Scultura Contemporanea, omaggio a Domenico Ghidoni - Catalogo della mostra

Page 1

scultura contemporanea omaggio a

domenico ghidoni


2

Mostra:

Scultura Sculturacontemporanea contemporanea Omaggio Omaggio a Domenico a Domenico Ghidoni Ghidoni

Ente organizzatore:

Comune ComunedidiOspitaletto Ospitaletto(Bs) (Bs)

Sede espositiva:

Ospitaletto, Centro Polifunzionale via Martiri della Libertà Libertà,40/A 40/A

Data mostra:

13 13dicembre dicembre2015 2015--24 24gennaio gennaio2016 2016

Orari mostra:

sabato sabato14.30 14.30--18.00 18.00 domenica domenica 10.00 10.00 -- 12.30 12.30 // 15.30 15.30 -- 18.00 18.00 chiuso 26-27dicembre dicembre2015 2015 chiuso 26-27 Entratagratuita gratuita Entrata

Composizione della giuria:

Alfonso Alfonso Panzetta Panzetta (presidente) (presidente) Adriana Adriana Conconi Conconi Fedrigolli Fedrigolli Roberto Roberto Martorelli Martorelli Nicola NicolaRocchi Rocchi Giuseppe GiuseppeVirelli Virelli

Curatrice del Premio:

Adriana Adriana Conconi Conconi Fedrigolli Fedrigolli

Progetto, organizzazione coordinamento generale catalogo, grafica ufficio stampa curatela della mostra:

Progetto, organizzazione coordinamento generale catalogo, grafica ufficio stampa Bernardelli Bernardelli Curuz Curuz editore editore - Stile - Stile ArteArte

Allestimento:

Alessandro Alessandro Scalvenzi Scalvenzi - L’Aura - L’Aura cornici cornici


scultura contemporanea omaggio a

domenico ghidoni P R E M I O B I E N N A L E I N T E R N A Z I O N A L E DI S C U L T U R A

DOMENICO GHIDONI

con un saggio critico di Adriana Conconi Fedrigolli e fotografie di Emanuele Bernardelli Curuz

Comune di Ospitaletto 3


4


Ospitaletto, dopo un intenso lavoro, grazie a una forte convergenza della popolazione e delle forze politiche, pone, con questa mostra e con questa prima edizione biennale del Premio internazionale di scultura, la propria candidatura tra i principali centri italiani dedicati alla scultura contemporanea, nel raccordo con l’arte ottocentesca, qui, da noi, perfettamente rappresentata da Domenico Ghidoni (1857-1920). Ghidoni venne alla luce a Ospitaletto da una famiglia di contadini. Studiò a Brera, realizzò importantissimi monumenti milanesi, ma fu bloccato dal clima di censura di quegli anni per aver presentato un bozzetto relativo al tema della prostituzione, attraverso il quale agiva sulle coscienze degli uomini. Di chi era la colpa di quel degrado? Delle donne che si mercificavano o degli uomini che le trasformavano in oggetto di acquisto? La scultura destò, concettualmente, scandalo e Ghidoni trovò sempre più chiusi gli spazi milanesi. Egli aveva dato all’opera una connotazione sociale: l’aveva intitolata “Le nostre schiave”. L’artista operò poi molto a Brescia. Tra i monumenti popolarmente più noti, ricordiamo quello a Tito Speri, nell’omonima piazzetta cittadina, e quello a Moretto, davanti alla sede della Pinacoteca Tosio Martinengo. Di grande impatto è anche il monumento agli Emigranti. L’idea è quella, pertanto, di realizzare il nucleo di un Museo dedicato a Ghidoni e alla didattica della scultura. Frattanto si è proceduto all’organizzazione di un premio internazionale di scultura contemporanea, per inserire Ospitaletto in un circuito ampio, legato alle nuove forme di espressione. Ghidoni lascia infatti un messaggio di rottura degli schemi, non tanto sotto il profilo stilistico quanto concettuale. Il nostro concittadino interpretava efficacemente il proprio tempo. Come noi chiediamo agli artisti di oggi, di interpretare il loro e il nostro. Il risultato, splendido, è sotto gli occhi di tutti, in questo catalogo e in questa mostra.

Arch. Giovanni Battista Sarnico Sindaco di Ospitaletto

5


6


La mostra

Gli artisti sono presentati, nelle prossime pagine, in ordine alfabetico

7


SILVIO AMATO Giunge alla scultura, sviluppando in chiave creativa la sua professione di restauratore. Attraverso l’arte del restauro avverte, nelle tecniche e negli sviluppi stilistici, l’anima del passato. Sviluppa scultura moderna che guarda comunque a tempi remoti, in particolar modo attraverso il recupero di materiali carichi di storia, come il legno di castagno antico recuperato tra i materiali di scarto delle ristrutturazioni di vecchi casolari. In alcune opere, fa anche uso di metalli combinati al legno, non ultima, la ceramica. Al centro dell’osservazione ci sono le tradizioni, il paesaggio, il mare della costa d’Amalfi, ma anche le colline Toscane. A partire dal 2012 espone in numerose mostre personali o collettive, tra la Campania e la Toscana. E’ direttore artistico per la sezione mostre di incostieraamalfitana.it, fondatore di CostieraArte e del Laboratorio Artistico Costa d’Amalfi che ricorda la scuola dei grandi pittori Costaioli. Nel 2014 viene nominato ambasciatore del Movimento Artistico “Nautistmo”. E’ Direttore artistico del Premio CostieraArte.

Silvio Amato, Evoluzione, 2015 ceramica e metallo, 60 x 20 x 50 cm

8


9


ALESSANDRO FABIO BASILE Nato a Bari nel 1971, ha frequentato il Liceo Artistico, poi l’Accademia di Belle Arti, quindi un corso triennale di restauro. Ha al suo attivo numerose personali di grafica, pittura e scultura. Ha restaurato importanti opere, come la cupola del teatro Margherita di Bari. Nel laboratorio, situato nell’antico centro storico di Turi (Bari), realizza sculture in vari materiali, tra i quali il bronzo, ma pure affreschi e decorazioni. E’ autore di opere scultoree per privati e di numerose opere pubbliche, tra le quali una stele policroma in pietra dedicata alla figura del Bersagliere, realizzata nel 2011, e un monumento per le Vittime della strada, inaugurato nel 2014.

Alessandro Fabio Basile, L’abbraccio del figlio, 2015 bronzo patinato, 40 x 35 cm

10


11


FLAVIA BERARDI Nata e cresciuta a Roma, fin dai primi anni di vita dimostra capacità e sensibilità artistiche. Dopo studi classici si diploma nel 2015 in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti, dove apprende molte tecniche artistiche che spaziano da quelle pittoriche a quelle plastiche, rinnovando la tradizione attraverso un linguaggio contemporaneo. Colore e luce sono le parole chiave del suo lavoro, che cerca di esprimere il conflitto tra razionalità e sensibilità.

Flavia Berardi, Luce, 2015 tecnica mista, gesso e lampada, 70 x 45 x 25 cm

12


13


Michela BIANCHI Si avvicina all’arte nel 1981 e, nello stesso anno, partecipa ad un corso di pittura su porcellana. Frequenta numerosi seminari con artisti famosi provenienti da varie parti del mondo. Nel 1991 si avvicina alla tecnica antichissima della fusione del vetro (glass-fusing) ed accosta al vetro la creta cruda, cotta, smaltata, raku, creando oggetti unici. Nel l996 inizia ad esprimere una sua tecnica personale dipingendo su porcellana con lustri, rilievi e foglia oro 23 k. Dal 1998 alcune sue opere sono esposte alla Collezione Permanente di Arti del Fuoco, presso Villa Vertua di Nova Milanese. Suoi lavori sono pubblicati su riviste specializzate di tutto il mondo. Le trasparenze, la luce, la stessa aria sono elementi dominanti dei suoi lavori dalle forme leggere e sorprendenti.

Michela Bianchi, Freedom, 2009 vetrofusione con vetri opalescenti e base in creta raku, 30 x 30 x 28 cm 14


15


daniele boi Giovane scultore bresciano (1989), inizia la propria attività espressiva e di ricerca parallelamente agli studi, prima al Liceo artistico Maffeo Olivieri a Brescia, poi all’Accademia di Belle arti Santa Giulia, sempre nella città capoluogo, dove nel 2012 consegue la laurea di primo livello in scultura e, nella stessa accademia, nel 2014, la laurea di secondo livello in Scultura pubblica monumentale. La scelta di temi eloquenti ben si allinea a una predisposizione per una ricerca monumentale, che interloquisce con il territorio circostante. E’ stato invitato a numerosi eventi espositivi in spazi pubblici di grande rilievo architettonico, tra i quali il Monastero di San Pietro in Lamosa, il Museo Lechi di Montichiari, il Castello di Brescia. Sue opere pubbliche sono state collocate in luoghi di rilievo, all’interno dei quali segnaliamo il centro “Le tre torri” di Brescia, ArteValle di Mompiano, il Castello Oldofredi di Iseo.

Daniele Boi, Metamorfosi, 2013 marmo rosa perlino e granito rosa beta, 50 x 90 x 27 cm

16


17


riccardo bonfadini Riccardo Bonfadini nasce a Cremona nel 1971. Figlio d’arte, impara a dipingere avendo come maestro il padre Pino. Partendo da una tradizione figurativa, giunge ad un’arte decisamente più contemporanea e di ricerca. Negli ultimi anni ha realizzato lavori attraverso l’utilizzo di materia plastica, denominati “Industrial Fossil”. Le sue opere prendono forma grazie ad una ironica visione della quotidianità; il recupero/riciclaggio degli oggetti diventa funzionale al concetto: giochi di parole ed immagini raccontano con leggerezza la nostra contemporaneità. Attraverso l’utilizzo di minuscoli personaggi riscostruisce scene di vita quotidiana, scardinando luoghi comuni della nostra epoca. Tra le varie mostre personali: nel 2007 espone al Circolo della Stampa di Milano in una mostra intitolata “Mondo Sf(p)ogliato”. Nel 2008 espone al Parlamento Europeo di Strasburgo con la mostra “Arte da Leggere”. Nel 2007 vince il Premio delle Arti e della Cultura a Milano; nel 2010 partecipa ad Art Basel Miami Beach (U.S.A.) Nel 2012 è tra i vincitori del “Premio Ora”; nel 2013 è vincitore del secondo premio scultura al Concorso “Nocivelli”.

Riccardo Bonfadini, Lezione di Lettere, 2014 macchina per scrivere anni 70 e personaggi in miniatura su base legno, cm 45 x 45 x 25 cm 18


19


DENIS BROCCHINI Artista veneto (1974), sceglie la professione della scultura, dopo un percorso formativo segnato da tre tappe. Nel 1991 il diploma di maestro d’arte alla scuola “Selvatico” di Padova; nel 1995 il diploma al Liceo artistico “Arturo Martini” di Vicenza e nel 1996, anno in cui inizia a frequentare l’Accademia di Belle arti di Venezia – dove si iscrive al corso di pittura - intraprende l’attività lavorativa nel laboratorio di scultura “Bruno Peotta”, di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza. L’artista procede parallelamente in una ricerca pittorica e nell’ambito della scultura, con la quale è quotidianamente in contatto e della quale conosce approfonditamente numerose tecniche e materiali. Sotto il profilo espositivo, al di là di mostre italiane, è da segnalare la sua partecipazione, con l’opera in marmo, De-costruzione, all’Italian in DC Festival, tenutosi Washington, nel 2012.

Denis Brocchini, Alter ego, 2015 marmo di Carrara, ferro, filo di nylon, 37 x 23 x 23 cm

20


21


GIANNI BUZZI Dalla conoscenza del settore di falegnameria alla ricerca promossa dalla volontà di coniugare la tradizione artigianale, appresa dal padre, con la possibilità di moltiplicare le soluzioni creative ed espressive, utilizzando i nuovi mezzi tecnologici. Stesso percorso, soluzioni diverse. La prima è dettata dalla conoscenza della materia e delle attrezzature; il risultato è che le decorazioni e la geometria danno un risultato simile a quello dell’intarsio, con la differenza che le decorazioni sono bifacciali e portanti, quindi innovative. La seconda è concettuale, nasce dalla preparazione di composizioni, basate sul parallelepipedo, che si offre a tagli non regolari e diversi, con possibili deformazioni interessanti sotto il profilo formale.

Gianni Buzzi, Pinocchio calciatore, 2010 dinamica composta lignea, 21 x 32 x 80 cm

22


23


CASA A MARE E’ il contenitore di un immaginario parallelo, come una seconda vita che replica tutti gli oggetti, le abitudini, le ossessioni della prima con un meccanismo di riconversione capace di costruire una nuova scala di valori. Casa a Mare si struttura come un processo in fieri, un laboratorio dinamico che prevede azioni di carattere performativo e installativo; parte integrante dell’operazione è la raccolta di appunti visivi disponibile sulla pagina facebook omonima. Casa a Mare è un progetto di Luca Coclite e Giuseppe De Mattia a cura di Claudio Musso. Luca Coclite - Gagliano del Capo (Le), 1981 - è artista e videomaker da sempre legato all’immagine, alla sua costruzione, fisica e immateriale, attraverso la lettura del paesaggio socio-antropologico. Nel 2011 fonda Ramdom association e da diversi anni collabora a numerosi progetti artistici tra cui Progetto Gap e Lastation. Giuseppe De Mattia (Bari, 1980) è artista visivo. Da diversi anni collabora con l’Archivio Nazionale del film di Famiglia Home Movies di Bologna. Collabora con diversi artisti, filmaker, architetti e musicisti. E’ rappresentato da Nowhere Gallery di Milano, Block art space di Istanbul e Materia di Roma. Ha pubblicato con Danilo Montanari Editore e Skinnerboox.

Casa a Mare, Paracane, 2015 tecnica mista, mattoncini in terracotta, stucco, pigmento nero puro vetro, legno di rovere, plexiglass, 23 x 26,3 x 15 cm 24


25


pietro d’angelo Pietro D’Angelo, scultore palermitano, nasce nel 1974. Fin da piccolo mostra interesse verso l’arte scultorea. A 12 anni infatti, inizia a frequentare lo studio di un artista conterraneo, dal quale apprende le tecniche del bronzo, della terracotta e delle resine. Consegue il diploma di maturità artistica nel 1992 al Liceo Artistico Statale II di Palermo. Nel 1999 si trasferisce a Bologna e si iscrive all’Accademia di Belle Arti nella sezione scultura, diplomandosi nel 2005. Due anni dopo, ottiene l’abilitazione all’insegnamento per le discipline plastiche e, dal 2008, esercita per qualche anno la professione di docente di discipline plastiche in istituti superiori di Palermo. La sua carriera espositiva inizia nel 2002 con fiere, mostre collettive, di ambito nazionale - a Bologna, Forlì, Milano, Torino, Napoli, Palermo, Roma, Montevarchi - ed internazionali - a Innsbruck, Miami, Tel Aviv e Londra -. Ha al suo attivo anche mostre personali: nel 2004 “Operazione Contemporanea” a Latina e a Velletri, nel 2006 “Pelle D’Angelo” a Palermo che viene anche allestita due anni dopo alla Civica Galleria G. Sciortino di Monreale. Nel 2011 due personali al Museo della Grafica a Naro e alla Ermanno Tedeschi Gallery di Milano. Nel 2013, una personale nella medesima galleria, alla sede torinese e alla sede romana. La sua produzione si configura come un filone di sperimentazione, verso nuove tecniche e materiali. Nel 2015 uno dei suoi lavori, “Pole Dance”, è entrato nel libro Guinness World Record come la scultura di graffette più alta del mondo.

Pietro D’Angelo, Fanciullo con gatto, 2015 assemblaggio, rete e graffette in acciaio inox 120 cm x ø 50 cm 26


27


Antonio delli Carri Antonio delli Carri nasce a Foggia il 15 maggio del 1989. Si diploma nel 2008 al liceo Classico “V. Lanza” e, dopo aver frequentato per due anni la Facoltà di Beni Culturali a Foggia, si iscrive nella stessa città all’Accademia di Belle Arti, acquisendo nel 2015 il diploma Accademico di Premio Livello in Scultura. Nonostante la giovane età, ha già partecipato a varie collettive e concorsi artistici nazionali ed internazionali. Segue da alcuni anni scultori conterranei, con i quali ha costantemente la possibilità di esercitarsi e confrontarsi. Durante il percorso formativo non trascura l’ indagine della modellazione, delle tecniche di stampo e riproduzione e delle nuove tecnologie utilizzate nella statuaria. Essendo ancora al principio della sua ricerca artistica, ha scelto le resine e l’alluminio come medium per la realizzazione delle sue prime opere scultoree di carattere contemporaneo.

Antonio delli Carri, Mappina al grano ed al melograno, 2015 scultura-agglomerato, resine epossidiche e poliesteri 100 x 100 x 20 cm 28


29


MARCO FATTORI La sua formazione unisce lo studio di regia cinematografica - Accademia Nazionale delle Arti Cinematografiche di Bologna - all’architettura. E’ la fusione di questi due filoni tecnico-espressivi, all’apparenza così lontani, che l’artista sviluppa, attraverso tecniche miste, la propria arte informale, sempre ancorata a un forte assunto concettuale.

Marco Fattori, Suprematismo di Sistemi, 2012 tecnica mista, compensato, legno 76,5 x 54 x 10,5 cm 30


31


francesco firpo Francesco Firpo vive a Genova. Ha uno studio d’arte nel centro storico della città . Oltre alla scultura si interessa, da sempre, di teatro per bambini. Ha scritto commedie, diretto compagnie, organizzato tournÊe e stagioni di teatro per ragazzi

Francesco Firpo, I sogni della colonna, 2015 tavole di abete, sagomate e unite con viti, 140 x 50 x 50 cm

32


33


GABRIELE GARBOLINO Rù Torino 1974. Dopo essersi diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti di Torino nel 1996, partecipa ad una serie di mostre collettive tra cui “Vanitas” al Museo Sandro Parmeggiani di Renazzo e alla Fondazione Palazzo Bricherasio di Torino. Nel 2008 una sua opera entra a far parte della Collezione di scultura della Fondazione Gianadda, di Martigny, Svizzera, espone ad ArteFiera a Bologna e al Pavillon des arts e du disign, Jardin des Tuileries a Parigi. Realizza i ritratti bronzei dei successori di Don Bosco per la chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, i gruppi scultorei dedicati alla Madonna della Salette per il Santuario di Viù e il Cristo Risorto ligneo per l’abbadia di Oulx. E’ autore di opera pubbliche tra le quali: “Eclissi di sole” per il Parco di scultura di Ostellato, il monumento ai Caduti sul lavoro per il Comune di Collegno, “Uno di noi” per il Comune di Pianezza, “Stele dell’adolescenza” per il Parco di scultura di Viù, “Atleta” per il centro sportivo di Marene, “Lavoro edile” per la Cassa Edile di Savona e il monumento alle missioni umanitarie di Diano Marina. Tra le mostre personali ricordiamo “Ipotesi per un ritratto contemporaneo” nella galleria Nobile di Bologna e “Gabriele Garbolino Rù” al Museo d’Arte Moderna Fabbriche Chiaromontana di Agrigento. Del 2013 è la sua personale “Ritratto multiforme” e la partecipazione alla collettiva “Alluminio tra Futurismo e contemporaneità”, presso il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento, a Montevarchi. Nel 2015 è presente alla mostra Holy Mister y (il sacro e il mistero nell’arte contemporanea) nella Chiesa del Sacro Volto di Torino, in occasione dell’ostensione della Sindone e vince il concorso indetto dalla CEI, assieme allo Studio di Architettura Kuadra di Cuneo, per la realizzazione della nuova Chiesa di Cinisi.

Gabriele Garbolino Rù, Filo d’acqua, 2011 terracotta ceramificata, 40 x 20 x 20 cm

34


35


ATTILIO GERBINO Nasce a Caltanissetta, nel 1970. Vive e opera a Riesi (Cl) e a Caltagirone (Ct). Studi artistici e laurea in Architettura nel 1997. Fino al 2004 insegna Arte a Torino e lavora a progetti artistici, integrando le tecniche tradizionali al digitale. Rientrato in Sicilia, dal 2007 – per otto anni – ha curato le mostre (grafica, testi, allestimenti e comunicazione) per la Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone (Ct). Insegna Arte agli adolescenti e colleziona opere d’arte e fotografia.

Attilio Gerbino, City, 2005 polistirolo e nastro, 123 x 64,5 x 6 cm

36


37


ANNA GHILARDI Nasce a Crema (Cr) nel 1985. Nel 2003 si diploma presso il liceo artistico della cittadina natale. Successivamente si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Carrara, dove frequenta il corso di scultura. Nel 2011 si diploma in scultura in marmo. Partecipa a diversi simposi artistici in Toscana, Lazio, Lombardia, Ungheria. Espone in numerose mostre, tra le quali quelle allestite al palazzo della Regione Lombardia a Milano, all’Isola del Garda, al Museo del Botticino a Rezzato, allo studio artistico Ponte di ferro, a Carrara. Inoltre partecipa a “Solo donne”, a Torano di Carrara, a “TAAM”, Museo dell’alabastro a Volterra e al Museo di S. Giulia a Brescia. è presente a più edizioni della “Biennale di Soncino, a Marco”, Soncino (Cr) e alla XII Biennale di grafica e arti, Città di Castelleone. Vive e lavora a Soncino.

Anna Ghilardi, Erosion, 2015 scultura in marmo di Carrara, 55 x 33 x 17 cm

38


39


CORRADO GUDERZO Corrado Guderzo è nato a Genova dove attualmente vive e lavora. Si è formato artisticamente e professionalmente a Genova e a Carrara, dove ha concluso i suoi cicli di studio. E’ scultore e docente di discipline plastiche. Dal 1993 svolge il ruolo di responsabile dell’Istruzione Degli Adulti (I.D.A.) presso il Liceo Artistico Klee/Barabino, contribuendo con il suo collegio a definire un modello di didattica sperimentale, ancora oggi unico ed inimitato in Italia. Ha partecipato ad esposizioni d’arte personali e collettive. Parte della sua produzione artistica è in collezioni private nazionali ed internazionali. Nel 2003/2004 ha realizzato l’opera pubblica “Le Radici della vita… le memorie osservate dall’arte” collocata nell’ Ecomuseo di Crosara di Marostica (Vicenza). Nel 2002 ha pubblicato per la casa editrice Bassano il libro “Orme ritrovate – Identità tra arte e territorio”. Nel 2004 ha collaborato alla pubblicazione ed al progetto grafico del libro “Ecomuseo della paglia nella tradizione contadina”, di cui una parte è dedicata alla descrizione dell’opera pubblica sopra menzionata. Ha avuto collaborazioni in ambito museale in Italia e in Finlandia.

Corrado Guderzo, Primordi di esistenza, 2012 resina e metallo, 100 x 75 x 14 cm

40


41


ARIAN KALARI Arian Kalari è nato a Tirana dove frequenta il liceo artistico. Partecipa a diverse mostre di scultura a livello nazionale e decide di andare oltre. Vince il concorso d’ammissione presso l’Accademia delle Belle Arti di Tirana e nel 1988 si laurea in scultura monumentale. Subito dopo, insieme con altri artisti, si schiera contro il sistema dittatoriale che opprime l’Albania. Costretto a lasciare la patria, chiede l’asilo politico presso all’ambasciata italiana. Raggiunge l’Italia nel luglio del 1990. Arrivato in Toscana, terra del Rinascimento, si stabilisce a Firenze, dove si mette a studiare da vicino i grandi artisti. Vive tra Volterra e Tirana. Alcune sue opere si trovano alla Galleria Nazionale di Tirana e tante altre, acquistate dai privati o enti, sono in diverse città d’Italia, d’Europa e degli Stati Uniti.

Arian Kalari, Ritratto di bambina, 2014 pietra scolpita, altezza 40 cm

42


43


MICHELE LIPARESI Nasce a Bologna nel 1986. Si diploma al Liceo Arcangeli del capoluogo emiliano nel 2008. Laurea di triennio in Arti Visive – Scultura nel 2012, Accademia di Belle Arti di Bologna. Primo premio al “Right Brain in a White Box di Artitude, Milano-Fuori Salone 17-22 Aprile 2012”. Collettiva a Casa Masaccio, San Giovanni in Valdarno (AR), “Come sè”, curata da Arabella Natalini e Elena Magini, 22/2-24/3 2014. Laurea in Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi-indirizzo Scultura, Accademia di Belle Arti di Firenze, 9 marzo 2015. Menzione speciale alla Fondazione Giuseppe Lazzareschi, Porcari (LU), collettiva 23/5-13/6 2015. Terzo classificato alla settima edizione del premio Nocivelli, Brescia 2015.

Michele Liparesi, Alce, F-lux, 2015 rete metallica, 100 x 80 x 200 cm

44


45


christian loretti Nato nel 1977 a Foggia, Christian Loretti si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Foggia, con specializzazione in scultura. Docente di Discipline plastiche scultoree nei Licei Artistici, è anche stato professore di Scultura, Anatomia artistica, Formatura, Tecnologia e Tipologia dei materiali all’Accademia di Belle Arti “Lorenzo da Viterbo” (Vt). Giovanissimo, si affaccia sulla scena artistica nazionale con progetti destinati a spazi pubblici in varie città. La sua arte è influenzata dagli scultori italiani del secondo Novecento, e i materiali che predilige sono il bronzo e l’alluminio, pur non disdegnando altre leghe e composti sintetici. Per le sue sculture trae ispirazione soprattutto dalla natura, con opere che possono integrarsi perfettamente negli spazi aperti, e che siano di possibile lettura per tutti, una ricerca plastica e iconica che ricodifica la scultura “di materia” attraverso opere mosaicate, interpretazioni animali e nuovi linguaggi cesellati sul metallo. Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali per la realizzazione di monumenti in spazi pubblici, conseguendo piazzamenti d’onore e, soprattutto, vittorie prestigiose: nel 2004 il primo premio al concorso “Lo stupore” di Cuneo, con l’opera “Sapone”, ora esposta in un parco della città, e nel 2008 vince il concorso pubblico bandito dal comune di Santo Stefano Ticino (Mi) per la realizzazione di un complesso di sculture dedicate al toro – simbolo della città – da sistemare in piazza Moro. La sua esperienza nella progettazione urbana e nel decoro di importanti giardini pubblici gli hanno permesso di lavorare con diverse amministrazioni pubbliche e partecipare a vari progetti di riqualificazione ed interventi su opere monumentali. Ha inoltre partecipato a mostre personali e collettive di importanza sempre crescente, come le collettivae “Porticato Gaetano” a Gaeta (1999), “Il giardino di Roberto” alla Fondazione Peano di Cuneo (2012), “Alimentum” alla Fondazione Banca del Monte (Foggia, 2012), “Culture a confronto”, organizzata dalla Fondazione De Nittis nel Castello di Barletta (2012) e “Alluminio tra futurismo e contemporaneità: un percorso nella scultura italiana sul filo della materia” (2013, museo “Cassero per la scultura” di Montevarchi), comprendente una sezione storica (con opere di Thayaht, Ram, Regina, Di Bosso, Munari Trubbiani, Somaini, Zavagno e altri), e una sezione dedicata ai migliori artisti contemporanei. L’opera presentata (Spigadorsale) è stata scelta per la grafica dell’evento. Quindi la Collettiva “VoLumi”, Centro per l’arte contemporanea “Open space” Catanzaro, (2014). Nel 2013 gli è stata commissionata una scultura-trofeo per il torneo internazionale di calcio under 18 “Generali CEE cup”, svoltosi a Praga ed è stato selezionato per una mostra personale, dal titolo “IconAzione”, alle “Officine Culturali” di Bitonto (Ba) nell’ambito del progetto “10 x 10: dieci artisti per dieci mesi”.

Christian Loretti, Patelle, 2014 fusione a cera persa, alluminio spazzolato, 90 x 90 x 15 cm

46


47


MATTEO MANFRINI Scultore e musicista, nasce a Mezzalombardo (1983) e vive a Cisterna, in quella che lui definisce la Terra di mezzo, un tratto del Trentino, collocato tra la mitteleuropa e l’area padana, che sviluppa, ab antiquo, una propria specifica cultura. L’artista, attento al contesto delle proprie antiche radici, che risalgono ai Roncadores Teutonicum, insediatisi dal XII secolo presso Maso Manfrin, impegnati nei disboscamenti e nelle attività silvicole, inizia il proprio percorso formativo a Selva Gardena, in provincia di Bolzano. Frequenta i laboratori provinciali della Scuola Professionale per Aspiranti Scultori, dove, da secoli, si apprende la pratica della scultura in legno. E’ qui che, individuando lo specifico espressivo delle Terra di Mezzo, nella quale arrivano, da Nord, suggestioni gotiche e, da Sud, linguaggi artistici rinascimentali, egli coglie, rafforza e reinterpreta la specificità espressiva di un territorio - che è pure un modo di essere e di sentire - nel nuovo segmento di tempo, quello della contemporaneità. Dopo sette anni trascorsi a Bologna, torna a lavorare nel Trentino, per recuperare quella dimensione del silenzio e dell’isolamento, che gli permettono di aderire al proprio mondo creativo. Sue opere sono presenti in alcune collezioni private tra Italia, Germania, Brasile e Stati Uniti. Una sua scultura è stata insignita del secondo premio al concorso nazionale “Coni: arte e sport”.

Matteo Manfrini, Wakwak #3, 2015 fusione in bronzo, 28 x 15 x 15 cm

48


49


fatima messana Fatima Messana è un’artista italiana di origine russa, nasce a Severodvinsk (Arkhangelsk Oblast-Russia) nel 1986. Si forma come scultrice all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 2013 è la vincitrice del X Premio Nazionale delle Arti - sezione Scultura. Espone a livello nazionale e internazionale, attualmente vive e lavora a Firenze.

Fatima Messana, Velata Pietas, 2015 tecnica mista, 100 x 140 x 100 cm

50


51


SILVIA NADDEO Silvia Naddeo è nata a Roma nel 1984. Nel 2008 si laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna completando la sua formazione con il Biennio Specialistico di Mosaico nel 2010. Nel 2009 partecipa al progetto Summer School on Mosaics Studies and Restauration a Damasco (Siria), organizzato dall’Ambasciata italiana di Damasco, dala Cooperazione Italiana allo Sviluppo e dal Ministero Italiano degli Affari Esteri. Nel 2012 viene invitata a Mosca per la Residenza d’artista promossa dalla Ismail Akhmetov Foundation. Durante il soggiorno realizza l’opera Transition, che entra a far parte della collezione permanente della stessa fondazione. È vincitrice di diversi premi tra i quali il Premio Starting Point! Nel 2011, il Premio R.A.M. nel 2011 e il Premio Nazionale delle Arti nel 2010. Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero, in spazi espositivi prestigiosi, tra i quali la Galleria d’Arte Statale Na Kashirke e la Musivum Gallery di Mosca, il Museo d’Arte della città di Ravenna, la Chapelle Saint-Éman di Chartres (Francia), il Museo Civico Il Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento e il Festival Internazionale di Mosaico Contemporaneo. L’artista fonde la propria esperienza artistica sul tema del cibo, indagandone gli aspetti socio-culturali a cui è legato e che lo contraddistinguono: un connubio musivo-gastronomico, che sfocia in un’esperienza di condivisione e nutrimento sensoriale.

Silvia Naddeo, Storia di una zucchina, 2013 tecnica mista, smalti, stampa ad inchiostro su carta elementi in legno e acciaio, 7 x 27 x 15 cm 52


53


GABRIELE PACE Gabriele Pace nasce a Grosseto nel 1979. Dopo aver conseguito il diploma quadriennale, indirizzo Architettura, al Liceo Artistico P. Aldi di Grosseto, si iscrive alla Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Roma, nel 1998. Non soddisfatto, dopo appena un anno, decide di interrompere gli studi e riprenderli nel 2003, questa volta a Firenze, e nell’A.A. 2007/2008 consegue il diploma quadriennale con tesi in Scultura, dal titolo “Iperrealismo e Ironia”. Il periodo di “pausa artistica” lo trascorre per lo più lavorando presso una grande azienda produttrice di caschi per moto ed auto. E’ qui che conosce materiali come la resina poliestere, quella epossidica, le gomme siliconiche e gli stucchi, materiali che saranno indispensabili per la realizzazione delle sue future opere. Le possibilità offerte da quelle nuove conoscenze, fanno riaffiorare in lui la voglia o, per meglio dire, “la necessità” di tornare a creare e sperimentare. Gabriele approda all’iperrealismo, realizzando per lo più sculture/installazioni dal sapore ironico e talvolta quasi cinico, ideate con lo scopo di coinvolgere (e sconvolgere) lo spettatore, facendolo così entrare inconsapevolmente a far parte del progetto. Il materico irrompe non solo nell’immaginazione del visitatore, ma fa parte della sua realtà, occupandone gli spazi e interagendo in una dimensione che non è più solo visiva… ma viva. Per la realizzazione dei suoi lavori si affida ai materiali più disparati come il poliuretano, il pvc, il gesso, la cera ed altri “miscugli” non classificabili, generati e testati in corso d’opera, anche se una componente immancabile è la vetroresina, utilizzata anche solo come strato finale, rivestimento interno o in piccoli particolari. Attualmente vive e lavora a Firenze.

Gabriele Pace, Stuck, 2010 tecnica mista, 95 x 65 x 120 cm

54


55


RINO PAGNI Nasce a Pisa nel 1969, dove attualmente vive con la sua famiglia e lavora come architetto libero professionista. Fin da ragazzo nutre una forte passione per l’arte e coltiva le proprie conoscenze in materia, studiando sia testi di arte classica che contemporanea, prediligendo lo studio dei movimenti delle avanguardie storiche e in particolar modo degli artisti italiani. Lavora sperimentando elementi di ogni genere, molti dei quali fortemente legati al proprio lavoro: legno, marmo, materie plastiche, materiali da costruzione – come gesso e catrame – ma anche materia di natura organica. Interpreta l’arte come un bisogno espressivo, una strada da percorrere senza svolte obbligate e senza direzioni vincolate. La sua azione parte da una attenta e sensibile osservazione della realtà, che viene metabolizzata, reinterpretata e caricata di significati personali, nuovi rispetto a quelli strettamente oggettivi, in una costante dialettica fra ragione e inconscio, verità e immaginazione, memorie della vita vissuta e aspettative su quella presente. Produce opere eterogenee, cariche di valori, ricercando forme nuove e originali mezzi espressivi, spaziando dalla pittura alla scultura e spesso agendo in modo trasversale, concependo la composizione artistica come un insieme di masse astratte in un armonico equilibrio. Pagni lavora a casa, in un piccolo vano adibito a laboratorio, ma preferisce l’esperienza all’aria aperta, in luoghi di mare, col quale ha da sempre un intimo legame.

Rino Pagni, Sirena, 2013 poliuretano espanso, nylon, tela di juta, vetroresina, gesso pittura ad olio su legno, 200 x 100 x 15 cm 56


57


FABRIZIO PEDRALI Nasce a Brescia nel 1961. Inizia la propria formazione come autodidatta. Dopo essersi diplomato, frequenta un corso per la lavorazione del vetro. Negli anni seguenti inizia la sua attività con un forno per la fusione di vetrate artistiche e complementi d’arredamento. Ma la sua voglia di creare e scoprire l’arte in tutte le sue forme, lo spinge a frequentare la scuola “Aldo Kupfer” a Palazzolo sull’Oglio (Bs) perfezionando il disegno con Marta Vezzoli, la pittura con Primo Formenti, la scultura e il mosaico con Gigi Ghidotti. Negli anni successivi frequenta anche gli studi degli scultori Remo Bombardieri e Giuseppe Guerinoni. Tutto questo lo induce a non fermarsi solo alla creta e al gesso, ma a sperimentare resine e composti, marmi e pietre con inserti in bronzo, ferro e legno. Alla fine anni 90 passa dal figurativo all’informale geometrico, prediligendo la forma tonda e riuscendo a creare nelle sue sculture un gioco di movimenti, che consentano allo spettatore di interagire con l’opera stessa. Ha partecipato a diverse mostre collettive e personali a Brescia, Bergamo, Cremona, Genova, Milano, Torino, Massa, Ferrara, Imperia, Lecce, Piacenza, Montecarlo, Treviso, Palermo, Valenza, Viterbo, Venezia, Bologna. Dal 2009 partecipa a diversi concorsi, biennali, fiere d’arte contemporanea in tutta Italia e all’estero e viene premiato a Genova, Milano, Torino, Lecce, Piacenza, Brescia e Montecarlo. Viene inserito nell’Enciclopedia d’Arte Italiana, nel Catalogo d’Arte Terza Dimensione pubblicato da Giorgio Mondatori e curato da Paolo Levi; nella rivista Boè “Artisti sui quali investire”, in Arte e Collezionismo 2011, in Galleria Italia 2013, in Contemporary Art Today 2013 e in altre pubblicazioni.

Fabrizio Pedrali, Spazio, 2006 scultura in pietra di Sarnico, 60 x 12 cm

58


59


FLAVIO PELLEGRINI Flavio Pellegrini nato a Brescia nel 1960. Autodidatta. Lavora a Flero (BS). Utilizza il legno come materia dominante per le sue opere. La matematica armonica è alla base delle sue ricerche. Ricerca e sperimenta dal 1999 nuove tecniche scultoree. Nel 2014 la sua prima mostra personale: Forme d’ordine.

Flavio Pellegrini, mONDOvISIONE, 2015 legno, 60 x 60 x 60 cm

60


61


ELISA PEZZOTTI L’artista (1990) segue un percorso formativo classico, per il settore, frequentando il liceo artistico – il “Decio Celeri”, a Lovere, in provincia di Bergamo-, conseguendo poi la Laurea di primo livello in Scultura, all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia e quella di secondo livello in Scultura Pubblica Monumentale, sotto la guida dei docenti Pietro Ricci e Agostino Ghilardi. Espone, sin dal periodo di formazione, in mostre collettive e personali, in prestigiosi centri pubblici bresciani, lavorando in particolar modo sulla percezione interna del corpo e forme biologiche flessuose interconnesse, che uniscono la psiche al soma. E’ stata finalista a premi di valenza nazionale.

Elisa Pezzotti, Impulso 3, 2014 scultura in marmo di Carrara, 105 x 50 x 28 cm

62


63


MORGAN ZANGROSSI Morgan Zangrossi è nato a Rovigo, nel 1974, vive e lavora a Gavello (RO). E’ un artista materico che usa oggetti informatici e multimediali ormai in disuso per rappresentare la sua poetica; pezzi di computer rotti o obsoleti vengono nobilitati da Zangrossi, che inserendoli nelle sue composizioni e ricoprendoli di ruggine, li eleva al pari dei classici oggetti da lavoro, li permea della sacralità che solo l’invecchiamento dà. La vita di questo artista polesano è stravolta, in età adolescenziale dalla disabilità e dal dolore, che gli negano la possibilità di vivere come i suoi coetanei, ma che affinano la sua sensibilità verso le cose belle e l’arte. Lui cresce creando, sperimentando, studiando i grandi artisti dell’arte moderna e contemporanea da cui prende ispirazione per le sue creazioni. Dal 2012 inizia a esporre sia in Italia che all’estero, in personali e collettive di prestigio, nel 2015 è finalista nel Premio “La Quadrata”.

Morgan Zangrossi, Senza titolo, 2015 assemblaggio componenti hardware su supporto ligneo e plexiglass ruggine e doratura, 50 x 50 x 6 cm 64


65


66


Artisti di Ospitaletto omaggio a Domenico Ghidoni

Comune di Ospitaletto

67


Michele Agostini Pittore e scultore, è nato a Brescia nel 1977 e abita a Ospitaletto, un centro che dimostra una particolare vitalità nell’ambito della produzione d’arte e della creatività. Laureato in pittura all’Accademia di Belle arti Santa Giulia di Brescia, lavora superando gli ambiti tradizionali, giungendo spesso a una fusione dei generi. Il suo lavoro è basato su forme organiche e naturali, evocate, quando è possibile, anche con l’utilizzo di materiale di riciclo. Ama disegnare dal vero ed è autore di fumetti.

Michele Agostini, Brachius, 2013 tecnica mista, legno, resina, polistirolo gesso, foglia d’oro, 70 x 70 x 18 cm 68


69


ENRICO CORADI Nasce a Ospitaletto (1955), paese che ha dato i natali, un secolo prima, allo scultore Domenico Ghidoni. Il nonno, Santo, commerciante di bestiame e proprietario di terreni agricoli, è il capostipite di una numerosa famiglia, operosa tanto nelle attività di lavoro quanto nell’espressione artistica. Il padre di Enrico, Bernardino, trova spazio e tempo per coltivare la passione per la scultura sacra, lavorando con materie prime povere come la malta e la polvere di marmo. A quindici anni, Enrico lascia la scuola e inizia la sua esperienza lavorativa nel mondo manifatturiero: salotti e mobili rappresenteranno per lui un tramite per il quale aggancerà artisti con i quali collaborerà alla realizzazione di manufatti particolari e decorazioni che lo porteranno a sperimentare varie tecniche.

70


Enrico Coradi, L’attesa, 2012 tecnica mista, legno, tessuto, colle finitura con vernice effetto anticante 110 x 65 x 65 cm

Enrico Coradi, La donna ragno, 2014 tecnica mista, legno, ferro, cemento, colle finitura in foglia oro effetto bronzo 60 x 102 x 70 cm

71


MAURIZIO MARTINELLI Scultore e pittore, è nato a Brescia nel 1956. Dopo un approccio all’arte da autodidatta, che lo vede, sin da giovanissimo, alle prese con numerose ricerche e sperimentazioni, sente la necessità di consolidare le sue conoscenze tecniche e formali frequentando, dal 1983 al 1986, corsi di pittura alla scuola d’arte dell’Associazione artisti bresciani, dove è allievo del maestro Enrico Schinetti. Dal 1997 al 2002 frequenta corsi di modellato al Liceo Artistico Vincenzo Foppa di Brescia, sotto la guida del Maestro Tullio Cattaneo. Si dedica alla pittura e alla scultura. Il suo linguaggio è eclettico, tanto che spazia dalla figurazione iperrealista all’astrazione. Vive e ha lo studio a Paderno Franciacorta, in provincia di Brescia.

72


Maurizio Martinelli, Elementi assemblati, 2010 scultura di acciaio cor-ten e cor-ten smaltato 200 x 100 x 35 cm

Maurizio Martinelli, Ritratto dello scultore Domenico Ghidoni, 2015, scultura di creta colorata ad olio 47 x 47 x 18 cm

73


74

Maurizio Martinelli, Ritratto dell’artista Enrico Job, 2014 scultura in creta, 34 x 20 x 25 cm


Maurizio Martinelli, Ritratto di mio padre Giuseppe, 2008 scultura in creta, colorata ad olio, 40 x 25 x 18 cm

75


MAURIZIO ROGGERO L’artista (Brescia, 1961) è laureato in architettura al Politecnico di Milano e lavora al Comune di Ospitaletto (Bs). Coltiva la propria creatività dal 2000, con opere di scultura, nelle quali appare evidente un interesse nei confronti del punti di equilibro tra forze e materiali, e con quadri-mosaico, informali, composti con materiale di recupero, pietre, frammenti di mattonelle, lacerti di opere edilizie, quegli “ossi di seppia” montaliani che egli raccoglie sulla battigia per riportarli a un ordine di espressione e di senso, attraverso lavori bidimensionali, caratterizzati da rigore compositivo. Ha esposto in mostre personali e collettive ed ha conseguito riconoscimenti a premi nazionali d’arte.

Maurizio Roggero, Il Piccolo Principe, 2000 scultura e assemblaggio a incastro ferro e legno, 26 x 87 x 10 cm 76


77


78


DOMENICO GHIDONI 1857 - 1920


BIOGRAFIA Domenico Ghidoni nasce il 17 novembre 1857 a Ospitaletto (Bs) da Felice e Maria Bambina Inselvini, in una modesta famiglia di agricoltori. Passa la prima giovinezza a lavorare nei campi, ma è già vivo in lui l’amore per l’arte, spesso infatti intaglia oggetti di legno. Nel 1877 è accettato come apprendista nell’atelier di Corso Magenta a Brescia dello scultore Pietro Faitini che annovera tra i suoi discepoli anche Luigi Contratti e Angelo Zanelli. Contemporaneamente alla sera frequenta la Scuola di Disegno annessa alla Pinacoteca Tosio, in seguito denominata Scuola Moretto. L’incontro con l’architetto Antonio Tagliaferri, membro del Consiglio direttivo, sarà determinante perché veglierà su di lui per tutto il corso della sua carriera artistica. Ed è proprio grazie alle sollecitazioni di Tagliaferri che Ghidoni, nel 1879, si trasferisce a Milano per frequentare la Regia Accademia di Brera, completando gli studi nel 1884, dove presto riceve menzioni onorifiche nei concorsi scolastici. Molto probabilmente in questi medesimi anni frequenta, all’Accademia Albertina di Torino, i corsi di Odoardo Tabacchi. Nel 1884 si offre per la realizzazione del Monumento a Tito Speri, posto nell’omonima piazza a Brescia, che conclude nel 1888, chiedendo un compenso pari alla copertura delle spese; nel medesimo anno porta in mostra all’Esposizione Generale Italiana di Torino Il venditore d’acqua, opera orientaleggiante, ma già di impronta verista, attualmente ai Musei Civici di Brescia. Iniziano ad arrivare anche le prime commissioni dalla città meneghina: nel 1885 gli allogano il Monumento Garbagnati, posto nel Cimitero Monumentale, composizione molto vicina ai lessemi stilistici di Giuseppe Grandi. Nel 1887 conclude per la Parrocchia di San Giacomo ad Ospitaletto la lunetta a bassorilievo raffigurante Cristo tra i fanciulli, per l’altare del Rosario, a seguito dell’incendio del 1886 che bruciò l’altare ligneo preesistente. Nel 1891 porta in 80

mostra all’Esposizione di Belle Arti Triennale di Brera gli Emigranti; con questo gruppo a soli trentaquattro anni raggiunge la fama nazionale, infatti oltre al prestigioso Premio Tantardini gli viene conferito il titolo di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. I meritatissimi riconoscimenti e attestazioni di stima per un’opera di realismo sociale eccezionale per compostezza, dignità e forte carica emotiva si interrompono bruscamente con la presentazione de Le nostre schiave all’Esposizioni Riunite di Milano del 1894. L’opera non viene ammessa dalla commissione perché ritenuta “non opportuna e sconveniente”. Il gruppo raffigura tre giovani donne discinte sedute su un divano in attesa di nuovi clienti. Le nostre schiave che rappresenta con Emigrati la summa artistica di Ghidoni non è mai stata

Casa natale di Domenico Ghidoni

trasferita dal gesso in bronzo o in marmo, di essa rimane una fotografia d’epoca e frammenti di alcune parti, ed è proprio con quest’opera eccelsa che si chiudono per lo scultore le porte della committenza milanese e nazionale, è infatti allontanato dalla Veneranda Fabbrica del Duomo e le sue opere sono escluse da varie Esposizioni, tra cui quella di Venezia. L’artista si riprenderà a fatica dalla polemica che successivamente ne scaturisce e mai risponderà a nessuna critica, la sua risposta è quella di esporre il gesso de Le nostre schiave in una Galleria che sarebbe stata sul passaggio obbligato per i Sovrani in visita all’Esposizione. Anche in questo momento di grande difficoltà a supportarlo è sempre l’architetto Antonio Tagliaferri attraverso il quale ottiene nuove commissioni a Brescia, come lo splendido


Monumento Da Ponte (1897), posto al Vantiniano di Brescia, il Monumento ad Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1898), voluto dall’Ateneo di Brescia in virtù del Legato Gigola e collocato nell’omonima piazza. Riceve anche molti altri incarichi, da parte dell’antica nobiltà e dell’emergente borghesia imprenditoriale, di opere di

Domenico Ghidoni, Emigranti, 1891, (fusione del 1921), 127 x 180 x 93 cm Brescia, Museo del Risorgimento

Domenico Ghidoni, Le nostre schiave, da una stampa fotografica di Achille Ferrario, 1894, Milano, Civico Archivio Fotografico

soggetto di genere, tanto caro al gusto del periodo in cui l’artista riesce a dare prova di sapersi misurare e affrontare con grande maestria i mutamenti stilistici che interessano i decenni di passaggio al XX secolo, riuscendo a reinventarsi sempre a livelli notevoli. Ghidoni scolpisce anche diversi monumenti funerari, tra cui impossibile non menzionare il Monumento a Maddalena Monge Grün del 1910, collocato al Cimitero Monumentale di Milano in cui lo scultore

conferisce levità all’algido marmo nella resa della spinta ascensionale verso l’alto della giovane ritratta. A seguito di una lunga malattia lascia Milano per trasferirsi a Brescia dove muore assistito dalla nipote Bina il 2 settembre 1920. E’ sepolto nel cimitero di Ospitaletto. Successivamente su decisione dell’Amministrazione Comunale di Brescia in ricordo dello scultore è eseguita la fusione in bronzo degli Emigranti. L’inaugurazione avviene il 1 novembre 1922. Attualmente l’opera è collocata al Museo del Risorgimento a Brescia. Adriana Conconi Fedrigolli

81


Il Realismo sociale di Domenico Ghidoni di Adriana Conconi Fedrigolli

L’

occasione di questa prima edizione del Premio Internazionale di Scultura Domenico Ghidoni, promosso dal Comune di Ospitaletto (Bs), e i successivi progetti riguardo alla possibilità di intitolare e dedicare allo scultore un Museo nel suo paese natio, offrono l’opportunità sia di prendere consapevolezza di parte del panorama scultoreo contemporaneo, evento da sottolineare nella sua eccezionalità, anche di riportare l’attenzione su Domenico Ghidoni, artista a cui sono stati già dedicati contributi monografici degni di nota, sia in passato che in tempi più recenti,1 ma che l’attuale fervore critico, si auspica porti all’avvio di nuovi studi e contributi. Una disamina della scultura ottocentesca e di tutti i suoi eccelsi protagonisti, che non è stata ancora compiuta in maniera esaustiva, anche se notevoli traguardi sono stati raggiunti, costringe inevitabilmente a non avere sempre gli elementi di confronto necessari per poter comprendere appieno e nell’immediatezza la poetica di ogni singolo artista. Nel caso specifico di Domenico Ghidoni, scultore precoce e di elevato talento, questo risulta maggiormente praticabile, perché una sua opera, gli Emigranti, portata in mostra, nella versione in gesso, alla Prima Esposizione Triennale dell’Accademia di Belle Arti di Brera del 1891 si staglia unica e possente nel panorama artistico tardo ottocentesco quale uno dei massimi esempi del cosiddetto Realismo sociale. Appare necessario fare qualche passo indietro per meglio comprendere gli assunti ideologici presenti in questo gruppo, che appare lo specchio del mutamento delle basi economiche, sociali e storiche che si innescano inevitabilmente sui soggetti e sulle modalità rappresentative dell’arte stessa. Se il realismo di matrice sociale, avviatosi quale conseguenza delle gravi situazioni in cui versava la classe più indigente, a seguito dell’unificazione italiana, iniziò a manifestarsi in modo evidente intorno agli anni Ottanta del secolo XIX, è infatti del 1882 la fondazione a Milano del Partito Operaio, in Francia tali fermenti e tali tematiche erano già presenti negli anni Cinquanta con le opere pittoriche di denuncia di Gustave Courbet, soprattutto, di François Millet e in modo più edulcorato da temi agresti da Jules Breton. Il panorama artistico italiano nei medesimi anni appare diverso per le diverse situazioni politiche che caratterizzano le due nazioni, anche se lentamente ad opere ancora impregnate di classicismo accademico, di tema storico, di soggetto “grazioso”, che celano sottesi significati patriottici, iniziano ad essere presentate sculture in cui si ravvedono i primi spunti di quello che diverrà il Realismo sociale. Un esempio può essere individuato nelle opere del partenopeo Achille D’Orsi, che se da un lato nel gruppo I Parassiti del 1877, è ancora presente la tematica di storia romana pur nel forte realismo delle figure,

82


Domenico Ghidoni, Monumento Famiglia Soncini, (particolare), 1891 marmo di Carrara e pietra di Botticino, Brescia, Cimitero Vantiniano, sala I

83


dall’altro in Proximus tuus del 1880 il messaggio appare più forte e tangibile anche se in parte negato da D’Orsi stesso, probabilmente per timore di censure. La scultura assume il significato di denuncia assurgendo a simbolo nell’immaginario collettivo, perché la realtà descritta in modo così evidente non può non portare a immediate riflessioni sulla situazione dei braccianti: il protagonista con una dignità che nulla chiede o pretende appare seduto, stremato dal lavoro agricolo che non gli permette neppure la sussistenza, come sottolineano le costole a vista, che confermano una denutrizione protratta nel tempo. Ma è ancora una volta il grande Vincenzo Vela, che sapientemente nel corso della sua carriera artistica aveva sempre preso una salda posizione ideologica, che nel 1882 realizza quella che è e sarà l’opera manifesto del Realismo sociale, Le vittime del lavoro. Un possente bassorilievo in gesso che il ticinese decide di eseguire senza averne commissione, ma unicamente quale memento delle centosettantasette vittime che persero la vita per realizzare il traforo ferroviario del San Gottardo. Una denuncia senza precedenti in cui la scultura ha la primogenitura su tutte le altre discipline. Unicamente cinque figure occupano la scena che non necessita di ambientazione. Un uomo ha subito un incedente mortale mentre stava lavorando e appare sdraiato su una barella, trasportato da due suoi compagni, un terzo si appoggia alla barella stessa, forse si tratta del responsabile del cantiere, perché veste abiti diversi, e l’ultimo con un martello sulla spalla, il cui significato è molto evidente, regge una lanterna fumante ad olio per illuminare il buio dell’ultimo tragitto. Incedono in modo cadenzato su precisi accordi di una processione funebre, i visi segnati nella estrema compostezza, così come i corpi muscolosi dalla fatica e nello stesso tempo ossimoricamente cadenti per l’eccessivo lavoro che ha invecchiato precocemente le membra. Un’opera icastica, sacrale che impone il silenzio. Così scrive Vela stesso: “(…) Mi sono sentito in dovere di ricordare alle persone di cuore questi umili martiri che sono loro fratelli e lavorano per tutti fuorché per se stessi. Feci quest’opera senza averne commissione né l’idea da nessuno. L’ho esposta a Zurigo nella speranza che qualcuno trovi il modo di erigerla all’ingresso del San Gottardo. Così ho fatto non per amore di lucro, ma per il desiderio di vedere eternata nel bronzo2 questa immagine che dovrebbe rattristare e fare arrossire di vergogna tutti coloro che hanno le viscere, l’immagine dell’umanità che soffre senza ribellarsi contro l’iniquità3”. A distanza di alcuni anni, rimanendo in ambito lombardo, Enrico Butti presenta nel 1888 all’Esposizione delle Regia Accademia di Brera il Minatore, statua che si avvicina formalmente al Proximus tuus di D’Orsi, vincendo l’anno a seguire il Grand Prix de Paris, successivamente come già anticipato Domenico Ghidoni porta in mostra alla Prima Esposizione Triennale dell’Accademia di Belle Arti di Brera del 1891, il gruppo in gesso4 degli Emigranti, insieme a due opere di minor dimensione: Finalmente dorme, tributo all’Amor Materno medardiano e la Friulana in cui appare fortissimo il medesimo imprinting conferito agli Emigranti. Nella stessa Esposizione molte furono le sculture che ebbero come soggetto l’emigrazione, tematica particolarmente viva in quegli anni, dato il gran numero di italiani che ne furono coinvolti, ma

84


Domenico Ghidoni, Testa femminile, 1910, marmo di Candoglia 45 x 23 x 16, Ospitaletto (Bs), Comune

85


fra tutte secondo la critica dell’epoca l’opera del Nostro appare la sintesi e la summa di tale soggetto. Su una panchina senza tempo e senza spazio siedono una madre e una figlia. Stanno aspettando e l’attesa viene vissuta dalle due protagoniste in modo diverso: la giovane stremata dalla stanchezza, anche se non più bimba cerca il calore materno mettendosi sulle sue ginocchia, avvicinandosi a quel grembo che l’ha generata, e si addormenta allungando le esili gambe e appoggiando la testa reclinata sul braccio steso della madre che con una mano le sorregge il capo e con l’altra sembra rassicurarla. Un contatto vissuto nella sua fisicità, forte e carico d’amore e protezione. In altro modo vive l’attesa la madre, una donna invecchiata precocemente, dal viso serio, composto pensieroso in cui è più che tangibile il continuo fluttuare di immagini nella sua mente. Nella figura vi è un grande contegno e ripeto ancora una volta il termine dignità, una dignità silenziosa perché alla rassegnazione ha scelto il coraggio, il coraggio di indossare gli abiti più decorosi, quelli della “festa”, probabilmente, le sue scarpe da contadina, le uniche che possiede, e raccogliere tutta la sua vita in un sacco, posto a destra sotto la panchina, e in una piccola valigia, con sopra un ombrello che tiene al fianco. Una casa e una quotidianità conosciute abbandonate per garantire alla giovane figlia un futuro diverso, che spera possa essere migliore. Non sappiamo se ad attenderla al suo arrivo dopo un lungo viaggio per mare ci sia il marito e altri figli che l’hanno preceduta, o se ci siano dei parenti, comunque sia questa donna sta partendo, andando incontro all’ignoto. E Ghidoni riesce con il suo modellato morbido e vibrante da plastificatore immediato a far vivere la materia che diventa sensibile, docile e duttile nella resa delle emozioni che appaiono tangibili e palpabili nel bronzo che perde la sua algidità a favore proprio del calore dei sentimenti. Un gruppo di un’assoluta perfezione formale in cui nella costruzione volumetrica nulla è lasciato al caso, anzi vi sono precisi rimandi strutturali come per esempio il piede avanzato della madre e la testa inclinata della fanciulla che permettono una resa impeccabile anche da un punto di purezza e sintesi esecutiva d’insieme. L’artista a poco più di trent’anni raggiunse la fama, ottenne importanti premi, riconoscimenti e commissioni, ma tutto ciò durò molto poco. E la causa fu la sua successiva opera, nota nella sua interezza unicamente in una fotografia dell’epoca, Le nostre schiave. Il gruppo fu presentato per essere portato in mostra alle Esposizioni Riunite di Milano del 1894, ma la giura lo rifiutò. Ghidoni coerentemente dopo la tematica degli Emigranti, scelse di mettere in luce una realtà più che mai viva e oggetto di recenti ordinamenti da parte del Governo post-unitario come la legge Crispi del 1888 e le successive modifiche legislative apportate da Urbano Rattazzi nel 1891, con le quali venivano dimezzate le tariffe per i frequentatori delle cosiddette “case chiuse”, e forse proprio da questo fatto nacque nell’artista l’idea del soggetto e il titolo stesso del gruppo. E’ verosimile pensare, considerando la successiva reazione di Ghidoni alle molte polemiche che sorsero - alle quali decise sempre di non rispondere, se non esponendo il suo superbo gesso in un negozio di Via Dante, strada che

86


Domenico Ghidoni, Monumento ad Alessandro Bonvicino detto il Moretto, 1898 pietra di Botticino e bronzo, altezza statua 350 cm, Brescia, Piazza Moretto

87


sarebbe stata d’obbligo di percorrenza per i visitatori delle Esposizioni Riunite - che in lui non vi fosse un preciso e precostituito desiderio di suscitare clamore, ma semplicemente la volontà ferrea di descrivere la realtà negli aspetti più toccanti, più vivi e anche più nascosti. Il trinomio mazziniano “Dio, Patria e Famiglia” che divenne l’ideale pre e post-unitario certo non prendeva in considerazione le “Case chiuse”, chiamate così, oltre perché era richiesto che non fossero mai aperte le imposte esterne, anche perché indicavano qualcosa di separato e di escluso, di cui tutti sapevano l’esistenza, ma che nello stesso tempo tutti facevano finta che non ci fossero. Un mondo altro di cui non si poteva e doveva parlare. E invece Ghidoni ne parla, dà sentimenti e voce a una parte della classe sociale disadatta, che a differenza del braccianti, dei minatori o degli operai, non poteva esprimersi perché già preconcettualmente considerata “segnata”. Il disagio sociale dei più umili non poteva includere anche i tabù morali che andavano contro il perbenismo della antica nobiltà e dell’emergente classe borghese, per tale motivo Le nostre schiave, in cui la denuncia sociale stava già nel titolo stesso, venne esclusa dalle Esposizioni Riunite. E di conseguenza il suo autore. A noi rimane a distanza di più di un secolo una stampa fotografica all’albumina dell’epoca e due ampi frammenti dell’opera, forse rotta dal tempo o come scrisse qualcuno dalla mano di Ghidoni stesso. Ma questo non importa perché il messaggio dello scultore e l’afflato che ha introiettato nel bozzetto, che poi fu trasferito in gesso, riesce a raggiungerci ancora e ancora a farci riflettere. Tre donne, tre tipi umani, appaiono sedute su un divano, dalle ricche frange, in attesa dei clienti. I loro atteggiamenti, le loro espressioni, i loro abiti sono diversi. La prima sulla sinistra, guardando il gruppo, si presenta con le gambe scoperte e accavallate, in una posizione comoda, quasi sdraiata, con le braccia stese dietro la schiena per sorreggersi. Il suo sguardo è serio, sembra rassegnata alla vita che sta conducendo e tenta probabilmente di non porsi tanti perché. La donna collocata all’altra estremità è distesa trasversalmente, gli abiti discinti e lo sguardo riflessivo, ma quella che colpisce maggiormente è la figura posta al centro, completamente diversa dalle altre due. Indossa un vestito lungo e accollato, da educanda, sta seduta in maniera composta, in posizione precaria, esprime il suo disagio nella posizione stessa delle spalle incurvate e soprattutto nell’espressione del giovane viso, attonito e triste nello stesso tempo. Ghidoni cercava verosimilmente di far comprendere che il giudizio sarebbe dovuto essere sul singolo individuo e non a priori su una “categoria” e forse desiderava puntare i riflettori sulla prostituzione per far sì che potesse essere oggetto di alcuni miglioramenti, che le modifiche legislative di Rattazzi sicuramente non avevano apportato. Ma così non fu. Dopo la censura de Le nostre schiave, gli furono tolte molte commissioni anche dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano e non partecipò alle Esposizioni nazionali e internazionali per circa un lustro. Ghidoni riuscì comunque a non interrompere la sua produzione artistica, grazie l’intervento dell’architetto bresciano Antonio Tagliaferri che lo aveva sostenuto sin dai suoi primi esordi. Nello stesso anno, il 1894, gli fu allogato l’importante Monumento

88


Domenico Ghidoni, Monumento ad Alessandro Bonvicino detto il Moretto, (particolare), 1898 pietra di Botticino e bronzo, altezza statua 350 com, Brescia, Piazza Moretto

89


ad Alessandro Bonvicino detto il Moretto, inaugurato a Brescia davanti alla attuale Pinacoteca Tosio Martinengo nel 1898, ricevette commissioni di opere funerarie e realizzò moltissimi busti ritratto, bassorilievi, soggetti graziosi in cui con la sua maestria tecnica e duttilità mentale seppero adeguarsi ai mutamenti stilistici che stavano traghettando l’arte scultorea italiana dalla fine del Ottocento al primo ventennio del Novecento. Opere in cui si rimane stupefatti di come l’artista cambi linguaggio espressivo con estrema velocità, riuscendo a mantenere sempre il livello di eccellenza che gli appartiene. Una domanda viene spontanea a chi scrive: “ Che cosa avrebbe scolpito Domenico Ghidoni se non ci fosse stata la censura per Le nostre schiave?”

Cfr. G. NICODEMI, Domenico Ghidoni, 1923, Milano, Arti grafiche Pizzi & Pizio; E.ABENI – L. SPIAZZI, Domenico Ghidoni, con fotografie di R. Bianchi, 1985, Brescia, Tipolitografia artigiana; G. POLONI, Scultura contemporanea lombarda: omaggio a Domenico Ghidoni - Catalogo della mostra, Ospitaletto, 17 ott. - 8 nov. 1992, Ospitaletto, Comune; G. GINEX, Domenico Ghidoni (1857-1920) “Bizzarro scultore, pensiero generoso, anima e ribellione” - Catalogo della mostra, Ospitaletto -Brescia, 3 mar - 16 apr. 2001, 2001, Brescia, Arti grafiche Apollonio 1

Nel 1893 il figlio dello scultore, Spartaco, accettava che fosse eseguita una fusione in bronzo che attualmente si trova alla Galleria Nazionale di Arte moderna di Roma, la realizzazione del bassorilievo fu seguita personalmente dallo scultore Ernico Butti. Nel 1931 una nuova versione fu collocata ad Airolo, in ricordo delle vittime del traforo del San Gottardo. Si rimanda a AA.VV., Museo Vela – Le collezioni, 2002, Lugano, Corner Banca, pp.106-107, 295-296 2

3

Cfr. R. MANZONI, Vincenzo Vela: L’homme, le patriote, l’artiste, 1906, Milano, U. Hoepli, p.281

A seguito della morte di Domenico Ghidoni, avvenuta il 2 settembre 1920, il 19 ottobre del medesimo anno il Consiglio Comunale di Brescia deliberò la fusione in bronzo dell’opera gli Emigranti. L’Ateneo si rese disponibile a partecipare alla spesa usufruendo del Legato G.B. Gigola. La fusione dell’opera fu effettuata il 5 luglio 1921 dalla Fonderia Battaglia di Milano. Si dovette attendere più di un anno per assistere all’inaugurazione che si tenne il 1 dicembre 1922. Cfr. F.DE LEONARDIS – G. GINEX, Emigranti – Vicende di un capolavoro dell’arte sociale dell’Ottocento, in G. GINEX, Domenico Ghidoni (1857-1920) “Bizzarro scultore, pensiero generoso, anima e ribellione” - Catalogo della mostra, Ospitaletto -Brescia, 3 mar -16 apr. 2001, 2001, Brescia, Arti grafiche Apollonio, pp.49-53 L’opera subì vari spostamenti, attualmente si trova al Museo del Risorgimento di Brescia. E’ nota una seconda versione che si trova a Milano nella sede della Società Umanitaria. 4

90


Domenico Ghidoni, Monumento Da Ponte, pietra di Botticino e bronzo 160 x 79 x 50 cm, Brescia, Cimitero Vantiniano

91


92

Domenico Ghidoni, Monumento Monumento ad Agostino Vigliani, 1911 ca., bronzo firmato in basso a destra “D. Ghidoni�, Brescia, cimitero Vantiniano, sala II


Domenico Ghidoni, Monumento ad Antonio Tagliaferri, 1911 ca., bronzo firmato in basso a sinistra “D.Ghidoni�, Brescia, Cimitero Vantiniano, sala II

93


94

Domenico Ghidoni, L’angelo solleva il velo della rivelazione, 1899 Gussago, Chiesa di Santa Maria Assunta


Domenico Ghidoni, San Giuseppe nella bottega di Nazareth, 1899 Gussago, Chiesa di Santa Maria Assunta

95


96

Domenico Ghidoni, Nudo femminile, 1908 ca., gesso 68 x 20 x 30 cm, Ospitaletto (Bs), Comune


Domenico Ghidoni, Monumento a Tito Speri, 1888, pietra di Botticino 542 x 180 x 180, Brescia, Piazza Tito Speri

97


98

Domenico Ghidoni, Alba o nudo di fanciulla adolescente,1904 circa, bronzo 53 x 23 x 16, Ospitaletto (Bs), Comune


Domenico Ghidoni, Busto di Angela Beltrami Malaspina, 1909, marmo 48 x 36 x 25 cm, Ospitaletto (Bs), Comune

99


100

Domenico Ghidoni, Leoni, 1890, pietra di Mazzano, 170 x 300 cm iscrizione sulla base:�Ghidoni�, Brescia, Castello


Domenico Ghidoni, Monumento a Costantino Quaranta, 1888, ca., bronzo e marmo bianco firmato sul risvolto destro del basamento:� D. Ghidoni�, Brescia, cimitero Vantiniano, Pantheon

101








Comune di Ospitaletto


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.