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RINASCIMENTO ETICO

La metamorfosi in atto

Un ecosistema culturale per il Rinascimento etico-civile in Veneto. La metamorfosi in atto (Parte 1di7)

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“Io penso che all’origine della creatività in tutti i campi ci sia quella che io chiamo la capacità o la disponibilità a sognare, a immaginare mondi diversi, cose diverse, a cercare di combinarle nella propria immaginazione in vario modo. A questa capacità, forse alla fine molto simile in tutte le discipline (matematica, filosofia, teologia, arte, pittura, scultura, fisica, biologia …) si unisce poi la capacità di comunicare i propri sogni, e una comunicazione non ambigua richiede anche la conoscenza del linguaggio, delle regole interne proprie alle diverse arti, delle diverse forme del sapere umano”

Michele Emmer, De Giorgi, la mente che batté Nash — LA LETTURA 11 settembre 2016I

1. La metamorfosi in atto Se la cultura è “un insieme di elaborazioni storicamente determinate che risponde a un bisogno” (così Tullio De Mauro), oggi stiamo assistendo ad un processo di trasformazione socioculturale in tutti i Paese europei — con intensità e caratterizzazioni diversificate — sempre più nitido nelle sue manifestazioni e conseguenze.

Focalizzando lo sguardo sulla cronaca o soffermandosi su saggi e ricerche che danno conto del diffuso bisogno di sicurezza identitaria ed economica, oltre che di rigenerazione dei leganti relazionali e comunitari, appaiono sempre più chiaramente le cause dirette ed i fattori che stanno determinando il sommovimento in profondità degli assetti politico-istituzionali e la frammentazione-segmentazione della struttura sociale (e conseguentemente della rappresentanza politico-partitica), con effetti dirompenti in termini di incertezza sulla vita delle persone, sullo sviluppo dei territori, sul contesto operativo delle imprese, insomma sulla qualità degli assetti democratici.

Sono l’intensità crescente dei flussi e degli scambi determinati dall’assorbimento delle economie nazionali e dell’intera UE nel vortice della globalizzazione che si combinano con l’azione dei sistemi imprenditoriali più aggressivi (operanti negli ambiti finanziari, dell’innovazione tecnologica, produttivi, della logistica, della distribuzione e dei servizi) e con l’accelerazione consentita dalla rivoluzione digitale.

I dati ed i rapporti sulla crescita sono incontrovertibili nel certificare che il miglioramento complessivo del PIL che tale processo ha innescato, rallentato ma non inficiato dall’ultima crisi iniziata nel 2008, entrata ora in una fase di lento superamento, si è accompagnato al peggioramento dell’indice di Gini (particolarmente in Italia).

Ci segnalano altresì che la sfida competitiva innescata dall’aumentata integrazione dei mercati (europeo e mondiale) ha comportato l’accentuazione della selezione degli attori partecipanti ed una loro discriminazione correlata al livello di innovazione che sono stati in grado di adottare nelle loro strategie di sviluppo.

Ne dà conto annualmente il Rapporto di ItalyPost che ha individuato i “500 Champions” alla fine del viaggio tra le oltre 14 mila piccole e medie imprese italiane raccontano anche questo:

“quel che negli anni della recessione si è visto chiaramente sono le aziende che sparivano, i poli un tempo d’eccellenza spazzati via per intero. Quello che invece ai riflettori è spesso sfuggito — e una delle ragioni è banale: i riflettori, ai «piccoli» vincenti di oggi, non interessano — è che intanto più di qualcuno, da altre parti, inventava nuovi business e reinventava i vecchi, ridisegnava modelli, dava il via a una disruption non diversa da quella con cui sono alle prese i massimi sistemi”.

Si sono determinate quindi delle nuove gerarchie tradottesi in fratture e disuguaglianze sociali in termini di distribuzione della ricchezza e delle opportunità che a loro volta hanno determinato “rotture sentimentali” nei confronti della prospettiva, dapprima ritenuta incontrovertibile, di una cittadinanza europea condivisa e solidale.

L’effetto più eclatante è stato il manifestarsi di tensioni in tutti i Paesi provocate dalle emergenti forze politiche connotate da una vocazione neo nazionalista declinata in diverse varianti, dall’Ungheria alla Catalogna, dal progetto lepenista sconfitto alle ultime elezioni francesi a quello di Farage vincente in UK con la Brexit, dai movimenti regressivi dell’Est europeo (il più rilevante operante in Polonia) al populismo pseudosovranista salviniano, che dopo le performance elettorali per il Parlamento europeo è entrato su un piano inclinato del consenso fino ad essere ora superato dalle Meloni.

Ne sono derivate la ricerca di nuovi confini e nuove difese per l’autotutela di identità sentite minacciate, la riproposizione di grandi e/o piccole patrie (first my country) che rappresentano un rifugio immaginario ed una protezione virtuale dai fattori che aggrediscono gli assetti consolidati di appartenenza, insidiati e messi in tensione dalla competizione economica e dal conseguente impulso alla mobilità che si manifesta con i processi migratori (in e out) diventati la rappresentazione più pregnante del tempo presente: nella versione ottimistica e patinata della crescente intensità/velocità commerciale e turistica da un lato, nell’epopea drammatica delle fughe dai luoghi della miseria e della violenza dall’altro. Viviamo un tornante della storia in cui la curvatura rende più difficile comprendere il percorso intrapreso e la meta, che non è più un luogo bensì un progetto in costante aggiornamento, reso talvolta necessario altre volte possibile dai diversi contesti e dalle diverse opportunità che l’espansione (in termini di spazi e velocità) del ‘mercato’ propone. Le persone, le famiglie, le imprese, sono sottoposte ad una sorta di scuotimento che ne mette a dura prova la resilienza e la capacità di riposizionarsi in un ambiente sociale ed economico diventato strutturalmente più ricco, ma anche insidioso per le variabili che vi sono state immesse proprio dai vettori che hanno determinato ed accompagnato la crescita: innovazione tecnologica, flessibilità culturale, volatilità finanziaria, aggressività competitiva, molteplicità dei modelli politici e dei valori della postmodernità.

Risulta comprensibile quindi che tale ‘metamorfosi’ del contesto, secondo l’efficace definizione di Ulrich Beck, abbia prodotto uno stato di shock che ha mandato all’aria le certezze ed i paradigmi interpretativi su cui si è fondata la società contemporanea, mettendo in discussione le costanti antropologico-culturali della vita e delle concezioni consolidate del vivere comune, la cui evaporazione ha disorientato intere classi dirigenti affermatesi con l’adozione di strumenti cognitivi consuetudinari ed abituate alla frequentazione di ambienti non sottoposti all’azione corrosiva degli agenti disruptor.

Ci si è trovati inseriti in una dimensione storica il cui tratto distintivo è costituito dalla condensazione dei cambiamenti in corso e dalla conseguente immersione nel presente che rende difficoltoso immaginare il futuro, intravvisto e vissuto con lucidità e spavalderia solo dalla nuova upper class formata da coloro che hanno generato la nuova conoscenza ed attivato i nuovi modelli di business, diventati la chiave di accesso all’innovazione tecnologica ed alla gestione finanziaria dei processi di sviluppo nell’ambito della globalizzazione.

L’ambiente sociale ed economico “contaminato” dai fattori dell’innovazione ha moltiplicato le opportunità, ma reso molto più selettiva la corsa al successo!