Biotech in italy financial strategy 2005

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Blossom Associati è un Independent Strategic Advisor specializzato in attività legate alla crescita e allo sviluppo su mercati internazionali di piccole e medie imprese, posizionandosi come riferimento per Aziende, Venture Capitalist e Istituzioni. Blossom Associati è il risultato dell’unione di professionisti provenienti da alcune tra le più importanti società internazionali di consulenza di direzione e corporate finance. Tutti i professionisti hanno avuto l’opportunità di lavorare sia per grandi gruppi internazionali, sia per piccole e medie imprese locali, sviluppando esperienze diversificate in molteplici settori. Blossom Associati svolge inoltre per il mercato italiano le attività di advisory strategica per conto di Moores Rowland Consulenti di Direzione, società facente parte del network internazionale Moores Rowland International, presente con oltre 20.000 professionisti in 94 paesi al mondo nei settori auditing, fiscale-societario, management consulting, amministrativo-contabile, corporate finance. Tutti i dati e le informazioni contenute nella presente pubblicazione hanno carattere meramente informativo e divulgativo.

www.blossomassociati.com

Copertina e progetto grafico a cura di G. Pina

© Blossom Associati Aprile 2005

associati

Il mercato del Biotech italiano: quale interesse per gli investitori istituzionali


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Contatti

Salvatore Bellomo sbellomo@blossomassociati.com

Stefano Milani smilani@blossomassociati.com

Blossom Associati Milano Via della Moscova, 1 20121 Milano Tel. +39 02 63481 www.blossomassociati.com

New York - Shangai - Hong Kong - Singapore - Bombai

Altre pubblicazioni Blossom Associati di argomento correlato:

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Il biotech in Toscana

Blossom Private Equity Monitor 2005

La RealtĂ Biotecnologica Italiana 2005

Analisi di un distretto

I settori d’interesse dei PE Europei

Data Base Blossom Associati


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Contenuti

Contenuti Premessa

Introduzione

Il mercato del Biotech in Italia

La percezione dei Private Equity internazionali nei confronti del Biotech Italiano: i risultati dell’indagine

I fattori caratterizzanti il biotech in Italia e il ruolo dei Private Equity italiani nel processo di sviluppo Intervista al Dr. Francesco Micheli, Consigliere di Assobiotec e Presidente e Amministratore Delegato di Genextra

Perché crediamo nel biotech italiano Intervista al Dr. Karim Bitar, Amministratore Delegato Eli Lilly Italia

Quale futuro per l’azienda e quale way out per l’investitore: si può sperare nell’IPO? Intervista all’Ing. Massimo Capuano, Amministratore Delegato Borsa Italiana

Diffidenza o Prudenza? Intervista al Dr. Rony Douek, Biotech Investment Director Merlin Biosciences-UK


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Premessa

Premessa L’obiettivo degli studi di settore Blossom Associati è quello di valorizzare le potenzialità, evidenziare i fattori di miglioramento, indicare una linea guida di sviluppo specifica per ciascun settore attraverso la conoscenza del contesto economico locale e le interconnessioni con quelli internazionali. Infatti condizione essenziale per essere competitivi sulla scena internazionale è quella di saper valorizzare sia i fattori locali dello sviluppo sia le reali potenzialità delle singole realtà imprenditoriali. A tale riguardo riteniamo importante favorire, attraverso un’incisiva azione di marketing territoriale, una sempre maggiore integrazione tra le aziende italiane e le aziende estere1. Il territorio non può più essere inteso entro i confini della dimensione locale in cui i processi di sviluppo dei distretti industriali hanno preso forma nei decenni scorsi. C’è un’apertura del territorio di cui siamo obbligati a tener conto. Non si tratta solo della crescente importanza che assume oggi l’interscambio commerciale tra i nostri sistemi produttivi locali con l’economia internazionale nella forma classica delle esportazioni di prodotti, ma ciò che caratterizza l’apertura dei sistemi produttivi locali è piuttosto la crescente interdipendenza fra sistemi territoriali dal punto di vista di catene del valore progressivamente più estese, articolate e complesse.

In questo contesto ciò che caratterizza lo sviluppo è la crescente interdipendenza fra le aziende, i sistemi territoriali e il mondo finanziario. In particolare negli ultimi anni il sistema biotech italiano ha continuamente accusato gli investitori istituzionali italiani di non essere presenti e di non favorirne lo sviluppo, mentre i Private Equity italiani hanno più volte ribadito l’elevata rischiosità del settore. L’obiettivo della presente analisi, svolta in collaborazione con Assobiotec, è quello di valutare l’effettivo livello di interesse del settore per gli investitori istituzionali, attraverso un’indagine sulla percezione che i Private Equity esteri specializzati hanno del biotech italiano.

1 Blossom Associati: “Marketing Territoriale. Metodologia per la valorizzazione del Territorio”


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Introduzione

Introduzione L’indagine, ideata e diretta da Blossom Associati in collaborazione con Assobiotec, include 96 società che rappresentano i Private Equity europei più fortemente interessati al settore delle biotecnologie e con maggior competenza a riguardo. Di questi 42 hanno collaborato all’indagine, con un tasso di adesione del 44%. Il 42% degli intervistati si è dichiarato fortemente interessato a valutare opportunità di investimento sul mercato del biotech italiano. Soprattutto i Private Equity geograficamente più vicini all’Italia, gli Svizzeri in special modo, hanno dimostrato un interesse particolare. Tuttavia il settore viene accusato di scarsa visibilità internazionale e oltre il 50% degli intervistati dichiara di averne scarsa conoscenza, probabilmente, come sottolinea nel corso dell’intervista rilasciata a Blossom Associati, l’Amministratore Delegato di Eli Lilly Italia Karim Bitar, a causa di una mancanza di esempi di successo del sistema scientifico accademico italiano, cioè di prodotti sviluppati in Italia e riconosciuti a livello mondiale come successi italiani. Il 63% degli intervistati si dichiara interessato soltanto a partecipazioni di minoranza in sindacato con Private Equity Italiani. Tuttavia, come sottolinea il Presidente e Amministratore Delegato di Genextra, Francesco Micheli, nel corso della nostra intervista, nonostante la crescita rapida e notevole degli attori operanti nel Private Equity italiano non si è assistito parallelamente alla creazione di operatori specifici per il settore. Le peculiarità del settore richiedono professionalità specifiche e l’interazione tra queste e professionalità di mero tipo finanziario. L’AIFI potrebbe essere promotore, assieme ad Assobiotec, della creazione di un legame tra i fondi specializzati internazionali e quelli italiani in modo che questi ultimi si

possano “agganciare” all’investimento effettuato dai fondi esteri su realtà italiane. L’atteggiamento generale dei Private Equity è oggi quindi di attesa, con oltre il 70% degli intervistati che preferisce aspettare per valutare l’evoluzione del contesto legislativo e fiscale nazionale. Questo atteggiamento non è comunque specifico esclusivamente del mercato italiano, ma caratterizza l’intera Europa, in quanto il mercato della biotecnologia in generale ha deluso nelle aspettative di rendimento del capitale di rischio, come puntualizza Rony Douek, director del fondo inglese specializzato, Merlin Biosciences, al quale abbiamo chiesto un commento ai risultati in rapporto alla realtà Europea. Tale atteggiamento potrà essere superato facilmente qualora vi sia un impegno a livello governativo a favore delle aziende tecnologiche di piccolo taglio, con finanziamenti agevolati e con incentivi al ‘technology transfer’ dalle università. Come infatti conclude Massimo Capuano, Amministratore Delegato di Borsa Italiana, al quale abbiamo chiesto di esprimere un proprio parere sulla reale potenzialità delle aziende italiane verso la quotazione in borsa, il basso stato di sviluppo del biotech italiano è in parte anche da imputarsi al nostro paese, che è sicuramente più indietro rispetto al resto d’Europa. Alcuni Paesi - Germania, Regno Unito, Francia - hanno anticipato nei fatti la strategia per lo sviluppo dell’UE, promuovendo piani nazionali specifici per incentivare la propria competitività. I Paesi del Nord (e.g. Danimarca) sono già prossimi all’obiettivo del 3% del PIL per la spesa in R&S. L’Italia deve attrezzarsi a sostenere una rinnovata e duratura competizione con gli altri Paesi membri dell’UE.

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Il mercato del Biotech in Italia

Il mercato del Biotech in Italia Il quadro complessivo nazionale In una recente indagine Blossom Associati2 sono state identificate a livello nazionale oltre 100 aziende che operano in ambito biotecnologico. Le caratteristiche tipiche delle aziende biotecnologiche italiane dimostrano come la capacità di imprenditorialità unita all’eccellenza delle risorse scientifiche sia un ingrediente vincente per avviare iniziative di sicuro successo, che però non sono in grado di svilupparsi e crescere per dimensione come normalmente avviene nelle realtà di altri paesi. . Tipologia di società biotech Multinazionale 9% Spin off accademico 8%

Spin off industriale 16%

ne impedisce una crescita equilibrata. Infatti le aziende del settore hanno, più di altre, l’obbligo di essere gestite attraverso meccanismi di governance finalizzati alla diversificazione del rischio sia attraverso l’adozione di accordi di licensing o partnership strategiche su scala globale sia attraverso una corretta gestione finanziaria. A dimostrazione di quanto sostenuto si evidenzia come le aziende nate da operazioni di spin off industriale (16% rispetto al totale delle aziende) o quelle nate come sedi di multinazionali (9% rispetto al totale delle aziende), siano in grado nell’arco di pochi anni di introdurre meccanismi organizzativi e finanziari che possono generare fatturati interessanti e diversificazione del rischio. Proprio l’esigenza di ridurre il rischio d’impresa e di creare interconnessioni di conoscenza e competenze richiede la creazione di sistemi territoriali complessi e specificatamente studiati per il settore biotecnologico. Distribuzione società biotech in Italia

Start up 67%

40% 37%

30% Fonte: Blossom Associati

Infatti se il 75% delle aziende italiane nasce su solide basi scientifiche (Start up di ricercatori e Spin off accademici) il 59% anche dopo alcuni anni non è in grado di generare un fatturato superiore al milione di euro. Questo fattore deve fare riflettere, in quanto se da un lato è pur vero che l’attivazione di meccanismi che consentano una crescita delle aziende biotecnologiche può e deve rilevarsi dopo parecchi anni (si calcola che la messa in produzione di un nuovo farmaco richieda non meno di 10-15 anni), dall’altro lato la carenza di risorse finanziarie e di risorse umane manageriali 2 La Realtà Biotecnologica Italiana 2005. Data Base Blossom Associati.

6

20% 12%

11%

10%

8% 6% 4%

0%

Lombardia Toscana

Friuli

4%

Piemonte Campania Sardegna Veneto

3%

3%

Liguria

Lazio

Fonte: Blossom Associati

In questo contesto ad oggi solo poche aree dimostrano di avere il mix di elementi utili per potersi definire Cluster Biotech in grado di interagire e proporsi a livello internazionale. Tra queste includiamo certamente la Lombardia (39% di aziende) e


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Il mercato del Biotech in Italia

la Toscana (12% di aziende). Viceversa talune regioni tra cui il Friuli Venezia Giulia (11% di aziende) e il Piemonte (8% di aziende) evidenziano livelli di crescita e orientamento allo sviluppo dei fattori abilitanti la creazione di distretti di eccellenza che potrebbero garantire nell’arco di pochi anni l’ingresso a pieno titolo nel mercato delle bioscienze internazionali.

Il biotech italiano è così per i Private Equity un’ industria marginale, con investimenti ben inferiori rispetto ad altri settori in Italia, e, se confrontato con gli investimenti effettuati all’estero, paragonabile a nazioni ben più piccole come il Belgio3.

Si può quindi concludere che l’Italia mediamente risponde ai requisiti di base per essere considerata un distretto biotecnologico, anche se la mancanza di una strategia comune ne rende ancora fragile lo sviluppo futuro. La mancanza inoltre di un coordinamento centrale che ne dia una caratterizzazione a livello internazionale, come avviene per altre nazioni, ne rende difficoltosa l’attività di attrazione e visibilità nei confronti di Venture Capitalists internazionali.

Rivestire il ruolo istituzionale di coordinatore e promotore di un’unica “realtà distrettuale” italiana che abbia rilevanza nel panorama nazionale e con una credibilità e riconoscibilità in ambito internazionale è forse la sfida maggiore che il sistema Italia dovrà cogliere nei prossimi anni sia a livello centrale che locale. Infatti, ad oggi, il modello italiano delle bioscienze, manca di esempi di successo, cioè di prodotti sviluppati in Italia, ma soprattutto riconosciuti a livello mondiale come successi italiani. La strategia competitiva di aziende innovative4 tende a far convergere verso una configurazione in cui unità crescentemente specializzate sono collegate mondialmente alla rete integrata delle bioscienze e dei capitali al fine di raggiungere obiettivi strategici di innovazione attraverso: - Limitazione del rischio; - Riduzione dei tempi di sviluppo di nuovi prodotti; - Minimizzazione degli investimenti; - Massimizzazione dell’impatto e riconoscibilità sul mercato. La forza di tale configurazione deriva dalle sue caratteristiche fondamentali: distribuzione, specializzazione e interdipendenza.

Trend investimenti di PE in società biotech (Euro MLN) 600 497

493

406

400

216

215

200

162 106 65

47

0

16,4

12,9

7

6

2000

55

2001

2002

N.A.

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2003

Italia UK Germania Belgio

I presupposti per lo sviluppo di una realtà distrettuale italiana

Fonte: Elaborazione Blossom Associati su dati AIFI, BVCA, BVK, BVA

3 Fonte: AIFI, BVCA, BVK, BVA 4 Fonte: Management Innovazione – Gennaio 2005 - Stefano Milani

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Il mercato del Biotech in Italia

La configurazione a rete integrata non richiede come prerequisito quello di controllare e mantenere le risorse, quanto di accedere a esse e utilizzarle grazie a metodologie particolari per instaurare una collaborazione tra istituzioni, aziende, centri di ricerca, investitori istituzionali e fornitori di servizi professionali. Investors Venture Capitalists Banks Stock Market Business Angels Institutional Invenstors Institutions EU National Local Industrial Associations

Services Providers Advisory Capital

Fees

Cluster Interest, dividends Legislative Support

Biotechnologies Nanotechnologies

Know How Investments Economic Development Companies Employment

Professional Services Human Resources

Fees

Foreign Subsidiaries National/Local Related Companies Applied Companies

Financial Legal

• Coerenza con gli obiettivi politici di sviluppo del territorio • Riconosciuta base scientifica • Capacità di attrarre risorse chiave • Cultura imprenditoriale • Presenza di importanti società in grado

Fundamental Recearch Universities, Consortia Hospitals Science Park Bio Incubator

di agire come punto di riferimento per

L’obiettivo di base sarà quindi quello di accedere alle risorse e influire sul modo in cui esse vengono investite esercitando una leadership intellettuale su tutta la rete. Ogni attore della rete collabora alla creazione del valore e compete nell’acquisizione dello stesso. Il processo di sviluppo della strategia è caratterizzato da una tensione costante, soprattutto quando le diverse unità e gli individui che fanno parte della rete devono attuare congiuntamente la strategia basandosi su presupposti di governance riconosciuti e condivisi5: 1. Coerenza con gli obiettivi politici di sviluppo del territorio: coerenza verso un obiettivo univoco di sviluppo del territorio in questione. La riuscita del progetto dipende da come le strategie politiche locali e quelle nazionali sono coordinate e allineate a livello di stanziamento di fondi per lo sviluppo e la

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Fattori critici di successo

Human Resources

Fonte: Blossom Associati Biotech Cluster Model

5 Fonte: Blossom Associati – Il Biotech in Toscana, Analisi di un distretto – Dicembre 2004

crescita di start-up, di incentivi fiscali, di semplificazioni di pratiche burocratiche, supporto finalizzato a brevettare le scoperte, ecc.

nuove iniziative • Un network efficiente • Infrastrutture Fonte: Blossom Associati

2. Riconosciuta base scientifica: presenza sul territorio di riconosciuti centri accademici e di ricerca in grado di supportare sia l’attività di ricerca e sviluppo che l’attività di trasferimento tecnologico al fine di garantire validità e riconoscibilità a livello internazionale della ricerca in atto. 3. Capacità di attrarre risorse chiave: la ricerca è fatta soprattutto di ricercatori, e mai come in questi casi la figura del ricercatore manager è cruciale per il successo di una impresa biotech. Il ricercatore manager è purtroppo per motivi strutturali della realtà accademica italiana una figura rara e molto spesso è necessario cercarla all’estero. 4. Cultura imprenditoriale: lo sviluppo di un distretto biotecnologico si basa fortemente sulle piccole società di ricerca. Queste trovano il proprio humus all’interno delle università di cui spesso sono spin-off.


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Il mercato del Biotech in Italia

5. Presenza di importanti società in grado di agire come punto di riferimento per nuove iniziative: pur essendo le piccole società di ricerca la base dello sviluppo di un distretto biotecnologico, la presenza di grandi realtà industriali internazionali è tuttavia un fattore non trascurabile per il successo del distretto stesso. Le grandi società hanno infatti i fondi per sostenere la ricerca delle piccole mediante accordi di partnership e possono agire da incentivo alla creazione di nuove società tramite spin off industriali, ma soprattutto agiscono da catalizzatore per tutte le realtà che gravitano nel distretto garantendo una maggiore visibilità e facilità di accesso al mondo delle bioscienze e dei capitali. 6. Network efficiente: in nessun settore come nelle biotecnologie si può parlare di globalizzazione. Non ha senso infatti parlare di ricerca locale, ma è necessario che tutti i distretti nazionali e internazionali siano collegati, che ci sia scambio di conoscenza e di esperienza. In questo caso è necessario un network efficace che metta in collegamento il distretto con i diversi centri di eccellenza mondiali e soprattutto che lo faccia conoscere alla comunità finanziaria internazionale. Senza una collaborazione attiva la rete è destinata infatti a lacerarsi. 7. Infrastrutture: per fare ricerca sono necessarie strutture all’avanguardia, questo elemento è soprattutto valido per la ricerca biotecnologica. All’interno del distretto devono esistere importanti laboratori, strutture di supporto, parchi scientifici e possibilmente bioincubatori. Sono inoltre necessarie le infrastrutture logistiche, come strade e aeroporti per rendere lo scambio e i contatti più agevoli.

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I Risultati dell’Indagine

I Risultati dell’Indagine L’interesse da parte di Venture Capitalist esteri verso il biotech in Italia. I Venture Capitalist internazionali mostrano interesse verso il Biotech in Italia. Il 42% dei Venture Capitalist esteri si è dichiarato fortemente interessato a valutare opportunità di investimento sul mercato del biotech italiano. Infatti viene riconosciuta, come punto di forza, la presenza di un’ottima base scientifica, sia accademica sia industriale. Il dinamico mondo degli spin-off universitari unito alla presenza di singole aziende con elevate potenzialità e competenze si dimostra ad oggi l’ingrediente vincente per l’attrazione di investimenti esteri.

maggiormente conoscono e dove vedono storicamente consolidata la propria presenza, dall’altro lato non viene ancora riconosciuto un commitment da parte delle istituzioni pubbliche attuabile attraverso una chiara strategia di lungo termine. In questo contesto il primo segnale di inversione di tendenza dovrà essere attuato attraverso l’adozione di un adeguato supporto legislativo e fiscale specificatamente indirizzato alle piccole aziende dei settori fortemente innovativi. Soltanto il 7% dei Venture Capitalist internazionali, pur avendo investito in passato nel settore ovvero avendo mostrato interesse, ha rilevato di non voler investire nel settore in futuro.

Interessato al biotech in Italia?

Sì 42%

No perchè investimenti solo locali 51%

No perchè abbandonato il biotech 7% Fonte: Blossom Associati

Ma tutto ciò non basta infatti il 51% dei Venture Capitalist internazionali non prende in considerazione, ad oggi, possibili investimenti nel biotech italiano. Le motivazioni di tale decisione vanno ricercate in due fattori principali: da un lato i Venture Capitalist focalizzano il proprio portafoglio verso le aree geografiche che

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La distribuzione geografica dei Venture Capitalist interessati all’investimento nel settore biotech italiano. La Svizzera dimostra il maggiore interesse nei confronti del biotech italiano. La presenza sul territorio nazionale di un settore biotech maturo unito ad un commitment di lungo termine da parte delle istituzioni pubbliche determina conseguentemente anche una maggiore presenza di Venture Capitalist specializzati nel settore.


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I Risultati dell’Indagine

Regioni di appartenenza Irlanda 4% Francia 11%

Spagna 3%

Tasso di risposta per paese 75%

71% 67%

Paesi Scandinavi 14%

64%

56%

50% 43%

Benelux 11%

38% 30%

27%

27%

25% Austria 6%

Germania 24%

Svizzera 7% Regno Unito 19% Fonte: Blossom Associati

La Svizzera, dove lo sviluppo iniziale del settore ha beneficiato di interessanti politiche pubbliche di sostegno6 e vanta la presenza di uno dei più importanti cluster europei, la BioValley, oltre ad altri due cluster (uno nella zona di Ginevra l’altro nell’area di Zurigo), rappresenta il 7% dei Venture Capitalist europei specializzati. Di questi il 71% ha partecipato all’indagine, e il 43% si è dichiarato interessato al biotech italiano.

15%

0%

Paesi Scandinavi

18%

17%

17%

13%

Benelux

Austria

Svizzera

Regno Unito

Germania

Francia

Tasso di partecipazione Interesse per l'Italia Fonte: Blossom Associati

Il Regno Unito, con la presenza di importanti cluster quali Cambridge-East Anglia, Oxfordshire, Scozia, è certamente la più importante area europea e la seconda a livello mondiale dopo gli Stati Uniti. Lo sviluppo del settore risale agli anni settanta grazie alla presenza di una base scientifica di eccellenza, un contesto legislativo culturale e politico favorevole oltre alla presenza di un mercato privato dei capitali particolarmente propenso ad investire nel settore. Oggi il Regno Unito vanta uno dei mercati più dinamici del venture capital in Europa, con circa il 20% dei Venture Capitalist europei specializzati. Di questi il 56% ha partecipato all’indagine, e il 17% si è dichiarato interessato al biotech italiano. Tra questi sono inoltre presenti alcuni dei Private Equity specializzati più importanti a livello mondiale per numero di investimenti e capitale investito.

6 La Bioindustria: Strategie competitive e organizzazione industriale nel settore delle biotecnologie farmaceutiche. Vittorio Chiesa

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I Risultati dell’Indagine

In Germania il supporto finanziario garantito dal governo federale ha consentito un’azione integrata di tutti gli attori locali garantendo lo sviluppo di numerose aree di eccellenza quali Monaco di Baviera, Colonia, Heidelberg oltre all’area BerlinoBrandeburgo. La Germania, anche grazie alla presenza di una piazza finanziaria interessante nel contesto europeo vede la presenza del 24% dei Venture Capitalist europei specializzati nel biotech. Di questi appena il 30% ha partecipato all’indagine, e solo il 13% si è dichiarato interessato al biotech italiano, preferendo concentrare la propria attenzione verso investimenti locali.

La visibilità del settore biotech italiano all’estero. Il segnale è chiaro: strutturare una politica coordinata ed efficace di comunicazione che possa dare il messaggio che effettivamente in Italia si fa ricerca di alto livello con elevate potenzialità di sviluppo economico. Fare ricerca di alto livello non significa essere riconosciuti per la presenza di singoli ricercatori di comprovata esperienza e visibilità internazionale, ma significa soprattutto creare un sistema coordinato e organizzato che consenta la riconoscibilità dei successi italiani a livello mondiale. Conoscete il mercato italiano del biotech?

La Francia attraverso la costituzione di un nuovo quadro normativo, il rinnovamento del contesto accademico e l’iniezione di ingenti capitali pubblici nel settore ha consentito una straordinaria evoluzione nell’ultimo decennio attraverso lo sviluppo di un’importante cluster di rilevanza mondiale quale Evry-Ile de France. Oggi in Francia è presente l’11% dei Venture Capitalist europei specializzati nel biotech. Di questi il 64% ha partecipato all’indagine, e il 27% si è dichiarato interessato al biotech italiano. Nei Paesi Scandinavi risiede uno dei principali cluster europei quale Medicon Valley oltre alla presenza del 14% dei Venture Capitalist europei specializzati nel biotech. Di questi il 38% ha partecipato all’indagine, e il 15% si è dichiarato interessato al biotech italiano. Analizzando quindi il tasso di interesse verso le bioscienze italiane, si può notare come i Venture Capitalist presenti nelle regioni confinanti, Svizzera in particolare, abbiano mostrato maggiore predisposizione nei confronti del biotech Italiano.

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No 53%

Sì 47%

Fonte: Blossom Associati

Il 53% degli intervistati, pur operando all’interno del settore del biotech, denuncia una scarsa conoscenza del mercato del biotech italiano, delle aziende italiane e delle opportunità di investimento in Italia. Si rileva la mancanza di casi di successo italiani che rappresentino la ricerca scientifica del nostro paese a livello internazionale e che consentano una migliore conoscenza del mercato italiano. Non è tuttavia solo necessario aumentare il numero di casi di successo, bisogna brevettare le scoperte e investire in


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I Risultati dell’Indagine

comunicazione, affinché i successi italiani esistenti vengano riconosciuti come tali dal mondo intero.

I Venture Capitalist sono pronti ad investire nel settore Biotech italiano? Serve un commitment a lungo termine per il settore da parte del governo. Si evidenzia un atteggiamento d’attesa, in cui i Venture Capitalist internazionali vogliono essere rassicurati sul reale commitment di lungo termine per il settore da parte del governo. Tale commitment richiede da un lato l’attuazione di misure normative e fiscali di supporto e dall’altro una chiara e univoca strategia di sviluppo del biotech italiano. Soltanto l’attuazione di questi due fattori può accelerare l’interesse dei Private Equity internazionali specializzati. Vi è inoltre una naturale diffidenza nei confronti del biotech italiano dovuta anche alla debolezza del mercato azionario che non viene riconosciuto come una possibile via d’uscita. Quando investirebbe nel biotech italiano?

Si può quindi comprendere perché il 73% del campione preferisca non attuare una strategia strutturata di investimento nell’immediato, ma prediliga un atteggiamento prudenziale, legato alla valutazione di singole opportunità.

In quali fasi di sviluppo del prodotto i Venture Capitalist sono più propensi ad investire? I fondi pubblici giocano un ruolo fondamentale nella fase di start up, gli investitori nazionali e internazionali intervengono nelle fasi successive. Secondo una logica tipica degli investimenti di Private Equity nel campo delle biotecnologie, le fasi di ricerca più avanzate in cui l’investimento assume un rischio minore, sono preferite rispetto agli investimenti “early stage”. In quale fase investirebbe? 90% 80% 73%

60% 47%

Subito 27%

33%

30%

0% In futuro 73%

Start up

Phase 1

Phase 2

Phase 3

Fonte: Blossom Associati

Fonte: Blossom Associati

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I Risultati dell’Indagine

Solo il 33% degli intervistati sarebbe disposto ad investire in fase di start up, dove le probabilità di successo sono limitate e quindi è necessario aumentarle ampliando il portafoglio di investimenti. Tale fase della ricerca dovrebbe essere sostenuta da fondi pubblici, mentre gli investitori privati potrebbero subentrare nelle fasi successive, che interessano infatti rispettivamente il 73% e l’80% del campione. Il 47% sarebbe infine disposto a investire in aziende con un interessante portafoglio prodotti in Fase 3.

In quale ambito investirebbe? 90% 80%

60%

60%

30%

0%

20%

20%

Ambientale

Agro alimentare

Terapeutico

Diagnostico

Fonte: Blossom Associati

In quali ambiti i Venture Capitalist internazionali riconoscono l’eccellenza del Biotech italiano? In Italia ci sono ricercatori di altissimo spessore sia in ambito diagnostico sia terapeutico. Le potenzialità di sviluppo imprenditoriale sono tangibili. Gli ambiti di maggior interesse risultano essere quelli legati alla medicina, cioè il terapeutico e il diagnostico, probabilmente anche a causa di una riconosciuta qualità della ricerca medica italiana. La visibilità mondiale della ricerca medica italiana, grazie a nomi conosciuti a livello mondiale come il prof. Dulbecco e il prof. Veronesi, per riportare i nomi citati dagli intervistati, aiuta sicuramente a posizionare la preferenza degli investitori esteri nei rispettivi campi di ricerca. Si nota ancora una volta il ruolo fondamentale di una comunicazione strutturata e di alto livello nell’attrazione di investimenti diretti esteri.

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L’80% del campione dichiara di voler investire in terapeutico, e il 60% nel diagnostico, mentre soltanto il 20% dimostra un certo interesse anche per l’ambientale o l’agroalimentare.

Il valore medio di investimento. Si denota una disponibilità ad effettuare anche micro investimenti in realtà piccole ma interessanti. L’elevato rischio caratteristico del settore e l’imprevedibilità della ricerca rende difficile pianificare il ritorno degli investimenti. L’investimento da parte di Venture Capitalist consente di traghettare le aziende nell’arco di un periodo che varia tra i 18 e i 24 mesi fino ad arrivare al compimento di una ‘milestone’ ben definita. Si tratta quindi di investimenti relativamente piccoli, ma ripetuti nel tempo. Il settore del biotech è infatti caratterizzato da continui round di investimento mediante continui aumenti di capitale, spesso con apertura ad altri fondi. La parcellizzazione degli investimenti permette ai singoli investitori di suddividere il rischio.


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I Risultati dell’Indagine

Tuttavia ci sono alcuni fondi disposti a investire capitali in società con una pipeline avanzata.

accertare che ci sia un sindacato che includa sia investitori internazionali sia locali finalizzato alla creazione di un ‘pool’ di fondi elevato.

Quanto investirebbe? Che tipo di investimento preferisce?

10

90%

Massimo

2

80%

32,5

4

60%

60%

Medio

9,75

1

2

30% 20%

Minimo

0,2

0

3,25

5

13%

10

15

20

25

30

35

40

Fonte: Blossom Associati

0%

Equity Financing

Minority Equity

Majority Equity

7%

7%

Mezzanine

Loans

Senior Debt

Fonte: Blossom Associati

L’investimento minimo è mediamente di 2 milioni di euro, anche se alcuni investitori si sono detti disposti ad investire anche fino ad un minimo di duecentomila euro. L’investimento massimo è mediamente di 10 milioni di euro, anche se alcuni investitori dedicati esclusivamente al biotech sarebbero disposti ad investire anche oltre i 30 milioni di euro in un’unica azienda.

Tipo di investimento preferito dai Venture Capitalist internazionali nei confronti del biotech italiano. L’acquisto di una minoranza, possibilmente in sindacato con altri fondi, si dimostra l’investimento preferito.

L’80% del campione si è dichiarato propenso verso un finanziamento diretto dell’equity, ma solo il 20% con una quota di maggioranza, mentre il 60% preferirebbe una quota di minoranza, possibilmente in sindacato con altri Venture Capitalists. Alcuni intervistati, prevalentemente di provenienza bancaria, si sono detti disposti anche ad altre forme di finanziamento, tra cui il debito a lungo, prestiti e mezzanino. Quest’ultima forma di finanziamento per alcuni intervistati è soprattutto vista come ponte pre-IPO.

L’investimento classico che verrebbe utilizzato è il finanziamento dell’equity, con una forte preferenza verso una partecipazione di minoranza, possibilmente in sindacato con altri investitori istituzionali. L’obiettivo degli investitori e’ anche quello di

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I Risultati dell’Indagine

Verso quali altri settori del mercato italiano i Venture Capitalist dimostrano interesse ad investire? Oltre alle biotecnologie c’è interesse a investire in Italia anche in settori ad esse limitrofi, quali le Nanotecnologie e l’Health Care. In quali settori investirebbe in Italia? Wood and Wooden Products

8% 15%

Transportation Services Textile and Clothing

8% 38%

Telecommunication and Media Retail

8%

Refined Oil Products

8%

Products in Rubber and Plastic Material

8%

Paper and Paper Products, Printing and Publishing

8%

Non Metalliferous Mineral Finished Products

8% 69%

Nanotechnology Maining and Quarry Products

8%

Metal and Metal Products

8% 69%

Medical Equipment 15%

Means of Transport

31%

Machine and Mechanical Equipment Leather and Leather Products

8% 69%

Health care Furniture (accesories included)

8%

Fashion (accesories included)

8%

Food, Beverage and Tobacco

23%

Environment related companies

23%

Electricity, gas and other utilities

15%

Electrical Equipment and Precision Instruments

38%

Computer and Internet related companies

31%

Chemical Products and Synthetic Fibre Building and Cunstraction Automotive and Components

38% 8% 15%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%

Fonte: Blossom Associati

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Nanotecnologie, Health Care e Medical Equipment risultano essere i settori di maggior interesse per possibili investimenti in Italia, a conferma della specializzazione settoriale del campione intervistato. Seguono per interesse le Telecomunicazioni, Internet e i settori relativi all’elettronica, dimostrando un interesse maggiore per i settori in forte crescita e ad elevato contenuto tecnologico e di R&S. Seguono infine quei settori per cui l’Italia è maggiormente apprezzata all’estero, quali l’industria meccanica ed elettronica.


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Genextra

I fattori caratterizzanti il biotech in Italia e il ruolo dei PE italiani nel processo di sviluppo Intervista al dr. Francesco Micheli, consigliere di Assobiotec e Presidente e Amministratore Delegato di Genextra.

Il 53% dei PE internazionali contattati denuncia una scarsa conoscenza del mercato del biotech italiano e delle opportunità di investimento in Italia. Quale ritiene poter essere la strategia ottimale per consentire una reale riconoscibilità del mercato biotech italiano nei confronti dei PE internazionali? E in particolare quali ritiene essere gli attori che maggiormente debbano attivare tale processo? Assobiotec ha assunto un ruolo notevole nella promozione di investimenti e di realtà scientifiche di primo livello esistenti in Italia. In tal senso hanno rilevanza l’organizzazione, assieme a istituti finanziari, di road show all’estero per agevolare la visibilità di società biotech selezionate di fronte alla comunità finanziaria internazionale, e l’organizzazione di seminari destinati ad analisti finanziari dei principali istituti finanziari italiani su come valutare le società biotech. Il 60% degli intervistati si dichiara interessato soltanto a partecipazioni di minoranza in sindacato con PE italiani. Tuttavia il PE italiano, secondo fonti AIFI, investe solo marginalmente nel biotech. Ritiene che il PE italiano sia pronto e interessato a supportare un reale sviluppo del settore locale? Nonostante la crescita rapida e notevole degli attori operanti nel PE italiano, non si è assistito parallelamente né alla creazione di

PE specifici per il settore, né, se non marginalmente, all’investimento degli stessi in realtà imprenditoriali del biotech che, per la loro natura presentano un livello di rischio considerato non accettabile dai private equity italiani. Le peculiarità del settore richiedono professionalità specifiche e l’interazione tra queste e professionalità di mero tipo finanziario. Processo che è già avvenuto a livello di PE internazionali, dove operano fondi come MPM che sono specializzati nel biotech e nel cui team di gestione coesistono competenze molto forti sia nel campo biotech/farmaceutico sia in campo finanziario. L’AIFI potrebbe essere promotore, assieme ad Assobiotec, della creazione di un legame tra i fondi specializzati internazionali e quelli italiani in modo che questi ultimi si possano “agganciare” all’investimento in realtà italiane effettuate dai fondi esteri. Genextra è una holding che investe in start up in ambito farmacogenomico e biotecnologico. Quali sono i fattori caratterizzanti il mercato italiano che l’hanno indotta a fondare Genextra e che dovrebbero essere valorizzati al fine di garantire una maggiore attrattività degli investimenti di Private Equity. Il livello di preparazione dei ricercatori e scienziati italiani non è secondo a quello di nessun altro paese; lo dimostrano i numerosi centri di eccellenza presenti nelle principali sedi accademiche italiane, la partecipazione di nostri ricercatori a progetti di rilevanza mondiale o ancora il ruolo chiave occupato dai nostri ricercatori in aziende

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Genextra

internazionali leader nei loro settori. Alla qualità della ricerca si aggiunge un vantaggio in termini di costi; i compensi per chi fa ricerca in Italia sono mediamente più bassi rispetto a quelli di altri paesi europei o agli Stati Uniti. Questo rende sicuramente il nostro Paese ricco di opportunità, a condizione di saper individuare le iniziative valide e di saperle portare avanti con un team che sappia coniugare al meglio le esigenze della ricerca con quelle di un’azienda che deve stare sul mercato. Quello che spesso manca in Italia è, infatti, il passaggio di idee o ricercatori dalle università alle imprese. La tendenza di molti ricercatori accademici è per lo più quella di pubblicare i risultati della loro attività piuttosto che brevettare. Sarebbe necessario invece trasformare le idee e le scoperte in progetti, in business plan e quindi in un’impresa come avviene negli Stati Uniti.

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Si è molto parlato sulla stampa nazionale del fondo chiuso promosso da Assobiotec e specializzato in Pmi biotecnologiche italiane, ma che dovrebbe investire anche all'estero. A che punto si trova la realizzazione di tale fondo e come interagirà con gli investitori istituzionali? L’idea di un fondo chiuso promosso dall’Associazione non mi trova favorevole per diverse ragioni, prima fra tutte che esso non rientra negli scopi sociali. Peraltro la promozione, da parte dell’Associazione, di una generazione di analisti finanziari specializzati nel settore delle biotecnologie, potrebbe rappresentare il miglior intervento in grado di sostenere lo sviluppo di iniziative valide.


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Eli Lilly Italia

Perché crediamo nel biotech Italiano Intervista al dr. Karim Bitar, Amministratore Delegato Eli Lilly Italia Eli Lilly, una delle più grandi società farmaceutiche e biotecnologiche mondiali, ha recentemente annunciato l’imminente costruzione di quello che sarà il più grande stabilimento per farmaci da biotecnologia nel nostro paese. Perché Eli Lilly & Co. ha scelto di fare un investimento di ripercussione mondiale proprio in Italia, quali sono i driver che hanno indotto questa scelta? Dovendo sintetizzare direi che due sono i driver fondamentali: uno legato a un’ottica di investimento nel sistema italiano, infatti siamo un’azienda presente in Italia da 45 anni con l’intenzione di restarvi per i prossimi 50, quindi con una logica di lungo termine, e l’altro più legato a una serie di competenze che noi abbiamo sviluppato in Italia, in particolare a Sesto Fiorentino. Per quanto concerne la valutazione di lungo periodo, va rilevato che il mercato biofarmaceutico italiano, pur essendo sicuramente uno dei più importanti a livello mondiale, è caratterizzato da una forte incertezza a livello di regolamentazione, se comparato con altri paesi europei. Ad esempio in Inghilterra la regolamentazione a livello sanitario viene pianificata per un arco di tempo di almeno 5 anni e il mercato è caratterizzato da logiche che permettono una migliore pianificazione del ritorno sugli investimenti. Il secondo motivo è invece legato alla nostra realtà italiana, al fatto che a Sesto Fiorentino abbiamo sia impianti dove produciamo antibiotici a livello mondiale sia personale altamente qualificato e specializzato. L’investimento in Italia sarà principalmente

produttivo, legato alla produzione di insuline a base di DNA ricombinante, nella forma di penne e cartucce, ma va rilevato che in Italia svolgiamo anche ricerca clinica di Fase II, Fase III e Fase IV, con circa 80 persone dedicate all’attività di ricerca in differenti aree terapeutiche, quali oncologia, neuroscienze, diabetologia. Per cultura tendiamo a investire molto in ricerca clinica in Italia. Se valutassimo il rapporto investimenti sul fatturato, siamo addirittura tra le aziende top a livello italiano, mentre in valore assoluto siamo gli ottavi in Italia per investimenti in ricerca clinica, e circa al quindicesimo posto per fatturato. In poche parole, ci sono notevoli vantaggi a fare un investimento brownfield in Italia invece che greenfield in un altro paese. I Private Equity internazionali contattati nel corso della presente ricerca denunciano alcuni punti di debolezza che caratterizzano il segmento del biotech italiano, tra cui la mancanza di un supporto a livello legislativo e la carenza di misure fiscali specifiche. Come ha valutato Eli Lilly questi fattori di rischio? Ne vede altri? Li abbiamo considerati e sicuramente non erano a favore. Se poi mi chiedete come il sistema Italia e il sistema Toscana abbiano agevolato l’investimento, la risposta non può che essere neutra: eravamo a conoscenza di altri ambiti che ci avrebbero favorito maggiormente. Concordo quindi con le risposte che avete ricevuto, e se fossi un Private Equity Investor, probabilmente anch’io trarrei le stesse conclusioni. Ci sono però notevoli opportunità legate all’investimento in Italia: per esempio in Italia c’è un elevato capitale intellettuale a livello scientifico in certe aree terapeutiche

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Eli Lilly Italia

quali l’oncologia e il cardiovascolare. Ritengo però che il sistema sia privato che universitario dovrebbe assumere un approccio maggiormente meritocratico, dove la scienza di più alta qualità prevalga. Ci sono in Italia casi in cui si investe in scienza di alta qualità, penso ad esempio a “Telethon” e al “Dulbecco Telethon Institute”, dove effettivamente ci sono ricercatori riconosciuti, c’è un comitato scientifico di altissimo spessore. In generale in Italia c’è molta varianza, non c’è un approccio coerente . Approccio che invece trovate all’estero, penso ad esempio alla Biovalley, dove Eli Lilly è presente? La mancanza di un approccio organizzato si sente in Italia. Ho l’impressione che a livello governativo in Italia si parli molto di Life Science, ma che nello stesso tempo il Life Science, la sanità quindi, sia vista come una spesa più che come un investimento. Ci sono molte implicazioni legate alla differente visione: più questo ambito viene visto come un investimento, maggiori sono le conseguenze in termini di organizzazione del mondo accademico, di rapporti con l’industria, di obiettivi strategici. Si rileva una mancanza di visione strategica del paese in ambito Life Sciences. Si accusa il biotech italiano di avere bassa visibilità internazionale. Quali sono secondo lei le ragioni e cosa servirebbe per garantire una maggiore visibilità e per rendere attraente il mercato italiano nei confronti degli investitori internazionali? Si lega al sistema Italia in generale. Mancano delle entità che possano fare da locomotiva, che facciano da faro per dare il segnale che effettivamente in Italia si fa ricerca di alto livello. Quando rivestivo il ruolo di Director Business Development in Eli Lilly, ho strutturato molte alleanze e partnership con

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istituzioni accademiche e di biotech, e l’Italia a livello internazionale raramente è percepita come bacino dove poter trovare quello che si cerca. Ritengo quindi che il driver principale per lo sviluppo del sistema Life Science italiano vada ricercato nel sistema scientifico accademico italiano che ad oggi non viene percepito all’altezza se comparato con quello tedesco o inglese. Il sistema accademico italiano, infatti, manca di esempi di successo, cioè di prodotti sviluppati in Italia, ma soprattutto riconosciuti a livello mondiale come successi italiani. Il XXI secolo viene definito il secolo delle biotecnologie, e in questo contesto il mondo finanziario segue con attenzione gli sviluppi. Pur riconoscendo la validità della ricerca scientifica finalizzata a uno sviluppo industriale, secondo lei dal punto di vista di interesse finanziario vedremo realizzarsi le attuali aspettative, o siamo di fronte a una “small fake wave”? Non credo che sia fake a livello macro, il biotech è sicuramente un evento reale. L’arco temporale è tuttavia più lungo di quelli che sono i tempi che normalmente un Private Equity è disposto ad aspettare. I cicli caratteristici dell’industry Life Science sono per loro natura più lunghi se comparati a quelli di altri settori. Proprio per questa ragione, la sanità non può più essere percepita come una spesa, ma dovrà sempre più essere valutata nell’ottica dell’investimento. Soltanto una inversione di tendenza da parte del sistema paese consentirebbe di introdurre meccanismi di interesse che consentirebbero la presenza di investitori finanziari. Un investitore finanziario può aspettare tempi più lunghi e accettare rischi più elevati solo se l’aspettativa di ritorno lo consente.


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Borsa Italiana

Si può sperare nell’IPO? Intervista all’ing. Massimo Capuano, Amministratore Delegato di Borsa Italiana

Per essere più competitivi nei confronti delle altre borse europee Borsa Italiana offre una segmentazione specifica dei mercati di quotazione (Blue Chip, STAR, Nuovo Mercato/techSTAR, Expandi) che premia le società quotate, garantendo un livello di liquidità superiore rispetto a mercati uniformati. I nostri mercati sono infatti segmentati sulle esigenze dei clienti, e questo tipo di logica chiamata “designed for”, mutuando un termine del settore automobilistico è la logica vincente. Una società risulta sempre più valorizzata quando inquadrata nel contesto più omogeneo rispetto all’equity story. Società di dimensioni comprese tra 100/300 Mln Euro hanno in Italia una liquidità superiore del 50% rispetto ai mercati esteri. Oggi gli investitori istituzionali si stanno dimostrando più selettivi rispetto al passato: storie diverse sono diversamente valutate anche se appartenenti allo stesso settore; non emerge alcuna evidenza di valutazioni più elevate nei mercati esteri.

Capitalizzazione e turnover velocity delle principali Borse europee

Turnover velocity

In occasione dell’Assemblea Generale 2004 di Assobiotec, Lei ha dichiarato che la crescita delle biotecnologie in Italia passa per Piazza Affari. Quali fattori rendono Borsa Italiana competitiva nei confronti di altre borse europee, ad esempio Zurigo o Londra, per un investitore internazionale che debba scegliere la piazza su cui quotare l’azienda biotech in cui ha investito?

160% 140% 120% 100% 80% 60% 40% 20% 0%

ITALIA STOCCOLMA SPAGNA HELSINKI

GERMANIA EURONEXT (FL, OL, BLG, PTG)

OSLO SVIZZERA

UK ALTRE Capitalizzazione, eur MLD

0

500

1.000

1.500

2.000

Fonte: Borsa Italiana

E’ dimostrato che società in dual listing scambiano la gran parte dei volumi (oltre l’80% per società small-mid cap, oltre il 60% per le Blue Chip) sul mercato di origine; i driver che inducono un dual listing su mercati diversi da quello di origine sono tipicamente di natura industriale (brand riconosciuto, apertura di impianti di produzione, acquisizione di società estere, etc). La quotazione su mercati esteri comporta inoltre per la società il sostenimento di costi aggiuntivi volti a superare barriere all’ingresso di natura giuridica e finanziaria (legge OPA, governance, accounting standards, rules, valuta, lingua, etc).

I Private Equity internazionali contattati evidenziano tra i vari fattori di rischio la debolezza del mercato azionario italiano biotech, e quindi la difficoltà dell’IPO sul mercato locale come exit strategy. Cosa pensa di fare Borsa Italiana per risolvere questa criticità? Non crediamo che si possa parlare di debolezza del mercato borsistico italiano del biotech, caso mai possiamo liberamente ammettere che il mercato italiano si deve ancora formare completamente per quel che

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Borsa Italiana

riguarda le competenze specifiche. Se confrontiamo la Borsa Italiana con il Nasdaq non c’è paragone tra il numero e la competenza di analisti che coprono questo settore, in quanto le specializzazioni si formano solo in presenza di una massa critica sul mercato, come ad esempio la Svizzera in Europa, tuttavia l’evidenza storica dimostra che, in Italia, le tre società biotech che si sono quotate hanno avuto un IPO di successo.

Non ne farei un discorso Italiano di rallentamento o avversione al biotech. Le società biotech rappresentano il 7% dell’intero Nuovo Mercato in termini numerici, ma superano il 20% in termini di capitalizzazione. Durante il 2003 infine il settore del biotech in Italia ha registrato delle performance migliori dei settori tradizionale e tecnologico, come si può vedere dall’andamento degli indici.

Liquidità delle 3 biotech (2004) 800

800% 750% 700% 650% 600% 550% 500% 450% 400% 350% 300% 250% 200% 150% 100% 50% 0%

700 600 500 400 300 200 100 0

32% VIC 322 46% CDB 133 38% CTI 132 55% DAM 86 26% ENG 77 5% BB 61 36% STAR 61 22% CAI 48 24% INE 44 31% MTV 42 20% DAL 36 32% ESP 36 32% techSTAR 36 25% CDC 30 36%DAS 29 30% ART 27 43% TXT 25 25% CAD 23 26% REY 20 48%EUP 19 41% PSF 18 25%ELN 17 48% PRI 13 36% TAS 13 27%DIB 12 54% DMA 10 34% ITW 5

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Fonte: Borsa Italiana

Infine il numero di società biotech quotate in Italia è pari a 3 rispetto alle circa 100 aziende esistenti, con una percentuale del 3%, esattamente come in Germania, dove le società quotate sono 12 su 360. La relativa fase di stanca che si sta vivendo è più riconducibile alle aspettative degli investitori che si sono fatti più conservativi su tutte le tipologie di investimento, con particolare riguardo al biotech, a causa del grado di rischio intrinseco al settore. L’Italia sta vivendo lo stesso tipo di trend che ha arrestato le quotazioni anche negli Stati Uniti o nei mercati Europei più evoluti.

Performance 2003 140

NM Biotech index (100) Numex index (100) S&P MB40 index (100)

130 120 110 100 90 80 Jun

Year 2003

Aug

Fonte: Borsa Italiana

Molti in Italia sono convinti che avere un unico mercato europeo biotech porterebbe molta liquidità sulle small cap biotech perché vedono l’esempio degli USA. In realtà il limite delle società italiane è la dimensione che ne limita la liquidità oggettiva: non è quindi un deficit imputabile al mercato in cui ti presenti, ma un deficit di dimensione relativa e di progetti nelle pipeline. Ha Borsa Italiana, o prevede di avere, delle offerte specifiche per le società biotech che vogliano quotarsi? In Italia non abbiamo un mercato specifico ad hoc per il biotech perché non ci sono i numeri. Il biotech ha delle esigenze paragonabili ad altri settori che sono quelli del TechStar e il nostro grado di specializzazione si ferma alla

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Borsa Italiana

piccola e media impresa tecnologica. Non ci sono quindi offerte specifiche, però le società quotate in Borsa Italiana (STAR e techSTAR) hanno una elevata visibilità nei confronti del mercato: almeno 10 road show all’anno, copertura di almeno 7 research reports da parte di brokers italiani ed esteri, almeno 27 one-to-ones con investitori. Se una società biotech italiana come la Newron decidesse quindi di quotarsi negli Stati Uniti invece che in Italia, troverebbe da un lato sicuramente fondi e analisti maggiormente specializzati, ma dall’altro finirebbero per essere una delle numerose società, perdendo sul fronte della visibilità e finirebbe per avere liquidità più bassa. C’è un premio per la specializzazione data dal contesto, ma c’è uno svantaggio perché qualsiasi società è molto più valorizzata nel paese di origine per la visibilità che ha per la capacità di finire sui giornali, tutti vantaggi soprattutto per le small cap. Quindi se si cercano delle competenze specifiche biotech, sicuramente l’Italia non è paragonabile ad altri paesi, ma il mercato italiano offre a una società biotech il vantaggio di avere un mercato dedicato alle PMI, piuttosto che competenze che derivano dagli USA. Inoltre anche quotandosi in Italia si possono avere gli stessi investitori che si avrebbero quotandosi in America, basta organizzare il road show anche negli Stati Uniti.

Ci sono infatti diversi fondi internazionali specializzati che investono nelle società biotech quotate al Nuovo Mercato, a dimostrazione di come la quotazione sul mercato locale non sia fattore di preclusione verso investitori internazionali. Fondi HealthCare e Biotechnology che investono su NM ANIMA EUROPA ANIMA FONDO TRADING BIP FUND EQUITY BIOT BIPIELLE FONDICRI SM CA FUNDS-ITALY CARNEGI FUND IL-BI CDC EUROPE SMALL CAP CDC INTERNATIONAL FU CLARIDEN BIOTECHNOLOGY CLARIDEN HAELTCARE CLOSE FINSBURY GLOBAL EUROPRIUS AZIONARIO FIDEURAM FUND-EQUITY FINSBURY EUROTECH PL FINSBURY LIFE SCIENCE FINSBURY TECHNOLOGY FONDITALIA-EQUITY IT FORTIS B FUND EQUITY FORTIS L FUND EQUITY FRAMLINGTON BIOTECH FRAMLINGTON HEALTH F

FRAMLINGTON INTL POR H & A FINEX BIO SPEZ INTERFUND EQUITY ITA JB MULTIPARTNER-AN KA LUX EQUITY FUND LEMANIK SICAV-ITALY MUNDER BIOTECH2 FUND MUNDER FRAM HEALTHCA NEW MILLENIUM ITALI NORDINVEST EUROPHEAL OPPENHEIM TOPIC NEW PARVEST WORLD HEALTH PATAVIUM AZIONARIO I PHARMAW HEALTH FUND PIONEER FUNDS-ITALIA SUPERIOR 2 SWISSCA COUNTRIES EQ UNISECTOR BIOPHARMA VERI-EUROVALEUR FOND VITRUVIUS ITALIAN EQ WEGELIN EQUITY FUTUR

Fonte: Bloomberg

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Borsa Italiana

I Private Equity internazionali contattati accusano il biotech italiano di essere troppo frammentato e le società troppo piccole o poco sviluppate. Come si posiziona Borsa Italiana nei confronti di questa affermazione? Guardando la realtà biotech italiana, le società quotabili sono forse 5. E’ un industry più da Private Equity che da borsa. Sono società che devono crescere, strutturarsi, fare il network, sviluppare ricerca, e solo quando la pipeline ha raggiunto un livello tale da poter prevedere un cash flow a due tre anni, allora possono pensare a quotarsi. Il basso stato di sviluppo del biotech italiano è in parte anche da imputarsi al nostro paese, che è sicuramente più indietro rispetto al resto d’Europa. Alcuni Paesi - Germania, Regno Unito, Francia - hanno anticipato nei fatti la strategia per lo sviluppo dell’UE, promuovendo piani nazionali specifici per promuovere la propria competitività. I Paesi del Nord (e.g. Danimarca) sono già prossimi all’obiettivo del 3% del PIL per la spesa in R&S. L’Italia deve attrezzarsi a sostenere una rinnovata competizione con gli altri Paesi membri dell’UE: - la ricerca accademica trasferisce in media il 20% dei brevetti registrati, contro il 50% dei Paesi tecnologicamente più avanzati, - il numero degli spin-off di ricerca italiani (una dozzina) è significativamente inferiore alla media della Francia (oltre 100). Quello degli USA è di 450, - scarso è il contributo finanziario alla ricerca pubblica da parte dei privati: solo 1,6% della spesa degli enti pubblici italiani in ricerca è finanziato dall'industria, contro il 7,8% delle università americane,

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- scarsa è infine la capacità di trasferire il sapere in tecnologia: il CNR, a parità di spese di ricerca, trasferisce solo il 7% dei brevetti rispetto al MIT. In questo contesto il PE come stadio intermedio prima della quotazione è un concetto che noi spingiamo molto. Questo è il settore dove più di altri ci vogliono i PE perché sono gli unici che possono avere un grado di specializzazione e una gestione del rischio appropriata per il settore, e una società biotech con pipeline prevalentemente in Fase 1 venduta al retail è un rischio troppo elevato. L’ideale è trovare PE esteri specializzati nel settore che supportino il trasferimento di competenze e di network, trasferimento che in borsa non è detto che avvenga. Siamo in presenza di società che stanno dimostrando una vitalità interessante, ma che devono ancora crescere, ma soprattutto si deve sviluppare quell’effetto imitativo che è alla base di tutti i mercati. Ideale è stata la quotazione di BB Biotech, perché è una società di esperti, ma soprattutto ha investimenti in società con pipeline diverse, e quindi la diversificazione del portafoglio riduce il rischio. Altri soggetti di questo tipo sarebbero i benvenuti e potrebbero quotarsi subito. Prevedere quotazioni di società in Fase 1 è un po’ troppo rischioso.


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Merlin Biosciences

Diffidenza o Prudenza? Intervista al Dr Rony Douek, Biotech investment director Merlin Biosciences, UK

Oltre il 70% dei Private Equity intervistati dichiara di non voler investire subito nel biotech italiano, ma di voler attendere e investire in futuro. Reputa che questo atteggiamento prudenziale sia dovuto ad una diffidenza nei confronti del mercato italiano? Si, purtroppo il mercato Italiano ha prodotto pochi ‘success stories’ in biotecnologia che aiutino a diffondere la visibilità di questo mercato tra gli investitori istituzionali. Questo non e’ un problema specificamente italiano ma piuttosto di livello Europeo, dove il mercato della biotecnologia in generale ha deluso nelle aspettative di rendimento del capitale di rischio. In generale, ci sono poche ditte di Private Equity/Venture Capital specializzate in biotech in Italia – le poche ditte che sono attive tendono ad essere generaliste e non capiscono il settore della biotecnologia. Infine, in Italia manca un mercato azionario come il NASDAQ in America o l’AIM a Londra, che potrebbe finanziare sia i costi elevati per le fasi avanzate di ricerca clinica, sia una potenziale uscita per un investitore di Private Equity. I valori medi degli investimenti ipotizzati dai Private Equity sono compresi tra 2 e 10 milioni di euro. Questi valori abbastanza bassi di investimento, sono dovuti alla natura del mercato, caratterizzato da società piccole, o dalla natura dei Private Equity? Questo e’ dovuto alla natura degli investimenti di Private Equity/Venture Capital nel campo biotech, dove le ditte vengono finanziate per periodi relativamente corti di 18-24 mesi di durata fino ad arrivare al compimento di una

‘milestone’ ben definita che successivamente aiuta ad ottenere un’altro round di investimento ad una valutazione più elevata. Per causa del rischio elevato e imprevedibile della ricerca, le valutazioni nel campo della biotecnologia sono difficili da stabilire e questo approccio di investimenti più piccoli aiuta a gestire questo rischio. Per questa ragione e’ normale in questo settore avere diversi nuovi finanziamenti che includono i ‘round’ A, B, C, D e forse anche E. Oggi le ditte di Private Equity hanno quasi tutte una veduta pan-Europea e decidono come investire i fondi sulla base delle singole opportunità invece di applicare un sistema di quote nazionali. Cosi, se ci fosse una opportunità più ‘late stage’ dove si potrebbe investire una somma più elevata in un singolo investimento penso che questo sarebbe di interesse per gli investitori. Il 60% degli intervistati preferisce investire in minoranza, possibilmente in sindacato con altri fondi, contro un 20% disposto a investire in maggioranza. Secondo lei questo atteggiamento prudenziale è riferito solo al mercato italiano, o è tipico del settore? Per gli investimenti piu ‘early-stage’ focalizzati sulla ricerca pre-clinica questo e’ assai tipico del settore. Visti i costi molto elevati degli investimenti in biotecnologia e la difficoltà nel prevedere la probabilità di successo nelle fasi cliniche, l’obiettivo degli investitori e’ anche quello di accertare che ci sia un sindacato abbastanza grande per poter avere accesso a un ‘pool’ di fondi più elevato nel caso in cui i costi superino le aspettative. Il 53% dei Private Equity dichiara di non conoscere il mercato del Biotech italiano, pur essendo fondi specializzati nel settore.

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Merlin Biosciences

Cosa pensa che debba fare il biotech italiano per aumentare la propria visibilità all’estero, in particolare nel Regno Unito? Negli ultimi 10-15 anni le grosse ditte farmaceutiche hanno chiuso le loro attività di ricerca e sviluppo in Italia. Così, gli spin-off che prima erano stati generati tramite questi dipartimenti oggi devono essere creati con un impegno a livello governativo in favore del ‘technology transfer’ dalle università. Penso che qui giochi un ruolo importante il supporto finanziario che il governo potrebbe dare alle aziende di piccolo taglio, con finanziamenti agevolati a cui anche le società di biotecnologia possono accedere pur non avendo attività aziendali tangibili a

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garanzia. Non c’è miglior modo per aumentare la visibilità all’estero. Programmi di questo genere (già sperimentati con successo in diversi paesi, in particolare Israele) creano un interesse dei Private Equity internazionali specializzati perché rassicurano che esiste un commitment a lungo termine per il settore. Penso che sia anche importante per gli aspiranti imprenditori nel settore capire bene il modello di private equity, cioè la durata tipica di un investimento e le aspettative che un Private Equity potrebbe richiedere a livello del controllo della società e della strategia di ‘exit’.


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Note metodologiche

Note metodologiche Sono state analizzate 452 società europee aderenti all’EVCA (European Venture Capital Association), e di queste, ne sono state selezionate 96 che rispondono al requisito di interesse nei confronti del biotech. Per rispondere a tale requisito, sono state selezionate le società che hanno dimostrato interesse nei confronti del settore, quelle che hanno in portafoglio, o hanno investito in passato, in aziende biotecnologiche o legate al Life Sciences in senso più lato.

Tasso di adesione 500

452

400 300 200 96

100

44% 42

Si stima che le 96 società incluse nella presente ricerca rappresentino i Private Equity europei più fortemente interessati al settore delle biotecnologie e con maggior competenza a riguardo. Il campione copre l’intera Europa, con predominanza di quei paesi in cui vi è una consolidata tradizione biotecnologica.

0

Analizzati

Selezionati

Risposto

Fonte: Blossom Associati

L’indagine censuaria sulla popolazione di riferimento è stata condotta attraverso un questionario strutturato con domande a risposta chiusa e aperta, scaricabile direttamente dal sito Blossom Associati.

Regioni di appartenenza Irlanda 4% Francia 11%

Spagna 3%

Paesi Scandinavi 14%

Benelux 11%

Austria 6%

Germania 24%

Svizzera 7% Regno Unito 19% Fonte: Blossom Associati

Gli intervistandi sono stati individuati facendo riferimento a figure di chiara conoscenza dell’ambito, quale il responsabile degli investimenti nel settore “Health Care”, o, nel caso non esistesse tale figura, a persone appartenenti al top management. La tecnica di ricezione si è avvalsa di un field integrato: alcune sono state condotte con tecnica CATI (Computer Assisted Telephoning Interview), altre tramite auto-compilazione del questionario restituito via posta elettronica o via fax. La raccolta dei questionari compilati è avvenuta tramite certificazione del mittente, onde evitare doppi conteggi o false risposte.

Su 96 aziende contattate, hanno collaborato all’indagine 42, con un tasso di adesione del 44%.

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Ringraziamenti Desideriamo ringraziare tutti i Private Equity europei che gentilmente ci hanno concesso il loro tempo per rispondere al nostro questionario. Un ringraziamento particolare al dr. Karim Bitar, amministratore delegato di Eli Lilly Italia, all’ing. Massimo Capuano, amministratore delegato di Borsa Italiana, al dr. Luca Lombardo di Borsa Italiana,

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al dr. Francesco Micheli, presidente e amministratore delegato di Genextra e consigliere di Assobiotec, al dr. Rony Douek, biotech investment director Merlin Biosciences, per la gentilezza dimostrata e il sostanzioso contributo alla ricerca. Ringraziamo infine il dr. Leonardo Vingiani, direttore generale di Assobiotec.


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