Solo un trucco - Le immagini del cinema di Paolo Sorrentino

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La sua estetica si caratterizza per un’estrema naturalezza e semplicità, che tuttavia valorizza straordinariamente i primi piani in dettagli minuti come il riflesso della luce negli occhi, classicamente evitato e termometro dell’intima vibrazione emotiva. Nykvist mostra l’attitudine a creare contrasto con il passaggio diretto tra la figura intera e l’adorato primo piano, portandolo addirittura ad una rivoluzione metafisica come in Persona (1966) (fig.33), ma ciò che caratterizza maggiormente il suo lavoro è una splendida subordinazione della luce e dell’inquadratura al racconto dell’umanità. Nel complesso, allora, unico tratto comune all’estetica cinematografica degli ultimi quarant’anni può essere considerata l’eclettica frammentazione di stile in un ventaglio di singole sensibilità che riarrangiano personalmente input visivi di tutta la storia della fotografia. Oggi si assiste ad una prosecuzione di tale post-modernismo, con l’avvento della nuova generazione totalmente eterogenea e la graduale chiusura della carriera degli autori sopraccitati nati tra le due guerre. Ciò che emerge tra tutti è solo una crescente volontà di imprimere veri e propri marchi di fabbrica autoriali alle pellicole: specialmente negli Usa ci si allontana da una resa naturale del colore con l’impiego ricorrente di filtri surreali, aiutati dalla galoppante digitalizzazione. Capostipite di tale corrente è l’opera di Jordan Cronenweth per Blade Runner (1982) sotto la regia di Ridley Scott. In Europa, invece, dagli anni Ottanta e acuitasi nel nuovo millennio, si è rilevata una generale tendenza alla desaturazione dei colori, in una sorta

sopra, fig.34 Apocalypse Now, Ingmar Bermang, 1966

in piccolo, fig.35 Blade Runner, Ridley Scott, 1982

di rientro dalla spettacolarità cromatica iniziata con il Technicolor in favore di un ritorno a un’estetica dell’immagine, lirica e quasi pittorica. Come anticipato, nel cinema d’autore moderno e contemporaneo si assiste ad fiorire di sodalizi professionali tra registi e cinematographer. Solo per ricordare i maggiori a livello europeo: John Alcott e Stanley Kubrick; Sacha Vierny e Peter Greenaway, dopo trent’anni di collaborazione con Alain Resnais; Robby Müller e Wim Wenders, ma poi anche Lars Von Trier e Jim Jarmusch. Negli Usa, invece, si nota l’opera di Jeff Cronenweth per David Fincher, di Roger Deakins per i fratelli Coen, di Peter Suschitzky per David Cronenberg, di Harris Savides per Gus Van Sant e Sofia Coppola, di Emmanuel Lubezki per Alfonso Cuaròn e di Robert Yeoman per l’inconfondibile Wes Anderson. A livello nazionale, infine, si instaurano sodalizi sul set tra Italo Petriccione e Gabriele Salvatores, Pasquale Rachini e Pupi Avati, Franco di Giacomo e Giuseppe Lanci per i film dei fratelli Taviani e di Marco Bellocchio, Marco Onorato e Matteo Garrone. Menzione d’onore a Luca Bigazzi, che dagli anni Ottanta in avanti diviene il prediletto di Silvio Soldini, Michele Placido, Gianni Amelio e naturalmente Paolo Sorrentino. 75


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