver versato soldi di persona a Ranieri e sostenendo di aver sa-

puto delle mazzette ai comunisti dall’ingegner Italo Della Morte, della società Metronapoli, ormai deceduto: “Mi disse che versava contributi anche al Pci. Tutto ciò venne da me messo in rapporto con quanto accaduto durante l’approvazione della legge finanziaria... Il gruppo comunista capitanato da Napolitano ebbe a votare l’approvazione di tale articolo di legge, pur votando contro l’intera legge finanziaria”. Napolitano reagisce con durezza: “Come ormai è chiaro, da qualche tempo sono bersaglio di ignobili invenzioni e tortuose insinuazioni prive di qualsiasi fondamento. Esse vengono evidentemente da persone interessate a colpirmi per il ruolo istituzionale che ho svolto e che in questo momento sto svolgendo. Valuterò con i miei legali ogni iniziativa a tutela della mia posizione”. Alla fine, l’inchiesta

finirà con un’archiviazione per tutti. Anche Craxi, quasi al termine della sua avventura politica in Italia, aggiungerà una sua personale stoccata a Napolitano. Nel suo interrogatorio al processo Cusani, il 17 dicembre 1993, dirà, sotto forma di domanda retorica: “Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”. Fu la brusca fine di un dialogo durato due decenni. E riannodato oggi con la lettera inviata da Napolitano alla moglie dell’antico compagno socialista.

IL FATTO POLITICO dc

La vigilia dell’ultimatum di Stefano Feltri

Roma, per un giorno AHammamet, appendice di si completano le celebrazioni per il decennale della morte di Bettino Craxi, con Silvio Berlusconi che rifiuta di parlare per non rovinare il clima. Ma esaurite le riflessioni sul passato e le riabilitazioni postume, la politica torna a concentrarsi sul futuro più prossimo, le elezioni regionali di primavera: oggi si terrà l’ufficio di presidenza del Pdl, l’organismo che prende le decisioni strategiche del partito, da cui dovrebbe uscire una presa di posizione nei riguardi dell’Udc. Il partito di Per Ferdinanzo Casini, alleato in alcune regioni con il centrodestra e in altre con il centrosinistra, potrebbe essere chiamato a una scelta definitiva. Qualunque sia la linea ufficiale che emergerà, sarà valutata nelle sue conseguenze interne al Pdl nel pranzo del giovedì tra Berlusconi e Gianfranco Fini. attesa per il responso L’presidenza dell’ufficio di sta

In primo piano Giorgio Napolitano, a sinistra Giovanni Cervetti e a destra Emanuele Macaluso, visti da Emanuele Fucecchi (

SPRECHI DELLA TV PUBBLICA

RAI, GLI “ESILIATI” D’ORO DELLA GESTIONE MASI di Carlo Tecce

a Rai ha un limbo oscuro, e anonimo, dove LI giornalisti salgono e scendono i dipendenti in sonno. degradati e parcheggiati che lavorano senza incarico. Edulcorato ossimoro per dire che sono disoccupati sì, ma con stipendio pieno. La Corte dei conti ha aperto un’istruttoria in seguito all’esposto inviato da Nino Rizzo Nervo sugli sprechi nella tv pubblica: il consigliere di amministrazione ha spedito l’elenco dei giornalisti dimentica-

Per mandare in prepensionamento la Buttiglione e Del Bosco, spesi 1,6 milioni di euro

ti, decine di professionisti relegati in ufficio. Quelli che aspettano la ricollocazione. L’inviata di guerra Carmen Lasorella, al cambio di guardia tra sinistra e destra nel 2008, è stata nominata direttore generale di Rtv San Marino, società controllata dalla Rai. Per anticipare la pensione dei colleghi Angela Buttiglione (mancavano 11 mesi) e Marcello Del Bosco (un anno e mezzo), per farla breve (non per il bilancio), Mauro Masi ha costruito uno scivolo d’oro: oltre all'indennità calcolata in relazione ai contributi, la liquidazione è costata 1,6 milioni di euro, 930 mila per la Buttiglione e 700 mila per Del Bosco. Masi ha sommato le cifre di tre voci: ferie arretrate, incentivi e patto di non concorrenza per 2 anni: i soldi del canone servono a proteggere la Rai – secondo Masi – dall’eventuale (e rischiosa) carriera di Buttiglione o Del Bosco a Mediaset. E la Rai che corteggia Maurizio Belpietro, volto mattiniero di Canale 5, dimostra esattamente il contrario. Il direttore generale ha inventato (e non gratis per viale Mazzini) nuove posizioni per Amedeo Martorelli (Iso-

radio), Roberta Enni (sviluppo innovazione), Teresa De Santis (televideo), Anna Donato (Rai internazionale). A volte, per ridurre l’esercito in sonno, Masi crea doppioni: Antonio Caprarica è tornato a Londra, non da semplice corrispondente (c’è sempre Giovanni Masotti), ma da speciale editorialista. A Piero Badaloni – ex Rai International – aveva proposto la sede di Madrid, ruolo da secondo e soltanto per il Tg3. Senza mansione, e ben retribuiti, anche Raffaele Genah, Roberto Rosseti e il predecessore di Masi, Claudio Cappon: alla lista s’aggiungono i tre vice del Tg3 – Angius, Dell’Aquila e Dispenza – più altri transfughi dei servizi regionali di Alberto Maccari. Un illustre in sonno è Paolo Ruffini: all’ex capo di RaiTre hanno assegnato un compito inesistente – qualcosa d’imprecisato per il digitale terrestre – e dunque potrebbe fare causa per danni all’azienda. Masi ha confermato il plotone di corrispondenti all’estero per il prossimo biennio: chi è fermo – e sono decine – dovrà scegliere tra scivoli e ozio eterno.

congelando le mosse sia della stessa Udc che del Partito democratico, soprattutto in Puglia dove tutto potrebbe essere deciso dalle primarie di domenica tra Francesco Boccia e il governatore uscente Nichi Vendola. La notizia che Vendola è indagato per concussione, uscita ieri sui giornali, potrebbe ridurre le sue possibilità di successo. “Vendola rischia di diventare il capo di un’alleanza che poi perde le elezioni”, dice Massimo D’Alema nel giorno del suo insediamento alla guida del Copasir, organismo parlamentare che vigila sui servizi segreti. D’Alema fin dall’inizio ha scommesso sull’alleanza al centro con l’Udc e sponsorizza il candidato di mediazione Boccia che è il requisito richiesto da Casini per correre insieme. aula al Senato Isulnprocede la discussione processo breve. Il Pd conferma una linea di opposizione che consiste nel rigettare i provvedimenti ad personam ma nella disponibilità a una riforma complessiva. Dopo che ieri il capogruppo Anna Finocchiaro aveva detto che era ipotizzabile un ritorno dell’immunità parlamentare, oggi il segretario Per Luigi Bersani chiarisce: “Oggi è improponibile”.


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Traffico illecito di rifiuti tossici in Lombardia: 10 arresti, 41 indagati

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CRIMINI

alvatore Accarino, 57enne di Torre Annunziata, di conti correnti non poteva aprirne visti i suoi protesti. Uno scoglio che l’imprenditore con residenza nel Varesotto aggirava utilizzando prestanomi per sostenere un traffico illecito di rifiuti tossici in Lombardia. Questa l'accusa che ieri ha portato all'arresto, oltre che di Accarino, di altre nove

LA MANO STRAGISTA PRONTA A COLPIRE Dopo le lettere contro Lari, nel mirino anche Grasso e il giornalista Abbate di Giuseppe Lo Bianco

e Sandra Rizza a nuova offensiva stragista punta anche al Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. C’è una quarta lettera, inviata agli inquirenti di Palermo, che preannuncia ancora una volta un attentato nei confronti di un magistrato impegnato contro Cosa nostra. La missiva, arrivata nei mesi scorsi, individua come bersaglio anche un giornalista: è Lirio Abbate, ex cronista dell’Ansa, oggi redattore dell’Espresso, che già da oltre due anni vive sotto scorta. Anche in questo caso, l’anonimo è molto circostanziato: per agire contro Grasso e Abbate, le cosche avrebbero già a disposi-

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Piero Grasso (FOTO ANSA)

zione un quantitativo di esplosivo proveniente da Caltanissetta. Per questa ragione, il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, titolare dell’indagine, ha inviato il fascicolo ai colleghi nisseni, dopo avere interrogato i due potenziali bersagli, Grasso e Abbate. Secondo i primi accertamenti, le minacce stavolta provengono dalla provincia di Trapani, fortino mafioso del boss Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante da sempre schierato con i corleonesi di Totò Riina, quelli dell’ala stragista. Il rischio di una nuova stagione di sangue, in queste ore, è dunque al primo punto delle analisi degli inquirenti e dei magistrati siciliani. La lettera contro Grasso e Abbate, e le tre lettere contenenti minacce di morte al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, al suo aggiunto Nico Gozzo, all’aggiunto Antonio Ingroia e al pm Gaetano Paci, entrambi di Palermo (queste erano arrivate tra marzo e giugno scorso alla Dia e ai carabinieri di Caltanissetta), provengono da aree geografiche e da ambienti criminali presumibilmente diversi, ma certamente fanno parte di un nuovo clima di fibrillazione che si registra all’interno delle cosche. Perchè? Dopo l’arresto di Proven-

zano, Cosa nostra non ha più una direzione univoca. E come fa notare Antonio Ingroia, esaurita la stagione della tregua voluta da Binu, nessuno oggi è più in grado di escludere che una frangia criminale, desiderosa di imporsi o di lanciare messaggi per chiedere o rivendicare qualcosa, “'possa promuovere un nuovo salto di qualità nelle strategie violente”. A Trapani come a Caltanissetta, e a Palermo. Qui, nel territorio dove più forte si è sviluppato negli anni l’attacco allo Stato, tra gli organigrammi emergenti della cosca di Brancaccio, che fu il regno incontrastato dei boss Giuseppe e Filippo Graviano, si nasconderebbe la mano stragista pronta a colpire, ma anche l’anonimo estensore delle lettere, il '”dissidente”' che ha voluto avvertire i pm antimafia del pericolo di nuovi attentati. La Procura di Catania, competente per territorio, ha aperto un’inchiesta sulle lettere che indicano Lari, Gozzo, Ingroia e Paci come i nuovi possibili bersagli di un ennesimo attacco alle istituzioni, disponendo innanzitutto una perizia calligrafica per verificare l’unicità della mano che ha scritto quelle missive e per riscontrare le indicazioni fornite dall’anonimo

persone. In totale sono 41 gli indagati, tra cui un consigliere comunale. Sull'indagine pesa l'ombra della 'ndrangheta. Accarino è imputato in un processo che coinvolge il gotha mafioso di Milano. L'inchiesta parte dall'incendio di due camion. Da qui “emergono violazioni relative alla gestioni dei rifiuti”. Centro operativo un'area trasformata in una zona di stoccaggio illegale di rifiuti che da qui

sui nuovi organigrammi delle cosche di Brancaccio, la borgata che viene indicata ancora una volta come l’officina degli aspiranti terroristi mafiosi. Nei tre avvertimenti spediti a Caltanissetta, infatti, sarebbero indicati gli autori dei progetti di morte pronti a scattare: nomi e cognomi di uomini d’onore dell’ultima generazione. I riflettori sono puntati sul gruppo di picciotti e gregari che negli ultimi tempi hanno preso in mano il racket delle estorsioni. Gli inquirenti rileggono in queste ore i fascicoli dell’operazione “Cerbero”, coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci, che nel maggio scorso portò in carcere 37 soldati delle nuove leve mafiose, proprio nella borgata che fu al centro dello stragismo con i fratelli Graviano. Alcuni di questi nomi tornerebbero nelle tre lettere anonime che

ripartivano verso due discariche, messe sotto sequestro, gestite da personale vicino ad Accarino. Sigilli anche a 7 aziende e 21 conti correnti. Il guadagno consisteva nel disporre di rifiuti già lavorati e più preziosi perché commercializzabili. Accarino riciclava su conti correnti aperti con la compiacenza di sette funzionari di banca. (Davide Milosa)

annunciavano gli attentati. Gli investigatori non si sbilanciano, ma forse non è un caso che l’ultimo allarme stragi parta proprio da Brancaccio. E’ il feudo di Gaspare Spatuzza, il pentito che sta riscrivendo la dinamica della strage di via D’Amelio, e che per primo parla di “terrorismo politico-mafioso”, indicando negli attentati del ‘92 e del ‘93 un obiettivo di destabilizzazione che va molto aldilà degli interessi specifici delle cosche. Ed è il quartiere di Giuseppe Graviano, detto “Madre Natura” che l’11 dicembre, nell’aula del processo d’appello a Marcello Dell’Utri ha detto di non poter parlare perchè impedito da ragioni di salute, dovute all’applicazione nei suoi confronti del 41 bis. Quel carcere duro che, cinque giorni dopo, gli è stato “ammorbidito” con la cancellazione dell’isolamento diurno.

Liberata giovane pachistana

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stata liberata ieri mattina vicino a Pesaro Almas Mahmood, la 17enne pakistana rapita dal padre Aktar il giorno prima. L’uomo, 40 anni, è stato arrestato. In manette è finita anche la madre di Almas. La ragazza era stata affidata a una casa-famiglia su decisione del Tribunale dei minori di Ancona, perchè il padre la malmenava. Pare, inoltre, che l’uomo volesse obbligarla a sposarsi. Per riprenderla con sè, Aktar l’aveva rapita. Ma il sequestro è fortunatamente finito in fretta.

NAPOLITANO: “SOSTENERE I MAGISTRATI CHE COMBATTONO LA MAFIA”

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l presidente della Repubblica ha incontrato ieri al Quirinale i rappresentanti della Fondazione Borsellino, nell’anniversario della nascita del giudice ucciso in via D’Amelio. “La 'Ndrangheta è l’organizzazione criminale più insidiosa del mondo”, ha detto Napolitano, “per questo occorre sostenere quei magistrati che la combattono in prima persona”. Il capo dello Stato ha affermato che nella lotta contro la mafia è stato fatto molto negli ultimi venti anni, ma ha anche detto che “ci sono battaglie ancora non del tutto vinte”. Secondo Napolitano, ad esempio, occorre applicare fino in fondo la legge Rognoni-La Torre, che riguarda i sequestri dei beni confiscati alle mafie. Ieri, intanto, in alcune zone di Palermo la Giovane Italia, il movimento dei giovani ex An, per ricordare Borsellino ha fatto affiggere alle pareti dei manifesti con le foto dei boss Gianni Nicchi e Domenico Raccuglia in manette. La foto è accompagnata dalla frase “Farete tutti questa fine”, messaggio rivolto ai mafiosi ancora in libertà.

TARTAGLIA

Trasferito in ospedale

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assimo Tartaglia, l'uomo che lo scorso 13 dicembre aggredì Berlusconi, è' stato trasferito dal carcere di San Vittore al reparto di psichiatria dell'ospedale San Carlo. Il trasferimento è stato disposto dal gip Cristina Di Censo sulla base di una relazione dei medici psichiatri della struttura penitenziaria che hanno parlato di “rischio di atti di autolesionismo”.

DELITTI

Muore clochard dopo uno stupro

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PARLA IL PROCURATORE ANTIMAFIA ANTONIO INGROIA, BERSAGLIO DELLE MINACCE DEI BOSS

standard ottimali, ma non possiamo chiedere di più. Vedo però troppe blindate assegnate ai politici piuttosto che ai magistrati. Capisco che è una scelta, sarebbe interessante conoscerne le motivazioni”. Dopo l’allarme attentato segnalato da tre anonimi che hanno indicato quattro magistrati di Palermo e Caltanissetta nel mirino di Cosa Nostra e di chi se ne serve, parla il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, uno dei pm citati come bersagli nelle missive. Dottore Ingroia, le continue aggressioni delegittimanti nei confronti della magistratura che indaga sulle stragi e sui rapporti tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato rischiano di esporre ulteriormente i pm antimafia? Sicuramente non agevolano. É noto che operando in territori in cui sono presenti i poteri criminali la migliore difesa è la forza della coesione istituzionale. Se si espone qualcuno accusandolo di parzialità, che è la peggiore accusa che si possa fare contro un magistrato, lo si espone anche agli occhi dei mafiosi che possono pensare che il magistrato sia uomo di parte, anche nei loro confronti. É davvero fondato l’allarme su un ritorno allo stragismo? Aldilà della vicenda specifica, della quale si occuperanno i colleghi di Catania, il rischio che ci sia un innalzamento del tiro, che si possa pensare ad un salto di qualità nelle strategie violente credo sia concreto. Le organizzazioni mafiose si muovono in modo sinergico e non parcellizzato: il primo sintomo

PESARO

IN RICORDO DI BORSELLINO

“Cosa Nostra torna ad uccidere? Un rischio concreto” strategia stragista? “É un rischio concreto”. Le aggressioni Locchiadelegittimanti della politica? “Espongono i magistrati agli dei mafiosi”. Si sente protetto dallo Stato? “Non siamo su

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di effervescenza è nella 'ndrangheta, in Calabria. Il fatto che Cosa Nostra non abbia una guida unica, che continui a mantenere la barra sulla strategia della tregua, adottata a suo tempo da Bernardo Provenzano, potrebbe far venire la tentazione a qualcuno che voglia acquisire il comando dell'organizzazione mafiosa, di mettersi in azione. Nelle indagini antimafia di questi anni è emerso un convitato di pietra, i servizi cosiddetti “deviati”, presenti specialmente in questa nuova stagione investigativa segnata dalle rivelazioni di Massimo Ciancimino e del pentito di Brancaccio Gaspare Spatuzza. Cosa avrebbe oggi da guadagnare Cosa Nostra da nuove stragi? Non mi piace fare ragionamenti sulle ipotesi, bisogna pensare che in questo momento non esiste una direzione strategica unica mafiosa. Ci sono stati dei segnali per cui Cosa nostra vuole dimostrare che non è in ginocchio per poter rivendicare o chiedere qualcosa. Che si possa voler ripristinare un braccio di ferro con il sangue, è un'ipotesi che non mi sentirei di scartare. Parliamo di sicurezza dei cosiddetti “bersagli sensibili”. Lei oggi ha espresso la preoccupazione per gli uomini delle scorte. É soddisfatto del livello di sicurezza garantita dallo Stato nei vostri confronti in questo nuovo clima di allarme? Che cosa chiederebbe agli organi preposti alla protezione dei magistrati e degli agenti? Dal punto di vista della sicurezza non è che siamo su standard ottimali, ma non credo si possa chiedere di più, almeno sulla carta. Temo che soprattutto i tagli di bilancio al comparto giustizia e al comparto sicurezza possano avere degli effetti nel settore dei mezzi di trasporto a disposizione dei magistrati, ma

soprattutto degli agenti di scorta. Pochi giorni fa una macchina dei poliziotti di scorta si è fermata, e gli agenti hanno dovuto spingerla. La mia sensazione è che talvolta i mezzi e gli strumenti vengano indirizzati per la tutela degli uomini politici anzichè dei magistrati. É una scelta che avrà una sua motivazione, sarebbe interessante conoscerla. In queste ore avete incassato, tra le altre, anche la solidarietà della Confindustria, che si dice in prima linea nella lotta alla criminalità. É la prima volta? Come valuta questa posizione della Marcegaglia? Non so se è la prima volta, ma sicuramente negli ultimi anni si è registrata una posizione coraggiosa e senza precedenti, prima del presidente Montezemolo e poi della Marcegaglia, che dimostrano una sensibilità nuova e la consapevolezza della necessità di Antonio Ingroia (F A ) far pulizia all'interno delle imprese. Magari ci fosse anche all'interno della politica la stessa buona intenzione. Tra gli attestati di solidarietà registrati in queste ore manca forse il più importante, quello del governo. Come valuta il silenzio del premier su una materia così delicata? Non spetta a me fare alcun commento su questo. (g.l.b. e s.r.) OTO

NSA

na clochard italiana di 42 anni é morta lunedì notte nell’ospedale di Taranto dopo essere stata violentata, picchiata e rapinata in un capannone nei pressi della stazione. Per il terribile episodio è stato arrestato un cittadino bulgaro di 31 anni, che la stessa donna aveva indicato quale autore dell’aggressione. L'uomo le avrebbe sottratto cinque euro e poi l’avrebbe stuprata. La donna è morta per le gravi lesioni subite.

CASO ORLANDI

La madre: “pronta a incontrare Agca”

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opo le dichiarazioni di Ali Agca, secondo cui Emanuela Orlandi è viva, la madre della ragazza scomparsa nel 1983 si è detta disponibile ad incontrare l’uomo che attentò alla vita del Papa. Agca sostiene infatti che Emanuela sia stata rapita affinchè lui fosse liberato. “Mi auguro che dica la verità” ha detto Maria Orlandi.


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Mercoledì 20 gennaio 2010

L’inchiesta parte dallo smaltimento dei rifiuti

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CAOS PUGLIA

eri la procura di Bari ha – di fatto – confermato l'iscrizione del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, nel registro degli indagati, anticipata dal Fatto Quotidiano e gran parte dei quotidiani italiani. L'inchiesta – condotta dai pm Desireè Digeronimo, Francesco Bretone e Marcello Quercia – inizia con una serie di accertamenti sul ciclo dello smaltimento dei rifiuti e, per la

LA PROCURA DI BARI: FORSE ACCUSE STRUMENTALI E Vendola si difende: contro di me il bipolarismo degli affari di Antonio

Massari

trumentalizzazioni delle indagini: il sospetto è grave e tocca persino gli investigatori. Il clima politico giudiziario in cui versa la Puglia si riassume in queste poche righe: “Nei confronti del presidente della giunta regionale pugliese, Nichi Vendola, non vi sono, nel registro degli indagati di questa procura, iscrizioni suscettibili di comunicazione”. Il comunicato del procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, arriva nel tardo pomeriggio ed è un monumento al bizantinismo. È la sintesi della difficoltà, per la procura barese, nel districare la matassa giudiziaria dalla guerriglia politica. È come dire: Vendola è indagato, sì, non possiamo smentirlo, però non possiamo comunicarvelo. Ma soprattutto: è il segno che la Procura di Bari è sempre più infiammabile, come conferma la seconda parte del comunicato, quella che formula una doppia accusa: “La procura prende atto delle possibili strumentalizzazioni

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delle indagini, per finalità diverse da quelle processuali, così come delle precedenti fughe di notizie sugli accertamenti in corso: allo stato, non può escludersi che siano riferibili a componenti del gruppo investigativo”. E quindi: da un lato c’è chi ha strumentalizzato l’iscrizione di Vendola nel registro degli indagati, per fini che, se non sono processuali, non possono essere che politici. Dall’altro, esistono degli investigatori infedeli, responsabili delle fughe di notizie. Siamo quindi in piena fibrillazione politico-giudiziaria. In procura sono state aperte decine d’inchieste per fughe di notizie e le parole di Laudati dimostrano che la fiducia del procuratore, nei riguardi degli investigatori, è parecchio ridotta. Laudati ha preso posto in un ufficio dalle indagini delicate, che vanno dalle escort portate da Tarantini a Berlusconi, a quelle sulla sanità e sul centrosinistra pugliese. Ogni frammento d’inchiesta reso pubblico può incidere sugli scenari politici del pae-

se. Laudati ha di fatto “commissariato” persino la polizia giudiziaria, portando da Napoli una serie di investigatori, per i quali nutre la massima fiducia, grazie ai quali ha blindato soprattutto l'indagine che vede, tra gli intercettati, Silvio Berlusconi. E comunque, questo clima di fibrillazione, resta il dato di cronaca: Vendola è indagato per tentata concussione anche se, le voci più ricorrenti, parlano di un’archiviazione prossima, seppure non immediata. Voci che si rincorrono ormai da settimane, che stanno intor-

Ma il governatore: ho sbagliato perché ho riposto fiducia nelle persone sbagliate

precisione, sul ruolo di una società di Altamura, la Tradeco, che, secondo l'accusa, avrebbe commesso degli illeciti nel settore dello smaltimento. La pm Digeronimo, all'epoca unica titolare dell'inchiesta, s'imbatte in diverse telefonate dell'ex assessore regionale alla Sanità, oggi senatore del Pd, Alberto Tedesco. Si apre il filone investigativo – uno dei tanti presenti oggi in procura – sulla Sanità. In una telefonata,

bidendo le primarie, che si terranno domenica tra Vendola e Francesco Boccia, candidato del Pd, ormai segnate dall’indagine in corso sul governatore. Al centro della vicenda, la mancata nomina di Giancarlo Logroscino, considerato un “luminare”, al posto di primario del reparto di Neurologia dell’ospedale Miulli di Acquaviva. L’intercettazione chiave arriva dopo il concorso, e Vendola chiede spiegazioni all’ex assessore, Alberto Tedesco, sul perché Logroscino non ce l’abbia fatta, invitandolo a interessarsi della situazione. “Oggi insegno Neurologia all’Università di Bari”, spiega Logroscino, “sono rientrato nel 2008, con la legge che permetteva ai “cervelli” di rientrare dall’estero”. “È difficile, per me, immaginare d’essere iscritto nel registro degli indagati per qualcosa per la quale pensavo di dover prendere una lode, di dover essere oggetto di pubblica gratificazione”, replica Vendola, che aggiunge: “Il procuratore, coraggiosamente, ammette che, in tutta questa vicenda, che mi vede bersaglio mobile da mesi, da alcuni ambienti sono giunti comportamenti illeciti. Sono lieto che il procuratore parli di fughe di notizie a uso strumentale per fini politici. Devo prendere atto che il bipolarismo degli

affari, quello che vuole il rigassificatore, il ritorno al nucleare e la privatizzazione dell’Acquedotto pugliese, tenta di normalizzare la Puglia provando a farmi sparire con ogni mezzo”. Resta il fatto che l’iscrizione nel registro degli indagati c’è. E che le inchieste sulla sanità sono parecchie. “Ho la coscienza limpida e i fatti lo dimostreranno. La mia telefonata con Tedesco arriva dopo che il concorso s’è concluso. Non prima. Quindi non vedo come avrei potuto condizionarlo. Ritengo che portare in Puglia i “cervelli” emigrati sia un dovere, per un presidente di regione”. Ma non è il caso che la politica si occupi di politica, e la sanità di sanità, senza confusione di ruoli? “Sì. Ma questo processo dovrebbe partire dal Parlamento,

dev’esserci una molteplicità d’azioni, che ci allontanino dal modello attuale, dove la politicizzazione della sanità combacia con un pessimo modello aziendalista, misto tra pubblico e privato. E vorrei ricordare una lunga serie di cambiamenti, nella mia amministrazione, come l’internalizzazione dei lavoratori esternalizzati, che mi ha messo contro, giusto per dirne una, la lega delle cooperative, ma ci fa risparmiare denaro e restituisce dignità ai lavoratori”. Restano, però, le responsabilità. Visto che la procura indaga su diversi filoni. “Posso aver sbagliato nell’intuito personale”, conclude Vendola, “ma dovete darmi atto che ho imposto le dimissioni dell’ex direttore generale della Asl, Lea Cosentino, e che ho azzerato la giunta ai primi avvisi di garanzia. Non ho reagito con semplici dichiarazioni di circostanza. Ho agito. Aprendo il dibattito sulla questione morale nella sanità, che qui in Puglia sta facendo molto rumore, ma che va indistintamente da Palermo a Milano, perché ovunque, ormai, siamo in presenza del bipolarismo degli affari”.

Nichi Vendola visto da Manolo Fucecchi. In basso, Ciriaco De Mita

NOMINE

D’ALEMA UFFICIALMENTE AL COPASIR

CAMPANIA

NEL PDL CALDORO VOLA, IL PD INCASTRATO DAI VETI INCROCIATI di Enrico Fierro

dato certo è che il Pdl un candidato lo ha scelto ed è già in corsa, il Pd L’no.unico Non ha un nome, si dilania e aspetta le decisioni dell’Udc o la rottura definitiva tra Casini e Berlusconi. Neppure l’ultima missione dell’inviato di Bersani, Maurizio Migliavacca, è servita. Finisce così, e nel peggiore dei modi, il decennio di Bassolino alla guida della Campania. Con un Partito democratico bloccato nelle sabbie mobili dai veti incrociati dei vari capicorrente. Se Stefano Caldoro, il socialista più gradito a Berlusconi, è già all’opera (“sobrietà” è la sua parola d’ordine per la campagna elettorale), nel Pd si fa la conta dei nomi “bruciati”. Ennio Cascetta, assessore ai Trasporti, e Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno. “Non sono graditi agli elettori e agli altri partiti della coalizione”, ha detto Enzo Amendola, il segretario regionale del partito, che ha preso atto dei veti di Idv, Rifondazione e vendoliani. Se Cascetta fa buon viso a cattivo gioco (“non farò più l’assessore, dieci anni sono troppi”), De Luca promette battaglia e distribuisce veleni: “Se Bersani perde le elezioni regionali dovrà fare i bagagli, al massimo potrà fare il presidente di una comunità montana emiliana. Migliavacca? Mi ricorda la vecchia fattoria, ia, ia, io”. Nel frattempo, lo “sceriffo” ha già fatto registrare il dominio “vincenzodelucapresidente”. Pd in

già pubblicata due mesi fa dal Fatto Quotidiano, gli inquirenti sentono Vendola parlare con Tedesco della mancata nomina di un primario. I carabinieri redigono un'informativa, destinata alla procura, con la quale sostengono che Vendola, insieme con altri funzionari, andrebbe indagato per tentata concussione. E l'iscrizione, poi effettivamente realizzata, due giorni fa è diventata di dominio pubblico.

attesa dell’Udc. Che in Campania significa Ciriaco De Mita, nel recente passato alleato di ferro di Antonio Bassolino. Se “Totonno ‘o governatore” controllava le leve dei fondi europei, al leader di Nusco toccava la gestione della Sanità attraverso suoi fedelissimi. Se Bassolino dominava Napoli, Ciriaco aveva il controllo assoluto dell’Irpinia e delle aree interne. I due hanno litigato anche ferocemente, riuscendo a non rompere mai del tutto. Una “sceneggiata” che va avanti da una quarantina di anni, da quando nel 1970 il giovane Bassolino fu spedito a dirigere la federazione avellinese del Pci, e De Mita era già uno dei ras più potenti della sinistra di base democristiana. Neppure durante l’“Irpinia gate”, lo scandalo post terremoto (con De Mita messo in croce per i 64 mila miliardi della ricostruzione) le

omani Massimo D’Alema dovrebbe diventare ufficialmente presidente del Copasir. La carica è divenuta vacante dopo la decisione di Francesco Rutelli di rimettere il mandato a causa della sua uscita dal Pd. Il capogruppo dei democratici alla Camera, Dario Franceschini, ha inviato ieri una lettera al presidente Gianfranco Fini, indicando nell’ex ministro degli Esteri il deputato che sostituirà nel Copasir Emanuele Fiano che la scorsa settimana ha dato il suo addio al Comitato. La decisione è stata

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porte tra i due si chiusero definitivamente. E’ per questo che se Lorenzo Cesa dice che “noi vorremmo dialogare col Pd, ma manca il candidato”, De Mita ribatte che “la partita è ancora aperta”. E a quanti gli ricordano che poco meno di un anno fa l’Udc si è alleata con il Pdl alle elezioni comunali e provinciali, il leader di Nusco risponde minimizzando: “Quello era solo un accordo elettorale”. Parole che sono un balsamo sulle piaghe del Pd, che sta riflettendo su due possibili nomi “graditi” proprio a De Mita. Due rettori di prestigio, Raimondo Pasquino (Università di Salerno) e Guido Trombetti (Federico II di Napoli). Soluzione finale: se salta tutto per il Pd scende in campo il segretario regionale Enzo Amendola. Toccherà a lui accompagnare il partito alla sconfitta. Tattica, in attesa di un possibile aut-aut di

ratificata dall’ufficio di presidenza del gruppo Pd di Montecitorio, dopo una riunione tra il segretario Pd, Pier Luigi Bersani, e i capigruppo di Camera e Senato, Franceschini e Finocchiaro. Sarà quindi il vicepresidente dell’organo di controllo politico dei servizi segreti, Giuseppe Esposito del Pdl a convocare il Copasir per insediare il nuovo componente ed eleggere il nuovo presidente. E a dare l’annuncio ufficiale è stata in Aula il vicepresidente della Camera, Rosi Bindi.

Berlusconi a Casini che rimescoli le carte delle alleanze e delle decisioni dell’Udc. Ma se a Roma il Cavaliere è insofferente per il “doppiofornismo” di Casini, a Napoli i suoi si ispirano a un sano realismo. Sanno che i voti dell’Udc demitiano pesano e per convincere il leader di Nusco starebbero pensando a una proposta di quelle che non si possono rifiutare: nominare numero due della nuova giunta suo nipote Giuseppe. Intanto Caldoro va avanti, ma nel Pdl gli animi non sono affatto pacificati. I finiani sono all’attacco di Nicola Cosentino e chiedono che il suo mandato di coordinatore regionale del partito sia a termine. Non si fidano, temono sgambetti in campagna elettorale per Caldoro, soprattutto in quelle parti del territorio controllate dagli uomini del sottosegretario all’Economia.


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Così Bderlusconi si salverà da Mills e Mediaset

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INGIUSTIZIA

l ddl sul “processo breve” è la legge più importante per Berlusconi, perché decreterà la morte immediata dei processi Mills e Mediaset, oltre ad altre decine di migliaia di processi. Secondo il testo, i processi, per tutti i reati, devono concludersi in tempi stabiliti. Per i reati la cui pena prevista è inferiore ai 10 anni, il processo di primo grado sarà estinto dopo tre anni dalla

richiesta di rinvio a giudizio. In appello il tetto sarà di due anni e in Cassazione un anno e mezzo. Per i reati la cui pena è di 10 o più anni, i processi moriranno dopo quattro anni, in primo grado, due in appello, uno e mezzo in Cassazione. Per processi di mafia o terrorismo i termini diverranno rispettivamente di 5, 3 e 2 anni. Il giudice potrà prorogare i termini di un terzo. La legge non si

applicherà ai processi in corso, ma per salvare Berlusconi c’è l’eccezione: verranno estinti i processi in primo grado per reati coperti dall’indulto, se non c’è stata sentenza a due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. Come per i processi Mills e Mediaset. La potranno fare franca anche le società, dimezzati i tempi per perseguirle. Limiti anche per i processi della Corte dei Conti.

LA CAVALCATA DELLA MAGGIORANZA SUL PROCESSO BREVE L’opposizione si schianta sul voto segreto di Sara Nicoli

e Antonella Mascali o show down è arrivato intorno a mezzogiorno. Quando, al quinto voto segreto chiesto dal Pd sugli emendamenti al processo breve, quelli che mancano, alla fine della conta, erano proprio cinque voti dell’opposizione anzichè il contrario. Ed è stato lo sguardo sconcertato di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd, la fotografia più amara di questa giornata esiziale per la giustizia italiana. Quella che a Palazzo Madama - la Camera alta della Repubblica - ha dato un sostanziale via libera alla legge ad personam più attesa dal Cavaliere, tra gli sghignazzi scomposti e le grida di scherno di una maggioranza esaltata da una vittoria conquistata a mani basse. Insomma, ieri al Senato agli uomini del Cavaliere è bastato osservare l’andamento dei primi voti sui 559 emendamenti presentati dall’opposizione e dei primi voti segreti (11 concessi su 78 richiesti) per capire che tutto sarebbe filato fin troppo liscio. Ancora fino a poche ora prima dell’inizio della discussione in aula, ambienti vicini al ministro Alfano lasciavano trapelare che, “alle brutte”, se cioè l’opposizione fosse riuscita a fare realmente scudo con l’ostruzionismo ai tempi dettati dalla maggioranza per raggiungere l’approvazione piena del testo, si sarebbe potuti ricorrere anche al voto di fiducia. Poi la debacle del Pd sui voti segreti ha dato la misura di un risultato positivo a portata di mano. Oggi alle 13 è previsto il voto finale. Il processo breve sarà licenziato con una sola modifica, arriverà alla Camera entro i primi di febbraio e, nell’ipotesi peggiore del Pdl, diventerà legge dello Stato non oltre il 15 dello stesso mese. Poi la palla passerà al Quirinale, ma al momento nessuno prevede scosse telluriche sulla falsa riga di quanto avvenuto per il Lodo Alfano. Berlusconi, insomma, avrà la sua legge prima delle elezioni regionali. Poteva andare diversamente? ‘’Ad ogni votazione a scrutinio segreto la proposta del centrodestra ha riportato piu’ voti della sua maggioranza’’, registra solo il vicepresidente dei senatori del Pdl, Gaetano Quagliariello. Il Pd ha scelto, invece, una forma di protesta molto forte, quella di ripetere sempre, come un mantra, per ogni singolo intervento, una dichiarazione contro la legge ad personam e i suoi mandanti. “Nel pochissimo tempo che ci e’ rimasto - spiegava ieri la Finocchiaro - vogliamo portare a conoscenza degli italiani e delle italiane lo scempio che questo provvedimento sul processo breve recherà alla giustizia. Centinaia di migliaia di processi andranno al macero, centinaia di migliaia di persone vedranno negarsi la giustizia”. Schifani ha tentato di interrompere la protesta del ‘mantra’ (da alcuni erroneamente definito ‘tantra’, fatto che ha ingenerato un greve battibecco tra gli scranni

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finito con un beffardo 'Hare Krisna' salmodiato dalla maggioranza) invitando i senatori “a fare solo interventi sul merito del provvedimento, evitando quelle che nulla hanno a che vedere con gli emendamenti”. Non è servito, la protesta è proseguita. E il risultato non è cambiato in alcun modo. Come i limiti di tempo per i procedimenti della Corte dei Conti. In questo caso i processi si estingueranno se la sentenza di primo grado è stata emessa dopo più di 3 anni dal deposito dell'atto di citazione in giudizio. Due anni, se il danno non supera i 300mila euro. Secondi il maxiemendamento licenziato in commissione giustizia, la regola vale anche per i processi contabili in corso, al momento di entrata in vigore della legge. In questo caso, secondo la norma transitoria, solo se “sono trascorsi almeno cinque anni” dall'atto di citazione in giudizio. I

Iannarone: “Quasi tutti i procedimenti pendenti in primo grado verranno estinti”

processi contabili in appello, anche quelli in corso, decadranno se trascorrono più di due anni dalla notifica della sentenza di primo grado. Ma ieri in Aula il relatore Giuseppe Valentino ha assicurato che la norma per i giudizi contabili varrà soltanto "per i processi futuri" e quindi che non vale più la norma transitoria. Parole che non hanno convinto l’opposizione e hanno fatto dire al presidente dei senatori dell'Udc, Gianpiero D'Alia, che la maggioranza mette in campo una norma che "distrugge il giudizio davanti alla Corte dei Conti per quegli amministratori e funzionari pubblici che si macchiano di un reato gravissimo". Estremamente preoccupato il procuratore della Corte die Conti del Lazio, Pasquale Iannantuomo: ”È evidente che i processi pendenti in primo grado verranno quasi tutti estinti. Ma forse è proprio questo l'obiettivo che si vuole raggiungere” . Come non pensare al procedimento in corso contro l’ex ministro Castelli e lo

A sinistra Quagliariello, a destra la Finocchiaro (FOTO ANSA)

stesso relatore, Valentino? Via libera, poi anche a quelle disposizioni transitorie che si applicano a tutti quei processi in corso “alla data in vigore della legge” relativi ai reati commessi fino al 2 maggio 2006 (data stabilita per l’applicazione dell’indulto) puniti con pena pecuniara o detentiva inferiore

ai 10 anni. Si tratta di un condono tombale, con i processi penali a carico del presidente del Consiglio che vengono cancellati subito. A partire dai processi Mills e Mediaset. Per questo motivo i senatori dell’Idv hanno occupato l’aula del Senato in segno di protesta. Oggi alle 13 il voto finale.

IMI SIR

STRASBURGO: INAMMISSIBILE IL RICORSO DI PREVITI di Antonella Mascali

Milano non ci sono “toghe rosse”, o magistrati che “perAmeroseguitano” gli imputati, anche se amici di Berlusconi, il nuuno – secondo lui – dei processati “per fini politici” dalla Procura di Milano. La Corte di giustizia per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha giudicato inammissibile il ricorso presentato da Cesare Previti il 2 novembre del 2006, dopo la sentenza di condanna definitiva del 4 maggio dello stesso anno, per la vicenda Imi-Sir: 6 anni per corruzione in atti giudiziari. Per l’ex parlamentare, ex ministro, e dal 5 dicembre scorso anche ex avvocato (è stato radiato dall’albo), il processo non è stato equo soprattutto per l’assenza di imparzialità del Tribunale di Milano. Inoltre si è lamentato di non aver potuto presenziare a diverse udienze per impegni parlamentari (veramente non si è mai visto alle udienze fissate di sabato proprio per lui), e di non aver potuto accedere a documenti importanti per la sua difesa da accuse definite ambigue. Sia i pm che lo hanno processato, sia i giudici che lo hanno condannato, secondo Previti avevano nei suoi confronti un’avversione politica. In base agli articoli 7 e 14 della Convenzione, che vietano di comminare una pena senza una legge che la preveda e proibiscono discriminazioni, Previti ha sostenuto di essere stato condannato per un fatto che non era un illecito penale al momento in cui era stato commesso, e di non aver potuto usufruire delle condizioni più favorevoli in materia di prescrizione, in base alla ex Cirielli, una delle tante leggi ad personam congegnate da Berlusconi. Un’altra violazione indicata è quella dell’articolo 8 della Convenzione sulla privacy, per le intercettazioni utilizzate al processo. Ma per la Corte nulla di tutto questo è vero, le motivazioni del ricorso di Previti sono state ritenute o “mal fondate” o “manifestamente prive di fondamento”, come nella parte del ricorso per presunta faziosità dei giudici. Secondo Strasburgo,

anche se sarebbe stato preferibile che i giudici del processo in questione avessero tenuto un atteggiamento “più prudente nel rilasciare commenti, non c’è prova che le loro posizioni ideologiche abbiano prevalso sul giuramento di imparzialità fatto al momento di prendere servizio”. Quanto alle critiche avanzate su un disegno di legge da gruppi di magistrati “non è di per sé un fatto capace di influire negativamente sull’equità di un processo”. L’inchiesta milanese sulla sentenza comprata, che fece ottenere alla Sir della famiglia Rovelli un risarcimento dall’Imi di mille miliardi di lire, ha preso spunto nel ‘95 dalle dichiarazioni di Stefania Ariosto, la teste “Omega” che ha rivelato pagamenti a magistrati romani da parte di Previti , anche in favore della Fininvest. I pm Gherardo Colombo e Ilda Boccassini hanno processato l’ex parlamentare e gli altri imputati non solo per Imi-Sir ma anche, per esempio, per il lodo Mondadori. Anzi, a un certo punto i due procedimenti sono stati unificati. Ma in Cassazione, nel 2006 c’è stato il colpo di scena. Per Imi-Sir conferma della condanna per quasi tutti gli imputati e per il lodo Mondadori nuovo processo d’appello (che condannerà gli imputati, così come farà la Cassazione. Salvo invece Berlusconi, grazie alle attenuanti generiche). Per Imi-Sir oltre a Previti nel 2006 sono stati condannati anche l’ex giudice Vittorio Metta e gli ex avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora. Assolti l’ex giudice Renato Squillante e Primarosa Battistella, vedova del petroliere Nino Rovelli. Per il figlio Felice Rovelli, prescrizione del reato: non è stata riconosciuta la corruzione in atti giudiziari perché “susseguente”. La sentenza tornerà di attualità il 27 febbraio prossimo quando la Cassazione a sezioni unite dovrà esaminare la condanna in appello per David Mills, emessa proprio per la “susseguente”. Confermerà o farà come per i Rovelli?

Le motivazioni giudicate “mal fondate” o “manifestamente prive di fondamento”

DICHIARAZIONI dc

“È UNO SCEMPIO” i senatori del Icoeri Partito democratihanno letto in Aula una dichiarazione fotocopia contro il disegno di legge sul processo breve. Di seguito, il testo: “Nel giorno in cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dichiara inammissibile il ricorso di un ministro del primo governo Berlusconi condannato con sentenza definitiva per corruzione aggravata, così riconoscendo l'equità del giudizio cui egli è stato sottoposto, la maggioranza si accinge ad un ulteriore, devastante passaggio del suo cinico progetto di disarticolazione della giustizia italiana. Al dispiegarsi di questo cinico progetto assiste un pubblico esterrefatto e sgomento di avvocati, di personale giudiziario, di magistrati, di professionisti della sicurezza e, soprattutto, di cittadini. Mentre questa maggioranza - tristemente ridotta al rango di mera esecutrice di ordini - parla di dialogo, rifiuta con cocciuta e inquietante determinazione ogni ipotesi di miglioramento del testo in discussione, rendendo drammaticamente trasparenti le vere ragioni del suo procedere. Vi è uno scenario che si intravede, alla fine di questo percorso. Questo scenario è, né più né meno, che lo scempio della giustizia italiana. Lasciatemelo ripetere: lo scempio della giustizia italiana. Di questo scempio vi assumete davanti al Paese tutta la responsabilità, politica e morale” cco invece la dichiaE razione del presidente dei senatiori Udc, Gianpiero D’Alia: “Le norme che cancellano i giudizi della Corte dei Conti approvate ora in Aula, oltre ad essere incostituzionali, mettono una pietra tombale sul federalismo fiscale. Non sarà più possibile perseguire e fare condannare gli amministratori che sperperano i soldi dei contribuenti. La Lega, sull'altare di qualche suo imputato eccellente, ha dato un vero colpo di spugna agli illeciti della casta di cui ormai fa comodamente parte”.


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Mercoledì 20 gennaio 2010

INCHIESTE

SE L’UNIVERSITÀ UCCIDE IN SILENZIO

DUE INCHIESTE

DIECI MORTI E 25 MALATI

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Un libro sui veleni del laboratorio di Farmacia a Catania Pubblichiamo uno stralcio del primo capitolo de “Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni”, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti, in uscita domani per Aliberti editore di Francesco Viviano

e Alessandra Ziniti e l’aveva fatta. Nonostante tutto. Emanuele andava fiero di quella pergamena con il titolo di dottore di ricerca in Scienze farmaceutiche. Anche se sapeva che, purtroppo, non avrebbe potuto farsene nulla. A quel ragazzone grande e grosso, sempre con il sorriso sulle labbra, e sempre pronto per una partita di tennis o per scivolare sulle onde con il surf, non restava molto da vivere. Ma Emanuele, oltre a quella per la sua vita, purtroppo ormai persa, voleva giocarsi un’ultima partita: quella per la salvezza dei tanti colleghi e dei tanti studenti che, più o meno ignari, avrebbero ancora trascorso ore e ore, giorni e giorni, mesi e mesi, in quel laboratorio dei veleni che – ne era assolutamente convinto – era stato la causa del brutto tumore al polmone destro diagnosticatogli appena un anno prima, quando mancavano ancora otto mesi all’esame finale per il suo dottorato di ricerca, l’obiettivo al quale – fino a quel momento – aveva finalizzato la sua vita. Eppure quell’ultima partita Emanuele non riuscì nemmeno a co-

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Emanuele Patanè ha iniziato la sua battaglia due mesi prima di morire di cancro HONORIS CAUSA

minciarla. Un pomeriggio si presentò nello studio di un avvocato “amico” con cinque pagine fitte fitte scritte di suo pugno. Il titolo non diceva poi molto: “Descrizione dell’attività svolta durante il corso di dottorato di ricerca in Scienze farmaceutiche dal dottor Emanuele Patanè”. All’interno, però, c’era del materiale esplosivo: la denuncia lucida, drammatica, ragionata, consapevole, cosciente e civile di un giovane ormai condannato a morte che puntava l’indice sulla assoluta quanto incredibile assenza di misure a salvaguardia della salute di quanti studiavano o lavoravano in quel laboratorio dell’Università di Catania, a contatto con pericolosissime sostanze chimiche e tossiche. Una denuncia con un elenco già lungo di morti e di ammalati, e una lista di presunti responsabili altrettanto lunga: quei professori e quei vertici dell’università a cui i ragazzi affidavano il loro futuro. L’avvocato lesse le cinque pagine, vestì un sorriso di circostanza e disse a Emanuele: “Lascia perdere, ma chi te lo fa fare? Contro chi ti vuoi mettere? Prove, ci vogliono le prove prima di dire queste cose”.

Il diario di Lele Le prove erano lì, nel polmone destro di Emanuele, ormai divorato dal male, e nelle tante altre vite consumate da malattie analoghe sviluppate, con una quanto meno sospetta coincidenza, in quel laboratorio. Due mesi dopo, Emanuele non c’era già più e quella sua lucida denuncia, quel suo agghiacciante diario rimase sepolto per sei anni nel suo computer. Poi, un giorno, vedendo passare sullo schermo della tv l’immagine del maledetto laboratorio che era stato la tomba di suo figlio, adesso finalmente con i sigilli della magistratura, un’altra coscienza, questa volta più forte e più matura, con il dolore ormai sedimentato dal trascorrere degli anni, decise di destarsi: quella del papà di Emanuele. Con in mano la foto del suo ragazzo

di Silvia D’Onghia

UMBERTO BOSSI L’ETERNO STUDENTE itolo di prima pagina con grande foto, ieri, sulla Padania: “Bossi visita la ‘sua’ università”. E giù un articolone, in cui la solerte Selvaggia Bovani traccia un commovente resoconto dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Pavia, cui hanno preso parte alcuni ministri, Bossi in testa. “Correva l’anno 1979 e Umberto Bossi era uno studente”. Si potrebbe completare: “Anno 2010, Bossi è ancora uno studente”, ma non sappiamo se nel frattempo il ministro ha continuato a pagare la retta di iscrizione. Quello che sappiamo è che la laurea il Senatùr non l’ha mai conseguita, pur avendo organizzato nella sua vita ben tre feste di laurea, mentito alla prima moglie che lo vedeva uscire di casa col camice bianco (e che per questo lo ha mollato) e alla madre, costretta a stazionare fuori dalla facoltà durante una cerimonia di laurea mai esistita.

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ancora forte e felice, quella del giorno della laurea, con i ricordi dei pianti e delle paure, e quella voglia di giustizia ma soprattutto di salvare tante altre vite umane. Ed ecco la voce di Emanuele alzarsi forte, rompere il muro di silenzio e di omertà così persistente in una città in cui tutti, per anni, si sono girati dall’altra parte e ancora oggi incredibilmente sembrano voler proteggere interessi corporativi e istituzionali a danno della salute altrui. “Con la presente descrivo un caso dannoso e ignobile di smaltimento di rifiuti tossici e l’utilizzo di sostanze e reattivi chimici potenzialmente tossici e nocivi in un edificio non idoneo a tale scopo e sprovvisto dei minimi requisiti di sicurezza”. Eccolo il diario di Emanuele, laureatosi in Farmacia con centodieci e lode il 19 luglio 1999, dichiarato idoneo all’esercizio dell’attività professionale di farmacista nella seconda sessione di quello stesso anno. Lele, così lo chiamavano gli amici, aveva frequentato il corso di dottorato di ricerca in Scienze farmaceutiche di durata triennale. Nella palazzina del dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università era entrato nel novembre del 1999 e vi aveva trascorso almeno sette, otto ore al giorno fino al marzo del 2003, quando aveva finalmente conseguito il titolo di dottore di ricerca. Era rimasto lì nonostante tutto, nonostante la malattia, per raggiungere il suo obiettivo: quel maledetto pezzo di carta, quel titolo professionale del quale non avrebbe mai potuto avvalersi. La sua storia la racconta lui stesso. In poche righe, secche, asettiche, che lasciano senza fiato per la loro durezza: Durante il corso di dottorato mi sono occupato di sintesi chimica in laboratorio mediante l’utilizzo di opportuni reagenti chimici. Ho iniziato a lavorare in laboratorio nell’aprile del 2000. Mi hanno diagnosticato un tumore nel polmone destro nel luglio 2002. Durante il corso di dottorato, trascorrevo generalmente tra le otto e le nove ore al giorno in laboratorio per tutta l’intera settimana, escluso il sabato.

A lato, la copertina del libro. Sopra, provette di laboratorio (FOTO ANSA)

Dopo un giorno di lavoro, tutti avvertivano mal di testa, astenia e un pessimo sapore in bocca [...] Eppure non ci voleva molto a capire che in quegli ambienti non si poteva né lavorare né studiare. Dal giorno in cui i carabinieri hanno apposto i sigilli su ordine della magistratura, nessuno vi ha più potuto mettere piede. Il nastro rosso a chiudere le porte della palazzina bianca, lo sguardo che cerca di andare oltre i vetri oscurati. Ma ancora una volta sono le parole di Emanuele a guidarci al suo interno, a lasciarci immaginare quei giovani chini su contenitori inadeguati, a respirare fumi tossici, a maneggiare sostanze nocive. Il laboratorio è un locale di circa centoventi metri quadri. È dotato di tre porte che immettono verso l’esterno e di una porta che immette in un corridoio e anche da tre finestre non apribili, che sono state sostituite con delle finestre nuove e apribili all’incirca nel febbraio del 2002. Nel laboratorio non vi è un sistema di aspirazione e filtrazione idoneo, infatti si avvertivano sempre odori sgradevoli, tossici e molto fastidiosi, spesso eravamo costretti ad aprire le porte in modo da far ventilare l’ambiente. Nel laboratorio c’erano due cappe di aspirazione antiquate, che non aspiravano in modo sufficiente e adeguato. Quindi lavorare sotto le cappe di aspirazione era lo stesso che lavorare al di fuori di esse. Infatti una di queste cappe subito dopo la diagnosi della mia malattia, cioè circa nel luglio 2002, è stata sostituita con una nuova

FOGGIA

Sequestra 14enne e cerca la Mussolini

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assimiliano Credico, 35 anni, si deve essere affezionato ad Alessandra Mussolini. Ieri, sequestrando una ragazza di 14 anni in un negozio nel centro di Lucera, nel foggiano, ha chiesto esattamente la stessa cosa che aveva chiesto nel 2007: poter parlare con la Mussolini. Che tre anni fa aveva contribuito a risolvere la situazione: la polizia, approfittando della distrazione dell’uomo intento ad afferrare il telefono, lo aveva arrestato. Ieri, forse memore di quel momento, Credico pretendeva che la deputata si presentasse a Lucera. Per fortuna non ce n’è stato bisogno: dopo alcune ore di sequestro, sono entrati in azione i reparti speciali della polizia, che hanno liberato la ragazzina e arrestato l’uomo.

ono due le inchieste in corso alla Procura di Catania sul laboratorio di Farmacia dove per anni, tra la fine degli anni Novanta e il 2005, studenti, ricercatori, professori, personale amministrativo hanno operato senza alcuna misura a garanzia della salute, come dimostrano le patologie tumorali che hanno causato dieci morti e almeno 25 ammalati. L’inchiesta per inquinamento ambientale, che proprio nelle scorse settimane ha visto il deposito della perizia che conferma come in quegli anni solventi e sostanze tossiche fossero sversate nei lavandini e si lavorasse in assenza di filtri d’aria, sta per concludersi con le richieste di rinvio a giudizio per l’allora rettore dell’Università Ferdinando Latteri, l’ex direttore amministrativo Antonino Domina, il direttore del Dipartimento di Scienze farmaceutiche Vittorio Franco, il medico Marcello Bellia, l’ex dirigente dell’ufficio tecnico Lucio Mannino, l’ex componente della commissione sicurezza e attuale preside di Farmacia Giuseppe Ronsisvalle e Francesco Paolo Bonina e Giovanni Puglisi, entrambi componenti della commissione sicurezza. Parte offesa l’attuale rettore dell’Università Antonino Recca. Parallelamente va avanti l’inchiesta per omicidio colposo a carico degli stessi indagati che mira a stabilire se si possa dimostrare un nesso di causa-effetto tra le patologie che hanno causato decessi e malattie e le condizioni ambientali di quel laboratorio.

e quindi funzionante. Le sostanze chimiche, i reattivi e i solventi erano conservati nel laboratorio sulle mensole, sui banconi, in un armadio sprovvisto di un sistema di aspirazione e dentro due frigoriferi (per uso domestico) anch’essi non dotati di un sistema di aspirazione e filtrazione. Questi frigoriferi sono tutti arrugginiti e in vicinanza di essi si avverte un odore sgradevole e nauseante che diventa molto più intenso quando vengono aperti. In un frigorifero vi erano inoltre sostanze altamente radioattive identificate da alcuni ispettori, che sono state rimosse e isolate in camera calda qualche mese dopo la diagnosi del mio tumore. E poi un elenco che sembra non finire mai di veleni lasciati lì, come se fossero profumi e creme, nomi e termini tecnici che mettono paura solo a leggerli con il loro carico, per nulla nascosto, di rischi e pericoli. [...]

Malati e silenti [...] Al termine di giornate così, Lele rientrava a casa e avvertiva regolarmente i sintomi di quello strano malessere che sarebbe poi presto degenerato: la testa pesante, un terribile sapore in bocca, come se i veleni penetrassero in ogni singolo poro della sua pelle, facendosi strada e annidandosi nel suo organismo. Lui e i suoi amici, i suoi colleghi, i suoi professori. Si guardavano negli occhi e tacevano, nonostante le malattie a raffica, nonostante i primi morti, nonostante l’angoscia di vedersi cadere davanti persone con cui si condivideva la quotidianità. Il tutto in un incomprensibile e folle silenzio, spezzato solo dal diario di Emanuele. Persone con un volto, una storia, un nome e un cognome consegnate ora alla magistratura come preziosissimi testimoni. Almeno coloro che sono ancora in vita. Pagine da brivido, quelle scritte da Lele: Dopo aver trascorso l’intera giornata in laboratorio avvertivo spesso mal di testa, astenia e un sapore strano nel palato come se fossi intossicato. Nel laboratorio assieme a me lavoravano due tesisti, Valerio De Gregorio e Tania Romano, e due ricercatori, la dottoressa Loredana Salerno e la dottoressa Maria Concetta Sarvà. Inoltre lavoravano con me la professoressa Mariangela Siracusa e il professore Francesco Guerrera che era pure il mio tutor. Oltre al mio caso di tumore si sono verificati altri casi di malattia dovuti a una situazione di grave e dannoso inquinamento del dipartimento e sicuramente non sono da imputare a una fatale coincidenza. Nel mese di maggio 2002 una ricercatrice, la dottoressa Maria Concetta Sarvà, mentre si trovava nello studio è entrata improvvisamente in coma e dopo qualche giorno è morta. Sono venuto a conoscenza che un ragazzo che ha svolto il dottorato di ricerca due an-

ni prima di me, Cristian Cutrini, nello stesso laboratorio di sintesi chimica, si è ammalato di tumore al polmone. Uno studente di Chimica e Tecnologia farmaceutica, che frequentava il corso nel dipartimento, circa due anni fa si è ammalato di tumore al polmone ed è stato operato. Inoltre un’altra ragazza, la dottoressa Agata Annino, che ha svolto il dottorato di ricerca in un altro laboratorio, ma sempre nello stesso dipartimento di Scienze farmaceutiche, si è ammalata di un tumore all’encefalo. Dal mese di novembre del 2002 nel laboratorio dove lavoravo io vi lavora una nuova ricercatrice, la dottoressa Valeria Pittalà. Nel mese di agosto 2003 era al sesto mese di gravidanza quando ha perso il bambino per mancata ossigenazione. Sono venuto a conoscenza che altre tre persone che lavorano nel dipartimento di Scienze farmaceutiche si sono ammalate di tumore: la professoressa Annamaria Panico, il direttore della biblioteca dottoressa Adele Gubernale, il collaboratore amministrativo della facoltà di Farmacia, Alfonso Russo. Da questa breve disamina si può capire quanto la mancata accortezza nello smaltimento dei rifiuti tossici e l’utilizzo di sostanze e reagenti chimici, senza una struttura idonea a tale scopo e quindi in assenza dei minimi requisiti di sicurezza, possa aver nuociuto ai giovani laureandi, laureati, dottorandi, ricercatori e professori e quanto possa ancora nuocere se non vengono presi solerti provvedimenti. Scosso dalla fine di tanti colleghi, sconvolto dalla sua malattia e dalla sua battaglia per la vita, Emanuele non aveva perso la lucidità e l’ostinazione nel perseguire il suo obiettivo. E mai avrebbe pensato di dover subire anche un ultimo, cinico affronto da parte dei professori ai quali aveva ritenuto di poter affidare il suo futuro. Che invece gli negarono una borsa di studio che era già sua, semplicemente per evitare di “sprecarla” con chi sarebbe vissuto ancora per poco. [...]Cinque anni e mezzo dopo, Giuseppe Ronsisvalle, quel professore che, nel suo atto d’accusa, Emanuele Patanè definisce il “proprietario della facoltà”, è il preside di Farmacia. E come tutti gli altri, continua a tacere.


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DIRITTI

UN OBOLO PER LA SCUOLA

Il ministero non rimborsa le somme anticipate Un istituto di Roma “tassa” i genitori per andare avanti

di Paola Zanca

on c’è più una lira, genitori, aiutateci. La richiesta di un “contributo volontario” all’istituto Domenico Purificato di Roma (che comprende materna, scuole elementari e medie), l’hanno spiegata così. Chiara e tonda. Al rientro dalle vacanze di Natale alle famiglie degli alunni è arrivato un bollettino postale: nella lettera che lo accompagna, si chiede “il versamento di un contributo volontario di 30 euro” visto che la “previsione ministeriale per le spese di funzionamento è di euro 0”. L’allarme era già scattato a giugno: la preside dell’istituto, Paola Curti, aveva comunicato a genitori e docenti la “grave situazione finanziaria

N

della scuola”. Non era la sola, visto che la decisione di prendere carta e penna era stata concordata con “numerosi dirigenti delle scuole statali del Lazio”. “Per la prima volta – diceva la lettera – è stato redatto il programma annuale senza finanziamento per il funzionamento amministrativo e didattico, in quanto sono in atto, da parte del ministero, le procedure per il reperimento delle risorse, a tutt’oggi non reperite né quantificate”. La speranza, si intuiva tra le righe, era che con l’arrivo di settembre qualcosa sarebbe cambiato. Per esempio, che il ministero si sarebbe deciso a saldare i suoi debiti, visto che le scuole statali italiane devono avere dallo Stato circa un miliardo di euro. Invece, non si è visto

un euro. Così, si è dovuti ricorrere all’estrema ratio. L’elemosina. “A fine carriera sono molto amareggiata di trovarmi nella situazione di pietire dei soldi – ha detto la preside due giorni fa ai genitori durante un consiglio di istituto – Svilisce il mio lavoro. Mi sento una questuante, ma non ho alternative: il ministero ci deve 195 mila euro, e cominciamo a temere che quei soldi non arriveranno mai”. A mettere mano al portafogli, i genitori degli alunni della Purificato, ci sono abituati da un pezzo. La carta igienica, il sapone, le risme di carta è prassi che vengano acquistate con la colletta. Ma adesso nemmeno quella basta più. Garantire il diritto allo studio e contenere la spesa, “nelle attuali condizioni sono due cose non conciliabili”. I genitori sono divisi, nonostante la preside garantisca che nel bilancio consuntivo potranno verificare “come sono stati utilizzati” e che ci sarà “massima trasparenza”. Qualcuno non si scandalizza: “Trenta euro per il bene dei nostri figli non sono niente”. La preside concorda, ricordando che qualcuno quei soldi “li spende per le figurine”. Altri invece credono che le vecchie 60 mila lire siano una cifra troppo onerosa. “Se uno dà 20 euro pigliamo pure quelli, meglio di niente”, chiarisce la preside. Interviene anche una insegnante: “Ma sapete quanto ho speso io di fotocopie? Non ve lo voglio dire, se no mi prendete per fessa”. Qualcuno alza la testa. Dice: “Mettiamoci insieme, facciamo un’azione concreta per chiedere al ministero i soldi che ci spettano”. La preside ricorda di averlo già “periodicamente sollecitato”. Ma alcuni genitori le rispondono che “gli atti formali non bastano più: blocchiamo il traffico davanti la scuola, andia-

mo davanti alla sede del ministero”. Altri non sono d’accordo: “Se alziamo troppa polvere – dicono – potrebbe diventare un boomerang. Tutto sommato qui siamo ancora un’isola felice”. Quei soldi (circa 30 mila euro, se tutti i 1020 alunni versassero la quota “proposta”) servono a coprire “le spese più urgenti”, come “la carta, le fotocopiatrici, le matrici per il ciclostile, l’inchiostro, le schede, i registri”. Per far capire l’aria che tira, la preside ai genitori confessa tutto: “Le schede prima le dava il ministero, ora le stampano le scuole, è per quello che sono sempre più stringate. Vi annuncio già che non troverete la descrizione degli obiettivi didattici e dei criteri di valutazione: stamparli costa troppo. Lo stesso vale per i registri: una volta li dava il comune, ora ci dà solo un contributo di 150 euro. Per risparmiare ci siamo inventati di tutto: i registri li abbiamo presi con mesi di anticipo, perché erano in saldo”. Una mamma osa chiedere se la situazione è così grave solo alla Purificato o se succede in tutta Italia. Preside e insegnanti sgranano gli occhi e le rispondono in coro: “Ovunque!”. Ovunque ridotti così. A fare il conto degli spiccioli, come dal salumiere.

Genitori divisi sull’iniziativa La preside: “Mi sento una questuante, ma non ho alternative”

Sei cinese? Qui non puoi entrare di Giampiero Calapà

sleale” è il titolo di un film di Ettore Scola che Cparveoncorrenza rievoca un giorno infausto per l’Italia, quando a Roma comil primo cartello con la scritta “Questo è un negozio ariano”. La foto della ragazza sorridente che lo affigge fa ormai parte dell’immaginario collettivo. In Italia nel 2010 succede che sulla vetrina di un piccolo negozio ricompaia un cartello simile: “Vietato l’ingresso ai cinesi che non parlano italiano”. Variazione del divieto per “cinesi e canguri” con cui Roberto Benigni prova a tranquillizzare il piccolo Giosuè che chiede spiegazioni sul cartello che ammonisce “ebrei e cani” di entrare in una bottega, nella pellicola pluripremiata “La vita è bella”. A Empoli Gino Pacilli, 63 anni, respinge le accuse di razzismo e si difende: “Sono stanco di questa situazione: sono maleducati e fingono di non sapere la nostra lingua, vengono qui per rubare le idee dei nostri abiti, per i loro laboratori di sartoria”. Insomma, Pacilli si difende gridando alla mancanza di buone maniere e alla “concorrenza sleale”, per l’appunto. Pacilli ha tolto il cartello, dopo aver ricevuto anche la visita dei vigili urbani e per il sindaco Luciana Cappelli “Empoli non può tollerare questi gesti, è una città che ha forte il valore dell’integrazione”. Non è esclusa neppure una sanzione per il negoziante: “Iniziative del genere non devono ripetersi – afferma il primo cittadino – quindi valuteremo quali azioni intraprendere”. Nell’empolese la comunità cinese supera le quattromila persone e per Carlo Tempesti, sindaco di Cerreto Guidi, “questi atteggiamenti creano contrapposizioni dannose” tanto da poter sfociare in un’ondata di intolleranza “di cui la Toscana non ha proprio bisogno”. Andrea Sarubbi del Pd – che ha presentato in Parlamento insieme con Fabio Granata (Pdl) una proposta per riformare le regole per conseguire la cittadinanza – non ha dubbi: “Sta ormai accadendo qualcosa di molto grave e la cosa più triste è che sia espressa da una guerra tra poveri. Il significato di un cartello del genere bisognerebbe spiegarlo a un bambino, per accorgersi di quanto sia insensato”. Intanto però la Toscana è alle prese con diversi problemi legati all’immigrazione: a Prato ieri Chinatown è stata svegliata da una maxi operazione di polizia per verificare la regolarità delle condizioni lavorative in magazzini e laboratori gestiti da cinesi. A Firenze, invece, da alcune notti una quarantina di rom, tra cui un neonato, trovano rifugio sulle panche della chiesa valdese, aspettando un aiuto dalle istituzioni. Mentre il Comitato di ordine pubblico ha deciso lo sgombero di un ex sanatorio occupato da 150 extracomunitari, su ordinanza del sindaco di Sesto Fiorentino, Gianni Gianassi: la regione predisporrà un piano, ma per chi non accetterà i trasferimenti (sarà pagato il viaggio di ritorno in patria) interverrà la polizia.

Alemanno “commosso” e la terra promessa ai rom del Casilino 900 INIZIATO A ROMA LO SGOMBERO DEL CAMPO PIÙ GRANDE. LA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO CONTRO IL CAMPIDOGLIO di Valeria Fabbrini

l tanto vociferato Piano Nomadi di Gianni Ilunedì, Alemanno è cominciato con la decisione di a seguito di ore di trattative, di trasferire 60 abitanti di via di Salone al Centro di Accoglienza di Castelnuovo di Porto per far posto ad altri rom provenienti dai campi abusivi. Decisione che non è piaciuta alla Comunità di Sant’Egidio, che ha deciso di uscire dal Tavolo Rom col comune, esprimendo seria preoccupazione per le modalità di attuazione del Piano. In una nota si spiega come, tra i 128 rom da trasferire da via di Salone al Cara, per far posto a quelli dei campi abusivi, ci siano 74 bambini nati in Italia. Inoltre, secondo Sant’Egidio, il trasferimento al Cara non sarebbe avvenuto in accordo con i rom coinvolti, ma sotto minaccia di esecuzione forzata. Come se non bastasse molti di questi bambini, inseriti da tempo nelle strutture scolastiche di zona, se ne vedono improvvisamente allontanati.

Ieri si sono spostate 50 persone Molti nuclei familiari, in prevalenza kosovari, vogliono rimanere lì

Il primo punto del Piano Alemanno prevede infatti la chiusura di alcuni campi abusivi, come il Casilino 900, quello di Tor de’ Cenci e la Martora; gli abitanti dovrebbero finire in 13 campi attrezzati: Castel Romano, via di Salone, Candoni, camping Fomentano e Lombroso e Camping River. Ieri è cominciato il primo trasferimento, quello di un gruppo di bosniaci dal campo più antico, il Casilino 900 a via di Casale. “Vogliamo che un domani i campi non esistano più – ha spiegato il sindaco – Il processo dovrà essere realizzato per gradi. Se scelgono la legalità li aiutiamo, se scelgono l’illegalità allora devono stare fuori da Roma. Chi va al Campo di via di Salone sceglie per la legalità e per un percorso che li porti ad essere dei normali cittadini”. Una strana giornata, quella di ieri: accanto alle ruspe, all’ora di sempre, è arrivato il pulmino giallo della scuola, che ha caricato meno bambini del solito. Il Comune, stando agli annunci, avrebbe dovuto cominciare lo sgombero di Casilino 900 spostando circa 18 nuclei familiari a via di Salone. Ieri in realtà se ne sono mossi solo dieci, in tutto 50 persone. Prova a spiegare il perché Maria Stefanek, fotografa polacca amica di molti di loro. “I kosovari a via di Salone non ci vogliono andare e si sono fatti sentire”. Chi pensa che un campo nomadi sia un tutt’uno sbaglia: si attraversano delle vere e proprie zone di confine tra una comunità e l’altra. I kosovari, per esempio: le loro baracche hanno le porte e le finestre, i frigoriferi e i bagni (le chiamano hotel a 5 stelle), i loro vestiti sono puliti, il loro stile di vita decoroso.

Una famiglia rom durante lo sgombero del Casilino 900 a Roma (FOTO ANSA)

I montenegrini invece sono molto più improvvisati, bruciano di tutto, danno fastidio agli altri e le abitudini igieniche non sono delle migliori. Kosovari e montenegrini non si integrano molto fra loro, ma al Casilino, col tempo, hanno imparato ad accettarsi. E poi non è finita, ci sono i macedoni e i serbi, e le famiglie miste se due di loro, per caso, si innamorano. Per questo quando a un kosovaro gli parli di via di Salone ti guarda in cagnesco e ti dice “io non ci porto la mia famiglia, ci sono gli spacciatori e quelli che iniziano i bambini alla pro-

stituzione, ci sono i pedofili, lì spacciano... Chi li difende i miei figli, la Belviso?”. Eppure contemporaneamente, nel piazzale, il sindaco parla di un passaggio storico e di una scelta imprescindibile fra la legalità e l’illegalità. Secondo Alemanno chi non accetta il trasferimento sceglie la strada sbagliata dei fuorilegge, chi va all’altro campo invece la strada giusta e un percorso di integrazione. La verità appare più complessa. Certo è che il Casilino 900 è sempre stato una vergogna per Roma e, quale che sia la soluzione, è giusto che si trovi un rimedio.


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ECONOMIA

Eclissi di “Sole” in formato tabloid IN ARRIVO LO STATO DI CRISI PER IL QUOTIDIANO DI CONFINDUSTRIA

di Stefano

Feltri

orse la soluzione sarà il formato tabloid. Il Sole 24 Ore, primo quotidiano economico d’Italia, attraversa uno dei periodi più difficili della sua storia recente. Non soltanto dal punto di vista dei bilanci, ma anche: nei primi nove mesi dell’anno la pubblicità è crollata del 25,9 per cento, il titolo della società editoriale è passato dagli oltre 5 euro della quotazione nel 2007 agli 1,9 attuali, secondo le ultime rilevazioni le vendite sono scese dell’11,7 per cento tra ottobre 2008 e ottobre 2009. Per questo il quotidiano della Confindustria sta studiando il passaggio al formato tabloid (quello più piccolo che usa, per esempio, il principale concorrente Milano Finanza). E’ un progetto in fase di studio, top secret nei suoi dettagli, che ancora deve superare il test di gradimento degli inserzionisti pubblicitari (riducendo la dimensione si tagliano i costi della carta ma si rischia di incassare meno dalla pubblicità) e dei lettori. Forse il rilancio partirà proprio dal tabloid che, si mormora, dovrebbe essere annunciato in concomitanza con uno dei principali eventi confindustriali dell’anno, forse proprio all’assemblea annuale che si tiene a Roma in maggio. Per allora ci sarà anche il nuovo amministra-

F

tore delegato del gruppo: il nome di chi siederà sulla poltrona che fu di Claudio Calabi è uno dei misteri più discussi dei salotti della finanza milanese. Si parla del consulente del governo Francesco Caio (oggi banchiere d’affari a Nomura) o di Giorgio Valerio, che sta in Rcs. Intanto, però, il Sole si prepara a dichiarare lo stato di crisi, manca soltanto il via libera del ministero del Lavoro che dovrebbe arrivare nel giro di qualche giorno.

per poi arrivare a un ruolo di responsabilità per le pagine politiche. Anche se il direttore non ha ancora ufficializzato la cosa, ai giornalisti del Sole risulta che insieme con Bellasio dovrebbe arrivare anche l’ex corrispondente del Foglio dall’America, Christian Rocca. Finora Riotta non aveva fatto una grande campagna acquisti: ha tolto a Riccardo

CRISI O QUASI. Un quotidiano in stato di crisi non può fare nuove assunzioni, ma nelle scorse settimane il direttore Gianni Riotta ha annunciato alla redazione un acquisto di peso, quello del vicedirettore esecutivo del Foglio Daniele Bellasio, che arriverà per occuparsi di multimedialità. Nei corridoi di via Monterosa, nel palazzo disegnato da Renzo Piano, la nomina è stata messa in relazione ai commenti di Riotta nelle riunioni di redazione, che ha spesso fatto capire di apprezzare la politica fatta “in stile Foglio” e in tanti pensano quindi che Bellasio possa transitare dal sito web

Chiaberge la direzione del dorso domenicale (al suo posto Giovanni Santambrogio, considerato vicino a Comunione e liberazione), ha firmato d’intesa con il comitato di redazione le lettere di assunzione per alcuni precari e ha preso al Riformista l’editorialista Andrea Romano e alla Stampa Miguel Gotor. I due storici sono tra gli intellettuali più attivi della fondazione ItaliaFutura (Romano ne è il direttore scientifico) di Luca Cordero di Montezemolo. E chi osserva le evoluzioni del Sole come uno specchio di quelle dei rapporti dentro la Confindustria aveva visto in queste scelte il tentativo di Riotta di mantenere una continuità di rapporti con la presidenza precedente, quella MonteIl direttore del Sole 24 Ore Gianni Riotta visto da Manolo Fucecchi

zemolo. Adesso sembrerebbe arrivato per Riotta il momento di dare un’impronta più personale al giornale e di rimarcare anche che non si considera già in uscita come vorrebbero i rumors che si ascoltano da settimane (c’è chi lo vede già negli Stati Uniti a fare l’editorialista della Stampa, con il viatico di Montezemolo). IL GOVERNO. Riotta è rimasto scottato dalle reazioni che ci sono state alla sua scelta di Giulio Tremonti come uomo dell’anno in campo economico. Non ha gradito le fughe di notizie su come all’ultimo momento abbia rovesciato la decisione (doveva essere Sergio Marchionne, al terzo posto sempre l’editore del Sole, Emma Marcegaglia). C’è chi ha visto nel premio e nella lunghissima intervista di sabato scorso un tentativo del Sole di stabilire un rapporto più cordiale con Tremonti che, da via Monterosa, molti indicano come la fonte di scoop recenti della concorrenza, cioè Milano Finanza (pare che origine del malumore verso il Sole siano soprattutto i servizi di Isabella Bufacchi, cronista molto preparata ma non amata dal

ministro). Emma Marcegaglia ha avuto rapporti altalenanti con il governo: qualche mese fa Claudio Scajola la definiva un “cor vo” per le previsioni cupe del centro studi di Confindustria sulla crisi, rilanciate dal Sole. Gli osservatori delle dinamiche tra viale dell’Astronomia (Confindustria) e via Monterosa sostengono però che qualcosa stia cambiando e che, nella contrapposizione interna al governo tra tremontiani e antitremontiani la Marcegaglia e il Sole abbiano scelto ormai con chiarezza da che parte stare. In questa nuova fase la presidente degli industriali avrà anche un nuovo responsabile della comunicazione. L’ex numero uno dell’ufficio stampa confindustriale, Vincenza Alessio, è andata a coordinare quello del sottosegretario Paolo Bonaiuti. Al suo posto un giornalista del quotidiano, Roberto Iotti, l’ex capo dell’Economia. E quest’ultima nomina è stata letta con un certo disagio da chi teme che il quotidiano si stia schiacciando troppo sull’azionista: c’è chi a via Monterosa dice che così si preparano “conflitti di interesse potenziali”.

Pubblicità ridotta di un quarto, azioni in calo e il rapporto con l’“uomo dell’anno” Tremonti

Coop: gli utili arrivano dalla finanza più che dai supermercati MEDIOBANCA ANALIZZA PER LA PRIMA VOLTA L’IMPERO DELLE COOPERATIVE COSTRUITO SUI PRESTITI DEI SOCI di Alfredo Faieta

prontamente liquidabili Tcuiitoli per sei miliardi di euro circa, si aggiungono 2,8 miliardi di altre attività immobilizzate (molte delle quali finanziarie), 1,5 miliardi di partecipazioni non consolidate, soprattutto in importanti gruppi quotati italiani, e una dotazione di cassa di 1,5 miliardi di euro, per un totale di quasi 11,8 miliardi. Senza contare immobilizzazioni materiali nette per 7,4 miliardi di euro. Ecco la potenza di fuoco della finanza rossa di Falce e carrello, per dirla con Bernardo Caprotti di Esselunga, quella del: “Allora? Siamo padroni della banca?” della telefonata di Piero Fassino all’allora numero uno di Unipol Giovanni Consorte. Quella telefonata e l’estate dei furbetti del quartierino hanno alzato il velo su una delle più opache operazioni finanziarie della storia recente italiana, la scalata alla banca romana Bnl da parte di Unipol (a febbraio dovrebbe iniziare il processo penale di primo grado a Milano), che ha dimostrato la potenza finanziaria dell’univer-

so cooperativo. In special modo della cooperazione cosiddetta “dei consumatori”, cui non si dava molto credito fino a quel momento. FINANZA&CARRELLO. A fare i conti a questa provincia dell’universo Legacoop, per la precisione dell’aggregato dei bilanci delle 11 maggiori società che si riconoscono sotto Ancc-Coop, ovvero la grande distribuzione dei supermercati e centri commerciali, ci ha pensato per la prima volta in Italia R&S Mediobanca, che con uno studio sulle ultime 5 annate di bilancio fino al 2008, dalle quale emerge subito un dato fondamentale, ovvero quegli 11,8 miliardi euro circa di attività finanziarie distribuite all’interno delle società. Una cifra enorme, superiore alla Finanziaria 2010 da poco varata dal governo, che si specchia nell’altra fortuna del mondo cooperativo, ovvero gli 11,3 miliardi di euro del cosiddetto prestito soci: il vero tesoro delle Coop, l’immenso serbatoio di liquidità che ha permesso alla cooperazione di crescere fino a diventare leader in Italia svincolandosi dalle banche, il cui contributo finanziario è molto limitato rispetto ad altri soggetti dello stesso settore. Ma questi soldi non sono solo

utilizzati per gli investimenti nel business della distribuzione: anzi, le Coop sembrano essere più interessate alla gestione finanziaria che non a quella industriale. Dai bilanci, secondo gli analisti di Mediobanca, emerge che la gran parte degli utili aggregati deriva proprio dall’intermediazione di titoli e gestione delle partecipazioni (ci sono delle società ad hoc, come la Simgest) e non da quella dei supermercati. Si prenda, ad esempio, il 2007: su 11,17 miliardi di euro di fatturato aggregato netto, il margine operativo netto, ovvero quel che resta dopo aver spesato tutti i costi relativi all’attività caratteristica, è pari a 16,4 milioni di euro, mentre l’utile netto è pari a 113 milioni di euro. La differenza, 98,3 milioni, è il frutto sia della gestione finanziaria (il saldo finanziario è positivo per 332 milioni) sia di quella straordinaria del tesoro della Fort Knox rossa. L’ANNO NERO. Nel 2008 però, le cose sono cambiate, e anche molto. Nonostante la Coop sia attiva nel settore alimentare, anticiclico per eccellenza, proprio la sua fortissima esposizione finanziaria ha portato i conti aggregati in rosso per 183,9 milioni di euro. Perdite molto pesanti che, ironia della sorte, sono state alleviate in parte proprio da un provvedimento del ministro dell’Eco-

nomia Giulio Tremonti (dl 185/2008), che ha consentito una sorta di moratoria sulla valutazione al prezzo di mercato dei titoli in portafoglio (le Borse erano crollate), senza la quale a quelle perdite se ne sarebbero aggiunte altre, stimate dagli analisti di Mediobanca per 157 milioni di euro nella migliore delle ipotesi. Sì, perché una plusvalenza immobiliare da 276,5 milioni di euro contabilizzata dalla Coop Consumatori Nordest, peraltro contestata dai revisori dei conti, ha permesso di ripia-

nare le perdite su opzioni (strumenti derivati ) per 239,2 milioni di euro. Rifatti i conti senza plusvalenza, il sistema Coop avrebbe perso 460 milioni di euro, perché il contributo dei supermercati è stato pari a 55 milioni di euro su un fatturato di 11,8 miliardi. E pensare che proprio Tremonti, a giugno 2008, aveva modificato a loro sfavore il trattamento fiscale differenziato di cui godono, quasi uniformando le cooperative alle altre società di capitale, e soprattutto alzando la tassazione sugli

interessi del prestito soci dal 12,5 al 20 per cento, in modo da renderlo meno appetibile di altri strumenti. Un provvedimento che aveva fatto arrabbiare molto i vertici di Ancc, con il presidente Aldo Soldi, allora imbufalito: “Ci hanno messo le mani in tasca senza cercare il dialogo” aveva detto, commentando anche il prelievo forzoso del 5 per cento sugli utili 2008-2009 (e, ironia della sorte, il 2008 si è chiuso in perdita) per il fondo dei meno abbienti, alla stregua dei petrolieri.

di Alf.Fai.

TANGENTI AFRICANE

L’ENI ANDRÀ A PROCESSO? alvo rinvii dell’ultima ora, è prevista per oggi, secondo quanto risulta al “Fatto”, l’udienza in camera di consiglio davanti all’11ma sezione penale del Tribunale di Milano che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per Eni e Snamprogetti (ora incorporata in Saipem), nell’ambito del fascicolo aperto per le presunte tangenti a politici nigeriani per la costruzione di impianti di estrazione e stoccaggio di gas liquefatto a Bonny Island, in Nigeria. L’inchiesta, partita in Francia, si è poi allargata in Inghilterra, Stati Uniti e ora in Italia (a partire dallo scorso giugno), e prende spunto dai

S

presunti illeciti del consorzio Tskj, partecipato al 25 per cento da Snamprogetti con i francesi di Technip, gli americani di Kbr-Halliburton, e i giapponesi di Jgc. Secondo l’accusa furono pagati nel periodo che va dal 1995 al 2004 circa 180 milioni di dollari in mazzette per favorire gli appalti del consorzio nell’area. Per il momento sono indagati due ex manager italiani, grazie alla deposizione fatta ai pm milanesi di un altro ex manager Snamprogetti. L’udienza servirà a stabilire l’applicabilità della responsabilità oggettiva di Eni e Saipem, ex decreto legislativo 231 del 2001.


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ECONOMIA

GIOIA TAURO E IL PORTO CHE MUORE Vicino a Rosarno ci sono le banchine che potevano salvare l’economia calabrese di Daniele Martini

uando 15 anni fa la prima nave attraccò alle banchine del porto di Gioia Tauro, dissero che quella era una giornata storica per il riscatto della Calabria. Mai previsione si è rivelata più azzardata. Le navi sono continuate ad arrivare a centinaia, ma la rinascita non c’è stata e dopo aver macinato record di traffico e utili, ora anche il porto è investito da una crisi durissima. Da “volano per la crescita”, come allora pronosticava con fiducia e orgoglio il sindaco, Aldo Alessio, lo scalo sta diventando l’ennesimo problema per la Calabria, un problema nel problema dell’arretratezza del sud, a 3 chilometri da Rosarno e dal suo inferno razzista.

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IL PORTO E LE TASSE.Dal punto di vista dell’ingegneria marittima, il porto è una struttura valida, con 1 milione e 600 mila metri quadrati di superficie e 25 gru distribuite su quasi 3 chilometri e mezzo di banchine profonde fino a 18 metri. Ma dietro la robusta rete metallica eretta a difesa anche simbolica dei moli dalle infiltrazioni della ‘Ndrangheta, c’è il nulla. Sullo scalo ora si abbatte la crisi mondiale dei trasporti marittimi e pure il governo ci mette il carico da novanta. A differenza di tutti gli altri governi del mondo che si danno da fare per

arginare le conseguenze del calo dei traffici riducendo o congelando le tariffe, in agosto l’esecutivo di Silvio Berlusconi ha aumentato di colpo, fino al 50 per cento, le tasse portuali e di ancoraggio, con una scelta che sta logorando soprattutto le banchine di Gioia Tauro. Dicono che è stata data attuazione a decisioni vecchie, ma l’associazione di categoria, Assologistica, considera assolutamente “incoerente” il provvedimento. Da alcuni mesi le navi hanno cambiato rotta e invece di dirigersi su Gioia Tauro, puntano verso altri approdi più convenienti, da Algeciras a Fos-Marsiglia e sugli scali nuovi del Maghreb, da Tangeri a Port Said. Perfino la Maersk, il colosso mondiale che pure è azionista del porto calabrese con il 33 per cento, da mesi preferisce indirizzare altrove le sue portacontainer. Meno navi significa meno lavoro e quindi cassaintegrazione. La Contship, l’azienda che ha avuto dallo Stato la concessione delle banchine per mezzo secolo, proprio in questi giorni sta avviando le “procedure”, come si dice in gergo, per 400 lavoratori del porto, un terzo del totale. Una mossa forse inevitabile, ma dagli effetti potenzialmente devastanti: lì la cassa è come una bomba ad orologeria innescata su una polveriera, in un momento in cui gli animi ribollono, mentre ancora non si sono spenti i fuochi della

Il governo italiano è l’unico al mondo che in tempo di crisi aumenta fino al 50 per cento le tasse portuali guerra tra bianchi e neri a Rosarno. LE ARANCE. Come in una beffa tragica, quegli scontri sono stati favoriti anche dall’attività del porto di Gioia Tauro. Le navi scaricano proprio qui i fusti pieni di quel succo d’arancia brasiliano dal prezzo così basso che le arance locali stanno andando fuori mercato nonostante lo sfruttamento degli schiavi immigrati per la raccolta. Così il porto, per la cui costruzione negli anni Sessanta furono distrutti chilometri e chilometri di alberi d’arancio e ulivi, a distanza di mezzo secolo si accanisce di nuovo contro le coltivazioni della zona, ponendo le premesse per la loro definitiva marginalizzazione. Un disastro totale.

Il porto di Gioia Tauro, tra crisi e cassintegrazione ( FOTO ANSA)

LE POTENZIALITÀ. Eppure sulla carta lo scalo di Gioia Tauro avrebbe tutti i requisiti per diventare davvero un’opportunità per la Calabria. Per almeno due motivi. Il primo è che quelle banchine sono un gioiello, a dispetto di tutte le polemiche che ne accompagnarono la realizzazione alimentate dal fatto che il governo democristiano di allora le aveva caparbiamente volute a supporto del Quinto centro siderurgico, mai realizzato. Il secondo motivo è logistico: Gioia Tauro è al centro del Mediterraneo, a metà della rotta tra Suez e Gibilterra, l’approdo ideale per le navi portacontainer, soprattutto quelle provenienti dal Far East, per le quali è vantaggioso fermarsi e scaricare sulla punta sud dell’Italia risparmiando alcuni giorni sulle rotte per Anversa, Rotterdam e Amburgo. Rispetto a Malta, all’incirca nella stessa posizione – ma è una piccola isola – Gioia ha il vantaggio di avere alle spalle aree enormi per lo stoccaggio dei container e di trovarsi sulla terraferma. In teoria le merci in arrivo potrebbero facilmente proseguire via treno, camion oppure di nuovo su altre navi più piccole verso i mercati ricchi e popolosi del nord e dell’Europa centrale, mentre per quelli del sud Italia si

sperava in uno sviluppo economico che non c’è stato. Si sperava pure che le banchine avrebbero favorito la nascita di un’industria di trasformazione agricola che invece non c’è stata. Di tutte le opportunità economiche offerte dal porto ne ha funzionato una sola: quella che i tecnici chiamano “il transhipment”, cioè l’approdo delle enormi navi giramondo, lo scarico dei container e il ricarico su navi più piccole verso altri porti del Mediterraneo. Con il transhipment il porto di Gioia è stato per anni una macchina da utili per la società che lo ha in gestione, ma per la Calabria è stato come una vincita alla lotteria che nessuno si è premurato di riscuotere. FINANZIAMENTI PUBBLICI. Ora anche il transhipment vacilla, mentre le 57 industrie (soprattutto del nord) che si erano affacciate a Gioia Tauro facendo finta d’interessarsi ai vantaggi delle banchine, dopo aver succhiato finanziamenti pubblici (almeno 750 milioni di euro in totale) e tirato su i capannoni nel retroporto, da un bel pezzo hanno fatto quasi tutte fagotto, portandosi via anche il miraggio dei 2mila posti promessi. Neanche i trasporti connessi allo scalo sono decollati. I camionisti, se possono, stanno alla larga da Gioia e dall’autostrada Saler-

no-Reggio Calabria, mentre il raccordo ferroviario funziona poco e male rendendo difficoltoso il collegamento con l’area dello stoccaggio e la linea tirrenica, che pure sono a un passo. Anche l’esperimento della zona franca lanciato sette anni fa è evaporato, dopo essere finito al centro di una guerricciola di competenze tra Autorità portuale e Asi, l’ente di sviluppo della regione Calabria. Perfino il rigassificatore di Sorgenia (gruppo De Benedetti), che tutti a parole vorrebbero e la cui presenza alimenterebbe un traffico di navi metaniere, più che speranze accende contrasti. Accanto ad esso dovrebbe sorgere una “piastra del freddo” che sfruttando le tecnologie collegate al trattamento del gas consentirebbe la conservazione dei prodotti agricoli favorendo la nascita di un nucleo industriale di trasformazione. Anche la collocazione della piastra, però, è finita nel fuoco delle scaramucce tra Autorità portuale e Asi. Nonostante in tutto il mondo rigassificatori e piastre stanno uno accanto all’altra, a Gioia la prima stesura del progetto li collocava a 2 chilometri di distanza, in un’area di pertinenza dell’Autorità. Ci sono voluti mesi per riavvicinarli e l’invio da Roma di un commissario, Rodolfo De Dominicis. Alla fine hanno trovato un accordo. Reggerà?

I No Tav bloccano l’autostrada Torino-Bardonecchia SONO COMINCIATI I CAROTAGGI PER DEFINIRE IL TRACCIATO E CRESCONO LE PROTESTE. DOMENICA SFILANO I “SÌ TAV” di Marco

Franchi

MARCO PONTI

i è conclusa senza incidenti, ieri mattina, la manifeSTavstazione che ha visto sfilare qualche centinaio di No sull’A32 Torino–Bardonecchia. L’autostrada è rima-

“VAL DI SUSA? LA PEGGIORE OPZIONE POSSIBILE”

sta bloccata, in entrambe le direzioni, per alcune ore, per le proteste scattate in seguito all’avvio dei sondaggi in Val di Susa. A Torino, invece, i No Tav hanno tenuto un presidio sotto la sede della Rai. di Stefano Caselli La contestazione si è concentrata sull’entrata in funzione della prima trivella per i carotaggi della Torino–Lione unedì scorso sono coall’autoporto di Susa: un corteo ha percorso per circa minciati i sondaggi geodue ore un tratto in direzione della Francia, e al congnostici in Valsusa in vista trario, verso Torino. In prossimità della sede della Sitaf del progetto preliminare (Società italiana traforo autostrade), dove è in azione la della linea Av–Ac (Alta vetrivella da ieri notte, i manifestanti e le forze dell’ordine locità e Alta capacità) Tori– in assetto antisommossa – si sono fronteggiati a circa no–Lione. C’è tempo soltan100 metri di distanza. Dopo una trattativa durata to fino al 31 gennaio per mezz’ora, poliziotti e carabinieri hanno lasciato passare completare questa fase dei i manifestanti, che a loro volta avevano assicurato che lavori, altrimenti si perdenon vi sarebbe stato alcun tentativo di forzare il blocco per raggiungere la trivella. Si sono limitati a intonare canti e slogan. Nella protesta entra in scena anche Beppe Grillo. Il comico sarà giovedì prossimo al presidio permanente No Tav di Susa, mentre sabato è in programma una nuova manifestazione, nella stessa città, alla quale hanno aderito anche Fiom e Cgil. “Abbiamo già vinto – ha dichiarato il leader dei No Tav Alberto Perino davanti a circa quattromila manifestanti – perché per fare una trivellazione in un terreno di riporto sono dovuti intervenire 1500 tra agenti, carabinieri e finanzieri”. Domenica ci sarà sempre a Torino la manifestazione pro-Tav, con le istituzioni favorevoli alla linea, tra cui il sindaco della città Sergio Chiamparino e la presidente della regione Piemonte Mercedes BresNO TAV bloccano l'autostrada per Bardonecchia (F A ) so.

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OTO

NSA

ranno 670 milioni di euro di fondi europei. Ne parliamo con Marco Ponti, docente di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano. I media parlano di “opera finalmente al via”. E’ così? Si tratta di un progetto estremamente controverso e costoso, per cui non è affatto chiaro se vi saranno le risorse con tempi certi. Il rischio maggiore è la partenza del cantiere a singhiozzo, per fini elettorali o industriali, e un’opera mai finita, con costi altissimi per la collettività: basta vedere cosa è successo per altre tratte Av, o per la Salerno–Reggio Calabria. I NoTav vengono spesso dipinti come antimodernisti nemici del progresso ma spesso si limitano a contestare l’utilità dell’opera. Certo, la scarsa utilità dell’opera accentua giustificatamente le resistenze locali, e i No Tav si dimostrano anche tecnicamente prepa-

rati, al contrario di altri gruppi di protesta con più forti componenti opportunistiche. In Valsusa esiste già una linea ferroviaria su cui, peraltro, transitano i treni veloci francesi. Perché l’Opzione Zero (l’ammodernamento della linea già esistente) non è mai stata considerata? L’ammodernamento è già avvenuto e la linea attuale è in grado di soddisfare la domanda merci, che comunque non è interessata alla velocità, per moltissimi anni futuri. La domanda passeggeri stimata ufficialmente è esigua. Secondo Ltf (la società che costruisce la Torino-Lione) il traffico merci aumenterà fino a 45 milioni di tonnellate all’anno, dunque la linea è necessaria. Si tratta di numeri del tutto privi di fondamento scientifico: attualmente la domanda è intorno ai sei milioni di tonnellate, e non

cresce da un decennio. D’altronde, è una valutazione certo non neutrale, e che nessuno è interessato a verificare, né oggi né domani. Tanto pagheranno i contribuenti. E’ vero che in Francia sono già avanti coi lavori e nessuno si oppone? Quando arrivano fiumi di denaro dal centro è difficile opporsi, se non in modo strumentale. Però mi risulta che in Francia hanno speso comunque una quota piccolissima dei costi totali, tra l’altro difficilmente conoscibili. Qualche punto a favore della Torino-Lione? Certo: è una spesa pubblica molto più sensata di quella in armamenti. E’ il miglior passaggio possibile, quello della Val di Susa? Mi risulta il peggiore possibile, perché aumenta i costi di un’opera di molto dubbia utilità di circa due miliardi, dalle ultime informazioni in mio possesso. Cosa succederà adesso? Credo che i lavori partiranno. Poi si proseguirà a singhiozzo in funzione dei soldi (nostri) disponibili. Se l’opera verrà mai finita, tra vent’anni si constaterà che sono soldi buttati. Ma chi sarà chiamato a rispondere?


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Mercoledì 20 gennaio 2010

DAL MONDO

IL PRIMO ANNO DI OBAMA MA BOSTON PUÒ ROVINARE L’ANNIVERSARIO Il voto per sostituire Kennedy mette a rischio la riforma sanitaria

Barack Obama con Ted Kennedy (FOTO ANSA) di Angela Vitaliano New York

ra poco meno di un mese, Barack Obama potrebbe, finalmente, mettere la sua firma, sotto il progetto di riforma sanitaria, rendendo operativa quella trasformazione storica che era il sogno di Ted Kennedy. Per quarantasette anni, senatore eletto del Massachusetts, il “vecchio leone” aveva lavorato, senza mai arrendersi, all’idea che gli Stati Uniti avessero bisogno di una sanità accessibile a tutti e che il sistema delle assicurazioni fos-

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se un oltraggio ai diritti umani. La politica, però, può essere crudele e, il sogno di Kennedy rischia di infrangersi proprio per l’inatteso voltafaccia dei suoi fedelissimi elettori: il suo seggio al Senato, infatti, conteso fra la democratica Martha Coakley e il repubblicano Scott Brown, rischia di andare a quest’ultimo, sbaragliando le previsioni che fino a poche settimane fa, facevano di questo collegio una roccaforte blindatissima per i democratici. Un’inversione di tendenza, sicuramente sottovalutata, emersa in tutta la sua serietà so-

lo negli ultimi giorni, con sondaggi che danno in testa Brown un po’ dovunque; tanto che Obama, cambiando la sua agenda, è corso a Boston per un comizio e per girare uno spot televisivo a sostegno della Coakley. “Le operazioni di voto sono ora in corso per assegnare il seggio che è stato per 47 anni del mio amico Ted Kennedy ha scritto Obama in una mail a tutti i volontari, ieri mattina, invitandoli a mettersi al telefono per un ultimo appello al voto”. Intanto, i democratici, in preda a una crisi di nervi, hanno cominciato a lanciarsi accuse reciproche, incolpando prima di tutto la candidata, rea di aver “dormicchiato” in campagna elettorale. “La Coakley, sostengono i supporter democratici, ha vinto le primarie più per demerito degli altri che per suo merito e ciò è emerso chiaramente in una campagna elettorale opaca come la sua personalità”. Altri, ovviamente, puntano il dito al presidente, per non essere intervenuto prima a blindare il seggio di Kennedy. Rahm Emanuel, capo dello staff della Casa Bianca, se la prende, invece, con Celinda Lake, responsabile dei sondaggi della

Coakley, per non aver segnalato prima l’ascesa di Brown. La sfida in Massachusetts, ha catalizzato l’attenzione (e i finanziamenti) di associazioni fortemente opposte alla politica di Obama, prima di tutto proprio per il suo progetto di riforma sanitaria. L’obiettivo, con l’elezione di Brown, è quello di far perdere ai democratici la maggioranza dei 60 voti necessari per mantenere il progetto già passato al Congresso che potrebbe, così, essere rimesso in discussione, prima della firma finale di Obama. Basta dare uno sguardo alle somme investite nella campagna elettorale di Brown per capire cosa ci sia veramente dietro quest’elezione: 100mila dollari dalle casse dei repubblicani e moltissimi finanziamenti (di importi minori ma considerevoli) da associazioni come la Cooperative of American Physicians, che si oppone alla riforma sanitaria, la National Rifle Association, che combatte le limitazioni al possesso

Il seggio che fu di Ted rischia di passare ai repubblicani riducendo la maggioranza democratica al Senato

Il potere logora

50% L’indice di popolarità dopo un anno alla Casa Bianca

indiscriminato di armi e la National organization for Marriage, che rifiuta categoricamente il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Tutte tematiche che sono, invece, nell’agenda di Obama e che i repubblicani cercano di bloccare in ogni modo. Anche puntando su un anonimo (fino a ieri) senatore, famoso piu’ per aver posato nudo nella pagina centrale di un Cosmopolitan del 1982 e per i suoi reiterati “no” all’assistenza sanitaria (non l’ha riconosciuta nemmeno al suo staff di campagna elettorale) che per altri reali meriti politici.

365 GIORNI DI CASA BIANCA

IL PRESIDENTE 7+ E LE SPERANZE SOSPESE di Giampiero Gramaglia

Barack ha recentemente mostrato una sensibilità Pcriticidaapàgenitore italiano: nelle vacanze di Natale, ha sfidato e benpensanti e, con la moglie Michelle, ha portato le figlie Sasha e Malia, 8 e 11 anni, a vedere Avatar, sconsigliato negli Usa agli ‘under 13’ (in Italia, la censura non pone limiti). Il presidente Obama, invece, è più vicino all'Europa del suo predecessore George Bush, ma è più lontano dall'Italia del premier Silvio Berlusconi: tra i due, non c'è (ancora?) quel rapporto umano che George e Silvio avevano instaurato quasi immediatamente. Certo, nel primo anno della sua presidenza Obama è venuto in visita in Italia (ma non poteva farne a meno, visto che il G8 si svolgeva sotto presidenza di turno italiana). Inoltre, il leader statunitense ha espresso più volte apprezzamento per l'impegno internazionale dell'Italia. Non ha drammatizzato le gaffes di Berlusconi, dalla definizione di abbronzato all'ammirazione platealmente manifestata per Michelle al G20 di Pittsburgh. E ha testimoniato solidarietà e vicinanza al premier ferito, dopo l'aggressione in Piazza del Duomo a Milano, anche se il suo messaggio non è stato fra i primi ad arrivare. Tutto bene, allora? In realtà Barack, con Silvio, è meno alla mano di George: questione di carattere (Obama non fa l'amicone con nessuno) e di feeling, più che di linea politica, anche perchè, a parte la condanna degli agenti della Cia per il rapimento di Abu Omar, l'Italia non ha fatto nulla nel 2009 per irritare l'alleato Usa ed ha, anzi, mantenuto e rafforzato l'impegno militare in Afghanistan. Per il pragmatico presidente degli Stati Uniti, del resto, l'appartenenza politica conta relativamente poco: pare più a suo agio con i leader europei conservatori, come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, che con il premier laburista britannico Gordon Brown (né è molto attento alla “relazione speciale” Usa/Gran Bretagna). E, in fondo, in sede di bilancio di un anno di presidenza, tutta l'Europa puo' considerarsi un'innamorata ingelosita dalle attenzioni che il suo beneamato riserva, ad esempio, alla Cina. Il 20 gennaio 2009, 12 mesi or sono, Barack Obama, primo presidente nero degli Stati Uniti, s’insediava alla Casa Bianca: l’America e il Mondo, squassati dalla crisi economica, erano galvanizzati dalle grandi speranze che il nuovo leader sapeva trasmettere. In un anno, non tutti gli impegni si sono tradotti in risultati. Obama, in sintonia con i Grandi della Terra, ha soprattutto cercato di argi-

N UNIONE EUROPEA

Bocciata la bulgara Jeleva

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umiana Jeleva, Commissario bulgaro designato Ue alla Cooperazione ha deciso di ritirarsi, rinunciando anche alla carica di ministro degli Esteri di Sofia. La rinuncia, che evita la bocciatura da parte della Commissione Ue, allunga i tempi per la formazione del nuovo esecutivo di Bruxelles.

NIGERIA

Scontri religiosi oltre 150 morti

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a già prodotto decine di morti la faida tra cristiani e musulmani che si è riaccesa da domenica scorsa a Jos, capoluogo del Plateau, stato a maggioranza islamica nella zona centrale della Nigeria. Secondo diverse fonti della principale moschea della città i morti di parte musulmana sono oltre 150 e i feriti circa 800. L’imam Balarabe Dawud ha detto all’agenzia francese Afp di aver “ricevuto un totale di 192 cadaveri”. Gli scontri sarebbero scoppiati domenica per una lite di confine tra un musulmano e un cristiano.

nare la crisi e di innescare la ripresa e può ora dire che la MOSCA ripresa, pur lenta, è iniziata. Negli Usa, ha quasi condotto in porto una riforma della Caso Baburova sanità che riduce la vergogna di decine di milioni di americani senza assistenza. Nel Mondo, s’è visto assegnare trenta arresti sulla fiducia un Nobel per la Pace che deve ora dimostrare a polizia ha di meritare. Ma, sul piatto della bilancia delle attese non fermato ieri sera a corrisposte, c’è il peggioramento della situazione in AfMosca una trentina di Foto di famiglia del G8 a L’Aquila (F G ) ghanistan, il rinvio della chiusura della prigione di Guanpersone che stavano tanamo (le torture sono state però bandite), lo stallo del partecipando ad una conflitto tra israeliani e palestinesi, una certa timidezza Plains, in Georgia, terra di KuKluxKlan, ma anche paese manifestazione per verso l’Iran, una certa sudditanza verso la Cina. E, a ca- natale dell’ex presidente Jimmy Carter, compare un maricordare vallo tra 2009 e 2010, Obama s’è bruscamente ritrovato nichino di Obama appeso a un cappio; e in Colorado un l’anniversario alla casella di partenza: quella della sicurezza dell’Ame- dipendente statale diffonde un fotomontaggio di Obama dell’uccisione nel rica e della lotta al terrorismo, oscurata dalla crisi nella lustrascarpe di Sarah Palin. gennaio 2009 campagna elettorale. Un anno dopo, il presidente deve Alle delusioni, alle critiche, alle gelosie, Obama risponde dell’avvocato fare i conti con la recrudescenza della minaccia integra- facendo ‘qualcosa da Obama’: lui, accusato alla prima ora Stanislav Markelov e lista resa più inquietante dalle inefficienze mai sanate dei di essere l'amico di Wall Street, quando c'era da salvare il della giornalista meccanismi d’intelligence e di prevenzione. Nel suo di- salvabile dell'economia che andava a rotoli, tassa le banAnastasia Baburova, scorso di fine anno, il presidente della Repubblica ita- che tornate ai profitti mostruosi e ai bonus osceni, menimpegnati sul fronte liana Giorgio Napoletano ha fatto un bell’elogio di Oba- tre gli americani senza lavoro toccano il 10% della podei diritti civili. ma: “Nuove luci per il nostro comune futuro sono venute polazione attiva e aumenteranno ancora. dall’America e dal suo giovane presidente”, sempre attento alla linea dell’apertura al dialogo con gli interlocutori e del coinvolBUONE NOTIZIE a cura della redazione di Cacaonline gimento degli alleati. Obama ha deciso di togliere il segreto su tutti gli archivi della Guerra fredda ed ha compiuto passi decisi con la Russia verso il Comuni virtuosi: Ponte nelle Alpi convogliano tutta la luce verso il basso. disarmo atomico. L'orologio che misura Onore a questo piccolo Comune di 8.500 Grazie a tutti questi accorgimenti i costi simbolicamente la distanza che separa il abitanti nelle Alpi bellunesi, vero e proprio per l'illuminazione pubblica sono Mondo dall'olocausto nucleare è stato spomodello di sostenibilità ambientale e diminuiti del 30%. stato indietro di un minuto dagli scienziati buone pratiche. Sono state inoltre incentivate le che ne manovrano le lancette: segna, adesIn soli due anni, grazie a un sistema di aziende che recuperano l'acqua so, sei minuti alla mezzanotte dell'apocalisraccolta dei rifiuti porta a porta che ha dato piovana mentre attualmente è in se. Il presidente si dà un voto discreto per le lavoro a 5 persone, la raccolta differenziata progetto un impianto per la cose fatte: “Il bel B+” dell’intervista a è arrivata al 90% con un taglio del 15% dei produzione di biogas. Ophrah Winfrey suona come un nostro costi di gestione del servizio. Per gli anziani è previsto un servizio abusato 7+ dei tempi di Cochi e Renato. I La scuola media è stata dotata di pannelli pubblico di trasporto completamente risultati non sono finora pari alle attese nepsolari fotovoltaici, mentre in tutte le aule gratuito e nei parcheggi sono state pure nella lotta contro la povertà e nell’imsono state installate particolari lampade inserite le strisce rosa, per agevolare le pegno sul clima. Il Wall Street Journal, in sede che si accendono e si spengono da sole e si donne in stato di gravidanza. di bilancio, ricorda che i conti pubblici deautoregolano in base alla luce naturale. Complimenti! gli Stati Uniti sono sull’orlo del precipizio: il (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Ai lampioni lungo le strade sono stati che spiega l’attenzione a evitare d’irritare la Dalbosco, Gabriella Canova) applicati particolari diffusori che Cina, che degli Usa è la principale creditrice. L’America profonda torna a rimproverare al presidente di essere un nero: a

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LUCE ALPINA

UARDARCHIVIO


Mercoledì 20 gennaio 2010

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DAL MONDO

MORTI A KABUL RIAPERTA L’INCHIESTA Dopo l’articolo de “Il Fatto”, l’agenzia Onu svela le carte ai pm di Stefano Citati

e Marco Lillo a Procura di Roma ha riaperto l’inchiesta sulla morte sospetta di Iendi Iannelli e Stefano Siringo, i due ragazzi di 26 e 32 anni trovati morti il 16 febbraio del 2006 sul letto di una guesthouse di Kabul con accanto un narghilé e tracce di eroina. A far ripartire il procedimento è stato un articolo del nostro quotidiano pubblicato il 31 ottobre del 2009. Nell’inchiesta I due cooperanti italiani e i misteri delle ong della giustizia spiegavamo i sospetti avanzati da molti testimoni stranieri sulla morte dei due giovani romani e sul fatto che

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uno di loro, Iannelli, poche ore prima della morte stava svolgendo un’inchiesta personale sulle presunte irregolarità nella contabilità del progetto al quale lavorava. Nell’articolo ponevamo il faro sull’atteggiamento poco trasparente dell’Idlo, l’organizzazione internazionale dell’Onu per la quale lavorava Iannelli. Nonostante l’Agenzia abbia ricevuto 8 milioni di euro dal Governo italiano per i progetti di miglioramento delle strutture giudiziarie di Kabul; e nonostante Stefano Siringo fosse un esperto del ministero della cooperazione che generosamente la finanzia, l’agenzia aveva risposto picche alla giustizia italiana. Scriveva il pm Luca Palamara il 10 settembre scorso nella richiesta di archiviazione: “con nota del 3 agosto del 2006 l’Idlo negava la consegna della documentazione amministrativa contabile degli acquisti avvalendosi dell’immunità giurisdiL’articolo del Fatto del 31 ottobre 2009

zionale derivante dall’accordo tra l’Idlo e il ministero degli esteri. Rifiuto incomprensibile che però portava a far naufragare ogni accertamento teso a verificare i sospetti dello Iannelli così come riferiti ai testi sopra indicati”. Solo 3 anni e mezzo dopo il suo gran rifiuto, pochi giorni dopo il nostro articolo, improvvisamente Idlo ha deciso di collaborare. Il pm Palamara ha ritirato la sua richiesta di archiviazione per ricominciare le indagini da dove erano state interrotte. I carabinieri del Nucleo opera-

Nella stanza c’era droga ma uno dei due ragazzi italiani stava indagando sulle ruberie della Cooperazione

te di Iannelli, a seguito di un controllo del bilancio, eseguito unitamente al successore di Iannelli, l’uzbeko Rustam Ergashev, si accorse che risultavano doppie o false fatturazioni per un valore di circa 1,5 milioni di dollari. Per quanto mi ha riferito Buscaglia, successivamente cercò dei chiarimenti su questa vicenda con la dirigenza Idlo. Chiese una maggiore autonomia di controllo sulla spesa ma, non avendola ottenuta lasciò il suo incarico di capoprogetto Idlo a Kabul”. La Procura di Roma procede per morte cagionata da altro reato, che ovviamente non è la presunta falsa fatturazione ma la droga (reale) trovata nella stanza. Tutti i testimoni hanno escluso l’uso di droghe pesanti da parte di Iannelli e Siringo. Inoltre, secondo la famiglia Siringo, anche la morte simultanea di due amici con fisici così diversi (Iannelli era un giocatore di rugby mentre Siringo era esile) e la totale mancanza di reazione di entrambi (trovati distesi uno accanto all’altro come bambini addormentati) sono circostanze anomale. Per chiarire questi dubbi la famiglia di Siringo chiede di andare fino in fondo, ascoltando tutti i testimoni stranieri che hanno parlato con Iannelli in quei giorni delle presunte irregolarità sulle quali stava investigando. Anche perché il legale della famiglia Siringo, Luciano Tonietti, non si fida molto dell’Idlo e della sua improvvisa svolta collaborativa. Tonietti, dopo la riapertura dell’inchiesta ha scritto al pm Palamara chiedendo di “effettuare tutti i doverosi riscontri contabili”. Ma si è spinto oltre suggerendo “un’analisi chimica della cellulosa della carta dei documenti per consentire di stabilire la compatibilità degli stessi con l’epoca dei fatti, 2005-2006)”.

Una strada di Kabul (FOTO ANSA)

tivo di Roma hanno già ricevuto una delega per andare nella sede di piazza di Spagna dell’Idlo ad acquisire tutta la contabilità sospetta. Il primo a indicare questa pista è stato un magistrato messicano, Samuel Gonzalez-Ruiz, che ha scritto al pm Palamara nel 2006: “Mi trovo a Kabul dove sto lavorando al progetto dell’Idlo. In quanto ex Procuratore in Messico avverto la necessità e il dovere di informarla di alcune situazioni che si sono verificate: alcuni colleghi qui presenti (Edgardo Buscaglia e Iendi Iannelli) hanno notato una difficoltà di implementazione del progetto per il quale siamo stati chiamati a lavorare dall’Idlo e dopo alcune ricerche fatte da Iendi Iannelli, lo stesso ci aveva riferito di credere che alcuni dei fondi italiani per i progetti in Aghanistan erano stati usati in altri progetti di Idlo in diversi paesi. Proprio in questi giorni Iannelli stava cercando alcune prove per confermare questa ipotesi”. La famiglia di Siringo ha avuto un atteggiamento più combat-

tivo di quella di Iannelli riguardo all’indagine. I Siringo sono amici di famiglia della famiglia di Gianfranco Fini mentre il padre di Iannelli lavorava nei servizi segreti e il fratello lavora nell’altra agenzia coinvolta nelle presunte irregolarità, l’Unops. Il legale dei Siringo ha chiesto in passato al pm Palamara di chiamare a testimoniare il magistrato messicano e altri testimoni stranieri. Un passo sollecitato anche dai Carabinieri nel 2008. Palamara, ora che la contabilità è disponibile, probabilmente procederà con una rogatoria. Nel frattempo però ha sentito Marcello Rossoni. Il cooperante italiano, amico di Iannelli e Siringo, il 4 febbraio del 2009 ha messo a verbale parole pesanti: “ribadisco che ho saputo da Edgardo Buscaglia (un professore messicano che lavorava al progetto Idlo) che Iendi Iannelli pochi giorni prima del suo decesso gli aveva confidato l’esistenza di false fatturazioni tra Idlo e Unops e quindi un’anomalia nel bilancio senza specificarne ulteriori dettagli. Dopo la mor-

La sterminata Rosarno degli haitiani OLTRE UN MILIONE DI IMMIGRATI NELLA VICINA REPUBBLICA DOMINICANA, DOVE LAVORANO SENZA DIRITTI E CIRCONDATI DAL RAZZISMO di Mimmo Lombezzi *

ella Morfologia della Fiaba, Vladimir Jakovlevic Propp parla degli animali magici. Sono loro che permettono di decifrare il senso delle catastrofi, dai pipistrelli che accompagnavano l ombra di Dracula ai corvi che annunciarono il massacro di Vukovar. Per gli Haitiani gli animali magici sono i maiali. Nella baraccopoli di Cité Soleil, cooperative di porci neri allegri e feroci pisciano con la sicumera dei predatori vicino alla distesa di rifiuti galleggianti che circonda il porto e

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Interviste impossibili

io ho ritrovato gli stessi ceffi a San Cristobal, nella repubblica dominicana. Perché gli haitiani che vivono a San Cristobal, sono fuggiti dagli slums di Port au Prince per finire nelle discariche. È in luoghi come San Cristobal - che nessuna tv va a cercare – che si misura la miseria un popolo di clandestini. Gli haitiani che vivono senza documenti alla mercè dei coltivatori di zucchero dominicani, infatti oscillano fra uno e due milioni.

di Giampiero Calapà

Quando il sisma colpisce la stampa

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l caos del disastro di Haiti ha giocato un brutto scherzo a La Nazione, che per uno scambio di persona ha fatto parlare una vittima: Guido Galli, l’agronomo fiorentino, 45 anni, ritrovato sotto le macerie dell’Hotel Christopher, dove la forza di pace Onu ad Haiti, di cui era funzionario, aveva il quartier generale. Sulle pagine del quotidiano fiorentino giovedì erano apparse queste dichiarazioni attribuite a Galli, definito “superstite della sciagura” nel titolo: “È stato un inferno. Il mio capo e il collega che stava con me sono morti nel palazzo in cui stavamo lavorando”. Il giornalista Amadore Agostini chiede scusa ai lettori: “In quelle ore di confusione, nonostante decine di telefonate di controllo, ho attribuito a Galli le parole di un altro dipendente dell’Onu, lui scampato al disastro. Un incidente che ha addolorato me per primo, ho già sentito la famiglia per scusarmi”.

Entrano a Santo Domingo lungo il “Rio Massacre” , dove, nell’ottobre del 1937, 30000 haitiani, accusati di rubare il bestiame dei dominicani, vennero sterminati in un gigantesco pogrom scatenato dal dittatore dell’epoca: Rafael Trujillo, chiamato El Jefe. Lungo la strada sterrata che porta alle discariche sembra di sprofondare in un quadro di Pollock. Il verde della foresta si stende come una coperta stracciata su montagne di rottami di plastica , ferro , legno, ceramica, carta e rifiuti vegetali, frugati da polli spettinati e da branchi di maiali. Dopo duecento metri appaiono le prime baracche color ruggine, costruite sfasciando e modellando a martellate i bidoni di petrolio. Quando piove rullano come un tamburo e l’acqua entra dappertutto. Mi portano in zona le gambe tozze come paracarri di Louise Marie Andrèe Cabana, una suora dell’ordine “Hermanas de Santa Maria” che governa una scuola piena di bambini dominicani e di bambini che per la legge non esistono: i figli degli haitiani. “Arcoiris”, una ong italiana l’ha aiutata a riparare il recinto della scuola danneggiato da una banda di ladri. “Ecco - dice Louise - queste due bambine, Natalia e Francia, sono nate qui a San Cristobal nella repubblica Dominicana ma sono figlie di padri haitiani senza documenti e qui non hanno nessuna identità. Pare che i bambini haitiani in questa si-

tuazione siano 600.000. Chiedo: Come sono le relazioni fra bimbi haitiani e dominicani? Risponde: “Dipende da come educhiamo gli e gli altri a rispettarsi”. Rafael il padre di Natalia lavora come bracciante a cinque chilometri dalla barracopoli . “Guadagno 50 pesos al giorno (poco più di un euro, ndr) - dice - ma ora non ho lavoro e i ladri mi hanno rubato tutto quello che avevamo coltivato nell’orto”. Chiedo: Perchè hai lasciato Haiti? Risponde: “Non c’è lavoro là e bisogna partire”. Chiedo: Come ha passato la frontiera? Risponde: “A piedi con una carta di identità falsificata”. La mostra. C’è scritto che lui è Rafael Valez, ma lui ad Haiti si chiamava Rafael Alexi. “Le pagano da 3000 a 12000 pesos - spiega Hermana Louise - così se le autorità vanno a cercare sul computer appare l’identità di qualcun altro, ma è anche sotto quel nome che verrebbero registrati i suoi figli se mai qualcuno li volesse registrare”. Chiedo a Rafael: Se ti ammali che succede? Risponde: “Dio solo lo sa”. Una baracca più in là , una donna sciacqua i panni in un mastello di plastica “Maria ha 5 bambini - dice hermana Louise - ma 3 ha dovuto darli via perchè non aveva soldi per mantenerli. Li ha dati a un centro di adozioni e uno è stato adottato”. Appare il marito, con una bella faccia antica che un macete ha reso vagamente cubista come un ritratto di Minieco: “Volevano i soldi, non li avevo e allora mi hanno colpi-

INVIATO DA BERLUSCONI

L’EMERGENZA CHIAMA BERTOLASO RISPONDE

L’

emergenza chiama, Bertolaso risponde, e dice sì a Berlusconi. Il presidente del Consiglio dalle terre post-terremotate de L’Aquila giudica che ad Haiti manchi un coordinamento degli aiuti, spiega che ne ha parlato con altri leader impegnati nella risposta umanitaria e annuncia che invierà il sottosegretario con delega alla Protezione civile sull’isola caraibica. Mentre la portaerei Cavour salpa (il 90% della missione darebbe finanziato da Finmeccanica, Fincantieri ed Eni e altre aziende) il prorogato responsabile delle emergenze italiane ancora una volta viene spedito al fronte.

to”. Un solo fendente dall’alto al basso. “Gli hanno ricucito l’occhio - spiega hermana Louise - il lavoro è stato fatto male e l’occhio è rimasto chiuso”. Chiedo: Che lavoro fa?”. Risponde: “Bracero (bracciante a giornata ) a 250 pesos al giorno”. Chiedo: I dominicani come lo trattano?” Risponde “Bene grazie a dio”. E la moglie “i problemi sono con gli haitiani. É stato un haitiano a colpirlo”. In quel mentre arriva Catchè che sulla testa regge con l’unica mano un secchio di manghi. Indossa calzoni corti, una maglietta da calciatore e scarpe bianche da gagà recuperate chissà dove. “Un dominicano mi ha detto ‘pagami una birra!’; non avevo i soldi e lui fa ‘bene ci vediamo più tardi’. È tornato con un macete e mi ha tagliato la mano. È ancora in prigione”. Chiedo:

C’è più violenza ad Haiti o qui? Risponde: “Ad Haiti ! Qui se non cerchi rogne stai tranquillo”. Chiedo: Non c’è razzismo verso gli haitiani? Risponde: “No” dice, ma Maria interviene “Per molti gli haitiani sono meno di nulla…” “Catchè lavora duro” dice hermana Louise “anche se ha una mano sola lavora duramente. Aiuta a vendere vestiti al mercato. È stato deportato molte volte dalla migration (la polizia di frontiera) ma la gente gli vuol bene e quando arrivano corrono a chiamarmi: ‘Correte vengono a prendere Catcheé!’ E così io vado a pregarli di lasciarlo restare”. Constato che anche ai tropici si trovano suore comuniste come il vescovo di Milano. * articolo tratto da un reportage realizzato per “Tempi Moderni” (Rete4)


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SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

DIECI ANNI FA

Il penultimo bacio Nostalgia, polvere & maturità Aspettando il sequel del film di Muccino

di Silvia Truzzi

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ra dieci anni fa. O giù di lì. Sullo schermo del cinema di Torino, Stefano Accorsi spiegava: “Trent’anni, lavoro invidiabile, a casa tutti bene”. E poi: “Stai con lei da tre anni. Hai pensato che fosse la donna della tua vita e ci sei andato a vivere insieme. Poi però sono passati i primi tempi, perché i primi tempi passano sempre, e hai cominciato ad annoiarti. A sentire che manca qualcosa. Ma cosa?”.

Lei era Giulia, lui Carlo. L’ultimo bacio fotografava la nostra generazione di trentenni borghesi, viziati, allevati nella bambagia, mai cresciuti: il liceo, il college d’estate per imparare l’inglese, tanti libri, l’interrail dopo la maturità, l’università, i genitori più amici che educatori, trasgressioni perdonate senza troppi drammi. Muccino ci raccontava così come eravamo: con la paura di crescere, di impegnarsi, “di prendersi delle responsabilità”, come spiega nel film l’eternamente arrabbiata Sabrina Impacciatore (il ruolo più sfigato perché impersonava l’incubo di tutti i postadolescenti-neopapà: una compagna rompiballe, non più femmina, solo mamma, incapace di complicità, avara di tenerezza se non per il pargolo appena arrivato. E infatti Giorgio Pasotti alla fine scappa e la molla). Insomma, un’intera generazione di maschi con una sindrome di Peter pan

grossa come una casa, sfacciata e un po’ patetica. La maturità è tutto, ma è così impegnativa che alla fine funziona come per la dieta. Si inizia sempre domani, o ancora meglio un altro giorno. Una generazione di donne in bilico sul cornicione dell’orologio biologico, l’incapacità di gestire ruoli e uomini un po’ inadeguati. E - ciliegina sulla torta - genitori sgangherati che non sanno dare esempi o risposte. Era il febbraio 2001, tutto più intatto che qui: Elisa vinceva Sanremo (Ascoltami / ora so piangere / so che ho bisogno di te), non c’era ancora stato l’11 settembre e “nulla sarà più come prima”. L’ultimo bacio l’abbiamo visto tutti, fiumi d’inchiostro su Muccino sì - Muccino no, la grande bugia dell’amore eterno, l’ineluttabilità del tradimento. Quanto è semplice raccontare una realtà mediocre? Ma forse è la solita storia che quando ti beccano in

Silvio Soldini Il nuovo film del regista passerà al Festival di Berlino

Citto a Roma Ombre Rosse in Galleria Colonna, alle ore 18, Feltrinelli

Giovanna Mezzogiorno e Stefano Accorsi in una scena de “L’ultimo bacio”. Il 29 gennaio uscirà il sequel della pellicola “Baciami ancora”. Al posto della Mezzogiorno, Vittoria Puccini

torto, ti arrabbi. E quando ti mettono davanti alle tue magagne, è più facile gridare alla stupidità, mettersi il cappello della disillusione e tirare dritto. Ci vuole coraggio per guardarsi nudi. Molte parole sono state spese sul trucco di una storia facile come un pezzo di Ligabue o di Vasco: Amo te, Ti sento, Le donne lo sanno. Le cose, dipende sempre da come le dici e le verità sono spesso più sofisticate di uno slogan o di una canzonetta. Però le canzoni le mandiamo a memoria e sono la colonna sonora della nostra vita. Sono più di una foto perché, come i film, ci fanno tornare nei posti, sentire non con la ragione. E se qualche volta sono l’ovvietà di una rima solecuoreamore, altre volte dicono le cose più semplicemente: “L’amore conta e conta gli anni a chi non è mai stato pronto”. Non erano pronti i protagonisti dell’Ultimo bacio e non meno di loro quelli che in platea nic-

Ronaldinho Il brasiliano dona 100 mila dollari ai terremotati

Hit “Alla mia età” di Ferro è il cd più venduto del 2009

IN PIAZZA I lavoratori dello spettacolo avoratori dello spettacolo, autori, produttori, atLorganizzato tori di cinema e fiction hanno scioperato ieri, e veri e propri picchetti davanti alle sedi Mediaset, Rai e Sky, a Roma. Sono mobilitati “in difesa dell’industria audiovisiva italiana”, contro il decreto legislativo (cosiddetto “Romani”) che il governo si appresta ad approvare in via definitiva. Il decreto prevede nuove norme sulla produzione indipendente: sono state abolite le quote che riservavano spazi obbligatori alla fiction europea e italiana nella programmazione Tv; e sono state anche riviste le quote di finanziamenti alle fiction: non saranno più basati sul fatturato delle emittenti, ma sui loro investimenti. Così, dice il regista Citto Maselli “si ammazza il cinema italiano”. Le quote risalgono a una legge del 1977 “un un risarcimento alla collettività - lo definisce Maselli - per l’utilizzo dell’etere, che è un bene pubblico, da parte delle emittenti private”. In piazza anche Cgil e Articolo 21. Un’inedita alleanza per contrastare quello che Santo Della Volpe, di Articolo 21, definisce “un attacco alla cultura ancora libera di questo paese ”.

chiavano. Chi si sentiva Martina Stella, la ragazzina che incarna il sogno dell’eterna giovinezza di Stefano Accorsi, quando all’inizio del film lei – stupenda – gli sorride ripetutamente e lui incredulo pensa “no, non può essere, non sta davvero guardando me”. Chi si vedeva Giovanna Mezzogiorno, furiosa, alle prese con il tradimento e la delusione: ecco, è successo a me che tutto si è rotto in un momento, non penserai davvero che mi bevo la balla dell’è stato solo un bacio. Chi più Stefania Sandrelli, nel suo consueto essere incantevolmente evanescente, oltre la soglia di una ruga, impaurita dalla fine di tutto. Dalla noia, da un compagno con cui si sveglia da trent’anni, dalla imminente nascita di una nipote. E lei che per scappare dall’horror vacui del non più donna-ora nonna, prova a tradire il marito, lo lascia, lo maltratta. Poi, naturalmente, torna. Sta per uscire Baciami ancora, attesissimo sequel, in sala il 29 gennaio: attori blindati, solito lancio Medusa, qualche invitante frammento servito come aperitivo sul Web. Giorgio Pasotti dice alla stampa che ha voglia di maturità: “Abbiamo dieci anni in più, una consapevolezza diversa, un cinismo minore. I traguardi a cui aspiriamo sono più semplici, diversi”. Andremo a vederlo tutti, con il disincanto del tempo che è passato, del come siamo diventati, la curiosità di vedere se ci immedesimiamo ancora, che ne è stato di loro. Di

chi c’è, chi è tornato e come. Di quel finale in cui la Mezzogiorno rendeva pan per focaccia al fedifrago con un bel giovanottone abbronzato, mentre a casa il traditore pentito si interrogava su cosa fosse la felicità se non il sorriso di sua figlia. Che è successo in questi dieci anni o giù di lì? Lacrime in vista per gli inevitabili bilanci delle esistenze individuali, che anche in caso di saldo positivo hanno l’amarezza di un po’ di polvere. Cos’è cambiato, dentro e fuori? I neolaureati di oggi forse hanno meno possibilità di affermare serenamente “lavoro invidiabile”, pregano San Precario e si domandano come fare un bambino senza certezze né contributi. Nel frattempo ci sono stati molti baci – any sense – ma in fondo non è cambiato molto, tutti ti dicono sempre le stesse cose, tipo “fai un figlio, è la cosa più bella del mondo”. Come se la vita fosse il video della canzone che Jovanotti nella sua bontà zen ha scritto per Baciami ancora, dove lui fa il bagno vestito in mare e spuntano tenere manine, sorrisi e corse sulla spiaggia. Ma succede che nessuno ti prepara. Nessuno ti dice che fatica è, specie per chi come noi non ha mai davvero fatto fatica. Nessuno ti prepara nemmeno a ormai è troppo tardi, gli anni volano via senza fare rumore. E la qualità della vita dipende da con chi la passi mentre ti domandi cosa ti manca, con la fifa di non poter più tornare indietro.


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SECONDO TEMPO

DECADENZE/ MANCHESTER UNITED

PROFONDO ROSSO

Malcolm Glazer chiede soldi ai giocatori i tifosi in rivolta chiedono aiuto a Cantona di Malcom Pagani

uomo è vecchio, malato, fantasioso. Oltre la canna del gas, c’è la finanza creativa di Malcolm Glazer, 80 anni, padrone in difficoltà del Manchester United. Più di una squadra di calcio, una comunità. In rivolta permanente effettiva, da quando le promesse hanno preso a calci i fatti. Settecento milioni di sterline di debito, un’indagine del fisco inglese che lavora sull’ipotesi che nella messa a bilancio degli introiti derivanti dai diritti televisivi degli ultimi venti anni, nulla sia stato trascritto a dovere. Nubi all’orizzonte, guai. Il colpo di coda (tra la boutade e il disperato tentativo di stupire) di una proprietà allo sbando è stato proporre ai calciatori l’acquisto di pacchetti di obbligazioni da 50 mila sterline, a fronte di una rendita annua prospettata al 7%. Troppo, per chi si proponeva di duellare alla pari con il Real Madrid di Florentino Pérez. Giocatori smarriti, stampa scatenata, sostenitori armati di rabbia e spray, striscioni sequestrati dalla polizia: “Amiamo il Manchester, odiamo Glazer”. Un caos cui i tifosi, anima senza fragilità di uno dei club più antichi d’Europa ancora ai vertici, 1878, (il primo, lo Sheffield Fc è del 1857, ma agonizza in ottava serie), si oppongono a muso duro. Autoconvocazioni, gruppi su Facebook, marce per convincere l’invasore straniero a intraprendere il viaggio al contrario e a depotenziare quello che definiscono “il più dannoso attentato alla storia del Manchester United”. Fanno sul serio. Parlano di identità culturale custodita per oltre un secolo, adesso minacciata dai nuovi barbari. Filosofeggiano, denunciano l’aumento esponenziale (oltre il doppio del prezzo del 2005) dei biglietti per assistere alla liturgia del Manchester, delle magliette e dei gadget, persino delle bibite. Imprecano, ma quello che cercano davvero, oltre l’indignazione e le riunioni carbonare, è uno sceicco, un emiro, un qualunque

L’

inesausto conto corrente anche anonimo, che permetta a una squadra che invecchia giorno dopo giorno, di mantenere un posto in Paradiso. La liberalizzazione dei più antichi costumi calcistici, ha provocato voragini. I casi Portsmouth, Liverpool, West Ham. La Premier a secco. Il laissez-faire delle ultime stagioni, presenta il conto. Investitori allegri, scatole cinesi, paradisi fiscali, cassandre inascoltate. Lord Triesman, primo presidente indipendente della Fa, nell’ottobre 2008 aveva lanciato l’allarme. “Nessuna persona razionale può pensare di essere immune dalla recessione economica. Il calcio inglese ha tre miliardi di sterline di debiti e i proprietari possono

ire e motteggi, icona sacra del club da oltre un ventennio, il gesto forte che risvegli le coscienze. La parola, prima sussurrata e poi diventata slavina è dimissioni. Uno choc: “Ferguson dice di essere un socialista e un uomo del popolo – ha spiegato al Guardian Johnny Flackes, membro fondatore ed ex presidente dell’Independent Manchester United Supporters Association – e, quindi, deve essere per forza sconvolto. Vogliamo che in migliaia scrivano a Sir Alex, per spiegargli che se i Glazer resteranno, la sua eredità andrà perduta. Siamo un club con oltre 70 mila tifosi di presenza media e continuiamo a per-

di raramente al di sotto dei quattro milioni di sterline. BIOGRAFIE E FORTUNE. Glazer, figlio di un ebreo lituano che nel 1943 abbandonò nell’angolo la divisa di Stalin ed emigrò a New York, ha saputo navigare con abilità nello scintillante dopoguerra statunitense. Ha guadagnato in Borsa, partendo dalla strada, acquistato una squadra di Football americano (i Tampa Bay Buccaneers), comportandosi in finanza come il pirata dell’omonimo logo.

Mezza Premier League è in debito, l’attuale modello inglese rivaluta persino i bistrattati presidenti italiani levare le tende da un momento all’altro, senza responsabilità penali. Svegliamoci”. Gli risero in faccia. Oggi, mentre il decadente modello british, fa apparire i nostri presidenti giganti di lungimiranza, ritrovarsi è difficile. Passata la sbornia, i sostenitori si riorganizzano. IDEE E RABBIA. Per ora, in attesa di novità, l’idea più economica è parsa quella di proclamare una giornata dell’orgoglio in rosso e manifestare in massa, il 10 marzo, in occasione della sfida Champions con il Milan (a Milano già sognano un’avversaria depressa) entrando allo stadio in ritardo. Eleggono capipopolo dallo sguardo penetrante e dalla biografia frastagliata (Eric Cantona), sono pronti a chiedere a Sir Alex Ferguson, allenatore, curato scozzese di campagna incline a

Il tecnico-manager del Manchester Utd, Sir Alex Ferguson (FOTO ANSA)

dere soldi. Se Fergie se ne va, forse lo faranno anche i padroni”. NESSUNO ALLA PORTA All’orizzonte però, non si scorgono valigette o contratti. Quando Glazer, all’alba dell’estate del 2005, vinse dopo un biennio, la resistenza degli irlandesi Mc Magnus e Manier e si impossessò di tre quarti delle quote societarie, l’Inghilterra insorse. Una preoccupazione diversa da quella che spinge gli industriali di una nazione in profonda crisi a valutare soluzioni protezionistico-scioviniste (meno soldi agli operai italiani) ma la spia di una chiusura che confina con il terrore. L’aliquota fiscale per i redditi alti, passata nel 2010 dal 40 al 50 per cento, fa desiderare l’emigrazione alle stelle in scarpini e depaupera stipen-

Van Gogh, “l’epistolomane” LA LUCIDA FOLLIA DEL PITTORE IN MOSTRA A LONDRA TRA LETTERE E MODERNITÀ di Leonardo Clausi Londra

an Gogh come non lo avete mai visto, an“V zi mai letto”. Se la mostra che la Royal Academy dedica al folle genio olandese fosse un romanzo pulp sulla sua vita, in copertina come soffietto editoriale ci sarebbe probabilmente questa frase. E che sia molto, molto ambiziosa questa The Real Van Gogh: the Artist and his Letters (dal prossimo 23 gennaio al 18 aprile 2010), lo dimostra appieno quel “real” che campeggia nel titolo. Dimenticatevi del tutto del Van Gogh che avete sempre conosciuto, quello del mito romantico-maledetto, prototipo universale dell’artista incompreso, marginalizzato, consumato da un cupio dissolvi creativo coronato dal lavoro febbrile, dallo squilibrio mentale, dal manicomio e infine da quella fucilata tiratasi in un campo a Auvers-sur-Oise, vicino Parigi, a 37 anni. La mostra della Royal Academy propone una rilettura drastica della vita dell’artista post-im-

pressionista, forse il primo vero contemporaneo della modernità, rileggendo i 65 quadri e 30 disegni di cui si compone attraverso 35 lettere autografe. Vincent Van Gogh era un “epistolomane” vero, uno che scriveva con modo e frequenza febbrili, e spesso al fratello minore Theo, mercante d’arte che lo sostenne economicamente ed è sepolto al suo fianco. Le lettere hanno quasi tutte contenuto artistico, nel senso che vi si descrivono in maniera minuziosa le questioni tecniche ed estetiche che il genio stava affrontando durante il suo esilio volontario in Francia, segnato anche dal sodalizio con Gaguin. Provengono, assieme a 12 tele, dal Van Gogh Museum di Amsterdam e non sono che un assaggio (con alcuni quadri leggendari, come l’Autoritratto con la benda e la pipa, del 1889 o lo sconvolgente Autoritratto, dello stesso anno) del prolifico corpus dell’artista. In esse emerge un uomo completamente assorto nella sua arte, nello studio della natura, capace di discutere attentamente, grazie a una cultura di prim’ordine, l’evolversi del proprio lavoro. Un’immagine lontana dalla vulgata che

Arrivato a Manchester, dirottò sulle casse societarie il debito contratto per impossessarsene. All’epoca la sottile linea rossa era di 540 milioni di sterline ma la moneta valeva il doppio di oggi e nonostante le ricchissime sponsorizzazioni derivanti dalle multinazionali (Nike, Vodafone), l’esposizione, da allora, non è scesa di un cent. Un piano, per sua stessa ammissione, Glazer non ce l’ha. Emette Bond che per i tifosi altro non sono che “una squallida scappatoia per chiamare il buco con un altro nome”, non frena l’enorme voragine bancaria, né l’emorragia di 90 milioni di sterline annue, derivante dalle spese base. Acquisti parchi, cessioni da prima pagina

lo vuole simbolo universale del connubio fra creatività e follia e che anzi si frappone energicamente tra esse. Nei suoi capolavori, in alcuni almeno, la prima non era necessariamente espressione della seconda: dimostra piuttosto una notevole lucidità metodologica. Autodidatta, Van Gogh cominciò molto tardi a dipingere, a 27 anni, dopo aver cercato invano altrove la sua strada: ma in quei dieci anni che lo separavano dalla morte produsse 800 quadri e 1.200 disegni. Alcuni di essi sono qui abbinati alle lettere, in un accostamento illuminante al punto da accecare: nel senso che rischia di imprigionare la fruizione dell’immagine in una gabbia interpretativa. Ma questa mostra è soprattutto la controparte visiva di una novità epocale, capace di consegnare il pittore olandese al XXI secolo sotto una luce completamente diversa: la pubblicazione integrale di questa immensa corrispondenza (Van Gogh - The Letters). Non manca una sala di lettura, dove navigare nell’oceano epistolare di Vincent 2.0. L’Avatar delle mostre di quest’anno, insomma.

(quella di Cristiano Ronaldo al Real, per 94 milioni di euro), promesse non mantenute, prima tra tutte l’ampliamento dello storico Old Trafford che avrebbe dovuto passare da 80.000 a 95.000 posti e che oggi, assieme al centro sportivo, rischia di essere messo in vendita. LEGGENDA E FAVOLE. Il Manchester e la sua Storia meritano di più. Fuoco e sangue, leggenda e resurrezione. Best e Charlton. Nel 1958, a Monaco di Baviera, il “Lord Burleigh” della British in attesa dell’autorizzazione al decollo, era pieno di whisky e voci. I calciatori giocavano a carte, poi il velivolo si staccò, il carrello difettoso colpì alcuni alberi e tra le lamiere, bruciarono i corpi di otto calciatori del Manchester United. Tornavano da Belgrado, erano i ragazzi di Matt Busby, il maestro burbero cui il prete, aveva già concesso per due volte l’estrema unzione. Scampato all’incubo, Busby 10 anni dopo, insieme ad alcuni dei sopravvissuti, vinse contro Eusebio la Coppa più importante del Continente. Quelle memorie, rischiano di trasformarsi in parcheggi o supermercati. Non è con un azionariato popolare in stile Barcellona (mai considerato finora) che il Manchester Utd risalira la corrente o contrasterà il potere da parvenu dei ricchi cugini neo manciniani del City. Ci vorrebbe altro, per lucidare un’epopea che parte da lontano. L’attenzione al vivaio, la gelosia nei confronti delle proprie intuizioni (Bruce, Sharp, Cantona, Pallister, Neville, Schmeichel, Beckham, Butt, Cole, York, Giggs), il rispetto di un retroterra in bilico tra sacro e profano. Quando Ryan Giggs, giovanissimo, provocato dai compagni, “Abbiamo tutti la macchina aziendale, non credi sarebbe giusto la pretendessi anche tu?” bussò all’ufficio di Sir Alex, quello lo fece sedere, parlare, lamentarsi e poi lo inseguì a calci. Giggs è rimasto a casa. I capelli imbiancati, la lezione appresa a fondo, i dribbling meno veloci di un tempo. Tutto passa, niente si ricrea.

CONFUCIO “caccia” Avatar dalle sale cinesi Confucio, Avatar deve “alzare” le mani. Almeno Sdellaine c’èCina. Sì, perché nel paese del Sol Levante, l’uscita pellicola dedicata al filosofo nato a Qufu il 28 settembre del 551 a.C., obbliga le sale a ritirare il kolossal di Cameron. Concorrenza, quasi sempre non fa rima con propaganda. Soprattutto quando il costo medio di un biglietto, in Cina, è di 80-150 yuan (tra gli 8 e i 15 euro), ma le prevendite dei biglietti per Avatar hanno raggiunto quota 400 yuan. E questo nonostante il controllo totale sulle pellicole straniere: i film esteri non possono essere più di 20 ogni anno e la distribuzione è affidata interamente a società di proprietà dello Stato. Risultato? La Cina offre potenzialmente la platea più vasta del mondo: secondo gli ultimi dati ufficiali, nel 2009 gli incassi al botteghino hanno raggiunto quota 6.2 miliardi di yuan (circa 620 milioni di euro), segnando così un +44% rispetto all’anno precedente. Al vertice nel 2009 si è classificato “La Fondazione di una Nazione”, kolossal epico fortemente voluto dal governo per celebrare i 60 anni della nascita della Repubblica Popolare. Per il 2010 si attende il successo di Confucio.


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TELE COMANDO TG PAPI

Beatificazioni in onda di Paolo

Ojetti

g1 Continuano le celebrazioni alla memoria di Bettino Craxi. Dopo i pellegrinaggi ad Hammamet, le lettere presidenziali, i dibattiti nei talk show (Vespa in testa), le lacrime a gettone, i piagnistei di Cicchitto, i pifferi del decennale che le reti Rai hanno costantemente suonato, la beatificazione di Ghino di Tacco è proseguita ieri sul Tg1 in un servizio di Simona Sala al seguito dell’officiante seconda carica dello Stato, Renato Schifani. Craxi non è più in discussione e nemmeno un caso unico di uomo politico pluricondannato in via definitiva trasformato in statista post mortem. No, è diventato in pochi giorni la “vittima sacrificale” di non si sa cosa. Alla medesima cerimonia, il Tg1 ha fatto sapere che Berlusconi “non ha preso la

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parola per evitare strumentalizzazioni”. In compenso, per ammazzare il tempo, ha abbracciato forte Ottaviano Del Turco, confidandogli – così sempre Simona Sala – la propria pena per le sue disavventure giudiziarie. Assoluzione con bacio accademico. g2 Seconda puntata della T beatificazione di Craxi sul Tg2, a cura di Ida Colucci. Qui si diffonde il sermone di Schifani oltre il limite della decenza. Immaginiamo un telespettatore che sia nato alla fine degli anni 70, che quindi ne sappia poco del clima di quegli anni craxiani. Potrebbe credere, il poveretto, che l’uomo sia stato la vittima innocente dell’orrida congiura di una magistratura deviata, corrotta e spietata. Perché? Ma perché voleva riformare l’Italia con la spada della giustizia e le visioni del

rivoluzionario. Balle spaziali. Basta ricordare lo slogan dei socialisti assatanati di potere e quattrini: chi non è con noi è contro di noi. Fecero piazza pulita nei giornali, in Rai, nelle partecipazioni statali, nelle assicurazioni, nello spettacolo. Si piange uno solo che ne fece piangere tanti. g3 Più politica che Haiti nel Tg3 e una politica che proprio non aiuta il Pd, anzi fa cadere le braccia. In Puglia non c’è nemmeno l’ombra di un avviso di garanzia per Vendola e il procuratore avverte: qualcuno mesta nel torbido. Insomma, elezioni col verme e qualche mela marcia in attività. Si viaggia peggio ancora nel servizio di Roberto Toppetta: alcuni senatori del Pd votano in segreto con la maggioranza sul famigerato processo breve. La Finocchiaro è verde assenzio, per lei è uno scacco solenne. Terza notizia deprimente: la Bonino, candidata nel Lazio, si presenta anche con una lista di disturbo in Lombardia ad alleanze rovesciate. A sinistra, come si diceva una volta nella cronaca nera, si brancola nel buio. Per il decennale dello statista Craxi, un flash e nemmeno un titolo di testa.

T

di Luigi

Galella

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Un Craxi dantesco

opo l’“Ei fu” di Napolitano, che sostanzialmente rimette ai “posteri” l’“ardua Dsentenza” della “vera gloria” dello statista socialista, e compie tuttavia quello che la famiglia percepisce e intende come un encomio, sia Lerner (“L’infedele”, 21.10, La7), sia Vespa (“Porta a Porta”, 23.20, RaiUno) si sono occupati di Bettino Craxi, a dieci anni dalla sua morte. Vespa trasmette una sua lunga intervista del ’96, ad Hammamet. Da tre anni, sfuggendo alla giustizia italiana, Craxi viveva lì. “Dove sono finiti i 60 miliardi della tangente Enimont?”, chiede. Il riferimento non è proprio testuale, ma quella cifra colossale non può che riguardare la maxitangente attribuita al leader socialista. Craxi ne è infastidito e risponde in maniera vaga, se non proprio reticente: “Non nelle mie disponibilità, ma in quelle dei fiduciari dell’amministrazione del partito”. Sorride, sembra esitare, la qualità razionale degli argomenti è mediocre, se non inesistente, ma è efficace il tono, la forza d’animo che si riafferma dopo che per l’enBruno Vespa, autore di nesima volta qualun’intervista d’annata a cuno vorrebbe diBenedetto, “Bettino”, Craxi scuterne la grandezza. C’è un leader politico della Firenze del Duecento, l’eretico Farinata, che Dante incontra nel canto X dell’Inferno. Il poeta è costretto a giudicarlo e lo fa come al so-

lito in maniera inflessibile, ma pur essendogli politicamente avverso, è pieno di ammirazione per lui. E in più occasioni ne rappresenta, come dei valori, la nobile superbia e la fatale, ossessiva attrazione per la politica. Da un certo punto di vista, almeno quello posturale, la vicenda craxiana ha dei tratti che ricordano il Farinata dantesco, e il giudizio inevitabilmente si sdoppia. Si scontrano due linguaggi. Gli argomenti difensivi, intanto: “Io vengo condannato per una vicenda per la quale sono totalmente estraneo”, ma nel celebre discorso alla Camera aveva compiuto una chiamata in correità di tutta la classe politica. E c’è correità se c’è reità, quindi Craxi e non in una sola occasione, cade in palese contraddizione. L’intervista è utilissima, indirettamente, a mettere in evidenza lo scompenso fra la dimensione razionale – indifendibili e contraddittori gli argomenti usati – e il precipitato delle emozioni: la retorica dello sguardo, la forza magnetica delle pause, che sembrano contenere e rivelare un mondo, la qualità lessicale della prosa, mai prolissa né banale, perfino la sfrontatezza del piglio aggressivo. Anziché arretrare Craxi contrattacca e lo fa con l’unica arma che gli rimane: non semplici qualità dialettiche o retoriche, cui mancherebbero i mattoni su cui costruirsi, ma un sovratesto emotivo e ipnotico, che i primissimi piani televisivi esaltano, che ancora oggi suscita sentimenti contrastanti e spinge tanti, come “immemori” delle colpe, a volerne riabilitare la sfregiata figura.

MONDO

WEB

“Browser” chi era costui? rowser” in inglese, deriva “B dal verbo “to browse”, “sfogliare”. Il termine, fin dalla nascita del Web (all’inizio degli anni ‘90) si è imposto per designare i software (il primo fu Mosaic, poi Safari, Explorer e Firefox) che sono in grado di leggere le pagine Web, scritto in un apposito linguaggio (HTML). La parola è salita alla ribalta delle cronache nei giorni scorsi, per una presa di posizione dei governi tedesco e francese. Ha esordito il governo di Angela Merkel, che ha consigliato agli internauti di non usare il browser Internet Explorer (Microsoft) perché mette a rischio la sicurezza del pc. L’avvertimento è arrivato dall’Ufficio federale tedesco per la sicurezza informatica (una falla in Explorer era stata usata dagli anonimi hacker cinesi che hanno attaccato Google negli scorsi giorni). A ruota è intervenuto il governo francese che ha consigliato ai suoi cittadini “l’utilizzo di un browser sicuro” alternativo a quello Microsoft. Il consiglio è venuto dal Certa (Centro di esperti per la risposta e il trattamento degli attacchi informatici). Ma non sono

intervenuti solo francesi e tedeschi: anche il British Cabinet Office per spiegare che il governo britannico non intende lanciare un simile allarme, ma che illustrerà tutti i rischi in un sito apposito. La questione ha il suo interesse per chi naviga sul Web (Microsoft assicura che la nuova versione di Explorer, la 8, è sicura) ma non solo. Pensiamo all’Italia. Nessuno ci ha parlato di quali rischi possano correre i nostri pc. Anzi: non esistono proprio nel nostro paese istituzioni governative che, in maniera chiara e affidabile, abbiano la minima conoscenza delle Rete per essere utili ai cittadini-navigatori (e anche l’opposizione non scherza: Bersani ha definito Internet un “ambaradam”). Eppure, dalle parti del governo, sono sempre pronti a strepitare contro Internet. Ma potrebbero prima imparare, almeno, il significato della parola browser?

è VIOLATE LE MAIL DEI GIORNALISTI IN CINA RINVIATO ANCHE IL LANCIO DI ANDROID, S.O. GOOGLE

Alcuni giornalisti residenti in Cina, hanno denunciato attacchi informatici (da parte di ignoti) contro le loro caselle di posta Google. A denunciare l’accaduto, Reporter Senza Frontiere che si è detto di Federico Mello “indignato”. Attacchi simili alle mail di dissidenti cinesi, avvenuto a inizio gennaio, hanno portato Google a togliere i filtri sulle ricerche Web Cina. Il motore di ricerca, inoltre, come primo segno del rallentamento delle sue attività è “I RICERCATORI NON in Cina, ha rimandato il lancio di due CRESCONO SUGLI ALBERI” modelli di telefoni cellulari che utilizzano IL LIBRO E IL BLOG il sistema operativo Android, software “I ricercatori non crescono sugli alberi" è un open source realizzato proprio da libro scritto da Francesco Sylos Labini e Google. Stefano Zapperi, appena uscito per Laterza. Viene analizzata la ricerca e l’università in Italia: a cosa serve la ricerca, perché DAGOSPIA finanziarla, cosa fanno i ricercatori, che MANCA DA BRACHINO relazione c’è tra ricerca e insegnamento, 1) Toh guarda, il come riformare il sistema della ricerca e vicedirettore del Corriere dell’università, a quali modelli ispirarsi? della Sera Daniele Manca – già Asseme al libro, i due autori hanno aperto il noto per essere blog ricercatorialberi.blogspot.com per l’intervistatore esclusivo di raccogliere commenti e suggerimenti. Marina Berlusconi – da qualche tempo è divenuto ospite fisso del prestigioso Mattino 5 di Claudio Brachino e Federica Panicucci. E ora si spettegola di un probabile contratto Mediaset, come pure ne aveva uno Ferruccio de Bortoli? Malignità, solo malignità. Manca la prova. 2) Dall’inizio dell’anno Alitalia non offre più i giornali ai passeggeri. Lo fa soltanto nella tratta Milano-Roma. Per tutti gli altri, niente! Provate a imbarcarvi su un qualsiasi Genova-Roma o Roma-Torino... quotidiani, neanche l’ombra. Costo del biglietto Alitalia: cento euro. Costo del giornale: 1 euro. Avanti così e tra un po’ elimineranno anche il bicchiere d’acqua. 3) Salvo Sottile si è distaccato dal Tg5 per iniziare una nuova avventura su Rete4: un programma, ancora senza titolo, che girerà sui gialli irrisolti d’Italia (quasi tutti), a partire da marzo fino a giugno.

Il logo di Explorer, “i ricercatori non crescono sugli alberi”; l’invito Apple, il sito della nuova emoticon

GRILLO DOCET

BEPPE A OXFORD

Pace e bene a tutti, sono più umile e più calmo diPadre Mariano, perché sto per fare qualcosa che non ho mai fatto nella mia vita: sto andando all’estero a fare... non è un tour, è una serie di cose, èuna missione per spiegare, in questo spettacolo che sto preparando, che si chiama: “Incredible Italy”, che tipo di Italia è diventata questa, come ci conoscono all’estero e che misure debbono prendere. Siamo una nazione proiettata nel passato, nel futuro emai nel presente, è tutto incredibile, è tutto parossistico, abbiamo creato delle entità come Berlusconi, Ratzinger, Napolitano, che non fanno paura, ma esistono e la loro esistenza mette in crisi la civiltà occidentale, perché noi – sembrano parole grosse, lo so – siamo perfidi in questo senso: insegniamo agli altri cose per le quali loro non hanno nessun anticorpo, [...] Quindi mi appresto a fare questa piccola “mission”, una missione fuori: eh, andrò lì a vedere, andrò nelle università, mi hanno invitato a Oxford, pensate, invitato a Oxford e qua non mi si fila nessuno, oppure alla London School of Economics, una delle più prestigiose università d’Europa o il comune di Vienna, mi invitano per capire l’Italia attraverso la satira, che poi non è neanche satira, non si può neanche fare satira, questo sarà una specie di spettacolo che non è né comicità, né satira, è iperrealismo. Vadoin missione in nome di Dio, in è APPLE: IL 27 ARRIVA ISLATE nome Dio – mi A METÀ TRA IPHONE, MACBOOK E KINDLE metto anche gli “Vieni a vedere la nostra ultima occhiali scuri – andrò creazione”. Sono le uniche parole che in nome suo, per compaiono sull’invito che Apple ha portare un po’ di è NEW EMOTICON IN ARRIVO inviato a giornalisti ed esperti per il 27 chiarezza, un po’ di PER INDICARE SARCASMO: 1.99 $ gennaio. Non dicono altro da Cupertino, luce e, soprattutto, un Su Internet si comunica soprattutto ma ormai appare certo che nella po’ di speranza. Pace e tramite testo: chat, mail, commenti, convention di fine mese, a San Francisco, bene a tutti! post. Ma la comunicazione scritta la Apple presentera il suo nuovo nasconde delle insidie: è molto più prodotto: l’iSlate, una lavagna elettronica, probabile, rispetto alla di circa 10 pollici, a metà tra un iPhone, comunicazione verbale, incorrere in dei fraintendimenti. un MacBook, e un lettore eBook come Per questo sono nate le emoticon, le “faccine” che Kindle. “Anche se i computer senza comunicano gli stati d’animo che accompagnano il testo. tastiera finora non hanno incontrato un Tra le varie faccine, ne mancava all’appello una che vero successo, l’abilità della Apple di potesse indicare il sarcasmo di un frase. Così la SanMark, reinventare prodotti grazie al design un’azienda del Minnesota, ha lanciato un nuovo simbolo avanzato dei suoi tecnici e al suo (riprodotto sopra) “un segno di punteggiatura facile da software facile da usare – sostiene usare che enfatizza il sarcasmo in una frase”. C’è da l’analista di Sanford C. Bernestein & Co, scaricare un piccolo software, a 1.99 dollari, per avere Toni Sacconaghi – potrebbe convincere una scorciatoia di tastiera. Funzionerà? L’idea non è male. gli utenti a dare un’altra possibilità al Ma pagare per un emoticon appare davvero troppo. mercato di questo tipo di apparecchi”. Inoltre secondo il Wall Street Journal, Apple sarebbe in trattativa con alcuni editori per portare gli eBook sull’iSlate.

feedback$ è ANTEFATTO Commenti allo status “Commenti al post: Mangano e Craxi i loro eroi” di Marco Travaglio Il “così fan tutti” è un’attenuante solo per alcune caste italiane. Inutile se un cittadino qualsiasi, colto in flagrante per evasione fiscale, si appellasse a questo principio. E questa sarebbe democrazia? (Josephine) Napolitano ha perso un’occasione per stare zitto... qualcuno gli ha chiesto di scrivere ai Craxi oppure lo ha fatto di sua spontanea iniziativa? Mi pare che solo la politica (escluso l’Idv) celebri Craxi... continuando a celebrare Bettino con una sfacciataggine vomitevole (Cristiano) Gli italiani non hanno capito ancora niente, questo governo serve solo per la “Casta” e non per i cittadini onesti con tutti i loro problemi. Svegliamoci (Walter) Che schifo, il paese è sempre più una soap opera in mano a dei registi sadico-narcisisti. E continuano a fare liberamente senza che noi possiamo fare niente... cosa potrò dire quando sarò in America questa estate “non è colpa mia, venite a liberarci di nuovo per favore?” (Cavallo) “A Mangano preferiamo ancora Falcone e Borsellino. A Craxi e a Berlusconi, politici diversi ma limpidi come De Gasperi e Berlinguer. Ieri, poi, ci è venuta un’inestinguibile nostalgia per Luigi Einaudi e Sandro Pertini”. Un grazie di cuore a Marco Travaglio. Ricordando queste persone, le loro idee e farle ricordare agli altri doniamo loro la cosa più importante (Salvatore) Giacomo Matteotti venne trucidato nel 1924 per aver denunciato in Parlamento i brogli elettorali e per le scoperte che intendeva rendere pubbliche sulla corruzione di Mussolini (affaire Sinclair Oil, e altro). Per queste ragioni Giacomo Matteotti non viene ricordato da quelli che ci governano: troppo difficile seguire il suo esempio. Troppo alta la sua statura per i nani attuali (Anteo) Che al Senato, presieduto da Schifani, si renda omaggio alla figura di Craxi non deve sorprendere; ma che lo faccia il presidente della Repubblica, garante della Costituzione... bè, ci lascia senza parole (Jcaro) Bersani ha declinato l’invito di Stefania Craxi a partecipare alla commemorazione di Hammamet. È la prima cosa ben fatta del neosegretario del Pd! (...ma avrà sicuramente inviato un telegramma...) (Fulvio) Oggi il Senato ha ricordato Craxi. Che tristezza! E pensare che oggi Paolo Borsellino avrebbe compiuto 70 anni... Perché non ricordare lui piuttosto che un ladro? (Redronni) “Se c’è qualche scandalo, se c’è qualcuno che dà scandalo, se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi deve essere denunciato”. Sandro Pertini


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Mercoledì 20 gennaio 2010

SECONDO TEMPO

il badante

PIAZZA GRANDE Pellizzetti

ell’opera sistematica di manipolazione del linguaggio, a cura indefessa degli esperti di comunicazione preposti a riconfigurare la realtà a vantaggio di Silvio Berlusconi, un peso crescente va assumendo l’uso della parola “odio”. Al duplice scopo di trascinare gli oppositori nelle sabbie mobili delle smentite e dell’auto-giustificazione, a fronte dell’addebito imbarazzante di essere mossi da sentimenti meschini, e – insieme – convincere i propri supporter che le argomentazioni critiche non vanno tenute in benché minima considerazione, in quanto pure manifestazioni di invidia. Insomma, l’odio – che in passato assumeva persino valenze positive (pensiamo a “l’odio di classe” dei vecchi comunisti) – ora viene reintrodotto nel dibattito politico come un qualcosa di cui ci si dovrebbe vergognare. In quanto tale, uno strumento di delegittimazione morale della parte avversa criminalizzata. Ma è proprio vero che quella parte di italiani descritta come “odiatrice” di Berlusconi sia composta da frustrati per l’impossibilità di imitare il satrapo riccone di Arcore, il suo stile di vita gaudente e narcisistico, la sua iomania senza limiti? In effetti, nonostante la reiterazione ossessiva del messaggio (che in pubblicità svolge la funzione di trasformare qualsivoglia bubbola in verità indiscutibile), l’argomentazione resta sempre a livello di “Asilo Mariuccia”. Tipo, “chi lo dice lo è/ cento volte più di me”. Ennesima conferma del rincretinente ritorno all’infanzia che in Italia affligge il discorso pubblico. Per cui, se uno critica una posizione politica, si sente ribattere: “Ma allora ce l’hai con me”. Sciocchezze. Un po’ come all’epoca del Cofferati antagonista (bei tempi!) si accusava il sindacato di “fare politica” (e quando mai un sindacato non l’ha fatta?). Dunque sciocchezze, ma che comunque funzionano per la trasformazione della politica in vendita di un prodotto. A prescindere che è legittimo nutrire animosità verso chicchessia (a patto di non tradurre il proprio sentimento in atti concretamente lesivi), è inesatto affermare che una metà del paese odia Berlusconi; semmai lo disprezza profondamente, in quanto personificazione di aspetti giudicati inaccettabili, insopportabili. Ossia la dissoluzione di un patrimonio di principi a cui molti non intendono rinunciare. Questo determina la creazione di due campi sociali contrapposti e incomunicabili. Soltanto che Berlusconi ha saputo federare a blocco i propri supporter; ossia gli abbienti, inguaribilmente refrattari all’idea di politiche redistributive (“roba da comunisti”), e gli impauriti, in paranoia da protezione perché attanagliati da confuse sensazioni di rischi incombenti. Mentre non si segna-

N

L’odio – che in passato assumeva persino valenze positive (pensiamo a “l’odio di classe” dei vecchi comunisti) – ora viene reintrodotto nel dibattito politico come un qualcosa di cui ci si dovrebbe vergognare lano contestuali aggregazioni sul fronte opposto, che resta sostanzialmente disperso; quindi, politicamente inerte. Infatti le ragioni dell’alterità sono plurime, variegate e non facilmente sovrapponibili: dal rifiuto dell’assiomatica dell’egoismo in chi coltiva l’idea di solidarietà al fastidio di una certa borghesia delle buone maniere (forse residuale) per l’apologia dell’insolenza e le sue pratiche, dalla priorità attribuita alla legalità in quanti si riconoscono nell’ordine repubblicano sancito dalla Costituzione ai propugnatori della laicità contro il rinascente oscurantismo; ai contestatori di una restaurazione verticistica attraverso il silenziamento dell’autocomunicazione orizzontale resa possibile dai new media, come i ragazzi del Popolo Viola.

Rivoli che partono dal comune rifiuto senza però confluire in una soggettività unificata. Anche perché fanno riferimento tanto a valori che un tempo avremmo definito “di sinistra” (ragione, consenso, giustizia) quanto di “destra” (ordine, tradizione, merito). L’impossibilità di raggiungere compromessi ragionevoli in un confronto tra posizioni senza il benché minimo punto di contatto (“o, o”) determina quel conflitto distruttivo che sta scardinando irrimediabilmente l’intero paese. Una situazione drammatica cui siamo giunti perché la politica ha rinunciato al ruolo di “levatrice del futuro” (la proposta di un progetto di società in cui riconoscersi, pur ponendo premesse diverse) facendosi ingabbiare nei paradigmi prepolitici della furberia da sensali in un foro boario riverniciato a nuovo dalle tecniche promopubblicitarie, in cui portafoglio e pancia azzerano cuore e mente. Terreno su cui vince sempre chi è più

furbo e la sa raccontare meglio. Ma anche chi sa portare dalla propria parte un uditorio più vasto. Non contrastato sul terreno delle regole del gioco come sull’organizzazione delle istanze coalizionabili, Berlusconi continua a vincere. Anche perché l’anti berlusconismo è fatto di stati d’animo che non diventano strategia. Ossia, rimangono sostanzialmente a livello di sacche di resistenza culturale, psicologica. Comunque un impiccio al consolidamento definitivo del dominio che – in quanto tale – deve essere lapidato, bollandolo da “area dell’odio”. Perché – come è stato detto – “le parole sono pietre”.

IL FATTO di ENZO

di Oliviero Beha

FATTORE C E

Parole come pietre di Pierfranco

É

l

Non si può raccontare nessuna storia se non si ha un punto di vista. Il fatto 1999 Silvio Berlusconi (FOTO ANSA)

h sì, basta con Craxi. Ma come, basta con Craxi? Ne parlano tutti, a dieci anni dalla morte, quasi l’anniversario oscurasse quei 70.000 (ma dicono che potrebbero arrivare a 200.000… sì, vabbene, ma sono lontani, è la classica “strage chilometrica” del giornalismo…) già travolti dal terremoto di Haiti, e tu decidi che basta così? Ma lo sai chi è stato Craxi? Bè, sì, il presidente del Consiglio, quello di Sigonella, l’uomo forte anti-americano, la zeppa anzi la lineetta tra catto e comunisti prima del crollo del Muro di Berlino… E poi la “vittima” di Tangentopoli. La vittima di Tangentopoli? Sì, l’ha detto Schifani, mica robetta, e anche Napolitano con la frase sulla “durezza senza eguali”… Se è per questo, Di Pietro ha detto che era un “delinquente”, e i conti all’estero ce li avevano lui e i suoi sodali, mica io. Lascia stare Di Pietro, ascolta piuttosto Vespa e gli ospiti in tv che ne ricordano la figura, forse l’ultimo statista tricolore. L’ultimo prima di Berlusconi? E che c’entra adesso Berlusconi? Non è un grande statista Berlusconi? E se non lui, chi? Ma come, ce lo invidiano tutti, non hai sentito come ne parlano da Lerner in tv, i craxiani sopravvissuti, in contemporanea con Vespa sull’altro canale? Sì, d’accordo, ma ne parlano così perché dipendono più o meno tutti da lui. Da lui chi, Berlusconi o Craxi? Craxi è morto, lascialo in pace. Ma come faccio a lasciarlo in pace, se è o sembra la questione principale dell’Italia del 2010 mentre immigrati, disoccupazione e crisi restano in penombra? Se ad Hammamet ci fanno i pellegrinaggi? Se tutta la politica odierna sembra ancora ruotare intorno a lui, pro o contro che sia? Se è finito nel Pantheon del Pd al posto di Berlinguer? Mica ce l’ho messo io, sai, ormai quasi tre anni fa…! E chi allora? Ma come, non ti ricordi? Fu Fassino. Fu Fassino? Ma sì, nel senso che è stato Fassino, che è fortunatamente ancora vivo e vegeto. Diciamo vegeto, per non allargarci troppo. Quindi tu dichiari solennemente che non vuoi finirla con Craxi, una buona volta? No. Non è forse un bel pezzo di storia patria? Certo che lo è,in tutti i sensi. Solo che disputarne la memoria così significa fare un torto alla storia e strapazzarne soltanto la cronaca. Per lo più giudiziaria. Vedi, senti a me, in realtà di Craxi non frega niente a nessuno, parenti esclusi magari. Il punto è che chi ne parla – intendo naturalmente gli attuali capataz politici – era e rimane in qualche modo coinvolto e dipendente da Craxi, anche alla memoria. A partire dalla seduta in Parlamento detta “della verità”, quella del “giuri qui chi non ha preso soldi illeciti per il suo partito, come ho fatto io”, di Bettino alla Camera nella fiducia per il governo Amato, un nome una garanzia. Quindi se fuor di ipocrisia tiri un capo di quel filo, invece che sgomitolarsi la memoria degli ’80 e dei ’90 viene via tutta la matassa di oggi. Rischio che non vuol correre nessuno. Quindi queste sono dispute farisaiche, derby mal giocati, tempo perso. Non c’entra nulla quella “parola di verità” invocata dal Cinghialone di Feltri (dell’epoca) nelle ultime interviste tunisine. E del resto forse che Benedetto ha davvero “vuotato il sacco” prima di lasciare questa valle di lacrime dall’Africa minore? Ti risulta che abbia detto tutto quello che sapeva per viaggiare “leggero” dopo l’esilio/latitanza su cui si arrotano i contemporanei? Dai retta, ci stanno prendendo tutti per i fondelli. Anche Napolitano? Napolitano mai, io i simboli li rispetto per natura, anzi per sana e robusta Costituzione.

Meglio più uguali che più ricchi di Stefano Feltri

ra le vittime della crisi economica, ha affermato l’Economist, c’è anche “il mito del progresso”. Prima della crisi era tutto più semplice: un paese si giudicava in base a quanto aumentava il suo Pil in un anno. Adesso in mezzo mondo il Prodotto interno lordo non cresce più e anche i governi si interrogano su come fare per migliorare la qualità della vita se non si può aumentare la ricchezza prodotta. In un libro ambizioso uscito da poco due epidemiologi inglesi, Richard Wilkinson e Kate Pickett, provano a suggerire un percorso alternativo. Si chiama “La misura dell’anima” (Feltrinelli) e sta diventando il saggio più discusso di questo inizio di anno. La tesi dei due autori è semplice: i paesi in cui ci sono meno disuguaglianze economiche sono più felici di quelli, come gli Stati Uniti, dove la ricchezza è molto polarizzata. Quello che conta, quindi, non è il reddito medio pro-capite (cioè la ricchezza prodotta divisa per il numero di abitanti), ma quanto chi sta in cima alla scala sociale è più ricco rispetto a chi sta Due epidemiologi in fondo. L’intento di Wilkinson e Pickett dimostrano non è enunciare un’opinione ma forche per la qualità mulare una vera teoria scientifica. della vita quello Ma cos’è la felicità? Nell’economia neoche conta non è classica, andata in crila ricchezza prosi assieme alla finanza, gli individui sono capite ma quanta più felici quanto più consumano. Nei sondistanza c’è in daggi che misurano invece il benessere un paese tra i più percepito, i paesi più ricchi e i più poveri poveri sono spesso

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quelli dove le persone si considerano più felici. In un recente articolo del New York Times, Nicholas D. Kristof racconta perché, dai sondaggi, quello del Costa Rica risulta il popolo più felice del mondo: 50 anni fa hanno chiuso l’esercito e investito i soldi con cui pagavano i cannoni nell’istruzione. Ma per i due autori de “La misura dell’anima”, questo è un approccio troppo superficiale. Chi pensa davvero che sia meglio laurearsi in un’università costaricana e cercare lavoro su una spiaggia invece che conseguire un dottorato a Harvard e inventare Google nella Silycon Valley? Wilkinson e Pickett, quindi, si concentrano soltanto sui paesi più industrializzati, tra loro omogenei e quindi più interessanti da confrontare. Poi individuano una serie enorme di parametri che misurano la qualità della vita di un paese – la cosa più prossima alla felicità misurabile in modo oggettivo – e li rapportano alla disuguaglianza dei redditi, misurata come differenza tra quanto guadagna il 20 per cento più ricco della popolazione rispetto al 20 per cento più povero. Si scopre così che elementi che indicano un oggettivo disagio, come la percentuale di obesi, il numero di gravidanze di minorenni o la percentuale di persone affette da disturbi psichiatrici, sono perfettamente correlati con la disuguaglianza. La Norvegia che è uno dei paesi più egualitari tra quelli in esame, ha una percentuale di obesi che è meno di un terzo di quella degli Stati Uniti, la metà della Gran Bretagna. Obiezione: non sarà che il legame è inverso, cioè che obesi e disturbati faticano a trovare lavori qualificati e ben pagati, quindi restano più poveri? Replicano gli autori: basta guardare la percentuale di carcerati per capire che non è così. Di nuovo a un estremo del grafico ci sono gli egualitari (Giappone, Finlandia, Norvegia) mentre i carcerati aumentano in proporzione al crescere della disuguaglianza nei redditi fino ad arrivare a Stati Uniti e Giappone. Solo il parametro della disuguaglianza può spiegare queste correlazioni. Nonostante, come ha notato Michele Salvati sul Corriere della Sera, i due autori sorvolino un po’ troppo

sui dati relativi al suicidio (in Norvegia ce ne sono parecchi), a metà libro, quindi, ci siamo ormai convinti che i paesi più omogenei al loro interno hanno meno problemi. Restano due domande: perché la disuguaglianza rende infelici e che fare per risolvere il problema. Facendo ricorso alle neuroscienze, alla primatologia e ala psicologia, Wilkinson e Pinckett arrivano a una conclusione abbastanza scontata: chi sta in fondo alla scala sociale vorrebbe salire in cima, se non ci riesce si irrita e si consegna ai succedanei, dagli psicofarmaci alla violenza. Con tutti i limiti che ha ogni approccio davvero scientifico (cioè basato su numeri) e non meramente assertivo, molte delle principali obiezioni vengono rigettate. Sul Foglio, per esempio, il professor Francesco Forte ha commentato il libro dicendo: “Non penso che le autorità abbiano il compito di preoccuparsi per la nostra felicità o infelicità soggettiva”. Sbagliato, replicherebbero i due autori de “La misura dell’anima”, perché nel libro si dimostra che la felicità è un’insieme di parametri oggettivi su cui lo Stato ha il potere, e quindi il dovere, di intervenire. Per dirla con le loro parole: “Dal momento che non possiamo migliorare le nostre condizioni innalzando ulteriormente il tenore di vita materiale di cui godiamo, siamo la prima generazione a dover trovare altri modi per accrescere la vera qualità della vita”. E arriviamo al punto più debole del saggio: l’unica vera ricetta suggerita da Wilkinson e Pickett sembra dare più controllo ai dipendenti sulle aziende in cui lavorano, un modello di cogestione che la crisi ha messo a dura prova anche nei Paesi in cui funziona (la Germania). Poi ci sono gli interventi più tradizionali, come le aliquote progressive. Ma, in fondo, non è compito di due epidemiologi scrivere il programma dei governi. “La misura dell’anima” offre un contributo intellettuale che indica il punto di partenza per ricostruire una nuova ricchezza (anche non pecuniaria) sulle macerie della Grande Recessione. Sul se e come ci riusciranno si giudicheranno i politici.


Mercoledì 20 gennaio 2010

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SECONDO TEMPO

MAIL Ecco chi sono i bamboccioni

BOX

LA VIGNETTA

“La donna fascista deve essere fattrice di figli… deve aspirare al sacrificio, all’oblio di sé… deve passare dal diritto a lavorare, al diritto a non lavorare…”. In onore alla donna-madre “patriottica, rurale e prolifica” e contro il lavoro extradomestico che “distoglie e disgusta dai doveri familiari”, il regime passa dalle parole ai fatti e il 20 gennaio ’27 decide di ridurre i salari femminili della metà, rispetto a quelli maschili. Un’offensiva contro l’emancipazione che, oltre a far scendere la percentuale di donne occupate dal 32 al 24%, aprirà ad altri atti discriminanti come l’esclusione delle insegnanti dalle cattedre di Lettere negli istituti tecnici e nei licei, il raddoppio delle tasse scolastiche per le studentesse, il divieto di accesso alla carriera di preside. Né andrà meglio nel pubblico impiego dove, per decreto, gli unici ruoli consentiti saranno quelli di dattilografa, stenografa, telefonista e archivista. Contro la parità culturale uomo-donna, seguirà poi una serie di deliranti proclami sull’inopportunità dell’istruzione media e superiore femminile. Nella misogina ottica fascista, la mission della donna è una sola “…far figli, molti figli, per dar soldati alla patria”. Giovanna Gabrielli

ficile capirle, queste cose. Per esempio, non capiscono come un politico sia in grado di darti un lavoro. O di non dartelo. Non capiscono perché devi fare tre anni di pratica legale e passare due esami prima di poter essere avvocato. Allora, a cosa è servita la laurea di cinque anni, chiedono? Già, a cosa è servita? Non capiscono come una ragazza madre possa sopravvivere con 300 euro al mese. In effetti, qui hanno il problema opposto. Paradossalmente, le adolescenti sarebbero incoraggiate ad avere figli per via di una politica della famiglia estremamente presente (sì, nella patria di Margaret Thatcher). Ma come, mi chiedono, le banche non prevedono mutui agevolati e personalizzati per i giovani? No, perché non hanno un lavoro, o se ce l’hanno non è stabile. Vabbè, mi dicono, anche qui il lavoro non è stabile! Prendi un fondo d’investimento, per esempio. Possono buttarti fuori dall’oggi al domani, senza preavviso e nessuna garanzia! Sì, però se ti buttano fuori, entro 6 mesi hai il 90 per cento di possibilità di trovare un altro lavoro. E allora, mi chiedono, niente lavoro, niente casa propria, niente convivenza, niente figli? Ma che razza di giovani siete, voi italiani? Dei bamboccioni viventi. Michele Gioioso

L’insopportabile riabilitazione di Craxi Ho letto le dichiarazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano su Craxi. Sono rimasto sbigottito. Nessuno contesta il diritto di Napolitano di nutrire simpatia e solidarietà umana verso chicchessia, ci mancherebbe. Tuttavia, ascrivere anni e anni di saccheggio delle casse della Repubblica alla “carenza di risposte sul tema del finanziamento della politica” mi pare un’enormità. Finanziamento della politica? La storia corruttiva di Bettino Craxi è stata perfettamente ricordata da voi su queste colonne. Il finanziamento della politica non c’entra niente. Semmai, c’entra il finanziamento dei politici: ma questa è tutt’altra cosa. Alberto Antonetti

Presidente Napolitano, sono senza parole Napolitano ha riabilitato Craxi. Inopportuno è il minimo che posso dire. Il resto è autocensura. Non c’è più nessuna figura neutra, né di opposizione. Tanto meno il Partito democratico. Ho sempre votato il Pd anche nelle sue diverse declinazioni, ma adesso basta, ho capito che la casta che dirige il

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aro Furio, giuro, l’ho visto io a SkyTg24, il 16 gennaio. Se me lo avesse raccontato un altro non ci avrei creduto. Dunque, arriva Enrico Letta e dice, calmo, questa frase: “E’ venuto il momento di andare oltre il centrosinistra”. Io domando: ma cosa c’è laggiù, dopo? E’ come dire che dobbiamo passare a un’altra vita? Corrado

L’abbonato del giorno CATERINA E RICCARDO Ci scrivono i lettori più invidiati del giorno: “Siamo abbonati alla versione pdf dalla prima ora (luglio), e vi abbiamo portato con noi alle Maldive. La tentazione di mandare al diavolo tutto e fermarci in paradiso a fare qualunque lavoro è stata forte, ma siamo tornati rigenerati e pronti a continuare a sostenere FQ e tutti quelli che con voi si battono per la legalità e lo Stato di diritto”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

partito si fa forte della presenza di Silvio Berlusconi. Altrimenti chi li voterebbe mai? Già ora, nonostante siano l’unica alternativa plausibile di governo, la gente fugge dalle urne. Sono loro che cantano “meno male che Silvio c’è”. Se devo votare Pd per tenere in piedi B. allora voto B., almeno sono coerente. Paolo Giudici

I reati che contano A proposito di Craxi, che direste se il sottoscrito, dopo aver lavorato in banca per 35 anni, fosse stato per 34 anni un dipendente fedele e se soltanto nell’ultimo anno avesse commesso reati a danno dei clienti e dell’istituto di credito e pretendesse di essere giudicato favorevolmente? Riabiltare Craxi significa sdoganare mazzette e corruzione. Alberto Tettamanzi

EFFETTIVAME NTE la frase incuriosirebbe molto anche in una normale conversazione. Uno dice “adesso è venuto il momento di andare oltre il centrosinistra”, e tutti si voltano. Perché la frase è audace, e la curiosità è grande. Cosa c’è di là? E perché conviene andarci (s’intende, se sei già nel centrosinistra)? Nel nostro caso però chi parla è Enrico Letta, vicesegretario del solo partito del centrosinistra che esista in Italia. Sarebbe come se Marchionne si presentasse ai microfoni di una tv nazionale e dicesse “ E’ venuto il momento di andare oltre la Fiat”. Se sei un disinteressato esperto di trasporti o un concorrente la frase si spiega. Se sei

Non nel mio nome Ieri, sul Lungotevere, ho visto dei manifesti in cui, a lettere cubitali, si definiva Craxi “un grande italiano”. Oltre al contenuto, quel che m’ha indignato era la firma: “Il popolo di Roma”. Ora: io sono romana, appartengo al popolo e sicuramente non mi riconosco in un giudizio come quello verso il leader socialista, colpevole di corruzione e finanziamento illecito (condanna con sentenza definitiva, in nome del popolo italiano). Chi si è arrogato allora il diritto di parlare per me? Vorrei sperare per il futuro che gruppi come questo usino le parole e quindi scelgano i nomi che li rappresentano con meno presunzione e, appunto, arroganza. Alessandra Morneri

Disinformazione sul movimento No Tav Vorrei attirare la vostra attenzione su alcune vicende vicine a me, alla popolazione della valle di Susa e al movimento No Tav. Grazie, ahimè, a quanto accaduto nell’inverno del 2005, proprio perché l’ho vissuto in prima persona (un esempio: per poter accedere alle strade del mio comune e quindi a casa mia, dovevo superare un posto di blocco esibendo un documento d’identità, solo i residenti potevano passare) ho avuto modo di conoscere i potenziali dell’informazione del potere. La realtà veniva distorta continuamente. In questi giorni il “potere” è tornato all’attacco facendo uso dell’Osservatorio come arma politica, anziché tecnica: l’Osservatorio, invece di essere visto come punto di incontro tra chi vuole la Tav e chi no, per trovare di comune accordo punti fermi, viene utilizzato per far credere all’Italia e all’Unione europea che ormai la popolazione della Valle di Susa ha capito e accettato la Tav. Non è assolutamente così, ma il resto dell’Italia e l’Ue non lo sanno! La Stampa di Torino

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A DOMANDA RISPONDO SE C’È VITA OLTRE IL CENTROSINISTRA

C

Bamboccioni fuori casa per legge a 18 anni. Vivo da quattro anni a Londra, e vedo con i miei occhi come le cose vanno qui. E’ vero, ridono di noi italiani, e non solo quando B. ne spara o ne fa una delle sue. Per esempio, ridono quando racconto che mia sorella di 32 anni è ancora a casa da mamma e papà. Poi, mano a mano che spiego come funziona il sistema in Italia, il sorrisetto beffardo lascia spazio ad un ghigno incredulo. Da noi non c’è lavoro. A meno che non hai la fortuna di essere “figlio di”, che in una cittadina di provincia dell’Italia del sud come Potenza, più che una fortuna è un’assicurazione sulla vita. O a meno che il tuo papà non faccia parte del codazzo del mini potente di turno. Qui è un po’ dif-

IL FATTO di ieri20 Gennaio 1927

Furio Colombo

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l’amministratore delegato della Fiat, rasenta il paranormale. Ma immaginiamo che la frase di Enrico Letta sia la nuova parola d’ordine, come “go west young man”, la celebre esortazione a conquistare l’ovest selvaggio. Là c’era l’ovest, pieno di pericoli e di ricchezza sterminati. Qui una mattina, guidati da Letta, ci mettiamo in marcia oltre il centrosinistra. Non sarà che ci incamminiamo nel vuoto, come quei personaggi dei cartoni animati che si accorgono un istante troppo tardi di non avere più terreno sotto i piedi? Perché delle due l’una. O di là dal centrosinistra c’è un altro centrosinistra, e allora si tratta di far meglio e possiamo farlo qui, subito. O c’è la sinistra ma non c’è il centro. Per me va bene ma per Letta? Oppure non c’è più la sinistra, c’è solo il centro. Ma allora non si faceva prima (parlando con più chiarezza) a dire: “Andiamo tutti con Casini”? In questo caso l’unica osservazione che si può fare alla strategia di Letta è una precisazione: forse lui. Forse altri. Tutti no. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

e il Tg3 regionale questa settimana hanno dato voce a chiunque fosse pro Tav, ridicolizzando i No Tav, omettendo di far notare che si è nuovamente militarizzata la valle. Chiediamo che almeno questa volta si sappia la verità. Mauro Bunino

Cancellata Piazza 25 aprile A Pecorara, comune della provincia di Piacenza, luogo simbolo della Resistenza al nazifascismo, il sindaco Franco Albertini ha cancellato Piazza 25 aprile. Un affronto a quanti hanno sacrificato la loro vita per la libertà, alla Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza, all’Italia tutta, che su queste radici ha costruito la democrazia. Un affronto che non ha assunto il dovuto rilievo nazionale, fatto che denunciamo con forza: è in corso un attacco senza precedenti ai valori e ai principi che fondano la nostra convivenza civile, la nostra Repubblica. Chiudere gli occhi è irresponsabile. L’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, nel richiamare tutti i democratici ad associarsi alla sua denuncia e a mobilitarsi con opportune iniziative, chiede l’immediata revoca di questo vergognoso provvedimento. Osvaldo Bossi, Anpi - Comitato Nazionale

Feltri continua a screditare Di Pietro Mi chiedevo quando e come il buon vecchio Feltri in prossimità delle elezioni regionali avrebbe tentato di screditare l’on. Antonio Di Pietro ed eccolo puntuale, come da copione, vomitargli addosso tutto il suo marciume. Dubito che questo ennesimo attacco sarà sufficiente a demolire la sua determinazione a ripulire questo paese dall’illegalità in cui è sprofondato. Vada avanti a testa alta, è evidente che lei è l’unico al quale interessi ancora qualcosa dell’Italia e degli Italiani. Confido nella sua tenacia e buonafede. Patrizia De Tomas

I nostri errori Per uno spiacevole errore, la foto dell’articolo di Roberto Faenza su Avatar di ieri, martedì 19 gennaio, non apparteneva al film di James Cameron come scritto nella didascalia a corredo, ma all’omonimo videogioco. Ce ne scusiamo con la Fox – società distributrice del film – e con i nostri lettori.

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