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9 marzo 2018 Speciale Davide Astori
Appunti di viaggio
Il nuovo contratto era pronto, Astori l’avrebbe firmato il 5 marzo.
La sua scelta di di FRANCESCA BANDINELLI
E
Davide Astori felice dopo un gol
ra tutto fatto. Rinnovo di contratto fino al 2021, magari con opzione fino al 2022. Perché così avrebbe chiuso la carriera a Firenze, come aveva voluto fin dall’inizio. Davide Astori lo aveva ripetuto sempre, l’ultima volta in una intervista esclusiva a La Nazione. «Temo che dovrete sopportarmi a lungo. Credo che questa sia la dimensione giusta per me, parlo di equilibrio fra il tipo di calcio giocato e giuste ambizioni. Pensando ovviamente che le ambizioni possano crescere, ma sempre con il realismo che deve essere alla base di tutto. E poi a me piace troppo giocare a calcio, mi godo più questo mestiere ora di quando avevo 18 anni». Avrebbe dovuto firmarlo lunedì 5 marzo, perché giovedì scorso, il primo, la neve aveva fermato il suo agente, Renzo Contratto, altro che la Fiorentina l’ha conosciuta bene per averla vissuta con la maglia viola sulle spalle dall’80 all’88. Lo ha raccontato il patron Andrea Della Valle, ricordando una delle ultime visite alla squadra, quella fatta col fratello Diego a Bologna, nel ritiro viola, alla vigilia dell’ultimo successo in trasferta dei viola. Capitano dopo
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Gonzalo Rodriguez e dopo che Pasqual, prima di lasciare lo spogliatoio viola due anni fa, aveva simbolicamente passato proprio a lui la fascia che per anni era stata la sua. Sousa aveva poi scelto l’argentino a raccoglierne l’eredità: il mancato rinnovo e lo svincolo a parametro zero avevano fatto cominciare la sua era, quella del leader rispettato che nell’estate dei tantissimi addii, da Borja Valero a Ilicic, da Bernardeschi a Kalinic, invece era voluto fermamente restare a Firenze. Lui nel rinascimento viola ci credeva davvero. Anche per questo Corvino, non aveva perso tempo per discutere del suo rinnovo. Perché oltre alle fondamenta giovani di una squadra in gran parte rivoluzionata, era Astori il pilone in cemento armato, il punto di riferimento per tutti, in campo e fuori. I tifosi di lui e del suo carisma si fidavano. Sapevano che sulla sua schiettezza potevano contare sempre, anche quando c’era da dare qualche scudisciata. Era stato il primo ad augurarsi pubblicamente un pronto ritorno della proprietà, perché pur essendo la vicinanza ben rappresentata dai dirigenti, un segnale soprattutto per i giovani sarebbe stato l’ideale. Diego, parlando alla squadra proprio alla vigila della gara di Bologna, era tra lui, il capitano seduto a capotavola, e Chiesa, il figlio del settore giovanile, due simboli, seppur per motivi diversi. Adesso Firenze è attonita, senza più il suo faro.
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