Voluntary disclosure

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finanza / la Voluntary disclosure

Ultima chiamata La firma dell’accordo che permette alla Svizzera di uscire dalla black list apre di fatto la strada ai contribuenti che desiderano regolarizzare i loro averi non dichiarati in Svizzera o nel mondo (Italia compresa). Ben disegnata, molto tutelante e poco costosa per chi non ha apportato nuove asset negli ultimi 5 anni, è considerata l’ultima chance. Per la piazza finanziaria svizzera si apre la grande opportunità di gestione dei capitali in regime di totale ‘compliance’ con le giurisdizioni di residenza degli investitori.

L

a Voluntary disclosure ‘all’italiana’ prende avvio di fatto in questi giorni e si concluderà il 30 settembre (ma è facile pensare a una estensione perlomeno a fine novembre) con l’ultimo termine per l’invio delle adesioni alla proposta di ‘riemersione’ degli averi all’estero. La firma da parte di Italia e Svizzera dell’accordo sullo scambio di informazioni fiscali ha permesso al Ministero dell’economia e delle finanze italiano di procedere all’esclusione della Svizzera dalla ‘black list’ (come è avvenuto il 23 dicembre per il Lussemburgo). L’uscita dalla ‘black list’ riduce sostanzialmente il costo della Voluntary disclosure attraverso il dimezzamento delle annualità di accertamento e la riduzione delle sanzioni amministrative applicabili in funzione della mancata compilazione del quadro RW, aumentando notevolmente l’interesse per il contribuente italiano a procedere con l’emersione di investimenti non dichiarati.

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Non è un condono. Il presidente del Consiglio dei ministri italiano Matteo Renzi ha giustamente presentato il disegno di legge affermando che la ‘emersione’ non è un condono. In effetti questa ultima opportunità di regolarizzare la propria situazione nei confronti del fisco non assomiglia per nulla ai ‘condoni’ e agli ‘scudi fiscali’ precedenti. Dal punto di vista formale, se nei condoni il contribuente trattava ‘da lontano’ con il fisco, protetto da un anonimato abbastanza solido almeno in una prima fase, con la Voluntary disclosure il contribuente non solo si presenta al fisco con nome e cognome, ma lo ‘invita a casa sua’ e gli mette a disposizione ogni tipo di documentazione. La Voluntary disclosure è appunto una disclosure, attraverso la quale il contribuente fornisce al fisco tutte le informazioni necessarie: quali asset detiene all’estero, come le ha investite, che proventi ha tratto da questi investimenti e - se si

tratta di asset create o trasferite all’estero negli anni accertabili - di quali operazioni sono un provento. Non c’è spazio per nessuna ‘riserva’. Nascondere una informazione od ometterla rischia di annullare completamente - non solo nella fase di esame della richiesta, ma anche negli anni futuri - i significativi ‘premi’ riconosciuti al contribuente. In compenso l’autorità fiscale italiana si impegna ad applicare sconti, abbuoni ed abbattimenti di sanzioni amministrative che erano in gran parte già presenti nel sistema tributario, aggiungendo una ampissima copertura in ambito di reati tributari. In sostanza, le autorità italiane hanno fatto quello che, in forme sostanzialmente simili, hanno fatto le autorità fiscali di altri Paesi fiscalmente evoluti. La Voluntary disclosure rappresenta un rapporto per certi verso nuovo, moderno e certamente innovativo per un Paese come l’Italia: un rapporto basato sulla fiducia reciproca, sulla trasparenza e sulla


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Il fisco italiano (nella foto il Ministro delle finanze Padoan) si impegna ad applicare sconti, abbuoni ed abbattimenti di sanzioni amministrative che erano in gran parte già presenti nel sistema tributario, aggiungendo un’ampissima copertura in ambito di reati tributari buona fede. Le condizioni per ottenere i consistenti abbattimenti di sanzioni amministrative e le conseguenti non punibilità di eventuali reati sono infatti l’irretrattabilità, la spontaneità (non devono essere state avviate attività di accertamento amministrativo o procedimenti penali di cui il contribuente abbia formale conoscenza), la completezza e la veridicità. A differenza dei cosiddetti ‘scudi fiscali’, utilizzati in molti casi da contribuenti per fare emergere unicamente ‘porzioni’ del patrimonio detenuto illecitamente all’estero, questa opzione è a maggior ragione non praticabile. La collaborazione deve

essere ‘completa’. Dal punto di vista sostanziale la Voluntary disclosure, se si esclude il caso del rentier che ha costituito i propri averi in Svizzera molti anni fa e non ha più incrementato i suoi asset, costa da 10 a 30 volte di più rispetto ai condoni. Alle sanzioni, più o meno ridotte, si affianca infatti la necessità di fare emergere e quindi tassare completamente, senza nessuno sconto, tutti i redditi nascosti nei periodi di imposta accertabili, secondo le aliquote ed i criteri di determinazione delle basi imponibili italiani. In pratica sui redditi trasferiti o creati all’estero e non dichiarati il contribuente paga tutte le tasse che avrebbe pagato dichiarandoli. Una opportunità per tutti. Possono aderire alla Voluntary disclosure praticamente tutti i contribuenti. Quelli tenuti alla compilazione del quadro RW, che abbiano o che non abbiano correttamente pagato le imposte sui redditi generati, anche solo in uno degli anni accertabili. Ma anche quelli che non vi erano tenuti, in particolare tutti coloro che devono sanare obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’Irap, dell’Iva nonché di violazioni relative ai sostituti d’imposta. Parliamo quindi delle persone fisiche, degli enti non commerciali ed equiparati (società semplici, società di persone e di capitali trust, fondazioni e stabili organizzazioni di soggetti non residenti), ma non solo, fiscalmente residenti in Italia. Dalla Voluntary disclosure il fisco si attende anche alcune modifiche strutturali alle soluzioni di pianificazione fiscale elaborate negli ultimi decenni da molti professionisti, come il rimpatrio delle società ‘esterovestite’, vale a dire le società for-

malmente di diritto estero la cui sede di direzione effettiva o l’oggetto principale sia localizzato in Italia, e la messa in trasparenza di molti trust. Contano solo gli ultimi cinque anni... La voluntary deve riguardare tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della domanda, non sono scaduti i termini ordinari per l’accertamento fiscale. La sottoscrizione degli accordi per la definizione di modalità per lo scambio di informazioni fiscali permette alla Svizzera di essere parificata ai Paesi dell’Unione europea o, per essere più precisi, agli altri Paesi dello Spazio economico europeo non UE in white list (Islanda e Norvegia). In questo modo gli averi in Svizzera sfuggono al raddoppio dei termini di accertamento per i redditi evasi. In Italia infatti i termini di accertamento sono ridotti agli ultimi 4 anni più l’anno in corso in caso di dichiarazione infedele, quindi dal 2010 al 2013, mentre in caso di omessa dichiarazione (il cosiddetto evasore totale) diviene accertabile anche il 2009. Se la Svizzera fosse rimasta nella black list sarebbero rimasti ancora accertabili tutti gli anni d’imposta fino al 2006 (nel caso di infedele dichiarazione) o, addirittura, fino al 2004 (in caso di omessa presentazione della dichiarazione). … se non c’è una denuncia penale. Se le violazioni tributarie commesse danno luogo a un obbligo di denuncia penale, il periodo accertabile raddoppia a 8 anni + 1 in caso di infedele dichiarazione e 10 + 1 in caso di omessa dichiarazione. I livelli a partire dai quali scatta l’obbligo di denuncia penale sono al momento, in caso di infedele dichiarazione, una imposta evasa superiore a 50 mila euro ed elementi attivi sottratti a tassazione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi,

La mancata o incompleta compilazione del quadro RW, la parte del Modello unico dedicata alla comunicazione degli investimenti posseduti all’estero, è punita con una sanzione dello 0,5% per ciascuno degli anni accertabili (dal 2009 al 2013) sulle asset non dichiarate TM Marzo 2015 · 121


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Come ne esce la Svizzera? La disciplina sulla Voluntary disclosure non prevede che il patrimonio detenuto all’estero e regolarizzato debba essere necessariamente rimpatriato fisicamente in Italia. Le opzioni aperte per le somme oggetto di emersione sono sostanzialmente tre: • Trasferimento degli averi in Italia su un conto pre-esistente o appositamente aperto. È sicuramente l’opzione più pratica e prevede una riduzione del 50% nelle sanzioni per la Voluntary disclosure. A differenza di quel che accade per i condoni, però, il contribuente perde ogni anonimato. Lo stesso vale per il trasferimento in un altro Paese UE. • Mantenimento in Svizzera degli averi a proprio nome o intestazione a fiduciaria svizzera (o comunque non residente in Italia). Le sanzioni sono ridotte del 25%. Il calcolo delle imposte deve essere fatto dal contribuente e non sarà semplice compilare nei prossimi anni il quadro RW. • Mantenimento in Svizzera degli averi con intestazione a fiduciaria italiana. È il famoso ‘rimpatrio giuridico’. Il cliente manterrebbe le sue relazioni e beneficerebbe della riduzione del 50% nelle sanzioni. Il costo del servizio da parte della fiduciaria che agisce come sostituto d’imposta è compensato dalla maggiore privacy (per esempio non occorrerà compilare il quadro RW). La formula del ‘rimpatrio giuridico’, che aveva permesso negli ultimi condoni di mantenere in Svizzera le liquidità ‘condonate’, rimane dunque fra le opzioni aperte anche nel caso della Voluntary disclosure. Il trasferimento giuridico non è espressamente previsto dalla legge 1186/2014, ma la sua fattibilità emerge dalla lettura combinata delle norme sulla Voluntary disclosure con le circolari emanate dalla Agenzia delle entrate negli scorsi anni, in particolare la CM 49 del 2009. Il contribuente paga le tasse come se le attività si trovassero in Italia, ma mantiene il contatto con il gestore svizzero. Il contribuente può sottoscrivere un mandato con conferimento a una società fiduciaria italiana che fungerà da sostituto d’imposta. La formula ha anche il vantaggio, come detto, di mantenere un certo anonimato ‘non fiscale’, in quanto non è più necessario compilare il quadro RW. Oppure potrà rilasciare alla banca svizzera un’autorizzazione a trasmettere alle autorità finanziarie italiane tutti i dati riguardanti le attività (in quel caso sarà pur sempre tenuto a dichiararli regolarmente nel quadro RW della dichiarazione dei redditi). Alcune considerazioni possono essere fatte. Probabilmente le somme richieste dal fisco italiano saranno prelevate dai conti oggetto di accertamento. Il totale degli asset italiani detenuti in Svizzera scenderà quindi di una percentuale che possiamo stimare in un terzo. Il resto degli averi resterà in Svizzera? Elementari considerazioni di sicurezza, privacy e diversificazione spingono a diversificare le piazze di gestione dei propri capitali, indipendentemente da considerazioni fiscali. Certamente la piazza di gestione svizzera dovrà rivedere la struttura dei costi, ma potrà far valere una qualità che in passato non è sempre stata interamente percepita.

superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiori a due milioni di euro. Produrre una documentazione completa. Il contribuente che inizia il percorso di Voluntary disclosure si trova in una situazione un po’ paradossale: dovrà infatti farsi parte attiva per raccogliere e fornire al fisco esattamente quel tipo di informazioni che per anni o decenni aveva cercato con ogni mezzo di nascondergli. Per accedere alla disclosure il contribuente dovrà esibire tutti i dettagli relativi 122 · TM Marzo 2015

a tutti gli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenuti all’estero (o in Italia, nell’ipotesi di disclosure domestica). Non si tratta solo di esibire gli estratti dei conti correnti, titoli o di prodotti finanziari. Occorrerà indicare e spiegare tutti gli apporti di capitale e perfino le uscite. Bisogna insomma ricostruire tutta la storia dei redditi accumulati nel corso degli anni e come sono stati generati. Cosa per nulla semplice, visto che la ricostruzione potrebbe riguardare anni ormai lontani. Le banche posseggono questi docu-

menti, poiché devono conservare per 10 anni tutti i documenti che raccontano la storia della relazione col cliente. Come detto è importantissimo per il contribuente sia disporre di giustificativi per le entrate e per le uscite, sia offrire un panorama completo delle asset che ha nascosto. Se si ‘dimentica’ qualcosa il contribuente subisce la revoca e il disconoscimento degli effetti favorevoli della procedura già avviata. A quel punto il fisco potrà prendere in considerazione tutti i redditi prodotti e nascosti negli ultimi 10 anni, non opererà gli abbattimenti previsti sulle sanzioni e saranno perse le non punibilità per i reati penali. Si correrà inoltre il rischio concreto di essere puniti con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni per aver esibito o trasmesso “atti o documenti falsi in tutto o in parte”, o fornito “dati e notizie non rispondenti al vero” nell’ambito di una procedura. Insomma, il disastro più completo. D’altra parte nella fase di raccolta di queste informazioni occorrerà agire con una certa attenzione. I vantaggi della disclosure non sono concessi se prima della richiesta di adesione il contribuente è raggiunto da un avviso di inizio indagini da parte delle Agenzia delle entrate. Non è ben chiaro ad esempio cosa accadrebbe se un contribuente venisse fermato ai valichi di frontiera con in mano la documentazione che sta raccogliendo in vista di una domanda di adesione alla Agenzia delle entrate, che deve però ancora essere trasmessa. Le componenti della Voluntary disclosure. Gli aspetti da tenere in conto per valutare il ‘costo’ della regolarizzazione sono cinque: • sanzioni per omessa compilazione del quadro RW; • sanzioni per omesso versamento delle imposte; • imposta sui redditi prodotti dagli investimenti ‘nascosti’ all’estero; • interessi; • aspetti penali. Il quadro RW. La mancata o incompleta compilazione del quadro RW, la parte del Modello unico dedicata alla comunicazione degli investimenti posseduti all’estero, è punita con una sanzione minima del 3% (nel caso di investimenti detenuti in Svizzera) per ciascuno degli anni accertabili (dal 2009 al 2013). Le sanzioni previste sono ridotte dalla legge sulla Voluntary disclosure alla metà


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del minimo. L’adesione all’accertamento implicita nella Voluntary disclosure permette una ulteriore riduzione a un terzo. In sostanza la sanzione sul monitoraggio fiscale sarà pari a un sesto del minimo e quindi allo 0,5% annuo dell’importo non dichiarato. Per importo si intende il totale degli asset liquidi l’ultimo giorno dell’anno, ma solo i premi versati nell’anno nel caso di polizze vita. Per quel che riguarda gli immobili le cose sono più complesse (vedere box). Cosa succede se gli asset sono intestati a più persone? Nel caso di vera cointestazione non vi sono dubbi. Se il conto o l’immobile sono intestati al signor e alla signora Rossi, sia l’uno sia l’altro sono tenuti a fare la Voluntary disclosure e a pagare ciascuno lo 0,5% per ogni anno sul valore totale degli asset. Un fondamentale vantaggio della collaborazione volontaria, anche rispetto alla nuova procedura di adempimento volontario (sostitutiva del ravvedimento operoso) prevista dal disegno di legge di Stabilità 2015, consiste nella previsione che nel caso di conti correnti o depositi detenuti da più soggetti il totale del rapporto si considera detenuto, ai fini del quadro RW, da tutti i detentori in parti uguali. Si scongiura così la moltiplicazione delle sanzioni in funzione del numero di soggetti delegati. In pratica su un conto da 200 mila euro intestato al signore e alla signora Rossi, sia il marito sia la moglie pagheranno lo 0,5% di 50 mila euro. Se invece l’intestatario è una persona e le altre hanno ‘solo’ una procura, la giurisprudenza è orientata a equiparare queste procure alla intestazione solo se sono ‘attive’. È il contribuente però che deve dimostrare che il reale intestatario delle somme è uno solo. Le sanzioni ‘RW’ possono essere la parte più importante del costo della emersione per un contribuente che a partire dal 2010 non ha più ‘portato soldi in Svizzera’, mentre sono poca cosa per chi ha continuato a creare e nascondere redditi al fisco italiano anche nei periodi successivi. Redditi dei patrimoni. Il fisco tassa anche la fruttuosità dei patrimoni costituiti all’estero, ad esempio interessi e capital gain su conti e investimenti. Per patrimoni fino a 2 milioni di euro (si calcola la media delle consistenze alla fine di ogni anno) il contribuente può chiedere il calcolo delle imposte a forfait, applicando l’ali-

Fino al 2012 gli immobili vanno valorizzati al costo storico. Se è stato acquisito per donazione o successione, vale il prezzo di acquisto o costruzione pagato dal donante / testante. Se il costo di acquisto non è documentabile, si assume il valore attuale del bene eventualmente con perizia di stima. Dal 2013 i criteri cambiano quota del 27% su un rendimento presunto del 5% annuo dei capitali registrati alla fine di ogni anno. In pratica se un conto ha avuto un saldo di 100 mila euro al termine di un anno, il fisco presuppone un rendimento di 5.000 euro e lo tasserà per 1.350 euro. Ipotizzando che il saldo sia stato sempre vicino a 100 mila euro, il costo di questa parte della Voluntary disclosure è inferiore a 7 mila euro. Per patrimoni superiori il contribuente deve esibire un calcolo analitico del rendimento di ogni operazione e quindi dei capital gain, cedole e interessi o assimilati prodotti ogni anno dai suoi investimenti, che saranno tassati con le aliquote che sarebbero state applicate in Italia. In quel caso i calcoli sono piuttosto complessi, tanto che si consiglia a chi ha effettuato molti movimenti e ha investito in prodotti complessi di optare - se può - per la tassazione forfettaria: il possibile risparmio ottenuto sull’imposta potrebbe essere inferiore al costo della consulenza professionale necessaria. Bisogna anche tener conto delle aliquote previste, che sono cambiate nel corso del tempo. L’aliquota su plusvalenze e minusvalenze ottenute sulla compravendita di titoli di Stato è sempre stata del 12,5%, mentre quelle su capital gain nella compravendita di fondi,

azioni e obbligazioni pubbliche e private, su dividendi e interessi di obbligazioni pubbliche e non, è salita dal 2012 dal 12,5 al 20%. La aliquota sugli interessi su conto corrente, depositi e fiduciari e titoli atipici è scesa dal 2012 dal 27 al 20%. Attenzione! Nel calcolo anche se forfettario non devono essere considerate le somme ritirate. Per esempio, se a fine 2010 il saldo era di 100 mila franchi e a fine 2011 di 60 mila franchi, perché nel 2011 sono stati ritirati dal conto 50 mila franchi, gli interessi saranno calcolati su un saldo rispettivamente di 100 e di 110 mila franchi, qualora il prelevamento non possa essere giustificabile in termini di ‘spese’ effettuate. Non è invece al momento chiaro se il contribuente potrà detrarre dalla fruttuosità dei patrimoni, forfettaria o analitica, la Euroritenuta pagata sulle somme da regolarizzare. Anche questa voce è rilevante soprattutto per il rentier che dal 2010 in poi non abbia apportato nuove somme. Possiamo quindi tirare una prima conclusione. Per un privato che abbia iniziato il 2010 con 1 milione di euro investiti in Svizzera e non dichiarati e abbia solo prelevato o mantenuto sul conto gli averi, il costo della emersione è intorno ai 25 mila per il quadro RW e ai 7 mila per il reddito dei patrimoni. Siamo quindi su una aliquota molto bassa: del 3,2% circa sul totale del patrimonio. Sanzioni. Diverso il discorso per chi nel periodo di imposta ha aumentato i suoi averi per effetto di nuovi apporti (e si presumono evasi tutti gli apporti salvo prova contraria fornita dal contribuente). Alle due voci sopra indicate si aggiungono infatti le sanzioni e il saldo delle imposte evase. Il calcolo delle sanzioni è una delle parti ‘all’italiana’ di questa legge insolitamente chiara almeno per quel che riguarda le aliquote. La legge italiana prevede una differenza fra le dichiarazioni ‘infedeli’ (contribuenti che hanno compilato il Modello unico, ma non hanno indicato alcuni redditi o asset) e dichiarazioni ‘omesse’, persone che non hanno presentato alcun modello, quelli che la stampa definisce “evasori totali”. Nel caso più frequente di dichiarazione infedeli la legge prevede una sanzione che va dal 100 al 200% della imposta sottratta (sarebbe stato dal 200 al 400% se la Svizzera fosse rimasta nella black list). Nel TM Marzo 2015 · 123


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caso di omessa dichiarazione la sanzione va dal 120 al 240% dell’imposta sottratta. La sanzione viene aumentata di un terzo se il reddito è prodotto all’estero, ridotta di un quarto dalla Voluntary disclosure qualora il contribuente accetti di rimpatriare le somme (in modo materiale o giuridico) in Italia o in un Paese UE e poi ridotta a un sesto perché la Voluntary disclosure permette di accedere ai benefici dell’accertamento con adesione. Quindi la sanzione su una imposta sottratta di 100 mila euro parte da 133 mila, si riduce a 100 mila e finisce con l’essere di 16,6 mila euro nel caso di infedele e di 20 mila euro nel caso di omessa dichiarazione Imposte. Al contrario del condono, la Voluntary disclosure prevede il pagamento totale di tutte le imposte evase sui redditi nascosti negli anni accertabili senza alcuno sconto (gli abbattimenti valgono solo per le sanzioni) e con l’aggiunta dei relativi interessi. Questo aspetto (seppure scontato dal punto di vista giuridico) rappresenta per alcuni la voce di costo più rilevante del costo della Voluntary disclosure. Come detto, il fisco presume automaticamente che qualunque apporto rappresenti un reddito evaso. Sarà il contribuente a dover dimostrare che non lo è (per esempio mostrando che la provvista proviene da un altro conto o che si tratta di un apporto proveniente da una eredità o da una donazione documentata o da una operazione dichiarata). IRPEF. L’Agenzia delle entrate, definito l’imponibile sottratto, calcolerà per ogni anno fiscale l’aliquota prevista dallo scaglione di reddito, nel quale il cliente si sarebbe dovuto trovare se avesse dichiarato il provento sottratto. Si tratterà probabilmente nella maggioranza dei casi dello scaglione più alto (che è sempre stato il 43% in tutti gli anni di imposta accertabili). A questo si aggiunge l’IRAP (dal 2009 al 2013 l’aliquota e rimasta fissa al 3,9%) e le addizionali IRPEF comunali o regionali. Si calcola l’addizionale (dal 2 al 4%) in vigore nell’anno di imposta nel comune/regione di residenza del contribuente. Dove applicabili vanno anche pagati i contributi (spesso forfettizzati al 10%). In alcuni casi il reddito nascosto avrebbe dovuto essere soggetto anche alla aliquota IVA in vigore nell’anno in cui il reddito si è materializzato (dal 20 al 22% a seconda dell’anno). In materia di IVA, oltre alla sanzione per infedele od omessa dichiarazione dell’imposta evasa (100%), 124 · TM Marzo 2015

Lo scenario internazionale è cambiato. Lo scambio di informazioni fra le amministrazioni fiscali, lo scambio automatico dei dati con il Common Reporting Standard definito a Brisbane nella riunione del G-20, per non parlare del FATCA, creano un contesto di completa trasparenza nel quale sarà ben difficile non solo costituire, ma anche gestire capitali non dichiarati si applica la sanzione per omessa fatturazione o registrazione pari al 100%. Le due sanzioni sono ridotte a un sesto in caso di adesione, ma anche così l’IVA evasa può essere vicina al 30% dell’imposta sottratta, portando il costo delle imposte pericolosamente vicino al 100%. Si arriva al 100% secco se si aggiunge la violazione dell’obbligo inerente alla documentazione e rendicontazione di operazioni non imponibili esenti o non soggette a IVA, che vale tra 5 e il 10% dei corrispettivi non documentati. D’altronde l’Italia è un Paese dove i redditi sono soggetti a una tassazione molto alta. A un professionista che rilascia una fattura per 10 mila euro IVA compresa, tolta IVA, imposte varie e contributi rimangono di reddito spendibile poco più di 3 mila euro. Altre imposte. L’IVIE (imposta sul valore degli immobili detenuti all’estero), l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero) e l’imposta sulle successioni e sulle donazioni non sono comprese nell’ambito di applicazione della Voluntary disclosure. Il contribuente dovrà quindi sanarle con la nuova procedura di ravvedimento operoso in fase di votazione alle Camere. Non si tratta di una voce particolarmente onerosa nel calcolo del ‘costo’ dell’operazione, perché

queste imposte sono entrate in vigore abbastanza recentemente Interessi. Su ciascuna imposta si pagano gli interessi legali per il periodo che intercorre fra il mese in cui si sarebbero dovute saldare le imposte e il mese di effettivo versamento. Nel caso peggiore (imposte relative al 2010 che si sarebbero dovute pagare nel luglio 2011 e sono invece saldate nel settembre 2015) l’interesse totale è del 7%. L’ombrello penale. Un aspetto molto interessante della Voluntary disclosure è la protezione che offre da quasi tutti i reati fiscali, compreso il reato di auto-riciclaggio recentemente previsto dalla normativa italiana. In effetti il ‘penale’ scattava in Italia piuttosto facilmente davanti a evasioni non gigantesche (bastano 50 mila euro di imposta evasa, o aver evaso una somma pari al 10% dei propri redditi). Nel frattempo il governo ha deciso di prevedere nel decreto delegato di semplificazione fiscale delle variazioni tese ad alzare la soglia a partire dalla quale scatta la denuncia penale. Il Governo ha però deciso di fermare tutto, alla luce delle rilevanti perplessità espresse da più parti, spostando sia il voto finale sul testo del decreto delegato sia la data prevista di consegna della legge vera e propria (si parla del 31 dicembre 2015). Quindi i contribuenti che temono ‘il penale’ sia per le sue estreme conseguenze, sia più concretamente perché prevede un raddoppio degli anni accertabili, si trovano in una situazione oggettivamente difficile. Devono pagare assai caro un ‘ombrello penale’ che potrebbe non risultare necessario. Voluntary disclosure ‘interna’. I soggetti che non possono aderire alla Voluntary disclosure in quanto non tenuti alla compilazione del quadro RW possono comunque regolarizzare eventuali violazioni in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di dichiarazioni di sostituto di imposta commesse entro il 30 settembre 2014. La platea dei potenziali soggetti è molto ampia: sono destinatari della Voluntary disclosure interna tutti i soggetti residenti e non residenti soggetti passivi di imposte e quindi anche sostituti di imposta ed enti commerciali residenti in Italia ed estero. La ratio della norma è duplice: da una parte evitare che a una disclosure da parte, ad esempio, dell’azionista di una società faccia seguito un accertamento fiscale sulla società stessa, dall’altra evitare di favorire paradossalmente


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l’evasore che ha costituito asset all’estero rispetto a quello che ha lasciato i frutti dell’evasione in Italia. Nella realtà infatti molto spesso i redditi non dichiarati e portati all’estero sono stati realizzati dall’imprenditore attraverso una società. Per esempio attraverso una società terza interposta verso la quale si è sottofatturata una fornitura o dalla quale si è acquistato un servizio inesistente. In questo caso la Voluntary disclosure si applica non solo alla persona fisica, che così facendo ha creato una provvista all’estero, ma anche all’azienda che, sottofatturando, ha evaso delle imposte. La Voluntary disclosure ‘interna’ potrà essere attivata dalle società ‘esterovestite’, cioè da quegli enti di diritto estero la cui sede di direzione effettiva è in Italia. C’è la possibilità di sanare, con la nuova procedura, anche l’evasione di redditi con cui siano stati formati capitali non esportati all’estero: ad esempio, quelli detenuti nelle cassette di sicurezza. Al riguardo c’è un punto importante che deve essere ancora chiarito. Non è chiaro se la Voluntary disclosure sia opzionale (come è presentata nella legge) o di fatto obbligatoria per i contribuenti che hanno optato per la VD ‘estera’. Non è chiaro insomma se, qualora emergessero in futuro redditi nascosti in Italia gli effetti della Voluntary disclosure decadano come avviene sicuramente se il contribuente non dichiara tutte le sue attività all’estero. Evasori senza saperlo. Un aspetto controverso della norma è il rischio che la Voluntary disclosure porti all’accertamento nei confronti di terzi. Questi potrebbero aver collaborato scientemente alla evasione, ma potrebbero anche averne tratto semplicemente frutto. Molti piccoli imprenditori italiani sono soliti integrare con versamenti in contanti i salari di alcuni loro dipendenti e, soprattutto negli ultimi anni, lo hanno fatto attingendo ai loro conti in Svizzera. Per questo, nell’analizzare i movimenti sui conti presentati, il fisco entra nel merito anche dei movimenti in uscita, soprattutto se non sono compatibili con le spese abituali del contribuente. In pratica nell’analizzare le disclosure presentate il fisco si insospettirà davanti a prelievi che, per il loro importo o per il loro controvalore totale, non siano compatibili con il finanziamento del ‘treno di vita’ del contribuente. Trovando ad esempio un prelievo

Otto domande sulla Voluntary disclosure Quanto ‘costa’ aderire? Dipende: se si tratta di averi che risultano in Svizzera dal 31 dicembre 2009, il peso dell’operazione può essere intorno al 10% al netto dei costi legati alla procedura stessa. Se invece si parla di somme ‘portate in Svizzera’ negli anni accertabili occorre considerare le imposte evase e le relative sanzioni e si può arrivare a una quota compresa fra il 50 e l’80%. Quanto tempo ho per decidere? La domanda può essere presentata entro il 30 settembre 2015 se non ci saranno proroghe. La firma dell’accordi fra Italia e Svizzera ha cambiato le cose? Completamente. Se non vi fosse stato l’accordo, i costi dell’operazione sarebbero stati molto superiori: diciamo fra il 30 e il 100% degli asset in questione. Mi conviene aspettare? Alcuni esperti consigliano di attendere la fine dell’iter burocratico della Legge delega sulla semplificazione fiscale, che potrebbe in alcuni casi rendere in parte inutile la protezione che la Voluntary offre dalle conseguenze penali delle azioni che hanno permesso di costituire le asset non dichiarate. D’altra parte il Governo ha deciso di rimandare di sei mesi la discussione di questa legge. Ho delle alternative? In teoria sì, visto che l’adesione è ‘volontaria’. In pratica no, perché molti intermediari svizzeri impediscono al cliente di agire altrimenti. Va detto che la totale trasparenza fiscale non riguarda solo la Svizzera, ma tutto il mondo. Che ne è dei trust e delle interposizioni societarie? A prescindere dalla Voluntary, tutte le operazioni che permettono a un contribuente italiano di mantenere un significativo controllo sulla destinazione e sulla gestione di asset sono ormai considerate ‘trasparenti’, vale a dire o riportate nella dichiarazione del contribuente stesso o evase. Fanno eccezione i trust ‘veri’, nei quali il contribuente si è realmente spossessato dei beni e del controllo su di essi. Discorso simile vale per le polizze di assicurazione. La Voluntary in questo caso è una buona occasione per smontare o rivedere drasticamente questi schemi riportandoli alla loro funzione originale. Ci sono dei rischi? Per il ‘rentier’ che non ha evaso imposte dal 2004 in poi non c’è nessun rischio. Per chi ha evaso imposte tra il 2004 e la fine del 2009 il rischio è che questa evasione per la sua dimensione o per il modo in cui è avvenuta faccia scattare una inchiesta penale, che porta al raddoppio dei termini di accertamento. La Voluntary copre alcune delle conseguenze penali, ma non l’obbligo a corrispondere imposta evasa, sanzioni e interessi. Il secondo rischio è di coinvolgere soggetti terzi che hanno permesso e favorito l’evasione o che ne hanno tratto beneficio. Per questo è importante valutare bene con un avvocato italiano la possibile creazione di una Voluntary interna e avvisare le parti interessate. C’è invece un rischio di cui si parla poco e che coinvolge tutti. Qualunque informazione nascosta in sede di Voluntary può portare il fisco - anche dopo aver accettato la richiesta e aver ricevuto le sanzioni e i versamenti del caso - a rivedere il dossier come se il soggetto non avesse fatto nessuna richiesta di adesione. Quando potrò operare liberamente? La richiesta di Voluntary disclosure si intende perfezionata una volta che il fisco ha comunicato le somme da versare e che queste sono state interamente versate. Non è detto che questo avvenga nel corso del 2015. La pubblicazione della Lista Falciani ha cambiato qualcosa? In termini giuridici no, anche perché la lista era già stata inviata alle autorità italiane a suo tempo e queste l’hanno utilizzata meno come prova e più come spunto per ulteriori indagini. Dal punto di vista politico il clamore suscitato dalla pubblicazione ha reso più difficile al momento rendere note decisioni relative alla Voluntary disclosure che potevano essere malamente interpretate come ‘aiuti agli evasori’ . Quale sarà la mia privacy nel dopo Voluntary? La richiesta di adesione è coperta dalla privacy. I dati saranno noti solo all’Agenzia delle entrate. Chi opta per il rimpatrio dei capitali dovrà portarli in Italia e affidarli a un intermediario. Chi li tiene in Svizzera dovrà indicarli sul Modello unico. La formula che garantisce la maggiore privacy è il rimpatrio giuridico: la fiduciaria italiana agisce come sostituto di imposta, il cliente mantiene la relazione con l’intermediario svizzero e non è tenuto a dichiarare i suoi asset nel Modello unico.

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di 100 mila euro in contanti o prelievi o bonifici per molte centinaia di migliaia di euro in un anno, il fisco penserà o a un tentativo di spostare su un conto terzo non dichiarato parte delle asset o a redditi non dichiarati da parte dei destinatari. A quel punto il contribuente dovrà dichiarare - davanti a una precisa contestazione - di aver versato delle somme in nero ai dipendenti, i quali si troverebbero oggetto di un accertamento a loro volta. Sono soggette alla Voluntary disclosure anche le persone cointestarie di conti all’estero e i titolari di procura a qualsiasi titolo. Addio al trust. La procedura di Voluntary disclosure intende offrire una via di uscita ai beneficiari di trust ‘estero-vestiti’, e cioè impropriamente considerati residenti all’estero, e in generale dei trust tassabili per trasparenza (quelli revocabili o nei quali il disponente o i beneficiari mantengono un esteso controllo). Il concetto è molto semplice: questi trust per il fisco italiano non esistono e i redditi o i beni in capo al trust sono considerati pro quota proprietà dei beneficiari. Il trust e i beneficiari sono quindi invitati ad avvalersi della Voluntary disclosure per chiudere la partita con il fisco. Sono esenti solo i beneficiari che godono di una quota inferiore al 25% dei redditi o dei benefici distribuiti ogni anno dal trust stesso. L’iter della emersione. Il contribuente deve presentare istanza all’ufficio centrale

per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (UCIFI) entro il 30 settembre 2015, indicando tutti gli investimenti e le attività finanziarie costituite o detenute all’estero, anche indirettamente o per interposta persona. Devono essere evidenziate anche movimentazioni, dismissioni, prelievi e utilizzi a qualunque titolo di tali fondi. Sulla base delle informazioni e dei documenti prodotti dal contribuente, l’Agenzia delle entrate competente per territorio determinerà in maniera analitica tutte le imposte dovute (IRPEF, addizionali, imposte sostitutive, IRAP, IVA, ritenute e contributi previdenziali), maggiorate degli interessi. Ogni transazione avverrà attraverso canali telematici (anche se concretamente non è chiaro come si potrà far passare attraverso questi canali ‘dossier’ composti da grandi quantità di documenti molto eterogenei). Si inizia compilando una richiesta che sarà poi seguita da una relazione accompagnatoria illustrativa che potrà essere presentata successivamente (sembrerebbe nei 30 giorni successivi all’istanza). Questo è importante perché ‘protegge’ il contribuente, il quale una volta presentata la richiesta potrà tranquillamente attraversare la frontiera con i documenti necessari a trattare il suo caso. Dopo la presentazione dell’istanza da parte del contribuente, l’Agenzia delle entrate competente provvederà a verificare le infor-

Casa, complessa casa In materia di determinazione del valore e del reddito prodotto da un immobile posseduto all’estero da un contribuente italiano, la situazione è oggettivamente complessa. La Voluntary disclosure non può non risentire delle contraddizioni delle norme precedenti, in base alle quali il fatto che gli stessi fossero localizzati in un territorio ‘black list’ imponeva criteri di valutazione che spesso producevano situazioni paradossali: per esempio era possibile che lo chalet a St. Moritz acquistato dal nonno ‘pesasse’ come l’appartamento a San Bernardino acquistato 10 anni fa. L’ambito di applicazione comunque è chiaro. Sono interessate alla Voluntary disclosure di beni immobili locati a terzi, venduti in tutto o in parte o tenuti a disposizione dalle persone fisiche, le società, i trust e le fondazioni che li detengono anche a titolo di usufrutto, nuda proprietà o in comunione sia direttamente, sia tramite soggetti interposti residenti all’estero. Definire il quantum dell’imposta è difficile. Fino al 2012 gli immobili vanno valorizzati al costo storico (prezzo di acquisto o costruzione più oneri professionali e di intermediazione detratti gli interessi passivi). Se è stato acquisito per donazione o successione, vale il prezzo di acquisto o costruzione pagato dal donante o dal testante. Se il costo di acquisto non è documentabile, si assume il valore attuale del bene eventualmente con perizia di stima. Dal 2013 i criteri sono stati allineati a quelli previsti dalla Imposta sul valore degli immobili esteri (IVIE) che prevede - qualora mancasse la documentazione - di fare riferimento ai valore di mercato rilevato da enti (ad esempio associazioni di categoria di fiduciari o società specializzate).

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mazioni e i documenti forniti determinando gli importi delle sanzioni. L’ammontare delle sanzioni per il quadro RW sarà oggetto di una classica notifica, mentre per quel che riguarda le imposte e le relative sanzioni e interessi l’Agenzia invierà un invito al contradditorio. La somma richiesta al termine dovrà essere versata tra i 15 e i 60 giorni a seconda del tipo di atto notificato dall’Agenzia delle entrate. Non è possibile compensare questo ‘dare’ con eventuali crediti fiscali, ma è possibile dilazionarlo in tre rate mensili di pari importo, pare senza interesse. Memore di quanto è successo con i condoni, la legge specifica che il contribuente decade dai benefici amministrativi e penali se non versa le somme dovute a titolo di sanzione. Gli eredi. Per chi avesse ereditato asset in Svizzera la convenienza della Voluntary è elevata sia perché le sanzioni (riferibili al defunto) non sono trasmissibili agli eredi, sia perchè le eredità sono relative spesso ad asset costituite in periodi relativamente lontani. Gli eredi sono tenuti a presentare in via telematica il modello di disclosure in nome proprio (se hanno anch’essi violato gli obblighi di monitoraggio, dopo il decesso) sia per conto del defunto. Dovranno inoltre pagare le imposte che il defunto avrebbe dovuto pagare (se relative a redditi accertabili). E le imposte di successione? Scattano se l’asse ereditario o la posizione dell’erede supera i minimi di legge e se il decesso è avvenuto negli ultimi 6 anni (se non è stata presentata dichiarazione) o 2 anni (se è stata presentata). L’imposta di successione non è coperta dalla norma sulla Voluntary disclosure. Perché è il caso di aderire. Come visto, per i contribuenti italiani che hanno apportato capitali in Svizzera soprattutto dal 2010 il costo totale della Voluntary disclosure si avvicina pericolosamente al 100%. In queste situazioni la domanda ‘ma si tratta davvero di una opportunità?’ sembra avere senso. A ben vedere però l’evasione di una imposta su un reddito non rischia solo di prendere l’intero reddito, ma molto di più. Il contribuente che non aderisca alla Voluntary disclosure in caso di accertamento potrebbe subire sanzioni molto superiori al valore delle imposte evase e senza alcun abbattimento. Prima di tutto perché in quel caso probabilmente il fisco potrebbe accertare (e quindi assoggettare al pagamento di imposte e


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sanzioni) anche il quinquennio precedente, in secondo luogo perché non avrebbe più diritto ai vari abbattimenti previsti per le sanzioni. Il contribuente che avesse portato in Svizzera 100 mila euro all’anno negli ultimi 5 anni (o più probabilmente nei primi due anni del quinquennio accertabile) e in quelli precedenti non pagherebbe quindi il 100% delle imposte accertabili evase a norma della Voluntary disclosure, ma una somma molte e molte volte superiore. Sul piano pratico le banche sembrano essere molto decise nel non lasciare al contribuente alcuna via di uscita. Molte banche hanno interpretato le normative FINMA e le leggi in modo restrittivo e impediscono al correntista di spostare le asset in un Paese terzo (se non l’Italia) e limitano perfino i prelievi per contanti. C’è poi una risposta più ‘filosofica’. Il fatto è che lo scenario internazionale è cambiato. Lo scambio di informazioni fra le Amministrazioni fiscali, lo scambio automatico dei dati con il Common Reporting Standard definito a Melbourne in novembre, per non parlare del FATCA, danno consistenza a uno scenario di completa trasparenza nel quale sarà ben difficile non solo costituire, ma anche solo gestire capitali non dichiarati. A questo si aggiunge la maggiore efficacia delle attività di indagine della amministrazione fiscale italiana attraverso lo ‘spesometro’ e soprattutto l’anagrafe unificata dei conti correnti e dei depositi e in prospettiva l’ulteriore giro di vite sull’uso dei contanti. Insomma, alla luce di questo mutato scenario internazionale la Voluntary disclosure rappresenta l’ultima spiaggia per gli evasori italiani incalliti di regolarizzare e di riappacificarsi con il fisco italiano. Gli strumenti di collaborazione fra le autorità giudiziarie e fiscali italiane e svizzere sono sempre di più: l’accordo da poco firmato è solo uno dei tanti esistenti. Alcuni sono basati su norme del 2009. Chiudere i conti nel corso del 2015 o spostare gli averi in un Paese terzo, posto che l’intermediario svizzero lo consenta, potrebbe non essere sufficiente. Davanti a una richiesta più o meno precisa l’autorità svizzera potrebbe permettere all’intermediario di comunicare alla autorità fiscale italiana l’esistenza o i dettagli di un conto aperto precedentemente (per esempio nel 2013 o 2014) da un contribuente italiano. Esistono già ora numerosi strumenti che permettono all’autorità italiana di richiedere

Dove sta la novità? A ben vedere quasi tutti gli elementi della Voluntary disclosure erano già presenti nella normativa e nella prassi ‘premiale’ italiana, in particolare grazie all’accertamento con adesione. L’accertamento con adesione e il ravvedimento operoso sono istituti per certi versi molto più comodi della Voluntary disclosure, perché possono essere limitati a una specifica irregolarità o tuttalpiù a uno specifico anno o tipo di imposta. Il ravvedimento operoso è oggetto del decreto delegato sulla semplificazione fiscale che il Governo sta elaborando con l’obiettivo di renderlo pare ancora più interessante. In ogni caso i benefici di un accertamento con adesione relativo all’IVA del 2011 non erano invalidati da un accertamento di iniziativa del fisco, ad esempio sull’IRPEF del 2011 o sull’IVA del 2010, come invece accade nella Voluntary disclosure, dove una sola informazione non fornita può annullare tutti i vantaggi della operazione anche ben dopo la chiusura della disclosure. Inoltre il ravvedimento operoso è infinitamente più semplice: basta inviare all’Agenzia delle entrate una Dichiarazione integrativa per rettificare i dati forniti e la somma dovuta può essere compensata con altri tributi. Insomma, se si esclude qualche abbattimento la differenza principale offerta dalla Voluntary disclosure rispetto agli istituti già previsti riguarda l’esclusione della punibilità per quasi tutti i delitti di natura tributaria (tranne emissione di fatture false e altri modalità di sottrazione fraudolenta di imposta). Il ravvedimento operoso in alcuni casi prevedeva automaticamente il giudizio penale e solo la riduzione di un terzo della pena minima (ma consentiva il patteggiamento).

queste informazioni: per esempio l’accordo di adesione allo spazio di Schengen in vigore dal dicembre 2008, o l’articolo 26 del Modello OCSE che la Svizzera, dal marzo 2009, si è impegnata a estendere anche a infrazioni fiscali. C’è poi la Legge federale sull’assistenza internazionale in materia fiscale (LAAF) in base alla quale dal 1° agosto 2014 è possibile ottenere cooperazione senza indicare nominativi specifici, ma gruppi indeterminati di persone che abbiano tenuto un certo comportamento, che vale per ‘comportamenti’ successivi alla entrata in vigore della LAAF, che risale al 1° febbraio 2013. È vero che esiste una questione sulla retroattività dello scambio di informazioni: in base alla Convenzione di Vienna sui trattati internazionali, lo scambio di informazioni dovrebbe riguardare solamente le informazioni bancarie relative a un periodo successivo a quello dell’entrata in vigore dell’accordo bilaterale stipulato fra gli Stati (in questo caso Italia e Svizzera). È possibile che l’accordo alla firma preveda la possibilità di attivare la retroattività attraverso un protocollo aggiuntivo. E comunque diversi strumenti sono già attivi da tempo. Insomma, speculare sui ritardi nella esecuzione delle procedure informatiche e non di trasferimento dati e pensare di potersela cavare chiudendo i conti un giorno prima del 1° gennaio 2017 è pericoloso. Certo, la completa trasparenza

sarà una realtà operativa solo in quell’anno e forse anche dopo, ma chi aveva asset non dichiarati in Svizzera un anno fa, e a maggior ragione chi le ha adesso e spera di ‘farla franca’, corre dei rischi davvero seri. Insomma, il contribuente italiano infedele è ‘circondato’. Non ha alcuna possibilità di mantenere in Svizzera capitali non dichiarati, e molto probabilmente non può spostarli in altre giurisdizioni e nemmeno farli rientrare in contanti o sotto altre forme. Di fatto può solo aderire, magari approfittando delle ‘convenzioni’ strette dalle banche con studi professionali o società di consulenza svizzere che si incaricano di approntare tutta la documentazione richiesta e farla avere (una volta aperta la procedura) al commercialista italiano del cliente o a un altro professionista o fiduciario o società di consulenza in grado di seguire la procedura in Italia. Le cose non sono così semplici per i contribuenti che hanno asset presso diversi intermediari in Svizzera o che hanno cambiato intermediario nel periodo accertabile. E sono ancora meno semplici per chi ha spostato negli anni recenti i suoi capitali in Paesi black list, dai quali l’emersione è molto più costosa e che finiranno prima o poi anche loro per dover aderire agli standard di cooperazione e trasparenza mondiali. Paolo Valentini TM Marzo 2015 · 127


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