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Editoriale

Rivista della Società Speleologica Italiana Sede Legale: Via Zamboni, 67 40126 Bologna semestrale N° 52, giugno 2005 Anno XXVI

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Avolte sono piccoli segnali ad indicarci grandi percorsi da cominciare. Anche discussioni che lì per lì ci sono sembrate non raggiungere conclusioni appaganti (o rassicuranti per la nostra continua ricerca di convinzioni), se ben guardiamo alla sostanza, contengono sementi importantissime da fare germogliare. Intanto, che germoglino poi, se la pianta avrà vita buona, si vedrà se darà anche buoni frutti. Cinquanta, sessanta di noi caparbiamente si sono imposti di trovarsi a discutere, serenamente, dei rischi delle disostruzioni, ovvero di etica delle esplorazioni. Poco importa quanti fossimo e già “serenamente” è un primo eccellente risultato. Terreno scivolosissimo quello dell’etica (non solo delle esplorazioni), ma da più parti (non solo in Italia) è già percepito come l’apparente semplicità d’uso dei nuovi mezzi utilizzati nelle disostruzioni esplorative ne ingeneri di fatto l’abuso, e come di tutti gli abusi si avvertono già i danni. Danni che, si è discusso, non sono affatto “solo” estetici. Non esiste, ovviamente, nessuna altra via che il buon senso: le disostruzioni si sono sempre fatte e si continueranno sempre a fare finché esisterà un terreno di scoperta, un “al di là” del presente. Solo dobbiamo tutti essere molto, molto più consapevoli che le nostre azioni possono a volte avere effetti permanenti sull’ambiente di grotta (o ipogeo antropico che sia) esattamente come nelle grotte attrezzate al turismo a cui cerchiamo di imporre, assai correttamente, studi di impatto, valutazioni di alternative, monitoraggi ante-operam, opere di mitigazione, monitoraggi in continuo in esercizio e presenza di Commissioni Scientifiche (possibilmente serie e indipendenti). Dunque dobbiamo porci esattamente allo stesso livello? In pratica, io credo di sì: dal momento che ci definiamo Speleologi vantiamo nei confronti dell’ambiente sotterraneo qualche diritto di conoscenza ma anche, conseguentemente molti doveri (anche solo di riconoscenza…) in più. Quindi dobbiamo essere in grado di conoscere il nostro personale impatto sulle grotte che esploriamo e di cui finiamo per innamorarci, trovare eventuali alternative e/o porre in essere azioni per mitigarlo. Da anni non scarburiamo, non gettiamo sigarette, riportiamo su ogni rifiuto: è talmente banale…oggi, venti anni fa era pressoché la norma. Ora stiamo raccogliendo esperienze (dati e immagini, non sensazioni) per comportamenti che non ci sembrano affatto banali, ma probabilmente lo saranno tra dieci, venti anni. Chissà, forse smetteremo di usare tute che si caricano di batteri diversi, ad ogni grotta diversa, e li distribuiscono come alieni (poveri loro) in territori nuovi. Quello che più conta è la diffusione delle conoscenze. SSI molto ha fatto, sta facendo e deve ancora fare (in aprile il corso nazionale sui monitoraggi in area carsica, primo ciclo). Nessuno, credo, è uscito dalla discussione di Imagna2005, con maggiori certezze e credo sia giustissimo così. La discussione deve continuare. Nel frattempo spero che valga per tutti, e… “sino a nuovo ordine”, il principio di precauzione per cui le disostruzioni in zone di avvertibile scambio energetico (tramite aria o acqua), non siano mai fini a se stesse ma consapevolmente finalizzate alla esplorazione di nuovi territori sotterranei e siano sempre seguite dal ripristino della sezione originaria. Ricordiamoci anche, sempre, che ci sono migliaia e migliaia di grotte inesplorate e migliaia di prosecuzioni in grotte già note che non necessitano altro che di nuovi viaggiatori, più consapevoli e rispettosi di noi. Un forte abbraccio ai miei compagni di viaggio, a tutti voi, e un grandissimo augurio al nuovo Presidente ed alla sua nuova squadra. Il Presidente (uscente) Mauro Chiesi A menti disostruite

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