Alcune osservazioni paleoantropologiche sullo sviluppo dell’apprendimento umano

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umani, che si sentirono sempre meno membri semi-consapevoli di un branco e sempre più esseri senzienti ed autonomi. I primati hanno avuto tanto tempo quanto ne hanno avuto gli esseri umani per sviluppare una cultura, eppure non hanno fatto alcun passo in avanti, né è prevedibile che ne faranno in futuro, anche con l’aiuto dell’uomo. Per questo non è affatto moralmente, concettualmente o metodologicamente scorretto considerare la cultura come ciò che ci separa nettamente dal resto della natura e ci rende “speciali”. Rimane il problema di capire come ciò sia potuto accadere. L’ipotesi di una singola causa scatenante va certamente scartata. E’ semplicemente ridicolo anche solo pensare che fenomeni così complessi abbiano spiegazioni monocausali. L’idea che, ad un certo punto del nostro percorso evolutivo, si sia verificata una mutazione genetica casuale tale da rimodellare in modo determinante la struttura ed il funzionamento del nostro cervello non trova alcuna conferma archeologica: i crani umani non mostrano evidenti segni di un’ “improvvisa” (siamo sempre nell’ordine delle migliaia di anni) trasformazione, né esiste alcuna inspiegabile lacuna nei ritrovamenti archeologici che faccia pensare ad un balzo tecnologico e/o artistico. Tutto lascia pensare che l’evoluzione cognitiva di Homo sapiens sia stata graduale. Si devono prendere in considerazione le possibili cause strutturali. Ancora oggi certi gruppi umani africani e amazzonici usano utensili così semplici che siamo autorizzati a supporre che il loro livello tecnologico non sia poi molto più complesso di quello dell’Homo Erectus di quasi 2 milioni di anni fa. Cioè a dire, se procurarsi cibo in quantità sufficiente non richiede uno sforzo particolare, l’essere umano non è stimolato ad evolvere, non percepisce alcuna pressione adattiva in tal senso. Ogni miglioramento sarebbe da considerarsi un superfluo abbellimento di uno strumento già più che idoneo all’uopo. C’è anche da dire che la ricerca antropologica ha dimostrato che i cacciatoriraccoglitori vivono un’esistenza più serena e seguono una dieta più equilibrata di quella dei popoli dediti all’agricoltura. Ma questo è vero solo a patto che il numero di componenti delle bande socialmente non stratificate nelle quali si riuniscono rimanga entro un limite non superiore alle 50 unità: poi si rendono necessari degli aggiustamenti che possono spingere la banda a sedentarizzarsi e gerarchizzarsi. L’ampio uso dell’infanticidio o dell’omissione di cure materne come strumento di stabilizzazione demografica diviene quindi indispensabile per il mantenimento della struttura sociale originaria. D’altra parte un cambiamento climatico che abbia reso il clima più rigido non può essere all’origine di condizioni ambientali maggiormente pressanti: nel corso di decine di migliaia di anni l’Homo neandertalensis, che pure esperì le glaciazioni europee, non perfezionò la cultura che aveva portato con sé dall’Africa. Gli esseri umani potevano insomma adattarsi senza per questo essere costretti ad elaborare forme culturali più sofisticate. Come già accennato in precedenza, il problema che dobbiamo porci è quello della forte discrasia cronologica tra il momento in cui gli esseri umani appaiono anatomicamente moderni e quello in cui si comportano modernamente, oltre all’apparente assenza di ulteriori significativi sviluppi anatomici e funzionali del cervello umano nel corso degli ultimi 50.000 anni. Si può infatti ipotizzare che già i primi Homo sapiens avessero in potenza le nostre stesse capacità, ma che queste rimasero latenti per diversi millenni, finché non si rese necessario affinarle.


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