iged.it n°3/12

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approfondimenti

I DATI APERTI NELLA NORMATIVA ITALIANA Dalle leggi regionali ad una prospettiva nazionale DI MORENA RAGONE

La diffusione del concetto di ‘dato aperto’ (open data, secondo la più conosciuta terminologia anglosassone), ossia di quell’insieme di cellule informative (dati), liberamente accessibili, utilizzabili e riutilizzabili, senza restrizione alcuna derivante da diritti di privativa individuale - copyright e brevetti in primis - porta con sé alcune questioni imprescindibili, con le quali l’operatore che voglia approcciarne le problematiche si troverà necessariamente a contatto. Tra esse, sicuramente l’esistenza di alcuni vincoli di carattere normativo, e l’inesistenza, al momento, di una legislazione uniforme, che possa fungere da base per la loro diffusione. La possibilità di aprire i dati, infatti, non incontra soltanto gli ovvi - ma non ancora superati - limiti dati dal formato scelto e della licenza applicata - elementi, soprattutto il secondo, su cui spesso si sorvola, probabilmente anche a causa della scarsa conoscenza sul tema, che non consente di focalizzare l’attenzione sui vincoli che un dato privo di licenza continua ad avere (e che saranno oggetto di analisi in un successivo commento) - , ma anche dell’esistenza di norme che possono entrare in conflitto con il concetto stesso di ‘diffusione’ erga omnes collegato al principio dei dati aperti.

dall’art. 1 e ribadita dal comma 2 dell’art. 22, altrettanto espressamente incontra i limiti di cui all’art. 24, enucleate in una serie di esclusioni dal diritto di accesso (tra i quali la ‘pericolosa’ norma aperta di cui al comma 1), ma che, al comma 3, dispone che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”, evidenziando, comunque, la diversità strutturale con la trasparenza recentemente introdotta dall’art. 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, intesa come ‘accessibilità totale’; 2. il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”, comunemente conosciuto come Codice Privacy, il quale, tra le altre disposizioni, prevede, all’art. 19, comma 3, che la diffusione dei dati da parte di un soggetto pubblico

sia ammessa esclusivamente quando è prevista da una norma di legge o di regolamento; 3. la legge 633/41, sulla “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”, che, nei meandri dell’interpretazione degli artt. 5 (“Le disposizioni di questa legge non si applicano ai testi degli atti ufficiali dello stato e delle amministrazioni pubbliche, sia italiane che straniere”) e 11, comma 1 (relativo al diritto d’autore sulle opere dell’ingegno), lascia margini all’interprete per interrogarsi se esista un ‘diritto d’autore’ sui dati. Premesse importanti di cui necessariamente tenere conto, nel momento in cui ci si approccia alla problematica del dato aperto. Nell’assenza di una disciplina nazionale sulla materia, che serva anche a chiarire gli eventuali conflitti con la

Tre, principalmente, gli architravi normativi, che attengono ad altrettanti provvedimenti cardine del nostro impianto giuridico: 1. la legge 241/90, su “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, ossia la prima legge a formalizzare in Italia il concetto di ‘trasparenza’, che pur inserita tra i ‘principi generali dell’attività amministrativa’

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