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13. La sfida del PNRR: spendere bene, tempestivamente e dove serve

Uno spettro si sta aggirando nelle sedi di Partiti ed Associazioni professionali/imprenditoriali, nei Palazzi dei Ministeri e delle Amministrazioni italiane (Regioni, Province, Comuni): ha le sembianze del comprensibile timore di non riuscire a utilizzare le risorse del Pnrr, e non solo.

La legittima preoccupazione che viene adombrata dai media e che è ben presente in molti dirigenti pubblici e policy maker è causata dal come potranno essere spese bene le tante risorse previste, a fronte delle performance registrate negli ultimi decenni, per somme minori, ovvero dei risultati poco brillanti ed in molti casi molto deficitari in termini di tempestività ed efficacia. La preoccupazione è ben fondata se si considera che ai circa 220 miliardi del Pnrr vanno sommate: le risorse dei fondi strutturali ‘tradizionali’ (ancora quote importanti della 2014-2020 e della nuova 2021-2027) e quelle del React Eu, per un totale potenziale che si aggira intorno ai 340 miliardi di euro da spendere entro il 2029, di cui circa 300 stimabili entro il 2026.

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Inoltre, va tenuto presente che i finanziamenti previsti nel Pnrr saranno messi a disposizione su base semestrale e solo a fronte dell’effettivo conseguimento degli obiettivi intermedi previsti, secondo la sequenza temporale concordata. Non si tratta solo di emanare i decreti, ma di gestire senza intoppi e ritardi gli investimenti ed i progetti.

Nell’attuazione dei Fondi strutturali, è diffusa la consapevolezza che il ‘sistema pubblico italiano’ ha trovato nel tempo scappatoie e alchimie amministrative e finanziarie, come i progetti ‘sponda o coerenti’, o con il ‘trucco’ dell’innalzamento del tasso di cofinanziamento nazionale allo scopo di abbassare i target della quota comunitaria e le continue riprogrammazioni, oppure ancora con il ricorso ai Programmi complementari (Poc e Pac) che hanno fatto da contenitori a risorse non spese e soprattutto meno monitorate.

Dal 2016 a oggi, la pubblica amministrazione centrale e le Regioni coinvolte nell’attuazione dei Fondi strutturali 2014-2020 (Pon e Por), hanno consentito di realizzare interventi, con molta fatica, mediamente per non più di 5 miliardi l’anno. Nei prossimi 5 anni l’intero sistema pubblico italiano è chiamato a misurarsi una capacità di spesa di circa 300 miliardi, ovvero con la sfida di predisporsi a gestire una spesa di circa 60 miliardi l’anno, operando quindi una performance 10 volte superiore alla spesa raggiunta nell’ultimo lustro. Si può ben comprendere il salto di qualità culturale ed organizzativo richiesto al ceto politico ed alla dirigenza della PA, per adottare i processi di informatizzazione, innovazione ed assunzione delle competenze necessari per varare rapidamente tutti i provvedimenti necessari.

Un primo step è stato il recente tentativo di reclutamento delle prime risorse specialistiche di supporto alla PA, ma non risulta che abbia sortito gli effetti desiderati. La questione presentatasi non è ‘inedita’: a fronte di una richiesta di alte professionalità e competenze specialistiche avanzate, sono stati offerti inquadramenti e stipendi non proporzionati, non competitivi rispetto a competenze non facilmente rinvenibili sul mercato.

Ciò significa che la semplificazione nei concorsi consentire di coprire i posti vacanti in organico, ma verosimilmente di non poter contare realmente su competenze e tecnicalità preparate per attuare il Pnrr.

Diventa essenziale creare un’area di tecnici e specialisti con un trattamento economico pari ai quadri del settore privato, che comunque devono essere attratti non solo con un trattamento economico di mercato, ma con percorsi formativi e carriere tipiche dei migliori datori di lavoro.

Bisogna diventare finalmente consapevoli dei limiti strutturali del mercato del lavoro italiano, in particolare della mancanza di capitale umano con competenze Stem, fattore che si sta rilevando un bottleneck per il rilancio dell’economia. Anche il settore pubblico dovrà preoccuparsi, come datore di lavoro, dell’orientamento 174