8 minute read

Il nuovo sguardo (e gli interessi) d’Italia sul mondo

importanti appuntamenti di G20197 a Roma il 30 e 31 ottobre e di Cop26198 a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. 5. Il quinto ci consente di focalizzare gli strumenti per la governance delle distorsioni provocate dal processo di sviluppo senza redini e regolazione; ne parla Michele Bavaro commentando le ‘Proposte dell’OCSE per la mobilità sociale’199 .

Aria, idee e leadership nuove. Con il civismo, per la rinascita della Democrazia Italiana. (parte 30 di 40)

Advertisement

La riflessione potrebbe partire dall’allarme lanciato qualche tempo fa da Angelo Panebianco con un editoriale sul Corriere della sera, L’Italia e l’Occidente. I pericoli del legame con Mosca, nel quale si paventa in modo preoccupato che “Il governo sembra sul punto di mettere in discussione le scelte pro — Occidente del 1948, sembra pronto a salpare verso lidi più orientali, sembra pronto a ridefinire la propria collocazione internazionale”200 …

Giorgio Roverato, nella sua pagina Facebook ha così commentato l’‘allarme’ del professore bolognese: “Mah… Leggo solo oggi. Credo però Panebianco semplifichi troppo, come spesso gli accade… No, non per i rischi (reali) di un appiattimento italiano sulla Russia di Putin, bensì per la lettura che egli fa della collocazione ‘occidentale’ dell’Italia.

Che derivò — più che dalla maggioranza assoluta conquistata dalla Dc il 18 aprile 1948, e dall’adesione (obbligata!) al Patto Atlantico sottoscritta nel 1949 — dal Patto di Yalta: che sancì la divisione dell’Europa in due zone di influenza, con l’Italia inclusa in quella occidentale. Zone di influenza che coincidevano con l’occupazione militare dei paesi sconfitti poi concretamente realizzata dagli Alleati in Europa occidentale e dall’URSS in quella orientale. A questa appartenenza ‘occidentale’ contribuì, e non poco! anche il Pci di Togliatti, che capì la velleitarietà di qualsiasi opposizione a quanto deciso a Yalta. Né la ‘Guerra Fredda’ modificò la situazione, stante che essa nacque proprio per impedire qualsiasi alterazione di quell’equilibrio. Una interpretazione eterodossa? no, perché una qualche conoscenza della storiografia in materia, ancorché non poche volte contraddittoria, assevera alla fine tale lettura. Una storiografia, forse, non sufficientemente praticata da Panebianco… Di più: il coinvolgimento dell’Italia nel processo di integrazione europea trova la sua ragione d’essere in una spinta interna, autoctona, direi. Ovvero nell’antifascismo democratico, e in quel ‘Manifesto di Ventotene’, il documento elaborato da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante l’inverno del 1941, detenuti al confino in quell’isola, il cui titolo completo è Il ‘Manifesto per un’Europa libera ed unità, ma noto come ‘Il Manifesto di Ventotene’ a partire dall’edizione clandestina del 1944, curata da E. Colorni che partecipò alle discussioni che portarono alla sua stesura.

197 G20 Rome Leaders’ Declaration https://bit.ly/3EylcUW 198 Gli Obiettivi della COP26 https://bit.ly/32Cj9lM 199 Quali politiche per la mobilità sociale? Le proposte dell’OCSE https://bit.ly/33ttxwy e A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility https://bit.ly/3pYBcuc 200 I pericoli del legame con Mosca https://bit.ly/3s16Slv

Il Manifesto rappresenta un mutamento di paradigma essenziale nel progetto di un continente europeo unificato. “L’elaborazione del Manifesto. Partendo dall’analisi delle ragioni che avevano provocato due guerre mondiali e ispirandosi contemporaneamente a testi anglosassoni e alle riflessioni di L. Einaudi sulla crisi dello Stato-nazione, il Manifesto di V. abbandonava la convinzione evoluzionista del pacifismo passivo tipica della dottrina liberale -secondo la quale le società erano naturalmente portate a svilupparsi verso forme superiori di convivenza — per aprire una prospettiva diversa di pacifismo attivo, sulla base della necessità di offrire all’Europa il progetto di un nuovo sistema fondato sull’interdipendenza degli Stati e non più sull’equilibrio fra Stati sovrani. In questo senso, la teoria dello Stato federale concepita da Spinelli e Rossi e l’azione politica che ne è stata il suo naturale corollario hanno lasciato il segno nel tempo, collocandosi nel solco del pensiero politico realista. Teoria e azione insite nel M. si sono distinte sia dalle concezioni del federalismo come un’ideologia destinata a imporsi fatalmente nel corso della storia, che culminerà nella federazione mondiale, sia dalle dottrine liberali, democratiche e socialiste che attribuivano rispettivamente alle politiche economicomercantiliste, ai sistemi totalitari e al capitalismo le cause della guerra”. [Da “Ventotene, Il Manifesto di”, in Treccani, Dizionario di Economia e Finanza, 2012]

Fossi Panebianco, approfondirei di più prima di scrivere…”. C’è sicuramente molto da approfondire, e non solo sotto il profilo storico, della ‘provocazione’ di Panebianco, soprattutto allargando lo sguardo sul piano delle scelte politiche contemporanee di Politica estera che si rendono necessarie e stringenti in uno scenario internazionale in accelerata evoluzione, proprio a partire dal ‘focus’ dell’articolo, la cui debolezza è effettivamente rintracciabile nella sottovalutazione degli scarsi margini di scelte ‘indipendenti’ che (ieri ed oggi) le leadership italiane (ed europee) hanno potuto e possono effettuare nello scacchiere delle relazioni diplomatiche.

Ne parla anche Manlio Graziano, autore del libro Un’isola al centro del mondo, nell’articolo Usa e Russia finti rivali. Intesa già prima di Trump (La Lettura, Corriere della Sera 26 agosto 2018), sostenendo una tesi che mette in seria discussione molte certezze sedimentate nell’opinione pubblica nazionale: “Tra Mosca e gli Stati Uniti non c’è mai stato un conflitto diretto. Durante la guerra fredda lo scopo vero degli americani era tenere l’Europa sottomessa agitando lo spettro sovietico. Oggi il gioco pare ripetersi. Tuttavia, il fascino che il leader della Casa Bianca prova per Putin, non lo favorisce” 201(!?)

Dalle scarne considerazioni e punti di vista finora esposti si può dedurre una conclusione univoca e cioè che le elezioni europee hanno accelerato l’esigenza di mettere al centro dell’agenda politica il confronto sulla visione geostrategica degli interessi politico-culturali ed economici del nostro Paese, nella temperie del processo di (ulteriore) integrazione europea e della competizione delle macroaree a livello globale.

Oggi per l’Italia si presenta un ventaglio di scelte più aperto ed anche più rischioso e la necessità di implementare il confronto tra gli esperti e l’informazione dell’opinione pubblica sullo stato reale delle relazioni internazionali e dei loro effetti risulta un’urgenza assoluta a fronte del dilettantismo e superficialità con cui gli sgovernanti gialloverdi del Governo Conte 1 hanno affrontando il molti dossier di politica estera sul tavolo, ora rientrata – dopo le correzioni del Governo Conte 2 e l’insediamento del Governo Draghi –nell’alveo del tradizionale atlantismo e di un pieno dispiegamento della strategia di consolidamento dei rapporti all’interno dell’Unione Europea, vedi in particolare le importanti iniziative di fine 2021: • Il Trattato Italia-Francia202 • L’incontro ed i Piani d’azione concordati Italia-Germania203

201 Imperialista fingendo di non esserlo. La strategia di potenza dell'America https://bit.ly/33tuTaC 202trattato tra la repubblica italiana e la repubblica francese per una cooperazione bilaterale rafforzata https://bit.ly/3yZsU9H 203 Incontro con il Cancelliere Scholz, le dichiarazioni del Presidente Draghi https://bit.ly/3z5NtRJ 87

La Politica estera è infatti diventata molto più densa di opportunità e di insidie rispetto al passato, di opzioni e problematicità in cui il protagonismo diretto del Paese deve essere contemperato dalle scelte e dai vincoli delle alleanze, in primis l’appartenenza ad un’Unione Europea che esercita le fondamentali gestioni degli Accordi commerciali e delle Politiche di Difesa e Sicurezza.

Basti pensare alla recente sottoscrizione del ‘Memorandum con la Cina’ (durante il ricordato Governo Conte 1 apparso un evento ricco di ‘convenienze’, ma anche di insidie e controindicazioni relativamente al rischio di far diventare l’Italia una sorta di Piattaforma logistica della penetrazione del gigante asiatico nel continente europeo, questione che molto più coerentemente ed efficacemente avrebbe dovuto e dovrebbe essere affrontata dalla Commissione europea204 .

Se le tensioni e polemiche che hanno accompagnato la partecipazione ed il concreto coinvolgimento italiani al Progetto ‘Via della seta’ appartengono — per ora — alla dimensione delle discussioni & competizioni diplomatiche, la questione Immigrazione ha assunto dimensioni ed implicanze che sollecitano un salto di qualità e ‘personalità’ a livello internazionale del nostro Paese di cui non si vedono ancora le sembianze.

La lista dei ‘buchi’, delle insufficienze ed incongruenze sul terreno della visione e dell’azione sul campo impressiona non solo per il costo degli insuccessi finora incassati, ma per le conseguenze nefaste future derivanti dal permanere di un profilo dilettantistico nello scenario europeo ed internazionale:

• vedi gli effetti del mancato coordinamento a livello europeo e lo sciagurato affiancamento dei ‘Paesi di Visegrad’ che ha visto e vede protagonisti gli esponenti sovranisti (da Salvini a Meloni); • la tragedia che sta andando in scena nella confinante Libia che, nonostante il riavvicinamento diplomatico tra Italia e Francia sui destini di questo Paese, continua a vivere una terribile incertezza con conseguenze devastanti (anche) sul fronte dei flussi migratori; • l’estemporaneità nella gestione del colossale ‘Dossier Africa’ che può e deve essere affrontato con la elaborazione di un ‘Piano Marshall’ sostenuto in partnership con tutti i Paesi europei ed in

‘coopetizione’ con Cina ed Usa205 .

Insomma, le scale di grandezza degli interessi in gioco e dei potenziali conflitti in molte delle aree e delle relazioni praticate, pongono alla leadership politica italiana l’acquisizione di una ‘statura’, di una competenza che discende dalla profondità del pensiero e dalla solidità dell’esperienza, di un’affidabilità e continuità delle partnership, di cui — in questa stagione della politica interna — si vedono poche tracce, sia nell’ambito degli esponenti del Governo che in quelli dell’Opposizione. E ciò non è ascrivibile (solo) ai mutati equilibri politici ed all’avvento di forze con una matrice populista, bensì ad un mutamento nello scenario internazionale in cui sono diventati fenomeni preponderanti l’incertezza, la multipolarità e lo svuotamento di molti di quei poteri, confini, paradigmi che segnavano il campo visivo e la mappa per orientare le appartenenze e le scelte di collocazione (che avevano una temporalità definita)206 .

Quanto detto sta a significare che su molti fronti e per molte delicate contingenze, l’Italia deve dotarsi di una visione strategica che può essere tanto più lungimirante ed efficace in quanto sostenuta dal concorso più largo delle forze politiche, ovvero da una comunità di intenti e di ispirazione che dia continuità e testimonianza operosa dei valori liberaldemocratici e dell’europeismo che hanno costituito un solido baricentro ideale e garantito l’affermazione e la difesa degli interessi del Paese nello scacchiere internazionale, a partire dal dopoguerra e che ora, come affermato nell’appello dei Senatori a vita per la scadenza delle ultime elezioni europee, hanno trovato un’occasione per essere confermati207 .

204 Italia-Cina, i contenuti del Memorandum e i 29 accordi per (almeno) sette miliardi di euro https://bit.ly/3m3DdUT 205 Europa e immigrazione: la questione dell’identità https://bit.ly/3sklxbJ 206 La fine del potere https://bit.ly/3IK5fyB 207 Un nuovo impegno europeo per orientare il nostro futuro https://bit.ly/33hseR5 88