Skan Magazine n.22

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Anno 2

N u me r o 2 2

S ka n

G iu g n o 2 0 1 4

La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea

Bright Side

AMAZING MAGAZINE

A bordo della Kipple Godzilla Spiderman 2

Fabio F. Centamore Ggist Wruter Morte di un venditore... Alama N ASF 足 L e T re L une 9

L a n u v o la

Macelleria n.6

Salto mortale

smg. 'Ram' 2000 Il prefetto Cosmopath Gli 80 anni di Harlan Ellison Le pietre magiche di Shannara Devil's Knot

Cattive Radici Illustrazione


N o n pe r d e t e i l n u m er o d i

L u g l i o足 A g os t o

2 01 4

Atta cco a l P ot er e


Sommario Hanno collaborato

Jackie de Ripper e

Max Gobbo Roberto Bommarito Andrea Viscusi Luigi Bonaro Polly Russell Chiara Masiero Leonardo Boselli Massimo Luciani Riccardo Sartori Dolby MOVIE 5.1 John J. Greenflowers

del

L'editoriale ............................. 5 di Jackie de Ripper OLTREMONDO Incontra A bordo della Kipple di Max Gobbo .............. 6 Kinetografo "Godzilla" "Spiderman 2" di Max Gobbo .............. 11 Il film in Dolby Surround "Devil's Knot" di Dolby MOVIE 5.1 .... 15 Novità Barbieri,"L'era della dissonanza" .................. 10 Giuliano, "Tradizione e modernità in LOTR" ... 16 Bacigalupi, "La ragazza meccanica" ..... 17 Pestriniero, "La fattoria globale" .......... 18 De Turris, "Il vecchio che camminava lungo..." ... 18 Una voce da Malta Intervista a Centamore ... 20 di Roberto Bommarito Being Piscu "Ggist Wruter" ................. 23 di Andrea Viscusi Poscritti di futuro ordinario "Morte di un venditore di aspirapolvere" ............... 30 di Luigi Bonaro ... e alla fine arriva Polly "Alama" ............................. 34 di Polly Russell

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Bright Side Oltre lo Skannatoio Le Tre Lune 9 "La nuvola" di Chiara Masiero ....... 42 Macelleria n.6 "Salto mortale" di Leonardo Boselli ..... 46 I libri da rileggere F.Herbert, "smg. 'Ram' 2000" ...... 52 A.Reynolds,"Il prefetto" .............. 54 di Massimo Luciani I libri da tradurre E.Brown, "Cosmopath" ............... 56 di Massimo Luciani Cento di questi giorni Gli 80 di Harlan Ellison .............. 58 di Massimo Luciani Il venditore di pensieri usati T.Brooks, "Le pietre magiche di Shannara" di Riccardo Sartori ...... 60 Vale più di mille parole "Bad Roots"illustrazioni..62 DARK SIDE ........................... 64


Sommario

del

Hanno collaborato Il Lato Oscuro

TETRACTYS

(Leonardo Boselli)

Polly Russell willow78 White Pretorian

"Cuore di mamma" di TETRACTYS ............. 64

Skannatoio edizione XXX Un respiro profondo rosso Le specifiche ...................... 65 "Il nettare migliore" di Polly Russell ............ 62 "La casa nel bosco" di willow78 ................... 70 "Tre metri su una picca" di White Pretorian ...... 76 Risultati e classifiche Skannatoio 5 e mezzo ...... 82

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Dark Side


S ka n AMAZING MAGAZINE

Un respiro profondo, però rosso. La fantasia del Master dello Skannatoio (alias Marco Lomonaco) non ha limiti e così, dopo gli incipit affrontati in varie salse, ecco che i partecipanti al concorso critico-letterario de "La Tela Nera", noto come lo Skannatoio, hanno dovuto cimentarsi con le contaminazioni. No, non si tratta di nulla di radioattivo, ma di contaminazione di generi: fantascienza che sfocia nell'horror, western che si tramuta in fantasy, giallo che diventa fantastico, e chi più ne immagina più ne scriva. Ma l'inventiva del Master non si è fermata a questa richiesta, quella di mescolare più generi, appunto, ma ha ideato anche quattro "coccarde" (richieste aggiuntive non obbligatorie che assegnano punti bonus) una più bella dell'altra. Chi ha voluto inserirle tutte nelle limitate battute a disposizione ha dovuto penare parecchio. Insomma, la XXX edizione dello Skannatoio era imegnativa, tuttavia ha riscosso un notevole successo, con ben 14 concorrenti giunti fino alla fine della gara. Grazie a questa partecipazione, è stato possibile suddividere gli autori in due gironi, alleggerendo il lavoro di commento e revisione, talvolta piuttosto gravoso. I due gironi, denominati Jimenez e Gutierrez, sono stati dominati da CMT e dall'invincibile Cattivotenente. Nel "Dark Side" della rivista, è possibile leggere i migliori racconti di uno dei due gironi. Il racconto vincitore, invece, entrerà in una raccolta edita da "La Tela Nera", anche questa da leggere tutta d'un fiato.

Il "bright side" si apre, come di consueto, con l'interessantissimo Oltremondo di Max Gobbo, sempre ricco di contenuti. Si prosegue poi con un'intervista di Roberto Bommarito, che continua ad alternare i suoi testi di narrativa con lavori più prettamente giornalistici. Seguono i racconti degli ospiti fissi: Andrea Viscusi, Luigi Bonaro e Polly Russell. Si continua con le recensioni di Massimo Luciani, Riccardo Sartori e Dolby MOVIE 5.1. Senza dimenticare che la narrativa di genere, oltre allo Skannatoio 5 e mezzo, offre altri interessanti concorsi letterari gratuiti. Anche questo mese, infatti, non manca una storia tratta da "Le Tre Lune 9" del forum di NASF, e torna un racconto tratto dalla "Macelleria n.6". Quest'ultimo si è trasformato in un concorso ancor più elitario di quanto già non fosse, infatti gli autori devono spendere "mannaie" per accedervi. Cosa sono le "mannaie"? Lame pesanti e affilate usate dai... ehm, no! Si tratta della moneta virtuale corrente del forum de "La Tela Nera", che è piuttosto difficile da guadagnare, ma con la quale è possibile acquistare vari servizi, tra i quali l'accesso alla "Macelleria n.6", appunto. Chi ne volesse sapere di più può visitare il sito http://latelanera.com. Tanti altri contenuti sono disponibili in questo numero. Non vi resta che consultare l'indice per puntare subito alle vostre rubriche preferite, senza dimenticare, in un secondo tempo, di dare un'occhiata anche al resto: vi potrebbe riservare delle gradite sorprese. Buona lettura! Jackie de Ripper

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UN Respiro Profondo Rosso


S ka n

Oltremondo

Incontra

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- Blade runner - Terminator - Odissea 2001

- Incontri ravvicinati del terzo tipo - ET - La Guerra dei Mondi

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L’era della dissonanza Matteo Barbieri

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S ka n

Oltremondo

Kinetografo

Godzilla

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S ka n

Oltremondo

Kinetografo

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S ka n IL Film in dolby surround Devil's knot Fino a prova contraria

voto : 6.5 / 10 West Menphis, 5 maggio 1993, tre bambini di soli 8 anni usciti , come ogni giorno , per giocare nelle tranquille vie della piccola cittadina dell'Arkansas, scompaiono senza lasciar traccia. Dopo numerose ore di ricerca , la polizia locale ritrova i tre esili corpi nudi, legati, seviziati ed abbandonati tra le torbide acque di un torrente , nel vicino bosco di Robin Wood. Non un qualunque omicidio, ogni dettaglio sembra rievocare qualcosa di oscuro, qualcosa di satanico. L'esasperata voglia di trovare un colpevole, guidata dalle strazianti testimonianze dei genitori delle vittime, spinge le indagini verso tre emarginati adolescenti del luogo. Damien Echols, 18 anni, Jason Baldwin, 16 anni e Jessi Misskelly, ragazzo di 17 anni con grave ritardo mentale, che dopo 12 ore di estenuante interrogatorio , confessa il crimine e la complicità degli altri due. A ben poco serviranno la ritrattazione del ragazzo avvenuta pochi giorni dopo e le dichiarazioni di innocenza di Damien e Jason, la comunità di West Menphis sembra già aver trovato un colpevole. Un giudice annoiato e negligente , una giuria facilmente influenzabile e una voce popolare fin troppo convincente generano un cocktail letale per i tre giovani imputati. Solo la voce fuori dal coro dell'investigatore privato Ron Lax, sembra non credere alla teatrale inquisizione e cerca in tutti i modi di far luce sul caso. Una storia che lascia con l'amaro in bocca, ma è

una storia che racconta la realtà . Il regista Atom Egoyan decide di raccontarci con questo film un capitolo incredibile ed esemplare della cronaca statunitense , che ha sconvolto per anni l'intera popolazione . Un caso mediatico, su cui vertono migliaia di filmati online, pagine giudiziarie, articoli, interrogatori e testimonianze ; una storia trattata su ben quattro documentari ed un libro ( Devil’s Knot: The True Story of the West Memphis Three" di Mara Leveritt). Un mistero su cui però non è stata ancora fatta chiarezza. Il film riesce a riordinare in maniera chiara e semplice le numerose prove raccolte in questi lunghi anni , dando un nuovo punto di vista alla vicenda , alla luce della recente scarcerazione dei tre accusati (2011) . Un thriller avvincente? Non proprio, niente ansia o tensione. Piuttosto una storia angosciante , che fa cresce rabbia e indignazione nello spettatore, il quale dopo aver assisto impotente al brutale omicidio dei tre bambini, si immedesima nel dramma dei tre ragazzi a cui viene strappata la propria dignità.

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S ka n

Oltremondo

NovitĂ

ne minano le certezze e le convinzioni. Un uomo, forse, inevitabilmente destinato alla sconfitta. Editore & Imprint: Bietti Pagine: 346 Genere : letteratura, storia e critica: letteratura dal 1900; Letteratura, storia e critica: narrativa, romanzieri e scrittori di prosa.

Nell'attuale società occidentale, "liquida" e disincantata, hanno ancora senso i miti e le storie di eroi? Il grande successo di Tolkien sembra dimostrarlo. Le avventure di Elfi e Hobbit richiamano antichi modelli di comportamento, ripensati però per il presente, come risposte ai problemi dell'età contemporanea. I rapporti fra individuo e potere, i limiti del sapere scientifico e tecnologico, gli effetti dell'industrializzazione sulla natura: questi alcuni degli argomenti dello studio di Stefano Giuliano. Il percorso di Frodo, fragile Hobbit, diventa metafora della condizione dell'uomo di oggi, preda di spinte contrastanti che - 16 -


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Bangkok: Anno Zero del crack energetico. Cosa succede quando le calorie diventano la valuta corrente? Quando le bio-tecnologie si trasformano in uno strumento utilizzato dalle aziende per incrementare i profitti, e quando la deriva genetica del bio-terrorismo spinge l’umanità sull’orlo di un’evoluzione post-umana? Paolo Bacigalupi, vincitore dei premi letterari Hugo e Nebula, risponde a queste domande con uno dei romanzi di fantascienza più acclamati del ventunesimo secolo.

Oltremondo

Novità

Trama Anderson Lake è l’uomo di punta della compagnia AgriGen Calorie in Thailandia. In incognito come amministratore di un impianto, Anderson setaccia i mercati di Bangkok alla ricerca di cibi considerati estinti, con la speranza di razziare il bottino delle calorie perdute della storia. Ed è qui che si imbatte in Emiko… Emiko è la Ragazza Meccanica, una creatura strana e meravigliosa. È una Neo Persona, non è umana: è un essere costruito in laboratorio e programmato per servire e appagare gli appetiti di un uomo d’affari di Kyoto, ora abbandonata nelle strade di Bangkok. Per alcuni creature senz’anima, per altri addirittura demoni, le Neo Persone sono schiavi, soldati e giocattoli per i ricchi, in un agghiacciante futuro prossimo in cui le aziende caloriche dominano un pianeta minacciato dagli oceani, l’età del petrolio è finita e gli effetti collaterali delle malattie portate dall’ingegneria genetica si diffondono ormai in tutto il mondo.

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Paolo Bacigalupi ha pubblicato su WIRED Magazine, High

Country News, Salon. com, OnEarth Magazine, The Magazine ofFantasy and Science Fiction e Asimov’s Science Fiction Magazine. I suoi racconti

sono stati inseriti in diverse antologie di “migliori titoli dell’anno” del genere fantasy e fantascientifico. Ha ottenuto tre candidature al premio Nebula, quattro al premio Hugo e ha vinto il Theodore Sturgeon Memorial Award per il miglior racconto di fantascienza dell’anno.


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Oltremondo

NovitĂ

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S ka n

Oltremondo

Novità EL PROSSIMO NUMERO

OLTREMONDO

Romanzo vincitore del premio Locus

TORNERA’ CON UN'INTERVISTA ESCLUSIVA A

KIPPLE Edizioni INCONTRIAMO

MARCO SOLFANELLI EDITORE

TABUL A FATI SENSAZIONALE! DIRETTAMENTE DA

STAR TREK ENTERPRISE L'ATTORE

Dominic Keating OSPITE DI

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S ka n

Territori d'oltremare

Una voce da Malta

Ro b e r t o Bo mma r i t o

Ciao Fabio. È un piacere averti ospite all'interno della rubrica Una Voce da Malta. Prima di tutto, per chi non ti conoscesse ancora, ti andrebbe di presentarti, raccontandoci un po' chi sei e qual è stato il tuo percorso artistico?

Essenzialmente sono un fan della fantascienza. Ho sempre letto di tutto, amo leggere, ma con la fantascienza ho un rapporto tutto particolare. Ho iniziato dai fumetti, i supereroi, gli eroi di Bonelli; poi sono passato ai libri, Manly Wade Wellman, Edmond Hamilton, Clifford Simak... Ho fatto fuori in poco tempo tutti gli Urania dello zio, ne ero affascinato da quell'inattesa scoperta di nuove dimensioni del fantastico. Era una esigenza così pressante che iniziai a

scrivere. Avevo quattordici anni e scrivevo solo per me stesso, per dare sfogo alle mie fantasie. La cosa andò avanti fino all'Università, quando molti anni dopo conobbi Armando

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Corridore. Proprio lui, l'attuale direttore di Elara. Negli anni novanta aveva già una lunga militanza nel mondo della fantascienza italiana ed era anche un grandissimo appassionato di fu-


metti e letteratura fantasy. Passavano ore, pomeriggi, anche serate e nottate intere a parlare delle nostre rispettive passioni nel campo del fantastico e della Filosofia (all'epoca studiavano entrambi Filosofia). Fu lui a incrementare la mia conoscenza della FS, a darle una dimensione storica e a farmi conoscere i premi "Urania" e "Courmaieur". Qui inizia la mia ambizione di pubblicare. Partecipai a varie edizioni dei premi suddetti. Era il '95-'96, dovevo misurarmi con scrittori del calibro di Evangelisti, Mongai e Sosio. Non si accorsero molto di me all'epoca e poi fui distratto dalla Filosofia, dalle mie collaborazioni con il CNR di Roma e dalle ricerche su Giordano Bruno (ho pubblicato un saggio nel '97 e tradotto un testo latino di matematica dello stesso Bruno nel '98-'99). Il tempo passò fra vicissitudini varie, Armando si era trasferito a Bologna, il lavoro, gli spostamenti. Insomma ho ricominciato nel 2009 pubblicando la mia prima raccolta di racconti Alle sett'albe, poi è arrivato il mio primo romanzo L'origine nel 2010, vari al tri racconti pubblicati qui e là. Infine

ho avuto la fortuna di conoscere Sandro Pergameno e il suo blog Cronache di un sole lontano , con cui collaboro insieme ad altri simpatici nuovi amici. L'editore Lettere Animate pubblicherà presto il tuo racconto Lotto 117. Qual è il tema principale del racconto? Si tratta di un racconto "marziano". Un Marte colonizzato ma non domo, sempre pericoloso e scomodo per i suoi abitanti dalla Terra. Di più, un Marte che sa riservare sempre delle sorprese ai limiti del razionale. Marte e le sue stranezze, ecco il tema principale. Una delle ambientazioni predominanti di Lotto 117 è il sottosuolo di Marte. A parte l'ambientazione, quali credi che siano gli elementi fondamentali che non devono mancare in un racconto o anche in un romanzo di fantascienza per essere definito tale? Sarò poco originale. Il mio paradigma di storia fantascientifica è Frankenstein , lì è la fantascienza perfetta. Perché? Provate a togliere dal ro-

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manzo ogni riferimento alla scienza e alla tecnologia, cosa rimane? Nulla che abbia ancora senso leggere. Una storia di fantascienza non solo ha a che fare con il possibile e il razionale ma, soprattutto, se gli togli l'elemento scientifico perde di senso e non si regge più. Hai scritto anche dei romanzi. Ti andrebbe di parlarcene? Uno solo in realtà. Si intitola L'origine (Zona Editrice, Arezzo - 2010), una classica space opera avventurosa e piena di azione. L'ho scritto di getto, inanellando le avventure occorse ai protagonisti come palline colorate a una collana. Il mio scopo era di tenere il lettore incollato alla pagina, trasportarlo nel mio universo fantastico e portarlo ad affezionarsi ai miei personaggi. È ancora disponibile ma, per chi volesse leggerlo, vi consiglio di sbrigarvi sta per esaurire la tiratura. Le tue attività nella sfera della letteratura fantascientifica non si limitano esclusivamente a quella di autore. Hai infatti intervistato anche parecchi


autori importanti di fantascienza di calibro internazionale. Quali sono state le interviste più interessanti e perché? Non solo. Scrivo anche recensioni. Leggere e divorare libri è ancora la mia passione, quindi produco recensioni a getto continuo su almeno quattro blog diversi: Mangialibri, Cronache di un sole lontano, True Science Fantasy e il mio personalissimo blog Fabio Writer Blog. Le interviste sono iniziate per caso l'anno scorso, il mio primo intervistato è stato Giuseppe Lippi mitico curatore di Urania. Ho intervistato quasi tutti i grossi calibri, da Resnick a Di Filippo e Swanwick, dal nostro Tonani a Walter Jon Williams e devo dire che sono stati tutti interessanti. Tutti sì, ognuno a suo modo. Anche i più frettolosi, anche i meno loquaci. Da ognuno di loro ho imparato qualcosa e, ad ogni nuova intervista, continuo a imparare. Spero che lo stesso succeda anche a chi legge le mie interviste. A tal proposito, tenete d'occhio Cronache di un sole lontano. Stanno per arrivare molti altri pezzi grossi.

Come vedi la situazione della fantascienza in Italia e il suo futuro? Dal mio punto di vista la questione è semplice: manca la domanda e, di conseguenza, si fa molta fatica a proporre un'offerta. Non è una questione di qualità, Tonani, Verso, Chillemi e molti altri autori testimoniano di una qualità molto buona del prodotto letterario. Lo stesso dicasi degli editori che pubblicano fantascienza, Zona 42, Multiplayer, Delos, piccole realtà che si propongono di tenere alta la qualità. Il problema sono i lettori che si sono allontanati dal genere e, purtroppo, anche dalla lettura in generale. Per riconquistarli non basta la qualità, bisogna andarli a cercare uno per uno laddove possono esserci potenziali bacini d'utenza. Le scuole, ad esempio. Per me il futuro della FS in Italia si gioca nelle scuole: conquistiamo i ragazzi e avremo il pubblico dei lettori di domani. A parte Lotto 117, ti andrebbe di parlarci dei tuoi progetti presenti e futuri? Ho molta carne al fuoco.

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Anzitutto il numero quattro di Cronache di un sole lontano in versione magazine. Ci troverete un mio racconto gratuito, I nomi del caos. Uscirà nel mese di giugno, Tiziano Cremonini mi ha fatto vedere l'illustrazione che aprirà il racconto: è fantastica, non perdetevela. Sempre a giugno Delos Digital pubblicherà il numero tre della collana "Biblioteca di un sole lontano", un bel racconto di Robert Reed da me tradotto. Potrete leggere un'altra mia traduzione anche a luglio, sempre per Delos Digital e BDSL. Stavolta sarà un romanzo breve del grande Silverberg a cui sto già lavorando con notevole piacere, devo dire. Sto anche scrivendo il seguito di Lotto 117 e, inoltre, lavoro anche a una nuova storia steampunk ambientata nella mia Sicilia. Seguitemi, non ve ne pentirete affatto. Roberto Bommarito


S ka n Ggist Wruter

L'ispettore Del Carlo arrivò sul luogo del delitto quando i colleghi, che si trovavano sul posto da più di mezz'ora, avevano già eseguito tutti i rilievi. L'appartamento si trovava al quarto piano di una palazzina piuttosto fatiscente, uno dei tanti esemplari di edilizia popolare degli anni '70 che imbruttivano la periferia. La voce che si era compiuto un omicidio in quell'edificio doveva ormai essersi diffusa nel vicinato, e una ventina di persone sostavano o passeggiavano intorno all'ingresso, vociando, alzando lo sguardo verso la finestra dell'appartamento e indicando. Del Carlo riuscì a entrare senza intralci, e salutò gli agenti presenti sul posto. Individuò l'assistente Rizzo e andò verso di lui, sicuro che avrebbe saputo fornirgli un quadro rapido ed esauriente della situazione. Non ebbe nemmeno bisogno di chiedere. – Tiziano Erba, quarantuno anni, nato e cresciuto qui – lo informò Rizzo, controllando solo qualche dettaglio anagrafico sulla cartella che teneva in mano.

Being Piscu

An d r e a Vi s c u s i

– Sposato con Gabriella Mistretta, anni trentasei. Lo ha trovato lei, rientrando da lavoro. È morto soffocato, e sono abbastanza chiari i segni di strangolamento, ma non ci sono altri indizi di aggressione, quindi non c'è stata una vera e propria lotta. – Nemmeno segni di effrazione? – No, nulla. L'assassino si trovava in casa con lui. – Uhm – borbottò Del Carlo, e si portò un dito sulla guancia destra, massaggiandosi la pelle dal mento fino all'occhio, e poi ripetendo il gesto mentre rifletteva. – Se lo ha fatto entrare lui, qualcuno lo avrà visto entrare o uscire. Avete già chiesto agli inquilini? – Stiamo raccogliendo le testimonianze proprio adesso – confermò Rizzo. – Uhm – ripeté ancora l'ispettore. – Va bene, vediamolo. L'agente lo condusse attraverso lo stretto corridoio che faceva da ingresso, ornato con un paio di quadri astratti di dubbio gusto, fino a una piccola stanza mal illuminata, che nel progetto dell'appartamento era probabilmente intesa come riposti-

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glio, ma era stata riadattata a studio. Tiziano Erba era alla scrivania, davanti a un laptop aperto. La testa era reclinata all'indietro, le braccia penzolanti dai braccioli in una posa scomposta. – Era in questa posizione? – volle sapere Del Carlo. – No, la testa era in avanti, appoggiata sulla tastiera. L'ispettore si avvicinò per osservare meglio la vittima. Era un uomo dall'apparenza mite, con una calvizie estesa sul retro della testa e, pur nella morte, una pelle pallida e secca. Dava l'impressione di passare buona parte del suo tempo in quello sgabuzzino. Questo fece venire in mente a Del Carlo un'altra domanda: – Che lavoro faceva? – Scriveva – lo informò Rizzo stringendosi nelle spalle, come se lui stesso non considerasse esauriente quella risposta. – Non come giornalista, non era iscritto all'albo. Ma scriveva come freelance per alcune riviste, a quanto abbiamo capito. L'ispettore guardò il collega incuriosito: – Non ne siete sicuri?


– Sua moglie non ha saputo dirci di più. Scriveva tutto il giorno e veniva pagato per quello... non molto, a quanto pare. Ma non sapeva nemmeno lei di preciso che cosa facesse. – Uhm – borbottò di nuovo Del Carlo, poi riprese a esaminare il cadavere. Controllò i segni di strangolatura sul collo, e constatò che erano piuttosto evidenti. Si avvicinò per osservare meglio un particolare. – Niente impronte – gli comunicò Rizzo prima che potesse chiedere. – Non stavo cercando quello... – ribatté lui, assorto. – Ma sembra che... ve n'eravate accorti? – Di cosa? – Guarda i segni delle dita dell'aggressore – lo invitò, indicando le striature rosse sul collo e la nuca di Erba. – Oh – commentò l'assistente. – È stato strangolato da dietro. – Già – confermò Del Carlo, e prese a osservare intorno la vittima, in cerca di altri dettagli rivelatori. Dopo alcuni secondi la sua attenzione si focalizzò sul monitor del pc portatile. – Era acceso, hai detto? – Sì. – Cosa stava facendo? – Non lo sappiamo. Era in standby, la moglie non conosce la password per accedere. – Prendetelo e portatelo in laboratorio – ordinò Del

Carlo. – Dobbiamo riuscire ad entrare. Forse quello che stava facendo può esserci utile. – Va bene – assentì l'assistente, e andò a cercare un agente libero per delegare le disposizioni. L'ispettore rimase a osservare la vittima per qualche minuto, ma non trovò altro degno di nota. Si avviò verso l'ingresso, fermandosi ancora una volta da Rizzo prima di uscire. – Vado ad ascoltare i testimoni. Qui non c'è altro, digli di portare via il corpo. Il palazzo in cui viveva Erba non aveva portiere, per cui non c'erano informazioni precise sui visitatori. Tuttavia, un paio di inquilini affermava di aver notato uno sconosciuto entrare intorno alle 17, anche se non lo avevano poi visto uscire. Nessuno di loro era però in grado di fornire una descrizione, per cui le testimonianze si rivelarono essenzialmente inutili. Da parte sua la moglie della vittima, sconvolta e disperata, non aveva niente di utile da apportare. Era escluso che potesse essere coinvolta nell'omicidio, e anzi si rifiutava di credere che qualcuno avesse intenzionalmente ucciso suo marito. Disse di non conoscere nessun “nemico”, e che al contrario Tiziano era una persona schiva e introversa, che perlopiù

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evitava i contatti e i contrasti. Il suo lavoro, isolato e sottopagato, era la conferma di quella attitudine. Tuttavia lei stessa non sapeva dire di preciso per chi e in che modo lavorasse, e si limitò a riferire che “scriveva sempre”. Senza altri appigli per identificare l'assassino, a Del Carlo non rimaneva che aspettare lo sblocco del computer di Erba da parte del reparto tecnico, sperando che contenesse davvero qualcosa di utile. In attesa del responso, l'ispettore impiegò il tempo iniziando a scrivere il suo rapporto che, sospettava, sarebbe risultato inconcludente. Ma anche la parte burocratica non bastò a tenerlo occupato a sufficienza: quel compito per cui mediamente gli agenti impiegavano mezza giornata, lui era in grado di svolgerlo in un'ora scarsa, per la semplice ragione che era in grado di dattilografare, scrivendo velocemente con tutte e dieci le dita, capacità che appariva incredibile per tutti i suoi colleghi della caserma. Era anzi questa abilità per lui del tutto banale, appresa durante il biennio di ragioneria, che aveva accelerato il suo passaggio di grado nei primi anni di carriera nella Polizia. Circondato da agenti quasi del tutto digiuni di informatica, quando ticchettava alla tastiera della


sua postazione passava ai loro occhi come un hacker dei più temibili. Il pc di Erba gli fu consegnato due giorni dopo. I tecnici erano riusciti ad aggirare la password del sistema operativo e accedere all'ultima sessione di lavoro così com'era stata chiusa. Del Carlo non si stupì di trovarsi di fronte un desktop pulito, senza programmi aperti. Tuttavia, andò subito a indagare tra i file recenti, convinto che qualche traccia dei suoi ultimi lavori potesse tornargli utile nel ricostruire gli ultimi momenti di vita della vittima. L'ultimo file aperto da Erba era un documento di testo, ibdp_bozza04. rtf. Del Carlo richiamò il file, e sull'apertura il software recuperò l'ultimo salvataggio automatico, che risaliva alle 17:44 del giorno dell'omicidio. Si trattava di un testo di oltre quaranta pagine che, a una prima scorsa, pareva essere un racconto giallo ambientato nella provincia di Trapani. L'ultima pagina si concludeva così: A turno, i due sospettati vennero portati alle volanti, che li avrebbero accompagnati in questura. Lì, XXX li avrebbe interrogati, anche se sapeva checguerigguvyikecgescruvasikioerkyutry65hi8

L'ultima incomprensibile

parola, era chiaro, era stata digitata per caso durante lo strangolamento, oppure quando la testa di Erba, ormai privo di vita, era cascata sulla tastiera, come era poi stato trovato dalla moglie. Del Carlo concentrò invece l'attenzione su quelle XXX, che non erano certo casuali. Tornando all'inizio del documento, si accorse che sigle del genere erano usate ovunque al posto dei nomi dei personaggi. Forse Erba non aveva ancora deciso che nomi assegnare, e scriveva la storia senza di essi, per poi aggiungerli in seguito. Anche il nome del file non gli diceva molto. Probabilmente un nome che rispettava una sua logica organizzativa, ma che non gli era utile in nessun modo. Non trovò altri file contrassegnati con la stessa sigla, e dovette così abbandonare la ricerca. Come aveva temuto, anche quella pista si era rivelata infruttuosa. Il giorno successivo, Del Carlo dovette rassegnarsi a considerare il caso irrisolvibile e passare la cartella ai suoi superiori. Niente di nuovo era emerso da testimoni e alcuni sparuti interrogatori di persone potenzialmente informate, e adesso non poteva temporeggiare oltre. Solo nel suo ufficio, riaprì il file che aveva compilato

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qualche giorno prima, rilesse e completò la parte finale. Poi, tornato all'inizio del documento, appose luogo e data nell'intestazione. Scriveva sovrappensiero, e si accorse solo qualche minuto dopo di aver scritto in alto: Oakernim 17 kygkui 2012

Cancellò quella riga di testo incomprensibile e la corresse con quanto aveva inteso: Palermo, 17 luglio 2012. Salvò il rapporto, e stava per chiudere i file, che avrebbe consegnato la mattina seguente, quando gli venne in mente di controllare meglio l'errore che aveva fatto. Inavvertitamente, aveva scritto qualcosa di insensato, pur pensando di scrivere correttamente: com'era successo? Rimase a osservare l'intestazione per quasi mezz'ora, poi riprese il file che Tiziano Erba stava componendo quando era stato ucciso. Dopo pochi minuti, un nuovo sospetto lo aveva colto. Aveva solo bisogno di un'ulteriore conferma. Sollevò la cornetta del telefono interno e compose il numero di un collega. Al terzo squillo, questi rispose, in tono annoiato: – Capone. – Ciao Capone, sono Del Carlo. La voce dall'altra parte parve esitare, incerta sulla natura di quella chiamata. –


Dimmi. – Volevo solo sapere, sei tu quello che legge sempre i libri di quel giallista siciliano, vero? Quello di cui hanno fatto anche la fiction... – Chi, Chieroggi? – Bravo, lui. – Sì, e allora? – Sai anche quale quando uscirà il suo prossimo libro? Capone rispose dopo una breve pausa di riflessione. – Eh, doveva uscire a fine estate... ma la settimana scorsa hanno detto che per problemi editoriali slitta di qualche mese. – E come si intitola? – “Il barbiere” qualcosa? Mi pare... forse... “il barbiere di paese”, può darsi? – Capone, non è un quiz, te lo sto chiedendo! – ridacchiò Del Carlo. – Sì, dai, credo sia quello. O almeno era il titolo previsto, ma ho letto che cambierà pure quello. – Il... barbiere... di... paese... – mormorò tra sé Del Carlo, misurando le singole parole. – Sì – confermò infine il collega. – Ma a che ti serve? Devi fare un regalo? L'ispettore rimase interdetto per un attimo. – Un regalo? Uhm, no, non proprio. Ma una sorpresa, quella sì. Forse non del tutto piacevole. – Va bene, allora buona... – Aspetta, Capone, un'ultima cosa! – si affrettò a trattenerlo. – Che c'è? – quasi esasperato.

– Sai come posso contattarlo? – Chi? – Chieroggi. – Ma scherzi? – No, davvero. – Mah, prova a cercare una sua email sul sito... – suggerì Capone in tono evasivo. – Ma dubito che ti risponderà. – Io invece dico di sì – ribatté Del Carlo, ma non spiegò altro. – Grazie di tutto, buona serata. Antonio Chieroggi viveva in una villa fuori città, sul lungomare che portava da Palermo a Bagheria. Del Carlo aveva qualche dubbio sulla liceità della licenza edilizia concessa in quella zona, ma d'altra parte non era difficile immaginare che lo scrittore avesse ottenuto dei permessi speciali. Autore di spicco dell'ultimo decennio, era uno dei pochi personaggi ad essere associati alla città con accezione positiva. Pur non essendo un suo fan (odiava i gialli per principio, perché conosceva la realtà delle procedure investigative), l'ispettore conosceva pressappoco la sua carriera, e si era documentato sui suoi lavori più recenti. Dopo il successo con il primo romanzo del 1998, aveva in seguito riproposto gli stessi personaggi nel 2001, e a partire da allora aveva scritto un romanzo l'anno fino al 2006, quando aveva vertiginosamente incrementato la

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sua attività, producendo praticamente un romanzo per stagione, e seguendo allo stesso tempo la sceneggiatura della fiction tratta dalle sue storie. Il fatto che lo scrittore gli avesse concesso l'appuntamento era per Del Carlo quasi una conferma implicita. Ma avrebbe dovuto confrontarsi con lui se voleva ottenere qualcosa di più concreto. Una donna di servizio lo fece accomodare in un'ampia sala dal soffitto a travi, e gli servì subito dopo un caffè con pasticcini. Del Carlo accettò di buon grado, e stava mangiando il secondo bignè quando Chieroggi apparve sulla soglia della stanza. Era un uomo sulla sessantina, corpulento e colorito, dai capelli di un nero che pareva naturale appena diradati soltanto sulle tempie. Nonostante il caldo, portava camicia e maglioncino, entrambi bianchi. – Buongiorno ispettore – lo salutò. Questi si pulì rapidamente la mano sui calzoni dell'uniforme, poi strinse quella pelosa del suo ospite. – Buongiorno a lei, signor Chieroggi. Grazie per avermi ricevuto. – Era il minimo che potessi fare. Dovrei essere sempre il primo a mostrare il massimo rispetto per le forze dell'ordine, no? – rise da solo, un suono pieno e gorgo-


gliante. – Allora, mi dica, come posso aiutarla? – Ha letto il messaggio che le ho inviato? – si sincerò Del Carlo. – Certo, ma era piuttosto vago. Solamente due parole. – Eppure sono bastate ad attirare la sua attenzione – lo stuzzicò, ma si pentì subito. Lo scrittore non era uno sprovveduto. Non avrebbe ceduto a questi giochetti. – Se non ho fatto male i conti – riprese quindi – lei ha scritto diciotto libri negli ultimi sei anni. È corretto? – Non tengo il conto – minimizzò Chieroggi – ma potrebbe essere un numero del genere. – Dove trova il tempo per scrivere? L'uomo allargo le braccia e produsse un sorriso bonario. – È il mio lavoro, ispettore! Che altro devo fare? – Ma sono davvero tanti... – Sì, lo riconosco. – Quindi lei... non si è mai servito di un ghost writer? – chiese infine Del Carlo, usando le stesse due parole che aveva mandato via email all'autore, e al quale quest'ultimo aveva risposto prontamente. Chieroggi si era scurito in viso, e ora mostrava un'espressione apertamente ostile. – Non sono tenuto a discutere con lei i miei metodi di lavoro. – No, no, assolutamente... – lo assecondò. – Chiedevo soltanto per assicurarmi che

lei si trovi in una posizione inattaccabile. – In che senso? – Voglio dire, uno scrittore famoso e acclamato come lei deve mantenere una certa reputazione. Se si venisse a scoprire che dietro il suo nome in copertina c'è il lavoro di un autore sconosciuto... sarebbe un bel danno di immagine. – Sicuramente. – E mi chiedo cosa sarebbe disposto a fare per evitare uno scandalo del genere. Chieroggi inspirò, mantenendo la smorfia da mastino. – Ispettore Del Carlo, comincio a trovare fastidiose le sue insinuazioni. – Mi scusi, non voglio mancarle di rispetto – si giustificò lui. – Cerco di spiegarmi meglio: sto seguendo un caso, l'omicidio di un tale Tiziano Erba. Lo conosce? – Mai sentito. – È uno scrittore freelance, a cui la sua stessa casa editrice ha versato diversi compensi negli ultimi anni, a scadenze regolari. – Questo coincide con la professione dello scrittore freelance. – Uhm, vero – concesse. – Ho avuto modo di dare un'occhiata a quello che stava scrivendo quando è stato assassinato. Era un giallo ambientato nei dintorni di Trapani, con protagonista un investigatore di Palermo che... – Non sono l'unico a scrivere

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gialli ambientati nel mio paese – lo interruppe l'uomo. – Ecco, a proposito – colse l'occasione Del Carlo. – Che fine ha fatto il suo prossimo libro, Il barbiere di paese? Ho letto che non uscirà come previsto a settembre. Anzi, non uscirà proprio, sarà un altro titolo a essere pubblicato entro Natale, giusto? – Ho già detto che non devo discutere con lei il mio metodo di lavoro. – No, mi scusi ancora. – L'ispettore si rese conto che stava girando in tondo. Doveva affondare se voleva ottenere qualcosa di più da quell'individuo stoico. – Il file su cui stava lavorando la vittima si chiamava ibdpbozza. Sono le stesse iniziali del suo titolo. O ex titolo. – Coincidenza – liquidò lui. – Si, può essere. Ma c'è un'altra cosa... – Estrasse dalla sua cartella un foglio: la stampa dell'ultima pagina del documento di Erba, con l'incomprensibile riga finale. La passò a Chieroggi, che lesse i pochi paragrafi e poi lo guardò con aria interrogativa. – E allora? – chiese irritato, rendendogli la stampa. – Lei batte a macchina, signor Chieroggi? – Al computer. Sono vecchio, ma non luddista. – Sì, intendevo: sa dattilografare? Scrive usando tutte le dita? – Naturalmente. Ma non ve-


do come questo... – Anch'io lo faccio – si affrettò a proseguire Del Carlo. – E suppongo che anche il povero Erba, da scrittore freelance, facesse lo stesso. – È ragionevole pensarlo. – Ecco, allora, lei sa bene cosa sono quei segni in rilievo sulle lettere F e J di una tastiera? – Ovvio. Servono a indicare la posizione su cui devono stare i due indici, in modo che chi scrive non sia costretto a guardare la tastiera ma possa affidarsi solo al tatto per sapere di aver appoggiato le dita in modo giusto. – Anch'io la sapevo così – confermò l'ispettore esibendo un sorriso sottile. – E le sarà mai capitato di appoggiare inavvertitamente una mano nella posizione sbagliata? – In che senso? – Ad esempio, invece di poggiare l'indice sinistro sulla F, lo mette sulla G, e di conseguenza, muovendo a memoria le dita, scrive cose incomprensibili. – Può darsi mi sia capitato, ma di certo non ne prendo nota. Cancello e ricomincio da capo. – A me è capitato un paio di giorni fa. Stavo scrivendo proprio il rapporto del caso Erba. Ero frustrato e stanco, e probabilmente per questo non mi sono accorto di aver messo male le dita sulla ta-

stiera. Solo rileggendo ho notato l'errore. Quando si è di fretta, o distratti, può capitare. Chieroggi aveva smesso di commentare, si limitava a fissarlo arcigno. – E così ho pensato che anche Tiziano Erba, che è stato strangolato da dietro mentre scriveva al pc, possa aver commesso lo stesso errore. Mentre si viene strozzati non si fa troppo caso alla posizione delle dita. Ho fatto un paio di tentativi, e ho scoperto che Tiziano aveva fatto il mio stesso errore: aveva poggiato l'indice destro sulla H, un tasto più a sinistra. È stato abbastanza facile decrittare quel codice involontario. Vuole provare lei a tradurre l'ultima parola? – lo invitò, indicando sul foglio la scritta checguerigguvyikecgescruvasikioerkyutry65hi8. – Non ho tempo da perdere

con gli indovinelli. – Me lo aspettavo. L'ho già fatto io per lei. Sostituendo a tutte le lettere che stanno nella parte destra della tastiera la lettera sul tasto immediatamente a destra, si ottiene – lesse sillabando lettera per lettera: -- “chechieroggivuolechescrivasoloperluiitru75jo9”. Le prime lettere sono la parola precedente, e le ultime probabilmente sono state scritte per caso o quando è caduto con la testa sulla tastiera. Ma nel mezzo si legge bene:

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“Chieroggi vuole che scriva solo per lui”. Si tratta di un'altra coincidenza? Seguirono alcuni secondi si silenzio, che si protrassero fino a oltre un minuto. Poi, lo scrittore si ricompose sulla poltrona, accomodandosi sui cuscini imbottiti: – Vada avanti – invitò l'ispettore. – Mi dica cosa è successo. Del Carlo sapeva di dover essere cauto con le accuse, prima di poterle dimostrare. Scelse di usare il condizionale: – Quello che potrebbe essere successo, è che Tiziano Erba si fosse stancato di fare il ghost writer. Da troppo tempo, forse addirittura sei anni, scriveva continuamente perché un autore più famoso e rispettato di lui potesse mantenere alto il suo profilo. Veniva pagato poco e non riceveva nessuno degli onori che gli spettavano. E così Erba ha deciso di smettere di scrivere in segreto, e venire allo scoperto. Dichiararsi come vero autore dei successi dello scrittore acclamato. Ma quest'ultimo naturalmente non poteva permetterlo. Lo ha incontrato in casa sua, e dopo aver constatato che non era possibile trovare un accordo, lo ha ucciso, per proteggere la sua reputazione. Erba ha fatto in tempo a scrivere la sua ultima testimonianza, ma per un banale errore la sua accusa è ri-


sultata incomprensibile. Fino ad ora. Chieroggi lo osservava assorto. – Molto interessante – commentò. – Lei legge i miei libri, ispettore? Del Carlo scosse la testa, per nulla imbarazzato della confessione. – Sa, quello che ho imparato, scrivendo di gialli qui nella nostra isola, è che la giustizia assume strane forme. Spesso sono solo ombre. Dichiarazioni, direttive, timbri su documenti. Nient'altro. Al di fuori dei miei romanzi, i criminali rimangono per lo più impuniti. Le forze dell'ordine non hanno né i mezzi né le capacità per condurre le indagini. E questo è tanto più vero per le persone di un certo rilievo, figure pubbliche al di sopra di ogni sospetto, che risultano virtualmente inattaccabili. – Mi sta minacciando, signor Chieroggi? – Oh no, me ne guardo bene. Anzi, la sto esortando: proceda pure, ispettore. Formuli la sua accusa nei miei confronti. Dica ai suo superiori che Antonio Chieroggi, il grande scrittore di gialli siciliani, quello le cui storie vengono portate in tv dalla RAI, si è infilato in casa di un disgraziato e lo ha strozzato. Gli riferisca che la prova di questo crimine sta in una parola senza senso, che manipolata a dovere si trasforma in un appello della vittima morente. Gli racconti

che è venuto qui, oggi, a parlare con me, perché si aspettava che avrei ceduto e confessato in lacrime di essere un assassino. Io non la fermerò, ispettore. Lo faccia. Del Carlo aveva la bocca asciutta. Le parole dell'uomo, per quanto non contenessero una minaccia verso di lui, lo stavano facendo tremare. – La cosa assurda – continuò lo scrittore – è che se anche io le confessassi adesso di aver ucciso Tiziano Erba, questo non cambierebbe nulla. Nessuno formalizzerà mai l'accusa contro di me, con quello che ha in mano. E nessuno lo farebbe nemmeno se mi fosse cascata la carta d'identità in casa di quel pezzente. Per cui le dico: ci provi. Io non la fermerò. Anzi, le prometto solennemente, che se farà una cosa del genere, diventerà il personaggio del mio prossimo romanzo. Quello che scriverò dal carcere, magari? Detto questo, Chieroggi attaccò a ridere, ma adesso il suono catarroso era del tutto sgradevole. Poi si alzò dalla poltrona, e Del Carlo d'istinto ripeté la sua mossa. – La accompagno fuori, ispettore – suggerì il padrone di casa. – Abbiamo parlato abbastanza. Il poliziotto non poté fare altro che assecondare lo scrittore, che lo sospingeva dolcemente verso l'uscita. L'uomo lo salutò con un'ulti-

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ma pacca sulla spalla, poi tornò in casa. Quella notte, a casa sua, l'ispettore del Carlo ricompilò il rapporto che aveva scritto sull'omicidio di Tiziano Erba. Partendo dalla prima versione, scritta due giorni prima, adesso ne aveva creata un'altra, che comprendeva tutte le ultime scoperte. Rilesse con attenzione tutti i passaggi, sincerandosi che fossero chiari per chiunque. Salvò il nuovo rapporto con un nome diverso, mantenendo entrambe le versioni. Alcune ore dopo, nel corso della lunga notte insonne, stampò il rapporto che avrebbe consegnato ai superiori. La mattina seguente, si recò in ufficio, e lasciò sulla scrivania del vice commissario due fogli, sul primo dei quali l'intestazione riportava la data del 17 luglio 2012.


S ka n Morte di un venditore di aspirapolvere

Poscritti di futuro ordinario

Lu i g i Bo n a r o

cron di diametro. I comuni aspirapolvere necessitano di almeno 2 filtri per le stesse prestazioni ma al Falletto FK1 basta solo l’innovativo Filtrino «Poi, a fatica, si è piegato in avanti e Media Premium. Che ne ha sciolto le cinghie che chiudevano pensa?» esclamò il nuovo la valigia, che si è spalancata di Agente di Vendita Diretta ad colpo, rivelando tanti scompartimenti Alina Maruska, conosciuta copieni di una serie di flessibili di me Hot Pussy in riferimento gomma, spazzole, tubi di metallo luci- alle sue attività notturne. do, e un aggeggio azzurro dall'aria Era la nuova fiamma di Silvio pesante montato su rotelle. Si è mes- Faticoni, politico sulla so a fissare quelle cose come se fos- cinquantina, trafficante di lause sorpreso di trovarle lì. Poi, a bassa ree triennali, impiegato voce, come se si trovasse in chiesa, sull'asse industriale centromi ha chiesto: est-settentrionale che collegaSa che cos'è questo? va le periferie di Roma-PontiMi sono avvicinato. da-Tirana. Direi che è un aspirapolvere». Alina, seduta sul divano, Collettori, Raymond Carver, indossava solo una sorta di in “Da dove sto chiamando” bizzarra lingerie tigrata e degli 2010 Einaudi zatteroni di plexiglas di dubbio gusto: «E quando la giornata è conclusa, « Puenso che nuon mi fruega-

desca della famiglia Miracle Workers. Omelia funebre del cappellano della multinazionale degli aspirapolvere trasmessa in diretta TV nazionale su reti unificate:

«Tutto comincia sempre con una stretta di mano. Così la Forza Vendita Falletto solidarizza con milioni di persone. La filosofia della nostra meravigliosa azienda, la Miracle Workers, è da sempre quella di predicare attraverso il porta a porta, servendosi del supporto qualificato di consulenti in possesso di capacità spirituali e del tesserino di riconoscimento emesso ai sensi della vigente norma n. 1 73 del 1 7 agosto 2005 in merito alle vendite dirette a una casa confortevole dove ritrovare re un cuazzo né de casa, né domicilio e tutela del consul'energia». de touo fuottuto Fualletto» matore dalle forme di vendita Ikea - Catalogo 2011-12 proruppe Hot Pussy Maruska piramidali. in una nuvola grigia mentre, a Diamo ora l’ultimo saluto al colpi di plateau dorato, spenostro caro fratello, eroe Casa Faticoni Giugno 201 2 gneva la sua Morley rossa sul dell’amatissima Miracle pavimento lustro: « Ma se tu Workers, vittima della barba«Ecco, vede? Questo è il nuo- piacere; Continuare pure rie femminista, caduto vo sistema di filtraggio. Nono- pulire». nell’esercizio della sua misstante il volume contenuto, sione, il dottor Polveroni Alesso contiene la funzione fredo». anti-odore, le innovative fiale Roma, 5 Aprile 2012, Cimitero Così esclamò commosso il anti-allergia e il filtro Iena che monumentale del Verano. cappellano scatenando la folla può separare il 99% delle Funerale multimediale di che gremiva il sacrario tra polveri sottili, fino a 0,09 miStato presso la Cappella tevolti di casalinghe addomesti-

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cate, solcati da lacrime nere

di ombretto economico e scrosci di applausi dalle mani dei vari politici foraggiati e autorità prezzolate. Roma, Carcere di Regina Coeli Reparto femminile, Cella 450, Giugno 2012.

Insomma, è così che è andata. Un bel giorno, suona il campanello e sulla porta ti vedo un fighetto impomatato che fa il simpatico: «Non compro nulla». Sono lapidaria. Dopo vari discorsi questo mi strizza l’occhio: «Tranquilla pupa. Ti puliamo la casa gratis e senza impegno di acquisto». Che dovevo fare secondo voi? Ho accettato. Qualche tempo dopo, si presenta uno strano tizio, il tesserino verde sul bavero della giacca mostra una scritta bianca, Falletto, Miracle Workers. «Posso?» Mi dice e stende la mano affettato attraverso l’uscio con fare volitivo e voce impostata: «Piacere, ehm, PolveroniG Polveroni Alfredo. Lei èG» Mi guarda con la mano sospesa. Sembra uscito dalla macchina del tempo, gessato anni cinquanta, mocassini lucidi spuntano dal risvolto perfetto del pantalone, cravatta bianca, candido fazzoletto da taschino, baffo alla Red

Buttler; di lato, un valigione

verde con le ruote. «Amanda Cavoli in Faticoni» gli restituisco la stretta di mano mentre lo guardo interdetta. «Ho già parlato con il suo collega e ribadisco, non compro nuG» «Sisisisì» replica il tale con destrezza mentre trascina in casa il pesante borsone color dinosauro. «So già tutto. Te lo faccio solo vedereG Ah! Possiamo darci del tu?» Domanda garbato. «Ma certo Alfredo». «PerfettoG Allora AmandaG» e tira fuori l’aspiratore, un grosso ramarro di plastica dal grande valigione, inizia a montarvi su degli orpelli cromati e verdastri, strani oggetti irregolari che lui chiama accessori. Poi, si ferma all’improvviso, si guarda intorno e commenta: «Bene, la casa è grande. La pulisci da sola?» «Olio di gomito, mio caro» rispondo con orgoglio mentre lui si sfrega le mani. «Iniziamo» proferisce risoluto prendendo un fogliettino da una tasca dell’enorme borsone e lo passa sopra stipite dell’ingresso. «Come immaginavo. La polvere ha sporcato il foglietto» sorride tronfio. Chiarisce che il mio aspirapolvere funziona male: «Vieni qui ti spiego». Guardo il foglio sporco mentre parla. Insomma, ci rimango male. Come vi sareste sentiti? Mi

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spacco la schiena tutti i giorni appresso alla casaG Poi, arriva Mr Falletto eG Insomma, quel gesto mi è sembrato davvero una scortesia. A un certo punto, questo qui, Polveroni intendo, mi fa: «Bello il tappeto!» «Lo abbiamo preso a Djerba quattro anni fa» rispondo soddisfatta. «Lo devi lavare e aspirare insieme a tutta casa come accordiG» aggiungo. «Senti Amanda, io non lavo i tappeti a nessuno» replica stizzito. «Beh, scusami Alfredo ma non sei qui per questo?» Mi guarda e sgrana gli occhi: «Non sono venuto per pulire ma per mostrare la VeritàG Aspiralo prima tu con la tua scopa elettrica». «Ma ho appena finito di fare le pulizie. Dunque, ne consegue che è già tutto pulito» replico seria. «Dai, così lo aspiro di nuovo con il FallettoG Il Miracolo sarà sotto i tuoi occhi» insiste deciso. Insomma, che avreste fatto? Prendo scocciata la scopa elettrica e aspiro di nuovo il tappeto. «Va bene così?» gli dico quasi sbuffando. «Può bastare» replica con un sorriso beffardo mentre sfodera il suo attrezzo. E che fa? Inizia a volteggiare intorno al perimetro del tappeto. Vi giuro, Fred Astaire Polveroni


svolazza con quell’arnese sul mio prezioso persiano. Siparietto divertente, direteG Poi, però, mi mostra il filtro pieno di polvere. Fottiti, bastardo. Come hai fatto mi dico con rabbia. Lui, ringalluzzito esclama

raggiante: «Passiamo al materasso! Certo, però che siete un po’ sporchini in questa casa». Insomma, mi sento umiliata. Lui sempre più sorridente, io sempre più imbarazzata. Mi costringe a mostrargli le macchie: «Non possiamo lavarlo ne con il 1 00 gradi, fa la muffa all’interno, né aspirarlo... Posso immaginare che cosa troveràG» mi sorprendo a dargli del Lei. Il Polveroni, maledetto, tronfio d’orgoglio, brandendo quell’arnese verdastro a mo’ di vessillo di potere fallico-casalingo, aspira quel letto senza guardare. È rivolto verso di me, il dannato, ha uno sguardo divertito. Si sì ridi, ridi schifoso penso infastidita. «Ecco Amanda, guarda il filtro. Lo vedi che siete maialini. Qui dormite nell’immondizia».

Polveroni, figlio di mille accessori, stronzo verde, re dei Falletti, tu e i tuoi diminutivi, ti odio.

Vi garantisco che senza la sua verde presenza invadente la mia casa brilla. Ma in quel momento, mi sento sciatta e sporca con una casa lurida. Mr Green Falletto è impietoso,

attacca con una filippica sulle malattie derivanti dalla presenza degli acari e sulle modalità di una corretta profilassi degli ambienti domestici: «Hai figli?» «Sì» rispondo in modo telegrafico. «Saranno allergici di certo» mi risponde secco il coglione. «Mia figlia sta bene» replico guardando per terra. Non ci crederete, ma questa risposta è stata l’incipit del delirio: «Casalinghe! Ah! Vi conoscoG Siete tutte uguali. Stai mentendo. Confessa!» prorompe alterato intimandomi imperativo con un cenno di spostarmi in soggiorno. Non replico e obbedisco. Non so perché, sono in forte imbarazzo, soggiogata dalle sue accuse infondate, inizio ad avere paura di lui. «La sala da pranzoG» dice stupito come se l’avesse vista per la prima volta, osserva il pavimento di marmo e rotea lo sguardo verso di me. «Eccolo, ci risiamoG» Mi dico. Mi sorride e fa per sfilarsi la cravatta. «È accaldato» considero. E invece no. Che fa Mr Pulito? La prende e la strofina sul pavimento fissandomi come una Iena Ridens che inveisce sui resti di una carcassa di animale morto. Replico al suo sguardo con un timido sorriso da vittima dall’angolo del soggiorno mentre penso: ecco, sono fottuta. «Lo vedi che ho ragione? Sei sporca! Guarda quanto è ne-

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ro» inveisce il Polveroni. Mi voglio sotterrare. Quelle parole mi sembrano una coltellata, decido: lo caccio a calci nel sedere. Ma che ci crediate o no in quel momento sono in soggezione e non ho la forza di reagire. Mi sento come in ostaggio. Polveroni, crudele, continua a ravanare nel valigione e tira fuori un altro accessorio: «Lo sai che cosa è questo Amanda?» ghigna verso di me con uno sguardo folle. Sembra il tizio di Shining. «No cos’è?» replico seria. «Questa è la Miracle Premium Brush, un apparecchio specifico per la cura e la manutenzione delle pavimentazioni dure. É corredata da due moduli di spazzole di metallo che consentono di incerare i pavimenti, lucidarli e brillantarli. È un estensione del Falletto» spiega compiaciuto. Insomma, passa sto coso verde sul pavimento. Ripassa la cravatta bianca sul pavimento eG Tutto pulito. Mi sento mortificata, la casalinga più sciatta che si possa trovare sulla faccia della terra. Il senso di colpa mi induce a domandargli il costo del Falletto. «Solo quattromila euro escluso il Miracle Premium Brush, ovvio». «Ma siete impazziti?» replico. «Non mi dire che con una casa così non hai da spendere cento euro al mese per il Falletto, per la salute e la della tua famiglia. Non ti


vergogni?» «EhmG Ecco, Alfredo. Ti prego, abbi un poco di comprensione. Abbiamo altre spese, ne abbiamo sostenute molte e poi devo parlare prima con Silvio, mio mariG» lo supplico, cerco di giustificarmi arrabattando qualche spiegazione con la voce tremante quando mi interrompe: «Sei volgare e attaccata ai soldi. Ma ho capito chi comanda qui dentro. Non conti niente! Non poteva essere altrimenti» risponde altezzoso. Prendo coraggio: «Senti, brutta testa di cazzo, vattene via subito, tu e il tuoG» ma lui mi interrompe di nuovo. «Ecco. Brava. Mi insulti invece di addomesticarti alla Verità. Lo sapevo. La riconoscenza non è di questo mondo. Starò qui, con il Falletto, in questa splendida casa, fino a quando non torna tuo marito. Intanto pulisco i divani, lo faccio per la salute di tua figlia e non certo per teG Hai capito puttanella insignificante? E poiG Sono sicuro che troverò escrementi di acaro». Vi giuro, mi sento in ostaggio. Sono furiosa e allo stesso tempo umiliata. Ho paura e mi sento in trappola. Stronzo maschilista, lo voglio buttare fuori a calci in culo. Però, non riesco a fare nulla. Lo osservo impotente. Polveroni, infaticabile, stacca e attacca accessori, si gira, mi insulta e continua così per ore. Io

nell’angolo subisco in silenzio: «Casalinghe, razza inferiore, miserabili dilettanti impreparate. puttanelle dilettantiG Ma sì, me ne vado, sì». A queste parole tiro un sospiro di sollievo. Bene il bastardo se ne va, mi dico. Ma poi aggiunge: «Me ne vado ma, non prima di aver pulito lo stipite della porta. Intanto, dammi il numero di tuo marito. Hai capito puttana? Voglio dirgli chi sei, una casalinga malvagia che non ha cura di lui e della sua famiglia. La tua coscienza è sporca, il Falletto era la tua unica salvezza... Voglio che tuo marito sappia la Verità sul tuo conto». Mi guarda con disprezzo e mi vibra un ceffone, poi mi dà le spalle rivolgendo il Falletto verso lo stipite. A quel punto, mi ricordo solo una rabbia incontrollabile, una furia cieca che si impossessa di me e un dolore fortissimo alla testa mentre mi sta dicendo: «Vedi come si pulisce puttG» Mi sveglio con il frastuono delle sirene, ho le mie mani insanguinate. Polveroni è prono sul persiano con la testa fracassata in una pozza di sangue. Facce di poliziotti osservano il cadavere, mani prendono appunti sui taccuini. Tra le bande gialle che ne misurano il perimetro e numeri scritti col gesso, è presente il Miracle Premium Brush, ha delle parti di materia cerebrale e sangue sulle spazzole di metallo. Non so cosa sia successo. Ho capito solo che

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quel bastardo, Polveroni, è morto. Sono contenta ma dicono che sono stata io. Gli dico che non c’entro nulla, che sarei in grado di fare una cosa simile anche volendo. Ma loro vogliono incriminarmi. Insomma, adesso sono qui, in attesa del processo. La chiamano carcerazione preventiva. Per fortuna che c’è Silvio. Mio marito è venuto a trovarmi qui il prigione solo una volta, più di un mese fa. Poverino, lavora molto spesso all’estero. Ma ha detto che gli manco e di non preoccuparmi. Manca anche a me. Ha preso per me il miglior penalista del foro di Roma. Sarà cosìG Sono passati due mesi e ancora non ho visto nessun avvocato. Mi ha lasciato il suo bigliettoG Ma dove l’ho messo? Dunque, non è italiano ma secondo Silvio è il migliore. È una donna, sapete? Meglio! Preferisco sapete? Credo che siano più brave a capire le donne e le loro esigenze. Insomma, al di là delle professioni, noi tutte abbiamo sempre una casa e un uomo di cui occuparci. AhG Eccolo il biglietto! Dunque, l’avvocato si chiama Alina Maruska.


S ka n

... e alla fine arriva Polly

Alama

Il sole impietoso del mezzodì calava come una falce sulle schiene dei contadini e degli schiavi. Cain aveva lavorato tutta la mattina nel campo a ovest, quello più lontano dalle montagne. Aveva raccolto e impilato troppi covoni per poterne ricordare il numero e, al momento della pausa, era sfinito. Si trascinò all'ombra di un albero e crollò sotto le sue fronde, tra gli sguardi impietosi degli altri lavoratori. Due contadini si scambiarono uno sguardo d'intesa. «Se non si toglie dal sole, il "pelle di luna" arrostirà.» «Meglio lui che noi.» Alcune donne avevano portato acqua e cibo. Due di loro, tra le più giovani, si affrettarono per raggiungere Cain. Si fermarono a pochi passi da lui, ridacchiando. La più sfrontata gli porse l’otre, e indicò i capelli color argento. «Posso toccarli?» Lui non rispose ma si sporse verso di lei. La ragazza prese tra le dita una ciocca. «Come brillano.» Abbassò il tono di voce, subito dopo. «È vero che puoi evocare i draghi?» Lo schiavo sollevò l’angolo

Po l l y R u s s e l l

della bocca in quello che sembrava un sorriso, poi bevve. «Credi che non lo avrei già fatto se avessi potuto?» Solo allora la fanciulla notò i segni della frusta sulla pelle diafana. Riprese l’otre in silenzio, lasciò il fagotto con il cibo a terra e corse via, seguita dalla sua amica. «Avanti, muoversi! Bisogna separare le mandrie.» La voce di Iria, il figlio maggiore del capo villaggio si abbatté sugli schiavi come una condanna. La giornata di lavoro che credevano conclusa, era appena iniziata. Cain finì di mangiare mentre si dirigeva verso il carro coperto. Le quattro bestie che lo trainavano erano irrequiete. La seconda tentò di incornare la prima, che scalciò. Una guardia l’afferrò per i finimenti cercando di calmarla, con risultati poco apprezzabili. Cain sfiorò la più nervosa. Appoggiò la destra tra le corna e sussurrò qualcosa che parve calmarla. L’animale spinse col capo contro la sua mano allora, avido di carezze. Un colpo alle gambe piegò

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le ginocchia del ragazzo che si aggrappò al cuoio che legava la bestia,, per non cadere, alle sue spalle Iria batteva una verga sul palmo aperto. «Ti avevo detto di salire, pelle di luna, non di accarezzare i bisonti.» Si sedette su un sacco e appoggiò la testa alla struttura che reggeva il telo di copertura, mentre il carro iniziava a muoversi. «Tieni ragazzo, bevi ora. Sarà un lungo pomeriggio.» Uno degli schiavi più anziani gli passò una borraccia. «Dalla tua? Io sono un impuro.» L’uomo rise, tossì e rise di nuovo. «Queste stupidaggini lasciale al figlio di Uma. Hai la pelle più chiara e i capelli d’argento. Ma sei nato dal ventre di una donna di Qualampa, come tutti noi.» La sera, Iria accompagnò Cain in una delle stalle della propria casa. Con un gesto veloce gli slacciò il collare e gli incatenò la caviglia alla staccionata. Dieci passi, sufficienti ad arrivare al fontanile e al cumulo di paglia dove di


solito si addormentava. Il suo carceriere gli diede un colpo sul petto, senza motivo, né preavviso. «Il cielo è pieno di draghi stanotte. Non provare a mettere il naso fuori dalla stalla nemmeno per pisciare, se vedo un solo baluginio vengo qui e te la strappo la pelle.» Quando il carceriere fu uscito, il ragazzo si avvicinò al fontanile e con i palmi ben poggiati sul bordo di pietra vi immerse la testa e il torso. Una sola scrollata energica e nuovo vigore sembrò rifiorire dalle sue membra. Una lama di luce si riflesse nelle increspature dell’acqua, poi un’altra, poi tutto il fontanile sembrò risplendere. Cain allora ritrasse le mani. Non aveva bisogno di guardare fuori per capire quanto la luna fosse alta nel cielo. La sua pelle, come ogni sera da che aveva memoria, aveva iniziato a risplendere. Un tenue baluginio azzurro, amplificato dal riflesso nella fontana. Si spostò verso l’uscita e appoggiò le braccia conserte alla mezza porta. Dalla grande casa di mattoni di fronte non giungevano rumori. La finestra di Mala era la terza, nel lato lungo della costruzione. Dopo qualche istante di attesa, la tenda colorata venne discosta e lei si affacciò.

Si sporse appena dal davanzale in marmo verde, appoggiandosi con i gomiti, furtiva e attenta. Si guardò intorno un paio di volte e quando fu finalmente sicura di essere sola, lo salutò con un gesto della mano. Negli anni, avevano elaborato un codice fatto di piccoli gesti per potersi parlare anche senza usare le parole. Lei strinse le mani al petto, poi con la destra disegnò un cerchio in aria. “Mi sei mancato oggi”. Si sporse ancora, sorreggendosi su un gomito, un cenno di dissenso con la testa poi si girò di scatto facendo ondeggiare i morbidi capelli neri; qualcuno stava entrando. In pochi istanti sparì dietro la tenda colorata. Cain rimase a osservare, dietro i tendaggi vide giungere una figura maschile alta e grossa almeno due volte la ragazza. Uma, senza dubbio. Lo vide afferrarla senza alcuna grazia e spingerla verso il letto. Lei si dibatté solo qualche istante e al primo ceffone abbassò il capo. Le luci si spensero lasciando soltanto il buio e una tenda mossa dal vento. Sopraffatto dalla rabbia diede un pugno contro la porta, fracassandone una tavola. Gli animali sopiti sobbalzarono in un fruscio di paglia e sbuffi. Quando

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si acquietarono di nuovo, Cain osservò due grosse schegge uscire dalle sue nocche in un trionfo scarlatto. Un cavallo nitrì nel bel mezzo della notte. «Sono venuta a portarti questo.» Amina, la moglie del distillatore di erbe, era scivolata in silenzio nella stalla. Aveva un piccolo vaso di terracotta rossa, tra le lunghe dita dipinte con i colori della terra, come si addice a una donna sposata. «È un unguento cicatrizzante, lo ha preparato mio marito proprio oggi.» Sorrise maliziosa. «Ne ho rubato un po’. Ho visto Iria usare la frusta ai campi ad ovest. Devi avergli fatto un grave torto in un'altra vita, credo. Voltati, ti lenirà il dolore.» Cain non rispose, si limitò a sorridere, poi sedette su un mucchio di paglia dando le spalle alla donna bruna. Le dita sapienti accarezzarono la schiena muscolosa del ragazzo, indugiando con malizia sul collo. «Guarda qui, cosa hai combinato per farlo arrabbiare così?» La voce di Cain era calda e profonda, leggermente roca quando, come in questo caso, sussurrava. «Non è difficile far arrabbiare Iria.» «Che bella pelle hai, è un


sacrilegio segnarla in questo modo.» Le labbra calde della donna si poggiarono sulla spalla di lui, poi più all’interno, vicino al collo. «E invece guardati! Sole, sabbia e frusta.» La sua lingua morbida si insinuò dietro l’orecchio ma lui si voltò concedendo il più bello tra i sorrisi. I denti bianchi e perfetti, tra labbra morbide e carnose. «Non stanotte mia signora, perdonami.» Lei si ritrasse seccata, ma solo per un momento. «Perdonami tu, devi essere stanco.» Continuò a massaggiargli la schiena lasciandolo addormentare. L’alba arrivava sempre troppo presto e quel giorno non fece eccezione. Il pesante cavallo da tiro sbuffò un paio di volte e Cain lo considerò il suo modo di dargli il buongiorno. Prese una manciata di biada dalla sacca di iuta appesa alla staccionata alla sua destra e gliela porse. Gli regalò una profonda carezza sul collo e gli compose due ciuffi della criniera dietro l’orecchio destro, togliendoglieli dagli occhi. Il rumore metallico del lucchetto echeggiò nella quiete del mattino. «Muoviti, il grano non si mieterà da solo. E quei bastardi della tua razza vogliono il tributo entro stanotte.»

Lasciatosi il cavallo alle spalle, il giovane sfilò la catena, ormai libera, dalla cavigliera e come ogni mattina si inginocchiò davanti a Iria per farsi mettere il collare. «Mala ha chiesto a mio padre di risparmiartelo, pensa che tu sia un bravo cagnolino ammaestrato, io invece penso che ci sia un altro motivo, vuoi dirmelo?» Lo schiavo non sollevò lo sguardo dal terreno e rimase in silenzio. «Allora, sangue misto, come mai Mala ha tante attenzioni per te?» Il padrone sorrise, con due dita obbligò Cain a guardarlo. «Posso chiederlo a lei, magari stanotte...» «Cercare di screditare ognuna delle mogli di Uma non riporterà indietro nostra madre.» Un sibilo, il collare ripiegato tagliò l’aria, uno schiocco e un rivolo di sangue denso scivolò dal labbro inferiore di Cain. «Mia madre! Grandissimo bastardo!» Il secondo colpo lo costrinse ad appoggiare la destra a terra. «L’unico legame che hai con lei è averla uccisa nascendo!» Con la coda dell’occhio vide la ferita sulla mano, si mosse in fretta e gliela pestò, strappandogli un grido. La voce autoritaria di Uma, sorprese suo figlio. «Che sta succedendo qui dentro Iria?»

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«Niente padre, lo schiavo mi ha mancato di rispetto.» Uma, come il suo primogenito, era un uomo di grossa statura, i lunghi capelli scuri, si erano da tempo arricchiti di bianco vivo e si erano diradati. La folta barba grigia, acconciata in una lunga treccia, era fermata da un gioiello in oro e ossidiana. «Cain non è il tuo giocattolo. Vai ai campi a sud, porta lì tutti gli altri, c’è molto da fare abbiamo bisogno di tutta la forza lavoro possibile. Lui lascialo qui, mi aiuterà a preparare per l’arrivo dei Signori del cielo.» Il banchetto, come di consueto, sarebbe stato consumato all’aperto per permettere ai conquistatori di controllare i draghi. Le serve della casa avevano esposto gli stendardi dei dominatori e innalzato, a malincuore, le loro bandiere. Nella grande aia della casa di Uma, Cain e alcuni garzoni stavano allestendo un’ampia tavolata e preparando i bracieri. Uno stridio acuto squarciò il silenzio, due colpi d’ala tagliarono l’aria alzando piccoli vortici di foglie secche. Un drago sentinella sorvolava il villaggio, oscurando il sole a ogni passaggio. Cain poggiò a terra le tavole che stava trasportando e


si fermò a guardarlo. Il volo della creatura era maestoso ed elegante, quasi danzasse con le nuvole bianche che si formavano dal suo respiro. Il ragazzo ne era estasiato, rimase in piedi, immobile, ammirando i volteggi della bestia verde chiaro. Una svolta a mezzo cerchio, appena dietro la grande quercia e la creatura ancestrale tornò indietro. «Stai giù!» Uma gli lanciò una pelle di pecora addosso intimandogli il silenzio. Il ragazzo rimase sotto il manto, non sentiva più lo sbattere d’ali, ma sapeva che l’animale era ancora lì. Sapeva che stava planando, silenzioso e letale, non poteva vederlo ma sentiva il suo respiro gelido. Non gli era mai stato tanto vicino, chiuse gli occhi e sentì il suo cuore incandescente pulsare, poi più niente. Il drago se ne era andato. «Così non va bene, ci sono troppe sentinelle. I Signori del Cielo stanno controllando l’area e tu non puoi essere visto.» Uma urlò il nome di una serva che arrivò trafelata, seguita dalla bella Mala, cui un velo scuro copriva il capo e le spalle. Mani e braccia erano dipinte di azzurro, a indicare sottomissione ai conquistatori. Superarono Cain in silenzio ma lei riuscì a regalargli un sorriso appena celato dal

velo. «La stalla non è sicura, Mania. Prendi lo schiavo, rasagli la testa e assicurati che sia ben coperto. Allestisci la cantina, stanotte la passerà lì. Non oso immaginare cosa accadrebbe se lo vedessero.» Mala sollevò il velo per baciare la mano di suo marito. «La accompagno, ci sono cose in cantina che devo preparare prima che la trasformiate in una cella.» Scesero le scale in silenzio, la serva appoggiò uno scialle sulle spalle di Mala quando la temperatura si abbassò. Si fermarono sulla porta e lo fecero entrare, poi la ragazza congedò con un cenno Mania. «Aspettami qui fuori e avvisami se qualcuno dovesse scendere.» Chiuse la porta e si lanciò al collo del ragazzo, passione e bramosia, intrecciate insieme alle loro lingue calde, mani che si stringevano mentre le lacrime di Mala inumidivano le guance entrambi. «Mi dispiace…» Le accarezzò il viso con tenerezza e con il pollice le pulì le gote. «Per cosa?» Gli sfiorò il gonfiore sul labbro. «Per questo.» Lo abbracciò e sprofondò il viso sul suo petto, «Iria ti ucciderà.» Con le dita della destra percorse la linea dura della schiena, si fermò sul primo segno lasciato

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dalla frusta. Era gonfio, e umido per via dell’unguento. «Lo sta già facendo.» Un colpo leggero alla porta fece ricomporre la giovane donna. Si calò il velo sul viso mentre Mania apriva la porta. In tempo per vedere i calzari di Iria per le scale. «Mala, mio padre si chiede come mai ci stiate mettendo tanto.» Il sorriso sarcastico dell’uomo si spense quando vide lo schiavo con una cesta piena di formaggi tra le braccia. «La signora ha dovuto scegliere cosa servire per la cena dei conquistatori.» Si voltò verso di lui, lo sguardo gonfio d’odio. «Tu non devi parlarmi. Non devi nemmeno respirare se non te lo comando.» Con stizza si rivolse alla serva, «non devi rasargli i capelli? Fallo allora e dopo rimandalo a lavorare, c’è molto da fare, grazie alla sua gente.» Porse il braccio a Mala e gettò dei ceppi a terra. «Incatenagli le caviglie prima di farlo uscire, oggi è un giorno particolare, non vorrei gli venissero strane idee.» «Ora non fare storie ragazzino.» Cain era seduto per terra, un catino ricolmo tra le gambe incrociate e il capo riverso in avanti. Lo sguardo fisso nei cerchi concentrici che le ciocche argentee creavano


nell’acqua. «Che senso ha rischiare per tenermi in vita, perché non mi hanno ucciso appena nato, Mania?» «Perché tua madre, prima di morire, fece giurare a Uma che non lo avrebbe fatto.» Un sonoro colpo sulla nuca dato col dorso della mano, più rumoroso che doloroso, dato come lo avrebbe fatto una vecchia zia. «Ma il reggente potrebbe dimenticare quel giuramento se non stai più attento. Tua madre è stata presa con la forza, vedersi portar via la quarta moglie dall'ultimo dei suoi schiavi, non lo farebbe felice.» Sciacquò il rasoio e prese il catino. «Ecco qua, ho finito, lavati la testa. Pare che sarà Iria ad occuparsi di te, quindi per le corna di Mira, non farlo infuriare.» I tavoli erano stati sistemati accanto a una grossa pietra bianca. Commemorava i morti nella guerra contro i Signori del Cielo. Una statua più grande, che raffigurava un drago, la sovrastava dimostrando la loro sottomissione. Molti uomini e donne si affaccendavano su e giù per il piazzale, portando sedie, scranni e abbellimenti di ogni tipo. Due bisonti erano stati macellati il giorno prima e la loro carne, su un lungo tavolo, aspettava di essere

arrostita. Vennero portati su dalla cantina diversi otri di vino e solo poco prima di sera Iria accompagnò Cain nella sua sistemazione provvisoria. «Va bene, sangue misto, renditi utile. Fai passare questa catena in quel gancio lassù.» Il ragazzo si arrampicò su un tino vuoto e riuscì a eseguire l’ordine in un paio di gesti, nonostante le poca mobilità concessa delle catene alle caviglie. Iria gli fece un gesto eloquente e lui si inginocchiò. Gli legò i polsi dietro alla schiena e fissò la catena al collare di cuoio, poi la tirò, obbligandolo ad alzarsi in fretta per non venire strattonato. Mise un fermo tra due anelli che, di fatto, concedeva al ragazzo solo di sedersi a terra ma non di sdraiarsi. «A cosa serve tutto questo, Iria?» Sapeva che l’avrebbe colpito, quindi chiuse gli occhi, ma il colpo non arrivò. «Tra poco arriveranno una decina di draghi e altrettanti cavalieri, voglio essere sicuro che tu non faccia niente di pericoloso.» Il ragazzo abbassò lo sguardo, ma non c’era sottomissione nel suo gesto, solo consapevolezza. «Ne basterebbero due per radere al suolo il villaggio e portarmi via, non mi hanno

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mai cercato, non lo faranno certo stanotte.» L’altro non rispose, ma quell’ammissione gli valse un sorriso divertito. Si fermò davanti alla porta prima di andarsene e appoggiò a terra ad almeno dieci passi da lui, una brocca d’acqua e del pane. «Mala mi ha pregato di portarti la cena, ma quanto si preoccupa la moglie di mio padre. La metto qui.» Quando chiuse la porta stava ancora ridendo. Buona parte della serata, Cain la passò tra la veglia e il sonno, aveva vagliato mille modi per scappare e raggiungerla, aveva fantasticato: immaginandosi in una casa semplice, vicino a un campo arato, si era visto tornare stanco dal lavoro nei campi e Mala vestita solo della sua bellissima pelle scura aprirgli la porta. I draghi, di sopra, erano irrequieti. Lo erano stati tutta la sera, non sapeva per quale motivo ne fosse tanto sicuro, giacché non un solo rumore filtrava fin dentro la cantina. Eppure ne era certo. Uno in particolare era il più teso e innervosiva gli altri. Il suo cuore pulsava in fretta e tutti i suoi sensi erano allertati. I cavalieri erano scesi da poco dalle loro maestose cavalcature. Il più piccolo dei draghi era privo di finimenti e si muoveva nervoso nell'aia. Le altre bestie ave-


vano incurvato i lunghi colli, quasi in sincronia, per permetterei ai cavalieri di smontare e si erano accovacciati subito dopo, avvolti dalle proprie ali. Uma, seguito dalle sue mogli e dai figli si era fatto loro incontro, senza manifestare alcun timore per le bestie che ventuno anni prima avevano messo a ferro e fuoco il suo villaggio. Si prodigò in un inchino che risultò comunque forzato e li invitò alla tavola. I messi dei Signori del Cielo si inchinarono a loro volta, il bagliore azzurro della loro pelle attraversava la trama delle vesti, rendendoli eterei. Il più alto in grado offrì la mano al capo villaggio e baciò quella delle tre mogli, soffermandosi sulla più giovane. La osservò con occhi algidi, la annusò anche, finché un'occhiata malevola di Uma lo fece trasalire, ricordandogli l’etichetta. «Non è solo per il tributo che siamo venuti, potente Uma.» Una decina di musici aveva intonato un canto tipico dei picchi a nord, terra dei Signori del Cielo, mentre i messi e la corte prendevano posto al centro della tavolata. «Come avrai visto siamo in cinque, ma i draghi sono sei.» Il vecchio reggente strinse il calice tanto forte che la punte delle dita divenne bianca. «Quindi?» sussurrò.

Due donne servirono la prima portata e il messo addentò la carne con grazia e sguardo austero. «Quindi un cavaliere del drago ha compiuto vent’anni. Ma a noi non ne risultano di vivi , fuori dalle nostre terre.» Allungò una mano e la pose sul braccio di Uma, lo strinse con tale forza da sembrare stonata. «Durante le guerre accadono cose impreviste e terribili, e non sempre la diplomazia riesce a tenere a bada i soldati.» «Dove volete arrivare?» «Quando nasce un cavaliere nasce anche un drago, e quando questo compie vent’anni il drago va a cercarlo. Nulla di strano quindi, che in quegli anni bui siano nati molti più draghi di quanti ne avessimo previsti. Lo strano è che uno di loro,» l’uomo dalla pelle diafana indicò con un movimento leggiadro la bestia più giovane. Più piccolo degli altri e di un verde più intenso. Le protuberanze ossee sul capo, appena accennate, «lui, per l’esattezza, stia cercando il suo padrone.» Uma sfilò il braccio dalla presa con altrettanta forza e bevve il vino d’un fiato. «Il bastardo partorito dalla mia prima moglie è morto con lei.» «Lo so, potente Uma, è quello che ci avete detto già ventuno anni fa. Ma il giovane drago non può sbagliare. Né io posso mettere

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in discussione la parola di un suddito tanto devoto. Forse non era morto e la levatrice lo ha nascosto. Forse ne è nato un altro nel vostro villaggio, o in quelli che vi abbiamo permesso di controllare. Non pensiate che solo la vostra defunta moglie sia stata una vittima di guerrieri troppo focosi. Dunque vi chiedo di cercarlo e di consegnarlo.» Il reggente colpì il tavolo talmente forte da farlo tremare e far bloccare i musici, incerti su un re diesis. «E se non lo facessi? Non ho già fatto abbastanza per voi?» L’altro si alzò, poggiò la carne appena piluccata nel piatto e fece cenno ai suoi sottoposti. «Se non lo farete voi, lo farà il suo drago e sarebbe... poco piacevole.» I cinque uomini si spostarono verso le bestie, il drago più piccolo aveva girato in tondo diverse volte, privo di giuda e incerto sul da farsi. Fissarono i sacchi e le casse con i tributi alle zampe dei loro animali e li montarono. I draghi si levarono in volo con grazia e potenza, i primi colpi d’ala sollevarono grandi nubi di polvere e sabbia, il più giovane gridò anche, prima di sparire tra le nubi. La porta della cantina si spalancò, sbattendo con violenza contro il muro di tufo. Iria caracollò


all'interno brandendo un pugnale. Corse verso il ragazzo legato, che non poté fare altro che alzarsi in piedi. Gli mise una mano sulla fronte schiacciandola contro la parete, ma prima che la lama gli lacerasse la gola la voce di suo padre lo bloccò. «Non possiamo ucciderlo. Se è collegato a quel drago e in qualche modo lo venissero a sapere per noi sarebbe la fine.» Mala li raggiunse un istante dopo e cacciò un urlo quando vide il pugnale sotto al mento di Cain. «Tu non dovresti essere qui, donna. Tornate al tuo ricamo, non è cosa per i tuoi occhi. Iria parti ora, subito. Raggiungi i villaggi vicini e scopri se ad altri è stata fatta la stessa richiesta che hanno fatto a noi. E prega Mira di portarmi buone notizie.» Quando anche il primogenito fu uscito, Uma liberò il ragazzo dalle catene. «Non ti muoverai da qui dentro, finché non sarò io a ordinartelo.» Si richiuse la porta alle spalle lasciandolo con l’unica luce della propria pelle e serrò a due mandate. Passò parecchio tempo prima che la chiave tornasse a girare nella serratura. Più lentamente stavolta. Mala gli apparve come una visione, solo un velo indosso e una candela tra le mani tremanti.

«Che succede?» Le corse incontro e l’abbracciò, soffocandone i singhiozzi. «Devi scappare perché ti uccideranno. Se Iria scoprirà che anche altre persone hanno avuto l’ordine di cercarti, potranno farti sparire senza essere gli unici sospettati e ti uccideranno.» Le prese il viso tra le mani splendenti, un livido esteso le chiudeva l’occhio sinistro. «Ti ha picchiata?» «Uma ha molti schiavi, amore mio. Solo che le catene di alcuni sono d’oro.» La strinse più forte, allora. «Vieni via con me.» Gli mise un pugnale tra le mani. «Perdonami, ma io non ho il tuo coraggio.» Si voltò per andarsene e la candela le cadde dalle dita. Uma era di fronte a lei, sotto all’arco della porta. «È così dunque. Per questo non ti concedi al tuo signore, perché devi preservarti per il figlio del demonio?» La colpì, facendola cadere. Lei rimase accovacciata come una bambina, le braccia esili sopra alla testa. «E tu non muoverti, schiavo!» Gridò Uma, per richiamare i suoi figli e le guardie, Cain si chinò sulla ragazza come se non l’avesse udito e le cinse le spalle, aiutandola ad alzarsi. I tre figli di Uma e alcune guardie si precipitarono giù per la ripida scala poco dopo. «Prendete lo schiavo,

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Iria voglio che gli strappi la pelle a frustate e quando non ne avrà più nemmeno un lembo, ricomincerai. E così finché non sarà morto.» Per la prima volta il figlio del reggente antepose la logica all’odio. «Padre, i Signori del Cielo lo cercheranno. Lasciami compiere la missione. Lasciami cercare il modo di farlo, senza arrecare danno al villaggio.» La collera che imporporava il volto del vecchio era visibile anche alle fioche luci delle lanterne portate dalle guardie, ringhiò qualcosa che sembrava un'imprecazione e diede un pugno alla porta scardinandone la parte superiore. Si voltò carico d’ira e afferrò lo schiavo per il collo. Lo sollevò da terra e lo schiacciò contro la parete di fondo. Cain faticava a respirare, afferrò con le proprie la mano del reggente, senza riuscire a fargli mollare la presa. «Le catene, Iria!» Lo legarono di nuovo al gancio, le mani dietro alla schiena. «Andate figli, dividetevi. E trovate un modo per liberarmi di lui.» Come i tre furono usciti fece cenno alle guardie che, pronti, afferrarono Mala per le braccia trascinandola al suo cospetto. Con una zampata le strappò il velo di dosso. Una delle guardie intuendo il deside-


rio del reggente la afferrò per i capelli obbligandola a reclinare il capo all’indietro. «Guarda bene adesso, schiavo. Ora vedrai quanto gode la tua giumenta.» Con rabbia le prese un seno con la mano e iniziò a morderlo, feroce. Lei non gridava, non si dibatteva, nemmeno. Uma si spogliò in fretta e acconsentì a che anche le due guardie lo facessero, arpionò le cosce della ragazza e le divaricò le gambe con un unico gesto rabbioso. Con la stessa veemenza la penetrò, strappandole un grido straziato. «Uma vi prego! È me che volete, sono io quello ho ucciso vostra moglie, io ho macchiato il vostro onore, lasciatela stare!» Il reggente parve gradire le suppliche di Cain perché prese a spingere con maggiore brutalità su quel corpo delicato, mentre già una delle guardie le palpava senza grazia le terga. La voce di Cain non era più supplichevole però, né timorosa. Una sorta di ruggito esplose del suo torace, tanto rabbioso da fermare lo stupro. «Ti ho detto di lasciarla stare!» A quel punto accadde, con uno sforzo di cui non si credeva capace, Cain si erse in piedi, le occhiaie tanto profonde, quanto i suoi occhi erano glaciali. Tutta la maestosità del po-

polo del cielo e tutta la sua disperazione in quell’unico grido: gutturale e disperato. «Alama!» Aveva sempre conosciuto quel nome. In pochi attimi l’immensa creatura che aveva aspettato vent'anni il suo richiamo piombò sull'unico muro esposto della cantina, distruggendolo con un’artigliata. Alama, il suo drago, strappò la catena dal muro con un morso. I tre uomini, rimasti fermi, inchiodati da timore e stupore. Uma tentò una reazione, si chinò per afferrare i suoi calzoni ma uno sbuffo algido della creatura bastò a gettarlo indietro. L'animale non li stava guardando, gli occhi di Cain erano sufficienti a entrambi, estese la lingua bluastra e l'avvolse attorno al corpo del reggente, lo trasse a sé e lo lanciò in aria. Il vecchio cozzò contro il soffitto con violenza, lo scricchiolio del suo torace sovrastò il ringhio basso del drago. L'animale attese che ricadesse a terra. Come un frutto maturo, la pelle del reggente si spaccò a contatto col pavimento sconnesso della cantina. Alama leccò il vischioso liquido rosso, incurante dei flebili lamenti dell'uomo. Cain fissò Uma con disprezzo e si leccò le labbra, lo stesso fece il drago, prima di ingollarlo.

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Le due guardie seminude erano riuscite ad allontanarsi, correndo su per le scale. Cain sospirò e lo fece anche la bestia, gelando l'aria che aveva davanti. Minuscoli cristalli di ghiaccio caddero a terra con un tintinnio. Con un gesto elegante e maestoso chinò il capo da un lato, per permettere a Cain e Mala di montarlo e uscì nell'aia. Un coro di grida accompagnò il suo verso stridulo, decine di guardie si erano riversate all'esterno, allertate dal crollo. Cain abbracciò la ragazza e diede un colpetto sul collo dell'animale. L’aria spostata dalle grandi ali sollevò nubi di polvere e detriti, sbattendo con violenza gli astanti a terra, e spiccò il volo. Roteò un paio di volte sopra alla grande casa di Uma, mentre una decina di puntini verde acceso brillavano all'orizzonte. Cain vide la gente di Qualampa correre a cercare un riparo, le mani tra i capelli e il terrore palpabile. Voltò il drago in direzione di quelli che stavano arrivando e si rivolse alla sua donna. «Non ho intenzione di vedere distrutta la terra di mia madre, andiamo a fermarli.»


S ka n

OLTRE LO skannatoiO La nuvola

NASF

Le TRE LUNE 9

chiara.masiero@gmail.com

– Mamma... che cos'è quello? Il bambino stringeva tra le dita l'arto artificiale dell'avatar fisico della madre. Il corpo robotico che usava quel giorno la donna non aveva forma umanoide. Ne aveva scelto uno che somigliava ad un sigaro di un metro e cinquanta, un modello elegante dalle curve morbide, che si reggeva in equilibrio su una sfera. Ritrasse l'arto prensile e ruotò su sé stessa per offrire al bambino il monitor nel quale compariva il volto femminile. – Quello cosa, tesoro mio? – Sul letto... Cos'è? Si trovavano in una sala d'attesa del Centro Medico della provincia, per la Visita Annuale. La porta di una stanza era rimasta aperta e se ne vedeva parzialmente l'interno. Mamma eseguì rapida-

mente una scansione nella direzione indicata dal bambino e capì cosa lo turbava. – È una persona anziana, tesoro mio. – Ha la pelle floscia... – disse il bambino con una smorfia di disgusto. – Quando si invecchia i tessuti della pelle e dei muscoli cedono, dando questo aspetto al corpo. A te non succederà, tesoro mio. Il piccolo osservò nuovamente l'avatar della madre. Il monitor gli aveva sorriso, poi era tornato alla consueta neutralità. Probabilmente era occupata altrove ora, nella Nuvola, ma l’imminente visita dal dottore lo innervosiva ed era determinato ad ottenere in qualche modo l'attenzione della madre. – E perché quel signore è invecchiato? Perché non ha fatto il Trasferimento come tutti? L'espressione del corpo

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robotico mutò mentre la donna rifletteva sulla risposta. – Fino ad una cinquantina d'anni fa esistevano persone che rifiutavano il Trasferimento, tesoro mio. Ora sono morti quasi tutti; e quelli che ancora non lo sono, sono anziani. Il bambino parve soddisfatto. Osservò le sue mani di carne e si chiese come doveva essere abitare un corpo così vecchio da avere la pelle floscia. Ma il pensiero tornò presto alla visita che avrebbe fatto di lì a poco. Avrebbe dovuto rispondere a domande strane mentre gli analizzavano l'attività cerebrale. L’ansia crebbe. – Io non voglio che il dottore mi veda! – Quello che tu vuoi è irrilevante, tesoro mio. Il dottore deve verificare il tuo sviluppo emotivo e mentale. È una delle tappe obbligatorie prima di acce-


dere al Trasferimento, tesoro mio. E tu hai già mostrato segni di ritardo. Ciò significa che rischi di non poter essere trasferito prima dei vent'anni, tesoro mio. Il bambino si agitò. – Ma io non voglio! E smettila di chiamarmi tesoro mio! – Il dottore ha detto che mostrare affetto nei tuoi confronti può favorire maggiore rapidità nello sviluppo, tesoro mio. La spiegazione non aiutò il bambino a calmarsi, anzi iniziò a dare in escandescenze, a pestare i piccoli piedi per terra e lagnarsi rumorosamente. – Se non smetti subito ti lascio qui da solo, tesoro mio – l’ammonì il monitor. – Ma mamma! Io non voglio! Ho detto che… All'ennesimo singhiozzo la madre gli riservò un'espressione seccata e mise in stand-by l'avatar, che abbassò le lunghe braccia a toccare il pavimento. Il bambino si spaventò: iniziò ad abbracciare il corpo robotico, piangendo e chiedendo scusa: – No, non te ne andare... mamma non lasciarmi, resta con me! Dopo un minuto e trenta secondi il monitor si riaccese. – Non sono disposta a tollerare oltre i tuoi capricci. Ora siediti, tesoro mio. Sconfitto, il bambino si diresse verso la panchina. Ogni tanto sbirciava la stanza con l'anziano, ogni tanto l'avatar accanto a lui. Era tornato al suo stato di neutralità. Ma l'attesa era snervante e

nel giro di pochi istanti si era già annoiato. Decise di infilarsi nella stanza del vecchio e capirci qualcosa. Appena varcata la soglia lo sorprese un odore pungente che non conosceva. Sembrava sudore, e polvere... Si disse che era l'odore di vecchio. Lesse il nome dell'uomo sulla cartella clinica. Lo pronunciò ad alta voce – Steve Larson. Il vecchio si svegliò dal suo torpore, cercò gli occhiali sul comodino accanto e quando li ebbe indossati mise a fuoco il volto del bambino. – È il mio nome. E il tuo? – Lo invitò a sedersi accanto al letto. – Io sono Mishka. – Ah, credevo ti chiamassi Tesoro Mio – rispose Steve facendogli l'occhiolino. – Ho sentito quello che dicevi con tua madre. Il bambino si rabbuiò. – Lei mi vuole bene! Si preoccupa per il mio sviluppo… Il vecchio sorrise con tutti i muscoli del viso, mostrando una dentatura non più perfetta. Mishka decise di saltare i preamboli e venire al punto: – Non capisco. Perché non hai fatto il Trasferimento? È stupido, ora sei vecchio e poi morirai! Steve sospirò, appoggiò la sua mano rugosa su quella del bambino. – Ti hanno spiegato cos'è il Trasferimento? Il bambino annuì e iniziò a spiegare: – È quando prendono la tua coscienza e la mettono nella Nuvola insieme a tutti gli altri. Così non ti serve più un

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corpo, e se devi imparare qualcosa basta che compri gli Upgrade, e puoi andare ovunque e parlare con chiunque. E puoi vivere per sempre con tutti quelli che conosci. Il vecchio annuì a sua volta, ed espose il proprio pensiero: – Vedi Mishka, quando sono nato io la maggior parte della gente invecchiava e moriva, è il ciclo naturale delle cose. Ai miei tempi le persone stavano insieme dal vivo, come io e te adesso. E parlavano, e tutto ciò era molto gratificante. Ma noi crediamo, o almeno credevamo, che il Trasferimento non sia una vera forma di vita. Fece una pausa, attendendo la reazione del bambino. – Ma la mia mamma, e tutti gli adulti che conosco, loro sono vivi! Solo che sono nella Nuvola. Se vogliono stare con me usano gli avatar e... – Oh, sono sicuro che ne sono convinti. Ma dimmi ragazzo: lo sai perché devi aspettare di avere vent'anni prima del Trasferimento? Mishka scosse la testa. – Puoi effettuare il Trasferimento solo una volta terminato il tuo sviluppo emotivo e mentale, perché una volta che sei sulla Nuvola non puoi più crescere. Certo, puoi imparare molte nozioni. Puoi essere in possesso di tutto lo scibile umano. Ma non puoi maturare. Non puoi cambiare. Non puoi arricchirti con le cose che apprendi. E per quanto mi riguarda, questo è come essere morti. Vedi quella macchina,


con la linea bianca che va su e giù? Quello è il mio cuore che batte. È quello che mi tiene vivo. Mi definisce come umano. Ed è una cosa che nella Nuvola non puoi trovare. Il bambino rimase molto turbato da quelle parole. Andavano contro tutto ciò che gli avevano insegnato. Gli avevano detto che una volta nella Nuvola sarebbe stato libero, e padrone di sé stesso, che sarebbe diventato qualunque cosa avesse voluto. Non era forse così? Il computer da polso del ragazzino trillò, mostrando il viso della madre con un'espressione preoccupata. – Tesoro mio, dove sei? Non allontanarti dall'avatar. Mishka saltò giù dalla sedia, sollevato di poter tornare vicino alla versione fisica della madre e di poter relegare quei pensieri inquietanti nel passato. In quel momento un'infermiera robotica si affacciò dall'ambulatorio e invitò il bambino e la madre ad entrare. Mishka si aspettava di incontrare l'avatar del dottore come l'ultima volta, ma quest'anno il medico aveva assunto direttamente il controllo di ogni strumentazione nella stanza. La voce, diffusa da piccoli altoparlanti, si rivolse direttamente alla madre. – Rilevo forti livelli di stress. Qualcosa ha turbato il paziente? Il monitor della madre si rivolse al figlio con un'espressio-

ne accigliata. – Tesoro mio, qualcosa ti ha turbato? Ricordi che avevamo detto che se non superi bene questa visita dovrai rimandare di un anno il Trasferimento... Il bambino deglutì. Malgrado tutti i suoi sforzi il pensiero tornava alle parole del vecchio. E peggio ancora, iniziava a capirle. Deglutì di nuovo. – Io... io non voglio fare il Trasferimento. Non voglio morire! Ecco, l'aveva detto. Ora sua madre si sarebbe arrabbiata. – Non dire sciocchezze, tesoro mio. L'unico modo per non morire è effettuare il Trasferimento. Cosa, di tutta la preparazione di questi anni, non ti è chiara? Mishka non sapeva come rispondere e iniziò a balbettare qualcosa riguardo la linea bianca che teneva in vita Steve Larson. Finalmente mamma e dottore iniziarono a capire. – Tesoro mio, quel signore con cui hai parlato è un fanatico... – iniziò la mamma. – La salute mentale del signor Larson è stata messa in dubbio in numerose occasioni – confermò il dottore. – Vedi tesoro mio come si è ridotto quell'uomo? Morire solo in un ospedale. Tu non vuoi finire così, vero? Tu vuoi restare sempre con le persone che ti vogliono bene. – L'avatar sorrise a Mishka, incoraggiante. – Gli amici ed i parenti del signor Larson che non hanno effettuato il Trasferimento sono tutti deceduti. Lui stesso ha sofferto molto per le loro perdi-

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te – aggiunse il dottore. Sembrava davvero un brutto modo di vivere. – E tu non vuoi che la mamma sia triste per te. No, Mishka non voleva certo che la mamma fosse triste. – La mamma vuole vivere per sempre con te nella Nuvola. Potrai essere tutto quello che vorrai, andare ovunque vorrai, vedere qualunque cosa desideri. Come aveva potuto dubitare della Nuvola e dei suoi benefici? Il bambino si convinse delle ragioni della madre e del dottore, e proseguì brillantemente l'esame. Era davvero orgoglioso di come aveva superato quel momento di difficoltà e il dottore aveva autorizzato la madre a premiarlo con un rinforzo positivo a scelta tra gelato al cioccolato, una bella corsa in bicicletta o una gita allo zoo. Mishka era soddisfatto. Prese per mano l'arto robotico della madre, mentre si dirigevano verso casa. – Mamma, posso chiederti una cosa? – Certo tesoro mio. – Dopo il Trasferimento, quanti viaggi hai fatto? – Nessuno. Mishka si fermò di botto. – Perché nessuno? – Da quando sono nella Nuvola non ne avverto l'esigenza, tesoro mio.


S ka n

OLTRE LO skannatoiO

Macelleria n.6

Le SPECIFICHE GENERE Horror, fantastico, thriller.

Tutto il racconto dovrà svolgersi o ruotare attorno al circo, ai suoi componente o/e ai suoi spettatori. Il tema è ampio, potete sbizzarrirvi come volete, ergo, sul genere non si TEMA transige. Il circo. mannaia extra a chi Sono sempre stata affasci- Una descriverà la morte più nata dal circo, stupitemi! spettacolare. Che sia un circo dei freak di inizio secolo, il molimite minimo, dernissimo Cirque du So- Nessun mentre il massimo leil, un sensuale circo gita- è di 25milalimite battute. no non importa. L'atmosfera sarà comunque avvolgente.

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Il vincitore della gara è stato il noto CMT. Nelle pagine che seguono, è possibile leggere il racconto del secondo classificato in versione da gara (ovvero non revisionato per l'occasione).


di un'esplosione donna sorridente, dai lineaS a l t o m o r t a l e pocoIl boato distante coprì le ulti- menti delicati, tracciata col A volte ho l'impressione che i soldati caduti sui campi di battaglia non siano rimasti sepolti sottoterra, ma siano tornati a casa, riuniti in stormi, trasformati in bianche cicogne. Volano sin da quei tempi lontani; noi udiamo il loro richiamo e restiamo in silenzio, guardando tristi il cielo.

Stalingrado, ottobre 1942 Era l'alba e le prime luci tingevano il cielo di riflessi dorati. «Yuri, a cosa stai pensando?» chiese Vladimir, osservando il giovane soldato intento a fissare le nuvole caliginose. «Scusami, compagno sergente», disse Yuri, trasalendo, «ero distratto. Cos'hai detto?» In lontananza s'udì il crepitio di un'arma automatica. Il veterano e la recluta avevano passato la notte nascosti in quel buco, un profondo cratere tra le rovine di edifici sventrati, sdraiati nel fango, su mattoni spezzati ricoperti di cenere. «Ti ho visto assorto e mi chiedevo a cosa...»

me parole. «A cosa?» «Non importa», disse Vladimir, sistemandosi l'elmetto sulla testa. «A quanto pare si stanno svegliando anche loro. Tu sei riuscito a dormire?» «No», rispose Yuri, «ogni volta che chiudo gli occhi, vedo il volto di mia moglie e mi viene nostalgia di casa». Si passò la mano destra sul volto, poi continuò: «Penso alla mia famiglia e a mio figlio. Sai, compagno, il mio Sergej è nato solo due giorni prima che partissi». «Sei fortunato, hai una casa e una famiglia a cui tornare. Io ho perso entrambe e darei la vita per ricordare il volto di mia moglie. Per quanto mi sforzi, non riesco più a figurarmelo». Yuri si asciugò gli occhi umidi. «Io porto con me un ritratto di Irina. Lo guardo quando posso, quando c'è abbastanza luce». «Mi permetti di vederlo?» chiese il sergente, curioso. «Certo, ma ti prego di fare attenzione». Mise la mano all'interno della divisa, estrasse un portafogli e, da lì, un cartoncino bianco. Gli diede un'occhiata e lo porse al superiore. Vladimir lo guardò. Vide il volto di una giovane

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carboncino. «È bellissima» disse. «È un autoritratto. Lo ha disegnato lei stessa». «Un'artista, quindi». Yuri sembrò rilassarsi, come se avesse dimenticato d'essere rintanato in un cratere, e spiegò: «Siamo tutti artisti in famiglia, artisti circensi. Irina ha talento nel disegno, ma è anche un'ottima trapezista. Io faccio un po' di tutto, ma preferisco giocoleria e numeri acrobatici». «Davvero? Non avevo idea», disse Vladimir. Poi aggiunse: «Io amo il circo». «Non conosco russo che non lo ami. Il circo è la mia casa, una casa che non può essere rasa al suolo: rinasce ovunque ci sia un pubblico, ovunque ci sia un bambino da far sorridere». «A me sarebbe piaciuto...» Un'improvvisa mitragliata sollevò un nugolo di schegge tra i due militari. Sopra di loro, fra gli squarci dello scheletro d'un edificio di quattro piani, qualcuno li bersagliava. Vladimir gettò il ritratto, afferrò il fucile e balzò in piedi. «Via, presto!» gridò, correndo accovacciato sul ciglio del cratere. Yuri rotolò su se stesso abbracciando il suo Mosin di precisione. Vide l'immagine della moglie caduta


nel fango, ma riuscì soltanto a sfiorarla, mentre attraversava quell'inferno di proiettili. Corse dietro al sergente e lo vide cadere fulminato da una scarica di pallottole che gli crivellò la schiena. Si gettò attraverso una breccia che si arpiva in un edificio e una tempesta di fuoco martellò il muro. Di fronte a lui c'era un lungo corridoio buio, a stento illuminato dalla luce che filtrava dagli squarci nelle pareti. Nel cortile dietro di lui, sentì secchi ordini gridati in tedesco. Si fece largo tra le macerie e le assi crollate, poi salì i gradini a due a due, prima un piano poi un altro. Ansimante, entrò in una stanza e si accasciò alla base di una finestra scardinata. Nessuno sembrava averlo seguito. Si sporse e diede una veloce occhiata all'esterno. Vide due tedeschi, più sotto, a un centinaio di metri lungo la strada. Spianò il suo Mosin e, attraverso l'ottica telescopica, inquadrò uno degli uomini. Quel soldato era tranquillo, credeva di essere al riparo camminando rasente al muro. Un terzo soldato fece capolino nel mirino da dietro uno spigolo. Yuri agì in modo meccanico, senza emozioni: sparò e s'aprì un foro nel primo elmetto, sollevò la manetta,

tirò l'otturatore e il bossolo venne espulso, poi spinse avanti, riabbassò la manetta e sparò il colpo in canna nella seconda testa, ripeté il ciclo e un terzo proiettile s'infilò nel volto stupito d'un soldato che sembrava guardarlo attraverso il mirino. Sei secondi, tre cadaveri. Sentì ordini abbaiati in tedesco al piano di sotto e passi pesanti salire i gradini di corsa. Tornò nel corridoio e riprese la fuga. Una granata a manico gli rotolò tra i piedi, girò l'angolo e salì le scale. Dietro di lui esplose un'inferno di schegge. Con le orecchie che gli fischiavano salì altri due piani, ma ormai lo seguivano da vicino feroci scariche di mitra. Quell'ultimo corridoio dava sul vuoto di una parete sventrata. Yuri corse tra i proiettili e le schegge, sentì le pallottole portargli via una mano, perse il fucile, e saltò puntando lo scarpone sul ciglio del baratro. L'aria di quel mattino era fresca, ed era piacevole sentirla scorrere sulle guance, ne percepiva la lieve resistenza. E allora si lasciò portare dal vento. Quattro piani più sotto, i soldati tedeschi, attirati dagli spari sopra le loro teste, videro un militare russo prendere il volo, come un

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angelo ad ali spiegate. Yuri ruotò in verticale, strinse le braccia e raccolse le ginocchia al petto. Girò una, due, tre, quattro... I soldati accorsero nel punto in cui era caduto. Lo trovarono nel fango, le membra scomposte. A poca distanza, su un cartoncino calpestato, ormai quasi irriconoscibile, era tracciato col carboncino il volto di una giovane donna dai lineamenti delicati: sorrideva. Lo stormo di cicogne vola stanco, attraversa il cielo, si perde nella foschia del tramonto. Nella formazione c'è un piccolo spazio; forse quel posto è per me.

Berlino Est, maggio 1963 «Attento, laggiù!» gridò Franz König rivolto a un operaio: stava per perdere la fune che gli era stata affidata. Montare l'intera struttura d'un grande circo nel giro di una giornata è un'operazione faticosa che richiede molta attenzione. In dieci anni, Franz poteva vantare di non aver mai perso un uomo, ma gli incidenti più o meno gravi non si contavano. Era solito dire che innalzare i tralicci metallici e sollevare il tendone era più rischioso di fare il trapezista senza rete di prote-


zione. Lui sapeva bene cosa significava, dato che, un tempo, era considerato un discreto “porteur”. «A che punto siamo?» chiese Sergej Vassov. A pochi passi da König, osservava le operazioni di montaggio. «Ancora... ehi, tu! Allenta il paranco!» gridò a un altro operaio distratto. Riprese: «Ancora un paio d'ore e avremo terminato il sollevamento». «E le luci? Stasera vorrei provare». «Le luci no, prima le gradinate e il palco dell'orchestra. Poi si parlerà della rete e dei trapezi. Proverai domattina». Sergej si allontanò deluso. Intorno al tendone fervevano i lavori di allestimento, veniva montato lo zoo e arrivavano le ultime roulotte che formavano il villaggio degli artisti. La confusione era tanta, ma si trattava di un caos all'interno del quale occhi esperti avrebbero potuto riconoscere un ordine. In lontananza s'udiva, di tanto in tanto, il barrito di qualche elefante, mentre i leoni tacevano sonnecchianti, dopo il pasto del primo pomeriggio. La terra battuta di quell'enorme spiazzo alla periferia di Berlino Est era polverosa e alcuni inservienti ne bagnavano

ampi tratti. Sulla fanghiglia si componevano sentieri fatti d'assi di legno. Lungo uno di questi, Sergej giunse alla sua roulotte. Bussò e, dall'interno, udì la voce di Natasha che gli diceva di entrare. «Come procede?» chiese la donna, sorridendo. «Tutto bene, sono solo un po' in ritardo. Stasera non potremo provare». «Lo dirò a Lara e Nikolaj». Natasha era seduta nel suo angolo di lavoro. Stava rammendando uno dei costumi. Manovrava l'ago leggera, con ampi gesti, come se volteggiasse tra l'asta e il porteur. Il suo era uno dei numeri più eleganti. Sergej aveva la parte più potente e spettacolare, fatta di salti eseguiti sempre al limite, che esaltavano il pubblico, ma quando Natasha si appoggiava all'asta e si lasciava andare nel vuoto eseguendo evoluzioni senza alcuno sforzo apparente, tutti restavano senza fiato, estasiati. «Cosa c'è?» chiese la giovane. Aveva notato che il marito la osservava, perso nei suoi pensieri. «Nulla», rispose. «Mi hai ricordato mia madre». «Davvero? Ma Irina non era bruna?» Sergej accarezzò i capelli biondi della moglie. «Me l'hai ricordata per come rammendi».

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«Mi sarebbe tanto piaciuto conoscerla». «Sareste state buone amiche. Lei si sarebbe subito innamorata del tuo stile. Mi ha insegnato tanto, ma ho avuto l'impressione, a volte, che gli mancasse una figlia alla quale lasciare in eredità la sua eleganza». «Sono certa che è orgogliosa di te e che ti è accanto. Ti proteggerà sempre». «Mi piacerebbe crederlo, Natasha, ma...» D'un tratto qualcuno bussò alla porta. «È aperto!» «Gioia e felicità a tutti voi», disse Popov entrando. Il clown sapeva mettere subito di buon umore chiunque incontrasse. Non portava il trucco fuori dalla scena, ma quando girava nei pressi del circo, tra le roulotte e le gabbie degli animali, indossava sempre un finto naso rosso e un caratteristico berretto a punta. Aveva sempre una battuta pronta e stupiva i bambini con trucchi di magia, in apparenza, improvvisati. «Ci sono novità?» chiese Sergej. Popov si fece serio, un'espressione che non gli apparteneva. «È per domani notte», disse togliendosi il naso finto. «Così presto?» chiese il trapezista, deluso. «Speravo di avere più tempo». «Per fare cosa?» si do-


mandò il clown. «Ormai avete deciso. Aspettare troppo sarebbe rischioso, anzi, potreste già essere in pericolo». «Ci sono problemi?» chiese preoccupata Natasha. «Ho incontrato Schmidt questa mattina. Mi ha rivelato che un primo tunnel è stato scoperto. È un momento di grande tensione e la polizia sta attuando misure molto più restrittive che in passato. Un'altra fuga oltre il Muro di personaggi importanti, come quella del professor Lifshitz avvenuta la settimana scorsa, farebbe cadere molte teste». «Noi siamo solo artisti di circo, a chi potremmo...» «Sergej», lo interruppe Popov, «il tuo salto triplo ti ha reso famoso, e sono certo che alcune tue affermazioni un po' troppo azzardate non sono passate inosservate. La Stasi ha molte orecchie e tanti occhi, dappertutto. Li puntano ovunque ci sia qualcosa di insolito, figuriamoci quando un russo si lascia andare e parla di corruzione e di ideali traditi». Natasha e Sergej si scambiarono un'occhiata preoccupata. Il clown continuò: «Starò diventando paranoico, ma ho notato un inserviente che non ho mai visto prima

e che sta indugiando qui intorno senza fare nulla». «Ti preoccupi troppo, sarà solo uno scansafatiche». «Sarà, ma la prudenza non è mai troppa. Ora vi lascio. I particolari li saprete domani». Si rimise il finto naso rosso, aprì l'uscio, salutò ad alta voce: «Gioia e felicità a tutti voi» e saltò giù dalla roulotte. *** Le prove della mattina erano sempre caotiche. In ogni angolo della pista c'erano artisti che eseguivano parti dei loro numeri, mentre l'orchestra provava i pezzi che avrebbero accompagnato lo spettacolo. Ma quando gli “Aisty” entrarono nel tendone, l'attenzione di molti presenti si concentrò su di loro, anche se, nelle prove, non indossavano i loro caratteristici costumi bianchi. Gli inservienti montarono con rapidità la rete di protezione. Nikolaj, un ucraino massicio dagli arti muscolosi, si arrampicò sulla scaletta dal lato del porteur e si sedette sul suo trapezio iniziando a oscillare. Il suo ruolo era quello di afferrare i compagni dopo le loro evoluzioni. Forza e precisione erano le sue caratteristiche. Lara e Natasha saltarono

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la parte coreografica e salirono assieme a Sergej sulla tavoletta degli “agili”. Uno dopo l'altro provarono alcune figure di riscaldamento, finché non venne il momento del triplo salto mortale e mezzo. König, presente sulla pista, si fermò a osservare. Gli piaceva analizzare i tempi dello stacco, l'evoluzione del salto, e la precisione della presa finale. A Sergej il triplo riusciva sempre, quando si sentiva di effettuarlo, ma per quella prima esibizione a Berlino stava preparando il triplo e mezzo, con presa per le gambe. Era il trampolino di lancio per il quadruplo, mai riuscito a nessuno, e che, prima o poi, avrebbe affrontato. «Te la senti?» gli chiese Natasha, mentre Lara veniva afferrata dal porteur dopo il volteggio. «Non voglio andarmene da Berlino senza averlo eseguito. Ci vorrà del tempo prima che riesca a trovare un partner bravo come Nikolaj». Lara riprese il trapezio e, dopo un'oscillazione, tornò sulla tavoletta con i due compagni. König fece fare silenzio sulla pista. Non gli fu difficile, perché quasi tutti i nasi erano già all'insù. L'orchestra s'ammutolì lasciando alla sola batteria, con il suo rullo teso, il compito di


accompagnare l'esercizio. Sergej sistemò un'asta per saltare da una posizione rialzata e si strofinò le mani con la polvere di magnesio. Poi si concentrò sulle oscillazioni di Nikolaj e si lanciò, accompagnato dal rullo che s'intensificava. Dopo un paio di passaggi, la velocità era adeguata e la posizione del porteur perfetta: lasciò la presa con un colpo di reni ed effettuò le rotazioni, una dopo l'altra, mentre il tendone e la pista s'alternavano vorticosamente. Gli era sembrato tutto perfetto, ma sentì le mani di Nikolaj scivolare lungo i polpacci e mancare la presa delle caviglie. Si girò sulla schiena e rimbalzò un paio di volte sulla rete di protezione. I presenti applaudirono e lanciarono qualche esclamazione d'incoraggiamento. Sergej scese dalla rete con una capriola, dopo averne afferrato il bordo. Si trovò König accanto e gli chiese: «Le ginocchia?» «Sì, devi piegarle meno. Questa sera lascia stare. Il triplo andrà benissimo e il pubblico sarà contento. Domani proverai ancora». *** In ogni città toccata da un circo, il primo spettacolo è sempre una festa straordi-

naria. Quella sera confermava la regola. I berlinesi dell'est, avevano risposto al richiamo di quello spettacolo a un prezzo accessibile: file ordinate attendevano ai botteghini. Adulti e bambini, intere famiglie, pregustavano tre ore di divertimento e di sogni a occhi aperti. Quando i cancelli si aprirono, la folla cominciò a disporsi ordinatamente sulle gradinate, attorno all'anello della pista. Era accolta dalla musica dell'orchestra, dalle luci multicolori e dai clown che scherzavano con gli spettatori delle prime file. Il direttore presentò un numero dopo l'altro, esibizioni con i cavalli, gli elefanti e i leoni, intervallati dagli sketch dei clown per dare tempo agli inservienti di montare e smontare le gabbie, e poi numeri di giocoleria ed acrobatici. Dietro il sipario che copriva l'entrata degli artisti, Nikolaj, Lara, Natasha e Sergej attendevano accanto a König di fare il loro ingresso. I costumi bianchi lasciavano scoperto il torso dei due uomini. Sulle spalle indossavano mantelli candidi: li facevano apparire come angeli pronti a spiccare il volo nel cielo sopra Berlino. «Mi piacerebbe tornare bambino», disse König,

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alzando la voce per essere udito dal quartetto. «Vorrei rivivere tutto questo per la prima volta». Natasha rispose: «Ogni volta è la prima volta». Intanto sulla pista saliva la rete di protezione, mentre i clown giocavano sopra e sotto di essa, con numeri acrobatici di contorno. Quando tutto fu pronto, il direttore gridò nel microfono il nome degli “Aisty” e i quattro entrarono sulla pista correndo. Eseguirono la loro coreografia tra gli applausi della folla. Al termine del numero a terra, si issarono ai loro posti, pochi metri sotto la cima del tendone. Gli esercizi si svolsero secondo il programma. Le eleganti evoluzioni di Lara e Natasha suscitavano applausi, mentre le azioni potenti di Sergej strapparono più volte grida di paura quando l'aggancio con Nikolaj sembrava avvenire al limite. «Siamo al triplo», disse Natasha, tornando sulla tavoletta accanto al marito, dopo la sua ultima acrobazia. «Sì, ma guarda laggiù». Con un cenno del capo, indicò alla moglie un angolo ai piedi di un traliccio. C'erano tre Vopos, agenti di polizia in divisa. «Non preoccuparti, saranno entrati per vedere lo


spettacolo», gli disse ad alta voce nell'orecchio, mentre l'orchestra magnificava con note trionfali il suo gesto atletico. «Anche quelli?! E quelli?!» Natasha spostò lo sguardo in vari angoli del circo. C'erano agenti dappertutto, dispersi tra la folla. Due di loro stavano trascinando Popov fuori da una delle uscite, nell'indifferenza del pubblico concentrato sui trapezisti. Natasha stava quasi per perdere l'equilibrio e si sedette sulla tavoletta. «Cosa sta succedendo?» chiese Lara, ma non ottenne risposta. Sergej, invece, mantenne la calma e fece un gesto convenuto a Nikolaj, che oscillava seduto sul suo trapezio. A quel segno, il porteur fece un eloquente cenno di disapprovazione col capo. Il gesto di Sergej non sfuggì al direttore che ordinò all'orchestra di smettere di suonare. Il pubblico seguì l'esempio e fece silenzio. «E ora, meine Damen und Herren », annuciò il direttore al microfono, «Sergej Vassov non eseguirà per voi il salto che l'ha reso famoso: il triplo salto mortale». Il pubblico, stupito e deluso rumoreggiò. Dopo una pausa a effetto, riprese: «Sì, signori, non lo eseguirà, ma per voi tenterà, per la prima volta, d'effettuare il triplo salto mortale e mezzo!» Dopo un brusio d'approvazione e d'entusiasmo, tornò un silenzio irreale.

Sergej, in piedi sull'asticella più elevata, stava cercando la giusta concentrazione. Aveva l'impressione di doversi tuffare in una piscina ricolma di squali, ma fu solo un pensiero fugace, un attimo di deconcentrazione che era abituato a dominare. Il respiro divenne tranquillo, il battito regolare. Con la mano destra impugnò l'asta del trapezio producendo una nuvoletta di polvere di magnesio. La sua determinazione partiva dalla spina dorsale e proseguiva nella spalla, attraversava tutti i muscoli del braccio per arrivare alle dita che stringevano l'attrezzo. Nikolaj, rassegnato, era tornato ad oscillare a testa in giù, pronto a ricevere l'amico, mentre Lara e Natasha, ai lati della tavoletta, trattenevano il fiato. I muscoli di Sergej erano in attesa di sprigionare la loro potenza. La respirazione continuava lenta ma profonda e il cervello contava i respiri e i battiti del cuore, contava le oscillazioni di Nikolaj, nell'attesa del momento. Il cuore sembrò battere un'ultima volta e la respirazione cessò, mentre il pubblico, Vopos compresi, restava immobile. Era quello il momento, l'istante perfetto, in cui l'agile e il porteur, separati da un baratro, erano già legati da una sequenza di precisi movimenti guidati da leggi fisiche. Sergej si lanciò. L'unico rumore era il cigolio delle oscillazioni del suo trapezio. Contò

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due passaggi, al terzo la velocità era giusta e il porteur si trovava dove doveva essere. Saltò: uno, due, tre rotazioni. Era perfetto! All'uscita della terza strinse a sé le ginocchia e le mani di Nikolaj afferrarono l'aria. Sergej attendeva l'impatto, ma si sentì afferrare per le braccia. Guardò in alto e vide un uomo appeso a un trapezio che lo tratteneva. «Un fantastico quadruplo», gli disse lo sconosciuto, sorridendo. Ma invece di sentire applausi ed acclamazioni, Sergej udì soltanto urla di terrore. Guardò in basso e vide il proprio corpo precipitare sbilanciato, colpire il bordo della rete e finire sbalzato, con violenza, sulla pista. Tornò a guardare in alto, verso quel porteur che non concosceva, ma che gli era familiare. L'uomo tornò a sorridergli: «Ero certo, figliolo, che un giorno avresti potuto affrontare il quadruplo. Dobbiamo riprovarci presto, finché ricordi il movimento. Ma ora dobbiamo andare. Ci aspettano». Il giorno verrà; con lo stormo mi tufferò tra le sfumature del cielo, e il mio richiamo sarà per tutti voi restati sulla terra. A volte ho l'impressione che i soldati caduti sui campi di battaglia non siano rimasti sepolti, ma siano tornati a casa, riuniti in stormi, trasformati in bianche cicogne.


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I Libri da rileggere S M G . ' R A M ' 2 000 di Frank Herbert

La guerra tra il blocco occidentale e il blocco orientale ha portato dopo oltre un decennio ad una scarsità di risorse. L’Occidente ha cominciato a usare sottomarini nucleari specializzati per rubare il petrolio dell’Est infiltrandosi nel territorio nemico per andare a prelevarlo direttamente nei giacimenti petroliferi sottomarini. Il blocco orientale ha cominciato a infiltrare con successo agenti nemici negli equipaggi dei sottomarini, composti di quattro persone. Il risultato, assieme alla pericolosità delle loro missioni, è che ben venti sottomarini sono scomparsi. John Ramsay è un giovane psicologo addestrato come operatore elettronico che viene incaricato di far parte di una nuova missione per individuare l’agente nemico e capire come evitare che gli altri impazziscano. Negli anni ’50, Frank Herbert aveva inismg. 'Ram' 2000 ziato a scrivere fantascienza. Per alcuni di Frank Herbert anni scrisse narrativa breve ma nel 1955 pubblicò il suo primo romanzo, “smg. ‘Ram’ 2000″. Esso è ambientato in un futuro non troppo lontano in cui è scoppiata una guerra tra il blocco occidentale e quello orientale. Il romanzo “smg. ‘Ram’ 2000″ (“The Dragon in the Sea”) di Frank Herbert è stato All’epoca in cui il romanzo venne scritto, pubblicato per la prima volta tra il 1955 e si trattava di una possibilità tutt’altro che remota e le caratteristiche di quel mondo il 1956 a puntate nella rivista “Astounding” con il titolo “Under Pressu- futuro sono facilmente riconoscibili. Per re” e come libro nel 1956. In Italia è stato questi motivi, di frequente esso non viene neppure considerato fantascienza ma viene pubblicato da Mondadori nel n. 194 di “Urania” e nel n. 112 dei “Classi Urania” etichettato come thriller psicologico. nella traduzione di Hilja Brinis.

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Certamente, l’elemento psicologico è fondamentale in “smg. ‘Ram’ 2000″. Si tratta di un tema affrontato da Frank Herbert nel corso di tutta la sua carriera analizzando in molte sue storie i comportamenti dei personaggi di fronte a sfide e problemi di vario tipo che li portano oltre i loro normali limiti. Nel caso di “smg. ‘Ram’ 2000″, si tratta dell’equipaggio di un sottomarino a propulsione nucleare la cui missione è rubare il petrolio da uno dei giacimenti del blocco orientale. Dopo parecchi anni di guerra, le risorse sono diventate sempre più scarse e in particolare è necessario rubare il petrolio al nemico. Negli anni ’50, il petrolio era una risorsa abbondante ed economica. Il fatto che esso diventasse un fattore fondamentale nel corso di una guerra era davvero fantascientifico. Già allora, Frank Herbert aveva previsto i conflitti per il petrolio, anche se in maniera diversa da come sono iniziati successivamente. In “smg. ‘Ram’ 2000″, il conflitto non ha lo scopo di conquistare i giacimenti di petrolio ma rubare il petrolio ai nemici ne è diventata una parte importante. La missione dei sottomarini specializzati è molto rischiosa e il blocco orientale ha cominciato a infiltrare i suoi agenti per sabotarli. Lo psicologo John Ramsay deve scoprire l’agente nemico a bordo di uno di questi sottomarini ma deve anche capire le reazioni dell’equipaggio agli enormi stress che devono affrontare nel corso delle loro missioni. Ogni equipaggio è formato da quattro persone che rimangono isolate da tutto per la durata della missione. Esse possono contare solo sui colleghi perciò l’idea di avere una spia nemica a bordo

crea un ulteriore stress. Frank Herbert analizza le reazioni dei vari membri dell’equipaggio a tutto ciò che succede durante la loro missione. In quella situazione, le normali regole che valgono nel mondo esterno possono diventare flessibili. Fattori come la solidarietà e il controllo sociale possono basarsi più su elementi come la religione che sui regolamenti. In un romanzo breve per gli standard di oggi, Frank Herbert si concentra sullo sviluppo della tensione nell’equipaggio del sottomarino. Essa è da subito altissima perché un tentativo di sabotaggio rischia di far fallire la missione già al suo inizio e rivela la presenza di un agente nemico nell’equipaggio. Da questo punto di vista, “smg. ‘Ram’ 2000″ è certamente riuscito, anche se Frank Herbert avrebbe potuto sviluppare meglio le caratteristiche individuali dei diversi membri dell’equipaggio. Il romanzo è però datato in alcuni elementi, a cominciare dal fatto che il sottomarino viene gestito tramite comandi manuali, senza automatizzazione. Quando il romanzo venne scritto, la propulsione nucleare era lo stato dell’arte della tecnologia, oggi è normale e per tutto il resto i sottomarini di oggi sono molto più avanzati di quelli del romanzo. Per certi versi “smg. ‘Ram’ 2000″ non è invecchiato bene ma secondo me rimane complessivamente un romanzo davvero buono che mise in mostra il talento di Frank Herbert. Se vi piacciono i thriller in cui la componente psicologica è importante, è un romanzo da leggere.

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I Libri da rileggere Il Prefetto di Alastair Reynolds

Il prefetto

di Alastair Reynolds

Il romanzo “Il prefetto” (“The Prefect”) di Alastair Reynolds è stato pubblicato per la prima volta nel 2007. Fa parte della serie della Rivelazione. In Italia è stato pubblicato da Fanucci nella collana “FanucciChrono” nella traduzione di Stefano A. Cresti. Tom Dreyfus è forse il miglior prefetto operativo di Panoply, la forza di polizia che protegge la Fascia splendente, formata dai diecimila habitat che orbitano attorno al pianeta Yellowstone. Un incarico di

routine mette in luce una vulnerabilità nel sistema di votazione che regola la democrazia nella fascia splendente perciò un aggiornamento viene rapidamente preparato e Thalia Ng, una delle assistenti di Dreyfus, viene incaricata di propagarlo su tutti gli habitat. Per sicurezza, va di persona a installare l’aggiornamento su alcuni habitat ma ad un certo punto qualcosa va storto. La distruzione di un habitat è un evento eccezionale e Tom Dreyfus deve condurre l’indagine. La soluzione sembra facile visto che tutto fa pensare che il colpevole sia il Capitano di un’astronave Ultra che, dopo una trattativa commerciale andata male, ha usato la sua astronave per distruggere l’habitat. Gli Ultra gestiscono autonomamente la questione ma il Capitano, in punto di morte, giura la sua innocenza. C’è qualcosa che non torna e Dreyfus indaga più a fondo ma qualcuno cerca di impedirglielo in tutti i modi. Alastair Reynolds è conosciuto soprattutto per le sue space opera, in particolare quelle ambientate nell’universo della Rivelazione. “Il prefetto” è un romanzo diverso, ambientato tutto nel sistema di Yellowstone, ed è fondamentalmente un giallo con elementi politici e sociali. Anche se viene spesso nominata la famiglia Sylveste, protagonista di “Rivelazione”, questo romanzo è del tutto autonomo perciò può essere letto senza alcun problema da chi non conosce quest’universo narrativo. “Il prefetto” è ambientato prima degli altri romanzi della serie della Rivelazione, nell’epoca d’oro di Yellowstone. La Fascia splendente, l’insieme di diecimila habitat che orbitano attorno al pianeta, è all’apice del suo splendore ed è una democrazia in cui la tecnologia permette ai cittadini di votare con estrema rapidità qualsiasi proposta o richiesta delle

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autorità. Nella Fascia splendente non c’è un sistema politico / sociale unico ma ogni habitat può liberamente scegliere in maniera democratica quello preferito dalla maggioranza dei suoi cittadini. In questo modo, ogni abitante della Fascia splendente può scegliere di vivere nell’habitat con il sistema politico / sociale che più gli piace, sempre che vi sia ammesso. Gli sviluppi tecnologici hanno portato alla nascita di modi di vita nuovi, anche estremi. Tuttavia, nonostante l’abbondanza di scelte, anche nel XXV secolo esistono “pecore”, persone che hanno bisogno di qualcuno che decida per loro. Per questo motivo, tra gli habitat esistono alcune tirannie volontarie, in cui i cittadini hanno solo pochissimi diritti fondamentali e per il resto devono sottostare al potere dei governanti locali. Le tirannie volontarie tendono a degenerare diventando oppressive quanto le tirannie del passato. In uno di questi casi, l’intervento di Panoply ha sconvolto il prefetto Gaffney, che ha cominciato a chiedergli quanto la democrazia della Fascia splendente funzioni davvero. Gaffney è il capo della sicurezza di Panoply e quegli eventi hanno provocato in lui la paura che gli abitanti della Fascia splendente non siano in grado di gestire la loro sicurezza e i poteri di Panoply siano troppo limitati per assicurarla. Il maestro Yoda una volta disse che “La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l’ira all’odio; l’odio conduce alla sofferenza.” e Alastair Reynolds ha imparato bene quella lezione. Gaffney è sinceramente preoccupato per la sicurezza dei cittadini della Fascia splendente e finisce per pensare che qualche limitazione delle loro libertà possa essere il giusto compromesso. Nel caso di Gaffney, non è una visione a convincerlo definitivamente che limitare le libertà dei cittadini della Fascia splendente sia la soluzione ma è la misteriosa Aurora a convincerlo che qualcosa dev’essere fatto per impedire una cata-

strofe che nel futuro distruggerebbe quella civiltà. Gaffney non vuole il potere ma si fa convincere che esiste una minaccia che giustifichi la limitazione della libertà dei cittadini in nome della loro sicurezza. In questa situazione, Alastair Reynolds sviluppa le macchinazioni di Aurora con la collaborazione di Gaffney. Le indagini del prefetto Tom Dreyfus e il lavoro della sua assistente Thalia Ng finiscono per essere tutti collegati al tentativo di compiere un vero e proprio colpo di stato. Nel corso del romanzo, Tom Dreyfus e i suoi assistenti scoprono pian piano i piani di Aurora e la sua vera identità assieme al coinvolgimento di Gaffney. Ciò non basterà e gli sviluppi della storia sono legati ad altri eventi del passato di Tom Dreyfus e precisamente al caso dell’Orologiaio. Si tratta di un crimine compiuto anni prima che ha avuto pesanti conseguenze che continuano ancora. Gli eventi legati ad Aurora porteranno a scoprire verità nascoste anche sull’Orologiaio. Il risultato è una storia complessa in cui Alastair Reynolds usa i generi giallo e fantascienza per esplorare problemi politici e sociali. I cittadini della Fascia splendente cercano di costruire un’utopia che rimane imperfetta perché gli esseri umani sono imperfetti. Nonostante la tecnologia avanzatissima, i loro problemi sono sostanzialmente quelli odierni. Gli altri romanzi della serie della Rivelazione erano a volte verbosi e il ritmo rallentava per permettere di inserire varie informazioni. Ne “Il prefetto” Alastair Reynolds riesce a mantenere il ritmo piuttosto elevato e anche la tensione in una storia piena di colpi di scena. Questo romanzo ha in comune con gli altri la presenza di molti personaggi e inevitabilmente solo i più importanti sono sviluppati. “Il prefetto” è un romanzo che ho trovato bellissimo, con vari misteri intriganti ma anche tanti spunti di riflessione in una storia piena dei tipici elementi di fantascienza “hard” di Alastair Reynolds. Consigliatissimo!

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I libri da Tradurre Cosmopath d i E r ic B r o wn

necessita di una visita medica. La diagnosi è brutta perché la bambina ha una forma di leucemia. La notizia arriva in un momento difficile per Jeff dato che recentemente alcuni tra i migliori telepati di Bengal Station sono stati uccisi e anche lui diventa il bersaglio di un tentativo di omicidio. Jeff viene contattato dal miliardario Rabindranath Chandrasakar, che gli propone una missione apparentemente semplice, cioè leggere la mente del membro dell’equipaggio di un’astronave in una missione esplorativa. Jeff non vorrebbe farlo perché si tratta di una persona morta, mantenuta in stato di stasi, ma Chandrasakar gli offre una paga elevatissima che include le migliori cure per sua figlia. Il viaggio sul pianeta Delta Cephei VII riserverà pericoli e sorprese. “Necropath” e “Xenopath”, i due preceCosmopath denti romanzi della trilogia Bengal di Eric Brown Station, avevano toni quasi totalmente opposti: il primo aveva forti toni noir, il secondo conteneva molto più ottimismo pur avendo momenti drammatici. Forse Eric Brown ha pensato di aver esagerato con l’allegria e “Cosmopath” ha un inizio Il romanzo “Cosmopath” di Eric Brown è drammatico, con il protagonista JeffVaustato pubblicato per la prima volta nel ghan vittima di un tentativo di omicidio e 2010. È il terzo libro della trilogia Bengal la diagnosi di leucemia alla figlia Li. Station ed è il seguito di “Xenopath”. È al Questi problemi colpiscono Jeff e sua momomento inedito in Italia. glie Sukara dopo alcuni anni di felicità. La figlia di JeffVaughan e Sukara ha ma- Alla fine di “Xenopath”, la coppia aveva nifestato qualche problema di salute perciò adottato Pham e poco tempo dopo avevano

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avuto Li, la loro figlia biologica. Per pagare le cure a Li, Jeff è costretto ad accettare di leggere la mente di una persona morta durante una missione esplorativa per scoprire cosa sia successo realmente al suo equipaggio sul pianeta Delta Cephei VII. Nei due precedenti romanzi della trilogia, erano apparsi vari alieni e Jeff aveva compiuto viaggi su altri pianeti. In “Cosmopath” la struttura della storia è un po’ diversa, nel senso che il viaggio interstellare rappresenta una parte più importante del romanzo. Per questo motivo, esso è parzialmente diviso in due sottotrame delle quali una segue Jeff e l’altra Sukara e le figlie. “Cosmopath” racconta una storia indipendente dalle precedenti ma tutta la trilogia è fortemente orientata ai personaggi, nello specifico Jeff e Sukara. Di conseguenza, è necessario leggere tutti i romanzi per apprezzare pienamente il loro sviluppo e i tanti cambiamenti che avvengono nelle loro vite. I due romanzi precedenti erano sostanzialmente gialli fantascientifici, in “Cosmopath” gli elementi di fantascienza sono più importanti. Il viaggio di Jeff sul pianeta Delta Cephei non ha solo lo scopo di ottenere informazioni utili a risolvere un caso su Bengal Station ma di scoprire cosa sia successo all’equipaggio di un’astronave esplorativa. Trattandosi di una storia orientata ai personaggi, è tutt’altro che sorprendente che Eric Brown sviluppi anche alcuni di quelli presentati in “Cosmopath”, in particolare il miliardario Rabindranath Chandrasakar e la sua collaboratrice / amante Parveen Das. Il

mistero legato al pianeta Delta Cephei VII è una delle basi del romanzo ma nel corso della storia i rapporti tra i vari personaggi sono anch’essi importanti. In “Cosmopath” appare nuovamente il Dottor Rao, un personaggio ricorrente della trilogia. Si tratta di un uomo con un senso etico e morale decisamente particolare che sembra sempre al corrente di tutto ciò che succede su Bengal Station. Spesso è coinvolto in eventi non necessariamente legali e la sua strada a volte si incrocia con quella di Jeff e Sukara. La storia viene sviluppata con un ritmo generalmente elevato e parecchi colpi di scena. Secondo me “Cosmopath” è per certi versi migliore dei romanzi precedenti perché il mistero del pianeta Delta Cephei VII permette a Eric Brown di offrire maggiori sorprese. In particolare “Xenopath” mi era sembrato piuttosto prevedibile, stavolta invece gli eventi hanno sviluppi tali da portare conseguenze ancor più profonde e imprevedibili sulla vita di Jeff. Il finale di “Cosmopath” conclude la trilogia Bengal Station in una maniera che lascia aperta la possibilità di nuove storie che potrebbero essere molto diverse dalle precedenti se Eric Brown deciderà mai di tornare su questa serie. Secondo me, questo romanzo è per vari versi il migliore di una trilogia che può essere interessante in particolare per chi apprezza storie basate molto sui personaggi.

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Cento di questi giorni

M a s s i m o Lu c i a n i

foto © Pip R. Lagenta

Harlan Jay Ellison ha compiuto 80 anni Harlan Jay Ellison è nato il 27 maggio 1934 a Cleveland, nell’Ohio, USA. Harlan Ellison cominciò a lavorare quand’era ancora molto giovane, per mantenersi quando scappava di casa. Nel 1951 cominciò a frequentare la Ohio State University ma dopo circa 18 mesi ne venne espulso. Ellison dichiarò che aveva colpito un professore che aveva denigrato le sue capacità come scrittore e nei 20 anni successivi gli inviò una copia di tutte le storie da lui pubblicate. Sono esempi di un carattere tutt’altro che facile che è diventato uno dei motivi della sua notorietà. Harlan Ellison aveva cominciato a pubblicare storie di vari generi nel 1949, sul “Cleveland

News” e successivamente su “EC Comics”. Nel 1954, decise di scrivere storie riguardanti le gang giovanili e si unì ad una di esse. Nel 1955 si trasferì a New York per fare lo scrittore e le sue pubblicazioni di racconti, principalmente di fantascienza, e articoli vari divennero regolari. Nel 1956, Harlan Ellison si sposò con Charlotte Stein. Il loro matrimonio durò per circa quattro anni. Nel 1958, Harlan Ellison pubblicò il primo dei suoi pochi romanzi, “Rumble”, successivamente conosciuto come “Web of the City”, scritto durante il servizio milita. Il romanzo racconta la storia di un ragazzo che fa parte di una gang giovanile. Dopo il servizio militare, Harlan Ellison riprese a scrivere storie di vari generi, compreso quello erotico. In quel periodo, cominciò ad utilizzare occasionalmente lo pseudonimo Cordwainer Bird, un omaggio allo Cordwainer Smith, quando era in disaccordo con il modo in cui un suo lavoro veniva modificato. Nel 1960, Harlan Ellison si sposò con Billie Joyce Sanders. Il loro matrimonio durò per circa tre anni. Nel 1962, Harlan Ellison si trasferì in California, dove cominciò a lavorare come sceneggiatore televisivo. Quest’attività divenne presto una delle sue principali ed Ellison scrisse sceneggiature per parecchie serie, di fantascienza ma anche polizieschi e thriller, da “L’ora di Alfred Hitchcock” ad “Organizzazione U.N.C.L.E.”. Gli episodi scritti da Harlan Ellison “Demon with a Glass Hand” e “Soldier” per la serie origi-

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nale di “Oltre i limiti” contenevano già alcuni elementi che molti anni dopo vennero utilizzati nel film “Terminator”. Ellison citò in giudizio la compagnia di produzione e il distributore e ottenne con un accordo extra-giudiziario di essere citato nei crediti del film. Harlan Ellison scrisse la sceneggiatura dell’episodio “Uccidere per amore” (“The City on the Edge of Forever”) della serie originale di “Star Trek”. Il creatore della serie Gene Roddenberry revisionò fortemente la sceneggiatura vincendo il premio Hugo per la miglior presentazione drammatica. La versione originale vinse comunque il premio della Writers Guild. Negli anni successivi, Harlan Ellison continuò anche a pubblicare racconti di fantascienza, tra cui alcuni dei suoi migliori i cui titoli già mostrano la rabbia nei confronti della civiltà in fase di degrado e l’incapacità di esprimerla. Si tratta di “La bestia che gridava amore nel cuore del mondo” (“The Beast That Shouted Love at the Heart of the World”) del 1965 e “Non ho bocca, e devo urlare” (“I Have No Mouth, and I Must Scream”) del 1967, due dei suoi racconti vincitori del premio Hugo. Nel 1967, Harlan Ellison è stato il curatore della celeberrima antologia “Dangerous Visions”, che rappresenta un momento di forte rottura con una tradizione di fantascienza edulcorata. I racconti in essa contenuti affrontano temi che allora erano molto forti per questo genere come il sesso ma anche pacifismo e ateismo. Nel 1972, Harlan Ellison è stato il curatore di “Again Dangerous Visions”, una seconda antologia che è l’ideale seguito della prima dal punto di vista dei temi affrontati. Un terzo libro era in progetto, “The Last Dangerous Visions” ma non è mai stato pubblicato. Nel 1976, Harlan Ellison si sposò con Lori Horowitz. Lui aveva 41 anni mentre lei ne aveva 19. Il matrimonio durò solo otto mesi. Harlan Ellison ha lavorato come consulente creati-

vo per la versione degli anni ’80 della serie “Ai confini della realtà” e successivamente per "Babylon 5" . In alcune serie ha occasionalmente fatto il narratore ed è stato recensore non solo di programmi televisivi ma anche di film. Molte recensioni e altri articoli sulla televisione scritti per il “Los Angeles Free Press” sono stati raccolti in “The Glass Teat: Essays of Opinion on Television” e in “The Other Glass Teat”. Nel corso degli anni, Harlan Ellison ha anche registrato vari audiolibri, non solo di sue storie ma anche di quelle di parecchi altri autori. Nel 1986, Harlan Ellison si è sposato con Susan Toth, con la quale sembra aver trovato almeno la stabilità sentimentale visto che il loro matrimonio dura ancora. Nel corso della sua carriera, Harlan Ellison ha vinto varie volte i premi Hugo, Nebula e Locus, i più importanti nel campo della fantascienza. Ha vinto più volte anche altri premi importanti in altri generi letterari come il Bram Stoker e l’Edgar Allan Poe e altri per le sue sceneggiature, a dimostrazione della sua versatilità. Nel 1990 ha ricevuto la Penna d’Argento per il giornalismo dall’associazione International PEN per il suo impegno a favore della libertà artistica e la battaglia contro la censura. Negli ultimi anni, Harlan Ellison ha ridotto parecchio le sue attività anche se ogni tanto è ancora al centro di qualche controversia o di qualche causa legale. Anche se non è più un ragazzino, il suo carattere non sembra essersi particolarmente addolcito con il passare degli anni. Harlan Ellison ha scritto racconti e sceneggiature di vari generi diversi ma è stato particolarmente influente nel campo della fantascienza. È un autore anomalo sotto vari punti di vista, ad esempio perché ha scritto pochissimi romanzi preferendo decisamente la narrativa breve. Sia come scrittore di narrativa che come sceneggiatore è una parte importante della storia della fantascienza.

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IL venditore dI pensieri usati Le Pietre Magiche D i S h a n n a ra d i T . B rook s

Cari lettori, siamo di fronte a un libro più che godibile. Diciamo che solo l’inizio mi aveva lasciato perplesso, dato che si apre con un albero che sta morendo che, per molti versi, è simile a Telperion, di cui si parla nel “Silmarillon”. Ecco, in quel momento ho pensato “mica si rifarà di nuovo a Tolkien, spero…”, e invece no, perché poi le similitudini spariranno, capiremo che non è lo stesso albero, e saremo tutti più felici. Troviamo, di fondamentale differenza, anche la nascita delle razze, che mentre Tolkien attribuisce al progetti di Iluvàtar, messi a punto, per così dire, coi canti degli Ainur, qui il nostro Brooks dice che uomini ed elfi erano già presenti sulla Terra, e le successive razze sono nate dalla necessità della vecchia razza umana di adattarsi ai cambiamenti dovuti alle grandi guerre che avevano portato alla quasi distruzione del pianeta, con una natura “stravolta fino a diventare irriconoscibile”. La storia è semplice: quell’albero è una specie di barriera che impedisce ai demoni di entrare nel mondo in cui uomini ed elfi convivono più o meno pacificamente con nani, troll, gnomi e altre creature del genere.

Ritroviamo il druido Allanon, per nulla invecchiato nonostante siano passati circa 50 anni dalle vicende narrate ne “La Spada di Shannara”, che convincerà il nipote di Shea e Flick Ohmsford, Wil, ad avventurarsi nel solito viaggio periglioso, assieme all’ultima persona viva degli Eletti dell’albero magico. Ecco, loro due dovranno portare un seme dell’albero fino al punto da cui sgorga la linfa vitale della Terra, immergerlo, e

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tornare indietro per piantarlo, ripristinando la barriera contro i demoni. Peccato solo che l’Eterea (chiamiamo l’albero col suo nome) si indebolisca di molto prima di tutto ciò, e quindi i demoni varcano il portale e si riversano sul mondo. La battaglia che ne consegue è qualcosa di epico e strategicamente interessante, ma non sarà che un diversivo. I demoni che parteciperanno a quella battaglia, infatti, saranno migliaia, supereranno di gran lunga le unità dell’esercito elfo, ma il grosso di loro se ne andrà, di soppiatto, da un’altra parte. In tutto questo trambusto perdiamo di vista chi sta tessendo la trama di tutto questo, il temibile Dagda Mor, che ritroveremo solo alla fine per un motivo che non vi spiegherò né ora né poi. Ma lasciamo stare il capo dei demoni, va’, che dobbiamo seguire il resto della battaglia fra elfi e demoni, perché a sorpresa un esercito di troll farà la sua comparsa. Al fianco di chi non ve lo dico, vi lascio alle vostre supposizioni, ma farà la sua porca figura. Poco si dirà dei troll, ma faranno la loro porca figura, appunto. Direte: “da come ce la stai raccontando, si schiereranno con gli elfi”.

Ma ecco, è proprio questo il punto: voi ancora non lo sapete, voi sapete solo che fra elfi e troll esiste un odio atavico, ed è proprio questo che vi lascia perplessi. Perché potrei stare bluffando, oppure no, a voi scoprirlo. Insomma, da qualunque parte si schiereranno, perché non è detto che sia con gli elfi, faranno grossi danni, visto quanto sono grossi loro stessi. La battaglia infurierà fino alla fine del romanzo, mentre Wil e [omissis] arriveranno nella Malaterra, dove incontreranno altre persone che li seguiranno, e avranno poi a che fare con una strega e la sua gemella, uno dei tre demoni maggiori, svariati sensi di colpa, epperò riusciranno a raggiungere il fuoco di sangue, immergervi il seme dell’Eterea, tornare a casa e risolvere il tutto con abile mossa, con un epilogo che abbiamo già visto nella mitologia greca. Una donna, una pianta… vi ricorda nulla? No? Bene, così non vi ho spoilerato la cosa. Forse. Dipende, non so quanto conosciate i miti greci, ma non è una cosa che mi riguarda. E con questo è (quasi) tutto. A presto, cari lettori!

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VALE PIU' di mille parole BadRoots

ovvero una storia avvincente, e la nascita di un supereroe… GREENFIGHTER. Cosa accadrebbe se le piante e gli esseri vegetali in genere, apparentemente silenziosi, statici e indifesi, si riappropriassero della consapevolezza di prerogative regali, vitali e sacrali che gli appartengono sin dall’inizio dei tempi? E se il mondo vegetale dichiarasse guerra a quello animale e, in particolare, agli esseri umani? E se le piante fossero gli emissari speciali e silenziosi di esseri originari di altri sistemi planetari che osservano e studiano gli esseri umani in attesa del raggiungimento di un livello superiore di consapevolezza? Perché le più potenti agenzie governative segrete di tutto il mondo sono interessate agli esperimenti sui processi di comunicazione delle piante? Cosa si cela dietro il Piano di Riforestazione Globale delle nazioni? L’estinzione dei dinosauri e di molte altre specie di Sanguerosso sulla terra, potrebbe essere stata causata non solo da un improvviso cambiamento climatico, o dalla caduta di un gigantesco asteroide, ma anche da una guerra tra specie, di cui si è persa memoria. Alcuni insetti, appartenenti al periodo Devoniano e congelati nel permafrost dell’Antartide, conservano infatti il ricordo di una battaglia all’ultimo Sangueverde, e all’ultimo Sanguerosso. Difficile, dunque dire se BADROOTS, Cattive Radici © sia una storia fantastica e d'avventura, oppure una storia reale o profetica: resta il fatto, che la resa dei conti tra la stirpe dei Sangueverde (Greenblood) e quella dei Sanguerosso (Redblood) è appena cominciata.

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Nel ventunesimo secolo, sanguinose guerre con pericolose cadute radioattive, disastri ambientali d’origine naturale e provocati da attacchi terroristici, l’inquinamento provocato dai gas di scarico, i disboscamenti incontrollati e incendi di vaste zone verdi, fenomeni climatici estremi, devastanti scosse telluriche, e persino la collisione di due asteroidi sulla terra, hanno prostrato l’umanità: ma non l’hanno vinta. Tra i popoli cresce e si consolida la consapevolezza che il futuro della vita sul pianeta, sempre meno azzurro, è subordinato a una revisione totale delle relazioni internazionali e a rimedi drastici in campo energetico, politico, economico e, soprattutto, ambientale: ripristinare il patrimonio verde delle nazioni e risanare l’atmosfera diventa un “must”. I governi mondiali, comunque prigionieri di un’economia drogata dagli interessi dei potenti, e soggiogata dalle manipolazioni e dai giochi di potere delle lobbies industriali, hanno dunque stabilito sinergie politiche un tempo inimmaginabili (come la sharegovernment law), e, come mai nel passato, hanno finalmente dato corso a discussi programmi di disarmo globale per il miglioramento delle condizioni ambientali nel pianeta. Se da una parte i protocolli di Kyoto 3 e 4 impongono agli stati firmatari l’adozione di azioni correttive e concrete in campo ambientale, dall’altra leggi speciali puniscono severamente i responsabili di crimini ambientali. Così, mentre nei palazzi della

guerra, della politica e delle lobbies industriali si continuano a tramare vendette e ritorsioni contro gli acerrimi nemici, allo scopo di conseguire nuove forme di controllo globale, negli ambienti scientifici e universitari si studiano rimedi per migliorare le condizioni di vita sul pianeta. La Terra, infatti, è malata: occorre ristabilire il giusto equilibrio tra i gas, come l’ossigeno e l’anidride carbonica. Bisogna ridurre drasticamente le emissioni nocive. Secondo gli esperti biologi, climatologi e fisici, le piante e il mondo vegetale in generale costituiscono senza dubbio la risorsa fondamentale e la chiave per garantire un futuro a tutti gli esseri viventi. Gli esperimenti e le ricerche sui vegetali, sulla comunicazione tra le piante, sui loro processi metabolici, e su particolari forme di controllo remoto condotti da un biologo e botanico di fama internazionale, offrono soluzioni per il miglioramento delle condizioni ambientali della terra, ma costituiscono altresì il preludio, più o meno consapevole, per la creazione di “nuove specie”. Le ricerche, però, suscitano anche l’interesse del Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti, dei servizi segreti americani e giapponesi, e di altre organizzazioni terroristiche. L’annunciato Programma di Riforestazione Globale e di disarmo approvato dal Congresso degli Stati Uniti e voluto fortemente dal consesso internazionale in esecuzione ai protocolli di Kyoto 3 e 4, potrebbe costituire in realtà il cavallo di Troia per la realizzazione

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di un subdolo piano per il controllo globale di elementi deviati del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti D’America, nonché di terroristi senza scrupoli vicini alle potentissime lobbies delle armi e dell’energia. Nel frattempo, in un quadrante remoto dell’universo si sviluppa una storia parallela con una cruenta guerra tra i Sangueverde e i Sanguerosso, e con lo sterminio di un pianeta abitato dai Sangueverde. I Sangueverde sopravvissuti devono assolutamente cercare il “Sangueverde Puro”, necessario per la battaglia finale contro i Sanguerosso. Con Badroots, Cattive Radici © si apre dunque una nuova era nel panorama della letteratura fantastica, thriller, spy e d'avventura. Le piante e i vegetali, cioè i Sangueverde, dimostreranno al mondo intero la propria potenza vitale: distruttiva e ricostruttiva. Con “Badroots, Cattive Radici” matura peraltro la consapevolezza che il mondo vegetale ha un ruolo di primaria importanza per il futuro del genere umano: anzi, ne costituisce il comune denominatore. La lotta fra il Bene e il Male, che regge e muove la storia, è dunque giunta alla stretta finale, e presto l’umanità scoprirà la Verità, comprendendo finalmente le ragioni della propria fugace quanto “miracolosa esistenza”… in un’avventura senza fine! John J. Greenflowers


S ka n Cuore di mamma

La strada era ripida e male illuminata. Due figuri, intabarrati, camminavano a fatica sull'acciottolato reso viscido dalla pioggia. Il più alto portava un cappello calcato sul capo. «Che pessima idea!» continuava a ripetere tra sé e sé. «Hai finito?» sbottò quello più piccolo. «Non hai smesso di lamentarti un momento». «Tornare dalla vecchia megera dopo tanti anni. Che senso ha dopo quello che ci ha fatto?» «È vecchia e sola. Vuole vederci un'ultima volta». «Insisto: è una pessima idea». «Insomma! Non le dobbiamo proprio nulla?» disse deciso, ed estrasse dal tabarro l'orologio che portava alla catena. Subito il vetro s'imperlò di goccioline. «Ci aspetta, affrettiamoci!» Giunsero alla casa in cima alla salita e si fermarono di fronte all'uscio. «Chi bussa?» chiese lo spilungone. «Fifone! Ho sempre dovuto farti da balia». Mentre stava alzando la mano per colpire la porta, un lampo illuminò a giorno

Il Lato Oscuro

la facciata dell'edificio e la serratura scattò. Quando il fragore del tuono li investì, la porta si spalancò. «Era aperto», constatò stupito il piccoletto, ma quando si voltò, s'accorse d'essere rimasto solo. Di fronte a lui s'apriva l'atrio della vecchia casa. All'interno s'intravedevano le scale che portavano al piano superiore, mentre un candeliere appeso al soffitto oscillava mosso dal vento. Le deboli fiammelle non tardarono a spegnersi. "Devo farmi coraggio", pensò. Un chiarore filtrava da una porta semiaperta in cima alle scale. Aiutato dal bagliore dei lampi, cominciò a salire. Lo scricchiolio delle assi era minaccioso, ma continuò un gradino alla volta finché non fu in cima. «C'è nessuno?» chiese con un filo di voce. Non ottenne risposta. Si sporse oltre la soglia e scrutò con attenzione. Il chiarore proveniva da un camino acceso. Di fronte a esso, su una sedia a dondolo, una figura di spalle oscillava avanti e indietro, con estrema lentezza. «Mamma?» osò chiedere. «Siete puntuali, bravi», rispose una voce femminile, anziana. Quindi pronunciò altre parole ad alta voce,

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terribili, arcane, incomprensibili. Dopodiché si alzò a fatica e aggiunse: «tra poco sarà tutto finito e finalmente resterete con me, per sempre», infine si voltò e stupita disse: «ma dov'è tuo fratello?». Il piccoletto, inorridito dalla visione di quel volto emaciato, sussurrò: «È scappato...» «Ero stata chiara! Volevo entrambi! Volevo che...», ma in quell'istante un fulmine attraversò il camino e un boato assordante investì il piccoletto che venne colpito dalla scarica. Quando riprese i sensi, si sentiva sballottato. Era a testa in giù e vedeva i tacchi d'un paio di scarpe che correvano, illuminate dai bagliori d'un rogo. Poi venne scaraventato con la schiena nel fango. Riaprì gli occhi e vide sopra di sé il fratello, trafelato. «Co... cos'è successo?», chiese tramortito. Alle spalle dello spilungone il vecchio edificio bruciava. «Un fulmine! Ero fuori, nascosto. A un tratto ha colpito la casa!» «E tu mi hai salvato?» «Lei era avvolta dalle fiamme. Non ho potuto fare nulla. Siamo di nuovo soli: io e te».


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S k a n n a t o i o e d i z i o n e XXX U n r e s p i r o p r o fo n d o r o s s o

Dopo aver martoriato gli autori con un incipit appositamente spinoso, questo mese il Master mischia le carte, in un sacco di sensi. Sentiamo dalla sua viva "voce" cos'ha in serbo. LE SPECIFICHE Lunghezza totale. Minima: 5.000 caratteri. Massima: 25.000 caratteri (spazi inclusi). Tolleranza 10%. Genere: vedere le particolarità dei racconti. Particolarità: a) Questo mese, l'unica specifica che dovrete soddisfare sarà quella di mischiare i generi. Cosa intendo con "mischiare i generi"? Intendo che storia, ambientazione, elementi specifici, personaggi, dovranno appartenere necessariamente a due o più generi diversi. Per esempio, potete scrivere un racconto giallo ma ambientato nel mondo delle fiabe (come "cappuccetto rosso e gli insoliti sospetti"), oppure un horror con personaggi e ambientazione spaziale (come "alien"), o un racconto erotico/comico ad ambientazione e personaggi horror (come "zombie stripper"), o un racconto dalle dinamiche fantasy ambientato nello spazio (come "guerre stellari"), o un racconto giallo con atmosfere ed elementi horror (alla "dylan dog"), eccetera. NON fate i furbi prendendo, per esempio, dinamiche da un genere e ambientazione da un altro in modo che l'ambientazione del secondo sia identica o analoga a quella del primo, altrimenti non ci sarebbe sfida. Per esempio, non mi mischiate trama gialla con ambientazione da racconto realistico perché sarebbe una presa in giro dato che hanno di base la stessa ambientazione. Esistono generi come, per esempio, lo urban fantasy che sono così per definizione, sono ovviamente ammessi, anche se vi esorto a essere più originali.

Esempi (non vincolanti, son solo spunti, ma se voleste potreste utilizzarli, ve li regalo) di combinazioni possibili sono: Elfi in una battaglia spaziale; il detective Treant e il mistero della ghianda scomparsa; %0 sfumature di tungsteno (Amori feticisti tra umani e robot); Cappuccetto rosso e l'invasione degli zombie mangiatorte; raggi laser su insettopoli; troll vittoriani steampunk; Krutt e la clava laser vs il tirannosauro zombie; assassini robot e mantidi religiose ninja contro pirati zombie eccetera. Unico paletto è che, nella vostra storia, almeno uno tra ambientazione, dinamiche, elementi presenti e personaggi sia mutuato da uno dei seguenti generi: horror, giallo, fantascienza, fantasy, mistery, thriller. LE COCCARDE

Questo mese saranno assegnate 4 coccarde: 1) La coccarda "rabbia esplosiva" alla migliore invettiva. Volgare o no, feroce o no, cinica o no, divertente o seria, non importa, basta che coinvolga una persona incazzata e sia gustosa da leggere. Valore: 2 punti 2) La coccarda "XXX" alla migliore scena erotica. Seria o comica, feticista o romantica, autoerotica o di gruppo, non importa, basta che sia efficace nell'economia generale del vostro brano. Valore: 2 punti. 3) La coccarda "migliore arma" all'arma più creativa che mostrerete usata nei vostri racconti. Non importa se sia efficace o meno, se sia ad alta tecnologia o meno, non importa che sia neppure una vera arma, basta che sia usata come tale o che sia esplicito che possa essere usata come tale. Per soddisfare i requisiti della coccarda, l'arma non deve per forza uccidere qualcuno, basta che sia usata. Valore: 2 punti. 4) La coccarda "ti senti bene, amico?" al racconto che conterrà il personaggio con il tic nervoso più caratterizzante e funzionale alla trama. Valore: 3 punti.

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S ka n Il nettare migliore

L'acqua della condensa scivolava sui muscoli tesi. Caio prese un respiro profondo riempendo i polmoni di vapore e rilassò le spalle. Le corde non gli permettevano altri movimenti, deglutì facendo muovere il collare di cuoio. «Ma come diavolo fai? Io non riuscirei a muovere le spalle per tre giorni.» Il ragazzo si sfregò le mani, poi le batté sulle cosce. Strinse l'ultimo nodo e fissò le corde alla colonna di marmo chiaro, obbligando Caio in ginocchio: il corpo proteso in avanti e le braccia bloccate dietro la schiena. Gli avambracci legati tra loro da decine di nastri annodati. Caio sorrise, gli occhi dal taglio orientale fissi sulla porta, mentre altri due ragazzi prendevano posto nella vasca colma d'acqua profumata. Nevio strinse la frusta, che avrebbe dovuto usare di lì a poco, per le cinghie. Con il manico seguì la linea della schiena del ragazzo legato, si fermò alla cintura e aprì il palmo. Caio non si mosse, né mutò espressione. «Se vuoi toccarmi devi pagare, invertito.» L'altro alzò le mani davanti a sé. «Non userei un tono tanto dispregiativo. Ti ho visto ieri l'altro con Marco.» «Quello era un desiderio della mia signora.»

Silvana entrò in quel momento. «È per questo, Nevio, che lui è il mio gioiello.» Oltrepassò la sauna con ampie falcate e raggiunse il ragazzo legato, senza degnare gli altri. Gli passo le dita tra le ciocche corvine e le scompigliò. «La marchesa Greco sta per arrivare con i suoi ospiti.» Serrò la presa e gli strattonò il capo indietro. «La sua serata deve essere perfetta e tu sei il suo regalo. Loro sono solo un riempitivo.» Si accovacciò rimanendo in equilibrio sui tacchi vertiginosi, senza mollare la stretta e gli leccò le labbra disegnate. «Non deludermi.» Sussurrò. «No, signo...» Non poté terminare la frase perché lei gli aveva serrato il labbro superiore tra le sue e aveva preso a succhiarlo. Lo morse subito dopo, con forza, strappandogli un mugolio sommesso. La mano destra a cercare quell'erezione che sapeva di aver stimolato. «E bravo il mio porcellino, così mi piaci.» Massaggiò il membro ormai turgido ancora qualche secondo senza smettere di guardarlo negli occhi, poi si alzò. La luce ambrata delle lampade a olio vibrò nei riflessi della vasca. Silvana concesse agli altri otto solo un'occhiata. «Claudio, i pantaloni devono essere più bassi in vita, hai degli addominali fantastici, falli vedere. Marco fatti ungere meglio il petto, abbiamo meno di dieci minuti.»

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Toccò l'acqua della vasca e si avvicinò alla porta, si voltò verso di loro, sull'uscio. «La Marchesa ha pagato per tutta la notte, è bene che sappiate che i suoi ospiti sono sia umani che frisii. Chi ha qualche riserva a riguardo è bene che se ne vada subito.» Uno dei due ragazzi nella vasca accennò un movimento ma si bloccò allo sguardo divertito di lei. «È ovvio che chi rinuncia, non è adatto a lavorare per la mia casa.» Silvana attese che il ragazzo tornasse a fissare l'acqua. «Ecco, bravo. Non devo ricordarvi quanto la Regina tenga in considerazione la Marchesa Greco, né il suo peso in Consiglio. Deludetela e non troverete lavoro nemmeno alle latrine pubbliche. » Abbracciò con lo sguardo gli altri e uscì. Il quartetto d'archi sfumò le ultime note di "Der Tod und das Mädchen" mentre la frusta si abbatteva sulla pelle di Caio. Lo schiocco fece voltare di scatto uno degli ospiti frisii. Roteò la testa fino alla schiena e sorrise, scoprendo le due lunghe file di denti inferiori. «Lo spettacolo è già iniziato Carina?» Non attese la risposta, diede una pacca leggera sulle terga del ragazzo che lo stava intrattenendo e lo spintonò in avanti. «Rimani così, puttanella, più tardi potrei avere ancora voglia di te.» Raggiunse la marchesa nella vasca. Prese due calici dal bordo e ne offrì


uno alla donna. «Avevi ragione, è bello da togliere il fiato. Il console sarà lieto di apprendere con quanta cura tu ti sia dedicata al nostro intrattenimento.» La donna alzò il bicchiere e invitò l'aguzzino a proseguire. Nevio annuì con piccoli gesti sincopati, si sfregò le mani, facendosi scivolare il frustino. Batté le mani sulle cosce e si inginocchiò a riprenderlo. Si scusò con un inchino maldestro e vergò il secondo colpo. Caio inarcò la schiena in modo teatrale e gemette. Si mordicchiò il labbro inferiore subito dopo continuando a fissare la marchesa Greco negli occhi. Scrollò il capo e riprese a guardarla. La donna strinse le labbra e le cosce. «Ancora.» Sussurrò. Richiamò uno dei ragazzi in acqua, con un gesto. Lo fece appoggiare al bordo della vasca, quasi senza guardarlo e con una pacca confidenziale invitò il dignitario frisio a continuare, con lui, quello che aveva interrotto per raggiungerla. «Puoi dire al console allora, che quando deciderà di avallare il mio progetto edilizio nelle terre Frisie, potremmo venire a festeggiare qui.» Afferrò il collare del ragazzo dalla pelle scura davanti a loro e lo fisso a uno dei ganci sul bordo della vasca. «Prego, amico mio.» Il frisio non se lo fece ripetere e lo arpionò per i fianchi con entrambe le mani superiori, mentre con le inferiori indirizzava il proprio sesso squamoso dentro di lui. Altre due donne erano entrate in acqua, entrambe attempate.

Coetanee della marchesa. «Carina, non vorrai solo farlo frustare questo Adone?» Chiese la prima ad averla raggiunta. «Ci sono talmente pochi maschi decenti in giro, deturparne uno tanto bello è un sacrilegio.» La marchesa sorrise, senza distogliere lo sguardo. Batté le palpebre al quarto colpo. «Credo che a lui piaccia.» «Se devi sprecarlo così me lo prendo io.» Incalzò l'altra. Sorrise ancora e terminò il proprio liquore. «Neanche per sogno, ho prenotato gli altri per voi. Fate come M'ket e divertitevi. Lui è mio.» Si levò con uno scroscio. Prese un coltello dal tavolo del buffet e tagliò le corde che legavano Caio alla colonna. «Mia signora...» Sussurrò lui, senza mascherare una nota d'affanno nella voce. Lo zittì con uno schiaffo. «Non ti pago per parlare. Ma ti darò modo di usare la lingua.» Gli lasciò le braccia legate, ben strette dietro la schiena, prese la catenella dorata appesa al collare e lo invitò a seguirla. Nella grande sauna, il vapore ormai serviva solo a creare atmosfera e a inumidire i corpi dei giovani intrattenitori. Lo strattonò fino a una nicchia sul lato lungo della stanza, tirò le tende color ecrù alle sue spalle, non appena anche Caio fu entrato e si accomodò tra morbide spugne egiziane. Il quartetto aveva ripreso a suonare, coprendo lo sciabordio dell'acqua e le risate sguaiate delle ospiti più disinibite. Con uno strappo secco della catena

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lo fece inginocchiare tra le proprie gambe divaricate. «Mi sei costato una fortuna, vediamo se ho speso bene i miei soldi.» Lui sorrise, la guardo dal basso: occhi da demonio tra le ciocche bagnate, poi affondò la lingua tra le labbra gonfie e pulsanti. Con lunghe pennellate calde, la insinuò in ogni piega del fiore, ormai dischiuso. Aumentò il ritmo quando la donna tirò la catenella, spezzandogli il fiato. Lei inarcò la schiena e strinse il telo tra i pugni. «Lo sapevo...» Sussurrò. Sollevò una gamba e poggiò il tallone sul tavolino da té, permettendogli di scavare più a fondo nella sua intimità. Si abbandonò a una risata tremula quando la barba di qualche giorno le graffiò la pelle. «Maschi... Buoni solo per la fatica e la fica. Domani avrò un'altra noiosissima riunione con quelle invasate che ritengono abbiate i nostri stessi diritti.» Frugò con la destra sul pavimento e prese le sigarette. «Alzati, voglio scioglierti le braccia, avrò bisogno di tutto il rilassamento possibile per sopportarle.» Il ragazzo sollevò il viso, le labbra e il mento bagnati e un sorriso malizioso. «Posso rilassarvi molto meglio così.» La donna gli poggiò un piede sulla clavicola e lo spinse indietro con forza. Si levò a sedere e gli assestò un altro schiaffo. «Ti ho già detto che non devi parlare.» Quando M'ket discostò le tende, Caio era ancora in ginocchio, il viso premuto tra le


cosce della marchesa e le braccia, ormai libere, distese sulle gambe di lei. La donna spense sul polso del ragazzo la sigaretta che aveva tra le dita. Lui strinse il pugno e aumentò il ritmo, abbracciando il clitoride tra labbra e lingua. Una nuova bruciatura. Carina tremò, percorsa dal brivido che la reazione di lui le aveva offerto. «M'ket, amico mio. Cosa c'è?» Il frisio fece scivolare a terra il telo che aveva in vita e si inginocchiò dietro al ragazzo. Percorse con due dita uno dei segni della frusta, poi ci affondò le unghie, strappandogli un rantolio smorzato. «Lasciami fare, Carina. Non vorrai tenerti il meglio tutto per te?» Caio sussultò, si voltò subito dopo. La donna lo richiamò all'ordine con uno strattonata della catena. «Spiacente M'ket, sceglitene un altro. Questa è una cosa a due.» Il dignitario frisio mascherò con un sorriso una nota di rammarico, ma non accennò ad alzarsi. Strinse i fianchi del ragazzo, invece, traendolo a sé. «Non avevi detto che potevo sentirmi a casa mia? Che i miei desideri erano ordini?» «Quando questo non cozza con i miei. Ora, fai il bravo, M'ket, lasciaci, mi stai facendo passare tutta l'euforia.»

*** L'urlo rimbalzò nelle pareti color albicocca, altri gli fecero eco subito dopo. M'ket afferrò Caio per il collare e lo sbalzò indietro, scaraventandolo fuori dalla piccola alcova. Il corpo di Carina Greco sussultò un paio di volte, percorso da lunghi tremiti, poi si fermò tra i teli imbibiti di sangue. Dalla bocca semiaperta gorgogliava una densa schiuma scarlatta. «Che cosa le hai fatto?» Sibilò il frisio esponendo i canini. Caio si rialzò e sciolse dal braccio destro gli ultimi nodi. «Niente...» sussurrò «... Eravate qui anche voi. A un certo punto ha iniziato a tossire e...» Silvana spalancò la porta, al suo fianco un agitato Nevio che non smetteva di sfregarsi le mani. «Signori? cosa è successo?» «Ha ammazzato Carina!» Grido M'ket ancora accovacciato accanto a lei. Gli ospiti e gli altri ragazzi si erano avvicinati alla nicchia. Solo un paio di loro si erano spostati accanto a Caio. Lo sguardo della padrona della Maison saettò sui visi sconvolti, sul corpo della sua miglior cliente: nuda, la gamba destra sul tavolino da tè e la mano ancora abbandonata sul pube. «Claudio coprila con un telo pulito, ma non muoverla.

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Marco vai a chiamare la dottoressa Calvi. Signori vi prego, seguitemi in un'altra sala.» Con un cenno del capo richiamò l'attenzione di Nevio. «Accompagna Caio in camera sua e rimani con lui. Tutti gli altri aspetteranno nelle proprie stanze. Non una parola con anima viva.» *** Caio strinse la caraffa con la destra che tremava in modo vistoso e versò l'acqua nel catino smaltato. Vi sprofondò il viso, poi se lo massaggiò con entrambe le mani e si sedette sul proprio letto. «Caio, che cazzo hai combinato?» «Anche tu? Niente!» Scaraventò a terra la consolle con un calcio. «Niente di niente!» Urlò. «Cos'è? avete cambiato gioco e non ti sei regolato?» Nevio si sfregò le mani con tanta veemenza da farsi male. L'altro sollevò lo sguardo dal pavimento, un'espressione stupita dapprima, annoiata subito dopo, gli deformò il volto. «Tu non capisci un cazzo di donne. Non era tipa da "cambiare gioco".» Sprofondò la testa tra le mani e se la massaggiò. «Ha continuato a farmi male, è questo che le piaceva.» Allungò le braccia davanti a sé. I polsi e l'incavo dei gomiti segnati da decine di bruciature, piccole e tonde. «E anche a me, se vuoi sa-


perlo.» Nevio diede un calcio al puff di cammello che aveva davanti e continuò a urlare, si sfregava le mani tanto in fretta da far rumore. «Comunque, stava bene prima di appartarsi con te! È già tanto difficile per un uomo trovare un lavoro ben pagato. Ci stai incasinando tutti, con le tue manie da sodomita!» «Masochista. Coglione, ignorante. Tra noi due sei tu quello che preferisce la spada al fodero.» *** «È difficile Silvana, per quanto vedo potrebbe essere stata avvelenata. Dobbiamo chiamare la gendarmeria.» Il tono della dottoressa Calvi era asciutto. Ripose uno strumento color ottone nella borsa di cuoio, avendo cura di fasciarne le grandi lenti opache, prima. L'altra tamburellò le unghie laccate di rubino sulla parete dell'alcova. «Di Caio mi fido ciecamente, come se fosse una donna. Portare la gendarmeria qui dentro creerebbe uno scandalo da cui sarebbe difficile slegarsi.» Si voltò e osservò la sauna con attenzione. Il tavolo del buffet era stato saccheggiato, i vini e i liquori quasi finiti. Drappi e cuscini erano sparsi ovunque: in piccoli mucchi distinti. «Analizza i cibi e le bevande, quello che è ri-

masto almeno.» Accanto al corpo di Carina un portacenere di metallo brunito pieno di sigarette accese e spente quasi intere. Silvana ne sfiorò una. «Su queste ci ha appena appoggiato le labbra, le ha usate per altro. Però tu controllale comunque.» Con un gesto indicò un bicchiere vuoto e un piatto da cui era stata piluccata dell'uva. «Anche questi.» «Non troveremo nulla, se il veleno fosse stato nei cibi avremmo avuto più cadaveri a cui pensare.» Silvana agitò le mani, facendo tintinnare i numerosi bracciali. «E allora analizza quello che ti pare, ma trova una soluzione che non mi metta nei guai!» «Il dignitario frisio dice che Caio è stato l'unico a rimanere solo con lei. Riferisci questo alle autorità e tu ne esci pulita. È solo un uomo in fondo. Chi crederebbe alla sua versione dei fatti, semmai riuscisse a formularne una!» «In che modo il fatto che uno dei miei dipendenti abbia ammazzato, nella mia casa, una delle imprenditrici più facoltose della città, nonché consigliera della Regina, me ne farebbe uscire pulita? Ci lavorano solo uomini qui dentro. Già mi danno della suffragista, ci mancava solo che la maggiore sostenitrice della separazione dei sessi, crepasse nella mia sauna!»

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«Allora diamo la colpa al frisio. Con il clima che c'è in questi giorni, l'opinione pubblica sarebbe tutta dalla tua parte.» «Comunque bisognerà avvisare le autorità... Ed era quello che volevo evitare.» *** Il piccolo aerostato galleggiava a poche decine di metri dal tetto della Maison di Silvana. Le insegne della regia milizia, troneggiavano sul pallone color avorio, tra le vele in metallo brunito. Una decina di gendarmi scivolò sulla corda tesa dal velivolo al terrazzo al secondo piano. Dove li stava attendendo la padrona di casa. Il più alto in grado, l'unica donna, la salutò con eleganza. «Signora. Abbiamo ricevuto il messaggio, lo abbiamo telegrafato anche all'ambasciata Frisia, di questi tempi capirà, con la firma dell'armistizio alle porte, è meglio muoversi con cautela. Dov'è la vittima?» Nella via sottostante due squadriglie di rumorose motociclette borbottavano, ferme. Spruzzavano densi fiocchi bianco latte, dalle caldaie rimaste accese. I gendarmi in tenuta antisommossa avevano circondato il palazzetto vittoriano. Altri, pochi isolati più avanti, convogliavano il traffico in vie limi-


trofe. «La marchesa si stava intrattenendo con un uomo?» Chiese il capitano, guardando il corpo senza vita da un paio di metri di distanza.» «Si, con uno dei miei lavoranti. C'era anche uno dei suoi ospiti frisii con loro. Volete parlarci?» Il militare slacciò il primo bottone della divisa. «A che pro? I frisii che sono qui godono dell'immunità e il vostro lavorante è solo un maschio. Troppo stupidi per sostenere un interrogatorio.» Con un gesto delle prime due dita richiamò l'attenzione di uno dei suoi soldati. «Chiama il medico legale.» Si rivolse di nuovo alla padrona di casa. «Mandate a chiamare tutti gli uomini impiegati per la serata, li tradurremo in carcere preventivamente. In attesa del referto. Immagino che le sue ospiti possano lasciare la casa, prenderemo i loro nominativi e se avremo bisogno delle loro deposizioni le contatteremo.» *** Nella cella numero settantadue del carcere maschile di Sua Maestà Elena di Savoia, otto dei nove detenuti stavano dormendo. Caio era seduto sul davanzale della grande finestra priva di vetri. Un braccio penzoloni, fuori dalle sbarre e lo sguardo

perso nella via sottostante. Tra le volute di vapore e gli sbuffi delle caldaie delle automobili, decine di donne bene abbigliate animavano la notte romana. Qualche volantino suffragista, inneggiante al diritto di voto per gli uomini, danzava con le foglie secche, al ritmo dei refoli autunnali. Una donna dalla voce squillante presentava i suoi meretori. Due ragazzi allampanati appoggiati al portone del suo lupanare, spacciandoli come i migliori sulla piazza. Caio sorrise. Gettò un'occhiata alle brande, poi infilò in bocca le prime due dita di entrambe le mani. Grattò qualche secondo, contenendo un conato e arpionò la pellicola sulla lingua con l'unghia dell'indice. Sfilò la sottile pergamena. Ne afferrò una punta e la estrasse. Si succhiò la lingua subito dopo e deglutì un paio di volte poi espose il cappuccio trasparente alla luce esterna, srotolandolo sulle dita. Le microcapsule si erano tutte aperte, e tutte nel verso giusto. Sfiorò i punti dove la gomma era sollevata. La schiaccio tra le dita accertandosi che fossero vuote, ma in fondo lo sapeva già. La marchesa era morta e lui era vivo, aveva funzionato a dovere e il veleno si era sprigionato solo quando aveva esercitato la

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massima pressione con la lingua. Osservò ancora l'oggetto in controluce, lo appallottolò e lo ingoiò un momento prima che la porta venisse aperta. La guardia carceraria picchiò contro le sbarre con l'elsa del pugnale, svegliandoli gli altri. «La marchesa è stata colta da aneurisma, almeno e quanto ci hanno comunicato...» Si voltò verso il corridoio e abbassò io tono di voce, «... non posso certo dispiacermene. Senza di lei in Consiglio, forse avremo qualche diritto in più. Finalmente. Comunque non c'è nessun motivo di trattenervi, siete liberi di andarvene.» La Maison era a poche centinaia di metri, i nove prosciolti decisero di percorrerli a piedi. Caio si distacco dal gruppetto di qualche passo, abbastanza lontano da non essere costretto ad ascoltarne le bizzarre congetture. Un volantino, di quelli che aveva visto fluttuare poco prima, volò tra i suoi piedi. Si chino e lo raccolse. Lo lesse con attenzione, quasi non fosse stato proprio lui, pochi giorni prima a redigerlo, nel retrobottega dell'osteria "La Clarissa". Sorrise, lo appallottolò e se lo gettò alle spalle.


S ka n La casa nel bosco

La casa gemeva nel vento di quella notte di ottobre con scricchiolii sinistri. Aaron sedeva nel soggiorno alla fioca luce del caminetto. Sfogliava un piccolo libro odoroso di muffa, riuscendo per il momento a tenere la mente occupata. Sul tavolo accanto alla poltrona c'era un cofanetto circondato da una manciata di carte ingrigite dal tempo. Nessuno, dai genitori agli amici, era stato favorevole al suo progetto di trasferirsi in quella vecchia casa isolata dal mondo, ma lui stava bene in quella stanza dalle pareti in mogano. «Peggiorerai solo le cose» gli aveva detto sua madre tra le lacrime, «devi stare in mezzo alla gente, tra chi ti vuol bene. Laggiù non c'è nulla per te... solo silenzio e solitudine...» Aaron aveva scosso la testa con un sorriso. Lei non avrebbe mai potuto comprendere. Nemmeno lui, per la verità, era certo di capire le ragioni del proprio cuore. Sapeva solo che si sentiva soffocare al solo pensiero di essere in un gruppo di persone che ne contasse più di un paio. Forse la sua ansia scaturiva dal ricordo delle folle innumerevoli che lo attorniavano a ogni carica; folle che

si assottigliavano a ogni passo, lasciandosi dietro solo morte e devastazione. Ogni notte sognava la guerra e i suoi orrori; le urla dei feriti e i fischi dei fucili; i rombi dei cannoni; e gli occhi vacui di suo fratello Alec, spirato fra le sue braccia sull'erba cremisi di un prato accanto a Gettysburg. Doveva dimenticare tutto questo, o non avrebbe avuto la forza per andare avanti. E sapeva che non ci sarebbe riuscito, se non si fosse isolato dal mondo, affrontando da solo i propri demoni una volta per tutte. Quel vecchio rudere era stato costruito dal suo bisnonno, James Leighton, nel 1794. Lo aveva eretto come regalo per la moglie, ma la coppia felice aveva potuto godere poco della nuova magione. La bisnonna era morta di parto dando alla luce il nonno di Aaron poche settimane dopo il trasloco e James l'aveva seguita poco dopo per una febbre improvvisa. Da allora la casa era rimasta vuota, dato che nessuno degli eredi che si erano succeduti negli anni aveva desiderato vivere in mezzo al nulla, a diverse miglia dal primo, minuscolo agglomerato di abitazioni. Ma per Aaron poteva essere la chiave per la salvezza. E così due settimane prima aveva fatto i bagagli e vi si era trasferito. Ad accoglierlo c'erano stati decenni di polvere e incuria, ma la cosa non lo

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aveva spaventato. Occuparsi della casa, rimetterla in sesto e darsi da fare per costruire un porto sicuro per sé stesso poteva essere terapeutico. Almeno avrebbe avuto la mente impegnata in qualcosa. Quel pomeriggio, rovistando nella cantina ricolma di cianfrusaglie inutilizzabili e pezzi di mobilio ormai marcito, aveva trovato un bauletto. Dentro c'erano libri, ricami ingialliti, pile di fogli per lo più ormai illeggibili e un paio di soprammobili. Aveva portato in salotto il cofanetto e si era messo a rovistarvi dentro, con la curiosità innocente di un bambino in una caccia al tesoro. Lo colse ora un brivido freddo, e spinse la pesante poltrona più vicino al fuoco. Nel farlo urtò il tavolino, e il baule, con tutto il suo contenuto, si rovesciò a terra. Imprecando, fece per alzarsi a risistemare, ma sentì una voce alle sue spalle e un lieve tocco sul collo. «Chi va là?» urlò, alzando il libro che teneva in mano a mo' di arma. La sala era vuota. Forse era stato un insetto. Una mosca che si era posata sul suo collo. Sì, ma la voce? Aaron cercò di non pensarci e si inginocchiò sul pavimento. Stava raccogliendo una statuina di porcellana che, nella caduta, era rimasta decapitata, quando udì nuovamente la voce. E questa volta ne distinse le parole.


«Ho bisogno di te». In quel mentre, un refolo di vento si insinuò nella stanza, forse dalla cappa del camino, e smosse tutte le carte che ancora erano sul pavimento. Una di esse volò verso di lui e gli si posò in grembo. Aaron prese il foglio e lo avvicinò al viso. Nel bagliore del fuoco vide che si trattava di un piccolo ritratto a carboncino. Vi erano due figure. Sulla sinistra, una giovane donna dalle fattezze splendide. I capelli erano raccolti in una crocchia e alcuni ciuffi ribelli scendevano in fitti riccioli ai lati del viso. Gli occhi erano neri e penetranti e le labbra dischiuse in un sorriso malizioso. Ma fu l'uomo sulla destra, vestito con una giacca dal bavero alto molto simile a quella che aveva visto spesso indossata da suo nonno, ad attirare la sua attenzione. Anche se il volto non era del tutto visibile, dato che teneva lo sguardo rivolto verso la fanciulla, non c'era possibilità di errore: quell'uomo era indiscutibilmente lui stesso. «Che diavoleria è mai questa?» sbottò alzandosi in piedi. In quell'istante, vide baluginare qualcosa con la coda dell'occhio. Si voltò e si trovò di fronte la donna del dipinto. Diafana, quasi del tutto trasparente, ma senza dubbio lei. «Amore mio» disse questa, la sua voce flebile come quella

di una bambina, «finalmente sei tornato...» Aaron sentì l'impulso di fuggire urlando, ma qualcosa nello sguardo della giovane lo incatenò e lo spinse a rimanere. «Chi sei?» chiese. La bocca di lei si piegò verso il basso e gli occhi si riempirono di angoscia. «Non ti ricordi? James... non ti ricordi della tua Elizabeth?» James... era il nome del suo bisnonno. Ma certo. Era lui l'uomo del ritratto. D'accordo , pensò, questo spiega la somiglianza. Ma ricordava che la sua bisnonna si chiamasse Josephine... Elizabeth si avvicinò a lui e gli sfiorò una guancia. «James... mio amato, mio diletto... quanti anni ho trascorso in attesa di vederti ancora... e tu ti sei scordato della tua bella?» «Io... non so di cosa tu stia parlando» balbettò Aaron. «Per la verità non sono nemmeno certo che tu sia qui per davvero». Si appoggiò alla parete e mise una mano sulla fronte. «Ma certo. È un sogno. Non può essere altrimenti». Era sconvolto, sì; ma anche sollevato.

ancora il libro nella mano destra. Lo posò sulla mensola del camino e fece per uscire. «Non so se tu sia un sogno o se io sia del tutto impazzito» disse, «ma non voglio avere niente a che fare con te. Ora ti prego...» ...vattene e lasciami in pace. Questo avrebbe voluto dire. Ma quando incrociò gli occhi di lei, fu come se ogni volontà lo abbandonasse. La ragazza fece un passo verso di lui e gli prese le mani. Aaron vide comparire di fronte a sé un fitto bosco. Forse era quello che si estendeva dietro la casa? Da quando era arrivato non vi si era mai inoltrato. Ricordò che aveva fama di essere infestato da spiriti maligni che avevano ucciso o reso folli diverse persone nel corso degli anni; il fantasma di fronte a lui era forse uno di loro? La visione del bosco era diafana come la donna che l'aveva evocata; Aaron scorgeva ancora le pareti in mogano e la cassettiera e la libreria, ma l'illusione era forte e gli pareva di trovarsi davvero tra gli olmi e i larici là fuori. Elizabeth lo condusse attraverso i tronchi nodosi, oltre un piccolo ruscello, e lì Aaron Almeno per una notte non so- vide due corpi avvinti gnerò corpi dilaniati dai sull'erba. cannoni. . . L'uomo aveva le mani «Liberami» disse Elizabeth, avvinghiate nei capelli di lei, «e finalmente potremo stare che gli riempiva il viso di bainsieme per sempre. Ho biso- ci pieni di passione. I corpi gno di te, James». nudi si muovevano sinuosi Aaron si accorse di tenere nella penombra. La luna

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apparve nel cielo illuminandoli e Aaron notò senza stupore che si trattava dei due giovani del ritratto. Elizabeth e il suo bisnonno James. No. . . non il bisnonno. Sono io.

Assistette all'amplesso, incapace di distogliere lo sguardo. Gli pareva di rivedere una scena già vissuta, come se quel ricordo non fosse della donna misteriosa, ma suo.

Sono io. Sono davvero io. Ora. . . sì, credo di ricordare. . .

Infine gli amanti si stesero ansimanti uno accanto all'altra sull'erba. «Amore mio» disse Elizabeth, mentre con una mano si ravviava i capelli sudati, «quando potremo fuggire?» «Aspetta che Josephine abbia partorito, mia diletta» rispose lui. «Non potrei abbandonarla proprio ora. Ma manca poco ormai. E allora verrò a prenderti e fuggiremo lontano. Saremo solo tu e io, e a quel punto non mi importerà più nulla del Paradiso, perché lo vivrò con te ogni giorno». La scena, a quel punto, cambiò. Elizabeth correva in mezzo al bosco, il volto tumefatto e carico di terrore. Stava fuggendo da qualcosa. O meglio da qualcuno: un uomo bruno che apparve dietro di lei e che le si avvicinava sempre più. A un tratto lei inciampò e cadde. L'uomo le fu sopra. La rivoltò perché lo guardasse in faccia e le asse-

stò un manrovescio. «Brutta sgualdrina!» le urlò. «Ti prego, marito... lasciami spiegare». Ma lui non le concesse un tale privilegio. Raccolse una pietra e la colpì al viso. Una volta, due, tre... Aaron gli urlò di fermarsi. Lascia stare la mia Elizabeth! Ma era solo una visione, un ricordo. E lui non poteva fare nulla per cambiare ciò che era stato. Un istante dopo il bosco era sparito, ma nel suo cuore era nata un'angoscia che ricordava di aver provato solo alla morte di Alec. «Cosa ti ha fatto, cuore mio?» disse a Elizabeth. Cadde sulle ginocchia mentre lacrime di disperazione gli rigavano le guance. «Non importa ora, mio amato» disse lei. «Non ora che sei tornato da me. Puoi ancora liberarmi. Lui mi ha lasciata là, in mezzo al bosco. Io sono morta pensando a te, invocando il tuo nome nella mia anima che ho votato a te per l'eternità. Se ora tu verrai al mio luogo di sepoltura, potrai farmi rivivere. E allora avremo il nostro Paradiso...» «Lo farò, amor mio. Conducimi là dove riposi e mi avrai per sempre». Il bosco era freddo e umido per la pioggia caduta quella mattina. Elizabeth lo conduceva per mano e Aaron sentiva di ricordare quei luoghi, mentre la seguiva recando con sé una pala e un vecchio

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lenzuolo; provava la sensazione di un ritorno a casa dopo decenni di lontananza. Prima di lasciare la casa, aveva preso il ritratto e lo aveva riposto al sicuro nel taschino della giacca. Finalmente, dopo molto camminare, i due giunsero al luogo dell'atroce omicidio. «Scava qui» disse lei. Lui prese la pala e iniziò a scavare. Il mucchio di terra che si formava ai lati della fossa cresceva sempre più, ma ancora non c'era traccia di alcun corpo sotterrato. A un tratto la lama cozzò contro qualcosa di solido e produsse un rumore metallico. «Cosa diavolo?...» Aaron si chinò e allargò il buco con le mani. C'era qualcosa di simile a una lastra di metallo. Allungò il braccio e posò il palmo della mano sullo strano oggetto. A un tratto la sostanza sconosciuta si illuminò di un bagliore bluastro e il terriccio intorno al buco prese a tremare. Era come se con il suo scavare Aaron avesse risvegliato un drago sepolto che ora si stesse sforzando di tornare in superficie. «Elizabeth, cosa...?» mentre pronunciava queste parole, sentì come se si fosse risvegliato da uno strano sogno... o da un incantesimo. Ricordava tutto ciò che era accaduto, ma quella sensazione di vivere un ricordo era d'un tratto scomparsa. Al suo posto, una fioca confusione


seguita poco dopo dalla certezza di essere stato imbrogliato. «Dove sei, strega?» disse voltandosi, ma Elizabeth era sparita. Al suo posto c'era un essere luminoso dalla forma vagamente umana. La creatura si avvicinò a lui. «Ho bisogno di te» gli disse con una voce che poteva essere indifferentemente maschile o femminile. Allungò le braccia e gli toccò la testa con le mani. In quel momento Aaron ebbe un'altra visione. Ma non più eterea come la precedente; questa volta la mente gli si riempì di suoni e colorì così vividi e sgargianti da essere dolorosi. Vide stelle innumerevoli roteare su se stesse. Poi un luogo pieno di palazzi altissimi e luminosi attraversato da quelli che a prima vista gli parvero proiettili ma che scoprì essere mezzi di locomozione; potevano ricordare dei treni, ma erano molto più affusolati e fatti del metallo più luccicante che si potesse immaginare. E volavano. E dentro queste case così alte e questi treni volanti c'erano centinaia di quelle creature luminose, che vivevano per molti versi come la gente della sua Boston; li vedeva camminare, e riunirsi in gruppi e comunicare tra loro. Ne osservò alcuni abbracciarsi e altri discutere. Poi l'immagine cambiò e vide uno di quei 'treni' sfrecciare tra le stelle e diventare a un

certo punto una palla incandescente che precipitava verso il suolo e si schiantava infine tra tronchi nodosi di olmi e larici. E la luminosità dell'essere all'interno, circondato dai corpi senza vita di decine di suoi simili, affievolirsi sempre più. Vide il suo bisnonno, il suo vero bisnonno questa volta, ne era sicuro, aggirarsi come un morto vivente tra i boschi con il viso deturpato dal dolore; la creatura lo avvicinò e l'uomo cadde in ginocchio, le mani tra i capelli e gli occhi spiritati. Pareva impazzito all'improvviso. Era stata quindi la paura, moltiplicata nella sua potenza dal profondo cordoglio, a fargli venire la febbre che lo aveva ucciso? Nella visione la creatura guardò quell'uomo solo e devastato. Scosse il capo e se ne andò. «Ho bisogno di te» disse di nuovo la voce androgina. La visione continuò e stavolta Aaron vide se stesso, la testa presa tra le mani di quella creatura. E poi quest'ultima avvicinò la fronte alla sua e i colori persero vividezza e i suoni persero intensità. Perché questo non è ancora accaduto. . . mi sta facendo vedere ciò che succederà. E nella visione la testa di Aaron sembrò allungarsi e diventare trasparente, e lui poté vedere il proprio cervello protendersi verso il cranio della creatura, producendo scintille e rendendo il corpo del mostro sempre più lumi-

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noso. Un istante dopo, la visione divenne realtà. L'essere luminoso poggiò la fronte sulla sua e lui ebbe la sensazione che la sua mente venisse inghiottita in un vortice di tenebra. E' come un vampiro ... pensò, mentre il terrore aumentava. Ma non vuole il mio sangue. Vuole il mio cervello.

«Ho bisogno di te». L'essere ripeteva le stesse parole, come a dare una giustificazione per un comportamento che sapeva essere sbagliato ma al contempo inevitabile. Aaron era bloccato dal terrore. La paura gli aveva irrigidito ogni muscolo. Di certo sarebbe morto quando questo mostro venuto da chissà dove avesse terminato di cibarsi della sua mente come un maledetto parassita. E lui non poteva fare nulla per impedirlo. Poi ripensò al motivo per cui era venuto ad abitare in quella casa dimenticata dal mondo. Ricordò tutte le atrocità della guerra. Ripensò ai feriti, straziati nelle tende adibite a sale operatorie, al rumore della sega che recideva le ossa, alle pozze di sangue in cui a volte affondavano gli stivali camminando tra le brande. Ricordò Alec, i moncherini delle sue gambe straziate, il suo viso che si faceva sempre più pallido sotto lo strato di sangue e terra mentre la morte piano piano lo portava via.


E allora si rese conto di una cosa. «Ho sopportato orrori ben peggiori di te!» gridò con quanto fiato aveva in gola. L'essere, forse sorpreso per quella reazione inaspettata, parve rilasciare in parte la presa sulla sua mente. Aaron non gli lasciò il tempo di riprendere il controllo. Iniziò, con uno sforzo estremo, a spingere quel mostro fuori dal suo cervello. Lo tempestò con i suoi ricordi più strazianti ... colpi di fucile che staccano gli arti, urla di terrore e di dolore, erba che diventa cremisi

... con le atrocità che avrebbe voluto scordare per sempre ... un pezzo di cranio che vola

via e ti passa davanti agli occhi come un macabro proiettile, lo sguardo dei compagni mentre tieni loro la mano e li convinci che ce la faranno, che torneranno a casa dalle loro famiglie, anche se gli intestini fuoriescono dal loro ventre come serpenti agonizzanti...

L'essere resisteva, ma quella tempesta di odio e crudeltà sembrava riuscire a indebolire il legame che li univa. Con un ultimo sforzo, ricordando l'istante in cui aveva visto il petto di Alec abbassarsi per l'ultima volta, posò le mani sul petto della creatura, gemendo per il calore che esso emanava, e lo spinse via urlando. «Vattene!». Il mostro si staccò da lui e sparì. Aaron provò una sensazione di vuoto, di oblio, che associò

all'immagine di una casa illuminata in cui una stanza diventi all'improvviso buia. Poi la tenebra lo avvolse. «Pa'... c'è una persona laggiù» I due uomini raggiunsero il corpo sdraiato sull'erba. «Peter» disse il più anziano, «dammi un po' d'acqua». Il giovane prese la borraccia e la porse al padre, che ne versò metà contenuto sul viso dell'uomo a terra. Questi si risvegliò, l'espressione stordita. «Dove sono?» «Nei boschi a ovest di Westwood. Io e il mio ragazzo veniamo da lì. Quello che vorrei sapere è che ci fai tu qui, figliolo». «Io... ora ricordo. Devo essere caduto, o forse qualche bandito mi ha colpito. Io... stavo andando ad arruolarmi». Padre e figlio si guardarono. «Arruolarti? E per quale guerra?» «Ma... quella del nostro Presidente. Voglio combattere per lui, per l'Unione. Questo Paese deve diventare grande. Mio fratello si è arruolato l'anno scorso e voglio dare una mano anche io». «Figliolo, la guerra è finita da due anni». «Cosa? Ma... non può essere... il Presidente...» «Johnson?» suggerì Peter. «Joh... no, io intendo il signor Lincoln... cosa diamine...» «Figliolo, Abraham Lincoln è stato ucciso nel '65...» «Cosa? Buon Dio... ma... che anno è? Non siamo nel 1863?»

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«Ma questo da dove arriva, pa'? E' proprio messo male...» disse Peter. «O magari ha incontrato i fantasmi del bosco» aggiunse ghignando. «Taci, sciagurato» intimò suo padre. «Non esistono i fantasmi. Ma sono convinto che quest'uomo ha visto orrori ben peggiori di uno spiritello». Si rivolse poi ad Aaron. «Devi aver vissuto esperienze terribili, non è vero? Ne ho già visti, tornare dalla guerra e perdere il senno. Il mio ragazzo, qui, è troppo giovane, non capisce. Vieni con noi. Ti porteremo da chi possa prendersi cura di te». Aaron non rispose, ma seguì docilmente l'uomo e suo figlio. Abbassò lo sguardo e notò l'angolo di un foglio spuntare dal taschino. Lo prese e vide che si trattava di un semplice pezzo di carta ingiallito dal tempo su cui era ancora visibile un fantasma di scrittura. A prima vista poteva essere una lettera, o forse solo un semplice elenco di oggetti da acquistare in un emporio. Cosa ci facesse nel suo taschino era un mistero. Lo gettò a terra e se ne dimenticò. I tre uomini uscirono dal bosco. Nessuno di loro notò la pala accanto alla fossa aperta, né tanto meno lo strano metallo lucente al suo interno, su cui si rifletté un raggio solitario di sole mattutino.


S ka n Tre metri su una picca

Venite, amici, sedete anche voi e ascoltate quanto ho da dirvi. Non lasciatevi ingannare dal mio aspetto miserando, né dal fetore rancido che emano: non è da queste minuzie che si vede l’abilità di un bardo, ma dalla qualità delle storie che egli racconta. Quanti ne avete già incontrati di questi amabili affabulatori, che vanno di villaggio in villaggio a propinare la solita minestra scaldata? Non li guida l’ardore di diffondere la loro favella nel mondo, né la curiosità che dovrebbe spingere ogni cantastorie a raccogliere le vicende più nascoste. Pieni di boria, raccontano storie sempre uguali, provando a nascondere al pubblico il vuoto che opprime la loro testa con i modi farseschi di un giullare. Credetemi, amici miei: date loro un paio di monete e qualche applauso fasullo e li vedrete allontanarsi dalle vostre case felici come se gli aveste donato un regno intero. Io, invece, seguo l’antico spirito della mia professione e giungo tra voi con il preciso intento di essere raggio di luce per le vostre squallide vite. Resterò qui a raccontarvi le storie che ho appreso nei miei numerosi viaggi (e, credetemi, sono davvero tante) e non

me ne andrò fino a quando non ve le avrò narrate tutte. Solo allora poserò la mia cetra e mi volgerò a voi per l’inchino, speranzoso di ottenere da un pubblico tanto amabile dei calorosi applausi e, magari, qualche sorso di zuppa per superare la giornata. Ovviamente, non saranno sgradite ricompense date in moneta sonante o, perché no, doni ancor più graditi da parte del pubblico femminile. Ricordatevi che il nome “Bardo dalla Lunga Picca” non me lo sono certo guadagnato nella mischia maschia del campo di battaglia… Detto questo, è proprio in onore delle pulzelle qui presenti che comincerò il mio repertorio con una splendida storia d’amore. Oh, ma perché vedo disappunto sui vostri volti? Temete forse che vi racconti una delle tante zuccherose favolette di cui vanno fieri i miei colleghi? Non abbiate paura: non riesumerò per l’ennesima volta le salme degli amanti Giulietto e Romea, né scomoderò ancora una volta il Principe Grigiotopo affinché salvi dal suo sonno la bella Neropece. No, la vicenda che vi racconterò oggi, mi fu narrata anni fa in un infima taverna della Terra degli Orchi da un valente bardo di quella gente, come premio per la vittoria in una dura gara di birra e salsicce che ci aveva visti come avversari.

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Se dubitate della veridicità delle mie parole, potrete chiederne contezza a un qualunque membro di quella stirpe, poiché tale storia è universalmente conosciuta presso tutti i loro clan. Sono sicuro che, se non vi avrà già mozzato le orecchie, qualunque Pelleverde sarebbe più che felice di raccontarvi la struggente leggenda di Skuft e della pelosa Andasets. Questa romantica vicenda cominciò come è giusto comincino tutte le storie riguardanti gli Orchi: con una città in fiamme e le urla dei guerrieri agonizzanti. Tantofu, la grande città di confine tra il Regno degli Elfi e i clan dei Pelleverdi, era appena stata espugnata da questi ultimi e i vincitori stavano godendo a modo loro del giusto premio delle loro fatiche. Skruft, dal Clan del Fetore Rovente, era allora alla sua prima battaglia e si aggirava, timido, tra gli stupri e saccheggi che i suoi compagni perpetravano sugli sconfitti. Non era ancora il grande guerriero che sarebbe divenuto in seguito e stentava a trovare il giusto modo con cui incanalare la sua furia omicida. Troppo insicure erano ancora le sue mutilazioni e goffo il modo con cui impalava le teste dei nemici sconfitti. Deriso dai propri compagni per la sua inesperienza, Skruft si allontanò da loro fino a raggiungere, senza avvedersene, la zona della


città controllata dal Clan del Cinghiale Arrapato. E fu lì, tra le pile di teste mozzate e le budella appese come decorazione, che Skruft vide colei che avrebbe cambiato il corso del suo destino. Come descrivervi la scena, amici miei? Bella come solo un’orchessa di duecentoventi chili di muscoli per due metri e mezzo potrebbe essere, Andasets stava in quel momento possedendo un prigioniero di guerra elfico, cavalcandolo con foga selvaggia fino a frantumargli il bacino. Tale era il suo vigore, che già otto ne aveva stroncati e altrettanti ne uccise, fino al momento in cui non decise di rivolgere la parola a Skruft. -Ehi, immondizia, resti lì a guardarmi tutto il giorno, o magari pensi di darmi una mano?- Disse la dama, spezzando il collo all’ultimo amante che aveva disfatto. –E non venirmi a dire che ti vuoi preservare per una di queste pallide sciacquette: senza i peli, voglio proprio vedere dove ti aggrapperai! Era bastato un solo sguardo, ed ella già lo amava. Skruft non rispose subito: estasiato, non poteva fare a meno di rimare la meraviglia che aveva davanti. Oh, sublime incanto, i suoi occhi non riuscivano a distogliersi dal fitto intrico

di peli che le ornavano il corpo, mentre il cuore perdeva un battito ogni volta che la dama ondeggiava la lunga chioma argentea lordata di sangue. Sarebbe potuto restare anche ore intere a fissarla, ma gli istinti di Andasets era impellenti e incontrollabile la sua voglia: così, prima che potesse rendersene conto, l’orchessa gli fu addosso e gli fece saltare due denti con un pugno forte come un maglio. Una volta stordito, il guerriero fu facile preda della sua compagna, che lo possedette fino a fargli lungamente superare i limiti corporei che era convinto di poter raggiungere. Così Andasets e Skfur celebrarono per la prima volta la loro unione, avendo per talamo nient’altro che la nuda terra e le calde ceneri degli edifici in fiamme. Ma non sarebbe una vera storia romantica, amici miei, se l’amore dei nostri protagonisti non incontrasse ostacoli e dure prove da superare. In questo caso a mettersi di mezzo fu il volere contrario del padre di lei, giunto in città al termine dei tre giorni di saccheggio previsti dalla tradizione. Quando Andasets presentò al saggio patriarca ciò che restava di Skfur, annunciandogli l’intenzione di prenderlo come proprio

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compagno, la sua risposta fu diversa da quella che il cuore di lei si augurava. -Schifosa baldracca da bordello!- Disse il vecchio, con tono pacato. – Una puttana mai sazia, sei, proprio come tua madre! Ma non credere di passarla liscia: ti ho venduta per due scrofe al forte Thulains. Sarà ora compito suo riportarti all’ordine a furia di cinghiate. Andastes, infatti, era già stata dal padre promessa in sposa a Thulains il Macinacrani, il più forte e il più violento guerriero del clan del Cinghiale Arrapato. E fu proprio costui a intervenire dopo le ponderate parole del vecchio, afferrando per il collo il suo rivale e strattonandolo via con forza. -Hai messo le mani sull’orchessa sbagliata, verme! Io ti macino il cranio!- urlò, serrando le dita attorno alla gola di Skfur. –Anzi, adesso ti scuoio vivo, ti castro e ti inchiodo la carne a un palo ! E sai quale la sarà la parte più bella? Che tu sarai ancora vivo, perché dovrai guardarmi mentre stuprerò tua madre con una delle gambe che ti avrò tagliato! Forte come solo un orco infuriato può essere, Thulains avrebbe di sicuro messo in atto la sua minaccia, se non fosse stato interrotto dal provvidenziale intervento di Andasets.


-Mettilo giù, cane. Anche se non sembra un grande guerriero, ha dimostrato di essere forte in un modo che tu non potrai mai essere. E questo lo dico per esperienza personale.- disse la dama, per poi rivolgersi verso suo padre. –Le tradizioni di cui parli tanto prevedono che due maschi possano contendersi col sangue la mano di un’orchessa. Ebbene, Skfur si batterà a duello mortale con il porcaro a cui mi hai venduta: chi vincerà avrà il diritto di possedermi ancora. Per la verità, amici miei, agli osservatori più vicini sembrò che Skfur non fosse propriamente entusiasta alla prospettiva di doversi battere con il bruto che lo aveva appena aggredito, ma la sua compagna provvide a rincuorarlo con delicate parole d’amore. -E non t’azzardare a dire di no, immondizia. Ti assicuro che, al confronto di quello che potrei farti, le cose che ti ha promesso questo bastardo ti sembreranno dei regali. Tu sai di cosa sono capace. Così incoraggiato dalle parole della sua bella, Skfur sfidò ufficialmente Thulains a un duello mortale. -E sia. Se credete che la fica di questa baldracca valga tanto, accomodatevi pure.disse l’anziano patriarca, per poi subito soggiungere. –Ma la nostra tradizione

impone che sia il padre della sposa a scegliere le armi dei contendenti. Stabilisco, quindi, che Thulains affronti il duello armato di tutto punto e con addosso la sua impenetrabile corazza. Skfur, invece… beh, tu, verme, dovrai accontentarti di questo. E, con una gran risata, gettò al guerriero un grosso cucchiaio di ferro. Non che gli Orchi usino cucchiai o altre posate, sia chiaro: quello era stato preso come bottino di un saccheggio fatto molti anni prima e il venerabile patriarca soleva usarlo da tempo come strumento per grattarsi la pancia. Era evidente la sua volontà di favorire Thulains, ma le antiche tradizioni non potevano essere violate. Così, quando sorse il sole del giorno successivo, una grande folla si radunò davanti alle porte della città vinta, per assistere un duello che si annunciava breve, ma cruento. All’orario prestabilito, il cerchio degli spettatori si aprì e Thulains fece ingresso nel terreno di lotta, accompagnato dalle grida di giubilo della folla. Come descrivervelo, amici miei? Faceva terrore al solo guardarlo! Il suo corpo smisurato era coperto da una massiccia armatura di ferro nera, decorata con i denti staccati agli innumerevoli nemici da lui vinti in

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battaglia. Nella mano destra stringeva la sua gigantesca spada, la terribile Sbudelladraghi, così lunga e pesante che a fatica tre orchi sarebbero riusciti a sollevarla. Nella sinistra, invece, portava uno scudo di ferro ricoperto con dieci strati di pelle di bue, su cui vi era impresso l’emblema del cranio macinato. Il capo, infine, era coperto da uno spaventoso elmo a forma di testa di demone, reso ancora più terribile dalle due lunghissime corna di cervo gigante che vi erano state saldate. Nel complesso, sembrava una gigantesca torre di metallo, un mostro gonfio d’ira pronto a schiacciare il suo avversario. Dopo di lui, entrò Skfur, accompagnato dagli insulti e dalle risate degli spettatori. Come descrivervelo, amici miei? Faceva davvero pena. Piccolo e smunto al confronto del gigante che lo confrontava, il guerriero non indossava altro che dei pantaloni rovinati e una giubba di cuoio e non aveva altra arma che il cucchiaio di ferro datogli dal padre di Andasets. Talmente misera doveva sembrare la sua posizione, che presero a deriderlo persino i membri del suo clan e quelli della sua stessa famiglia. Sembrava davvero spacciato.


Entrati in campo i due guerrieri e celebrati i riti propiziatori, tutti rimasero in attesa dell’arrivo di Andasets, il cui saluto avrebbe dato il via al duello: l’orchessa però, non arrivava. Trascorse un’ora. Ne trascorse un’altra. Poi un’altra. La gente cominciò ad annoiarsi e le ipotesi più disparate cominciarono a circolare tra la folla per spiegare quel ritardo che si faceva di ora in ora più ampio. C’era chi la supponeva in fuga, onde non assistere al massacro del proprio amato, chi la immaginava inconsolabilmente avvinghiata agli obelischi degli Dei, nella speranza di riceve il loro soccorso, chi, invece, sospettava che si stesse semplicemente già consolando con qualche altro disponibile guerriero. La verità era totalmente diversa. Consapevole, infatti, della grande disparità tra Skfur e Thulains e di come la scelta delle armi fatta da suo padre avesse trasformato questa distanza in un abisso, la dama aveva semplicemente deciso di usare l’astuzia per favorire il suo amato. A tal fine, aveva cominciato ad addurre scuse e pretesti via, via diversi, con lo scopo di ritardare quanto più possibile l’inizio dello scontro. E così, ora fingendosi preoccupata per la scelta del

vestito da indossare (ne aveva solo due, ma ci vollero ore per stabilire l’accostamento di colori adatto), ora chiedendo alle amiche lunghi discorsi di conforto, ora adducendo come motivazione la necessità di sistemarsi i capelli, la dama riuscì a protrarre l’inizio del duello fino al pomeriggio inoltrato. Fu una scelta geniale. Col passare delle ore, infatti, Thulains cominciò a subire il peso della sua stessa armatura, talmente massiccia da imprimere sui punti di contatto con il corpo piaghe sempre più dolorose e profonde. Il guerriero non aveva la possibilità di togliersela, poiché questo processo avrebbe richiesto troppo tempo, né poteva rinfrancarsi mangiando o bevendo, poiché aveva timore di rovinarla in qualche modo. Ma il peggio fu quando sopraggiunsero le calde ore del meriggio e i venti del Sud presero a soffiare sulla città distrutta, spargendo attorno le ceneri degli edifici bruciati. Il calore rese l’armatura di Thulains simile a una bara incandescente , mentre le ceneri, rese roventi dal sole, si infiltrarono nelle sue giunture, ustionandolo senza che gli fosse nemmeno data la possibilità di proteggersi. Quando Andasets arrivò sul

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luogo del duello, il Macinacrani aveva consumato gran parte delle sue energie, mentre il suo avversario aveva potuto ristorarsi con birra e carne. Gonfio d’orgoglio e forse reso folle dal calore del sole, Thulains alzò comunque il proprio grido di guerra e alzò la spada per attaccare Skfur. Quest’ultimo gesto, però, bruciò ciò che restava delle sue forze e il gigante crollò al suolo con fragore assordante di metallo. Quando Skfur gli fu addosso e, toltogli l’elmo, gli puntò contro il volto il suo cucchiaio, egli comprese di aver perduto. -Finiscimi, verme,- gli sussurrò con un filo di voce, -uccidimi, se ci riesci. Finché sarò vivo, ti sputerò addosso il mio disprezzo. Skfur annuì e, pietosamente, calò il suo cucchiaio per donare al proprio avversario una morte onorevole. Poi lo calò ancora. E ancora. E ancora. E ancora. Dovette colpire il cranio di Thulains per venti ore di fila, prima che le ossa cedessero e il ferro riuscisse a farsi strada fino al cervello. Solo allora poté alzarsi in piedi e mostrare la propria arma imbrattata di sangue al pubblico rimasto, tutti scommettitori che lo subissarono di insulti e bestemmie per la sua


inopportuna vittoria. Andasets, però, gioì di questo successo e gli corse in contro per festeggiare con lui la vittoria e la loro definitiva unione. Ma le loro vicissitudini non erano finite. -L’esercitò reale degli elfi è marcia verso di noi.annunciò un messaggero, giunto proprio in quel momento a galoppo sfrenato da uno dei villaggi occupati. –È la regina Geaa Vion a guidarlo e saranno qui tra poche ore! Ed era vero: approfittando dei bagordi tradizionali dei Pelleverde, la sovrana degli Elfi aveva radunato più di centomila tra soldati e mercenari, decisa a vendicare nel sangue la caduta di Tantofu. Tra gli Orchi serpeggiò il panico, poiché il loro campione era appena stata abbattuto miseramente e l’odio che la regina Vion nutriva per la loro gente era fin troppo conosciuto. Fu il padre di Andrasets a risolvere la situazione, alzandosi in piedi e annunciando alla folla smarrita. -Skfur ha abbattuto il nostro campione Thulains: che sia lui il nostro nuovo campione. Che guidi lui le nostre schiere in battaglia! Astuto, l’anziano patriarca sperava in tal modo di disfarsi dello scomodo vincitore, onde vendere nuovamente la figlia a qualche altro pretendente.

Skfur provò a protestare, ma la folla accolse entusiasticamente la proposta e i capi dei clan lo nominarono nuovo campione della loro gente, donandogli lo scudo e il cavallo di Thulains come segno del suo nuovo ruolo. Resi pieni di speranza da questa nuova prospettiva, gli orchi furono presi da tale bramosia di battaglia da decidere di andare in contro al nemico che sopraggiungeva e si misero rapidamente in marcia. E fu lì, nella Piana di Soia, che le due schiere si incontrarono e si diedero battaglia. Spaventevole, l’esercito degli Elfi appariva sterminato e le sue fila erano composte da alcuni dei reparti militari più possenti dell’epoca. All’ala sinistra, i reparti regolari dell’armata degli Abitatori dei Boschi, tra cui spiccava la terribile cavalleria pesante degli Amici della Pace Verde, riconoscibili per le armature di legno e per le ghirlande di fiori che li decoravano. L’ala destra, invece, contava su decine di migliaia di mercenari, attratti dagli alti ingaggi. Crogiuolo di popoli, questa parte dello schieramento schierava i Fratelli Voltagabbana, fanti nanici famosi per gli scudi con gli stemmi intercambiabili, i Ciclopi Strabici, balestrieri umani dotati eccezionale mira a brevissima distanza,

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i Mezzi-Mezzi Elfi, talmente amici della Gente Silvana da indossare elmi con finte orecchie a punta, e la Compagnia di Benson, gobellini e coboldi che scendevano in battaglia a cavallo di giganteschi polli. Il centro dell’esercito, infine, era tenuto dagli invincibili Cavalcapanda, guidati dalla stessa regina Geaa Vion. Gli orchi non erano nemmeno la metà per numero, ma la loro sete di sangue e di massacro fu incontenibile: non appena videro il loro campione lanciarsi all’attacco, subito lo seguirono in massa con foga selvaggia. In verità Skfur, poco pratico di cavalli, aveva totalmente perso il controllo della sua cavalcatura, che lo trascinò contro la sua volontà contro il fitto schieramento del nemico. Priva fin da subito di una qualunque strategia, la battaglia fu niente più di una mischia confusa, in cui gli schieramenti avanzavano o arretravano a seconda dell’impeto del singolo campione o della singola squadra. Gli Amici della Pace Verde furono presto messi in rotta (stranamente, gli orchi non sembravano per nulla spaventati dalle ghirlande di fiori che indossavano), mentre la Compagnia di Benson riuscì rapidamente a prevalere sui guerrieri del Fetore Ro-


vente, intimoriti dalle urla mostruose lanciate dai mercenari. Ma se sui fianchi lo scontro si manteneva stabile, al centro si accendeva la mischia più violenta, quella che avrebbe decido le sorti della battaglia. Fu li che Skfur e la regina Geaa Vion si incontrarono. -Thulains, cane infame, riconosco il tuo stemma!- urlò la donna, a cui qualcuno doveva aver descritto il simbolo dipinto sullo scudo del defunto campione degli orchi. –Prima di stanotte la tua carogna verrà dilaniata dagli sciacalli! Assaggia la vendetta del Popolo Silvano! Skfur non fece nemmeno in tempo a spiegare quale fosse la sua vera identità, che l’attacco della regina lo travolse in pieno e solo un fortunoso scatto effettuato dalla sua cavalcatura gli permise di aver salva la vita. Il cavallo che era stato di Thulains, forse intimorito dai panda che lo circondavano, si era bruscamente alzato, finendo decapitato dalla sciabolata destinata al suo cavaliere. Skfur rotolò nella polvere, ma riuscì ad alzarsi in piedi, giusto in tempo per difendersi dal secondo attacco della regina. Lo scudo di ferro e pelle rintunizzò il fendente di Geea, ma la donna non sembrava voler dar segno di rinunciare e cominciò a lanciare una serie di attacchi ferocissimi. Circondato da tutte le parti dai Cavalcapanda che lo avevano tagliato fuori e impossibilitato a rispondere in qua-

lunque modo alle sciabolate della donna, Skfur fu costretto a chiudersi in una pietosa difensiva, consapevole non poter resistere molto a lungo. Infine, lo scudo cedette, spaccandosi definitivamente sotto l’ennesimo colpo della regina. L’orco riuscì a salvare il suo braccio, ma non aveva più difese. -Ora,cane, ti strapperò l’anima pezzo dopo pezzo.- sibilò la donna, alzando la sciabola per l’ultima volta. –E spero che per ogni frammento in cui ti ridurrò tu possa provare il dolore più profondo dell’Abisso. La regina lanciò il suo grido di trionfo e calò la sua lama, ma un ruggito ancora più forte sovrastò la sua voce. Quella di Andasets. Proprio in quel momento, infatti, l’orchessa piombò su Geaa Vion, travolgendo la schiera dei Cavalcapanda come se fosse stata composta da pupazzi di pezza. -Giù le mani dal mio maschio, sciacquetta! Giù le mani da lui! Urlò la dama, colpendo il volto della regina con il cucchiaio con cui Thulains era stato ucciso: l’arma (se così si può chiamare) andò in frantumi, ma con essa volò via una buona metà della faccia e del cranio di Geea Vion. La sua morte, segnò l’inizio della rotta degli Elfi, sul cui esercito in fuga si avventarono gli orchi vincitori e i Fratelli Voltagabbana, fulmineamente passati dalla parte

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del più forte. Non se ne salvò nessuno. Al termine della mattanza, gigantesche pire funebri furono innalzate per bruciare i corpi dei caduti, brillanti come stelle nella notte. Fu sotto il loro bagliore che Skfur e Andasets si unirono definitivamente, sotto gli occhi adoranti dei clan in festa. Il padre di lei, in un ultimo tentativo di impedire quel matrimonio indesiderato, aveva minacciarsi di gettarsi su uno dei roghi se ciò fosse avvenuto, ma sua figlia non si era lasciata impressionare. -Sei vecchio idiota, un rifiuto, la cosa più lontana da un vero maschio che io potrei mai immaginare.- gli aveva detto, afferrandolo per i vestiti. –Almeno per una volta nella tua vita, renditi utile: illumina la notte in cui sposerò il compagno che mi sono scelta. E, detto questo, lo scagliò nelle fiamme di una delle pire funebri. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza: ora la Leggenda di Skfur e Andasets poteva avere davvero inizio. Di ciò che avvenne in seguito, amici miei, ne parleremo un’altra volta, ma non dimenticate la morale di questa storia: non c’è problema sufficientemente grave che una donna non possa risolvere e non c’è situazione sufficientemente tranquilla che una donna non possa trasformare in un casino.


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risultati e classifiche

1 . CMT, 52 2. Polly Russell, 48 3. Willow78, 32 4. White Pretorian, 25 5. Miksi, 22 6. Reiuky, 20 7. Shanda06X, 1 6 - 82 -

1 . Cattivotenente, 60 2. Smilodon, 38 3. Callagan, 35 4. David G, 29 5. Cra, 22 6. Ilma1 97, 1 6 7. GDN76, 11


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