Il Fatto Quotidiano (5 Nov 2009)

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Il ministro della Difesa che insulta la Corte di Strasburgo mostra quale baratro di civiltà ci sia tra l’Italia e l’Europa y(7HC0D7*KSTKKQ(

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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Giovedì 5 novembre 2009 – Anno 1 – n° 38 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

IL PIANO DEL GOVERNO PER DISTRUGGERE RAITRE D Tanta tv regionale e al resto le briciole

MA IO DIFENDO QUELLA CROCE

di Marco Travaglio

ESCORT CHI? di Antonio Padellaro

dc

ccade di chiedere all’edicolante il Fatto e di essere apostrofati da un signore con queste parole: adesso la pianterete di attaccare Silvio solo perché a lui piacciono le donne... Frase dozzinale ma che coglie in pieno il punto politico del caso Marrazzo. Nel giudizio comune (anche tra chi non vota a destra) l'impatto choc delle frequentazioni del governatore pd del Lazio, le trans, la coca, i ricatti hanno fatto evaporare e quasi svanire la vicenda di Berlusconi e delle escort di palazzo Grazioli. Davanti a Natalie chi si ricorda più di Patrizia? E l'occhio del telefonino acceso sul lettone di Putin non sembra quasi un’innocente evasione davanti al degrado violento che tracima dai sottoscala di via Gradoli? Del resto, chi si ricorda più della giovane Noemi e delle famose dieci domande? In realtà, in quell'avanspettacolo di terz'ordine che è diventata la politica italiana stiamo parlando di due generi diversi. Di qua l'horror. Di là il cochon. Ma non è affatto detto che se il protagonista ridicolo dell'ammucchiata (nel senso del mucchio di signorine) fa anche il presidente del Consiglio, egli non ne debba trarre le dovute conseguenze come ha fatto Marrazzo dimettendosi. Poiché, riteniamo, la reputazione delle persone non è misurabile con un più o con un meno a seconda della specie sessuale che si frequenta, e che si paga. Insomma, la faccia, se uno la perde la perde. Vero è che per perderla bisogna averla. Certo che questo discorso non convincerebbe affatto i tanti signori dell'edicola convinti che contro il loro amato cavaliere sia in atto una persecuzione faziosa da parte della solita sinistra. Peggio per loro, verrebbe da dire. Il problema sono gli altri, la maggioranza degli italiani che, contrariamente ai conti truccati dell'informazione unica, non hanno votato per Berlusconi. E' nel profondo di questa opinione pubblica diffusa e articolata che il veleno del caso Marrazzo si sta rapidamente depositando. Convincendo i più, ogni giorno di più e ogni verbale di più e ogni festino di più e ogni bugia di più che in fondo in questo paese non si salva proprio nessuno. Nel migliore dei casi queste due frenetiche settimane trascorse a parlare di viados e di sniffate hanno livellato la questione morale. Nel senso che non si nota più. Non a caso il premier, come resuscitato dalle disgrazie altrui, riappare sulla scena più ringalluzzito che mai. Deciso, dicono, a sferrare l'attacco finale contro l'odiata magistratura e a regolare i conti con gli alleati infidi grazie al manganello dei suoi giornali e delle sue tv. Come resistere a uno a cui piacciono le donne?

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Imbavagliare Raitre utilizzando le linee guida Agcom sul contratto di servizio per fare il blitz. Come? Con un boom di programmi locali che sommergano Fazio & c. E spunta il lodo anti-Santoro. Nicoli pag. 3 z

Udi Barbacetto e Sisti

Udi P. Flores d’Arcais

CASO ABU OMAR BOBBIO VINCE SEGRETO LA LEZIONE DI STATO SUL DIALOGO rociato con la spada sguainacento anni dalla nasciCTrenta ta nel brutto affresco anni A ta, Paolo Flores d’Ardi Pio Semeghini alle cais e Marco Revelli ricorspalle del giudice ha assistito impassibile alla lettura della sentenza per il sequestro di Abu Omar. Condannati a cinque anni 21 agenti della Cia. pag. 6 z

dano la figura e il pensiero di Norberto Bobbio. Tra testamenti attualissimi, maturazioni e ambivalenze. pag. 18 z

IN TV x “Devono morire”, il ministro contro la Corte europea

CROCIFISSO, LA RUSSA DELIRA

De Carolis, Carlassare e Gagliarducci pag. 5 z

Vincenzo La Russa

SONDAGGIO BANKITALIA x L’industria gela l’entusiasmo di B.

Crisi, un’azienda su tre licenzia di Stefano Feltri

studio della Banca d’Italia dimostra che il Udo lanoproblema più grosso per l’Italia è che quanripresa arriverà, il sistema produttivo potrebbe trovarsi così sfiatato da non riuscire ad approfittarne. Nel 2009 chiuderanno l’anno in perdita tre imprese su dieci. E ancora di più hanno tagliato posti o stanno per farlo. 9 pag. z

CATTIVERIE

Piero Marrazzo: “Costretto a rimanere in mutande”. Il Pd invece fa tutto da solo.

ipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io. Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo. Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”. Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare). Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”). Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci - a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo. Eppure basta prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli. A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia - si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea, nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole. Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.


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Giovedì 5 novembre 2009

Volanti e stipendi, quel buco sulle risorse per le forze dell’ordine

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LA VOCE DEL PADRONE

una settimana dalla manifestazione, che ha visto scendere in piazza a Roma 40 mila tra poliziotti, finanzieri, polizia penitenziaria e forestali su iniziativa di quasi tutte le sigle sindacali, ieri è stata presentata una nuova formazione: il nuovo sindacato unitario della Polizia di Stato. L’organizzazione ha fatto la sua prima uscita durante un’iniziativa a cui hanno partecipato

il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il presidente dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, e il capo della Polizia, il prefetto Antonio Manganelli. È stata l’occasione per l’uscita di Maroni “se non ci saranno più fondi sono pronto a votare con l’opposizione”. Ma anche quella per ricordare come lo stesso ministro ha scritto al premier

chiedendo che sul bilancio del Viminale per il 2010 sia previsto uno stanziamento aggiuntivo di un miliardo e 100 milioni. La situazione sicurezza infatti è drammatica: con il taglio di 1 miliardo della manovra dell’anno scorso nel giro di 4 anni le forze dell’ordine saranno ridotte di 6 mila poliziotti e di 40 mila unità, con un effetto "smobilitazione".

POLTRONE POCHE, BOCCHE TANTE SALTA IL SUMMIT PDL SULLE REGIONALI Niente incontro tra premier, Bossi e Fini: troppe caselle aperte Berlusconi tenta l’Udc. La Lega mette paletti di Stefano Ferrante

eglio rinviare che litigare, soprattutto meglio sedersi al tavolo con le migliori carte possibili, e con qualche variabile risolta. Così Berlusconi chiama Fini e Bossi e disdice l’appuntamento serale, il vertice a tre sulle regionali. Motivazione ufficiale: gli impegni del premier all’Aquila che gli avrebbero impedito di essere puntuale. Ma prima di quelle ai due alleati, Berlusconi, aveva fatto un’altra telefonata a Pieferdinando Casini, per confermare invece il faccia a faccia in calendario per venerdì. Perché il premier spera di convincere il leader dell’Udc

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a correre insieme al centrodestra in alcune regioni, ma anche perché Berlusconi vuole dare un messaggio chiaro agli alleati: se loro giocano a tutto campo, magari paventando strappi sulla giustizia, per cercare di ottenere il miglior accordo possibile sulle regionali, anche lui è pronto a sparigliare. L’Udc ha posto una pregiudiziale: non è disponibile ad alleanze dove il candidato del centrodestra alla presidenza della regione sarà un leghista. Cosa che ovviamente non fa piacere al Carroccio che vede l’apertura di un tavolo con i centristi come una nuova minaccia alle candidature di Cota in Piemonte e Zaia in Veneto. La reazione non si fa at-

“Fabbriche d’odio” E spintoni alla stampa n’altra giornata da assalto frontale quella di ieri del premier. Primo atto, nuovo capitolo del libro vivente di Vespa: “Ciò che conta è che il titolare del potere esecutivo venga scelto direttamente dal popolo. E con lui la forma di governo”. Secondo atto nel pomeriggio in Abruzzo con vista post terremoto: “Fin quando saranno in funzione le fabbriche del fango e dell'odio - ha detto intervenendo a La vita in diretta - non sarà possibile dialogo e io non sono così ottimista nel pensare che queste fabbriche saranno chiuse”. E poi: “Gli attacchi della stampa estera non mi indeboliscono”. E comunque per garantirsi anche solo dalla possibilità di qualche domanda il premier ieri ha preso le sue precauzioni: alcuni cronisti ieri sono stati allontanati proprio mentre cercavano di avvicinare il premier. Immediata la protesta dell’Associazione stampa parlamentare: “Quello dello staff del presidente del Consiglio tenuto in Abruzzo è un comportamento inaccettabile. Alcuni colleghi al seguito del premier sono stati spintonati e allontanati con la forza mentre cercavano di svolgere il loro lavoro. Ribadiamo che i giornalisti hanno il diritto-dovere di informare, in condizioni di autonomia e serenità”.

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tendere. Anche la Lega gioca all’attacco e in due tempi. Prima parla Roberto Maroni: “Sui soldi per la sicurezza non ci sono vincoli di maggioranza. Se il governo chiede tagli, e l’opposizione fa proposte per dare più soldi alle forze dell’ordine noi le sosterremo”, minaccia il ministro dell’Interno. Poi arriva Umberto Bossi: “Maroni l’ho allevato io da quando era ragazzino e farà quello che dice la Lega”. Un uno-due che più che un botta e risposto tutto leghista, sembra piuttosto un messaggio per il premier: anche gli alleati fedeli nel loro piccolo si arrabbiano. I leghisti non hanno intenzione di cedere sulle due caselle che considerano ineluttabilmente proprie: ma in Veneto Galan è candidato ingombrante che lo stesso Berlusconi vorrebbe confermare, sondaggi alla mano, e in Piemonte i voti dell’Udc sono importantissimi per cercare di scalzare Mercedes Bresso, la governatrice del Pd che ha già lanciato la sua personale campagna per la riconferma. E allora potrebbe tornare in gioco la casella della Lombardia, che i leghisti certo non disprezzerebbero. Formigoni però, forte del sostegno della Compagnia delle opere, non è candidato da farsi mettere da parte: l’unica proposta che potrebbe tentarlo è quella di fare il sindaco di Milano al posto della Moratti, ma le amministrative sono molto lontane… Non sono solo al nord, le grane. Al sud c’è la questione Campania, o meglio la questione Nicola Casentino, il sottosegretario all’Economia, elettoralmente forte, ma che imba-

razza gli ex di An, e una parte di quelli di Forza Italia. Berlusconi potrebbe giocare la carta Bertolaso, proposto come l’uomo dell’emergenza rifiuti, il governatore del fare. Tele che si tessono e si disfano. A Palazzo Grazioli Berlusconi ha voluto incontrare i coordinatori del Pdl, per avere il polso della situazione, regione per regione, e per capire anche che aria tira sul fronte riforme e soprattutto su quello giustizia. Fini e Berlusconi ieri all’Altare della Patria La questione che più gli sta a cuore il premier l’ha affidata a Nic- ti e processi, Casini e Bersani colò Ghedini. Teme i finiani, parlavano delle alleanze di ogche non rinunciano a rappre- gi e di domani. Loro, i centrisentare il malessere dei magi- sti, assicurano di voler andare strati di ogni orientamento. da soli alle regionali, che gli Per questo il mandato all’ono- accordi - a destra o a sinistra, revole-avvocato è di non sco- in assetto variabile - saranno prire ancora le carte e allar- l’eccezione”. Buttiglione progare il consenso sulla riforma. mette: “L’Udc è una brava raOggi Ghedini ha messo at- gazza, non dirà di sì a tutti”. torno allo stesso tavolo i responsabili della giustizia di Pdl, Lega e Udc. “Per ora non si è parlato di cose che hanno a vedere con i guai giudiziari di Berlusconi, quelle sono questioni che non ci interessano”, dicono i centristi. Sono loro che per il momento giocano davvero a tutto campo, divertendosi. L’immagine plastica era al gruppo parlamentare dell’Udc della Camera. Nella stanza accanto a quella in cui si discuteva di magistra-

Anche il partito di Casini pone veti: niente alleanze con candidati del Carroccio

I GIORNALISTI STRANIERI

“LO SCANDALO MARRAZZO? PERFETTO PER IL DISEGNO DEL CAIMANO” di Alessandro

Ferrucci

molto bene l’Italia. Ci Cnoonoscono vivono da anni, lavorano, qualcuha anche intrecciato la propria vita privata. Guardano alla politica e la raccontano ai loro paesi d’origine. Ultimamente con qualche difficoltà a farsi capire: quello che “accade in Italia, spesso, da noi, non ha alcuna corrispondenza” spiega Marcelle Padovani, giornalista de Le Nouvel Observateur, settimanale

francese. A lei, ad Alexander Stille (New Yorker e New York Times) e a Dennis Redmont (per 25 anni direttore dell’Associated Press), abbiamo chiesto un giudizio sullo stato della politica italiana. Ma soprattutto, su come la questione Marrazzo ha influito sull’affaire escort legato a Berlusconi. “Le vicende di questi giorni le trovo aberranti - interviene la Padovani -: una volta c’erano i partiti a selezionare la classe dirigente. C’era un filtro, una responsabilità. Ora non più: si scelgono presunti professionisti da vari campi e si lanciano in politica. Questo è il risultato, gente come Berlusconi o Marrazzo; gente che sta portando nel fango il paese”. E comunque “trovo la questione trans funzionale, molto, alle varie questioni legate al presidente del Consiglio – afferma Stille

“Una volta c’erano i partiti a selezionare la classe dirigente Adesso manca ogni tipo di filtro”

invece -. Pensate un po’, con uno scandalo, il premier c'ha guadagnato due volte: ha allontanato dalle prime pagine il dibattito sul nuovo segretario del Pd. Inoltre ha riproposto la sua immagine di uomo virile. Insomma, il messaggio che è filtrato nelle case italiane è stato: almeno andava a donne e non a trans”. Eppoi i media legati al premier e il loro coinvolgimento nel dibattito: dagli “omissis” su Noemi, all’attacco al giudice Mesiano fino al filmato su Marrazzo: “Colleghi? Perché definirli così? Sono solo dei killer”, li definisce la corrispondente francese. “Sono persone - continua - che hanno lasciato la professione per far parte di un partito guerriero. Il fine è un altro, non l’informazione vera. Mi pare chiaro”. “I media legati al premier – rincara Stille - offrono due chiavi di lettura: da una parte c’è l’elemento reale sul comportamento di Marrazzo; dall'altra appare evi-

dente un coinvolgimento diretto con il potere di testate come Chi o Libero, attraverso forme spregiudicate di pressione mediatica”. Più cauto Redmont: la sua esperienza professionale (nella Ap) e la scelta di vita attuale (relazioni internazionali tra Italia e Usa) gli offrono un profilo istituzionale. Per lui la questione è un'altra: “Sia con Berlusconi sia con Marrazzo, mi piacerebbe capire una cosa: se le loro attività private hanno mai influito sugli impegni pubblici. Lo chiedo come uomo che paga le tasse e vorrebbe vedere ottimizzati i propri sforzi”. Per il resto ha una certezza: “Qui in Italia si vota secondo tre parametri: il portafogli, le credenze religiose o meno, e i gusti personali”. La passione politica conta poco o niente. Fa parte del passato. Ora, come dice Stille, all’elettore italiano non importa la questione morale: i media sono riusciti ad alterarne la percezione.

Silvio in fuga anche da Mills Alfano: prescrizioni? Ora no di Antonella Mascali

fattore B. Il prossimo 27 Iperolnovembre ci sarà lo sciodegli avvocati penalisti contro le condizioni “inumane “ dei detenuti. La data è una vera fortuna per Berlusconi: per quel giorno è stata fissata la data del processo di primo grado per la corruzione di Mills e l’udienza potrà saltare per serrata. Comunque i suoi legali, Ghedini e Longo, hanno fatto sapere con largo anticipo che c’è legittimo impedimento non solo per il processo Mediaset, il 16 novembre, ma anche per il 27, quando i giudici Nicoletta Gandus, Pietro Caccialanza e Loretta Dorigo, dovrebbero “spogliarsi” del processo per corruzione in atti giudiziari, perché hanno giudicato Mills, condannato anche in appello. Chi dovrà giudicare Berlusconi? Il collegio non è stato ancora designato. I giudici sono muti, forse pensano che anche una sillaba possa essere strumentalizzata da Berlusconi, che potrebbe usare una delle sue leggi - la Cirami - per chiedere il trasferimento del processo a Brescia per legittimo sospetto. Ha già tentato in passato, ma gli è andata male. Tra i giudici della decima c’è chi farebbe volentieri a meno di prendersi questa “ rogna”. Per non sentirsi dire di “essere supinamente sdraiati sulla tesi dell’accusa”, per non dover decidere a ogni udienza se ci sia davvero legittimo impedimento per Berlusconi, o anche per i suoi avvocati-parlamentari Ghedini e Longo. A leggi ferme, il processo per la corruzione di Mills sarà prescritto a marzo 2011, non in tempo per una sentenza definitiva, ma in tempo per un verdetto di primo grado, molto temuto da Berlusconi, perché ad alto rischio di condanna. È stato lo stesso Mills a ricordarlo: il mio destino e quello di Berlusconi sono uniti, “ o tutti e due innocenti, o tutti e due colpevoli”. Ecco perché la strategia è quella di riempire l’agenda di impegni istituzionali, prendere tempo con il legittimo impedimento, in attesa di un’altra legge ad personam, anche se Alfano ha dichiarato: «Il governo non sta studiando alcuna norma relativa alla prescrizione». L’esecutivo no, perché dopo la sonora bocciatura del lodo, il Guardasigilli non vuole firmare un’altra legge-espediente, ma in Senato, i falchi berlusconiani sono al lavoro per trovare una norma che garantisca ancora una volta l’impunità al capo.


Giovedì 5 novembre 2009

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Le linee guida Agcom, il contratto di servizio e la “fase due”

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LA VOCE DEL PADRONE

ra poco più di una settimana anche il ministro dello Sviluppo Economico avrà sul tavolo le linee guida del nuovo contratto di servizio che sono state licenziate dall’Agcom due giorni fa e che così ha di fatto dato il via alla fase finale della discussione del contratto di servizio con la Rai che entrerà in vigore a gennaio. Nelle linee guida, come di consueto, sono contenuti

tutti gli articoli di legge sulle comunicazioni (quello che attualmente si chiama Testo unico delle Comunicazioni) che rappresenteranno il perimetro entro cui si dovranno essere inseriti i nuovi accordi. Nelle linee guida vengono ribaditi gli obblighi della Rai per conservare lo status di servizio pubblico; dalle questioni tecniche (irradiazione del segnale su tutte le piattaforme esistenti, posizionamento dei

ripetitori fino all’espansione del digitale terrestre, etc.) fino a quelle amministrative dove è inserita la revisione annuale del canone. Che però, non è stato adeguato negli ultimi cinque anni, tant’è che la Rai ha fatto sapere ufficiosamente a Romani e Scajola che qualora le cose rimanessero così (ci vorrebbe un aumento di 15 euro per le necessità correnti) potrebbe anche non firmare.

AGGUATO A RAITRE

Il piano di B. per zittirla: boom di programmi regionali Floris, Dandini e Fazio finiranno in un angolo di Sara Nicoli

asta avere le idee chiare. E Berlusconi sulla Rai le ha chiarissime. L'ultimo intervento a gamba tesa in diretta a Ballarò ne è stata l'ennesima dimostrazione, con un attacco diretto al conduttore e alla rete "piena di comunisti". Ma dietro le battute e le aggressioni, c'è un disegno politico preciso che, specie negli ultimi tempi, è diventato una sorta di ossessione per il Cavaliere: mettere Raitre nelle condizioni di non nuocere. Giovedì prossimo, intanto, è previsto un cambio al vertice della rete, Antonio Di Bella dovrebbe prendere il posto di Paolo Ruffini, ma la poltrona di direttore, nel quadro della normalizzazione che vorrebbe Berlusconi c'entra fino ad un certo punto. L'idea di "come" raggiungere l'obiettivo agognato da Berlusconi sarebbe maturata nella mente di Paolo Romani, vice ministro dello Sviluppo Economico da sempre longa manus berlusconiana sulla comunicazione. Romani, in un colloquio con il premier di qualche mese fa, avrebbe cercato di calmare l'animosità di Berlusconi nei confronti dei programmi "avversari" (non solo Floris, ma anche la Dandini e Fazio) spie-

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Il grimaldello del nuovo contratto di servizio Giovedì il cambio di Ruffini IL “GIORNALE”

gando che l'unico modo per tacitare definitivamente quelle voci era di utilizzare l'unica arma che il governo ha per tenere sotto pressione il servizio pubblico: agire cambiando alcune norme del contratto di servizio e puntando su quei programmi che sono finanziati solo dal canone. Lì per lì Berlusconi avrebbe scosso la testa, ma poi la cosa è stata spiegata con l'introduzione di una formula magica. La regionalizzazione di Raitre. Il piano è noto da tempo in Rai, ma la gestione Ruffini ha fatto sì che quest'ipotesi di "rete federale" non abbia mai avuto modo di mettere radici. Solo di recente, nell'ultima parte della gestione-Cappon, la Rai ha dato il via a Buongiorno Regione, il tg regionale in onda all'alba che insiste sulla terza rete, senza tuttavia snaturarne l'identità. Quello che ha in mente questo governo invece è ben altro. Si tratta di prendere il palinsesto di Raitre e "occupare" la maggior parte degli

di Giusto Lipsio

Corte e Asini

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l direttore de “Il Giornale” si è cimentato ieri in un commento sulla sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo a proposito del Crocifisso nelle scuole. Lancia in resta, il Feltri ha scritto che i “giudici Ue bevono troppo”, che il loro tasso alcolico è molto elevato, per cui bisogna chiamare gli infermieri e chiudere il “manicomio di Strasburgo” visto che i medesimi giudici “anziché occuparsi sul serio di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia, combattono il Crocifisso”. Qui non entriamo nel merito del dibattito sul crocifisso nelle scuole. Si vuole solo segnalare che se uno è direttore di un giornale e ha anche una certa età, dovrebbe sapere che la Corte dei Diritti umani non c’entra nulla con l’Unione europea. La Corte è emanazione del Consiglio d’Europa di cui fanno parte 47 paesi e la Santa Sede ne è osservatore. I giudici di Strasburgo non possono fare alcuna lotta alla droga né all’immigrazione clandestina. Forse, questo sì, possono occuparsi di asini con le orecchie lunghe.

spazi sensibili (perché di grande appeal di pubblico e, conseguentemente, di pubblicità) con programmi di forte connotazione regionalistica o di servizio per il cittadino utente. Questa trasformazione non avverrebbe, secondo le indicazioni del governo, in modo repentino ma assai graduale, con l'obiettivo ultimo di far restare della Raitre che conosciamo oggi solo due, al massimo tre prime serate blindatissime e connotate da programmi più vicini a Mi manda Raitre che a Ballarò o, peggio, a Fazio. A parere di Romani, ma anche del ministro Claudio Scajola, titolare dello Sviluppo Economico da cui dipende la stesura finale del contratto con la Rai, questa trasformazione di Raitre dovrebbe essere uno dei capisaldi del nuovo contratto di servizio (che entrerà in vigore a gennaio e del quale, per adesso, sono state approvate dall'Agcom solo le linee guida), ma è inutile dire che la sola idea ha

trovato forti resistenze in azienda. Non solo sul piano politico, ma anche su quello delle risorse economiche. La regionalizzazione di una rete Rai, nello specifico di Raitre, comporterebbe un'espansione dei programmi che sono finanziati solo attraverso il canone (che, com'è noto, è pagato da un terzo degli italiani), e una netta contrazione di quelli finanziati solo dalla pubblicità, con un ovvio abbattimento degli introiti da spot che per altro sono stati soggetti, con la crisi, ad una forte contrazione (l'azienda potrebbe infatti avere, entro il 2012, un buco di 600 milioni di euro). Basti pensare che quest'anno l'azienda ha dovuto coprire con 300 milioni di euro derivanti da spot introiti non pervenuti a copertura di costi per programmi solo finanziati da canone (In mezz'ora di Lucia Annunziata, tanto per fare un esempio, è un programma finanziato dal canone che costa 26 mila euro a puntata tutto compreso). Insomma, i desideri del Cavaliere si scontrerebbero con la stessa sopravvivenza della Rai, ma anche su questo il premier avrebbe in serbo un "predellino" mediatico. Infatti, nonostante una parte della maggioranza, con in testa Fini e Tremonti, stiano spingendo per dare il via ad una leggina che consentirebbe alla Rai di avere risorse certe grazie alla parcellizzazione del canone all'interno della bolletta della luce (pagare meno, ma pagare tutti), il rischio è che invece la tv pubblica sprofondi nel baratro economico, lasciando magari a B. - sulla falsa riga di quanto avvenne nel '94 con il decreto Salva Rai - la possibilità di un intervento “salvifico”, sul modello - Alitalia. E chi poi avrebbe più il coraggio di parlare del suo, personalissimo, conflitto d'interessi?

Le altre mosse

I “GARANTI DEL POPOLO” E IL LODO ANTI-TRAVAGLIO bello di fatto comincia Isoltiladesso. Perché una volta rii problemi tecnici, delle leggi e leggine che schiacciano la Rai dentro mille obblighi, si andrà a parlare della parte politica del contratto di servizio. Il governo punta ad una pressione sull'azienda sotto il profilo editoriale molto pesante. Perchè nel mirino non c'è solo Raitre. Ci sono anche Santoro e Travaglio. Ma forse non Belpietro e Paragone. E figurarsi Vespa. Si tratta di mettere i nemici nelle condizioni di non nuocere, ma senza fare provvedimenti ad personam anche se ormai i tecnici che stanno lavorando agli articoli che comporranno l'affresco delle norme editoriali parlano gergalmente di "norme anti-Travaglio" e di un "comitato editoriale di controllo". Le due cose, a quanto si apprende, sarebbero le due facce di una stessa medaglia. Si vorrebbe istituire un comitato di "garanti" (composto da un rappresentante del ministero, uno dell'Agicom e uno della direzione generale Rai) con il compito di segnalare alle autorità preposte (appunto l'Agicom e anche la Vigilanza) le violazioni in cui potrebbe incorrere l'azienda in caso di messa in onda di interventi "privi del necessario contraddittorio". Il governo cioè mirerebbe a introdurre in modo continuo quelle norme che vincolano la linea editoriale della Rai durante i periodi

elettorali, quando cioè scatta la par condicio. Solo che, per rendere la questione più solida, verrebbero istituiti dei "controllori-delatori" in modo da blindare non solo l'informazione ma anche l'intrattenimento. È evidente che fino ad oggi questo schema di intervento del governo (di cui si è avuto un assaggio sul caso D'Addario ad Annozero e conseguente "processo" di Scajola ai vertici Rai) ha trovato l'azienda decisamente contraria. E da viale Mazzini hanno anche fatto sapere che un simile controllo sulla linea editoriale verrebbe in contrasto anche con i contratti che prevedono la massima autonomia dei direttori di testata sotto la cui responsabilità ricadono anche alcuni programmi (Annozero, per esempio). Il governo, però, pare intenzionato a forzare la mano il più possibile. L'importante è zittire i s.n. nemici.

In arrivo un comitato di controllo che segnala casi in cui blindare il contraddittorio obbligatorio

“Così calpestano le regole, pluralismo a rischio” VAN STRATEN E RIZZO NERVO: IL GOVERNO NON PUÒ FORZARE. L’UDC: NON È FINITA di Carlo

Tecce

assalto a Raitre è orchestrato dalL’la burocrazia l'alto e dovrà insinuarsi tra i codici e dell'azienda. La genesi è all'Agcom che dovrà scambiarsi il contratto di servizio con il ministero dello Sviluppo Economico e poi conquistare la firma di Claudio Scajola: più poteri al governo, meno autonomia alla rete. Le linee guida sono state approvate all'Agcom, ora tocca al viceministro Paolo Romani: tagliare le risorse ai conduttori sgraditi e allentare la borsa per le finestre regionali. Pronti, via con la Rai Tre federale: “Sono passate all'unanimità, nessuna contraddizione interna. Adesso il governo dovrà intervenire sul testo, per obiettare o proporre”, precisa il consigliere Giorgio Van Straten. Alla Rai ci sono (ancora) delle leggi in vigore e, a cascata, degli impedimenti tecnici: non si possono moltiplicare i programmi di “servizio

pubblico” a scapito delle “attività commerciali”: “Non è possibile. L'Agcom non può - aggiunge Van Straten - amplificare le sue competenze e di riflesso quelle politiche, di chi detiene il comando. A Raitre già ci sono l'80% di trasmissioni non commerciali. E dunque penso al “resto”, al residuo spazio a disposizione dei vari Fabio Fazio e Serena Dandini. Fare a pezzettini la rete è un'idea deleteria oltreché bizzarra”. Il Cda di viale Mazzini presto sarà informato e dovrà pronunciarsi, forse già mercoledì, sul cambio al vertice tra Paolo Ruffini e l'ex direttore del Tg3, Antonio Di Bella: “Da luglio le voci si rincorrono e non arrivano a compimento - dice Nino Rizzo Nervo -, sarà il destino di Ruffini. Non è vero che Ruffini, per quanto ne dicano, si sia opposto al progetto di Raitre più locale e regionale. Vogliamo ricordare la doppia edizione di Bolzano e poi c'è il di-

gitale terrestre. Può accadere di tutto, anche che ci sia un'altra Raitre con aggettivi completamente diversi. Aspettiamo di conoscere le indicazioni dell'Agcom, certi che il pluralismo e la varietà siano imprescindibili per l'azienda”. Più le voci s'avvicinano a destra e più le possibilità si fanno concrete: “Ruffini? Ne parleremo. Non è una questione chiusa”, e saluta, Rodolfo De Laurentiis dell'Udc.

I consiglieri Pd in Cda: basta forzature De Laurentiis: sul nuovo direttore nulla di deciso


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Giovedì 5 novembre 2009

OPPOSIZIONI

IDV, MEZZOGIORNO DI GUAI

Al sud è alle prese con trasformismi, rischio scissioni e indagini legate allo scandalo di lady Mastella e l’Arpac litanti eletti o che ricoprono cariche amministrative, la metà si trova al Sud”, è l’analisi del giornalista Alberico Giostra ne “Il Tribuno” (editore Castelvecchi) una impietosa Di Pietro story. La vera sfida di chi vuole rinnovare il partito è qui. Lo sa bene Luigi de Magistris. L’europarlamentare ha proposto come candidato presidente per la Calabria l’industriale del tonno Pippo Callipo. Ed è scoppiato l’inferno. Il parlamentare Aurelio Misiti ha )scritto una lettera di fuoco a Di Pietro. “È una proposta improvvisata. Chi ha fatto questa scelta sa che Callipo ha bussato alla porta di Berlusconi per ottenere una candidatura?”. Misiti, ex sindaco comunista di Melicucco, poi assessore ai tempi della giunta Chiaravalloti (centrodestra), ex Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici con il primo governo Berlusconi e strenuo sostenitore del Ponte sullo Stretto, è in buona compagnia. A dire no alla candidatura proposta dall’ex pm di “Why not?”, c’è il senatore Luigi Li Gotti e buona parte dei fondatori calabresi dell’Idv. Con de Magistris l’europarlamentare Pino Arlacchi. “Basta con il loierismo”, è il suo riuscito slogan. Ma Agazio Loiero, il governatore Pd della regione, gli ha ricordato i tempi in cui “il loierismo gli piaceva tanto da affidare al sottoscritto la delicata trattativa per una sua candidatura nelle nostre liste”. Arlacchi, stimatissimo sociologo e studioso di criminalità, è stato consulente della giunta Loiero dal 2005 al 2008 con un compenso di 37mila euro lordi l’anno, piu’ 18.765 di rimborsi per missioni all’estero. Risul-

Antonio Di Pietro (FOTO ANSA di Enrico Fierro

a lasciare Italia dei L’Bari.ultimo Valori è Pino Pisicchio, da Va nella Dc bonsai di Rutelli e Casini. Per lui un ritorno a casa. Per Di Pietro una sconfitta. Per gli oppositori dentro l’Idv la conferma che nel Sud il partito è pieno zeppo di trasformisti. Il parlamentare barese è stato democristiano, poi popolare, diniano, infine è passato con l’Udeur di Mastella. Nel 2005 voleva fare il sindaco di Bari con il centrodestra, non ci riuscì e un anno dopo si scoprì dipietrista. Tonino lo ricompensò con un seggio alla Camera. Cose del Sud dove Italia dei valori è un band wagon dove saltano in tanti. Ex di tutto. Altro che facebook e le proteste dei militanti più legati all’area grillina e movimentista: il vero problema di Italia dei valori è a Sud del Garigliano. Perché Idv è un partito essenzialmente meridionale. Nel 4,4% portato a casa alle politiche del 2008, il 3,9 fu conquistato al nord, il 3,4 al centro, e il il 7,2 nei collegi di Campania, Calabria, Puglia e Basilicata. “Su più di mille mi-

tato della querelle: Di Pietro ha nominato un commissario, il deputato Ignazio Messina, alla guida del partito. Ma in Campania? Idv è nel marasma. Con Di Pietro che ha sempre tuonato contro il bassolinismo e la giunta Iervolino e i suoi che invece hanno sostenuto la maggioranza del viceré. E uno scivolone di de Magistris. In un convegno ad Avellino ha detto che bisogna guardare all’Udc di Casini, che in Campania si traduce Ciriaco De Mita. Nessuno aveva informato l’ex pm che il leader di Nusco sta giocando una sua personalissima partita con centrodestra e centrosinistra. Ciriaco da un lato ha giudicato “interessante” la candidatura di Luigi Cosentino per il Pdl, dimenticando che quattro pentiti di camorra lo indicano come referente dei clan casalesi, dall’altro aspetta le mosse del Pd per il candidato che dovrà prendere il posto di Bassolino. Politica politicante, con il partito di Di Pietro incapace di uno scatto di reni, una proposta forte in grado di scompaginare le carte. Sotto il Vesuvio Idv è una vera

e propria emergenza morale. Nell’ultima inchiesta che ha coinvolto Sandra Mastella per lo scandalo delle raccomandazioni all’Arpac, c’è un elenco fitto di segnalazioni arrivate da esponenti dipietristi. Giuseppe Maisto, ex udeur e consigliere regionale 7 segnalazioni, Stefano Buono ex Verdi, 2, idem Nello Di Nardo, coordinatore del partito. Il trionfo dei transfughi. Buono, attuale consigliere regionale dei Verdi, ha recentemente dichiarato che alle prossime regionali si candiderà con Di Pietro, “per il momento resto nel gruppo dei Verdi”. Ma è la situazione di Torre

Campania, Calabria e Puglia sono la vera forza del partito di Di Pietro: qui conquista oltre il 7%

del Greco a far saltare i nervi a quanti a Napoli e dintorni credono ancora nell’Idv. Nella quinta città della Campania è sindaco Ciro Borriello, un ex parlamentare di Forza Italia, passato all’Udeur e nel 2006 eletto deputato da Di Pietro. Un anno dopo Borriello torna a casa e si candida a sindaco per il Pdl. Ora guida una giunta sostenuta dal Pdl, da Idv e dal partito di Sergio De Gregorio. Tra le nomine anche quella di Virna Bello, una delle ospiti del Cavaliere a Villa Certosa. La chiamano “la braciolona”. Fa l’assessore alla pubblica istruzione. Anche con i voti di Di Pietro.

CASO MASTELLA

di Vincenzo Iurillo

Poche copie, quanti affari al “Campanile”

L

a redazione di Largo Arenula a Roma è chiusa da mesi, ma “Il Campanile Nuovo” sopravvive nelle carte dell’inchiesta sul sistema Mastella. Per il pm di Napoli, Curcio, l’acquisto di alcune pubblicità sul giornale dell’Udeur sarebbe una delle prove dell’associazione per delinquere tra i vertici del partito di Mastella e gli imprenditori aggiudicatari delle gare dell’Arpac. Il pm ha depositato al Riesame copie di fatture pubblicitarie di migliaia di euro. Importi ritenuti “anomali” rispetto alla scarsissima diffusione della testata, 5mila copie, appena 1.500 in edicola. Le fatture sono intestate ad aziende i cui soci gravitano intorno al sistema Mastella. In sostanza i clienti delle pubblicità coinciderebbero coi titolari delle ditte che hanno ottenuto gli appalti. Tra gli atti c’è un documento che dimostrerebbe l’interesse di Carlo Camilleri, consuocero dei Mastella e “dominus” degli appalti.

Bersani si dà alle consultazioni Giornate di diplomazia, dai Radicali all’Udc. “Studia”, dicono i suoi. Forse troppo di Luca Telese

ilvio Berlusconi dice: “Pierluigi Bersani parte con il Srarepiede sbagliato” (il che, se non altro, lascia ben speper il futuro della sinistra). L’interessato risponde a stretto giro di posta: “Ognuno si guarda la camminata sua”. Benissimo. Eppure, una una volta esauriti gli auspici e gli esorcismi, al termine di una giornata di intensa diplomazia, è il caso di chiedersi cosa sta comunicando il nuovo leader del partito democratico, e come. Petting con l’Udc. Ieri per Bersani è stata una giornata di incontri bilaterali. Per la seconda volta il segretario ha intavolato una carrellata di vis-a-vis di vago sapore quirinalizio, dedicandosi a delle vere e proprie “consultazioni”. Un giro di orizzonte, dicono i suoi, un atto dovuto. L’altra volta era toccato a Rifondazione e Sinistra e libertà, questa volta si è passato dai radicali (la mattina) all’Udc di Casini (la sera). Il segretario, insomma, lavora a una nuova coalizione, fa sul serio, prima di muovere passi importanti si documenta e si applica ai problemi, come è nel suo stile. Non si serve di consulenti per la comunicazione, giura Filippo Penati (uno dei dirigenti

Le prime mosse del nuovo leader hanno un sapore “quirinalizio”: sul crocifisso timido, sul caso Marrazzo silente

più vicini) fa tutto da solo. In alcuni momenti viene da dire che si vede, se è vero che il titolo regalato alle agenzie, ieri sera era (letteralmente) questo: “Bersani, con l’Udc siamo ai preliminari”. Doppio senso erotico dal sen fuggito? Consapevole evocazione del petting? La frase successiva era non meno equivoca: “abbiamo dato uno sguardo alle varie situazioni” (chissà quali). Certo, il “bersanese” (il parlare schietto e figurato) è un punto di forza del nuovo leader, ma anche (talvolta) una lingua che rischia di apparire troppo rigida, e produrre qualche boomerang. Allo stesso tempo, se il punto su cui Bersani ha battuto Franceschini è stato il rifiuto del nuovismo (post o para veltroniano), è possibile che il primo messaggio politico forte sia la ripetizione di un rituale antichissimo della prima repubblica? Può Bersani permettersi di “forlaneggiare”, trastullandosi con gli alleati come il leader della Dc ai tempi del buon vecchio pentapartito? “Pierluigi sta studiando” assicurano i suoi. E di sicuro, per il

nuovo leader del Pd, una delle priorità è ricostruire una immagine corale. Ma cosa gli impedisce di fare forti operazioni comunicative, anche mentre tesse il filo delle alleanze a sinistra (e al centro?). Anche la possibile scelta di un gemello omozigote alla Vasco Errani come vice (voce insistente) non comunica un messaggio di novità. Forse esagerava il vecchio Giancarlo Pajetta, quando ammoniva: “Tenete lontani gli emiliani da Botteghe Oscure”, ribadendo l'antico pregiudizio del gruppo dirigente comunista per cui l'Emilia poteva partorire ottimi organizzatori, ma non buoni quadri nazionali. Sta di fatto che ieri Dario Franceschini ha giocato sulle voci apostrofando il presidente della regione Emilia così: “Ti lascio libera la mia stanza”. E ricevendo una risposta a tono: “Dario, non prendermi per il culo!”. Errani assicura di puntare alla ricandidatura in regione, e dice che le voci sul suo arrivo Nazzareno “Sono tutte balle”. Passi timidi. Insomma: alla prima epifania del bersanismo mancano ancora il pathos, il senso della scena, l’attitudine a costruire eventi. Anche perchè, fra pochi giorni (il 12) si celebra l’anniversario della Bolognina, la Svolta che diede vita al Pci. Berlusconi ci avrebbe costruito un kolossal, il Pd per ora non ha annunciato nulla (forse preoccupato di sovrastare l’anima cattolica). E che dire del caso Marrazzo? Mentre i propagandisti del Pdl (ad esempio Alessandra Mussolini a Matrix) accredtano l’idea grossolana che “la sinistra va a trans”, nessun leader (esclusa Rosy Bindi) del Pd ha saputo dire parole importanti per sanare il trauma. Nel Lazio si parla della candidatura (fortissima) di Renata Polverini, mentre il centrosinistra fa melina. Sul crocifisso il neosegretario (forse per indole, forse per timore di essere bollato come laicista) è stato timidissimo. Fa bene Bersani a “studiare”. Ma gli esami sono già in corso.

IL FATTO POLITICO dc

Incastri di governo di Stefano Feltri

eri si potevano chiudere i Iregionali negoziati sulle elezioni 2010 che da oltre un mese creano tensioni nella maggioranza. Invece il vertice risolutorio, tra Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umberto Bossi è saltato. “Non c’era niente di urgente”, ha minimizzato il Cavaliere. Ma almeno un’urgenza comincia a delinearsi: il ruolo dell’Udc. Forse anche per l’imminente allargamento del polo centrista (con l’arrivo dell’atteso nuovo partito di Francesco Rutelli) e forse per le manovre di avvicinamento del Pd, il partito di Pierferdinando Casini è di nuovo al centro delle attenzioni. In alcune regioni, come la Puglia, dovrebbe riuscire davvero a giocare il ruolo di ago della bilancia a cui ambisce. E una nuova definizione dei rapporti con l’Udc porterà a un inevitabile cambiamento dei rapporti con la Lega che forte del suo potere contrattuale - continua a rivendicare il Veneto, sollecitare il Piemonte e sognare la Lombardia. a la cena tra i tre leader M del centrodestra non c’è stata. Come previsto, invece, si è tenuto l’incontro tra Berlusconi, i coordinatori del Pdl e i capigruppo di Camera e Senato a palazzo Grazioli. Quasi a confermare l’impressione diffusa che, prima di preoccuparsi dei problemi con gli alleati, il Pdl debba risolvere quelli al proprio interno. É chiaro che c’è in corso un complesso gioco a incastri, l’ipotesi di una promozione di Gianni Letta a vicepremier è credibile. Servirebbe ad aumentare, per interposta persona, il controllo di Berlusconi sull’esecutivo, ridimensionando definitivamente anche da un punto di vista formale il peso di Giulio Tremonti. di Pierluigi Bersani L’averarrivo alla guida del Pd sembra fatto da catalizzatore: dalla partita europea per sponsorizzare Massimo D’Alema a mister Pesc alle possibili alleanze con l’Udc. Tutto succede più in fretta. E i nuovi equilibri interni possono avere conseguenze sul governo: dalla scelta, ormai quasi ufficiale, di mettere Dario Franceschini alla guida dei deputati all’annuncio di uscita della politica di Massimo Cacciari. Alla poltrona di sindaco di Venezia non ha mai rinunciato Renato Brunetta, che potrebbe liberare un posto nel governo, prezioso per remunerare qualche altro partecipante al grande risiko in corso.


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STATO E CHIESA

“Possono morire, non toglieremo mai il crocifisso”

zona Vigna Murata: “Mi ricordo di una circolare ministeriale di qualche anno fa, in cui si precisava che non c’è l’obbligo di esporre il crocifisso nelle aule. Non credo ci siano norme sul tema”. Di certo, al Peano il simbolo della cristianità non c’è. “L’unica stanza dove c’è un crocifisso è la mia - spiega Lorusso la religione è una questione che pertiene alla coscienza privata. La scuola non deve entrare in questa sfera”. Emilia Oppito è la preside dell’Istituto di Istruzione superiore di via Asmara, che comprende istituti di vari indirizzi. Spiega: “In alcune delle nostre classi il crocifisso c’è. In ogni caso, non abbiamo mai avuto problemi di alcun tipo al riguardo. La scuola è frequentata da studenti di religione ebraica o musulmani. Nessuno ha mai detto nulla”. In giro per l’Italia, in linea con il Governo, c’è chi incita alla ribellione contro i giudici europei. Il sindaco di Sassuolo (Modena), Luca Caselli, ha acquistato 50 crocifissi per distribuirli nelle scuole. Mentre il sindaco di Montegrotto Terme (Padova), ha scritto su tabelloni luminosi: “Il crocifisso non lo togliamo”. Con gioia del Ministro.

IL MINISTRO LA RUSSA STRAPARLA DURANTE “LA VITA IN DIRETTA” di Luca De Carolis

fico per essere un esperto di religione. E non capisco perché su cinque invitati, ce ne fossero tre che esprimono un’opinione contraria al crocifisso. È insopportabile”. Lamberto Sposini ha cercato di moderare i toni, senza successo. La Russa ha continuato a urlare. “Non si può non capire che l’identità cristiana è l’identità nazionale, non ricordare che c'è un Concordato”. Una gazzarra imprevista, certamente anche per Sposini. A cui il Ministro ha dato lezioni di par condicio. Mentre invocava la morte dei componenti dei ‘finti organismo internazionali’ come la Corte di Strasburgo. E pensare che, mentre i toni della politica si alzano al di là di ogni controllo, la decisione dei giudici è applicata nei fatti in tante scuole italiane. Basta girare per Roma per rendersene conto. In molti isituti, il crocifisso è assente da tempo, o appeso solo in qualche aula. “C’è solo in alcune classi e comunque la sua presenza non ha mai generato discussioni con genitori o studenti” assicura Mauro Castellani, vicepreside del Liceo classico Socrate, in zona Garbatella. Che racconta: “Sono qui da tanti anni, e non ho mai fatto togliere o mettere un crocifisso in un’aula. Dove l’ho trovato l’ho lasciato, senza porre problemi. Ma non me lo farei mai imporre, perché a scuola si fa cultura, non religione. La fede e le convinzioni religiose appartengono alla sfera personale, e vanno coltivate altrove”. All’uscita da scuola, i ragazzi confermano che il crocifisso

lla fine, contro la sentenza della Corte di Strasburgo, sono arrivati i toni forti. Nel primo pomeriggio è intervenuto Silvio Berlusconi, che ha parlato di una sentenza: “Assolutamente inaccettabile”. Ma soprattutto, verso sera, sono arrivate le parole di fuoco del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Che durante la trasmissione di Raiuno La vita in diretta, ha detto: “Il crocifisso resterà in tutte le aule delle scuole. Possono morire,

A

I toni della politica si fanno isterici, ma in molte aule il simbolo religioso non c’era già loro e quei finti organismi internazionali”. La Russa si è infuriato ascoltando gli ospiti del programma. Che, a suo dire, avrebbe trattato in modo fazioso la vicenda. Il Ministro è stato particolarmente infastidito dall’intervento di Piergiorgio Odofreddi (favorevole alla decisione della Corte di Strasburgo). “Odifreddi - ha detto con foga crescente il titolare del dicastero - non ha alcun titolo scienti-

non rappresenta un problema. “Nella mia classe c’è, e preferirei che rimanesse, perché è un simbolo della nostra tradizione” spiega Stefano, 14 anni, che si dichiara cattolico. Mentre a Marco il crocifisso non dà fastidio, “Ma andrebbe comunque tolto, perché lo Stato è laico. Lo dice la Costituzione”. Ma nelle scuole, spesso, non sono le norme o le leggi a dettare i comportamenti. E spesso vengono ricordati solo i precedenti più recenti. Francesco Lorusso è preside del Peano, Liceo scientifico in

SOLTANTO UN’ABITUDINE CHE NESSUNA LEGGE IMPONE di Andrea Gagliarducci

l crocifisso “contiene in nuce quelle Ità idee di tolleranza eguaglianza e liberche sono alla base dello Stato laico moderno”. Di più: c’è “un filo che collega la rivoluzione cristiana di duemila anni fa, gli elementi cardine dell’illuminismo, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e la stessa laicità dello Stato moderno: tutti i fenomeni storici si fondano in modo significativo sulla concezione cristiana nel mondo”. Non è un’omelia del cardinal Ruini, ma la sentenza con cui il Tar del Veneto aveva respinto il ricorso di Soile Tuulikki Lautsi. E, a ripercorrere a ritroso le sentenze sul caso (l’archivio Adista è una buona fonte), si nota che il crocifisso in classe (o negli altri edifici pubblici) non è obbligatorio. C’è una resistenza più culturale che giuridica a rimuoverlo. Prima di arrivare al Tar, la questione era

giunta alla Corte Costituzionale. Che aveva deciso di non decidere, perché incompetente in materia: la presenza del crocifisso nelle aule non è prevista da alcuna legge dello Stato, ma solo contenuta all’interno di due regi decreti di epoca fascista, il n. 965 del 30 aprile 1924 e il n. 1297 del 26 aprile 1928, che, tra l’altro, la Consulta ha ritenuto dispositivi amministrativi, senza forza di legge. E che forniscono solo indicazioni per gli arredi delle aule scolastiche, “peraltro – scriveva la Consulta – in parte non attuali e superati”. Eppure anche il Consiglio di Stato, cui si era ricorso dopo la sentenza del Tar, aveva stabilito che il crocifisso non andava tolto dalle aule scolastiche, perché “simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili” che provengono da una religione, ma che “sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”.

Il crocifisso c’è anche nelle aule di tribunale, su disposizione di una circolare amministrativa del 29 maggio 1926. Ma con la sentenza del febbraio 2009, la Cassazione ha stabilito che anche questa circolare non ha valore di legge ed ha assolto il giudice Luigi Tosti, che nel 2005 aveva rifiutato, per rispetto al principio costituzionale di laicità dello Stato, di tenere udienze in aule dove fosse affisso il crocifisso. Tosti rifiutò l’aula priva di crocifisso messagli a disposizione dal ministro Castelli, fu processato con l’accusa di “interruzione di pubblico servizio” e condannato in primo e secondo grado (sette mesi di reclusione, un anno di interdizione dai pubblici uffici) fino a che la Cassazione non gli ha dato definitivamente ragione. E pensare che già nel 2002 l’allora presidente della Consulta Cesare Ruperto, cattolico, aveva deciso di non esporre più il crocifisso nell’aula delle udienze della Corte.

COSTITUZIONE

L’ARTICOLO 7, UN MANIFESTO PER LA LAICITÀ DELLO STATO di Lorenza

Carlassale

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, Art. 7: ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. e Stato agiscono nel medesimo terC hiesa ritorio e si rivolgono agli stessi individui che sono, al tempo stesso, appartenenti ad una chiesa e cittadini di uno Stato. La linea di confine è tracciata secondo la materia - spirituale o temporale - che compete a ciascuno. Il primo comma dell’art. 7, definito da Michele Ainis “il manifesto laico dello Stato italiano”, riconosce la ‘indipendenza’ reciproca dello Stato e della Chiesa: nessuno dei due può interferire nell’ordinamento dell’altro. Sono due ordinamenti separati, indipendenti e sovrani, con proprie norme che possono anche essere divergenti: la valutazione di uno stesso comportamento umano da parte dei due sistemi non necessariamente coincide. Quali conseguenze per gli individui destinatari di norme eventualmente in conf litto? L’insistenza della Chiesa a che lo Stato non approvi norme in contrasto con i suoi principi ha indotto ad equivoci gravi, in parti-

colare al tempo dell’introduzione del divorzio: è chiaro (o dovrebbe essere chiaro) che ciò che conta per il credente è il matrimonio, sacramento sul quale lo Stato non ha il potere di intervenire. E dunque la possibilità di divorziare non lo interessa (se non vuole), ma riguarda altri che credenti non sono (o sono ‘cattolici’ di nome): perché deve volere che lo Stato impedisca a coloro che la pensano diversamente di sciogliere un matrimonio civile che per la Chiesa non ha valore? Leopoldo Elia – democratico e cattolico – nel 2007 constatava un riposizionamento della Chiesa “consistente in un interventismo anche politico di carattere identitario” non gradito ai cattolici praticanti. Invero, la ‘laicità’ che la Corte Costituzionale ha incluso fra i ‘principi supremi’ dell’ordinamento costituzionale italiano (ricavandolo oltre che dall’art. 7, dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20) non consente allo Stato di avallare con l’autorità formale della legge scelte fideistiche. La legge – scrive Piero Bellini – non può farsi garante autoritario di questo o quel codice di valori. Non va però accentuata la pregiudiziale irreligiosa del pensiero laico illuministico: “vanto del laicismo liberale è proprio quello di assicurare a tutte le professioni spirituali-religiose il medesimo grado di libertà che esso reclama per la scelta spirituale libertaria”. La laicità è un concetto

complesso, ha detto la Corte (sent.203/1989), che “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. Benché lo Statuto del 1848 definisse la religione cattolica “la sola Religione dello Stato”, i politici risorgimentali assunsero orientamenti liberali non favorevoli ai principi e agli interessi cattolici: dall’istituzione del matrimonio civile, all’espropriazione dei beni ecclesiastici, alla laicizzazione della scuola. Dal 1871 fra Chiesa e Stato vigeva la separazione. Il fascismo, cancellando gli istituti dello stato liberal-democratico, tornò al confessionismo nel diritto matrimoniale, nella scuola, nel Codice penale, introducendo nel 1929 il sistema concordatario, conscio dei vantaggi di un accordo con le gerarchie ecclesiastiche. La Costituzione richiama i Patti lateranensi (Trattato e Concordato) del ’29, mettendoli al riparo da possibili modifiche decise dal solo Stato. Ogni modifica richiede l’accordo fra le due parti, dunque una legge non può abrogarne le norme così come non può farlo il popolo con il referendum. Tuttavia, neppure le norme contenute nei Patti possono essere in contrasto con i ‘principi supremi’ e i diritti fondamentali (come il diritto di difesa

in giudizio): perciò la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità (in una parte) della legge d’esecuzione del Concordato. Dal 1984 vi è un nuovo Concordato, stipulato fra Stato italiano (governo Craxi) e Santa Sede. Fra le questioni discusse vi è l’insegnamento della religione cattolica e, dopo la sentenza della Corte di Strasburgo del 3 novembre, l’esposizione del crocifisso è considerata in contrasto con la Convenzione europea dei diritti umani. Scriveva Giuditta Brunelli, costituzionalista: “Mentre i singoli devono ritenersi liberi di esprimere la propria identità culturale e religiosa anche attraverso l’utilizzazione di segni d’appartenenza resta escluso che i simboli di una confessione religiosa possano essere autoritariamente esposti nella sfera pubblica istituzionale, quasi che lo Stato potesse in essa identificarsi”.

“È escluso che i segni di una confessione possano essere esposti nella sfera pubblica quasi che lo Stato si identificasse in essa”


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Giovedì 5 novembre 2009

Il sequestro dell’Imam: un’ordinaria vicenda di extraordinary rendition

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CRONACHE

l 17 febbraio 2003 viene rapito l’Imam di Milano Abu Omar. Si tratta di uno degli episodi meglio documentati di extraordinary rendition, pratica dei servizi segreti americani attuata dopo l’11 settembre, contestata da moltissimi osservatori internazionali. Lo scopo delle azioni statunitensi era quello di catturare uomini sospettati di far parte di cellule terroristiche,

effettuando veri e propri rapimenti in paesi stranieri. Abu Omar fu infatti sequestrato in Italia e trasferito segretamente in Egitto, suo paese di origine, dove è stato recluso, interrogato e secondo il suo racconto duramente torturato. In una lettera ha detto di essere stato sottoposto a pene fisiche per oltre 12 ore al giorno per sette mesi e di aver ricevuto scariche elettriche. Fu liberato una prima volta dopo

ABU OMAR, PAGANO SOLO GLI AMERICANI Per Pollari vince il segreto di Stato Funzionari Cia condannati: “Siamo stati traditi” di Gianni

Barbacetto e Leo Sisti l crociato con la spada sguainata nel brutto affresco anni Trenta di Pio Semeghini alle spalle del giudice ha assistito impassibile alla lettura della sentenza per il sequestro di Abu Omar. Condannati a cinque anni 21 agenti della Cia che hanno rapito l’imam il 17 febbraio 2003, a otto anni il terminale milanese dell’intelligence americana, Bob Lady, mentre tre funzionari Usa (Jeff Castelli, Ralph Russomando, Betnie Medero) sono stati salvati dall’immunità diplomatica, garantita dal loro ruolo presso l’ambasciata americana a Roma. Dichiarazione di non doversi procedere invece per gli uomini italiani del Sismi, il servizio segreto militare, “perché l’azione penale, per quanto legittimamente iniziata, non può essere proseguita per esistenza del segreto di Stato opposto dalla presidenza del Consiglio dei ministri e confermato con la decisione della Corte costituzionale”. Così niente condanna per il direttore del Sismi Nicolò Pollari e i suoi uomini Marco Mancini, Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia, Lucia-

I

no Di Gregori. Tre anni invece per favoreggiamento ai funzionari Pio Pompa e Luciano Seno. Ha vinto il segreto di Stato. Il rapimento è stato realizzato, i fatti sono accertati, ma gli imputati eccellenti non pagano. Il procuratore aggiunto Armando Spataro, che aveva chiesto il carcere per tutti gli agenti coinvolti, americani e italiani, ha incassato il verdetto del giudice monocratico Oscar Magi affermando di essere soddisfatto per essere riuscito almeno a portare a conclusione il processo, dopo un iter accidentato: con i silenzi di tre ministri della Giustizia, i conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato sollevati da due presidenti del Consiglio (Romano Prodi e Silvio Berlusconi), la sottrazione di prove per effetto della sentenza della Corte costituzionale che nel marzo 2008 ha dilatato l’area protetta dal segreto di Stato. “La verità dei fatti è accertata”, ha dichiarato a caldo Spataro. “Perché gli americani sono stati condannati. E perché il dispositivo letto dal giudice dice che anche per gli italiani l’azione penale è stata legittimamente promossa: se non è stato possibile arrivare a una condanna, è stato solo a causa del segre-

Niccolò Pollari (FOTO ANSA)

to di Stato opposto da due governi. Valuteremo le motivazioni della sentenza, quando le avremo, e decideremo se ricorrere in appello”. Soddisfatti i difensori degli imputati italiani. Prima della sentenza, Spataro nella sua replica finale aveva affermato: “Per le difese, gli imputati hanno agito in stato di necessità: con argomentazioni così, non ci sarebbe stato un giudizio neppure a Norimberga. E questo mentre gli Stati Uniti di Barak Obama dicono

basta alle cosiddette ‘extraordinary renditions’”. Cinque anni anche al colonnello Joseph Romano, comandante della base aerea di Aviano dove Abu Omar è stato trasferito subito dopo il sequestro. Per i funzionari Cia Bob Lady e Sabrina De Sousa il giudice ha ritenuto insufficiente lo scudo assicurato dalla loro attività presso il consolato Usa a Milano. De Sousa aveva già promosso un’azione legale contro il Dipartimento americano di giustizia, per essere stata abbandonata e lasciata senza un difensore di fiducia in Italia (in seguito nominato). Ora, tramite il suo avvocato americano Mark Zaid, dichiara al Fatto Quotidiano: “Ribadisco la mia totale innocenza. Mi ritengo tradita dal governo che ho servito. Questa condanna è una parodia, anche perché non c’erano prove che mi collegassero al rapimento». Chi gioisce dall’Egitto è Abu Omar: a lui e alla moglie è stato riconosciuto un risarcimento di 1 milione e mezzo di euro. Sarà difficile che gli americani tirino fuori un dollaro. Paradossalmente, i soldi potrebbero venire dalla vendita della villa in Piemonte di Bob Lady, ora pignorata.

un anno, per poi essere riarrestato perchè aver parlato alla propria famiglia delle torture subite. Abu Omar è stato liberato definitivamente all’inizio del 2007 e ora vive ad Alessandria. Il Governo italiano ha sempre negato di aver ricoperto alcun ruolo nel sequestro, ma le indagini portarono ai rinvii a giudizio per 26 agenti della Cia, per il generale Pollari e altri vertici del Sismi.

Processo

Thyssen Torino non meritava investimenti di Stefano

Caselli

Torino

’acciaieria ThyssenKrupp di Torino era uno staLserebilimento abbandonato a se stesso, in attesa di escompletamente trasferito a Terni, per il quale non valeva la pena investire un euro. Parenti, colleghi e amici dei sette operai bruciati vivi sulla linea cinque la notte del 7 dicembre 2007 lo sostengono da sempre, ma ieri lo hanno sentito dire – per la verità non senza sorpresa – direttamente dall’imputato numero uno del processo in corso di fronte alla Corte d’Assise. Harald Espenhahn, amministratore delegato di Thyssen Italia, imputato di omicidio volontario con dolo eventuale, evita il poco onorevole scaricabarile e ammette, pur precisando di aver “sempre garantito la sicurezza dei lavoratori”, qualche responsabilità: “Avevamo previsto investimenti sulle infrastrutture – dichiara rispondendo alle domande del pubblico ministero Laura Longo – ma nel marzo 2007, deciso il completo trasferimento degli impianti a Terni, non abbiamo più ritenuto di farlo”. Insomma, non ne valeva la pena. Nel 2006 un incendio del tutto simile a quello di Torino divampa nello stabilimento tedesco di Krefeld. Nessun morto, ma le compagnie assicurative abbandonano la multinazionale tedesca. La nuova compagnia – pena una franchigia astronomica – consiglia una serie di investimenti per ottimizzare i sistemi antincendio sulle linee di tutti gli stabilimenti del Gruppo. Per i due impianti italiani, la Thyssen stanzia 8 milioni di euro nel bilancio 2006-07, di cui un milione e mezzo per la fabbrica torinese. Questa cifra viene in un primo momento trasferita sul bilancio dell’anno successivo, quindi – secondo la documentazione raccolta dall’accusa – dirottata “from Turin”, ossia a Terni. In pratica, nell’anno 2007, nessun intervento, pur previsto, è stato effettuato a Torino. Ed è lo stesso Harald Espenhahn (interrogato con l’ausilio di un interprete) a confermarlo in Aula. Sarà la Corte d’Assise, ora, a stabilire se questa omissione sia stata o meno causa diretta della strage del dicembre 2007.

Influenza A, nessuna parola definitiva su donne incinte e bambini I VACCINI SONO STATI SPERIMENTATI IN TEMPI BREVI E SU CATEGORIE DIVERSE di Emanuele Perugini

roppi dubbi sui vaccini rischiano di mandare all’aria la camTto riguarda pagna vaccinale contro la pandemia. Soprattutto per quanalcune specifiche categorie come le donne incinte - in particolare quelle ai primi mesi di gravidanza - e i bambini. Troppe indicazioni contrastanti da parte delle associazioni dei medici, specie dei pediatri, ma troppi soprattutto i dubbi sui test condotti sui vaccini. Perché è proprio da qui, dalla procedura scelta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità d’intesa con le altre autorità di sorveglianza internazionali, l’americana Food and Drug Administration (Fda) e la European Medicines Agency e con le multinazionali del farmaco, che cominciano le principali grane sui vaccini. Per fare in modo di avere quantità sufficienti di vaccini pronte prima che la pandemia arrivasse nel Nord del mondo, si è deciso di procedere il più speditamente possibile accorciando le procedure sperimentali e di verifica. Il taglio delle procedure, ha spiegato Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano, è stato possibile anche perché i vaccini che sono stati proposti per l’autorizzazione non sono poi così nuovi. Si tratta - ha aggiunto - dei soliti vaccini già usati per le precedenti campagne di vaccinazione contro l’influenza classica ai quali sono stati solo cambiati gli antigeni specifici contro il virus pandemico, l’H1N1. Il problema di questa procedura - ha spiegato un altro virologo, Giovanni Maga, del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pavia - è che i vaccini contro l’influenza stagionale sono stati usati su particolari categorie di rischio che sono diverse da quelle a cui sono destinati i vaccini contro il virus pandemico. La differenza principale è proprio quella relativa alle donne incinte e ai bambini sopra i sei mesi di età. Anche perché dall’analisi dei casi di complicazioni dovuti al virus dell’influenza A nel Sud del mondo si è notato che sono proprio le donne incinte, e soprattutto quelle a cavallo tra il secondo e il terzo mese di

gravidanza, ad aver avuto i problemi più seri. Per queste due lemiche sono poi le dichiarazioni contrastanti dei pediatri specifiche categorie di rischio - ha spiegato Maga - non ab- sull’opportunità o meno di vaccinare tutti i bambini. Da un biamo dati consistenti così come ne abbiamo per le altre ca- lato c’è chi sostiene che occorre vaccinare solo i bambini con tegorie, per esempio gli over 60. Il problema è molto avvertito particolari tipologie di rischio, dall’altro invece chi sostiene anche a livello internazionale, tanto che proprio nei giorni che si debbano vaccinare tutti i bambini, anche quelli sani. scorsi il portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Sono dell’idea - ha spiegato Pietro Crovari, docente emerito di Gregory Hartl ha voluto rassicurare proprio le donne incinte igiene e medicina della prevenzione a Genova - che vaccinarsi sulla sicurezza e soprattutto sull’efficacia dei vaccini autoriz- vale sempre la pena. Anche nei confronti di questa malattia zati e commercializzati. “Abbiamo visto molti casi di persone che sembra essere, dopotutto non così grave. dei gruppi a rischio come le donne in gravidanza sviluppare una malattia o esiti molto severi. QueH1N1 sto avrebbe potuto essere verosimilmente evitato con la vaccinazione”, ha detto Hartl. Alle dichiarazioni del portavoce dell’Oms fanno però da contraltare le recenti disposizioni delle autorità di sorveglianza sui farmaci della ontinua a salire il numero dei morti per Spallanzani anche un tecnico radioloSvizzera e della Svezia in merito l’influenza H1N1 nel nostro paese. Ieri go, che era considerato soggetto a riad un particolare vaccino che peuna ragazza di 18 anni è morta all’Ospe- schio perché “obeso, iperteso, diabetico e rò non viene distribuito in Italia. dale pediatrico Bambino Gesù di Roma, fumatore”. Un 26enne con gravi problemi È il Pandemrix di GlaxoSmithKlidove era stata ricoverata due settimane fa. cerebrali è morto invece a Scafati, nel sane. La Svizzera ha recentemente La giovane soffrisse di fibrosi cistica lernitano. Tre giorni fa, ma se ne è avuta vietato la sua somministrazione sin dall’infanzia, una malattia che notizia solo ieri, è deceduta una bambina alle donne incinte e ai bambini ficompromette l’attività polmonare. di 13 anni nell’ospedale San Gerardo di no ai 18 anni di età, mentre la SveUna spiegazione che non è bastata alla Monza. La piccola aveva una malformaziozia ha avviato un sistema di mofamiglia, che ha deciso di sporgere de- ne al torace, non era autosufficiente ed era nitoraggio sugli effetti collaterali nuncia contro la struttura, che costretta alla sedia a rotelle. Analogo un indotti dal farmaco che sta dando l’avrebbe ricoverata insieme ad un’al- caso a Vercelli, dove un 16enne è morto risultati preoccupanti. Si tratta di tra paziente e non da sola. Ieri mattina, lunedì scorso. Soffriva di una grave malatun vaccino diverso - ha detto Masempre a Roma, è morto all’ospedale tia metabolica. ga - che ha al suo interno un adiuvante non ancora testato. Ad aggiungere carne al fuoco delle po-

Nuove vittime. A Roma la prima denuncia

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Riesame: udienza aggiornata per i carabinieri

E’

SESSO E POTERE

durata solo pochi minuti ed è stata subito aggiornata a lunedì prossimo l’udienza al Tribunale del Riesame per l’istanza di scarcerazione presentata dai quattro carabinieri arrestati per aver cercato di ricattare l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo. Il giudice Francesco Taurisano ha

infatti acconsentito alla richiesta di esaminare il verbale dell’interrogatorio fatto dall’ex presidente tre giorni fa. I quattro militari, Luciano Simeone, Carlo Tagliente, Nicola Testini e Antonio Tamburrino, chiedono la revoca dell’ordinanza di custodia in carcere emessa dal gip Sante Spinaci dopo la convalida del fermo e

respingono l’accusa di aver ricattato Marrazzo sostenendo che il loro unico ruolo nella vicenda è stato quello di tentare di vendere il filmato. I primi tre militari sono accusati a vario titolo di diversi reati, dall’estorsione alla violazione della privacy fino alla violazione di domicilio. Il quarto è accusato solo di ricettazione.

MARRAZZO, NOVE ASSEGNI SPARITI BRENDA RACCONTA IL SECONDO VIDEO Tre sole certezze e troppi “non ricordo” nelle dichiarazioni dell’ex governatore del Lazio DOCUMENTI

ECCO IL VERBALE DEL 2 NOVEMBRE Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma Verbale di assunzione informazioni di persona informata sui fatti

l giorno 2 novembre 2009 alle ore 16.00 in Roma Piazza Adriana, negli Uffici della Procura della Repubblica di Roma, in relazione al procedimento n.50141/09FGNR. Innanzi al Procuratore Aggiunto dott. Giancarlo Capaldo e al sost. Procuratore dott. Rodolfo Sabelli, assistiti per la redazione dell’atto dal M.A. s. U.P.S. Giandomenico Gaeta, è comparso a seguito di convocazione verbale: MARRAZZO Piero, nato a Roma il 29.7.1958, residente in Roma via del Podismo n.16. L’ufficio avverte la persona sentita quale persona informata sui fatti che come tale ha l’obbligo di dire la verità in relazione ai fatti sui quali viene sentita altrimenti commette reato a norma dell’art. 371 bis C.P. In relazione alle dichiarazioni che ho già reso all’Ufficio, le confermo ma devo fare alcune precisazioni delle precisazioni. Anzitutto ribadisco che nell’abitazione di Natalie entrarono solo due persone, che mi trattarono con estrema durezza e con violenza, mi spinsero in un angolo, impedendomi di tirare su u pantaloni che mi stavo levando quando sono entrate e che fui costretto ad appendere; in tal modo per il mio abbigliamento, mi trovavo in uno stato psicologico di inferiorità e umiliazione. Inoltre in più occasioni vennero a contatto con me quasi a volermi intimidire come per farmi capire che erano armati. Per tutto quel tempo sono stato costretto a stare nella stanza da letto e solo in una occasione, mi sono affacciato sulla soglia della porta e ho potuto vedere con chiarezza che vi erano solo due persone oltre Natalie. Voglio aggiungere che mi sentivo come se fossi stato sequestrato. Natalie invece per qualche tempo mi è sembrato essere stata collocata fuori del balcone; ho dedotto questo dalla circostanza che l’ho vista passare davanti alla stanza da letto spinta verso il balcone e dal luogo dove mi trovavo per qualche tempo non l’ho più vista. Preciso inoltre che la somma che avevo nel portafogli nel momen-

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to di entrare nell’appartamento di Natalie era di sole 3.000 euro: mille euro e non tremila come ho detto in precedenza li ho poggiati sul tavolinetto, e gli altri 2.000 euro erano rimasti nel mio portafoglio per mie necessità; non dovevo in altri termini consegnarle a Natalie. Successivamente come ho detto la somma di 2.000 euro contenuta nel portafogli è stata sottratta dai due carabinieri entrati. Mi sono confuso nelle dichiarazioni rese in precedenza sulla entità della somma perchè ricordavo che il giorno precedente avevo effettuato dal conto corrente a me intestato presso l’agenzia Unicredit di Viale Mazzini dentro la Rai una somma di 5.000 euro; mi era rimasta la somma di 3.000 euro dopo aver effettuato alcuni pagamenti per esigenze familiari per un importo di circa 2000 euro. Preciso che conoscevo già da qualche tempo Natalie ed ero stato con lei in qualche altra occasione, ma non più di due, tre volte dal gennaio di quest’anni. Non so dire con precisione da quanto tempo conosco Natalie. A.D.R.: non ricordo dove sono andato una volta uscito il 3 luglio dall’appartamento di Natalie, per il mio forte stato di stress. Mi riservo di comunicarlo qualora me lo ricordassi. A.D.R.: mi trovavo in uno stato confusionale e non ricordo se ho successivamente telefonato a Natalie per chiederle di raggiungermi a casa. A.D.R.: non so se Natalie nel 2009 abbia trascorso qualche tempo in Brasile. Infatti essendo i miei rapporti con Natalie del tutto sporadici e occasionali non potevo assolutamente conoscere tutti i suoi spostamenti e la sua vita privata. A.D.R.: Mi è capitato sporadicamente di aver consumato cocaina solo durante questa tipologia di incontri. A.D.R.: ho avuto incontri di questo tipo con un’altra persona, un certo Blenda, nome che ho letto sui giornali in questi giorni e che mi sembra di ricordare. Nell’occasione di un incontro con Blenda ricordo che è passato anche un altro trans di cui non rammento il nome. M sembra che ho avuto solo due incontri con Blenda. A.D.R.: non sono a conoscenza di video o foto scattate da Blenda in occasione di

Piero Marrazzo

questi incontri, ma il mio stato confusionale negli stessi dovuto all’assunzione occasionale della cocaina non mi mette nelle condizioni di saperlo. A.D.R.: Nè Blenda nè Natalie mi hanno mai chiesto del denaro o ricattato in relazione a foto o video che mi ritraevano. A.D.R.: non ricordo, come l’’Ufficio mi domanda, se ho dato a Natalie degli assegni per pagare le sue prestazioni, assegni poi restituitimi in cambio di contanti. A.D.R.: per quanto io ricordo, ho ricevuto solo una telefonata sull’utenza fissa della mia segreteria da parte di persona che per come si è qualificata al telefono alla mia segretaria ho pensato fosse uno dei due carabinieri che è intervenuto il 3 luglio: la telefonata è stata presa solo dalla mia segretaria ed è stata effettuata pochi giorni dopo il 3 luglio. A.D.R.: ribadisco che il 3 luglio quando sono entrato in casa di Natalie non ho visto alcun piatto con la cocaina. Ho visto invece la cocaina nel piatto solo dopo l’irruzione dei due carabinieri e non ho visto chi ha collocato il piatto con la cocaina. A.D.R.: ho deciso di andare in via Gradoli improvvisamente la mattina del 3 luglio; nessuno poteva conoscere questa mia intenzione. Ho comunicato questa mia intenzione a Natalie solo poco tempo prima di muovermi per recarmi da lei. A.D.R.: il mio autista si chiama Massimo Romani; non ricordo il numero di telefono del mio autista Romani; è memorizzato nell’agenda del mio telefono cellulare. Il presente verbale si chiude alle ore 18.

di Marco Lillo

arrazzo contro Marrazzo. Il peggior nemico dell’ex Governatore si conferma sempre di più essere lui stesso. La sua ultima testimonianza (pubblicata a fianco) sull’incontro con il trans di via Gradoli fa acqua da tutte le parti. Soprattutto se confrontata con la precedente del 21 ottobre. Prima aveva detto che il prezzo della prestazione era 5 mila euro. Ora dice che sono solo tremila. Prima aveva detto di non essere stato minacciato esplicitamente dai carabinieri, ora parla addirittura di violenza e allude a un sequestro umiliante con i pantaloni abbassati. Per non parlare dei troppi “non ricordo”: sulla visita a casa sua di Natalie e sulla conoscenza con lei. Ci sono solo tre punti fermi nelle sue deposizioni. Dice Marrazzo: la cocaina ripresa nel video non l’ho vista prima dell’arrivo dei carabinieri; il pusher Rino Cafasso non c’era; e soprattutto non c’è mai stato nessun ricatto. Marrazzo nella seconda ricostruzione non parla più di assegni. Nel primo verbale aveva detto di averne staccati tre: uno da diecimila e due da cinquemila euro aggiungendo: “Poi ho detto al mio segretario Adelfio

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L’ex presidente sarebbe stato ripreso assieme a due trans

Luciani di presentare una denuncia per smarrimento”. Il Fatto Quotidiano ha ricostruito che la denuncia è stata effettivamente presentata al commissariato Rai-Saxa Rubra dove l’ex conduttore detiene il conto corrente. Adelfio Luciani ha dichiarato lo smarrimento di 9 assegni e non di tre, dichiarando - su istigazione del politico - il falso. Tre di quegli assegni non erano smarriti me ora gli investigatori si chiedono che fine abbiano fatto gli altri sei. Sono stati consegnati anche loro o sono stati fatti sparire per coprire la sparizione dei tre più imbarazzanti? Altra circostanza che i pm non contestano a Marrazzo è la data della denuncia: il 13 luglio. Ben 10 giorni dopo il fatto, e proprio due giorni dopo il primo abboccamento di Rino Cafasso con le giornaliste di Libero. Il pusher e pappone dei trans si presenta a Libero quel giorno per chiedere non 20 mila euro ma ben 500 mila. Marrazzo blocca gli assegni perché ha saputo della trattativa con Libero? Questa è un’altra domanda alla quale potrano rispondere solo i tabulati telefonici e gli accertamenti bancari in corso. L’avvocato Bruno Von Arx, difensore del maresciallo Nicola Testini, arrestato con i colleghi propone un altro ragionamento: “E se gli assegni non esistessero? Gli arresti sono fondati solo sulla testimonianza, poco credibile e piena di contraddizioni, di Marrazzo”. Dal verbale pubblicato a fianco si comprende che i pm cercano il secondo video del quale si è parlato in questi giorni. Secondo due testimonianze concordanti quel video è stato girato all’inizio dell’anno e ritraeva due trans insieme a Marrazzo in una casa nella disponibilità del politico in zona Cassia. La trans Blenda, nelle serate più alcoliche estraeva dalla borsa la sua amata bottiglietta piena di Jack Daniel’s e Red Bull, e poi dopo un sorso mostrava il video del quale andava orgogliosa. Iniziava con Marrazzo nel bagno con l’altra trans, Michelle. Poi Blenda ruotava la camera verso di sé e si immortalava mentre si stringeva sorridente a Piero in primo piano. Quando il video finiva Blenda soddisfatta diceva: “Questa è la mia pensione”. La trans, sentita dai pm, ammette l’esistenza del video ma dice di averlo distrutto per paura. Michelle non si trova. Dagli atti dell’indagine risulta che c’erano politici laziali di centrodestra interessati all’acquisto di un video di Marrazzo con trans. Non con una trans ma con due trans. Come nel filmato di Blenda. Come si diceva in un sms spedito dall’ex sondaggista di Berlusconi Gianluigi Crespi a molti giornalisti il 25 settembre del 2009. Tutte coincidenze. Almeno per ora.

N L’AQUILA

Sfollato muore per le esalazioni

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n uomo di 64 anni è morto e sua moglie è rimasta ferita per le esalazioni della stufa del camper in cui vivevano a L’Aquila. La loro casa era stata dichiarata agibile ma la coppia, per paura, aveva preferito rimanere a dormire nel mezzo parcheggiato in giardino.

GARLASCO

L’arma del delitto: forbici da sarto

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hiara Poggi sarebbe stata uccisa con una grossa forbice da sarto. Sono queste le conclusioni di una perizia depositata dai consulenti della Procura nell’ambito del processo per il delitto di Garlasco. L’arma del crimine non è mai stata trovata. Ora, pare, le ricostruzioni tecniche hanno aperto uno scenario convincente.

ANCONA

L’assessore massone se ne va

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assessore con delega al porto del comune di Ancona, Ezio Gabrielli (Pd), iscritto alla massoneria e di cui “Il Fatto quotidiano” aveva parlato due giorni fa, si è dimesso. Dopo aver ammesso di essere iscritto a una loggia, erano nate molte polemiche. Ma l’ex assessore aveva opposto resistenza alle dimissioni. Solo dopo una riunione del gruppo comunale del Pd, dove non è emersa la volontà di respingere unanimemente la mozione di sfiducia nei suoi confronti presentata da Eugenio Duca (Sinistra e Libertà), Gabrielli ha preferito lasciare l’assessorato.

IL CONVEGNO

A 25 anni dalla tragedia di Bhopal

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n occasione del 25° anniversario della strage di Bhopal, in India, oggi nell’Aula Magna della facoltà di Economia dell’Università di Roma Tre (ore 17) si terrà il convegno “Imprese, diritti umani e ambiente” promosso dall’ateneo, Amnesty e Greenpeace. Intrerverranno tra gli altri Raffaele Guariniello della Procura di Torino, Giorgio Fornoni giornalista di “Report”.


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ECONOMIA

ENERGIA MONTENEGRINA: LA PARTITA CHE A2A DICEVA DI AVER GIÀ VINTO L’operazione balcanica dell’azienda di Brescia e Milano è più complessa di quello che ha raccontato di Francesco Bonazzi

a maledizione dei Balcani rischia di colpire ancora i “colonialisti” italiani. Dopo la disastrosa avventura di Telecom Italia nella Serbia di Slobodan Milosevic, ora è il turno della multi-utility lombarda dell’energia A2A, impegnata nell’acquisizione della compagnia elettrica montenegrina Elektropriveda (Epcg), in via di privatizzazione. L’operazione sembrava cosa fatta, dopo l’annuncio della vittoria italiana in settembre, ma ora l’opposizione montenegrina chiede di vederci chiaro e promette battaglia in Parlamento, accusando esplicitamente il governo di Milo Djukanovic di “scarsa trasparenza e interessi personali”. Lo scontro su Epcg, secondo quanto riferiva ieri la stampa montenegrina, si preannuncia pesante e culminerà nell’audizione parlamentare del 13 novembre prossimo, quando sulla scelta dei soci italiani verranno ascoltati i vertici della Commissione per le privatizzazioni e il presidente della stessa società elettrica di Stato. Secondo il quotidiano “Vijest”,

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nell’audizione del 13 novembre ai responsabili della Commissione e di Epcg verrà domandato “sulla base di quali motivazioni siano stati selezionati gli italiani di A2A come partner strategici e perché sia stata respinta l’offerta del consorzio greco Public and Golden”. Meno insidioso, ma politicamente più duro, l’articolo uscito sul quotidiano “Dan”, che enfatizza le nuove dichiarazioni di Neboysa Medojevic, leader del Movimento per le Riforme PZP, secondo il quale la privatizzazione di Epcg sarebbe “un tradimento” e la vendita ad A2A andrebbe “totalmente rivista”. Per la società guidata da Giuliano Zuccoli, il boccone montenegrino è un’operazione da diverse centinaia di milioni di euro e di grande valenza strategica. Ma a guardare con interesse al Montenegro è lo stesso viceministro al Commercio estero Adolfo Urso, che in passato ha sottolineato l’importanza, per le aziende italiane, del programma di privatizzazioni del governo di Podgorica. Oltre che la necessità di diversificare il più possibile l’approvvigionamento energetico del nostro Paese, ri-

Visco: “La Svizzera non può lamentarsi” er Vincenzo Visco, ex viceministro alle Finanze nell’ultimo Pnescata governo Prodi, alla base della guerra tra Svizzera e Italia indallo scudo fiscale c’è “il solito problema: il governo ha bisogno di soldi”. Ed è questo che ha spinto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a ordinare quelle ispezioni nelle filiali italiane delle banche elvetiche che hanno tanto irritato il governo di Berna. “Se Tremonti facesse davvero la lotta all’evasione, nessuno avrebbe diritto a offendersi, tantomeno la Svizzera. Ma qui si tratta di un’altra cosa: pressioni sui depositanti, più che sulle banche, per spingerli a rimpatriare il capitale”. Ma lei ha capito cosa si cercava e cosa è stato trovato nelle ispezioni? Non ne ho idea. Probabilmente hanno cercato di verificare i rapporti con l’estero dei cittadini italiani e di controllare se tutte le ritenute sono state prelevate e riversate. Quest’ultima è un’operazione più che giustificata, ma si può fare anche senza mandare la finanza. É evidente che c’è anche un aspetto di immagine. E questa linea dura, almeno d’immagine, può portare risultati? La gente di solito si comporta in modo razionale. Non conosciamo con esattezza i canali attraverso cui gli evasori portavano i soldi all'estero, ma di solito si tratta di sovra o sotto fatturazioni, prezzi di trasferimento a una consociata estera o anche ricorso gli spalloni. Più difficile dire in che misura si appoggiassero direttamente alle banche. Quindi sarebbe interessante capire cosa è stato trovato in queste ispezioni. Ma chi vuole riportare i soldi in Italia non è motivato dalla paura di essere scoperto quanto dal dissesto finanziario che ha spinto molti a cercare un maggiore controllo sulle proprie risorse, invece che lasciarle affidate alle banche svizzere. Ma la Svizzera ha diritto a lamentarsi? Da Berna continuano a ribadire che non sono neppure più sulla lista nera

spetto al rapporto di ferro che al momento ci lega alla Russia di Putin. Il problema è che il Montenegro di Djukanovic non gode di molta miglior fama dal punto di vista del modello di democrazia. Per A2A, in ogni caso, le ragioni della geopolitica contano poco e sono giustamente più rilevanti i possibili ritorni economici. Come si legge in un comunicato emesso il 30 settembre scorso dalla società brescian-milanese, quotata in Piazza Affari, A2A controlla una quota del 43,7 per cento della società balcanica, anche a seguito dell’adesione della quasi totalità degli azionisti di minoranza, e l’esborso complessivo dell’intera operazione è stato pari a circa 436 milioni di euro”. A gennaio, in sede di manifestazione d’interesse, si erano fatte avanti con il governo

montenegrino una ventina di società di tutto il mondo, tra le quali anche le italiane Enel e Terna. Poi, in agosto, erano rimaste in lizza solo l’ex municipalizzata di Brescia e il consorzio greco. Ed è sulla sconfitta dei greci che ora si concentrano gli attacchi dell’opposizione, che in Parlamento vale circa il 40 per cento dei seggi. Un film già visto dieci anni fa per Telekom Serbia, quando la sconfitta degli ateniesi della Ote scatenò l’opposizione a Milosevic e la vecchia Telecom di Tomaso Tommasi di Vignano fu poi “costretta” a imbarcare i greci pur di portare a casa la “privatizzazione”. In particolare, non tornerebbero i conti dei soldi offerti. Il settimanale indipendente “Monitor” rileva che gli italiani hanno messo sul piatto 8 euro per azione, “mentre i greci ne avevano of-

Il presidente di A2A Giuliano Zuccoli (FOTO ANSA)

ferti 11”. E spiega la vittoria dei primi non con una qualche “superiorità industriale” di A2A, ma con il fatto che a intermediare il grosso dell’operazione, tanto in Borsa quanto nella transazione diretta con lo Stato, sarà una banca dove vi sarebbero corposi interessi privati della famiglia Djukanovic. La banca incaricata di gestire l’operazione, e quindi di incamerarne le relative commissioni, è la Prva Bank, della quale sono azionisti di maggioranza Milo Djukano-

Lo scontro su Epcg, secondo quanto riferisce la stampa del Montenegro, si preannuncia molto pesante di Gigi Furini

GUERRA DI CONFINE

UN AEREO CONTRO GLI ITALIANI e relazioni fra Italia e Svizzera peggiorano e il governo di Berna ha disposto che un velivolo senza pilota, un drone, sorvolerà il confine italo-svizzero per le prime tre settimane di novembre. L’aereo è stato messo a disposizione del Corpo delle guardie di confine. Il motivo? Si vogliono intercettare movimenti lungo la frontiera e impedire azioni illegali. In Svizzera sono convinti che agenti italiani si siano infiltrati sul suolo della Confederazione per scovare evasori fiscali. “A tutto c’è un limite – ha detto il ministro delle Finanze di Berna – e queste intromissioni di agenti italiani nel nostro territorio sono inammissibili e inaccettabili”. Il presidente della Confederazione, Hans-Rudolf Merz ha incontrato nei giorni scorsi il ministro Giulio Tremonti, che gli avrebbe detto: “First, I want money”, primo, io voglio i soldi. Sono i soldi che gli italiani hanno depositato in conti svizzeri e che il governo spera possano rientrare con lo scudo fiscale. Merz, comunque, non critica l’Italia per le

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vic e suo fratello Aco, oltre che la stessa Epcg. Un tipico intreccio da privatizzazione alla Balcanica che ricorda, anche questo, la storia di Telekom Serbia. A Brescia ovviamente fanno i debiti scongiuri, ma di sicuro per ora c’è solo che la “prestigiosa vittoria” in Montenegro avrà il consueto corredo di veleni e non è per nulla detto che si riveli la comoda passeggiata che molti azionisti di A2A avranno immaginato leggendo i comunicati stampa “made in Milan”.

misure contro l’evasione, ma il metodo adottato contro la Svizzera (il riferimento è al blitz della Finanza, la scorsa settimana in 76 filiali di banche svizzere in Italia). Intanto il governo di Berna ha bloccato i negoziati con Roma sulla doppia imposizione (già completati con altri 12 Paesi) e la decisione è stata accolta con favore in Canton Ticino. “É importante – dice il presidente del governo ticinese, Gabriele Gendotti – che la Svizzera mostri di non essere disposta ad accettare tutto. In queste settimane i ticinesi si sentono maltrattati dall’Italia e, finora, Berna non era intervenuta”. Di qui, forse, la decisione di Berna di inviare un aereo a vigilare il confine. Si vogliono scovare le spie, gli 007 del Fisco e dell’Agenzia delle Entrate che sarebbero stati visti davanti alle banche a fotografare e filmare i clienti italiani. E l’aereo serve perché la “ramina”, come gli svizzeri chiamano la lunga rete metallica posta a dividere il confine, ormai è piena di

Ocse dei paradisi fiscali. La Svizzera è ancora un paradiso fiscale. Ormai nella black list non c’è più nessuno, ma aderire a qualche procedura Ocse è poco rilevante: quello che conta è se e come avviene lo scambio di informazioni. E non si tratta solo della Svizzera, ma anche del Lussemburgo, del Belgio dell'Austria e pure Londra, che per certi aspetti, è off-shore. Dal punto di vista diplomatico, comunque, si troverà un accordo perché ci sono anche altri tavoli da considerare, come la posizione dei lavoratori frontalieri e il transito dei mezzi pesanti. Oltre confine si parla molto di agenti italiani in incognito inviati per cogliere sul fatto gli evasori. Ci crede o sono esagerazioni? Sono cose che l’amministrazione finanziaria non può fare direttamente sul piano giuridico. Ma potrebbero essere coinvolti addirittura i servizi se-

buchi. E dalla “ramina” passa di tutto, in entrata e in uscita, dai clandestini (verso nord) a vari prodotti di lusso che entrano in Italia (verso sud) senza pagare l’Iva. Ma il maggior allarme, è ovvio, è proprio in Ticino dove il governo di Lugano ha a che fare con Giuliano Bignasca, il presidente della Lega dei Ticinesi. “L’Italia – dice Bignasca – ha iniziato una vera guerra economica contro di noi. Bisogna chiedere al governo di Roma di stipulare con la Svizzera lo stesso accordo sullo scambio di informazioni che abbiamo stipulato con la Gran Bretagna. Se Londra l’ha accettato, non si vede perché Roma lo possa rifiutare”. E se questo non accade? Il “Bossi svizzero” minaccia ritorsioni: sospensione della libera circolazione dei lavoratori frontalieri (sono 55 mila che andrebbero a ingrossare le file dei nostri disoccupati); blocco dei Tir in transito verso la Germania; chiusura delle filiali italiane delle banche svizzere; immediata revoca di tutte le collaborazioni transfrontaliere; annullamento di tutte le rogatorie con l’Italia. Né Roma né Berna credono che si arriverà a questo. Ma intanto l’aereo ha cominciato a volare.

greti? Per le operazioni importanti, quelle di frode finanziaria internazionale, è opportuno che lo siano. E infatti i servizi vengono usati. Ma non per i piccoli evasori. Tutte queste polemiche renderanno più difficile approvare altri scudi in futuro? Non credo. Prevedo che l’anno prossimo ci saranno altri condoni, chiamati in modo diverso, per esempio concordato preventivo. Intanto, però, questo scudo sembra l’unica fonte di risorse per la politica economica di governo. Alla fine avremo poco meno di 10 miliardi, 5 dallo scudo più altrettanti dalle altre una tantum, che non saranno neanche sufficienti a compensare la riduzione delle entrate. Anche gli emendamenti del Pd alla Finanziaria, però, spingono per un aumento della spesa pubblica. Gli emendamenti del Pd ripropongono semplicemente quello che si doveva fare un anno fa, un po’ di riforme strutturali quando anche i mercati erano disposti a tollerare un aumento temporaneo del deficit finalizzato a modifiche strutturali. Adesso potrebbe non essere più possibile, perché la situazione non è più percepita come d’emergenza. (Ste. Fel.)


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SOS IMPRESE

L’INDUSTRIA STA PERDENDO I PEZZI LA RIPRESA NON BASTERÀ Un’azienda su tre chiuderà il 2009 in perdita e licenzierà In Veneto cominciano a scomparire le produzioni d’eccellenza di Stefano

Feltri

opo la revisione al rialzo delle stime della Commissione europea (il Pil italiano nel 2007 scenderà solo del 4,7 per cento), ieri sono arrivati i dati sulla cassa integrazione: una riduzione di quasi il 10 per cento tra settembre e ottobre. Segnale che le cose hanno smesso di peggiorare. Ma un rapporto della Banca d’Italia dimostra che il problema più grosso è che quando la ripresa arriverà, il sistema produttivo italiano potrebbe trovarsi così sfiatato da non riuscire ad approfittarne. Tre imprese su dieci tra le 3874 sondate da Bankitalia stimano di chiudere il 2009 con piani di investimento ridimensionati rispetto a gennaio scorso e, soprattutto, quelle che prevedono di ridurre gli investimenti anche nel 2010 sono il 6 per cento in più di quelle che sperano di aumentarli. Tradotto: anche nel primo anno positivo dopo la grande recessione, quando l’economia italiana crescerà secondo la Commissione europea dello 0,7 per cento, le aziende che cercheranno di aggredire la ripresa saranno meno di quelle che continueranno a risentire della crisi. “Con la recessione è fisiologico che si verifichi una scrematura delle imprese, ma il rischio è che sia indiscriminata, punendo le nostre imprese più dinamiche che hanno tentato l’espansione internazionale e ora si trovano più esposte”, spiega lo storico dell’Economia Giuseppe Berta che ha appena pubblicato la nuova edizione del suo “L’Italia delle fabbriche” (Il Mulino). La tesi è sostenuta dallo studio di due economisti, Antoine Berthou e Charlotte Emlinger, pubblicato sul sito Voxeu.org: la domanda dei prodotti da esportazione di alta qualità - come quelli che produce l’Italia - soffre di più il calo del Pil. Nonostante la diffusa convinzione che per il lusso non ci sia mai crisi. Il sondaggio della Banca d’Italia dimostra che le imprese italiane che lavorano con l’estero sono in uno stato confusionale: un terzo pensa che nei prossimi sei mesi le cose andranno meglio, un terzo che resteranno stabili e un terzo che peggioreranno. Considerando il proprio mercato di riferimento (per alcune l’Italia, per altre quello globale), il 40 per cento delle imprese che nei sei mesi scorsi ha sofferto la recessione si aspetta un periodo altrettanto lungo di sofferenza. “La durata della crisi per l’Italia è una variabile decisiva - dice il professor Berta - perché mette alla prova le risorse interne delle nostre imprese, a partire dalla capitalizzazione”. E aziende piccole e medie di capitale ne hanno poco e continuano ad avere problemi nell’ottenere credito dalle banche visto che, come dimostra il sondaggio,

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quelle che dichiarano di trovare difficoltà quando vanno a chiedere finanziamenti sono un terzo. E ben il 28,2 per cento dichiara di aver visto respinta la richiesta di credito. La combinazione di una bassa domanda interna, di difficoltà a livello internazionale e stretta nei finanziamenti bancari rende pessimiste le imprese: una su tre stima di chiudere in perdita il 2009, il 36 per cento di ridurre l’occupazione nell’anno. Un anno fa, nello stesso sondaggio, quelle che prevedevano bilanci in rosso erano solo il 17 per cento. Per chi vuole essere ottimista, c’è sempre la Fiat. In Europa continua a guadagnare quote di mercato (e dovrebbe ottenere il rinnovo degli incentivi), ora che è saltata la vendita di Opel ai russi di Magna potrebbe tornare all’assal-

Marchionne riuscirà, il Lingotto diventerà una vera impresa globale”, spiega Berta, che da anni studia la storia della casa di Torino. Come dire: anche il nuovo dinamismo della Fiat non basta più per trainare il sistema produttivo italiano. Secondo Berta “l’Italia industriale del 1970 era una clessidra irregolare: una base di piccole e piccolissime imprese, un vertice di aziende pubbliche e private di dimensioni rilevanti e in mezzo le medie imprese. Poi si è espansa la metà bassa del corpo della clessidra ed è venuto meno il vertice”. Il problema è che con la crisi inizia a ingolfarsi anche il motore di imprese medie che aveva sostituito il vertice. E la ripresa, che in Italia sarà comunque al massimo una crescita di poco superiore allo zero, potrebbe arrivare troppo tardi.

VENETO

LA CRISI CHE UCCIDE GLI ARTIGIANI di Erminia

della Frattina Padova

re anni fa, quando tanti imprenditori spostavano la produzione all’estero, soprattutto quelli del nostro settore, il tessile-abbigliamento, ho scelto di far confezionare i capi interamente in Italia, dal tessuto al prodotto finito. Ho passato un periodo difficile, guadagnando molto meno rispetto a chi aveva delocalizzato. Ma ho continuato a puntare sulla qualità del Made in Italy. Oggi l’azienda va a gonfie vele, nessun segnale di crisi. Anzi, stia-

“T

La recessione fa soffrire anche i più competitivi. Da gennaio in Veneto hanno chiuso 2.655 imprese artigiane mo continuando ad assumere e a investire in attrezzatura ultra moderna”. Giancarlo Cracco, titolare della Energy confezioni di Montebello, in provincia di Vicenza, la sua personale battaglia alla crisi in corso l’ha già vinta, e prova a spiegarne il segreto. “Investo almeno 15 mila euro l’anno per nuovi macchinari, di solito giapponesi, necessari per rendere perfetti orli, polsini, asole. Cambiamo centinaia di aghi al giorno, perché le cuciture devono sembrare quasi fatte a mano. Ho appena speso 30 mila euro per un nuovo software che ci insegna a razionalizzare i costi. E ci aggiorniamo continuamente, con corsi, viaggi e via Web”. La Energy confezioni, 33 dipendenti per 5 milioni di fatturato, è un’azienda artigiana nata dalla passione del suo titolare (“Cerco prima di tutto di trasmettere ai dipendenti l’innamoramento per questo mestiere”) e dalla ricerca dei brand dell’alta moda – produce per Dolce e Gabbana, Prada, Dsquared, Martin Margiela, Blumarine –

to della casa di produzione tedesca per completare la sua espansione internazionale. Ieri pomeriggio l’amministratore delegato del gruppo, Sergio Marchionne, ha iniziato a presentare i piani di rilancio per la Chrysler (inglobata dalla Fiat a gennaio con una joint venture): punterà sulla 500 prodotta in Messico - da offirire prima in versione Abarth - ma soprattutto su Jeep e Cherokee, perché le auto ad alto consumo, addolcite dalle tecnologie verdi di Fiat, ora sono tornate popolari con il petrolio a 80 dollari al barile. “La Fiat è stata per anni una sequoia in una foresta di alberi nani, ma ora il suo ruolo nell’economia italiana è cambiato. Se il tentativo di

di una qualità “tutta italiana”. Questa però è una felice eccezione. Per il resto, l’artigianato in Veneto è in crisi come in nessun’altra regione. “A differenza di quanto è avvenuto in Italia (+0,11 per cento) – commenta Claudio Miotto, presidente di Confartigianato Veneto – per la prima volta da oltre 15 anni i tre mesi centrali del 2009 registrano un saldo negativo tra le iscrizioni e le cessazioni delle imprese artigiane”. Nei soli tre mesi da luglio a settembre, hanno chiuso i battenti in Veneto 149 imprese artigiane (-10 per cento), 2.655 invece dall’inizio dell’anno,

ESTREMI&OPPOSTI

portando ora la “dotazione” veneta a 144.408 ditte; meglio solo di Emilia Romagna (-180 aziende) e Calabria (-159). Il comparto maggiormente penalizzato è stato la meccanica, che ha perso 102 imprese in tre mesi. Ha tenuto l’edilizia (+0,04 per cento) ma non il settore delle costruzioni (-0,35 per cento), mentre crescono le società di installazione di impianti (+0,15 per cento), ma anche i servizi alle imprese (+1,64 per cento), quelli di comunicazione (+0,98 per cento), i servizi innovativi (+0,56%) e alla persona (+0,40%). “La ‘natimortalità’ delle imprese è un dato un po’ grossolano – prosegue Miotto – ma fondamentale per misurare la vitalità dell’artigianato. E questo calo continuo dall’inizio del 2009 si spiega solo considerando che in Veneto ci sono decine di migliaia di imprese in forte debito di ossigeno”. Secondo Confartigianato bisogna agire su tre fronti: liquidità, Made in Italy e riduzione delle tasse sul lavoro, carburante per far ripartire la domanda interna.

di Elisabetta Reguitti

MA I SUPER RICCHI SONO IN AUMENTO ziende che chiudono, lavoratori disoccupati, calo dei consumi ma, in Italia, aumentano i super-ricchi che hanno più di 500 mila euro investiti, immobili esclusi. Più dei due terzi della ricchezza totale dei paperoni italiani si concentra in cinque regioni: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Lazio che rappresentano il 70,4 per cento del patrimonio complessivo “mobile”. Tra le regioni meridionali, ai primi posti, si collocano Campania e Sicilia con 37,9 e 24,9 miliardi di euro. Questi i dati forniti dalla ricerca realizzata da Prometeia e dall’Associazione italiana private banking.

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La Lombardia con 248,4 miliardi di euro di ricchezza guida di gran lunga la classifica. Un dato su tutti: nella sola provincia di Milano si concentra un patrimonio quasi doppio a quello dell’intera Emilia-Romagna, la regione che occupa il secondo posto. Tra le province meridionali, la prima è Napoli (42 esima nella graduatoria nazionale). La mappa della ricchezza mostra forti concentrazioni anche a livello provinciale. Oltre a Milano, dove le famiglie super ricche sono aumentate dell’11,5 per cento, troviamo anche Roma, Torino, Bologna e Brescia posizionate ai primi 5 posti.

«Stiamo trattando con la Camera di commercio di Verona – racconta Cracco, l’imprenditore di Montebello – per ottenere una certificazione di autenticità del nostro modo di operare interamente Made in Italy. Sarebbe la prima del genere in Italia”. La polemica su questo versante è nota: molte aziende, soprattutto del calzaturiero e tessile-abbigliamento, producono buona parte del loro prodotto all’estero, risparmiando su costi e manodopera. Poi fanno rientrare i capi semi-finiti, e ci applicano piccole finiture in Italia per giustificare l’etichettatura: Made in Italy. “Tante aziende vorrebbero solo ‘passare’ da noi, farci fare applicazioni minime, per giustificare l’attestazione del Made in Italy. Noi invece accettiamo solo i brand che ci consegnano il tessuto e vogliono indietro il capo finito, addirittura stirato e imbustato, pronto per i negozi”. Così in Veneto, dove fino all’anno scorso l’artigianato assorbiva anche la manodopera che le aziende più grandi lasciavano a casa, il mercato dell’occupazione è in stallo. Nei primi sei mesi del 2009, la regione ha avuto 11 mila posti di lavoro in meno, come risulta dall’indagine congiunturale di Confartigianato Veneto. “Siamo all’emergenza – commenta Miotto – si rende necessario dare risposte rapide e strutturali, perché ci sono interi settori nei quali il numero di imprese e l’occupazione stanno crollando”. Il calo degli occupati si concentra nelle attività produttive, in particolare quelle che sono state i punti di forza dell’artigianato locale, dal manifatturiero (-5,2 per cento la variazione dei dipendenti al primo semestre 2009), alle costruzioni (-5,1 per cento) al legno (-5,1 per cento), dal tessile-abbigliamento e calzaturiero (-6,1 per cento) al settore del vetro e ceramica (-6,3 per cento), alla meccanica (-6,9 per cento) all’edilizia (-8 per cento). Cresce solo il comparto alimentare (+5,3 per cento). A perdere lavoro sono soprattutto gli apprendisti: dall’inizio dell’anno ne sono rimasti a casa quasi la metà (-41,5 per cento) di quelli sotto i 18 anni, -8 per cento gli ultra-diciottenni. La contrazione riguarda anche gli operai (-4,2 per cento), soprattutto donne (-8,4 per cento) e stranieri (-7,5 per cento). “Non possiamo attendere che la crisi passi – chiosa Miotto – perché allora il nostro settore sarà enormemente impoverito, con un concreto rischio di marginalità. Servono rapidamente interventi strutturali per apprendistato, credito, miglioramento delle infrastrutture, costi della burocrazia, tasse”. O l’artigianato veneto tra un paio d’anni sarà polverizzato, nella migliore delle ipotesi assorbito dalle aziende medio-grandi.


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CONVERSAZIONI

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L’INSIDIOSA DEMOCRAZIA IL MONITO DI BOBBIO A cento anni dalla nascita, Paolo Flores d’Arcais e Marco Revelli ricordano il giurista e politologo torinese Tra testamenti, maturazioni e ambivalenze

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ICORRE L’ANNIVERSARIO della nascita di Norberto Bobbio (Torino, 18 ottobre 1909 – Torino, 9 gennaio 2004). Paolo Flores d’Arcais e Marco Revelli ricordano la no la figura del giurista, filosofo e politologo.

PAOLO FLORES D’ARCAIS Norberto Bobbio è sempre stato un liberale. Tu ed io veniamo invece dalla sinistra “a sinistra” del Pci. Nulla di più lontano e incompatibile, in apparenza. E invece con Bobbio il dialogo è stato più facile che con il Pci, più fecondo, al punto che ha infine messo capo, per lunghi anni, ad un comune agire. Ricordo che nella federazione giovanile del Pci, che pure era in odore di eresia, della famosa controversia tra Bobbio e Galvano della Volpe, i testi di Bobbio

venivano letti quasi solo come materiali su cui si era esercitata la critica del marxista. Ci sfuggiva che invece nel liberalismo di Bobbio, nella sua coerenza gobettiana, c’era una delle chiavi per uscire a sinistra dal dogmatismo comunista, compreso lo stalinismo soft del togliattismo. Per scoprire davvero Bobbio io ho dovuto maturare prima la critica del marxismo anche nella forma delle sue più accattivanti “eresie”. Il tuo incontro con Bobbio, invece, a quando risale?

MARCO REVELLI Nella prima metà degli anni Sessanta, quando al consiglio d’istituto del nostro liceo lo invitammo a Cuneo, per una conferenza su Benedetto Croce. Credo che il titolo esatto fosse “Croce e il liberalismo”. Può sembrare strano oggi, ma allora si trattò di un fatto di rottura. Nella Cuneo bigotta e clericale, sempre guidata da un monocolore democristiano, anche quando a Roma c’era già il centrosinistra, persino Croce faceva scandalo. L’ho poi ritrovato nel ’66, quando mi iscrissi a Giurisprudenza, a Torino, dove Bobbio insegnava Filosofia del diritto. Quell’anno teneva uno dei suoi corsi “canonici”, diciamo così, sul Giusnaturalismo moderno, da Hobbes e Locke a Rousseau, Kant, fino a Kelsen. Più che il Bobbio “politico” ho conosciuto allora il Bobbio “professore” – la figura in cui egli si è sempre maggiormente riconosciuto, quella che a mio avviso meglio lo esprime. Come “professore” ci ha insegnato il dovere del dubbio metodico nel lavoro intellettuale. Il rispetto delle posizioni dell’avversario, l’impegno a non ignorarle e neppure ridicolizzarle nel confronto, ma anzi a valorizzarle, talvolta nobilitandole, se si vuole davvero dialogare. L’arte della chiarezza. L’idea che quando il linguaggio è oscuro, fumoso, allusivo, anche il pensiero è incerto. Non c’era ancora stato il movimento studentesco, il ’68, personalmente non ero ancora a sinistra di nulla, mi guardavo attorno, ma certo Bobbio ci ha vaccinato contro le tentazioni del pensiero chiuso e del dogmatismo. PFd’A: Bobbio è un grandissimo sistematizzatore della democrazia liberale nella sua coerenza, che non può essere piegata a usi conservatori se non sfigurandola: questa è la lezione che ci consegna attraverso la lettura dei grandi classici liberali. La coerenza dei valori su cui poggia la democrazia liberale porta infatti inevitabilmente all’impegno per l’eguaglianza, parola oggi impronunciabile persino a sinistra, e che

Come “professore” ci ha insegnato il rispetto delle posizioni dell’avversario, l’impegno a non ridicolizzarle

BIOGRAFIA

CON GINZBURG E PAVESE orberto Bobbio nacque a Torino il 18 ottobre 1909. Studiò al Liceo classico Massimo D'Azeglio dove conobbe Leone Ginzburg, Vittorio Foa e Cesare Pavese. Allievo di Gioele Solari e Luigi Einaudi, si laureò in Giurisprudenza nel 1931 con una tesi su "Filosofia e dogmatica del Diritto". Nel 1933 si laureò anche in Filosofia con una tesi su Husserl e la Fenomenologia e nel 1934 conseguì la libera docenza in filosofia del diritto, che gli aprì le porte dell’insegnamento, nel 1935. Un anno dopo le leggi razziali, il 3 marzo 1939, giurò fedeltà al fascismo per poter ottenere la cattedra all'Università di Siena. Del giuramento al fascismo fece pubblica autocritica. Tra le sue opere più famose, oltre ai numerosi scritti giuridici, “Profilo ideologico del Novecento italiano”, “Elogio della mitezza”, “Maestri e compagni”, “De senectute”, “Destra e sinistra”. Senatore a vita dal 1984, è scomparso a Torino nel 2004.

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LIBERTÀ

Restando fermo sui suoi principi (bollati dal Pci come “borghesi”) si ritroverà accusato di estremismo, diventando il bersaglio preferito dei Galli della Loggia SECONDA REPUBBLICA

Dal trauma della terribile caduta consumatasi con l’avvento di Berlusconi - di quella “disfatta”, come lui la definì - non si riprese mai DIO E L’INTELLETTO

“Non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità”, che consiste nel “profondo senso del mistero” Bobbio invece coniugherà instancabilmente come indisgiungibile dalla libertà, che altrimenti si corrompe nel privilegio. E così accadrà a Bobbio quello che è accaduto a tanti altri intellettuali liberali (non solo di matrice “azionista”, come Galante Garrone e Sylos-Labini, ma anche esplicitamente conservatrice, come Sartori o addirittura Montanelli), restando fermo sui suoi principi (per decenni bollati dal Pci come “borghesi”) si ritroverà accusato di cripto comunismo e di estremismo, diventerà il bersaglio preferito dei Galli della Loggia. Tu che hai collaborato con lui per anni, quale era il suo giudizio su questi liberali anti eguaglianza? MR: Bobbio, più che un liberale è sempre stato un liberal-socialista, come buona parte dei militanti del Partito d’Azione. Con un maggiore accento più sul secondo termine – socialista – che sul primo. E questo perché l’Eguaglianza – che nel linguaggio “azionista” si traduceva in “Giustizia” – stava davvero al primo posto nella scala dei valori politici: si legga la splendida pagina di “Destra e sinistra” in cui Bobbio descrive la propria reazione, già nell’infanzia, di fronte allo scandalo della diseguaglianza. Il suo progetto di società giusta si basava sulla formula “Eguale libertà”, dove la libertà non può essere veramente tale, e pienamente legittimata, se non egualmente distribuita. Il suo stesso atteggiamento cauto di fronte al tripudio per il crollo del comunismo, lo dimostra: il primo pensiero fu, a caldo, su chi, e cosa, avrebbe sostituito dopo di allora quell’ideologia nell’affermazione dei diritti degli ultimi. Gli attacchi che subì, anche da parte del gruppo del Corriere, certo lo fecero assai soffrire. Ma anche in quel caso cercò di prendere sul serio le argomentazioni dell’altro. Di non liquidarle con un gesto di fastidio. E ritornò più volte sul travagliato rapporto tra liberal-socialisti e comunisti, con alterne risposte, ma sempre con la stessa conclusione: dalla lotta contro il fascismo a quella contro l’Italia della controriforma e della conservazione cieca, il motto era sempre lo stesso, “né con loro, né contro di loro”, né, possiamo aggiungere, “senza di loro”.

Torino, 26 giugno 1978 Norberto Bobbio nella sua casa di via Sacchi (FOTO PAOLA AGOSTI)

PFd’A: Il ’68 è stato uno dei momenti chiave, una sorta di cartina di tornasole, per molti intellettuali di sinistra. Iniziò allora, ad esempio, in odio al ’68, il progressivo spostarsi a destra di Lucio Colletti, che divenne sempre più rapido negli anni Settanta, per trasformarsi infine in un precipitare, prima craxiano e poi berlusconiano. L’anticapitalismo più radicale, perfino l’elogio leniniano della violenza (sulla scorta del marxiano “spezzare” la macchina dello Stato), andavano bene se restavano nel cielo delle dispute ideologiche, ma un movimento che cominci a contestare il potere nelle università, nelle piazze, addirittura nelle fabbriche… Molto marxismo si rivelò “marxismo della cattedra”. Del resto anche gli apocalittici anti-borghesi della scuola di Francoforte entrarono in rotta di collisione con l’azione dei Rudi Dutschke. Bobbio, che da liberale coerente ha sempre condannato ogni ipotesi di “spezzare la macchina dello Stato” e ha sempre predicato la realizzazione della Costituzione, non ha mai fatto sconti al movimento studentesco per quelli che riteneva degli errori, ma con il movimento dialogò sempre, in un senso non formale o diplomatico. Cosa ha imparato secondo te la generazione del ’68 dal suo incontro/scontro con Bobbio? MR: Temo che la nostra generazione non abbia imparato nulla, almeno allora, né da Bobbio, né da nessun altro. Lui, invece, il dialogo lo propugnò e cercò di farlo fin dall’inizio. Il suo primo articolo sul tema, pubblicato nel gennaio del 1968 sulla rivista “Resistenza”, era intitolato significativamente “Un dialogo difficile ma necessario”. Il secondo, di marzo, più pessimista, “Arduo il dialogo con gli studenti”. Poi il rapporto peggiorò. E’ ferito e indignato soprattutto dalla dissacrazione sistematica da parte del “Movimento” di tutti i valori in cui aveva creduto: la Costituzione, la Resistenza, la democrazia rappresentativa, la sua tradizione culturale… Nel 1969 scrive un


Giovedì 5 novembre 2009

DELL’APPLAUSO

e un ricambio radicale (“credo che occorrano uomini nuovi”). E concluse: “La creazione di una nuova sinistra oggi, nel deserto d’idee della politica quotidiana, è una magnifica avventura”, ammonendo che “il passo più difficile è quello dalle parole ai fatti”. Che ricordi hai di Bobbio in quei momenti cruciali? MR: Se devo essere sincero, ricordo un Bobbio in lento, silenzioso allontanamento dalla politica. I suoi scritti più significativi degli anni Novanta sono tutti di carattere morale. Si pensi al “De senectute”. Si pensi soprattutto a quello che io considero il più bel testo del Bobbio maturo, il più vero: “L’elogio della mitezza”, “la più impolitica delle virtù”. Quella che consiste nel “lasciar essere l’altro quello che è”, la forma più estrema del rispetto dell’altro. L’opposto dell’”arroganza”, della “protervia” e della “prepotenza”, le doti (o i vizi) prevalenti tra i politici, che vedeva dilagare nell’Italia avviata alla “Seconda repubblica”. Hai fatto bene a citare quella frase finale: “Il passo più difficile è quello dalle parole ai fatti”. Il Bobbio più recente ha l’immagine di un’Italia preda dei suoi vizi storici, un’Italia “irredimibile” per via politica. Scriverà esplicitamente che dal trauma di quella terribile caduta consumatasi nella prima metà degli anni Novanta con l’avvento di Berlusconi – di quella vera e propria “disfatta”, come la definì – egli non si riprese mai. PFd’A: Bobbio sul piano culturale è sempre stato un positivista giuridico e un neoilluminista. In questo mi sembra più attuale che mai. La

sull’aborto prende una posizione non lontana da quella delle gerarchie cattoliche: “Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere (…) mi stupisco che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”. Insomma, l’aborto è un omicidio, l’ovulo fecondato è, fin dal primo istante, una persona umana a tutti gli effetti. Una posizione che sfida ogni evidenza scientifica, etica, giuridica, psicologica (se l’aborto è un omicidio, date le dimensioni del fenomeno è più grave dell’Olocausto, ma chi davvero considera la donna che ha abortito alla stregua di un Ss che getta un bambino ebreo nel forno crematorio? Nemmeno il più feroce integralista di Cl, spero, e certamente non Bobbio). Ho sempre pensato che questa caduta mistico-reazionaria facesse il paio con un’altra contraddizione, il suo pacifismo integrale, il “non ucciderai” sempre e comunque, che se praticato sul serio condannerebbe anche i volontari democratici in Spagna, e la Resistenza. MR: Ti stupirò, ma io sono d’accordo con le posizioni prese allora da Bobbio sulla questione dell’aborto. In quella presa di posizione c’era una reazione, una forma di resistenza, al modo in fondo superficiale, e facilone, alle forme del linguaggio e dell’argomentazione, con cui i fautori del legge 194 affermavano le proprie ragioni, quasi che le cose fossero perfettamente chiare, prive d’implicazioni morali. Come se trattando di embrioni, e vite non nate si parlasse di cose, di oggetti, disponibili senza problemi da parte dei loro “possessori”. Bobbio, al contrario, sottolineava il carattere tragico – comunque tragico – di quelle scelte. Riproponeva l’idea – radicata profondamente nel suo stesso sistema di pensiero – che nelle alternative vere, quando si è chiamati a scegliere, qualcosa comunque si sacrifica. Figuriamoci quando ciò coinvolge i temi della vita e della morte. Certo, scegliere si deve. Ma non c’è scelta innocente. Non si sceglie il Bene contro il Male. Nella maggior parte dei casi – e l’aborto è uno di questi, per certi versi il più emblematico – si è costretti a scegliere tra due mali. Questo io credo che volesse ricordare Bobbio ai laici, che nella passione della battaglia sembravano averlo dimenticato. PFd’A: In uno dei suoi ultimi testi, primavera del 2000, dal titolo “Religione e religiosità”, pubblicato sull’Almanacco di filosofia di MicroMega dedicato a Dio, un testo intensissimo sia sotto il profilo teoretico che autobiografico, quasi un “testamento”, scriveva: “Non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità”, che consiste nel “profondo senso del mistero”. Un mistero impenetrabile, ripete la parola più volte e la vuole sottolineata. Il testo è una critica radicale del carattere consolatorio di ogni ipotesi di immortalità e vita eterna, e della teologia cattolica che non ha mai potuto affrontare seriamente il problema del male (che la giustizia di Dio sia “ineffabile” o “imperscrutabile” gli sembra un’ingiuria alla razionalità: “Sull’ineffabile non si può dire nulla”). Ma a questo punto taglia corto con un tassativo: “Mi fermo qui. Non voglio andare oltre. Non per reticenza. Ma mi sono posto una regola a cui continuo a credere: non si deve dare scandalo”. Mi sembrò, e continua a sembrarmi, una risposta criptica, al limite dell’ambiguità. MR: La conclusione di quello splendido testo, appartenente anch’esso al Bobbio più intenso, e drammatico – quella che tu chiami “ambiguità” e che io definirei “ambivalenza” – ha a che fare più che con la sua concezione della Fede con la sua idea di Ragione. Il Bobbio razionalista, neoilluminista, positivista logico, ha un’idea “limitativa” di Ragione. Attribuisce ad essa una sorta di “sovranità limitata” nell’immenso regno del “mistero”. “Non ho mai avuto la tentazione di sostituire la Dea Ragione al Dio dei credenti. Per me la nostra Ragione non è un lume: è un lumicino. Ma non abbiamo altro per procedere nelle tenebre da cui siamo venuti alle tenebre verso le quali andiamo”, scrisse Bobbio in un saggio intitolato “Capire prima di giudicare”. Appunto, tentare di squarciare quelle tenebre fuori dal raggio breve della nostra flebile Ragione, quello gli sembrava il vero peccato capitale per l’intellettuale laico: farsi profeta, guru, illusionista. Sostituire al linguaggio sorvegliato dell’analisi razionale i propri fantasmi interiori o le proprie emozioni, speranza o paura che siano. In questo – è il senso della sua “lezione” –, consiste per l’uomo di cultura il vero “dare scandalo”.

Dopo il crollo del comunismo il suo primo pensiero fu cosa avrebbe sostituito quell’ideologia nell’affermare i diritti degli ultimi pezzo aspro, disperato. Ricordando l’amico e compagno Leone Ginzburg, annota, a proposito della libertà: “Oggi sappiamo che la libertà si può usare per il bene e per il male… La libertà si può anche sprecare. Si può sprecarla fino al punto di farla apparire inutile, un bene non necessario, anzi dannoso. E a furia di sprecarla, un giorno o l’altro (vicino? lontano?) la perderemo. Ce la toglieranno. Non sappiamo ancora chi: se coloro che abbiamo lasciato prosperare alla nostra destra o coloro che stanno crescendo tumultuosamente alla nostra sinistra. Abbiamo comunque il sospetto, alimentato da una continua severa lezione durata mezzo secolo, che la differenza non sarà molto grande”. Tuttavia non smetterà, ancora per tutti gli anni Settanta, di cercare il confronto, il dialogo, con tutte le disparate sinistre che si sono succedute e dilaniate tra loro. PFd’A: E’ solo a metà degli anni Settanta che Bobbio diventa l’intellettuale per antonomasia, il Croce dei suoi giorni. Anche prima era stato un protagonista del confronto culturale, ho ricordato la sua controversia con Della Volpe, ancora più importante fu quella con Togliatti. Comunque una vera svolta nel peso, anche mediatico, che la sua figura eserciterà, avviene a metà degli anni Settanta, con la fase-uno della stagione craxiana. Quella caratterizzata dal “Progetto socialista”, da “Mondoperaio”, dalla duplice alternativa, alla Dc e al Pci, che ha per riferimenti politici Lombardi e Giolitti e per riferimento ideologico proprio Bobbio. L’anticomunismo come critica libertaria, o di socialismo liberale (i fratelli Rosselli), non certo come moderatismo di establishment. Poi segue il Craxismo-due, quello della “governabilità” e della corruzione. Bobbio tentò a lungo di mantenere la speranza nel Psi. Tu come ricordi il suo impegno per una sinistra unitaria e post comunista, che lo spinse alla rottura con il Craxi-due, e alla speranza nel Berlinguer della questione morale?

MR: La fine della speranza in un qualche progetto politico avviene in verità per Bobbio già alla fine degli anni Sessanta, quando abortisce l’unificazione tra Psi e Psdi nel Psu. “Il fallimento di questa esperienza fu così grave da lasciarmi senza fiato” – confesserà nell’autobiografia -. “Decisi che quando agivo in politica, sbagliavo, o almeno avevo la vocazione per le cause sbagliate”. Certo, la svolta “autonomista” del Psi alla metà degli anni Settanta lo affascinava. Una sinistra emancipata dal doppio dogmatismo cattolico e comunista (dalle due chiese contrapposte ma simmetriche) era stata nei sogni degli antichi fautori di una “rivoluzione democratica” come soluzione dei vizi storici italiani. Ma si rivelò, appunto, un sogno. Craxi non era un leader, era un “padrone” del partito con tentazioni cesaristiche. L’articolo di Bobbio su “La Stampa” contro la Democrazia dell’applauso, in cui stigmatizzava spietatamente la deriva plebiscitaria del Psi, segna una rottura inequivocabile. E l’adesione convinta alle tematiche della “questione morale” non solo di Bobbio ma di tutto quel gruppo che proveniva dal Partito d’azione, come Galante Garrone, Vittorio Foa, Giorgio Agosti, Giulio Einaudi, ne è la dimostrazione. PFd’A: Il momento di un partito nuovo sembrava arrivato alla fine dell’89, dopo la caduta del Muro e con la svolta della Bolognina. Bobbio non si limitò a fare l’osservatore. Mandò infatti la sua adesione alla manifestazione della sinistra dei club del 10 febbraio 1990 al Capranica con queste parole: “Cari amici, non posso essere presente alla manifestazione perché sto partendo per gli Stati Uniti. Sono pienamente d’accordo con voi sulla necessità di dar vita a una nuova sinistra che si ispiri, come dite bene, a una visione laica della politica”. Chiese “un’analisi franca, oggettiva, spietata, sulle cause della disfatta (dell’intera sinistra) –perché proprio di una disfatta si tratta –, l’“abbandono di ogni patriottismo di partito”

norma non si dà in natura, nasce da una decisione umana. E anzi, alla sua origine (la Grundnorm di Kelsen) vi è un fatto politico (per l’Italia repubblicana, la Resistenza). Sulla scia di Hume, Bobbio ha sempre ribadito come non sia logicamente possibile un passaggio dall’essere al dover essere. Anche se questo comporta il rischio del nichilismo. Oggi verrebbe accusato di “scientismo”, eppure la sua battaglia neoilluminista la condusse assieme al massimo esistenzialista italiano, Nicola Abbagnano. Tenere fermissimi, con Bobbio, scienza e finitezza dell’esistenza, Hume e Kelsen, mi sembra possa costituire un antidoto più che mai necessario per una cultura di sinistra in balìa dei vari heideggerismi, habermasismi ed ermeneutiche. MR: Bobbio è sempre stato un neopositivista, o meglio un “anti naturalista”: la natura non può essere legislatrice nel campo sociale e politico. Lo stato di natura è, hobbesianamente, disordine, invivibilità, conflitto di tutti contro tutti. L’Ordine umano non può che essere “costruito” sopra e oltre la Natura. Possibilmente in modo “razionale”. In ciò la Scienza ha un ruolo fondamentale come metodo, non come nuovo legislatore. Per questo Bobbio non è uno “scientista”: non accetta l’idea di un ordine umano vero rivelato per via scientifica (sarebbe una nuova forma di fallacia naturalistica). E’, se vogliamo dare etichette, un “contrattualista”. Crede in una costruzione dell’ordine umano per via logica e dialogica. Attraverso l’elaborazione razionale di un modello condiviso (e provvisorio) di ordine sociale. In questo senso il suo discorso è un antidoto a tutte le forme di sostanzialismo politico. A tutte le idee di un ordine definitivo, rispondente a una qualche verità assoluta. PFd’A: Mi sembra che nell’impegno civile e culturale di Bobbio non siano mancate le contraddizioni. La sua impostazione esclude, logicamente, ogni morale naturale. Ma poi


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Giovedì 5 novembre 2009

DAL MONDO

Mini test elettorale L’effetto Obama ha perso un colpo VIRGINIA E NEW JERSEY: VINCONO I REPUBBLICANI di Angela Vitaliano New York

un anno esatto di distanza dalle elezioni presidenziali, per molti newyorchesi la speranza non è più rappresentata da Barack Obama ma da Andy Pettitte, giocatore degli Yankees, al quale si chiede di portare a casa il 27° titolo delle World Series di baseball. Sarà che in città erano tutti certi della vittoria dell’indipendente Michael Bloomberg, riconfermato sindaco per la terza volta, ma nessuno sembra aver prestato particolare attenzione alle elezioni di martedì che hanno riguardato anche Stati importanti come la Virginia e il New Jersey, entrambi strappati ai democratici. In realtà, la vittoria di Bloomberg, attaccato per gli oltre 100 milioni di dollari spesi nella campagna elettorale, è arrivata con percentuali meno “bulgare” di quelle previste alla vigilia. Il distacco di soli 5 punti (51% contro 46%), nei confronti del democratico William Thompson jr ha costretto il mi-

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liardario newyorchese, nel corso di una conferenza stampa, ad attribuire il suo mancato plebiscito al malcontento degli elettori per la situazione economica del paese. Secondo Bloomberg, dunque, tutti i candidati uscenti, avrebbero pagato il prezzo di un quadro nazionale di crisi e di insicurezza che avrebbe spinto gli elettori a premere per un cambiamento. Spiegate così le sonore sconfitte del democratico John S. Corzine costretto a lasciare il ruolo di governatore del New Jersey a favore di Christopher Christie e di Creigh Deeds superato da Bob Mc Donnell in Virginia. Le elezioni sono state, dunque, un terremoto per tutti coloro che sedevano al posto di comando, che in questo caso erano per lo più democratici e, dunque, colleghi di partito del presidente Obama che, inevitabilmente, viene chiamato in causa per la sua parte di responsabilità. Eppure, i sondaggi realizzati ieri nei vari Stati confermano, con alte percentuali, che il voto locale era considerato

IRAN

Spari contro l’opposizione

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ariche, manganellate, e spari delle forze di sicurezza contro le migliaia di manifestanti dell’opposizione che ieri a Teheran hanno cercato di raggiungere l’ambasciata Usa dove si teneva una dimostrazione del regime per i 30 anni della presa di ostaggi. Da Washington il monito: speriamo che la violenza non aumenti.

Michael Bloomberg, sindaco di New York per la terza volta consecutiva (FOTO ANSA)

“cosa diversa” dalla politica del governo. Credibile se si pensa che in New Jersey dove la corruzione è un problema serio, Christie ha vinto promettendo “pulizia e chiarezza” mentre in Virginia, stato flagellato dalla

BUONE NOTIZIE

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disoccupazione, McDonnell ha assicurato nuovi posti di lavoro. Non va dimenticato, inoltre, che le percentuali di votanti sono tornate a essere molto basse, confermando l’unicità delle elezioni del 2008.

Profonda delusione, invece, per i promotori del referendum a favore dei matrimoni gay, svoltosi nel Maine: un’inaspettata sconfitta rende ancor più in salita il cammino di questa battaglia civile.

Una mela al giorno toglie il teppista di torno La scuola Central Alternative High School di Appleton nel Wisconsin era un vero covo di violenti. Le avevano provate tutte per abbassare il numero di risse e aggressioni senza successo. È stato quindi forse per disperazione che alla fine hanno accettato la proposta di Barbara Reed Stitt, autrice di “Food and Behavior, A Natural Connection”. L’idea, un po’ assurda è stata quella di lanciare una campagna di informazione nelle scuole sull’importanza della cura del proprio corpo e di una corretta alimentazione.

Sono stati quindi sostituiti i cibi sintetici che i ragazzi compravano nei distributori automatici con alimenti naturali: succhi di frutta, dolci biologici e frutta fresca. Incredibile ma vero, i ragazzi hanno smesso di picchiarsi. Energia solare in India Per la prima volta il governo indiano ha annunciato che, invece di costruire centrali a carbone, entro il 2020 investirà 19 milioni di dollari per la produzione di 20 GigaWatt dall’energia solare. (di Jacopo Fo, Simone Canova, Maria Cristina Dalbosco, Gabriella Canova)

“OSAMA BIN LADEN È VIVO E LOTTA CONTRO DI NOI” Turki Al Faisal, storico direttore dei servizi segreti sauditi: un’alleanza per decapitare Al Qaeda za. Lei crede che sia ancora vivo? “Oh, Bin Laden è vivo e sta bene. Secondo le mie inl Qaeda? “È come l’Idra: una testa con tanti ser- formazioni, non è mai stato sottoposto, come invece penti che ne fuoriescono. Se non tagli la testa, i si è sostenuto, a dialisi. Su questo argomento sono serpenti continueranno a riprodursi. Il problema è stati pubblicati molti articoli, ma non era vero niente. come raggiungere la testa. E questo non è ancora av- Bin Laden non ha mai sofferto di malattie ai reni”. Vari esperti ed editorialisti sono convinti che se venuto”. Sua altezza reale il principe Turki Al Faisal, presidente anche Bin Laden venisse ucciso, il terrorismo del King Faisal Center for Research and Islamic Studies di che si ispira a lui non diminuirebbe nel mondo. Riyadh, parla con il Fatto Quotidiano dei temi che co- Lei che cosa ne pensa? nosce da decenni: il suo ex connazionale Osama Bin “La penso diversamente. Bin Laden è un’icona. Così, Laden, Al Qaeda e gli attentati che giorno dopo gior- se viene eliminato, non ci sarà più un punto di rino mietono vittime in Afghanistan e Pakistan, grazie ferimento a cui guardare. Un martire attrae di meno, e ha meno fascino, rispetto a chi è in vita, agisce e all’alleanza tra la stessa Al Qaeda e i Taliban. Di recente Bin Laden è uscito allo scoperto, due sopravvive ai tentativi di assassinarlo. Bin Laden è un volte in settembre, lanciando messaggi al monculto e, come ho già detto prima, se si vuole ridurre la do. Una sua, presunta, immagine è circolata pro- capacità operativa di Al Qaeda, bisogna colpirne la prio in questi giorni. Ma molti commentatori in testa. Insisto. È importante arrestare, e far fuori, Bin passato hanno espresso dubbi sulla sua esistenLaden, la testa dell’Idra. Non ci sarebbe stato nessun Mohammed Atta senza Bin Laden. E sono soddisfatto di sentire quanto il presidente americano Barack Obama afferma sui terroristi: sono i principali nemici”. Perché è così difficile sconfiggere Al Qaeda l principe Turki Al Faisal, e i jihadisti? figlio dell’ex re Faisal e ni“A metà degli anni Nopote dell'attuale monarca – il vanta Al Qaeda è stata re Abdullah – è nato nel considerata alla stregua 1945. Ha studiato alla Geordi altri gruppi terroristigetown University di Waci, come quello di Abu shington. Nel 1973 è stato Nidal o le Brigate rosse. nominato consigliere della Solo dopo l'11 settemCorte reale. bre è stata percepita coDopo aver ricoperto l’incarime un fenomeno muco di massimo responsabile tante, pronto a trasfordei Servizi arabi d’intelligenmarsi in qualcosa di dice per 24 anni, fino a poco verso. Nessuno riuscirà prima dell’11 settembre a prendere tutti i jihadi2001, nel 2002 è diventato sti. Credo che Bin Laden ambasciatore del suo paese potrebbe essere amnel Regno Unito e in Irlanda. mazzato solo in seguito Tre anni dopo è stato ambaa operazioni speciali basciatore a Washington, fino al Il principe Turki Al Faisal ( ) sate su un buon net2006.

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Il principe degli 007

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FOTO LEO SISTI

Aznavour: restituite le terre

a cura della redazione di Cacaonline

MELE FATATE ED ENERGIA INDIANA

di Leo Sisti

ARMENIA-TURCHIA

work di intelligence. Si deve creare un grosso centro multinazionale di controspionaggio che coinvolga tutti gli Stati. Dopo aver riunito queste forze in un solo luogo, sarebbe possibile catturare quella gente. Subito dopo però gli americani dovrebbero andarsene dall’Afghanistan. Non si può risolvere la questione afghana con i soldati Usa e della Nato. L’opzione militare va respinta. Non dimentichiamo che gli attacchi dei droni (aerei senza pilota, ndr) hanno fatto più morti tra i civili che tra i Taliban”. Qual è la “sua” soluzione per l’Afghanistan? “Il Regno ne ha caldeggiata una, diplomatica, tramite colloqui di pace che avessero luogo in Arabia Saudita tra autorità afghane e Taliban”. Obama ha promesso di chiudere Guantanamo, liberando i detenuti, meno gli “irriducibili”... “Nel mondo Guantanamo è l’ ‘occhio nero’. Chiuderlo è la cosa giusta”. Quanti militanti sauditi di Al Qaeda sono ritornati in Arabia Saudita da Guantanamo? “570, che hanno seguito un programma di riabilitazione. Solo 11 di questi sono tornati sui vecchi passi. È una buona percentuale. E i nostri amici americani hanno inviato da noi squadre di osservatori per dare un’occhiata a questi nostri programmi”. Come si possono migliorare le relazioni tra gli Usa e il Mondo musulmano? “Realizzando i fatti sul terreno, si tratti dell’Afghanistan o della Palestina. Quest’ultima, a esempio. Fin dalla nascita di Israele nel 1948 sono state presentate innumerevoli proposte e iniziative per trovare una soluzione: di nuove non si vede la necessità. È sempre la proposta dei due Stati, sulla base del compromesso dei confini del 1967: Gerusalemme Est come capitale della Palestina; ritiro di Israele dai Territori occupati del Libano e della Siria; accordo sulla vicenda dei rifugiati”. Quante volte ha incontrato Bin Laden? “Oh, è una lunga storia. Ci siamo incontrati 5 volte tra la metà degli anni Ottanta e il 1990. L’ultima volta, a Gedda. Ma in precedenza l'avevo visto in Pakistan. A quell’epoca era un bravo ragazzo, aiutava i mujaheddin afghani rifornendoli di cibo, medicine, camion, bulldozer. Voleva liberare l’Afghanistan dai marxisti. Poi ha lasciato l’Arabia per trasferirsi in Sudan. Era il 1992. Due anni dopo il Regno ritirò il passaporto di Bin Laden, privandolo della nazionalità saudita”.

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harles Aznavour (nella foto), cantautore francese d’origine armena, attuale ambasciatore armeno in Svizzera, chiede che la Turchia restituisca all’Armenia una serie di territori: “Quando nacqui nel 1924, agli armeni promisero la restituzione delle terre, che finora non c’è stata”. I due paesi hanno ristabilito relazioni diplomatiche il mese scorso.

FRANCIA

Coprifuoco per gli under 13

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oprifuoco per gli under 13: sulla proposta del ministro degli Interni francese, Brice Hortefeux si è scatenata la polemica politica in Francia. La misura sarebbe tesa a ridurre gli atti di teppismo, vietando ai ragazzi sotto i 13 anni di uscire nelle ore notturne se non accompagnati. Contrari opposizione, forze dell’ordine, magistrati e anche parte della maggioranza.

GRAN BRETAGNA

Sindaco di Londra salva una donna

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l sindaco di Londra Boris Johnson ha salvato una donna aggredita da un gruppo di ragazzine, mettendole in fuga e rincorrendole in bici. Franny Armstrong (regista e militante ambientalista che votò contro Johnson) circondata dalle teppiste, ha chiesto aiuto a un ciclista di passaggio, il sindaco della capitale.

CINA

Spunta nuovo fratellastro Barack

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n Cina da 7 anni vive un fratellastro di Barack Obama, che col presidente Usa condivide il padre. Mark Okoth Obama Ndesandjo, 43 anni ha presentato il suo romanzo d’esordio, nel quale descrive anche il carattere autoritario e violento del padre.


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Giovedì 5 novembre 2009

SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out

L’INTERVISTA

Francis Ford Coppola al Torino Film Festival

Lutto Addio a Stefano Chiodi, ex di Milan e Bologna

Sky nei guai La Corte di Milano accoglie il ricorso di Conto tv

Amelio Il direttore di Torino Film: “C’è sempre una prima volta”

VORREI FARE UN FILM CON VERDONE di Federico Pontiggia

Francis Ford Coppola: al Torino Film Festival con Segreti di famiglia (FOTO ANSA)

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iente è successo realmente, ma è tutto vero, tremendamente vero”. E, soprattutto, Tetro, il nuovo film formato famiglia di Francis Ford Coppola, che dalla Quinzaine di Cannes arriva in anteprima italiana al 27° Festival di Torino (13-21 novembre) nell’omaggio alla sua casa di produzione American Zoetrope. Sotto la Mole, Coppola ed Emir Kusturica, che porterà una versione di quasi 7 ore del suo capolavoro Underground, riceveranno il Gran Premio Torino, da quest’anno assegnato – dice il neodirettore Gianni Amelio – “a quei registi che hanno lasciato una traccia indelebile nell’arricchimento del linguaggio cinematografico: non un riconoscimento alla carriera, ma un attestato d’eccellenza”. Dal 20 novembre in sala con Bim (che a Torino porterà in concorso anche l’atteso documentario di Pietro Marcello, La bocca del lupo), Segreti di famiglia, questo il titolo italiano, è ideato, scritto e diretto da Coppola e girato in un superbo bianco e nero: il colore compare solo per i flashback, la fotografia di Mihai Malaimare Jr. è da Oscar. Nella cornice della Boca di Buenos Aires, il melodramma scava nei conflittuali rapporti familiari del protagonista Teatro (Vincent Gallo, bravo), ossessionato dall'idea di "uccidere il padre", celebre quanto egocentrico direttore d'orchestra (Klaus Maria Brandauer, mefistofelico), che non esita a rubargli la fidanzata e a stroncare le sue potenzialità letterarie perché, dice, "non può esserci più di un genio in famiglia". Il cinema per lei rimane una grande famiglia: Tetro è l’ennesimo figlio. La famiglia è il nucleo più importante. Se amo questo lavo-

Ma? Ma sono un uomo fortunato, molto fortunato: ho vinto tutti i premi che un uomo di cinema possa desiderare, dalla Palma d’Oro agli Oscar. E se sono un uomo ricco, oggi lo devo al mio vino (appassionato produttore vinicolo, dice di “aver avuto vino alla mia tavola per tutta la vita. Anche i bambini potevano berlo, mischiato con ginger ale o lemonsoda”): il cinema lo faccio perché lo desidero, non perché ne ho bisogno. Come vede i colleghi più giovani rispetto alla vostra generazione d’oro? Il rimpianto del passato è uno stereotipo: bisogna guardare al presente con obiettività, e ottimismo. Vedo tanti bravi registi: da Spike Jonze ad Alexander Payne, passando per Catherine Hardwicke, Tamara Jenkins, Gus Van Sant, Steven Soderber-

Merini Milano pensa di dedicarle un ponte sul Naviglio

gh. Certo, non è il mainstream il loro terreno privilegiato, ma l’arte indipendente: sono tanti e straordinari, forse è il mondo a non meritarli, e non il contrario. E le stesse valutazioni dovremmo farle in tutti i campi, quando giudichiamo le giovani generazioni. Le sue origini sono italiane, e il suo presente? Torno appena posso, per me l’Italia significa molto, anche se spesso, devo ammettere, mi preoccupate! Del vostro cinema, mi sono rimaste nel cuore le commedie feroci di Germi, De Sica, Monicelli e Rosi. E quello straordinario attore di Alberto Sordi, che ebbi la fortuna di conoscere. Fu lui a parlarmi di un collega molto bravo: Carlo Verdone. Chissà, se avesse una bella sceneggiatura, sarebbe bello fare un film insieme.

IN MOSTRA Faber, allo specchio un anarchico solitario di Fabrizio De André stava L’dopoanarchia anche nella scelta di fare il primo tour i 35 anni. In quella paura del pubro, è perché posso parlarne con mia figlia Sofia. E lavorare con mio figlio Roman, guardare i documentari che mia moglie fa sui miei set. In famiglia succede tutto: lì trovi quasi tutte le domande, e molte delle risposte. Un film molto personale? Non solo per i molti riferimenti alla mia storia familiare - ne avete notati ancor più rispetto a quelli che ho voluto inserire -, ma perché, assegnando da sempre la paternità del film a chi aveva scritto la storia, rimanevo in attesa di poter scrivere, un giorno, il mio: "A Coppola's film”. Il lavoro più difficile, ma anche quello più essenziale, è la sceneggiatura. Ammiro chi come Woody Allen ogni anno firma un nuovo script originale: vorrei esserne capace anch’io. Scrivere rende liberi? Certo, Tetro è un inno alla mia libertà! Dopo il flop di Un sogno lungo un giorno che travolse la mia Zoetrope, per un decennio ho fatto quasi un film su commissione all’anno per pagare i miei debiti con le banche. Ov-

viamente, non avevo più il controllo pressoché totale che avevo ottenuto con Il Padrino. Solo dopo Dracula ho estinto i debiti, e sono finiti questi problemi. Oggi posso infischiarmene del movie-business. Che decisamente non le piace. No, non mi piace il cinema che si vive tra le mura degli uffici marketing, pensa alla televisione e pretende grandi incassi a scapito della qualità e della gioia di creare. Sono stufo di budget direttamente proporzionali alla stupidità dell’opera. Sono sorpreso: quando pensi ai film contemporanei, ogni cosa deve essere semplice e sottodimensionata. Se cerchi di fare qualcosa di poco più ambizioso, sei immediatamente bollato pretenzioso o preso a schiaffi in faccia. Amo la grandezza, letteralmente, e sono triste di sapere che negli States i nostri film ormai raggiungono solo 4mila schermi. Anche per questo, me ne sono andato in America Latina.

blico che non assoceresti mai al «più grande poeta della seconda metà del ’900», come lo chiamava Fernanda Pivano. O forse De André era anarchico punto, ed è questo che torna insistentemente nelle note che accompagnano gli scatti di Giorgio Harari, “fotografo di bordo” che finì per seguirlo in tournée e per documentare gli ultimi anni della sua vita. Faber era il tipo che “amo farmi guardare, ma non fotografare”, e adesso invece ecco questi Sguardi randagi (in mostra allo spazio Bipielle Arte di Lodi fino al 19 gennaio) diventare il più grande album della sua vita d’artista, e di uomo. Ottanta fermi immagine, mai così tanti, tutti insieme. Ci sono i tour, dunque. Da quello con la Pfm del 1979, dove ogni session diventava un caravanserraglio, all’ultimo (stagione ’97/’98) con la moglie Dori Ghezzi e i figli Cristiano e Luvi. Ci sono le prove e la sera della prima, e mille sigarette, e tanto Glen Grant, in più di una fotografia in qualche angolo sfuocato, almeno quanto gli occhi di Fabrizio dopo le sue bevute. C’è la vita privata, ed è Dori. Che gli taglia i capelli, che canta con lui in scena, che saluta dalla finestra incorniciata d’edera della grande casa dell’Agnata, il buen retiro sardo, negli scatti più patinati in Timber-

land e occhiali fumé. C’è il figlio Cristiano, e l’amico Mauro Pagani, compagno di sudate carte (anche quelle da gioco). C’è Faber a letto che legge di sé sul giornale. Proprio su Il Giornale, che – era il ’97 – titolava “Fabrizio De André, la dolce voce dell’anarchia”. Ecco, appunto. è tanta politica, perché tutto è poliC’ tico quando si parla di Faber. L’anarchia si intreccia con l’utopia (anche questa parola quante volte, nei suoi appunti) e si esprime nella satira, l’unica lente con cui è possibile leggere le cose del mondo: lo dice a proposito dell’album Le nuvole, con relativo ciclo di concerti (e altri scatti) nel ’91, quello nella sua Genova il più bello di tutti. Dalle note per un’intervista rilasciata nel ’90 proprio all’amico Harari per il mensile King: “I problemi più grossi nascono nel momento in cui un cervello incrinato si vede in uno specchio incrinato. Allora può anche accadere che una testa di cazzo come Saddam Hussein decida di invadere il Kuwait”. Lo specchio incrinato che poi spesso si chiama solitudine. Faber che dorme per terra accanto al termosifone nei corridoi dei teatri. Faber in un angolo, con la faccia al muro. Faber che si guarda davvero in uno specchio, in una di queste istantanee. Il suo sguardo si perde, ma lui trova qualcosa. Mattia Carzaniga


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SECONDO TEMPO

GIALLO

NON VOTO ANTONIO

Alla base dell’ostracismo lippiano una ridda di ipotesi su Cassano e il figlio del ct di Malcom

Pagani e Carlo Tecce

Antonio Cassano in un momento di gioia allo stadio “Ferraris” (FOTO EMBLEMA)

di un delitto. E di Agna,natomia un’esclusione. Cassano seincanta e come il Bologna di Bernardini, gioca in zona Paradiso. Lippi non lo convoca. E’ un rifiuto altero. Se gli domandano ragioni o retroscena, il tecnico si infuria. “Motivazioni tecniche e psicologiche”. Gli è “simpatico” ma lo dimentica costantemente. Un caso. Con il naturale affollarsi di ipotesi, non tutte commendevoli o decifrabili. Saprebbero in molti, nessuno si azzarderebbe a scriverne. Cause di forza maggiore. Blog e forum debordano di illazioni, i protagonisti allontanano i sospetti. Pochi mesi prima del mondiale tedesco, un dialogo tra i due, pareva aver spalancato uno squarcio sull’indifferenza. “Mi auguro che tu possa giocare con continuità, in quel caso avrai molte possibilità di venire con noi. Altrimenti sarà molto difficile chiamarti. Mettiti nei miei panni, Antonio”. Cassano è rinato. Non basta. Poi, dopo mesi di silenzio, il presidente della Samp Garrone, alieno alla diplomazia, si lascia scappare qualcosa a Radio Capital. E’ più di un indizio, meno di una prova: “Conosco le ragioni alla base della mancata convocazione. Può darsi che un giorno venga fuori questa storia e sarà brutta. Molto brutta”. Passa qualche ora, la Figc s'indigna e minaccia sanzioni disciplinari, allora Garrone ritratta e, nella retromarcia, alza altra polvere che confonde i già sfumati contorni della vicenda : “Nessuna dietrologia o fatto grave d'alcun genere per le mancate convocazioni” per poi accennare a misteriose “malelingue capaci, negli ultimi mesi, di gettare ombre

prima di sbattere la porta e aprire un’impresa in proprio, Lippi nega. Sui colpi proibiti, smentiscono entrambi. Sul tentativo di ratto ai danni dello storico agente di Cassano, interviene Giuseppe Bozzo medesimo: “Con Davide Lippi ho un eccellente rapporto. Non so da dove escano notizie del genere. Faccio un appello: lasciate in pace il selezionatore. Sceglierà in libertà e non credo abbia nessuna voglia di optare per l’autolesionismo”. Lippi Jr. derubrica a

abbracci e pacche sulle spalle. Marcello Lippi non disdegna lo scontro. Bobo Vieri, Deschamps, Panucci. Se tra la progenie e Cassano, ci fossero stati davvero pugni, sputi e colpi di testa, il volo del barese in Sudafrica sarebbe stato comunque impossibile. Lippi ha sempre rifiutato un processo pubblico sulle sue scelte: non vuole spiegare, anzi s'arrabbia, infiamma i suoi occhialoni come se aspirasse il sigaro con violenta foga. Nasconde qualcosa? Possibile. I due protagonisti sono i primi a oscurare i dubbi che milioni di tifosi frullano tra toni tragici e farseschi, a volte con sfumature drammatiche. E’ sempre successo, accadrà ancora. Rivera, Beccalossi, Baggio. Alcuni calciatori disturbano per il solo fatto di esistere. Oscurano la sacralità del gruppo. Polarizzano l’attenzione. Ogni tanto, nelle epoche, i commissari tecnici hanno svolto referendum illegali al riparo dello spogliatoio. “Lo volete o no?”. Il voto su Cassano? Un plebiscito in negativo. Tra i contorni dilatati di un quadro barocco, emergono le differenze. I caratteri distanti, le divergenti

Sui blog e nei forum è tempo di dietrologie e illazioni. Per gli appassionati, la verità sul diniego di Lippi risiederebbe nei rapporti tesi tra Mazzarri e il talento di Bari sui comportamenti di Antonio”. Di chi parla il presidente petroliere? L’identikit corrisponderebbe, secondo alcune ricostruzioni apparse sui giornali, alla sagoma di Walter Mazzarri, toscano di San Vincenzo e lippiano di antica osservanza. L'allenatore che aveva rigenerato Cassano e concedeva interviste sulla resurrezione del suo Lazzaro, ora tace. I rapporti, oltre luci e sorrisi ad uso di tifosi e fotografi, sarebbero diventati pessimi. L’esuberanza di Cassano, la durezza di Mazzarri. Pezzi di vetro. I gavettoni del barese che spuntavano dalle finestre più anguste di Bogliasco, scherzi sopportati a fatica. Gag ripetute senza che Cassano si interrogasse sul punto di rottura. Perchè nonostante sforzi e maquillage, l’identità non è un vestito. Non si cambia. Cassano, giurano, è rimasto tale. Mazzarri

da giovane, non era diverso dall’ex allievo. Impennate d’orgoglio e litigi. Bersaglio fisso, un altro conterraneo, Papadopulo. Nella maturità, l’attuale guida del Napoli, ha conosciuto il mutamento di prospettiva. A Genova non tollerava ritardi, telefonate e l’universo di piccoli privilegi che a Cassano, in nome di un talento riconosciuto, venivano frequentemente concessi. La faccia tosta, quella di sempre. Gli altri sul pulmann con i motori accesi e Antonio davanti alla tv, per dirette con finestra sul tennis a poche ore da una gara importante. Richiami inutili, senso del dovere plasmato, ad arte, sul campione. Sommando gli episodi, si svelerebbe l’arcano. Mazzarri avrebbe telefonato a Lippi. Parole non tenere. Credibile? Forse. Garrone tardivamente pentito, tono da improvvisato politico, accarez-

za il Ct: “Marcello Lippi, nell’esercizio delle sue funzioni, ha l’autorità di chiamare in maglia azzurra chi meglio crede e reputa funzionale al suo progetto. Non era certo mia intenzione mettere in difficoltà la Federazione, il tecnico o lo stesso Cassano”. E la risposta di Lippi, ad orologeria. "Ho letto con piacere la smentita di Garrone. Se ci fossero state cose particolari, sarei stato curioso di saperle anche io. Non le conosco". L’uovo ha rivelato le crepe. Dai cassetti nebbiosi di redazioni che l’avrebbero tenuta in sonno, emerge la presunta rissa tra Cassano e Davide Lippi in una discoteca. Versilia primavera/estate 2009. Due versioni. Lievi differenze. Affare di donne e complimenti mal digeriti da Cassano o offerta (rifiutata) di una procura da parte di Lippi Jr. Già sodale di Alessandro Moggi nella Gea,

leggenda metropolitana l’intera ricostruzione: “ Mi pare di sognare”, rivela al telefono e fa di più. Racconta di un'intensa amicizia con il fantasista, rafforzata da un amico in comune, un nuovo talento di Bari vecchia. Lippi Jr. è il procuratore di Mannini e tra l’artista e l’agente (si sono incontrati recentemente alla vigilia della gara con la Lazio), sostengono univocamente, sarebbe un allegro florilegio di

che per chimica e indole, non si incontreranno mai. A 10 anni da quel Bari-Inter, tacco, corsa e magìa di un’esistenza intera, Cassano è davvero cambiato? “Se non ci fosse stata, sarei diventato un rapinatore, uno scippatore, comunque un delinquente. Molti conoscenti sono stati arruolati dai clan. Quella gara mi ha allontanato dalla prospettiva di una vita di merda”. Anche senza Sudafrica.

DILLINGER NON MUORE MAI JOHNNY DEEP INTERPRETA MAGNIFICAMENTE IL CRIMINALE BRACCATO DALL’FBI di Elisa Battistini

ohn Dillinger si aggira indisturbato per l'ufficio Jrapinatore della Polizia di Chicago. Siamo nel 1934 e lui è il di banche più ricercato degli Stati Uniti. Non è travestito. Ha semplicemente sfidato la sorte. Come al solito. Gli agenti, che si occupano del suo caso sotto l'egida del neonato Federal Bureau of Investigation voluto da Hoover, non notano Dillinger che passeggia. E osserva tutte le foto che l'Fbi ha appeso alle pareti per ricostruire la sua parabola di criminale. Pareti fitte di sue immagini, di quelle della sua donna, dei suoi complici. Dillinger e la sua vita sono dispiegati in quella stanza. Tutti i poliziotti d'America lo stanno cercando. Ma nessuno lo vede camminare in carne e ossa. L'impalpabilità del mito, la sua virtualità, è il tema portante del nuovo film di Michael Mann, Nemico pubblico (nelle sale da domani, distribuito dalla Universal Pictures Italia), che il New York Times ha definito una “densa e bellissima opera d'arte”. Nella versione di Mann, la quindicesima della storia del cinema americano, Dillinger è incarnato da un ombrosissimo Johnny Depp. Perfettamente in linea con l'ineffabilità del personaggio. Mentre l'antagonista del rapinatore, l'agente speciale Melvin Purvis che ha l'ordine di catturarlo, ha il volto di Christian Bale. Due divi antagonisti mai in scena contemporaneamente (scelta che Mann aveva già

fatto con De Niro e Pacino in The heat) ma destinati a incrociarsi sul finale, quando il “Robin Hood” della Grande Depressione viene ucciso. Mann mette in scena i dieci mesi che precedono quel momento, a partire dalla spettacolare, coreografica, evasione dal Carcere di Lake County, Indiana. In cui Dillinger libera la sua gang e i lancia in un folle volo di fughe, rapine alle banche, passione e morte. Nel film viene dato ampio spazio alla storia d'amore con Billie Frechette (Marion Cotillard), che rafforza la fisionomia del protagonista come eroe romantico. In realtà, uno spregiudicato che intuisce il potere dei media, la loro capacità di creare realtà. Uno che, a chi gli propone di sequestrare le persone anziché rapinare le banche, risponde: “Alla gente i rapimenti non piacciono”. Per questo, la scena dell'ufficio di Polizia è la scena chiave, che fornisce la lettura forte al lavoro di Mann. Un'opera lussuosa, molto raffinata, che si sofferma sul valore del mito per la (nascente) comunicazione di massa, in cui ha un ruolo importante proprio il cinema. Dillinger è un simbolo

per il paese (quegli Stati Uniti attraversati negli stessi anni dalle scorribande di Bonnie e Clyde) e nutre l'immaginario di milioni di americani. Che vedono in lui la vendetta contro le casse forti degli istituti di credito, ritenuti responsabili della povertà del paese. L'altra scena chiave, non a caso, è ambientata in una sala cinematografica. Ancora più forte, stilisticamente più ragionata. Perchè Mann passa dalla realtà alla fiction per approdare nuovamente alla realtà. Vediamo Hoover mentre sta addestrando le sue 'truppe' per trovare Dillinger. L'immagine diventa quella di un cinegiornale proiettato in un cinema, dove siede il ricercato. Hoover, dallo schermo, chiede a chiunque veda quell'uomo di fare qualcosa. Ed esorta gli spettatori a guardarsi attorno. Ma, ancora una volta, nessuno vede Dillinger, l'uomo “invisibile” che esiste solo nell'immaginario. E pensare che, nella realtà, l'uccisione del gangster fu uno dei punti più importanti messi a segno dal dipartimento guidato da Hoover, in quel momento ostacolato da molti. Dillinger è morto a 31 anni, il 22 luglio

Esce domani il nuovo film di Michael Mann, che racconta mito e storia del rapinatore di banche più ricercato degli Stati Uniti

1934, a Chicago. All'uscita di un cinema, dove aveva visto Manhattan Melodrama con Clarke Gable e Myrna Loy (caso che piace al regista, visto che i due divi degli anni '30 sono identici a Johnny Depp e Marion Cotillard), un poliziesco. E Nemico pubblico è anche una sontuosa passeggiata nel cinema di genere. Con una ricchezza di riferimenti enorme, in cui si possono isolare Brian De Palma e Arthur Penn. Del primo, Mann cattura il meglio: l'eleganza dei movimenti di macchina e la precisione nelle ambientazioni (a Chicago, poi, si svolge anche Gli Intoccabili in cui, nella stessa Union Station filmata da Mann, De Palma realizza una delle scene madri). Mentre del Penn di Gangster Story ci sono reminiscenze nei momenti di fuga, nelle crivellate di mitra che uccidono molti personaggi e nella scena quasi onirica, in mezzo al nulla, in cui i due amanti (là Bonnie e Clyde, qui Dillinger e Billie) si trovano soli, destinati alla separazione e alla morte. Il regista di Collateral realizza insomma con Nemico pubblico una sorta di ‘musical colto’, fatto di ‘numeri’, di scene studiate e perfetti cambi di stile. Girato in Hd, come una partitura il film ha virate inaspettate (l'utilizzo di una nervosissima steadycam dopo momenti riflessivi) e scansioni ritmiche sorprendenti. Forse il suo difetto sta proprio però nell'estrema cura, che paradossalmente crea un certo distacco emotivo con lo spettatore.


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SECONDO TEMPO

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

TELE COMANDO TG PAPI

Strappo di Maroni di Paolo Ojetti

g1 T Doverosa e come sempre rituale giornata delle Forze Armate nel Tg1, come in tutti gli altri Tg. Si vuole istituire una giornata per i caduti in Iraq, come in Afghanistan, ovunque siano o siano stati presenti i nostri militari, da aggregare a quelle dei caduti di tutte le guerre, risalendo al Risorgimento e oltre. Ma c’è una forza armata attivissima e che per ora è esclusa dalle celebrazioni: si tratta della famosa brigata guastatori Bruno Vespa. Anche ieri ha colpito la cittadella dell’informazione con le anticipazioni del suo libro (ormai un tomo di migliaia e migliaia di pagine) diffondendo l’ultima dichiarazione esclusiva di Berlusconi: “Sono favorevole all’elezione diretta del premier anche perché di fatto ciò già avviene”. Da altri punti di vista, proprio questa sarebbe la grande jattura nazionale, ma l’idea di Berlusconi di farsi eleggere per acclamazione plebiscitaria non è nuova e circolava molto prima che la brigata Vespa invadesse i telegiornali e non solo. Il collega di Repubblica, Sebastiano Messina, ha calcolato che, martedì sera compreso, le incursioni di Vespa armato di libro, sono state 27. Siamo già a 28, un primato.

g2 T Vespa spunta anche nel Tg2, ma le sue “antici-

pazioni” si arricchiscono: Berlusconi non solo vuole l’elezione diretta da parte del popolo, ma pensa anche che il popolo possa scegliere “la forma di governo”. Cosa significhi, nessuno lo sa: vuole gli arconti, il consolato, la dittatura provvisoria (alla Cincinnato, per capirsi), il direttorio, un Lord protettore, la satrapia macedone o che altro? Finalmente libero da Vespa e in presa diretta fra i terremotati, il “premier” abbandona i disegni istituzionali, si attualizza e rispolvera vecchi cavalli di battaglia: tutti gli vogliono male e lavorano a pieno regime le “fabbriche dell’odio”. Chissà se anche questa frase finirà nel libro di Vespa e, automaticamente, nella Storia. g3 T Alla fine si respira politica. È sul Tg3 che si apprende dello “strappo” fra Maroni e Tremonti sui tagli della spesa ai danni delle forze di polizia e affini. Ma la cosa più succulenta sta nel fatto che Maroni, preso dalla foga del ministro scippato, annuncia: se le opposizioni propongono di ridurre i tagli, noi della Lega voteremo con loro e ci sentiremo liberi dagli accordi di maggioranza. Apriti cielo, anzi, apriti Bossi: “Maroni, ma l’ho preso su che era un ragazzo”. Insomma, stia calmo, che decido io. E non è finita. Il Tg3 mette in bella evidenza che Berlusconi, Bossi e compagnia si dovevano incontrare per decidere le candidature alle Regionali. Tutto rinviato, tutto da rifare: il braccio non è più di ferro: è d’acciaio.

di Nanni

Susanna draconiana Delbecchi

embra che i clienti dei Sscetransessuali siano in ambaperché, d’improvviso, i loro favoriti sono scomparsi dalla circolazione. E’ il caso di tranquillizzarli. Non c’è stata nessuna partenza in massa per il Brasile; più semplicemente, stanno tutti in televisione. Martedì sera la bolla transgender ha raggiunto il picco; su “Porta a porta”, “Matrix” e “Le jene show” che si contendevano storie di vita, dichiarazioni esclusive e filmati bollenti; quei furbacchioni delle jene, con la scusa dell’incursione pirata, hanno perfino mostrato una tal Fernanda in tutto il suo splendore. Un’altra categoria molto gettonata nell’ultima settimana è stata quella degli scrittori. A “Che tempo che fa” abbiamo visto Nicolò Ammaniti in versione country, intervistato da Fabio Fazio sul suo ultimo libro, ma soprattutto desideroso di parlare d’altro. C’è chi è scrittore, come Ammaniti, e c’è chi lo fa. Come Susanna Tamaro, intervistata a sua volta da Daria Bignardi a “L’era glaciale”. Erano ben tre anni che la Tamaro non andava in tv, ha esordito la conduttrice nel presentarla,

e finalmente ha ceduto alle mie insistenze. Quando si dice che uno se le va a cercare. er la rentrée Susanna TaPta con maro si è presentata vestiuna giacca che ricordava il Signor Bonaventura, con cui si poteva notare anche una certa rassomiglianza fisica; senza però quella felicità d’animo tipica del personaggio uscito dalla matita di Sergio Tofano. Anzi, nonostante la Bignardi ce la mettesse tutta per rompere il ghiaccio, a memoria di spettatore non si ricorda un’era tanto glaciale. C’era anche qui un libro da presentare, la favola intitolata “Il grande albero”; e per un po’ se ne è parlato. Poi, temendo forse la monotonia, l’intervistata ha virato su altri argomenti. Uno in particolare: se stessa. Abbiamo così scoperto, tra l’altro, che da ragazza la Tamaro a scuola andava maluccio. Al punto che un professore le predisse che nella vita, al massimo, avrebbe potuto fare la commessa. Certo, quel professore era un pessimo conoscitore del Susanna Tamaro, ospite di Daria Bignardi a “Le invasioni barbariche”

prossimo. Non solo perché la sua studentessa ha poi dimostrato di saper fare altro; ma soprattutto perché non vorremmo essere nei panni del negoziante che avesse come commessa Susanna Tamaro. Infine, la Tamaro ha parlato dei suoi rapporti con la tv, che sono i rapporti classici degli scrittori italiani con la tv. Da manuale. Essi consistono nel parlarne malissimo e nel non andarci mai - a meno che non ci sia da presentare un nuovo libro. n quel momento, per inIdegna canto, anche la tv ridiventa di essere vista, e perfino benemerita; anche se il giudizio di fondo non cambia. “Bisognerebbe vietare la televisione ai bambini almeno fino ai sei anni”, ha dichiarato Tamaro, riscuotendo un applauso a scena aperta dal pubblico (televisivo). Una proposta interessante, ma forse troppo draconiana. In alternativa, si potrebbe provare a mandare in onda un’intervista a Susanna Tamaro tutti i giorni, invece che una volta ogni tre anni. Siamo pronti a scommettere che i bambini, di loro spontanea volontà, spegnerebbero il video.


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SECONDO TEMPO

MONDO

WEB

di Federico

sarx88

è ANTEFATTO SU FACEBOOK Commenti allo status: “Bersani è da dieci giorni il leader del Pd. Cosa aspetta a fare qualcosa di sinistra, magari iniziando a dirla...?”

Mello

Gasparri all’attacco di Salvatore Borsellino alvatore Borsellino era di“S sistimato dal fratello, lei è giovane e non lo sa” questa la risposta di Maurizio Gasparri a una ragazza del “Popolo delle Agende Rosse”, l'associazione che si batte per chiedere verità e giustizia sulla trattativa tra mafia e Stato dei primi anni Novanta. Gasparri era a Pescara, relatore ad un dibattito per il premio “Paolo Borsellino”. Salvatore Borsellino si era detto del tutto contrario alla presenza di Gasparri: in una lettera aperta aveva dichiarato: “Contesteremo nella maniera più dura chi vorrà strumentalizzare il nome di Paolo Borsellino utilizzando un premio a lui intitolato per tentare di ripulire la propria immagine, mentre nei discorsi e nelle azioni quotidiane contribuisce, attaccando anche e demonizzando la magistratura allo scopo di tutelare gli interessi del proprio padrone, ad alimentare il puzzo del compromesso morale che ammorba l'aria del nostro paese. Chiediamo che rinuncino a partecipare i rappresen-

tanti delle Istituzioni, quali Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, altrimenti non potremo fare a meno di contestare la loro partecipazione a questo Premio”. Ma Gasparri ha confermato la sua partecipazione e così il Popolo delle Agende Rosse si è mobilitato. “In tre giorni abbiamo lanciato un appello su Facebook”, ci dice Massimiliano De Angelis del movimento. “Ci siamo trovati in una cinquantina a Pescara, davanti al palazzo della provincia dov’era previsto il dibattito”. Il cordone di agenti non ha permesso loro di entrare: “Prima hanno detto che non potevamo entrare per motivi di ordine di pubblico, poi che l’organizzatore del premio, Leo Nodari, aveva denunciato l’aggressione da parte di uno sconosciuto e che quindi dovevamo restare fuori

anche se noi eravamo del tutto estranei al fatto. Infine ci hanno detto che non c’era posto”. Due di loro sono comunque riusciti ad entrare e una militante delle Agende Rosse ha consegnato a Gasparri un foglio con la lettera di Salvatore Borsellino e “dieci domande” al capogruppo ora ripubblicate da Grillo. Gasparri ha replicato prima strappando i fogli, poi sbottando: “Salvatore Borsellino era “disistimato dal fratello”. Un’affermazione che è impressa chiaramente su un video pubblicato su ilpopolodelleagenderosse.it. Gasparri attacca senza circostanziare la sua affermazione (Borsellino l’ha querelato). Un episodio simile era già capitato con il suo compagno di partito (e ministro

feedback$

Bersani dirà qualcosa di sinistra solo quando lo autorizzerà D’Alema. (Luciano) Bersani-Binetti, per i crocifissi nelle aule! Questo sì che è essere di sinistra! Che poi, se potesse scegliere il crocifisso, penso proprio che se ne andrebbe da solo dalle aule delle nostre scuole! (Simone)

della Repubblica). A New York paura di smentita. Per fortuna, durante il Culumbus Day La utlizzando la rete, cittadini inRussa apostrofò come “pedo- formati sempre più numerosi filo” uno degli italiani che lo sono là pronti a smentirli. contestavano. Il video è finito su YouTube ma La Russa si è è LA BIONDA IN BIKIN VESTITA ben guardato di ripe- DA“SENATORE ITALIANO” tere la sua accusa in L’IRONA NELLA FICTION USA pubblico. Adesso Ga- Come ci vedono all’estero? Non vengono sparri replica attac- dubbi sulla cattiva reputazione del nostro cando frontalmente paese leggendo gli articoli internazionali un simbolo dell’anfi- tradotti puntualmente dal sito mafia. Evidentemen- italiadallestero.info. Ma adesso anche la te alcuni politici riten- grande fiction Usa ci scherza sopra. Nella gono di essere liberi puntata di Halloween della serie “30 Rock”, di dire ciò che voglio- una delle serie “Più intelligenti e raffinate no in pubblico, senza della tv americana” scrive Aldo Grasso, la bionda Cerie si presenta seminuda a due amici dicendo: “Ragazzi, questo è il mio costume per Halloween, sono vestita da senatore italiano”. Il video, prontamente sottotitolato in italiano, è su YouTube, s’intitola “Got it? I'm an Italian senator!”. Il video con Gasparri, Rai4 su Rai.tv, il "costume" da Senatrice italiana, il video del sedicenne

DAGOSPIA

AN A SAXA RUBRA LETTA AL VIMINALE

1) In Trans-atlantico senza il trattino c’è chi giura che se il prode Gianni Letta riuscirà a procurare un salvacondotto giudiziario per i tanti guai del suo amatissimo Cavaliere potrà presto diventare capo del governo. Non solo il vice. Il Cavaliere finalmente potrà riposare. 2) Nuovi vicedirettori in pista al Tg3 modello Berlinguer. Da New York è in arrivo Giovanna Botteri, che sostituirà Onofrio Dispenza, che ha già in tasca il trasferimento al Tgr. L’altro vice dato in partenza, Guido Dell’Aquila, dovrebbe cedere i gradi a Fabio Cortese. In conduzione per l’edizione delle 19, al posto di Bianca Berlinguer (che comunque non rinuncerà al video) saranno lanciati Alessandra Carli e Niccolò Bellagamba. 3)An forever in Rai. Si ricostituisce la sezione An a Saxa Rubra. Lo scopo è quello di ottenere più potere, promozioni e influenza all’interno di Tg e Gr. Capi fila del ripristino del gruppo aennino Gennaro Sangiuliano e Luigi Monfredi del Tg1, Giovanni Alibrandi e Nicola Rao del Tg2, Buonocore, Corsini e Mensurati del Giornale Radio. Proprio al Gr è in corso un braccio di ferro strisciante fra i vicedirettori di area An e il direttore indicato da Forza Italia, Antonio Preziosi, tacciato di eccesso di accentramento e di crescenti scivolamenti a è BOOM ONLINE PER I VIDEO RAI sinistra. A OTTOBRE 6 MILIONI DI CLICK Dalla scorsa primavera il portale Rai.tv trasmette in streaming tutti i 33 canali Rai (compreso la Rai4 di Carlo Freccero) e è UN VIDEO: “MASSACRO A SCUOLA” mette a disposizione i video integrali e TUTTO INVENTATO, DENUNCIATO UNO STUDENTE spezzoni di tutti i programmi “Bowling a Columbine” in salsa italiana. Questa d'informazione, dei Tg, delle Fiction. I dati la pagliacciata di uno studente di Cuneo che ha di ottobre rilevano un vero e proprio pubblicato su YouTube un video dal titolo “Eula boom dei contatti: sono 6,6 milioni gli High School Massacre – 3-11-2009” nel quale utenti unici, dei quali il 30 per cento, racconta un massacro, per fortuna avvenuto nella ovvero 2,3 milioni relativi ai video e alle sua fantasia. Nel video il sedicenne si inventa le dirette Rai.tv. Tra i video più richiesti vince azioni di uno studente armato di una pistola X-Factor con un milione di visualizzazioni, Beretta, un machete e due pugnali che, dopo al secondo posto Annozero con 800.000, avere chiuso le tre entrate dell’istituto superiore terzo Un medico in famiglia con 600.000. Eula di Racconigi, uccide la bidella, 41 ragazzi e Il problema da risolvere rimane quello 11 ragazze e dopo aver ferito tre uomini delle delle dirette all’estero, ancora non fruibili forze dell’ordine, completa l’opera togliendosi la per questioni di diritti. “Ci stiamo vita. Il video è ancora online. I carabinieri sono lavorando – ci dice Gianluca Stazio, intervenuti e il ragazzo ha ammesso di avere responsabile marketing di RaiNet – per agito “per puro divertimento”. Ora è stato ovviare il problema dei diritti lanceremo denunciato alla Procura dei minori di Torino, e presto una ‘versione depurata’ senza i dovrà rispondere del reato di procurato allarme. programmi protetti dai diritti. Inoltre aggiungeremo allo streaming anche il canale Rai International”.

Intanto ha cominciato esprimendosi sulla sentenza di Strasburgo in merito al crocifisso, e cos'ha detto??? Direi che cominciamo bene! (Maria Cristina) Sono già passati 10 giorni? Incredibile! (Mirko) Intanto ha fatto qualcosa di sinistro prima di essere eletto... cl docet... (Tiziana) Aspetta di arrivare al 20 per cento!!!!!!! (Massimo) Domenica sera, ospite di Che tempo che fa, ha dato qualche segnale di vita, solo qualche... (Roberto) Vecchie nomenclature che non porteranno positività, questo è poco ma sicuro (Gennaro) Bersani come D’Alema, devi dire una cosa di sinistra dillaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa (Alessio) Un piccolo appunto (da una persona di sinistra): ricordiamoci che il PD non è un partito di SINISTRA... ma di CENTROSINISTRA semmai... quindi dobbiamo smettere di aspettarci cose DI SINISTRA, come se fossimo ancora i DS. C’è una componente di centro all’interno del PD che va rispettata anche nelle aspettative nei confronti del leader (anche se egli viene dalla sinistra) (Roberto) Il Pd non è un partito di sinistra. (Gabriele) Aspetterà l’ufficializzazione della sua carica? (Alessandro) Ha detto che dopo le dimissioni di Marrazzo si aspetta quelle di Berlusconi (Sara) Aspetta che il baffetto diventi ministro degli Esteri europeo, perché se fa prima dichiarazioni che possono dare fastidio al cdx,il baffetto potrebbe essere messo da parte (Remo) Dai Bersani non fare come il leader Maximo (Salvi) SalviSinistra o non sinistra, serve che qualcuno faccia (più che dire) qualcosa di sensato (Lisa)


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SECONDO TEMPO

PIAZZA GRANDE Eutanasia di una Repubblica Pubblichiamo un ampio stralcio dell’intervento di monsignor Gianfranco Bottoni, dell’arcivescovado della Diocesi di Milano, al Campo della Gloria del cimitero monumentale di Milano, il 1 novembre scorso. di Gianfranco Bottoni

a memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l’evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza. È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica affonda le sue radici nella storia di un’Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello Stato e della moralità pubblica. In questi ultimi 150 anni di storia della sua Unità, l’Italia si è sempre ritrovata con la “questione democratica” aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l’involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l’avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un’Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una “democrazia bloccata”, è stata comunque democrazia a sovranità popolare.

L

a caduta del Muro di Berlino Lvorevoli aveva creato condizioni faper superare questo limite posto alla nostra sovranità

Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili: nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose popolare fin dai tempi di “Yalta”. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. (...) Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse; alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro sempre più capillare e garantita penetrazione economica e sociale; mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello Stato di diritto a favore dello Stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgres-

Caro Silvio ti scrivo di Flavio Oreglio

aro Silvio, ti scrivo questa mia perché come sai gli italiani ti vogliono bene, e io, in quanto italiano non sono da meno. Ho seguito le tue vicissitudini fin dai tuoi esordi (pensa che da adolescente con i miei amici giravo col motorino per le vie di Milano 2 in costruzione! Non si poteva entrare, ma noi entravamo lo stesso…lo dico perché so che apprezzi questo atteggiamento di disprezzo delle regole) e adesso, vedendo quello che ti succede ne soffro e perciò mi permetto di darti un consiglio. Perché non ti ritiri, Silvio? L’hanno fatto tutti, da Cincinnato a Napoleone, da Carlo Alberto di Savoia a Giolitti, da Macario a

C

Bush…Hanno smesso anche Van Basten, Gullit e Rijkaard! Nessuno è eterno, a parte il debito pubblico. Vai a vivere in campagna, Silvio, lontano dallo stress di una lotta senza tregua e senza quartierino. Ma chi te lo fa fare di stare li a patire le angherie, le prepotenze, i soprusi e le vessazioni di personaggi incattiviti come i magistrati rossi che ti perseguitano, i politici vermigli dell’opposizione che ti attaccano, gli ambienti cattolici carmini che ti sono ostili, il Vaticano purpureo che non ti vede di buon occhio, i parlamentari scarlatti di Strasburgo che ti deridono, i comici fulvi che ti mettono in ridicolo, i giornalisti faziosi e cremisi che ti aggrediscono? Inutile negarlo, sei circondato dai co-

sione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti... Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. (...) Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva “eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può persino servire la ridicola volgarità dell’ignoranza o della malafede di chi pensa di liquidare come “comunista” o “cattocomunista” ogni forma di difesa dei principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano la stampa

LA STECCA di INDRO l Guglielmo d’Orange passò alla Storia come “il Taciturno” perché di parole, nella sua vita, ne pronunciò pochissime, anzi – dicono – soltanto queste scandite nel colmo di una battaglia che per lui sembrava volgere alla disfatta: “Non è necessario sperare nella vittoria per combattere con onore, quando la Causa per cui si combatte è quella giusta”. Eppoi finì per vincere. Ma questo è un particolare del tutto irrilevante per il senso del suo – e mio – discorsetto. (Corriere della sera, 31 dicembre 1999)

Perché non ti ritiri? L’hanno fatto tutti, da Cincinnato a Napoleone, da Carlo Alberto di Savoia a Giolitti, da Macario a Bush…Hanno smesso anche Van Basten e Gullit munisti… Ascolta quello che ti suggerisco: tu ti ritiri a vita privata e passi le tue giornate con il tuo amico Putin che (visto l’amore che nutri per lui), evidentemente col comunismo non ha mai avuto niente a che fare. Ritirati. Ascolta il consiglio di un italiano che ti vuole bene. È lo stesso consiglio che darei a mio nonno. Ormai hai superato la settantina: goditi la vita! Pensa: hai da parte qualche soldino che

democratica mondiale. Il senso della realtà deve però condurci a prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e recriminatori. ervono invece proposte poSmocraticamente sitivamente innovative e dequalificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni del paese. Perché finisca la deriva dell’antipolitica e della sua abile strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente. (...) Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura, unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia, giustizia e pace. Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza. Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della Città terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi giorni. La fede ne attende la resurrezione dei corpi alla pienezza della vita e dello Shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana per l’oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Vorrei che l’appello si rivolgesse in particolare a coloro che, nell’una e nell’altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici, dentro la maggioranza e l’opposizione, si richiamano ai principi della libertà e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e dell’etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia – e, per chi crede, dinanzi a Dio – avete la responsabilità di fermare l’eutanasia della Repubblica democratica. (...) Non è tempo di contrapposizioni propagandistiche, né di beghe di basso profilo.

hai risparmiato a fatica, hai una casetta, che anche se non è piccolina e non è in Canadà, ha escort, pesciolini e tanti fiori di lillà, hai dei figli che ti vogliono bene, una moglie che ti adora, tanti amici disinteressati… Pensa che bello, non avere più pensieri! Ti alzerai alla mattina, uscirai di casa, supererai il cancello e via! Al circolino del centro anziani! Questa si che sarebbe vita! Finalmente libero! Come Baresi! Come Beckembauer! Come Provenzano fino all’11 aprile del 2006. Già ti vedo, vecchia canaglia: arrivi al circolo e ti lamenti perché servono quantitativi industriali di “rosso”. La cosa non ti và. Allora, recuperando fondi da “non si sa bene dove”, organizzi una società la “Anzianinvest”e ti metti a capo di essa. Con questa struttura modifichi le regole del gioco a tuo piacimento: qualche euro al barista perché ti tenga da parte il tuo amaro preferito (il “Vecchio Amaro del Capo”, ovviamente)… Un favore al responsabile del gioco delle bocce perché dipinga su ogni palla il faccione di Prodi per aumentare

nordisti

É

di Gianni

Barbacetto

LA LEGA E LA VEGA V

incerà Umberto Bossi? Riuscirà a imporre Roberto Cota (della Lega) come candidato del centrodestra in Piemonte alle prossime elezioni regionali? La domanda non è solo di astratta politica, non ha a che fare solo con gli equilibri dentro il centrodestra e i rapporti tra Umberto e Silvio. No: ha una conseguenza concreta, concretissima. Sapete chi subentrerà in Parlamento, se Cota sarà candidato e se vincerà? Il primo dei non eletti della Lega nord nella circoscrizione Piemonte 2, destinato dunque a sostituire Cota alla Camera dei deputati, è un certo Maurizio Grassano. e questo nome non vi dice niente non preoccupatevi. Non è proprio notissimo sulla scena politica nazionale. Ma ad Alessandria, la sua città, ha conquistato invece titoli e titoloni delle cronache locali. Non tanto perché è stato presidente del consiglio comunale, quanto perché è stato arrestato. Il 27 settembre, poco più di un mese fa. Arresti domiciliari. Con l’accusa di aver rubato al comune di Alessandria una grossa cifra (attorno ai 700 mila euro, non proprio bruscolini). Come? Grazie alla Vega, un’azienda di Novi Ligure controllata da Grassano insieme con un suo socio, Sergio Cavanna. Grassano aveva due amori: la Lega e la Vega. Entrambe gli hanno dato delle belle soddisfazioni. Grassano della Vega è infatti direttore generale e per questo incarico ha dichiarato di percepire un compenso di 18 mila euro al mese. Ma essendo molto impegnato nell’attività politica, ha dovuto tralasciare, poverino, il lavoro. Ha dovuto trascurare la Vega per la Lega. Ma niente paura: i soldi pubblici servono per aiutare i cittadini. Specialmente quelli che s’impegnano contro Roma ladrona e le ruberie dei politici meridionali. Così il comune di Alessandria ha rimborsato i soldi che Grassano perdeva occupandosi indefessamente dei cittadini e del bene comune. Peccato che la Guardia di finanza sia andata a curiosare dentro questa Vega e abbia trovato qualche sorpresa. L’azienda, che dovrebbe occuparsi di tinteggiature, ha due soli dipendenti, uno dei quali è Grassano, gran capo imbianchino pagato profumatamente. Ma pagato davvero? Con quella enorme cifra che ha dichiarato? Le Fiamme gialle ritengono di no, ritengono che la Vega sia tutta un teatrino messo su dal Grassano per spillare soldi pubblici. Così l’hanno accusato di falso finalizzato alla truffa aggravata nei confronti del Comune. La procura ha chiesto il suo arresto e il giudice per le indagini preliminari lo ha concesso, per evitare l’inquinamento delle prove. È seguito il solito rosario di dichiarazioni pensose a cui ci hanno abituato gli uomini dei partiti “romani”. L’assessore Ugo Robutti si è detto preoccupato per la salute psicofisica di Grassano. Il sindaco di Alessandria Piercarlo Fabbio si è dichiarato stupito della vicenda e ha espresso all’arrestato “la Umberto Bossi (FOTO ANSA) solidarietà umana per il difficile momento, anche a nome della conferenza dei capigruppo”. L’europarlamentare leghista Tino Rossi è andato a fargli visita. Lui, Grassano, ha ribadito di essere innocente. Lo stabiliranno i giudici, nei prossimi mesi. Grassano attende fiducioso. Chissà mai che, nell’attesa, gli tocchi di entrare in Parlamento?

S

il piacere di una raffa al volo…Un accordo sottobanco con la responsabile del Comune perché ti permetta di portare al circolo i giornalini porno… e così via E poi si vive…Una briscola con gli amici (non proporre - anche se ti piace - “rubamazzetto” perché nessuno vorrà giocare con un professionista) un bianchino, una chiacchierata in compagnia per discutere di calcio, parlare di politica, incazzarti col governo, ragionare su Inps e pensione…E poi, nel weekend arriveranno i vecchi amici a trovarti…Galliani con le arance, i cioccolatini e Ronaldinho, Apicella con la chitarra e una pizza, per ricordarti che Napoli ti è sempre grata, Bossi accompagnato da Borghezio e Calderoli vestiti da Asterix e Obelix, con la provetta per gli esami delle urine presa per sbaglio al posto di un’ampolla di acqua del Po, Bondi che ti porterà in visione una prima bozza del suo personale “Cinque maggio” a te dedicato, Brunetta che approfitterà della visita per fare le pulci a quei mangiapane a tradimento, parassiti del sistema, san-

guisughe dello stato, fannulloni incapaci e buoni a nulla che dirigono i circolini della terza età pagati con i soldi dei contribuenti, Belpietro con la fotocopia della prima pagina dell’ultimo numero di Libero titolata “Gli anziani sono il futuro del paese, troviamone uno adatto a governarci. Io un un’idea ce l’avrei”, Feltri con il Giornale dal titolo “Anch’io”, Angelino Alfano che ti porterà le bozze del suo ultimo libro “Chi si loda s’imbroda”, e così via…Non sarai mai solo, nessuno ti dimenticherà. Non è possibile. Passata la mattina, nel primo pomeriggio dopo una pennichella rilassante passerai il tempo in compagnia della tv e dei programmi di intrattenimento adatti alla tua età… Belle canzoni di una volta e magnifici balletti di ringhiera…E poi, vuoi mettere? Grazie al cellulare potrai partecipare e dire la tua col televoto! È così che ci si sente protagonisti nell’Italia che hai costruito! Poi alla sera un bel brodino e dopo Annozero tutti a nanna! Non è male. Pensaci. Tu saresti a posto. E noi anche.


Giovedì 5 novembre 2009

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SECONDO TEMPO

MAIL Assoluzione e prescrizione non sono sinonimi

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aro Colombo, ma l’influenza di tipo A c’è o non c’è? I malati muoiono di più, muoiono di meno o beccarsi la N1H1 è addirittura una scampagnata? Ogni giorno radio, tv, ministri e medici ci danno versioni diverse: il vaccino c’è, il vaccino non c’è. Se c’è salva, non salva, non fa differenza, anzi produce danni collaterali di cui si sa molto, poco, niente. Stiamo assistendo a un fallimento medico, politico o giornalistico? Valentina

C

MI PIACEREBBE avere

l’autorevolezza e la competenza per dire no a ciascuna di queste domande. Non ce l’ho. Mi piacerebbe essere in grado ci citare un’altra fonte e dire: ascoltatela, quella è la risposta attendibile. Ma per me, come per tutti, le domande si accumulano, ogni giorno più ansiose e pressanti, senza una risposta. Una cosa mi sento di dire con la stessa evidente irritazione della lettrice. É un fallimento politico. E spiego. Accade a volte che la scienza, con tutto il suo orgoglio e la sua pretesa di dare risposte definitive, arrivi in un corridoio cieco. La risposta non c’è ma si copre con risposte finte, parziali, contraddittorie. Dunque la medicina è in una piazzola di sosta e ha l’unico torto di non dirlo chiaro. Il giornalismo si è abituato

Tiziana

La democrazia nel mondo del lavoro

Mario Adinolfi Rsu Fiom-Cgil

Le carceri italiane e la verità difficile Mi ha fatto molta impressione leggere i nomi e le storie, pubblicate dal “Fatto”, di chi è entrato in carcere e non ne è più uscito. Noi, convinti della nostra democrazia e della nostra civiltà, in quella pagina ci siamo scontrati con una realtà che nessuno vuole vedere: viviamo in un paese dove succedono cose orrende, dove la giustizia è solo una parola. Ci sforziamo di cercare la verità sempre e solo per pochi attimi, poi lasciamo perdere perchè è più semplice e di gran lunga meno faticoso, meno doloroso, tornare alla propria vita, come se fossimo dentro il film “Matrix”. Solo che sappiamo tutti che la realtà è un’altra. Non

A DOMANDA RISPONDO MA L’INFLUENZA C’È O NON C’È ?

Furio Colombo

Vorrei parlare un attimo di qualcosa che mi sta sullo stomaco da tanto tempo. Trovo vergognoso che, quando un processo si chiude per prescrizione, si dica che l’imputato “è stato assolto” (si ricordi il tripudio di Giulia Bongiorno quando fu “assolto” Andreotti per prescrizione dei termini). Se io fossi processata e assolta (nel senso suggerito dall’etimologia: ab-solvere, cioè “sciogliere da”), sarei indignata se la formula mi accomunasse a gente che ha commesso reati ma, forti del loro potere (economico, politico, mediatico e chi più ne ha più ne metta), va in giro libera come l’aria e addirittura sbandiera la sua presunta “assoluzione” presentandola come una congiura di oscuri personaggi o come un clamoroso errore giudiziario. Propongo che non si parli più di “assoluzione per prescrizione dei termini” ma di “scadenza dell’imputabilità per prescrizione dei termini”, o qualunque altra formula che permetta di distinguere gli innocenti dai (presunti?) colpevoli.

Nell’articolo pubblicato dal Fatto “Sindacati alla guerra della conta”, un passaggio mi sembra irrispettoso nei confronti della Fiom-Cgil, che come ben sapete è stata esclusa dal tavolo con Federmeccanica e non ha quindi siglato un accordo che porta meno di 50 centesimi al giorno in tasca ai lavoratori. É una forma di qualunquismo quella espressa da chi ha rilasciato l’inter vista. Sarebbe opportuno invece portare alla ribalta la questione della democrazia nel mondo del lavoro. In Italia è possibile per tutti i cittadini sopra i 16 anni scegliere il proprio segretario di partito, mentre pare non sia possibile per i lavoratori metalmeccanici scegliere la propria piattaforma contrattuale. I sindacati minoritari (Fim-Cisl e Uilm-Uil) si permettono di siglare un loro contratto nazionale senza sottoporlo al referendum di tutti i lavoratori metalmeccanici.

BOX a stare sempre e solo dalla parte di ciò che è o sembra autorità. E continua a dare versioni schizofreniche: Il tumulto negli ospedali e la superiore “serenità” del governo. Per una volta il fallimento del governo (di questo si tratta) non è solo un fatto italiano. É vero che noi ci siamo preparati nel peggiore dei modi, trattando ospedali e personale sanitario come tutte le altre imprese: licenziare, precarizzare. E, al primo dubbio, chiudere. Fra poco, oltre che le dosi di vaccino, mancheranno i posti letto. Ma, in tutto il mondo industriale avanzato si notano due fenomeni: i governi assicurano e rassicurano su ciò che non sanno. Nessuno, al momento neppure Obama, sembra avere l’autorità (meglio: l’autorevolezza e credibilità) per decidere (un fatto che, in questo caso, include anche il rischio di una decisione sbagliata). Tutto resta in sospeso fra imprecise dichiarazioni dei vari governi e ambivalenti posizioni sanitarie. In casi come questi la guida politica è indispensabile. Invece, anche per una somma di errori precedenti, mancano (mancheranno) i letti, mancano i vaccini e manca una direzione di marcia. É un fallimento di leadership politica, e mai si è visto con tanta allarmante chiarezza. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 lettere@ilfattoquotidiano.it

IL FATTO di ieri5 Novembre 1943 C’è un episodio oscuro, nel drammatico autunno del ’43. Partiamo dalla cronaca. Alle 20.10 del 5 novembre, un aereo, mai realmente identificato, sgancia quattro bombe sul Vaticano. Colpito il laboratorio dei mosaici,sfiorati la Radio, il Governatorato, il Palazzo dei Tribunali, lo studio dell’addetto alla Segreteria di Stato. La violazione del territorio neutrale del Vaticano, più volte accusato dai tedeschi di aver cooperato all’armistizio, conferma i numerosi timori espressi dalla Santa Sede su un possibile attacco nazista. E mentre si indaga sull’origine degli ordigni e Radio Londra ricorda di aver messo in guardia l’Italia su eventuali rappresaglie tedesche con bombe sottratte all’aviazione inglese, i romani, accorsi in massa a San Pietro, accusano i fascisti repubblichini. Secondo la vox populi, respinta con sdegno dai capi fascisti, si tratta di un apparecchio italiano, partito da Viterbo e pilotato da tale sergente Parmeggiani su ordine di Farinacci, il fanatico ras di Cremona, già autore di rabbiose accuse alla Curia Romana. L’evento, mai perfettamente chiarito nemmeno dagli storici, sarà più tardi archiviato dal Papa come “sintomo del decadimento della coscienza di alcuni animi traviati”. Giovanna Gabrielli

possiamo continuare a ignorarla fingendo che non esista. Monica

Diritto di Replica L’Italia dei valori e le dispute interne Con un certo stupore, nell’articolo “Nell’Idv monta l’onda ‘No a Di Pietro padrone’ ”, mi trovo ricompreso in un non ben precisato “plotoncino” di deputati che guida la fronda contro Antonio Di Pietro. Il tutto per

aver aderito ad un gruppo creato su Facebook denominato “Per una Idv dedegregorizzata e per la perestrojka e la glasnost nel partito”. Desidero precisare al riguardo che tale adesione, avvenuta in tempi non sospetti e ben prima della nota inchiesta su Idv pubblicata da Micromega, era semplicemente legata al mio personale impegno ad operare per evitare che nel partito vi siano altri casi De Gregorio che, con il suo faccione, è stato assunto come simbolo di quel gruppo. In tal senso, è mia con-

suetudine esprimere le mie opinioni in modo franco e diretto negli organismi di Idv ai quali appartengo e non certo partecipando a gruppi più o meno ‘carbonari’. Vedo ora strumentalizzata quella mia adesione a fini, dai quali mi dissocio, che nulla hanno a spartire con l’obiettivo per il quale l’avevo data. Una semplice telefonata, come è buona regola, applicata d’altronde agli amici Misiti e Pisicchio, avrebbe chiarito il senso e la tempistica della mia adesione, fugando ogni dubbio e strumentalizzazione. Antonio Borghesi, vicepresidente del gruppo IDV alla Camera

Comprendiamo perfettamente la situazione che l’onorevole Borghesi ci rappresenta. Riteniamo che quanto da noi scritto sia dalla sua lettera confermato. C. Pe.

La7, gli appalti e Gasparri Nell’articolo pubblicato a pagina 11 mercoledi 4 novembre a firma di Beatrice Borromeo “Bilanci La7 risanati. Sulle spalle dei dipendenti”, viene riportata la seguente affermazione attribuita ad un documento del comitato di redazione di La7: “Pur di far lavorare Tele oggi La7 commissiona anche servizi inutili, pagando una media di 30 mila euro al mese. E lo fa perché come è emerso durante “Report” l’emittente napoletana ha stret-

Abbonamenti Queste sono le forme di abbonamento previste per il Fatto Quotidiano. Il giornale sarà in edicola 6 numeri alla settimana (da martedì alla domenica). • Abbonamento postale sostenitore (Italia) Prezzo 400,00 € - annuale • Abbonamento postale base (Italia) Prezzo290,00 € - annuale E' possibile pagare l'abbonamento annuale postale ordinario anche con soluzione rateale: 1ª rata alla sottoscrizione, 2ª rata

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LA VIGNETTA

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L’abbonato del giorno ALESSIO FRASSON Ci scrive Alessio : “Ho 32 anni e vi scrivo dal comune con la più alta percentuale di voti per il Pdl in tutta la provincia di Padova : Villa del Conte. Potete quindi immaginare il mio rapporto “politico” con i miei compaesani! A parte questo sto benissimo dove vivo. Le mie grandi passioni sono la musica e i fumetti, ne ho a quintali e non potrei vivere senza! É stata un’emozione per me sapere di questa nuova avventura giornalistica”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it

contratto di solidarietà per evitare la procedura dei 25 licenziamenti illegittimi e immotivati avviata il 26 settembre 2008...Per “riempire” i tg si devono ogni giorno acquistare servizi chiusi dalle tv locali “consorziate” perché l'organico non è sufficiente...Abbiamo quantificato la cifra spesa per servizi e immagini acquistati fuori: si tratta di una media di 30 mila euro circa al mese, cioè di 2/3 servizi al giorno...La parte del leone la fa Teleoggi-T9 di Napoli. Costoro benché siano a solo un'ora e mezza da Roma lavorano per noi praticamente ogni giorno. E' curioso notare che la tv locale in questione fu sotto l’attenzione dei colleghi di Report ( l’inchiesta trascritta fedelmente è reperibile in rete) perchè si tratta dell’emittente che ha avuto il maggior contributo da parte del ministero delle Comunicazioni durante l’era Gasparri e che a Gasparri fu grata ( come ammise ai microfoni di Report l’amministratrice della tv) con un cospicuo contributo elettorale ad An ”. Ringraziandovi per l’attenzione posta dal Fatto alle vicende dei giornalisti di La7. Grazie. Il cdr di la7

to rapporti con l’ex ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri”. Si tratta di una sintesi inesatta. Nel documento citato inviato ai colleghi della redazione il 28 ottobre 2009 riguardante i problemi inerenti il contratto di solidarietà applicato dal marzo scorso ai giornalisti di La7 si legge infatti: “Abbiamo constatato già dall’inizio il venir meno della situazione economica gestionale che a suo tempo fu addotta a giustificazione del

I nostri errori Nell’articolo di De Carolis pubblicato dal Fatto si parla di Vladimiro Zagrebelsky (in riferimento alla Corte europea) chiamandolo erroneamente Gustavo. Ce ne scusiamo.

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Giovedì 5 novembre 2009

Sbagli, truffe, ruberie nelle Ferrovie italiane LE PROVE, LE TESTIMONIANZE, I RAPPORTI RISERVATI

chiarelettere09

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ADESSO BASTA LASCIARE IL LAVORO E CAMBIARE VITA. FILOSOFIA E STRATEGIA DI CHI CE L’HA FATTA

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