PCR Patient and Cardiovascular Risk - n°2 Aprile/Giugno 2009

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T R I M E ST R A L E

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A G G I O R N A M E N TO

S C I E N T I F I CO Anno I - N. 2, 2 0 0 9

Scena di amputazione medievale


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TRIMESTRALE D I AG G I O R N A M E N TO S C I E N T I F I CO Anno I - N. 2, 2009

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O M M A R I O

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Ipertensione arteriosa e fibrillazione atriale Prof. Enrico Agabiti Rosei

6

Un enigma difficile da risolvere: come identificare il paziente a rischio cardiovascolare Prof. Claudio Borghi, Laura Ermini

10

Il valore clinico del follow-up osservazionale e delle estensioni degli studi clinici controllati Prof. Gianpaolo Reboldi

14

Alla ricerca delle forma ottimale: quale esercizio fisico in presenza di danno d'organo Dr. Agostino Virdis

16

Una insospettabile signora chiamata disfunzione diastolica Prof. Pasquale Perrone Filardi, Stefania Paolillo, Gianluigi Savarese, Carmen D’Amore, Antonio Parente, Fabio Marsico, Enrico Vassallo, Oriana Scala, Donatella Ruggiero, Teresa Losco, Massimo Chiariello

19

L'automisurazione: un di più o una necessità? Prof. Francesco Vittorio Costa

22

Pressione domiciliare o ambulatoriale: un dubbio amletico Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi

26

Alla ricerca dell'antagonismo giusto. Nefroprotezione nel diabete mellito di tipo 2 Dott. Luigi Villa

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L'identikit del paziente ad alto rischio cardiovascolare in Medicina Generale Dott. Alessandro Filippi

Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.patientandcvr.com www.edizionisinergie.com

Redazione scientifica

Daniela Degli Espositi Marco Pombeni Elisa Rebecca Rinaldi

Segreteria di redazione

SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. redazione@edizionisinergie.com

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Direttore responsabile

Mauro Rissa

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32.000 copie

Comitato scientifico

Claudio Borghi Vittorio Costa Ada Dormi Guido Grassi Giuseppe Mancia Simone Mininni Pietro Putignano Enrico Strocchi Stefano Taddei Bruno Trimarco Paolo Verdecchia Augusto Zaninelli

Capo redattore

Eugenio Roberto Cosentino

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Ipertensione arteriosa e fibrillazione atriale Nell'ambito del cosiddetto continuum cardiovascolare, e cioè nell'ambito di quella serie di eventi che dai fattori di rischio, attraverso alterazioni patologiche cardiovascolari, conducono alle manifestazioni clinicamente evidenti di malattia, deve essere opportunamente presa in considerazione la evenienza di aritmie cardiache, e, in particolare, di fibrillazione atriale, che è la più frequente aritmia in forma parossitica o persistente, a sua volta causa di ulteriori complicanze cliniche. L'ipertensione arteriosa e la fibrillazione atriale sono due condizioni ad elevata prevalenza e spesso coesistenti.La loro incidenza aumenta con l'avanzare dell'età, e rende ragione di una elevata quota di eventi morbosi e mortali. L'ipertensione arteriosa è il più diffuso fattore di rischio per lo sviluppo di fibrillazione atriale e delle sue complicazioni, compresa la tromboembolia. La fibrillazione atriale è la più comune aritmia cardiaca, e rappresenta una problema di salute pubblica. La sua prevalenza aumenta con l'avanzare dell'età, da circa il 5-6% all'età di 65 anni a quasi il 10% al di sopra degli 80 anni. In Europa, 4,5 milioni di persone sono affette da fibrillazione atriale, negli Stati Uniti circa 2,3 milioni.In conseguenza dell'aumento della età media della popolazione e della prolungata sopravvivenza di pazienti con altri fattori di rischio cardiovascolare, si prevede che la prevalenza della fibrillazione atriale aumenterà di circa 2,5 volte nel 2050. Dal momento che la fibrillazione atriale compare più frequentemente in pazienti con cardiopatia preesistente, il rimodellamento cardiaco concomitante può contribuire allo sviluppo di fibrillazione atriale, mentre, d'altro canto, i processi di rimodellamento cardiaco indotti dalla fibrillazione atriale contribuiscono al suo mantenimento, oltre a fornire il substrato per la dilatazione atriale e la formazione di trombi, che a loro volta portano ad una riduzione della funzione cardiaca, all'ictus cerebri cardioembolico, o ad altri eventi cardiovascolari. Pertanto, la fibrillazione atriale peggiora la prognosi di pazienti con malattia cardiovascolare preesistente, come l'ipertensione arteriosa, l'infarto miocardio e lo scompenso cardiaco. L'ipertensione arteriosa si associa a ipertrofia ventricolare sinistra, ad alterato riempimento diastolica, a dilatazione dell'atrio sinistro ed a riduzione della velocità di conduzione atriale. Tali modificazioni della fisiologia e della struttura cardiaca favoriscono la comparsa di fibrillazione atriale. Di conseguenza, ai fini di una corretta diagnosi, prognosi e tera-

pia, è di grande importanza il corretto inquadramento clinico del paziente iperteso,con una opportuna definizione del rischio cardiovascolare globale, che deve comprendere una precisa valutazione del danno d'organo, anche in fase preclinica. I pazienti ipertesi con fibrillazione atriale hanno un’incidenza di eventi cardiovascolari doppia,e un rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco 5 volte superiore rispetto ai pazienti ipertesi senza fibrillazione atriale. La anamnesi positiva per ipertensione arteriosa è uno dei più potenti fattori di rischio per la comparsa di ictus cerebri nei pazienti con fibrillazione atriale. Inoltre, la fibrillazione atriale può essere causa di complicanze cardiovascolari maggiori, quali lo scompenso cardiaco, l’ictus cerebri cardioembolico e la morte improvvisa. I pazienti con fibrillazione atriale hanno un rischio di ictus cerebri cardioembolico aumentato di cinque volte,e un rischio di morte per ogni causa circa doppio. La prevenzione della fibrillazione atriale nei pazienti ipertesi consiste attualmente nella riduzione costante ed efficace della pressione arteriosa, e probabilmente anche nell'impiego di farmaci che riducono il sistema renina-angiotensina. Il trattamento farmacologico della fibrillazione atriale comprende: - farmaci come i β-bloccanti e i calcio antagonisti (diltiazem, verapamil), allo scopo di controllare la frequenza cardiaca e di ridurre la sensazione di cardiopalmo, - farmaci antiaritmici, allo scopo di convertire e mantenere in ritmo sinusale e/o di controllare la frequenza cardiaca (a seconda della classe Vaugham-William del farmaco impiegato), - farmaci antitrombotici allo scopo di ridurre il rischio tromboembolico, come gli anticoagulanti orali (warfarin, acenocumarolo) o gli antiaggreganti piastrinici (come l'acido acetilsalicilico o il clopidogrel). La fibrillazione atriale aumenta dunque il rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare e peggiora la prognosi dei pazienti con altre malattie associate. La fibrillazione atriale e l'ipertensione arteriosa, ancorché spesso associate, rappresentano fattori di rischio cardiovascolare indipendenti. La loro prevenzione e il loro trattamento rappresentano un significativo impegno per il medico e anche una sfida per il futuro, al fine di identificare ancora più efficaci approcci terapeutici. Prof. Enrico Agabiti Rosei Clinica Medica, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Brescia

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Un enigma difficile da risolvere: come identificare il paziente a rischio cardiovascolare Prof. Claudio Borghi, Laura Ermini Cattedra di Medicina Interna, Università degli Studi di Bologna

“ ….probabilmente conta di più sapere quale paziente ha una certa malattia piuttosto che quale malattia ha un certo paziente… “. William Osler, 1894 Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel nostro continente ed anche in Italia in ragione della elevata prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare e della capacità degli stessi di contribuire allo sviluppo ed alla progressione della malattie aterosclerotica (1). Tra le strategie di efficace prevenzione vanno certamente annoverati tutti gli interventi finalizzati alla correzione degli stessi fattori di rischio che comprendono la modificazione dello stile di vita e l'impiego delle numerose risorse che oggi, offre l'approccio farmacologico. In particolare la correzione degli elevati valori pressori e delle alterazioni del metabolismo lipidico mediante l'impiego di farmaci antiipertensivi e statine, si traduce in una riduzione significativa della incidenza delle principali complicanze coronariche e cerebrovascolari nonché della mortalità cardiovascolare che ha contribuito negli ultimi 30 anni ad un sostanziale allungamento della vita media della popolazione (2). Più dibattuto è oggi il ruolo dell'effetto preventivo cardiovascolare del controllo glicemico che appare evidente nella prevenzione delle complicanze microvascolari (3) mentre per quanto riguarda gli eventi cardiovascolari maggiori esistono dati altamente contraddittori che derivano però dalle diverse modalità di acquisizione della normoglicemia piuttosto che da un supposto effetto deleterio della riduzione dei livelli di glucosio circolanti (3). Inoltre studi di intervento multiplo, come ad esempio lo studio STENO (4), hanno dimostrato come il massimo della prevenzione cardiova-

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scolare possa essere acquisito attraverso un intervento multifattoriale che contribuisca al controllo contemporaneo dei principali fattori di rischio cardiovascolari la cui integrazione risulta evidente sia in termini di probabilità di incorrere in complicanze di varia gravità, sia in termini di impatto delle strategie di prevenzione ad ampio spettro. Naturalmente la possibilità di ottenere un effetto di prevenzione efficace nei confronti delle malattie cardiovascolari è subordinato a due aspetti imprescindibili e rappresentati dalla aderenza del paziente ai suggerimenti ed alle prescrizioni terapeutiche e dalla identificazione dei soggetti da sottoporre alle strategie di prevenzione con la finalità di indirizzare le risorse nei confronti di coloro che ne possono trarre un vantaggio in termini clinici e prognostici. La identificazione efficace dei pazienti a rischio cardiovascolare è un elemento centrale della lotta alle malattie cardiovascolari e si base sulla acquisizione di una serie di elementi obiettivi e/o obiettivabili che complessivamente definiscono il profilo di rischio cardiovascolare del paziente. Nella definizione del profilo di rischio di un soggetto entrano tutti i fattori di rischio che lo caratterizzano i quali interagiscono tra di loro sulla base, in generale, di un fattore prevalente che nella grande maggioranza dei casi è rappresentato dalla ipertensione arteriosa, dalle dislipidemie, dalle alterazioni del profilo glucidico e dalla obesità e sovrappeso. È ovvio che nella maggior parte dei casi tali fattori co-esistono nello stesso soggetto, ma la identificazione di un fattore prevalente rappresenta la espressione della nostra cultura di base ed al tempo stesso il nostro personale aggancio alla situazione specifica attraverso il quale possiamo attivare quella serie di procedure conoscitive che permettono di rendere palese la presenza di condi-


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Stratification of CV Risk in HBP Blood pressure (mmHg) Normal SBP 120-129 o DBP 80-84

High normal SBP 130-139 o DBP 85-89

Grade 1 HT SBP 140-159 o DBP 90-99

Grade 2 HT SBP 160-179 o DBP 100-109

Grade 3 HT SBP ≥180 o DBP ≥110

No other risk factor

Average risk

Average risk

Low added risk

Moderate added risk

High added risk

1-2 risk factor

Low added risk

Low added risk

Moderate added risk

Moderate added risk

Very high added risk

3 or more risk factor, MS, OD or diabetes

Moderate added risk

High added risk

High added risk

High added risk

Very high added risk

Established CV or renal disease

Very high added risk

Very high added risk

Very high added risk

Very high added risk

Very high added risk

Other risk factors, OD or disease

SBP: systolic blood pressure; DBP: diastolic blood pressure; CV: cardiovascular; HT: hypertension. Low, moderate, high, very high risa refer to 10 year risk of a CV fatal or non-fatal event. The term “added” indicates that in all categories risk is greater than average. OD: subclinical organ damage; MS: metabolic syndrome.

Figura 1 zioni di rischio concomitanti. Nell'ambito delle linee guida ESH-ESC per il trattamento della ipertensione (5) l'elemento di accesso alla quantificazione del rischio sono i valori di pressione arteriosa, ma il giudizio finale che deve essere espresso relativamente al carico globale di rischio del paziente deriva da una lettura combinata tra la entità del rialzo pressorio e la presenza di elementi di rischio CV aggiuntivi come la presenza di dislipidemia, diabete, danno d'organo bersaglio subclinico, comorbidità CV conclamata, ecc (Figura 1). Un approccio del tutto analogo è quello proposto delle linee guida NCEP-ATP III (6) e indirizzate alla identificazione e trattamento dei pazienti dislipidemici le quali ancora una volta attribuiscono alla stima delle anormalità del profilo lipidico il ruolo di elemento di innesco della valutazione del rischio globale, ma subordinano la stima della globalità del rischio CV alla valutazione quanti/qualitativa dei fattori di rischio additivi modificabili (es. ipertensione arteriosa) e non modificabili (es. età, familiarità precoce per le malattie CV). Una deroga parziale rispetto a questo approccio combinato che appare assai logico ed efficace è rappresentato da quello proposto dalla linee guida della ESC sulla prevenzione cardiovascolare (5) che identificano alcune sottopopolazioni di pazienti con elevato profilo di rischio quali i soggetti con pregresso evento CV, con iper-espressione di un singolo fattore di rischio (es. pressione arteriosa > 180/110 o colesterolemia totale > 300 mg/dL), con fattori di rischio multi-

pli in misura > 3 e soggetti con familiarità per malattie cardiovascolari in età giovanile. Ciò significa che nonostante il numero elevato di evidenze che correlano la probabilità di un evento cardiovascolare alla presenza o meno di un singolo fattore che spesso si correla ad un apparato di rischio CV molto più complesso, la reale valutazione del profilo di rischio cardiovascolare di un soggetto rassomiglia molto di più ad un ipotetico rompicapo nel quale il contributo parziale dei diversi tasselli contribuisce alla definizione di una immagine la cui interpretazione dipende dal numero di elementi disponibili e non solo dalla loro dimensione. Al tempo stesso la identificazione del profilo di rischio cardiovascolare di un soggetto non può essere definita solo dalla quantificazione di una probabilità, ma deve tenere conto dell'impatto eterogeneo dei diversi determinanti che contribuiscono a definire tale probabilità in termini di capacità di promuovere la incidenza di un evento. Tali due elementi solitamente coincidono quando si tratta di fattori di rischio modificabili che sono pressoché interamente definiti dal loro valore (es. pressione arteriosa, glicemia, ecc.) mentre la situazione risulta assai diversa quando la definizione del profilo di rischio poggia sulla presenza di un pregresso evento clinico come accade per la maggior parte delle linee guida. In pratica, il riscontro nella storia clinica di un paziente di un pregresso infarto miocardico definisce una probabilità prioristica di un evento successivo identificabile attraverso un coefficiente assoluto e calcolabile sulla base di

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carte o di algoritmi del rischio. Tuttavia la reale probabilità di sviluppare tale evento dipende anche dalle caratteristiche dell'infarto miocardico, dalle condizioni emodinamiche associate, dalla natura delle eventuali comorbilità e dalle caratteristiche della terapia associata. In questa ottica diventa scorretto ed irreale, ad esempio, prevedere che tutti i soggetti con il medesimo evento clinico possano essere gravati dalla stessa probabilità di recidiva e che la medesima terapia possa avere lo stesso impatto clinico quando somministrata a un soggetto qualitativamente gravato dello stesso evento indice (“infarto miocardico”), ma in presenza di evidenti differenze in termini di complicanze quantitative. Tutto ciò ha una sostanziale importanza nella definizione degli algoritmi di intervento preventivo nella popolazione ad alto rischio la cui identificazione deve quindi tenere conto sia del riscontro di un determinante del rischio che delle suo impatto clinico. La mancata considerazione di tale aspetto ha negativamente influenzato la interpretazione dei risultati di una serie di studi clinici di grande rilevanza pubblicati nel corso degli ultimi 2 anni che hanno prodotto risultati contradditori pur partendo da una realtà apparentemente omogenea di “pazienti ad alto rischio cardiovascolare”. Tra essi certamente lo studio ONTARGET (7) la cui popolazione appare estremamente eterogenea e come tale soggetta ad un impatto differenziale di un medesimo schema di terapia che, applicabile in teoria ai soggetti con elevato profilo di rischio, ha finito per influire in maniera differenziale sulla base delle caratteristiche cliniche di base dei pazienti coinvolti tutti formalmente “ad elevato rischio cardiovascolare”. In particolare la diversità in termini di substrato emodinamico nell'ambito della popolazione, testimoniata dall'ampio range di variabilità dei valori pressori (e della loro deviazione standard) in presenza di una elevata prevalenza di patologia cardiovascolare conclamata ha rappresentato il reale determinante dell'outcome clinico al di la del valore assoluto della terapia in studio che è risultata probabilmente efficace in una certa percentuale di pazienti ed inefficace o addirittura dannosa nei restanti condizionando quell'effetto risultante di assoluta neutralità che emerge dalla lettura dei risultati dello studio. Complessivamente quindi la identificazione dei soggetti a rischio cardiovascolare deve rappresentare la conclusione di un procedimento di valutazione attiva con il quale ottenere un efficace depistaggio dei pazienti a rischio attraverso la acquisizione progressiva di informazioni in grado di quantificare accuratamente la probabilità di un evento CV sia in quelle situazioni nelle quali non è possibile identificare un fattore prevalente, sia quando tale fattore è potenzialmente associato ad una ampio spettro di espres-

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sioni quantitative del suo potenziale impatto negativo. In termini pratici, la corretta identificazione dei pazienti a rischio CV non ha solo finalità conoscitive ma sostanziali implicazioni pratiche in quanto condiziona le scelte terapeutiche individuali per quanto concerne la intensità dell'approccio e la reale opportunità di intervento nei confronti dei diversi determinanti in gioco. Tutto ciò è testimoniato dal contenuto della linee guida ESH-ESC che identificano la stima preliminare del profilo di rischio globale per definire sia le scelte in termini di target pressori da raggiungere che la opportunità di impiego di strategie terapeutiche indirizzate a fattori di rischio concomitanti come l'uso di statine o antiaggreganti piastrinici ed in particolare ASA (5). Analogo atteggiamento può essere identificato nella linee guida NCEP-ATP III (6) che definiscono i livelli di colesterolemia da acquisire per effetto del trattamento ipolipemizzante sulla base del livello di rischio dell'individuo suggerendo target significativamente più aggressivi nei soggetti con una maggiore probabilità di eventi clinici. Anche in questo caso tuttavia la attuale disciplina del rischio cardiovascolare obbliga ad una quantificazione clinica del reale impatto potenziale dell'intervento sulla base dei fattori che caratterizzano la espressione dei diversi fattori di rischio soprattutto per quanto attiene al controllo della pressione arteriosa ed in accordo con le evidenze che vogliono la probabilità di un evento condizionata dal valore assoluto di pressione raggiunto fino ad un limite inferiore che non può essere fissato solo dalla disciplina del rischio in quanto differenziato a seconda delle caratteristiche cliniche dei pazienti con una evidente curva “J” che può essere probabilmente ignorata nei pazienti che non presentano una patologia conclamata, ma che diventa essenziale quando la espressione del rischio poggia su un pregresso evento ischemico (Figura 2). Ciò significa che anche in questa situazione la applicazione acritica di target di intervento basati sulla quantificazione assoluta del rischio potrebbe quindi giocare un brutto scherzo sul versante terapeutico con la necessità di differenziare efficacemente l'equilibrio tra strategie di intervento, correzione del rischio e ricaduta clinica. In conclusione, non ci sono dubbi che la identificazione del paziente a rischio cardiovascolare rappresenta un momento essenziale di ogni strategia di prevenzione efficace applicata sia su pazienti esposti che sulla popolazione generale. È però altrettanto vero che la semplice categorizzazione dei soggetti sulla base del profilo di rischio teorico sembra essere oggi una strategia identificativa di efficacia solo parziale se non integrata da una serie di indicatori quantitativi che definiscano su quale substrato


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60 Incidence (%)

50

3

30

2

20 1 10 0

≤110

13 52

>110 to >120 to >130 to >140 to >150 to >160 to >170 to ≤120 ≤140 ≤160 ≤170 ≤130 ≤150 ≤180 Systolic Blood Pressure (mmHg) 69 240 117 57 201 168 24 457 1955 573 239 1848 1118 97

100

Incidence (%)

>180

0

24 61 10

Hazard Ratio

80

8

60

6

40

4

20

2

0

No. Partecipants Partecipants with primary outcome Total partecipants

≤60

>60to ≤70

27 78

165 819

>80to >70to >90 to ≤90 ≤80 ≤100 Diastolic Blood Pressure (mmHg) 221 418 61 1909 3223 310

>100 to ≤110 14 53

>100

Estimated Hazard Ratio

Incidence (%) of Primary Outcome

Hazard Ratio

40

No. Partecipants Partecipants with primary outcome Total partecipants

B

4 Estimated Hazard Ratio

Incidence (%) of Primary Outcome

A

0

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Figura 2 specifico si applica quel profilo di rischio teorico in quanto solo quest'ultimo aspetto è in grado di decretare quale sia il reale impatto clinico del rischio e quale strategia sia in grado di mantenere in un costante equilibrio favorevole il rapporto rischio/benefico di interventi preventivi sempre più efficaci, ma di conseguenza sempre più paziente-dipendenti. Bibliografia 1. Ezzati M, Lopez AD, Rodgers A, Vander Hoorn S, Murray CJ; Comparative Risk Assessment Collaborating Group. Selected major risk factors and global and regional burden of disease. Lancet. 2002; 360(9343): 1347-60. 2. G.Backer, E.Ambrosioni et al for the Third Joint Task Force of European and Other Societies on CV disease prevention in clinical practice. European guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice. European Journal of Cardiovascular Prevention and Rehabilitation 2003; 10 (suppl.1): S1-S78.

3. ADVANCE Collaborative Group, MacMahon S, Chalmers J, Neal B, Woodward M, Billot L, Harrap S et al. Effects of a fixed combination of perindopril and indapamide on macrovascular and microvascular outcomes in patients with type 2 diabetes mellitus (the ADVANCE trial): a randomised controlled trial. Lancet. 2007; 370(9590): 829-40. 4. Gaede P, Vedel P, Larsen N, Jensen GV, Parving HH, Pedersen O. Multifactorial intervention and cardiovascular disease in patients with type 2 diabetes. N Engl J Med. 2003; 348(5): 383-93 5. Mancia G, De Backer G, Dominiczak A, Cifkova R, Fagard R, Germano G, et al. ESH-ESC Task Force on the Management of Arterial Hypertension. 2007 ESHESC Practice Guidelines for the Management of Arterial Hypertension: ESHESC Task Force on the Management of Arterial Hypertension.J Hypertens. 2007 Sep;25(9):1751-62. 6. Executive Summary of the Third Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults. JAMA. 2001;285:2486-2497 7. Yusuf S, Teo KK, Pogue J, Dyal L, Copland I, Schumacher H, et al.Telmisartan,ramipril, or both in patients at high risk for vascular events. N Engl J Med 2008; 358:1547-1559.

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Il valore clinico del follow-up osservazionale e delle estensioni degli studi clinici controllati Prof. Gianpaolo Reboldi Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Perugia

Introduzione Numero Cumulativo di Registrazioni

La fase di estensione di una sperimentazione clinica randomizzata e controllata (SCCR) procede solitamente con un protocollo assai semplificato rispetto alla fase precedente e può prevedere o meno la continuazione dell'intervento sia conservando il blinding che proseguendo l'osservazione in aperto. Anche gli obiettivi primari e secondari della fase di estensione sono in genere semplificati e/o ridotti ed il loro razionale è generalmente riconducibile ad una valutazione a lungo termine di sicurezza e/o efficacia dell'intervento. Dal punto di vista pratico, al termine della fase in doppio cieco, i pazienti sono invitati ad arruolarsi in uno studio di estensione che è normalmente più lungo della SCCR originale.

Numero cumulativo di registrazioni nel periodo 1999-2009 di studi clinici di estensione 2500 2067 2000

1825

1500

1317 983

1000 661 500 0

38

51

61

95

131

200

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Anno Fonte: http://ClinicalTrials.Gov

Figura 1 Quanto sono frequenti gli studi di estensione? Una ricerca specifica sul registro internazionale delle ricerche cliniche Clinicaltrails.gov (http://clinicaltrials.gov) ha individuato 2067studi di estensione, in vari ambiti terapeutici registrati tra il 1999 ed il 2009 (Figura 1).Dalla figura si evince come questi studi, relativamente rari prima del 2005, siano stati registrati con crescente frequenza negli ultimi anni. Le caratteristiche salienti degli SCE sono riassunte in Tabella 1. Nonostante il 46% di SCE completate, dalla tabella è evidente la scarsità di studi con risultati disponibili (2%), dato che trova apparente conferma anche attraverso una ricerca MEDLINE. Infatti, a fronte di oltre 500 SCE registrati e completati entro il 2007, una ricerca bibliografica aggiornata al 2009,quindi con un intervallo di tempo utile per la pubblicazione di 18 mesi, identifica solo 50 pubblicazioni. Sembra quindi evidente un notevole “gap” tra numero di SCE registrati e successiva pubblicazione dei risultati. Secondo l'opinione scettica e molto critica, tutt'altro che condivisa di alcuni Autori (1), ciò mette in luce un sostanziale publication-bias riconducibile alla scarsa validità ed attendibilità degli SCE, in quanto condotti prevalentemente per ragioni di marketing piuttosto

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che per un oggettivo valore scientifico e clinico. Ad onor del vero dobbiamo invece sottolineare alcuni elementi che possono contribuire a spiegare questa discrepanza: le banche dati bibliografiche, quali MEDLINE, non hanno termini e metodologie di indicizzazione specifiche per SCE quindi la ricerca risulta spesso imprecisa ed inaccurata; nonostante la registrazione degli studi clinici sia obbligatoria a termini di Legge in molti paesi occidentali (2, 3) e necessaria per la pubblicazione dei risultati (4, 5), solo recentemente ClinicalTrials. Gov ha dato la possibilità agli sperimentatori di includere alcuni risultati salienti, suggerendo, senza obbligo formale, di elencare le eventuali pubblicazioni o altro riferimento ai risultati; il registro EudraCT non contiene al momento i risultati degli studi e solo recentemente, in applicazione di una specifica direttiva,ne è stata prevista l'immissione (6). Razionale ed obiettivi di uno studio di estensione L'analisi degli SCE registrati (Tabella 1) rivela che circa l'80% degli SCE è condotto e pianificato per verificare la sicurezza di impiego e/o l'efficacia a medio e lungo termine dell'intervento


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1) è quello di dimostrare l'efficacia di un farmaco in un periodo di tempo più lungo di quello Disegno e Conduzione della SCCR originaria. Spesso, l'obiettivo speci92% 70% Aperto 53% Intervento Randomizzato fico è di valutare gli esiti in pazienti, original38% 8% 30% Doppio Cieco Osservazionale Non-Randomizzato mente allocati al trattamento di confronto, che 9% Singolo Cieco nella fase di estensione ricevono il trattamento Intervento e Fase Clinica oggetto della SCCR. In altri casi, lo SCE è con78% 92% 22% Fase 2 Farmacologico Trattamento dotto per valutare, attraverso l'osservazione a 22% 8% 51% Fase 3 Non-farmacologico Prevenzione lungo termine, l'effetto di un intervento o stra27% Fase 4 tegia terapeutica attuata durante la SCCR e Obiettivi e Stato di Attività non continuata durante l'estensione. Un'altra 14% 46% Sicurezza Completato valutazione di efficacia può essere desunta da 64% 23% Sicurezza ed Efficacia In reclutamento SCE che si propongono di valutare l'effetto 20% 18% Efficacia Non in reclutamento della prosecuzione del trattamento oggetto 2% 8% Non Attivo Altro della SCCR rispetto alla pratica corrente o rac5% Sospeso/Chiuso/Ritirato comandata da linee-guida. Tuttavia, la valutaPazienti arruolati zione dell'efficacia di un intervento durante o 1480560 6% 60% Adulti/Anziani Totale Femmine 745 5% 18% Adulti Media Maschi dopo un SCE è spesso complessa e non priva di 150 89% 8% Età Pediatrica Mediana Entrambi distorsione (bias) sia dal punto di vista clinico 14% Qualunque età che metodologico (8, 9). Ad esempio, in molti Risultati* Sponsor Durata* SCE solo una parte dei pazienti continua per il 2.5 anni Industria 67% 2% Media Disponibili periodo di estensione e, punto di importanza 3 mesi Non profit 27% Minimo cruciale, l'analisi viene generalmente condotta 15 anni Entrambi 6% 98% Massimo Non disponibili solo su costoro. In questo caso si introduce un Fonte: http://ClinicalTrials.Gov * Riferito agli studi completati inclusi quelli con data di inizio antecedente al 1999 notevole bias, sia perché vengono analizzati solo i soggetti che hanno completato la parte Tabella 1 randomizzata dello studio, sia perché vengono inclusi solo soggetti che hanno accettato sia di previsto dal protocollo sperimentale.La durata media pianificacontinuare il trattamento in studio che di essere osservati e ta degli SCE completati è infatti pari a 2,5 anni con oltre il 20% rivalutati per un ulteriore periodo di tempo (10). Inoltre, anche di durata maggiore di 4 anni. In relazione alla sperimentazione quando nell'analisi si siano considerati i possibili bias, risulta origine, la durata risulta in genere almeno di 2 o 3 volte supecomplesso dimostrare la validità di un confronto fra i gruppi riore.L'estensione nel tempo di uno studio,in particolare quansulla base dell'usuale statistica inferenziale (11). do siano stati impiegati nella sperimentazione principale mediAltre motivazioni, oltre alle due prevalenti, per la conduzione cinali nuovi destinati al trattamento di malattie croniche, trova di SCE sono da ricondurre a motivazioni di natura etica, ad un forte razionale nella valutazione del potenziale di eventi esempio: rendere disponibile per l'uso compassionevole (in avversi e reazioni indesiderate. Eventi relativamente rari (≈1%) Italia esteso a partecipanti e non (12)) un intervento efficace possono essere documentati con ragionevole certezza anche ma non ancora largamente disponibile o in attesa della regicon poche centinaia di pazienti esposti (7).Tuttavia, qualora gli strazione, oppure per consentire al medico ed al paziente di eventi avversi siano decisamente rari, ad esempio inferiori a familiarizzare e quindi di rendere agevole e pratico l'uso di 0,1%, dovrebbero rimanere esposti al trattamento oltre 10000 interventi sanitari a volte assai complessi ed articolati. pazienti per osservare l'evento con un ridotto margine di errore ed una probabilità significativa. Quindi l'interpretazione dei La posizione degli Enti regolatori risultati di sicurezza derivati da SCE non può prescindere dalla Gli enti regolatori, tra i quali l'EMEA, privilegiano le SCCR ma, valutazione della dimensione campionaria, della durata totale d'altro canto, non sostengono che queste siano le uniche di esposizione e dall'incidenza osservata di eventi avversi. In prove di efficacia con valore ai fini registrativi (13). pratica, la principale limitazione di un SCE potrebbe dipendere Generalmente viene valutato, ai fini dell'autorizzazione da una ridotta o inadeguata “potenza statistica”tale da pregiuall'immissione in commercio, un insieme (package) di studi dicare l'attendibilità delle conclusioni. randomizzati condotti in cieco e in aperto, primari o di estenIl secondo obiettivo, in termini di frequenza, degli SCE (Tabella sione, etc., purché con elevato grado di coerenza interna. I Caratteristiche degli Studi Clinici di Estensione

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dati di sperimentazioni cliniche condotte in aperto si considerano un importante ed utile complemento ai risultati di SCCR cardine, tuttavia in caso di discrepanze prevalgono i risultati di queste ultime.

Elementi per la valutazione di uno studio di estensione 1. Lo studio di estensione deve essere condotto secondo un protocollo specifico predefinito che includa: a. Razionale, ipotesi e disegno sperimentale i. Arruolamento e criteri di inclusione ed esclusione ii. Pianificazione e metodi di raccolta dei dati iii. Piano e durata dell’intervento/osservazione iv. Misure di esito e criteri di aggiudicazione v. Registrazione e di monitoraggio degli eventi avversi b. Dimensionamento ed analisi dei dati c. Documentazione per il consenso informato

Rilevanza scientifica e valore clinico Nonostante il CONSORT abbia fornito delle linee guida per il disegno, l'analisi e la presentazione di una SCCR (14,15), ad oggi non è disponibile un simile documento per gli SCE (9).Quindi,ai fini della valutazione critica di questi studi, dobbiamo attenerci ad alcuni elementi (Tabella 2) di natura generale relativi al disegno, alla metodologia di analisi, alla registrazione internazionale ed alle possibili implicazioni di natura etica (16). Dal punto di vista pratico, gli SCE ed il follow-up osservazionale sono assai importanti per valutare la sicurezza e la tollerabilità,l'efficacia,ed in qualche modo l'efficienza,di interventi sanitari volti al miglioramento della cura delle malattie croniche. In queste condizioni cliniche il periodo di esposizione tipico delle SCCR risulta necessariamente limitato ed a volte inadatto a valutare le possibili implicazioni, positive e negative, che un trattamento potrebbe avere in condizioni di prolungata esposizione. Peraltro, il valore clinico degli SCE è stato recentemente sottolineato visti i risultati di alcuni studi (Tabella 3) pubblicati nel corso degli ultimi anni. Sulla base di questi dati in molti hanno ipotizzato l'esistenza di un fenomeno di “memoria del

2. Deve essere presente un’analisi etica dell’estensione considerando gli effetti del trattamento ricevuto durante la fase precedente 3. Lo studio deve essere registrato presso un registro internazionale di studi clinici

Tabella 2

trattamento ricevuto” (definito anche memoria metabolica o memoria terapeutica) tale da determinare un persistente effetto protettivo anche a lungo termine (17, 18). A supporto di questa ipotesi potrebbe essere portata la coerenza dei risultati di questi studi che, nonostante condotti con diversi interventi ed in popolazioni assai eterogenee,hanno evidenziato la persi-

Riduzione Relativa del Rischio (RRR) al termine dello studio primario (RCT) eper l’intero periodo di esposizione (RCT + Fase di Estensione) Studi di estensione pubblicati nel periodo 2000 al 2008 in ambito cardiovascolare e metabolico Intervento

Studio (referenza)

Durata RCT Durata Estensione (anni) (anni)

Stile di Vita Stile di Vita Ramipril vs. placebo

FDPS (19, 20) Da QingStudy (21, 22, 31) HOPE (23, 24)

4 6 4.5

3 14 2.6

Trandolapril vs. placebo Enalapril vs. placebo

TRACE (25, 26) SOLVD-T (27, 29)

2-4 4

10-12 12

Enalapril vs. placebo

SOLVD-P (28, 29)

4

12

Simvastatina vs. placebo

4S (30, 32)

5.6

5

Pravastatina vs. placebo Pravastatina vs. placebo Gemfibrozil vs. placebo Trattamento Intensivo Multifattoriale Trattamento Intensivo Ipoglicemizzante

WOSCOPS (33, 34) LIPID (35, 36) HHS (37, 38) STENO-2 (39, 40) UKPDS (18, 41, 42)

4.9 6.1 5 7.8 10

10 2 13 5.5 8.5

Tabella 3

12

Misure di Esito

Riduzione RR al termine RCT (%)

Riduzione RR intero periodo RCT + Estensione (%)

Incidenza Diabete Incidenza Diabete Composito Primario Mortalità CV IMA Ictus Mortalità Mortalità Mortalità CV Mortalità Mortalità CV Mortalità Mortalità CV Mortalità Coronarica Mortalità Coronarica/IMA Mortalità Coronarica Malattia Coronarica 34% Composito eventi CV Mortalità Totale Esiti legati al diabete Malattia Macrovascolare IMA

58% 51% 22% 26% 20% 32% 22% 16% 18% 8% 12% 30% 36% 43% 31% 24% 34% 53% 6% 12% 25% 16%

43% 43% 17% 14% 19% 21% 11% 7% 10% 14% 16% 15% 17% 24% 27% 24% 24% 59% 13% 9% 24% 15%


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stenza di una significativa riduzione del rischio relativo al termine del periodo complessivo di esposizione (19-30). Questi dati, di notevole valore clinico e pratico, devono essere tuttavia collocati nella giusta dimensione.Dal punto di vista metodologico dobbiamo infatti ricordare almeno tre importanti caveat: le procedure per il reclutamento dei pazienti in molti casi appaiono piuttosto nebulose; in alcuni studi,limitatamente alla fase di estensione,sono state evidenziate differenze in negativo o non significative, quindi una discrepanza,rispetto alla SCCR originaria; l'analisi era spesso limitata ai soli pazienti che avevano accettato di partecipare allo studio di estensione ed in genere non è riportata una valutazione di sensibilità (10, 11). Conclusioni Da quanto esposto potremmo concludere che studi di estensione, ben pianificati, condotti ed analizzati con rigorosa metodologia e nel rispetto dell'eticità del trattamento, possono fornire dimostrazioni di sicurezza ed efficacia di rilevante significato pratico a lungo termine in particolare per la cura delle malattie croniche. Gli SCE possono inoltre contribuire a formulare nuove ipotesi per studi di intervento che tuttavia devono essere attentamente ponderate, vista l'elevata possibilità di conclusioni non prive di bias, prima di procedere allo loro verifica sperimentale diretta. Infine, particolare attenzione deve essere posta nella valutazione della metodologia di analisi dei risultati degli SCE, elemento di notevole criticità che può significativamente limitare la validità scientifica e l'applicabilità clinica delle conclusioni. Bibliografia 1. Taylor, G.J. and P. Wainwright, Open label extension studies: research or marketing? BMJ, 2005. 331(7516): p. 572-4. 2.Food and Drug Administration Amendments Act of 2007,U.S.Public Law 110-85.2007. 3. Haug, C., P.C. Gotzsche, and T.V. Schroeder, Registries and registration of clinical trials. N Engl J Med, 2005. 353(26): p. 2811-2. 4. International Committee of Medical Journal Editors. Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals: Writing and Editing for Biomedical Publication. 2008 [cited 2009 31/5//2009]; Available from: http://www.ICMJE.org. 5. De Angelis, C.D., et al., Is this clinical trial fully registered?--A statement from the International Committee of Medical Journal Editors.N Engl J Med,2005.352(23):p.2436-8. 6.European Commision.List of fields contained in the 'EUDRACT' clinical trials database to be made public,in accordance with article 57(2) of regulation (EC) no 726/2004 and its implementing guideline 2008/c168/02. 2009;Available from:http://ec.europa.eu/enterprise/pharmaceuticals/eudralex/vol-10/2009_02_04_guideline.pdf. 7. Inman, W.H., Postmarketing surveillance of adverse drug reactions in general practice. II: Prescription-event monitoring at the University of Southampton. Br Med J (Clin Res Ed), 1981. 282(6271): p. 1216-7. 8. Vickers, A.J. and D.G. Altman, Statistics notes: Analysing controlled trials with baseline and follow up measurements. BMJ, 2001. 323(7321): p. 1123-4. 9.Stanley,K.,Evaluation of randomized controlled trials.Circulation,2007.115(13):p.1819-22. 10. Hemming, K., et al., Open label extension studies and patient selection biases. J Eval Clin Pract, 2008. 14(1): p. 141-4. 11. Hu, Z. and D. Follmann, Statistical methods for active extension trials. Stat Med, 2007. 26(12): p. 2433-48. 12.Decreto Ministeriale 8 maggio 2003,Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica,Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana N° 173 28/7/2003. 13. Casteels, M. and B. Flamion, Open-label trials and drug registration: a European regulator's view. J Thromb Haemost, 2008. 6(2): p. 232-4. 14. Moher, D., K.F. Schulz, and D.G. Altman, The CONSORT statement: revised recommendations for improving the quality of reports of parallel-group randomised trials. Lancet, 2001. 357(9263): p. 1191-4.

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Alla ricerca delle forma ottimale: quale esercizio fisico in presenza di danno d’organo Dr. Agostino Virdis Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pisa

È noto sin dall'antichità l'importante ruolo che svolge l'esercizio fisico nel migliorare non solo l'aspetto estetico, ma anche la salute dell'individuo. Questo concetto è oggi oggetto d'interesse grazie alla dimostrazione ottenuta negli ultimi 15 anni che l'esercizio fisico può ridurre l'incidenza delle malattie cardiovascolari, migliorando la sopravvivenza (1). Questi risultati hanno portato le recenti linee guida della European Society of Hypertension e della European Society of Cardiology a considerare l'assenza di esercizio fisico come fattore di rischio cardiovascolare indipendente (2).Tutto questo scaturisce anche dalla dimostrazione che l'attività fisica rappresenta una terapia non farmacologico nella prevenzione di alcuni fattori di rischio cardiovascolare quali l'obesità, il diabete mellito, le dislipidemie e l'ipertensione arteriosa. Inoltre l'esercizio fisico fa parte delle modificazioni dello stile di vita indicate per ridurre la pressione arteriosa ed il rischio cardiovascolare nei pazienti ipertesi (2). Questo è sicuramente ancor più importante nel paziente iperteso complicato da danno d'organo, quali l'ipertrofia ventricolare sinistra, l'ateromasia vascolare o danno renale, quest'ultimo inteso come riduzione del filtrato glomerulare o presenza di microalbuminuria. È noto infatti che il danno d'organo subclinico ha una notevole rilevanza fisiopatologica nello sviluppo di eventi cardiovascolari. È ben noto infatti il ruolo prognostico negativo svolto dall'ipertrofia ventricolare sinistra, in particolar modo l'ipertrofia concentrica, e dall'ateromasia carotidea. Per quanto riguarda il danno renale, sia la microalbuminuria che la ridotta funzione renale sono associati ad un aumento della mortalità cardiovascolare (2). Il danno d'organo espone pertanto il paziente iperteso ad un rischio cardiovascolare più elevato e per questo motivo prima di “prescrivere” l'esercizio fisico da seguire in questi pazienti occorre tener presente le seguenti considerazioni.

14

Le modificazioni emodinamiche conseguenti all'esercizio fisico derivano per lo più dall'attivazione di due sistemi, il sistema nervoso simpatico (SNS), soprattutto, ed il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RSA) in minor misura, con le seguenti finalità: 1. Aumentare la performance cardiaca e, di conseguenza, la possibilità di “perfondere” 2. Evitare una perfusione di “lusso” agli organi non attivi e/o non necessari per l'espletamento dell'esercizio fisico 3. Assicurare una adeguata perfusione ai muscoli in attività e quindi ai muscoli scheletrici in esercizio, ai muscoli respiratori ed al miocardio. L'entità di attivazione di questi sistemi è diversa a seconda se il soggetto esegua un esercizio di tipo dinamico od isotonico (alternanza di contrazione e decontrazione) o di tipo statico o isometrico (contrazione senza modificazione della lunghezza delle fibre muscolari) con conseguenze emodinamiche diverse. Nell'esercizio di tipo dinamico, la vasocostrizione indotta dall'attivazione dei due sistemi negli organi non in funzione viene ampiamente controbilanciata dalla vasodilatazione che si crea su base autogena nei muscoli in esercizio, per cui le resistenze vascolari periferiche risultano ridotte. Viceversa, nell'esercizio di tipo isometrico prevale l'effetto vasocostrittore dell'attività simpatica e dell'angiotensina circolante poiché la contrazione muscolare protratta impedisce, con effetto meccanico, la vasodilatazione muscolare su base autogena (Figura 1). Ne consegue che l'esercizio di tipo dinamico induce un aumento della pressione arteriosa sistolica (PAS), mentre la pressione arteriosa diastolica (PAD) tende a non aumentare, se non a ridursi. Al contrario, durante esercizio di tipo isometrico aumenta la PAS e soprattutto la PAD. È pertanto chiaro che al paziente iperteso, specialmente con danno d'organo, deve essere consigliata una attività fisica di


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Esercizio fisicodinamico

Esercizio fisicoisometrico

Alternanza di contrazione e decontrazione delle fibre muscolari

Contrazione senza modificazione della lunghezza delle fibre muscolari

Vasocostrizione dei distretti vascolari non interessati dall’esercizio + vasodilatazione autogena dei muscoli in esercizio

Contrazione protratta delle fibre muscolari, che impedisce la vasodilatazione autogena

Figura 1 tipo dinamico: corsa di fondo, nuoto, ciclismo (non in salita o con rapporti elevati verosimilmente per la maggior componente isometrica che questo tipo di esercizio comporta), cioè tutte quelle attività fisiche che si esplicano attraverso il ripetersi, spesso perfettamente ciclico, di contrazioni muscolari che comportano significative variazioni della lunghezza dei muscoli ed ampie escursioni articolari, generalmente senza l'impiego di elevate quantità di forza muscolare. Per quanto riguarda l'attività subacquea in apnea, va ricordato che essa provoca un aumento sia della PAS che della PAD dovuti all'ipossiemia che attiva il riflesso chemiocettivo che induce una profonda vasocostrizione dovuta all'imponente attivazione del SNS.Tale tipo di attività andrebbe sconsigliata al paziente iperteso, specialmente se in presenza di danno d'organo. Al contrario, l'immersione con le bombole, non inducendo una marcata ipossia, non induce significative alterazioni della PA. L'esercizio fisico isotonico eseguito regolarmente è in gradi di ridurre la pressione arteriosa a riposo? Già i primi studi condotti in passato avevano evidenziato che l'esercizio dinamico eseguito regolarmente, da 3 fino a 7 volte alla settimana per 2-6 mesi, riduceva significativamente la PAS e la Meccanismi attraverso i quali l’esercizio fisico può ridurre la pressione arteriosa MECCANISMI PRINCIPALI

PAD a riposo nei pazienti ipertesi, con o senza danno d'organo, anche in trattamento anti-ipertensivo (3,4). Più recentemente, una meta-analisi ha evidenziato come l'esercizio fisico dinamico sia capace di ridurre significativamente la PA, un effetto maggiore negli ipertesi rispetto ai normotesi, dato che l'entità di riduzione della PA è proporzionale ai valori di partenza. In particolare, una attività fisica eseguita 3-5 volte a settimana per circa 30-60 minuti per sessione ad una intensità di circa il 40-50% della massima capacità, sembra essere la più efficace nel ridurre i valori di pressione arteriosa (5). I meccanismi principali attraverso i quali l'esercizio fisico può ridurre la PA sono riassunti nella tabella 1. In conclusione, il paziente iperteso può fare attività fisica, purché i valori pressori siano stabilmente ben controllati dalla terapia farmacologica e purché l'esercizio fisico sia di tipo dinamico, di lieve-moderata entità (50-70% della massima capacità di esercizio), di 30-60 minuti per sessione, per 3-5 volte per settimana in modo continuativo. In presenza di danno d'organo, è cruciale che i valori pressori siano ben stabilizzati dalla terapia. Infine è importante individualizzare l'esercizio fisico (tipo ed entità/durata) e sempre valutare le condizioni cliniche prima di consigliare qualsiasi attività fisica in coloro nei quali il danno d'organo abbia prodotto cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, arteriopatia obliterante degli arti inferiori, aneurisma aorta addominale, o cerebropatia vascolare.

Modulazione, in senso negativo, dell’attività del SNS Aumento del letto vascolare muscolare Aumento della compliance arteriosa MECCANISMI SECONDARI Aumentata perdita di sodio con riduzione del sodio intracellulare Riduzione del volume plasmatico Riduzione del peso corporeo

Tabella 1

Bibliografia essenziale 1. Balady GJ. Survival of the fittest--more evidence. N Engl J Med 2002;346:852854. 2. Mancia G, De Backer G, Dominiczak A, et al. 2007 Guidelines for the Management of Arterial Hypertension: The Task Force for the Management of Arterial Hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). J Hypertens 2007;25:1105-1187. 3. Westheim A, Simonsen K, Schamaun O, et al. Effect of exercise training in patients with essential hypertension. J Hypertens Suppl 1985;3:S479-481. 4. Cade R, Mars D, Wagemaker H, et al. Effect of aerobic exercise training on patients with systemic arterial hypertension. Am J Med 1984;77:785-790. 5. Fagard RH. Exercise characteristics and the blood pressure response to dynamic physical training. Med Sci Sports Exerc 2001;33:S484-492.

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Una insospettabile signora chiamata disfunzione diastolica Prof. Pasquale Perrone Filardi, Stefania Paolillo, Gianluigi Savarese, Carmen D’Amore, Antonio Parente, Fabio Marsico, Enrico Vassallo, Oriana Scala, Donatella Ruggiero, Teresa Losco, Massimo Chiariello Dipartimento di Medicina Clinica, Scienze Cardiovascolari ed Immunologiche Università Federico II di Napoli

Epidemiologia, comorbidità e prognosi Circa il 50% dei pazienti affetti da scompenso cardiaco presenta una funzione sistolica conservata, con una prevalenza media del 56% (range 40-71%) in aumento negli ultimi anni (3,5,6). In confronto a soggetti con ridotta funzione sistolica, i pazienti affetti da scompenso diastolico sono più anziani e prevalentemente di sesso femminile (710,11), e spesso presentano condizioni cliniche associate che contribuiscono a rafforzarne il sospetto. L'ipertensione arteriosa ne rappresenta la principale comorbidità, con una prevalenza >88% (9) ed è stata identificata come predittore indipendente di normale funzione sistolica in pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco (10). L'incidenza e la prevalenza di fibrillazione atriale (FA) sembrano essere più elevate nei soggetti con disfunzione diastolica isolata, come osservato dal registro

16

dell'IN-CHF (11) che riporta un 25% di pazienti affetti da FA nel gruppo con FE > 45% in confronto al 16% dei soggetti con ridotta funzione sistolica. Altri fattori associati sono un aumentato BMI e la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra (3). Il diabete mellito e la disfunzione renale presentano, invece, una simile frequenza nello scompenso cardiaco a normale o ridotta FE (5,9). L'infarto miocardico, ed in generale qualsiasi espressione di malattia coronarica, sono molto meno comuni nel paziente con scompenso cardiaco a preservata FE (7,11). Dal punto di vista prognostico la disfunzione diastolica presenta una morbilità simile a quella della disfunzione sistolica, mentre il tasso di sopravvivenza è solo di poco più favorevole (Fig. 1 [3,4,5,12]). I predittori di mortalità

Curve di sopravvivenza di Kaplan-Maeyer per pazienti con scompenso cardiaco e ridotta o preservata frazione d’eiezione

1.0

p=0.03

0.8 Sopravvivenza

La disfunzione diastolica è una condizione clinica che occorre in tutte le situazioni che alterano la distensibilità delle camere cardiache, provocando modificazioni nella fase di riempimento ventricolare con conseguente spostamento in alto ed a sinistra del diagramma pressione-volume. Tale condizione, quando non associata ad alterata funzione sistolica, viene indicata come “scompenso cardiaco a normale frazione d'eiezione” (1), definizione che sostituisce la precedente dicitura di “scompenso diastolico” (2). L'insufficienza cardiaca a preservata funzione sistolica rappresenta circa la metà dei casi di scompenso cardiaco (3) ed è gravata da elevati tassi di morbidità e mortalità (4), e va sospettata in caso di pazienti che presentino manifestazioni cliniche tipiche dello scompenso cardiaco e frazione d'eiezione (FE) ≥ 50%, in assenza di una evidente diagnosi alternativa.

0.6

FE ≥ 50

0.4

FE < 50

0.2 0.0 0

1

2

3

4

5

Anni No. at Risk Reduced ejection 2424 fraction

Figura 1

1637

Modificato da Owan et al. N Engl J Med 2006

1350

1049

813

604


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includono l'età, la pressione arteriosa sistolica, la disfunzione renale, l'anemia, la presenza di vasculopatia periferica e di patologie a carico dell'apparato respiratorio (4).

risposta cronotropa e vasodilatatoria allo sforzo con impatto negativo sull'output cardiaco (13,14). Più raramente la patologia esordisce con un quadro di edema polmonare. L'inquadramento diagnostico si basa sull'ecocardiografica, che porrà il sospetto diagnostico in caso di frazione d'eiezione pari o superiore al 50% (2) in presenza di volume diastolico ventricolare <97ml/m2 [15]). Per l'identificazione della disfunzione diastolica, l'ecocardiografia fornisce un parametro accurato, che presenta una stretta correlazione con le pressioni di riempimento ventricolare, rappresentato dal rapporto tra la velocità di riempimento transmitralico precoce (E) e la velocità longitudinale protodiastolica (EI) misurata con il doppler tissutale a livello dell'annulus settale o laterale mitralico. Tale rapporto se >15 indica elevate pressioni di riempimento e conferma la disfunzione diastolica, mentre se compreso tra 8 e 15 richiede per la diagnosi ulteriori conferme fornite dalla valutazione dei peptidi natriuretici, dall'identificazione di

Manifestazioni cliniche e diagnosi Nel 2007 l'European Working Group della Società Europea di Cardiologia (1) ha proposto tre requisiti fondamentali perché si possa parlare di scompenso cardiaco a conservata funzione sistolica: - segni o sintomi di scompenso cardiaco congestizio; - FE ≥50%, in assenza di eccessiva dilatazione ventricolare sinistra; - l'evidenza diretta o indiretta di disfunzione diastolica. Clinicamente la dispnea è il sintomo predominante ed è tipicamente da sforzo o notturna (6). La valutazione funzionale mediante test cardiopolmonare o attraverso il 6minute walking test può evidenziare una ridotta Peak VO 2, una minore durata dell'esercizio ed un'alterata

Algoritmo diagnostico per lo scompenso cardiaco a preservata frazione d’eiezione (HFNEF) proposto dal Working Group della Società Europea di Cardiologia Sospetto di scompenso cardiaco a preservata funzione sistolica

Sintomi o segni di scompenso cardiaco (dispnea, astenia, edemi periferici, congestione polmonare, epatomegalia etc.) FE > 50% indicizzato < 97 ml/m2

Evidenza di alterazioni della funzione diastolica

Valutazione emodinamica invasiva mPCW > 12 mmHg o PtD VS > 16 mmHg o τ > 48 msec o β > 0.27

Doppler tissutale E/E’ > 15

NT-proBNP > 220 pg/ml o BNP > 200 pg/ml

15 > E/E’ > 15

NT-proBNP > 220 pg/ml o BNP > 200 pg/ml

ETT/Doppler E/A < 0.5 e DT > 280 ms o DurA-DurRet > 30 ms o VA ind > 40 ml/m2 o MVS ind > 122 g/m2 (F) MVS ind > 149 g/m2 (M) o Fibrillazione atriale

TD E/E’ > 8

Scompenso cardiaco a preservata funzione sistolica FE frazione d’eiezione, Vtd volume telediastolico, mPCW mean pulmonary capillary wedge pressure, Ptd pressione telediastolica, ETT ecocardiogramma transtoracico, TD tempo di decelerazione, VA volume atriale, MVS massa ventricolare sinistra, TD doppler tissutale

Modificato da Paulus et al. Eur Heart J 2007

Figura 2

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fibrillazione atriale o da ulteriori misure ecocardiografiche derivanti dal flusso transmitralico, dal flusso venoso polmonare e dal volume atriale sinistro (Fig. 2) (1,16). Il dosaggio dei peptidi natriuretici, in particolare il BNP e l'NT-pro BNP può essere utile per la diagnosi di esclusione dato l'elevato valore predittivo negativo per valori inferiori a 100 pg/ml per il BNP ed a 120 pg/ml per l'NT-pro BNP (1,17); in questo caso la patologia polmonare diviene la più probabile causa di dispnea. La determinazione della funzione diastolica può essere effettuata anche invasivamente durante cateterismo ed è confermata dal riscontro di elevata pressione telediastolica ventricolare sinistra, di elevata pressione di incuneamento capillare polmonare o dalla valutazione di parametri emodinamici più sofisticati (prolungamento di τ e incremento di β) in presenza di FE ≥50% (1). La diagnosi differenziale con altre condizioni cardiache può essere spesso difficoltosa e nell'inquadramento diagnostico del paziente vanno prese in considerazioni patologie valvolari e pericardiche che potrebbero essere responsabili della dispnea, così come non va tralasciata la possibilità di una dispnea quale equivalente ischemico o quale sintomo di una iniziale cardiomiopatia dilatativa. Terapia Le linee guida sullo scompenso cardiaco cronico raccomandano in classe IA il controllo della pressione arteriosa quale primo step nella gestione dell'insufficienza cardiaca a preservata funzione sistolica (18). L'attenzione è stata rivolta negli ultimi anni all'uso di ACE-inibitori e di Antagonisti del recettore dell'angiotensina, benché i pochi trials clinici finora effettuati non abbiano dimostrato benefici in termini di sopravvivenza (19,20,21), ma solo una riduzione dell'ammissione ospedaliera per scompenso cardiaco rispetto ai gruppi trattati con placebo (21). Resta ancora da stabilire l'effettivo beneficio dei β-bloccanti, considerati importanti per l'effetto di prolungamento del tempo diastolico e conseguente riduzione delle pressioni di riempimento, ma al contempo contestati per la determinazione di incompetenza cronotropa durante esercizio, ritenuta concausa della dispnea da sforzo (22, 23). In assenza di evidenze definitive dagli studi clinici la terapia dovrebbe mirare soprattutto al controllo intensivo dei fattori di rischio, con particolare attenzione alla pressione arteriosa ed al diabete.

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Bibliografia 1. Paulus WJ, Tscöpe C, Sanderson JE. Et al. How to diagnose diastolic heart failure: a consensus statement on the diagnosis of heart failure with normal left ventricular ejection fraction by the Heart Failure and Echocardiography Associations of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 2007;28:25392550. 2. Vasan RS, Levy D. Defining diastolic heart failure: a call for standardized diagnostic criteria. Circulation 2000;101:2118-21. 3. Hogg K, Swedberg K, Mc Murray J. et al. Heart failure with preserved left ventricular systolic function. J Am Coll Cardiol 2004;43:317-27. 4. Bathia RS, Tu JV, Lee DS. et al. Outcome of heart failure with preserved ejection fraction in a population-based study. N Engl J Med 2006; 355:260-9. 5. Owan TE, Hodge DO, Herges RM. et al. Trends in prevalence and outcome of heart failure with preserved ejection fraction. N Engl J Med 2006; 355:251-9. 6. Vasan RS, Benjamin EJ, Levy D. et al. Prevalence, clinical features and prognosis of diastolic heart failure: an epidemiologic perspective. J Am Coll Cardiol 1995;26:1565-74. 7. Vasan RS, Larson MG, Benjamin EJ. et al. Congestive Heart Failure in subjects with normal versus reduced left ventricular ejection fraction. J Am Coll Cardiol 1999;33:1948-55. 8. Kitzman DW, Gradin JM, Gottdiener JS. et al. Importance of heart failure with preserved sistoli function in patients e65 years of age. Am J Cardiol 2001;87:413-419. 9. Mc Murray JJV, Carson PE, Komajda M. et al. Heart failure with preserved ejection fraction: clinical characteristics of 4133 patients enrolled in the I-PRESERVE trial. Eur J Cardiol 2008;10:149-156. 10. Masoudi FA, Havranek EP, Smith G. Gender, age and heart failure with preserved left ventricular systolic function. J Am Coll Cardiol 2003;41:217-23. 11. Tarantini L, Faggiano P, Senni M. et al. Clinical features and prognosis associated with a preserved left ventricular systolic function in a large color of congestive heart failure outpatients managed by cardiologists. Ital Heart J 2002;3:656-64. 12. Ren X, Ristow B, Na B. et al. Prevalence and prognosis of asymptomatic left ventricular diastolic dysfunction in ambulatorial patients with coronary heart disease. Am J Cardiol 2007;99:1643-47. 13. Borlaug BA, Melenovsky V, Russell SD. et al. Impaired chronotropic and vasodilator reserves limit exercise capacity in patients with heart failure and a preserved ejection fraction. Circulation 2006;114:2138-2147. 14. Witte KKA, Nikitin NP, Cleland JGF, Clark L. Excessive breathlessness in patients with diastolic heart failure. Heart 2006;92:1425-1429. 15. Lang RM, Bierig M, Devereux RB. et al. Reccomendations for chamber quantification. Eur J Echocardiography 2006;7:79-108. 16. Ommen SR, Nishimura RA, Appleton CP. et al. Clinical utility of doppler echocardiography and tissue doppler imaging in the estimation of left ventricular filling pressures: a comparative simultaneous Doppler-catheterization study. Circulation 2000;102:1788-1794. 17. Tscöpe C, Kasner M, Westermann D. et al. The role of NT pro-BNP in the diagnostics of isolated diastolic dysfunction: correlation with echocardiographic and invasive measurements. Eur Heart J 2005;26:2277-2284. 18. Dickestein K, Cohen-Solal A, Filippatos G. et al. ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2008. Eur Heart J 2008;29:2388-2442. 19. Massie BM, Carson PE, McMurray JJ. et al. Irbesartan in patients with heart failure and preserved ejection fraction. N Engl J Med 2008;359:1-12. 20. Cleland JG, Tendera M, Adamus J. et al. The perindopril in elderly people with chronic heart failure (PEP-CHF) Study. Eur Heart J 2006;27:23382345. 21.Yusuf S, Pfeffer MA, Swedberg K. et al. Effects of candesartan in patients with chronic heart failure and left-ventricular preserved ejection fraction: the CHARM-Preserved Trial. Lancet 2003;362:777-781. 22. Flather MD, Shibata MC, Coats AJ. et al. Randomized trial to determine the effect of nebivolol on mortality and cardiovascular hospital admission in elderly patients with heart failure (SENIORS). Eur Heart J 2005;26:215-25. 23. Maeder MT, Kaye DM. Heart failure with normal ejection fraction. J Am Coll Cardiol 2009;53:905-918.


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L’automisurazione: un di più o una necessità? Prof. Francesco Vittorio Costa Università di Bologna Negli ultimi anni si è andata rapidamente affermando la pratica dell'automisurazione o monitoraggio domiciliare della pressione arteriosa (MDPA). Le ragioni di questo fenomeno sono legate al fatto che oggi sono disponibili apparecchi economici, facili da usare e capaci di misurazioni accurate. L'insieme di queste caratteristiche ha fatto sì che sempre più medici consiglino questa pratica e che sempre più pazienti, anche autonomamente, la utilizzino. Gli apparecchi automatici odierni sono infatti praticamente privi dei limiti caratteristici delle attrezzature tradizionali (sfigmomanometri a mercurio ed aneroidi) che di fatto rendevano la pratica dell'automisurazione molto più complessa e quindi molto meno applicabile alla popolazione. Il MDPA effettuato con i moderni apparecchi automatici, fornisce anche vantaggi estremamente rilevanti dal punto di visita clinico e che rendono questa tecnica fondamentale per un approccio più moderno ed esaustivo alla malattia e che sono riportati nella tabella 1.

Vantaggi clinico-epidemiologici dell’automisurazione pressoria a) Migliore correlazione dei valori automisurati col danno d’organo b) Migliore capacità di predire morbidità e mortalità c) Maggiore consapevolezza della malattia da parte dei pazienti d) Migliore controllo pressorio nei soggetti che ne fanno uso e) Migliore compliance nei soggetti che automisurano f ) Costo-efficacia

Tabella 1

a) Migliore correlazione dei valori automisurati col danno d'organo Studi trasversali hanno dimostrato che il danno d'organo nei pazienti ipertesi correla meglio con i valori automisurati che con quelli rilevati dal medico. Ciò si è osservato per il grado di ipertrofia ventricolare sinistra (metodo ecocardiografico)che correla meglio con i valori del MDPA piuttosto che con quella misurata dal medico o con il monitoraggio ambulatorio delle 24 ore (1) e per la sua regressione in corso di terapia (2) che correla meglio con la PA automisurata che con quella misurata dal medico. Anche nei diabetici si è dimostrato il MDPA è in grado di prevedere meglio dei valori rilevati dal medico, lo sviluppo delle complicanze microvascolari (retinopatia e nefropatia). b) Migliore capacità di predire morbidità nei soggetti ipertesi Sono numerosi gli studi che hanno confermato le migliori capacità predittive del MDPA nei riguardi degli eventi cardiovascolari. Nello studio Ohasama (3,4) la PA automisurata mostrava un potere predittivo migliore della PA rilevata dal medico rispetto alla mortalità cardiovascolare e totale e prediceva meglio il primo episodio di ictus. Uno studio (5) ha dimostrato che la PA domiciliare è in grado di prevedere gli eventi cardiovascolari in una popolazione di ipertesi anziani mentre ciò non è possibile utilizzando la PA misurata dal medico. Recentemente uno studio ha confrontato il potere predittivo rispetto all'ictus della PA domiciliare misurata alla sera e quello di screening casuali della PA. Si è osservato che solo i valori inziali della PA automisurata predicevano in maniera significativa gl'ictus futuri (6).

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c) Magggiore consapevolezza della malattia da parte dei pazienti Circa il 60% dei pazienti pensano che l'automisurazione della PA li abbia resi maggiormente consapevoli della malattia e li aiuti a rapportarsi con essa. Il 96% dei pazienti che la utilizzano ritengono che sia molto utile e hanno un atteggiamento più positivo nei riguardi della malattia (7). d) Migliore controllo pressorio nei soggetti che ne fanno uso La maggioranza degli studi evidenzia che nei soggetti che utilizzano il MDPA si ha un miglioramento del controllo pressorio (8,9). Quando i pazienti regolano da soli il dosaggio dei farmaci utilizzando a tale scopo i valori pressori rilevati col MDPA, si è osservato un calo significativo della PA media (rilevata col monitoraggio continuo delle 24 ore) rispetto al gruppo di controllo trattato dal medico sulla base dei valori rilevati in ambulatorio.(10) Una meta-analisi di 18 studi controllati randomizzati che ha confrontato i pazienti che utilizzavano il MDPA con il controllo tradizionale, ha mostrato che il MDPA si associava ad un migliore controllo pressorio e ad una maggior percentuale di soggetti che raggiungono i goal terapeutici. Anche se la differenza è piccola(2.2/1.9 mm Hg), se il dato viene trasferito alla popolazione generale assume una rilevanza assoluta. Uno studio eseguito in Australia da medici di famiglia, ha dimostrato che dopo 12 mesi di utilizzazione del MDPA i soggetti con buon controllo pressorio passavano dal 29.9% al 44.8%, con un calo pressorio medio pari a 5.2/3.2 mmHg (p<0.001) (11). e) Migliore compliance nei soggetti che automisurano Il miglior controllo pressorio osservato nei soggetti che utilizzano il MDPA è probabilmente da attribuire in gran parte ad un miglioramento della aderenza al trattamento. Anche se i diversi disegni sperimentali e le diverse definizioni di compliance rendono difficile confrontare i risultati dei vari studi, in generale c'è accordo sul fatto che il MDPA migliora l'aderenza al trattamento. f) Costo-efficacia del MDPA L'insieme di questi effetti si riflette anche sulle questioni economiche relative alla gestione dei pazienti ipertesi.

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Questo aspetto del MDPA ha ricevuto finora scarsa attenzione ma è sicuramente di notevole interesse. Il MDPA può essere usato principlamente in 2 tipi di situazioni: 1) diagnosi di ipertensione e decisione sulla necessità di una terapia 2) valutazione dei risultati del trattamento. In entrambe le situazioni il MDPA riduce la necessità di consultazioni mediche, consente una maggiore precisione diagnostica e quindi evita il rischio di terapie non necessarie o eccessive con conseguente spreco di risorse e possibile danno per i pazienti. Inoltre, il miglior controllo pressorio dei soggetti che praticano il MDPA riduce le complicanze che rappreseno la maggior voce di costo in questi pazienti in quanto portano a ricoveri ospedalieri e talora a esiti invalidanti. Per tali ragioni gli esperti suggeriscono che gli apparecchi per l'automsurazione siano distribuiti ai pazienti gratuitamente. Bibliografia 1. Kleinert HD, Harshfield GA, Picketing TG, et al.What is the value of home blood pressure measurementin patients with mild hypertension? Hypertension. 1984;6:574-578. 2. Ibrahim MM, Tarazi RC, Dustan HP, Gifford RWJr. Electrocardiogram in evaluation of resistanceto antihypertensive therapy.Arch Intern Med. 1977;137:1125-1129. 3. Ohkubo T, Imai Y, Tsuji I, Nagai K, Kato J, Kikuchi N, et al. Home blood pressure measurement has a stronger predictivepower for mortality than does screening blood pressure measurement:a population-based observation in Ohasama, Japan. J Hypertens 1998; 16: 971-975. 4. Sakuma M, Imai Y, Tsuji I, Nagai K, Ohkubo T, Watanabe N,et al. Predictive value of home blood pressure measurementin relation to stroke morbidity: a population-based pilot study in Ohasama, Japan. Hypertens Res 1997; 20: 167-174. 5. Bobrie G, Chatellier G, Genes N, Clerson P, Vaur L, Vaisse B,et al. Cardiovascular prognosis of "masked hypertension"detected by blood pressure self-measurement in elderly treated hypertensive patients. JAMA 2004; 291: 1342-1349. 6. Asayama K, Ohkubo T, Hara A, Hirose T, Yasui D, Obara T et al :Repeated evening home blood pressure measurement improves prognostic significance for stroke: a 12-year follow-up of the Ohasama study. [JOURNAL ARTICLE] Blood Press Monit 2009 Apr 7. 7. Krecke HJ, Lutkes P, Maiwald M, Schultze-RuppA. Self-measurement of blood pressure in hypertensive subjects in Germany: results of a questionnaire in spring/early summer 1993 [in German]. Schweiz Rundsch Med Prax. 1994;83:895-900. 8. Stahl SM, Kelley CR, Neill PJ, Grim CE, MamlinJ. Effects of home blood pressure measurement on long-term control. Am J Public Health. 1984;74:704-709. 9. Carnahan JE, Nugent CA. The effects of selfmonitoring by patients on the control of hypertension.Am J Med Sci. 1975;269:69-73. 10. Zarnke KB, Feagan BG, Mahon JL, Feldman RD. A randomized study comparing a patient directed hypertension management strategy with usual office-based care. Am J Hypertens. 1997; 10:58-67. 11. Byrnes PD, Mitchell DK, Crawford MV, McGoldrick C: A cardiovascular risk clinic using home BP monitoring Australian Family Physician Vol. 38, No. 3, March 2009.


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OMRON M6 COMFORT MISURATORE DI PRESSIONE

Il misuratore della pressione Omron M6 comfort è Clinicamente validato secondo i protocolli della European Society of Hypertension e della British Hypertension Society, anche per popolazioni speciali come obesi e anziani. Tutte le validazioni sono pubblicate su riviste scientifiche internazionali (riferimenti bibliografici sul sito www.dableducational.org) Le validazioni cliniche sono conseguenza della grande accuratezza e ripetibilità delle misurazioni dello strumento, garantite anche dagli esclusivi sensori Omron che rilevano pulsazioni irregolari e movimenti anomali del braccio: i due principali fattori di inaccuratezza degli sfigmomanometri digitali. Il misuratore è dotato di BRACCIALE COMFORT che grazie alla sua doppia camera d’aria assicura una compressione del braccio non dolorosa ma estremamente efficace; adatto anche al paziente obeso per il quale non è richiesto un bracciale apposito. Display di grandi dimensioni, unico bottone di funzionamento e memorie automatiche per rendere estremamente semplice l'utilizzo anche per un pubblico anziano.

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Pressione domiciliare o ambulatoriale: un dubbio amletico Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi Dipartimento di Medicina Clinica e Biotecnologia Applicata “D.Campanacci” Università di Bologna Nonostante i vantaggi del monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore (ABPM) oggi,in un momento storico in cui i costi assistenziali nelle patologie cardiovascolari devono essere tenuti nell giusta considerazione, non bisogna dimenticare l'utilità di stumenti a domicilio che possono integrare i risultati dell'ABPM e fornire un'accuratezza del controllo pressorio superiore alla sporadica rilevazione ambulatoriale e che per questo motivo debbono essere incoraggiati. Un indubbio vantaggio dell'automisurazione domiciliare della pressione arteriosa è che essa è in genere esente dal fenomeno noto come "effetto da camice bianco". La pressione misurata dal medico mediante lo sfigmomanometro a mercurio è infatti quasi sempre caratterizzata da un rialzo pressorio generato dalla emotività che colpisce il paziente al momento della visita medica, rialzo la cui entità e durata è variabile da soggetto a soggetto. La pressione automisurata a domicilio è invece scevra da questo fenomeno e ciò spiega perchè le pressioni sfigmomanometriche misurate dal medico sono in genere più elevate della pressione domiciliare ed anche perchè in un cospicuo numero di soggetti la pressione è elevata nell'ambulatorio del medico ma normale quando misurata dal paziente a casa propria, durante la vita quotidiana.Un altro vantaggio della pressione domiciliare è che essa fornisce un numeApplicazioni cliniche dell’automisurazione della pressione arteriosa “Ipertensione da camice bianco” Pazienti che non rispondono alla terapia antiipertensiva sulla base della misurazione del medico Identificazione di casi di home hypertension (pressione normale dal medico ma non al proprio domicilio) Miglioramento dell’aderenza del paziente alla terapia Coinvolgimento attivo del paziente nella gestione del proprio controllo pressorio Difficili visite mediche frequenti Monitoraggio pressorio in gravidanza Ipertensione arteriosa borderline

Tabella 1

22

ro maggiore di valori pressori rispetto a quello ottenibile con la metodica sfigmomanometrica nello studio medico, consentendo inoltre di quantificare le modificazioni che la pressione subisce in diverse situazioni nella vita di tutti i giorni (es. sotto stress) e nel corso del tempo. Le applicazioni cliniche dell'automisurazione della pressione arteriosa sono elencate nella (Tabella 1).La tecnica dell'automisurazione è infine facile da apprendere e da usare e consente, se bene applicata, di ridurre il numero di visite mediche con un notevole risparmio di tempo sia per il medico che per il paziente.Tutto ciò, tuttavia, può essere ottenuto in maniera attendibile solo a condizione di utilizzare delle apparecchiature di qualità elevata, la cui precisione sia stata dimostrata da studi pubblicati su riviste internazionali,basati sull'uso di procedure di validazione raccomandate da Comitati Internazionali quali l'American Association for Medical Instrumentation (AAMI) e la British Hypertension Society (BHS). Secondo le linee guida della Società Italiana dell'Ipertensione Arteriosa, sulla misurazione convenzionale e automatica della pressione arteriosa,gli strumenti da polso non sono sempre consigliati perchè sono più soggetti ad errori di metodo nella misurazione della pressione arteriosa (1). Le Linee Guida forniscono indicazioni molto pratiche sulle caratteristiche tecnologiche che un misuratore dovrebbe possedere, al fine di facilitarne l'uso da parte del paziente e per ottenere misurazioni attendibili (Tabella 2). L'accuratezza di un misuratore della pressione è verificata dalla certificazione CE, ma anche da test in ambiente clinico,cioè “sul campo,nei pazienti, attraverso specifici protocolli di validazione, il più utilizzato dei quali è quello della European Society of Hypertension (ESH). L'automisurazione domiciliare della pressione arteriosa può fornire utili informazioni nella valutazione dell'efficacia del trattamento antiipertensivo, non solo perche è in grado di fornire un dettagliato profilo dei valori pressori nel tempo ed in relazione all'assunzione dei farmaci, ma anche perchè il suo impiego coinvolge attivamente il paziente con effetti potenzialmente positivi sulla regolarità di assunzione dei farmaci antiipertensivi. Questo ha il potenziale vantaggio di migliorare il controllo della pressione arteriosa,mantenendo i valori pressori a livelli di sicurezza per il paziente. I vantaggi dell'automisurazione della pressione arte-


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Caratteristiche del misuratore

Vantaggi dell’automisurazione della pressione arteriosa

CARATTERISTICHE DI BASE RACCOMANDATE

Assenza di reazione d’allarme alla misurazione

Facile da usare, preferibilmente automatico

Possibilità di ottenere numerose misurazioni nel tempo

Display di facile lettura

Elevata riproducibilità (se media di numerose misurazioni)

Dotato di memoria

Basso costo

Calcolo della media dei valori pressori memorizzati

Facile apprendimento

Disponibilità di bracciali di differenti dimensioni

Possibilità di memorizzazione digitale dei valori misurati

OPZIONALI

Possibilità di stampa delle misurazioni

Identificazione automatica dei movimenti del braccio o delle aritmie

Possibilità di teletrasmissione delle misurazioni

Medie separate del mattino e della sera

Tabella 3

Programmazione delle misurazioni Misurazioni automatiche notturne Teletrasmissione dei valori pressori

Tabella 2

Raccomandazioni per l’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa L’automisurazione della PA a domicilio è una pratica che deve essere eseguita ed interpretata sotto la supervisione del medico La misurazione deve essere effettuata dopo un periodo di riposo di 5 minuti

riosa sono elencati nella Tabella 3.Vi sono studi infatti che hanno dimostrato come l'uso dell'automisurazione della pressione arteriosa sia in grado di permettere una valutazione più attendibile dei valori pressori di un individuo e quindi sia in grado di prevenire più efficacemente gli eventi cardiovascolari tipici dell'ipertensione arteriosa (ictus, infarto, insufficienza renale, ecc) rispetto alla pressione arteriosa misurata dal medico). Le raccomandazioni dell'ESH per l'automisurazione domiciliare della pressione arteriosa (1) sono sintetizzate nella Tabella 4. Numerose evidenze indicano che il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa sia un fattore predittivo di eventi migliore della misurazione convenzionale della pressione. Tuttavia, nonostante considerevoli dati a sostegno,il ruolo del monitoraggio ambulatoriale della PA è spesso circoscritto ad alcune situazioni cliniche, come sospetta ipertensione da camice bianco o ipertensione resistente. A causa dei costi ,il monitoraggio ambulatoriale della PA è stato raramente utilizzato negli studi di popolazione.Lo studio sulla coorte di Ohasama (1), in Giappone è stato disegnato per validare le suddivisioni delle categorie di rischio individuate dalla classificazione (2) del Joint National Committee 7 (JNC-7) usando l'automisurazione vs la misura rilevata casualmente in studio dal medico. L'end point era l'incidenza di ictus. Sono stati valutati 1702 soggetti di età maggiore di 40 anni monitorati per ben 11 anni.I risultati dimostrano che i criteri JNC7 sono più predittivi usando l'automisurazione piuttosto che la misura convenzionale effettuata random. Uno studio (3) prospettico randomizzato per valutare l'efficacia dell'automisurazione per indirizzare la terapia antipertensiva è il THOP (Treatment of Hypertension Based on Home or Office Blood Pressure). Gli end points erano surrogati e non primari e dunque anche tale studio ha i suoi limiti.I risultati del THOP mostrano come i pazienti la cui

Il bracciale del misuratore deve essere tenuto a livello del cuore, sul braccio con la pressione più alta Per la fase di valutazione diagnostica iniziale, la fase di trattamento e la fase di follow-up, l’automisurazione della PA deve essere eseguita per almeno 7 giorni lavorativi, con due misurazioni al mattino e due la sera, e il primo giorno deve essere scartato; per una diagnosi accurata sono consigliabili un minimo di 12 misurazioni e fino a un massimo di 24-25 nell’arco di una settimana Negli intervalli tra le visite mediche, due misurazioni della PA a domicilio una volta alla settimana sembrano adatte per un monitoraggio domiciliare della PA a lungo termine nei soggetti ipertesi sotto controllo I diari dei pazienti possono essere inaffidabili ed è preferibile usare apparecchi dotati di memoria Linee guida SIIA 2008

Tabella 4 terapia antipertensiva era guidata dall'automisurazione della pressione ricevevano meno farmaci,ma avevano anche un minor controllo pressorio ed una massa del ventricolo sinistro maggiore.Nel THOP si sono evidenziate le ipertensioni da camice bianco ed in questo la misurazione a domicilio è risultata utile. Un ulteriore studio (4), il PAMELA (Pressioni Arteriose Monitorate e Loro Associazioni), è stato realizzato a Monza monitorando 2051 soggetti di età compresa tra 25 e 74 anni,rappresentativi della popolazione generale. I pazienti sono stati sottoposti alla misura della pressione arteriosa convenzionale, del monitoraggio pressorio e sono stati istruiti ad automisurarsi la pressione. Il follow-up è stato di 113 mesi.Tutte e tre le misure mostravano una relazione significativa diretta sia con la mortalità cardiovascolare che con quella globale. La relazione era migliore per la sistolica e per la pressione notturna.Nessuna delle tre misure è risultata statistica-

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Limiti del monitoraggio ambulatoriale della PA Possibile inccuratezza della misurazioni automatiche della PA, in particolare durante la deambulazione Interferenza con le attività quotidiane del paziente Ripercussioni sulla qualità del sonno maggiore o minore Limitata riproducibilità dei valori orari della PA I valori di riferimento “normali della PA ambulatoriale sono ancora in discussione Necessità di ulteriori evidenze sul valore prognostico dei differenti parametri del monitoraggio ambulatoriale della PA Costi elevati

Tabella 5 mente superiore in termini di predittività degli eventi rispetto alle altre,tuttavia l'aggiunta dell'automisurazione e della pressione notturna migliora,ma di poco,la capacità predittiva della pressione misurata in modo convenzionale. L'uso inappropriato di strumenti per il monitoraggio ambulatoriale della PA o la scarsa compliance del paziente con le istruzioni sul corretto utilizzo dello strumento possono portare a registrazioni erronee. Fin dall'inizio del monitoraggio ambulatoriale della PA, è emerso che alcuni soggetti presentavano un'elevata frequenza di misurazioni probabilmente inaccurate,in quanto al di fuori degli intervalli di oscillazione tipici. Queste misurazioni artefattuali sono peraltro spesso difficili da riconoscere perchè possono essere nell'ambito delle normali variazioni di PA del paziente. Una importante fonte di registrazioni erronee è data dallo spostamento del bracciale o del microfono durante il periodo di monitoraggio. Questo problema può presentarsi nei soggetti obesi.I limiti del monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa sono sintetizzati nella Tabella 5. Un deterioramento nella prestazione degli strumenti per il moni-

toraggio ambulatoriale della PA è stato osservato,sia con il metodo ascultatorio sia con quello oscillometrico, nei soggetti con braccia più grandi nonostante un uso corretto del bracciale. È fondamentale capire che la prestazione di uno strumento per il monitoraggio ambulatoriale della PA tende a diminuire nei soggetti obesi, che dovrebbero pertanto essere sottoposti ad attenti controlli sfigmomanometrici prima di essere considerati idonei per il monitoraggio ambulatoriale.Lo stato incoraggia i propri cittadini a un comportamento virtuoso per la salute pubblica permettendo la detrazione della spesa per quanto riguarda gli apparecchi per la misurazione della pressione arteriosa (tabella 6). Concludendo,la misurazione della pressione domiciliare,se effettuata nell'arco di un adeguato periodo di tempo, dovrebbe essere raccomandata prima e durante il trattamento,come approccio poco costoso in grado di migliorare la compliance del paziente in trattamento. Bibliografia 1. Parati G, Stergiou GS; Asmar R, Bilo G, de Leeuw P, Imai Y et al. ESH Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension guidelines for blood monitoring at home:a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens 2008; 26: 1505-1526. 2. Asayama K, Ohkubo T, Kikuya M, Metoki H, Hoshi H, Hashimoto J,Totsune K, Satoh H, Imai Y. Prediction of stroke by self-measurement of blood pressure at home versus casual screening blood pressure measurement in relation to the Joint National Committee 7 classification: the Ohasama study.Stroke. 2004; 10; 35:2356.61 3.Chobanian AV,Bakris GL,Black HR,Cushman WC,Green LA,Izzo JL Jr,Jones DW,Materson BJ,Oparil S,Wright JT Jr,Roccella EJ;National Heart,Lung,and Blood Institute Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure; National High Blood Pressure Education Program Coordinating Committee.The Seventh Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure:the JNC 7 report.JAMA.2003 May 21;289(19):2560-72. 4. Staessen JA, Den Hond E, Celis H, Fagard R, Keary L, Vandenhoven G, O'Brien ET; Treatment of Hypertension Based on Home or Office Blood Pressure (THOP) Trial InvestigatorsAntihypertensive treatment based on blood pressure measurement at home or in the physician's office:a randomized controlled trial.JAMA.2004;291:955-964. 5. Circulation. 2005;111:1777-1783. 6. Sega R, Facchetti R, Bombelli M, Cesana G, Corrao G, Grassi G, Mancia G.Prognostic value of ambulatory and home blood pressures compared with office blood pressure in the general population: follow-up results from the Pressioni Arteriose Monitorate e Loro Associazioni (PAMELA) study.Circulation 2005.12;111(14):1777-83.

Detrazione fiscale A) Sono detraibili gli apparecchi per la misurazione della pressione arteriosa; B) Per poter detrarre le suddette spese è necessario allegare alla dichiarazione gli scontrini fiscali comprovanti l’acquisto sui quali davanti alla voce da detrarre deve comparire la descrizione “medicinale”, cosa che avviene in automatico in farmacia; C) Altro passo fondamentale è consegnare prima dell’emissione dello scontrino fiscale al farmacista la tessera sanitaria, in modo che possa inserire il codice fiscale di chi deve detrarre la spesa sullo scontrino. Attenzione, la presenza del codice fiscale sullo scontrino è elemento necessario per effettuare la detrazione quindi ricordatevi di chiederlo al farmacista! A questo punto conservate tutti gli scontrini in una busta di carta (se no si scoloriscono) e a fine anno consegnateli al vostro commercialista. Serve al contribuente che vorrà beneficiare, nella dichiarazione dei redditi, della detrazione delle spese mediche sostenute (articolo 15, comma 1, lettera c) del Dpr 917 del 1986); L’introduzione del nuovo sistema di contabilizzazione ha come obiettivo principale quello di imputare senza margini di dubbio l’acquisto, e quindi lìutilizzo, di un medicinale o di uno strumento medicale a chi intende detrarlo nella dichiarazione dei redditi. Ne consegue che la detrazione d’imposta del 19% sulla spesa sanitaria totale eccedente la franchigia di 129,11 euro è subordinata alla prova dell’effettivo acquisto del prodotto che ha diritto alla detrazione d’imposta.

Tabella 6

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OMRON HEART SCAN HCG-801

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Quando non si riescono a chiarire i disturbi che hanno dato origine ai sintomi del paziente a causa della loro natura parossistica, nonostante l’esecuzione di un ECG a 12 derivazioni, di un ECG da sforzo e di un ECG-Holter… Può essere utile ricorrere all’Heart Scan per ottenere una valutazione aggiuntiva. Lo strumento è di semplicissimo utilizzo per cui può essere lasciato al paziente per un periodo di tempo più o meno lungo, affinché venga utilizzato nel momento di comparsa dei sintomi.

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Alla ricerca dell’antagonismo giusto. Nefroprotezione nel diabete mellito di tipo 2 Dott. Luigi Villa Specialista in nefrologia - Struttura Complessa di Nefrologia, Dialisi e TrapiantoFondazione IRCCS Policlinico San Matteo - Pavia, Università degli Studi di Pavia

Il diabete mellito è un problema rilevante per la salute pubblica; stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che 250 milioni di persone nel mondo ne sono affetti ed il numero di casi cresce costantemente al ritmo di 7 milioni per anno. Circa un terzo dei malati sviluppa un'alterazione progressiva della funzionalità renale inquadrabile nell'ambito della nefropatia diabetica (1). Nei paesi occidentali, essa è la causa principale di malattia renale cronica e di insufficienza renale terminale; studi epidemiologici indicano che la sua incidenza è in stabile e costante aumento. Inoltre, i pazienti diabetici di tipo 2 sono spesso affetti da ipertensione arteriosa, che rappresenta da sola un fattore di rischio aggiuntivo di malattia cardiovascolare e di progressione della nefropatia. Considerando che già nella popolazione generale la riduzione del filtrato glomerulare si associa, in modo graduale ed indipendente, all'aumento del rischio di morte e di eventi cardiovascolari (2), nei pazienti affetti da complicanze renali del diabete la mortalità cardiovascolare aumenta di 20-40 volte. Di conseguenza, i costi sociali e sanitari legati al diabete ed alle sue complicanze renali sono enormi; il sistema sanitario americano Medicare prevede che la spesa dovuta alla malattia renale cronica terminale crescerà dai 12,7 miliardi di dollari nel 1999 ai 28 miliardi nel 2010 (3). La nefropatia diabetica progredisce in 5 stadi (4). Nello stadio 1 si instaura iperfiltrazione glomerulare, espressione del precoce incremento della velocità di filtrazione glomerulare. L'iperfiltrazione glomerulare è il risultato dell'alterazione del meccanismo di autoregolazione renale e l'angiotensina 2 è un fattore vasoattivo fondamentale nella sua patogenesi. Lo stadio 2 è caratterizzato dalla persistenza di iperfiltrazione che comporta lo sviluppo di ipertrofia glomerulare apprezzabile istologicamente. Entrambi gli stadi sono clinicamente silenti.

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Lo stadio 3 (nefropatia incipiente) è caratterizzato dalla comparsa di albumina nelle urine in quantità non rilevabile con metodiche convenzionali (quali l'esame delle urine mediante “stick”) ma solo con metodiche più sensibili (ad es. radioimmunologiche). Questo fenomeno è detto “microalbuminuria”e corrisponde ad un'escrezione urinaria di albumina compresa tra i 30 e i 300 milligrammi/24 ore (20-200 microgrammi/minuto) o 30-300 milligrammi/grammo di creatinina urinaria, a seconda che il dosaggio sia eseguito sulla raccolta delle 24 ore o su campione estemporaneo, rispettivamente. Microalbuminuria è riscontrabile in pazienti anziani, obesi e/o affetti da ipertensione arteriosa in assenza di alterazione della funzione renale così come nei diabetici e/o nefropatici ed è per questo considerata un marker di “disfunzione endoteliale”. La disfunzione endoteliale rappresenta lo stadio precoce del “continuum cardio-vascolare” ed insorge per l'azione di fattori lesivi cronici quali iperglicemia, ipertensione, obesità, fumo ed invecchiamento che causano danno d'organo dapprima sub-clinico (ad es. micro-macro albuminuria), poi clinico (riduzione della funzione renale) ed infine esitano in insufficienza d'organo e morte (Figura 1). Nello stadio 3 si assiste alla progressiva riduzione della velocità di filtrazione glomerulare. Istologicamente si apprezza la comparsa di lesioni caratteristiche quali deposizione mesangiale di matrice extracellulare in forma nodulare (tipo KimmelstielWilson) o diffusa, ispessimento delle membrane basali tubulari ed alterazioni dei podociti. La fibrosi è mediata da fattori pro-fibrotici quali Transforming Growth Factor beta 1, la cui espressione è stimolata da angiotensina 2. Lo stadio 4 (nefropatia manifesta) è caratterizzato da macroalbuminuria (>300 mg/24 ore o >300 mg/g creatinina urinaria) rilevabile anche con “stick” urinario. In questa fase i pazienti presentano quasi invariabilmente ipertensione arte-


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stano un'attività chininasica e provocano l'accumulo di bradichinina. La bradichinina è responsabile dell'insorgenza di tosse, l'effetto collaterale Ventricular dilation/ Remodelling cognitive dysfunction che più frequentemente porta alla sospensione degli ACEi. Gli ARB sono quindi la scelta in caso di Myocardial Congestive infarction hearth failure/ Macroproblemi di compliance terapeutica, fenomeno secondary stroke and stroke Microproteinuria albuminuria che influisce pesantemente sul raggiungimento Nephrotic End-stage di valori pressori ottimale. Lo studio UKPDS [5] Atherosclerosis proteinuria heart disease/ and LVH Endothelial brain damage and mostra come la sola diminuzione di pressione dysfunction dementia sistolica pari a 10 mmHg sia in grado di ridurre del End-stage Hypertension and renal disease Cardio12% il rischio di complicanze micro e macroangiorisk factors: cerebrovascular diabetes, obesity, elderly patiche, che aumenta a partire da un valore di death sistolica pari a 120 mmHg, attuale target terapeutico nei diabetici nefropatici (7, 8). Negli studi cliniFigura 1 ci e, a maggior ragione nella pratica clinica, quest'obiettivo è difficilmente raggiunto (9). È quindi fondamentale poter avere farmaci anti-ipertensivi riosa e la velocità di filtrazione glomerulare diminuisce irrepotenti ma allo stesso tempo sicuri e ben tollerati. versibilmente fino a configurare un quadro di malattia renaIn terzo luogo, gli ACEi non inibiscono la sintesi di angiotenle terminale che richiede trattamento emodialitico sostitutisina 2 mediante vie enzimatiche alternative come le chimasi. vo (stadio 5). In corso di terapia con ACEi si assiste, infatti, ad un'iniziale Nel diabete mellito di tipo 1 l'evoluzione naturale della nefrocaduta del livello plasmatico di angiotensina, che successivapatia avviene nell'arco di circa 25 anni. Gli studi epidemiologimente tende alla normalizzazione anche per opera delle chici condotti su diabetici di tipo 2 (United Kingdom Prospective masi (fenomeno di “fuga”). Gli ARB inibiscono il recettore e Diabetes Study (UKPDS) (5)) mostrano un simile andamento, non la generazione dell'ormone, quindi la loro efficacia non anche se i malati presentano già alla diagnosi ulteriori comorè inficiata dai livelli circolanti di angiotensina. bidità (ipertensione, malattia cardiovascolare, dislipidemia ed obesità) che sono fattori di rischio/progressione indipendenti di malattia renale. angiotensinogen L'inibizione del sistema renina-angiotensina è un'arma fondamentale non solo contro l'ipertensione renin Alternative arteriosa, ma anche contro mortalità e morbilità nei pathways bradykinin, substance P pazienti con malattia cardiovascolare e renale. A chymase angiotensin I enkephalins, other peptides cathepsin G questo scopo, gli antagonisti recettoriali dell'angiotPA CAGE tensina (ARB) offrono diversi vantaggi rispetto agli tonin angiotensin-converting enzyme inibitori dell'enzima di conversione (ACEi). (ACE) Dal punto di vista fisiopatologico, gli ARB inibiscoinactive fragments angiotensin II no selettivamente il recettore AT1 per l'angiotensina II, lasciando così inalterata l'interazione tra l'orAT1 receptor mone ed il recettore AT2; al contrario, gli ACEi riduantagonist ACE inhibitors cono l'attivazione di entrambi i recettori perché agiscono a monte, impedendo la conversione di angiotensina 1 ad angiotensina 2 (Figura 2). Il AT2 AT1 recettore AT1 media effetti deleteri quali vasocostrizione, ipertrofia ventricolare e della parete dei vasoconstriction antiproliferation vasi sanguigni; l'attivazione del recettore AT2 esersalt/water reabsorption apoptosis cita invece azioni opposte e potenzialmente benealdosterone secretion differentiation sympathetic activation vasodilatation fiche, quali vasodilatazione, inibizione della prolifecell growth and proliferation razione cellulare e riduzione del danno miocardico e renale dopo ischemia (6). In secondo luogo, gli ACEi ma non gli ARB manife- Figura 2

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In aggiunta alle considerazioni fisiopatologiche, vi sono solide evidenze cliniche. I trials “IRbesartan MicroAlbuminuria Type 2 Diabetes Mellitus in Hypertensive Patients” (IRMA-2) (10),“Reduction of Endpoints in NIDDM with the Angiotensin 2 Antagonist Losartan” (RENAL) (11) e “Irbesartan in Diabetic Nephropathy Trial” (IDNT) (12) hanno dimostrato l'efficacia degli ARB nei diabetici di tipo 2 nefropatici. Tra gli ARB ora disponibili in commercio, telmisartan presenta caratteristiche particolarmente interessanti in termini di protezione del danno d'organo. Il blocco del recettore AT1 è insormontabile anche in presenza di elevati livelli di angiotensina circolante, come si verifica in corso di terapia con ARB. L'azione di telmisartan è rapida e l'emivita plasmatica è di circa 24 ore, la più lunga della sua categoria farmacologica. Ciò consente una singola somministrazione quotidiana senza diminuirne l'efficacia, migliorando la compliance del paziente. Inoltre, un effetto duraturo è fondamentale perché l'incidenza di eventi cardio- e cerebro-vascolari aumenta in corrispondenza del picco pressorio circadiano delle prime ore del mattino (13). Telmisartan è altamente lipofilo ed il suo volume di distribuzione è il più elevato della categoria, garantendo così una facile penetrazione anche a livello tessutale. Questa caratteristica è importante in termini di nefroprotezione, dato che il livello di angiotensina 2 nel tessuto renale è più elevato che in circolo (14). Telmisartan è metabolizzato per via epatica, quindi non si accumula se la funzione renale è ridotta, proprietà importante per l'uso nei pazienti diabetici nefropatici. Una peculiarità aggiuntiva è che telmisartan si comporta da agonista parziale di Peroxisome Proliferator Activating-gamma (PPARγ) (15), il target farmacologico dei tiazolidinedioni, farma-

INNOVATION IRMA-2 MARVAL LIFE-Diabetes DETAIL

Antagonisti recettoriali angiotensina

TRENDY

Diabete Tipo 2 Ipertensione

Disfunzione Endoteliale

Micro albuminuria

TRENDY

Macro albuminuria

DETAIL BENEDICT

MICRO HOPE

ACE inibitori 0

Figura 3

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IDNT RENAAL AMADEO VIVALDI

anni

Danno Renale Cronico

ci antidiabetici che agiscono migliorando la sensibilità all'insulina. Studi in-vitro hanno mostrato che tra gli ARB solo telmisartan ha effetto PPAR-γ agonista a dosaggio farmacologico. L'attività PPAR-γ agonista conferisce potenziali benefici in aggiunta all'effetto anti-ipertensivo: miglioramento del profilo lipidico, azione anti-infiammatoria, anti-aterogena e riduzione della resistenza insulinica. Quest'ultima non solo si associa invariabilmente al diabete di tipo 2, ma contribuisce anche alla genesi della disfunzione endoteliale. In aggiunta ai dati sperimentali, l'efficacia di telmisartan nei diabetici di tipo 2 con e senza nefropatia è dimostrata da trials clinici controllati. Il progetto PROTECTION (Programme of Research tO show Telmisartan End-organ proteCTION) è composto da studi condotti su più di 6000 soggetti e disegnati per fornire risposte specifiche circa l'efficacia e la tollerabilità del farmaco in pazienti ipertesi ed a rischio di danno renale, cardiaco e vascolare. In particolare, 5 studi clinici hanno valutato la nefroprotezione: 1. “Telmisartan versus Ramipril in renal ENdothelial DYsfunction” (TRENDY) 2.“Diabetics Exposed to Telmisartan And enalaprIL”(DETAIL) 3. “INcipieNt to OVert Angiotensin 2 receptor blocker, Telmisartan, Investigation On type 2 diabetic Nephropathy” (INNOVATION) 4.“A trial to inVestigate the efficacy of telmIsartan 80 mg versus VALsartan 160 mg in hypertensive Type 2 DIabetic patients with overt nephropathy” (VIVALDI) 5. “A trial to compare telMisartan 40 mg titrated to 80 mg versus losArtan 100 mg in hypertensive Type 2 DiabEtic patients with Overt nephropathy” (AMADEO) Questi trial hanno prodotto evidenze cliniche inerenti all'effetto di telmisartan in ogni stadio della nefropatia diabetica, dal danno sub-clinico (disfunzione endoteliale) fino alla nefropatia manifesta, predittiva di progressione ad insufficienza renale terminale (Figura 3). Particolarmente rilevante è il disegno sperimentale, poiché telmisartan è stato ESRD confrontato direttamente con ACEi (l'attuale gold standard in termini di nefroprotezione) o con altri ARB. Lo studio TRENDY (16) ha esaminato l'effetto di telmisartan sulla disfunzione endoteliale renale. È stata confrontata l'azione di telmisartan (80 mg/die) o 25 ramipril (5 mg/die) sul flusso plasmatico renale dopo infusione di N-monometil-


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L-arginina (L-NMMA), inibitore della vasodilatazione endotelio-dipendente (indotta da NO), in diabetici di tipo 2 con ipertensione lieve-moderata in assenza di nefropatia/patologia cardiovascolare conclamate. La valutazione del flusso plasmatico renale in risposta a L-NMMA permette di stimare l'attività di NO a livello endoteliale renale ed è quindi un marker misurabile di disfunzione endoteliale d'organo. Telmisartan e ramipril hanno migliorato la disfunzione endoteliale renale, il primo in modo quantitativamente maggiore rispetto al secondo. Telmisartan, ma non rampiril, ha inoltre ridotto le resistenze vascolari renali ed ha parallelamente aumentato il flusso plasmatico renale basale, mostrando quindi un'azione vasodilatatoria. Il miglioramento della disfunzione endoteliale si rifletteva nella riduzione dei livelli di albuminuria, peraltro già modesta all'arruolamento. Per questo motivo i risultati dello studio si applicano ai diabetici di tipo 2 con nefropatia in stadio iniziale. Telmisartan è stato peraltro meglio tollerato, visto che gli effetti avversi riconducibili al trattamento si sono verificati nel solo gruppo trattato con ramipril. TAKE HOME MESSAGE TELMISARTAN MIGLIORA LA DISFUNZIONE ENDOTELIALE NELLE FASI PRECOCI DELLA NEFROPATIA DIABETICA. Lo studio DETAIL (17) ha esaminato l'effetto di telmisartan (80 mg/die) in confronto ad enalapril (20 mg/die) sul declino della velocità di filtrazione glomerulare (valutata mediante clearance dello iohexol) dopo un follow up di 5 anni in pazienti ipertesi, albuminurici e diabetici di tipo 2. Anche se diversi trials clinici hanno già mostrato l'effetto renoprotettivo della terapia con ARB in pazienti con caratteristiche simili (11, 12, 18), nessuno di questi ha protratto così a lungo il periodo di follow up, nè ha misurato la funzione renale con una tecnica di clearance. Inoltre non era ancora stato confrontato testa a testa l'utilizzo di ARB con quello di ACEi. Sebbene i criteri d'inclusione prevedessero un intervallo aspecifico di albuminuria, l'82% dei soggetti presentava microalbuminuria; la funzionalità renale era comunque conservata. All'arruolamento circa l'80% era trattato con ACEi, mentre meno del 20% riceveva statine ed anti-aggreganti piastrinici, percentuale raddoppiata nel corso del follow-up, in linea con il cambiamento delle linee guide terapeutiche. Enalapril non ha mostrato differenze significative rispetto a telmisartan in termini di out-come primario (riduzione di GFR a 5 anni) e di out-come secondari (riduzione annuale di GFR, variazione di creatininemia ed albuminuria, uremia terminale, infarto miocardio, eventi cerebrovascolari, scompenso cardiaco congestizio) e mortalità per tutte le cause. Considerando che la perdita annuale di filtrato glo-

merulare utilizzando la miglior terapia disponibile (19) si attesta a circa -5 ml/min/1,73m2/anno, la riduzione del GFR nei pazienti trattati con telmisartan era più lenta (-3.7 ml/min/1,73m2/anno). Telmisartan ha mostrato un profilo di tollerabilità/sicurezza paragonabile a quello di enalapril, causando inoltre un minor numero di eventi avversi che hanno richiesto la sospensione del trattamento. Pur avendo preventivato un elevato numero di eventi cardiovascolari, in linea con indagini epidemiologiche (20) che mostravano una mortalità a 5 anni del 35% nei diabetici di tipo 2 albuminurici, nello studio DETAIL la mortalità si attestava al 5%, di cui solo la metà per cause cardiovascolari. Nessun trial prima di Detail aveva evidenziato una riduzione della mortalità con un farmaco ARB nei pazienti nefropatici con diabete mellito di tipo 2, come invece avevano dimostrato gli ACE-inibitori nello studio HOPE (Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) (21). TAKE HOME MESSAGE TELMISARTAN È NEFROPROTETTIVO NEI PAZIENTI IPERTESI E DIABETICI DI TIPO 2 CON NEFROPATIA INCIPIENTE. La presenza di microalbuminuria è un fattore di rischio per la progressione ad uno stadio di nefropatia manifesta, predittiva di deterioramento progressivo della funzione renale. Lo studio INNOVATION ha valutato l'effetto di almeno 1 anno di terapia con telmisartan (40 o 80 mg/die) nel ritardare l'insorgenza di macroalbuminuria nei diabetici di tipo 2 microalbuminurici, sia ipertesi sia normotesi. Lo studio è stato condotto sulla popolazione giapponese perchè dati epidemiologici mostravano un elevato rischio di progressione e malattia renale cronica end-stage (22). Il 30% dei pazienti inclusi non erano ipertesi, i restanti presentavano un grado lieve d'ipertensione; erano esclusi quelli con malattia renale conclamata. La comparsa di nefropatia manifesta (macroalbuminuria) è stata considerata come end-point primario, mentre tra gli outcomes secondari è stata valutata la regressione della nefropatia incipiente (normalizzazione dell'albuminuria: rapporto albumina/creatinina urinaria <30 mg/g). Entrambi i dosaggi di telmisartan sono stati più efficaci del placebo nel ridurre la progressione da nefropatia incipiente a manifesta e la microalbuminuria quantitativa, anche analizzando separatamente i pazienti normotesi dagli ipertesi. La riduzione dei valori pressori con telmisartan era doppia (-10 mmHg) rispetto ai pazienti trattati con placebo (-5 mmHg); anche normalizzando per la riduzione della pressione arteriosa, entrambe le posologie di telmisartan riducevano significativamente gli end-points primari e secondari. Telmisartan ha anche indotto la regressione della microalbuminuria rispetto al placebo, indipendentemente dal dosaggio e non ha incre-

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mentato la frequenza di effetti collaterali rispetto al gruppo placebo, a conferma del buon profilo di sicurezza e della tollerabilità. TAKE HOME MESSAGE TELMISARTAN RALLENTA LA PROGRESSIONE DELLA NEFROPATIA DIABETICA INDIPENDENTEMENTE DALLA RIDUZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA E INDUCE LA REMISSIONE DELLA MICROALBUMINURIA, FATTORE DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE. Lo studio IDNT (12), pubblicato su New England Journal of Medicine nel 2001 nell'ambito del programma PRIME (Program for Irbesartan Mortality and Morbidity Evaluation), ha evidenziato come l'utilizzo di un ARB sia nefroprotettivo nel diabete di tipo 2 con macroalbuminuria, indipendentemente dall'effetto anti-ipertensivo. Lo studio IDNT prevedeva tre gruppi di trattamento con irebesartan, amlodipina o placebo, mancando quindi un confronto diretto tra ARB e ACEi. Nell'ambito del progetto PROTECTION, gli studi AMADEO e VIVALDI si prefiggevano di studiare l'effetto di telmisartan in confronto diretto con un altro ARB (rispettivamente losartan e valsartan) in una popolazione di pazienti ipertesi, diabetici e con nefropatia manifesta (riduzione della funzione renale e macroalbuminuria). Lo studio AMADEO (23) confrontava un ARB altamente lipofilo e con emivita prolungata quale telmisartan (80 mg/die) rispetto a losartan (100 mg/die), meno lipofilo e con emivita più breve. All'arruolamento il rapporto albumina/creatinina urinaria era di 1400 mg/g, il filtrato glomerulare pari a circa 50 ml/min/1,73 m2 ed i valori pressori attorno a 140/80 mmHg. Dopo 50 settimane di trattamento entrambi i farmaci avevano dimostrato di ridurre il rapporto albumina/creatinina urinaria (end-point primario) e telmisartan in modo significativamente maggiore rispetto a losartan, a parità di riduzione della pressione arteriosa sisto-diastolica, introito sodico, diminuzione di filtrato, livello sierico di aldosterone e numero di drop-out. Questi fattori potevano influenzare l'escrezione urinaria di proteine indipendentemente dall'azione dei farmaci sperimentali. Il profilo di sicurezza/tollerabilità era paragonabile per entrambi i farmaci e di particolare interesse era la bassa incidenza d'iperpotassemia (>5,5 mEq/L, 1.8% dei pazienti), effetto collaterale particolarmente temuto nei pazienti nefropatici in trattamento con farmaci antagonisti del sistema renina-angiotensina. Lo studio VIVALDI (24) si proponeva di verificare la non inferiorità di telmisartan (80 mg/die) rispetto a valsartan (160 mg/die) nei diabetici di tipo 2 con nefropatia manifesta ed ipertensione. Valsartan, infatti, aveva già dimostrato un

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effetto nefroprotettivo nei confronti del calcio antagonista amlodipina nello studio MARVAL (MicroAlbuminuria Reduction with VALsartan) (18). Lo studio Vivaldi non ha riscontrato differenze significative riguardanti l'effetto antiipertensivo di telmisartan e valsartan. Al reclutamento i pazienti nei due gruppi non presentavano caratteristiche differenti anche se proteinuria e pressione arteriosa erano mediamente più elevati rispetto allo studio AMADEO. Telmisartan si è dimostrato non inferiore a valsartan nel ridurre la proteinuria delle 24 ore ad un anno (end-point primario), esito comune agli altri end-point secondari renali. Il profilo di sicurezza e tollerabilità non variavano significativamente tra i due gruppi. TAKE HOME MESSAGE TELMISARTAN È NEFROPROTETTIVO NEI PAZIENTI IPERTESI CON NEFROPATIA DIABETICA MANIFESTA. Anche se disegnato con finalità differenti rispetto al progetto PROTECTION, lo studio ONTARGET (25) (ONgoing Telmisartan Alone and in combination with Ramipril Global Endpoint Trial) ha valutato gli effetti dell'inibizione del sistema renina-angiotensina sulla prevenzione del danno d'organo. Lo studio confrontava direttamente l'effetto di dosi massimali di un ACEi (ramipril, 10 mg/die), di un ARB (telmisartan, 80 mg/die) e della loro combinazione. L'ACE inibizione non è in grado da sola di abolire completamente la produzione di angiotensina 2, quindi l'associazione di un ARB rappresenterebbe un'opzione vantaggiosa dal punto di vista fisiopatologico, visto il miglior profilo di tollerabilità di questi ultimi. I pazienti arruolati presentavano valori di pressione arteriosa in media attorno a 140/80 mmHg ed il 30% dei soggetti non era iperteso; meno del 40% dei pazienti erano diabetici. Se da un lato queste caratteristiche potevano fornire evidenze circa l'effetto dei farmaci al di là dell'azione anti-ipertensiva, dall'altro rendevano la popolazione di ONTARGET poco rappresentativa del fenotipo clinico dei diabetici di tipo 2. Considerando il soprendente esito circa la “disfunzione renale”, Mann e collaboratori (26) hanno analizzato outcomes renali sulla popolazione di ONTARGET. In questo lavoro è stato analizzato un endpoint primario rappresentato da necessità di dialisi/ esecuzione di trapianto renale, raddoppio della creatininemia e morte. Inoltre, sono stati valutati markers surrogati quali proteinuria e filtrato glomerulare stimato secondo lo studio MDRD (27) (Modification of Diet in Renal Disease). All'inizio dello studio pochi pazienti presentavano alterazione della funzione renale (creatininemia media di circa 1 mg/dl; 75% dei pazienti con filtrato >60 ml/min/ 1,73 m2, 24% tra 30 e 60,1% <30). In corso di follow-up, il fil-


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trato si riduceva all'inizio rapidamente, come atteso, in corso di inibizione del sistema renina angiotensina, ed in modo significativamente maggiore nel gruppo trattato con telmisartan da solo e con terapia di combinazione. In seguito, la perdita di filtrato progrediva con lo stesso andamento nei 3 gruppi. Nel gruppo di pazienti sottoposti alla terapia di associazione, la riduzione era circa di 1 ml/min/anno. Questa perdita di filtrato era notevolmente modesta rispetto a quella registrata negli altri trial clinici condotti su pazienti ad elevato rischio renale (4-10 ml/min/anno). È quindi discutibile che si possa davvero parlare di “sostanziale perdita di funzione renale” in corso di terapia d'associazione. L'outcome primario composito (necessità di dialisi, raddoppio creatininemia, morte) così come l'outcome secondario composito (necessità di dialisi, raddoppio creatininemia) si verificavano più frequentemente nei pazienti sottoposti a terapia d'associazione rispetto a ramipril da solo. La necessità di dialisi cronica non era però dissimile tra i vari gruppi; infatti, analizzando l'outcome secondario composito escludendo i trattamenti dialitici in acuto, l'aumentata incidenza, causata dalla terapia di combinazione non era più significativa. È da rilevare inoltre che, per quanto consistente fosse il numero complessivo degli eventi renali (circa 3500), lo studio era sottodimensionato per studiare un outcome primario renale; inoltre, l'evento morte, e non quello renale, era il più frequente. In aggiunta, solo 98 pazienti venivano sottoposti a terapia dialitica cronica. All'arruolamento solo il 13% dei pazienti presentava microalbuminuria ed il 4% macroalbuminuria; l'albuminuria era peraltro ben inferiore a 30 mg/g di creatinina urinaria. L'end-point surrogato proteinuria, mostrava un andamento opposto a quello del filtrato, visto che la riduzione era significativamente maggiore nei pazienti trattati con telmisartan o con combinazione di farmaci rispetto a ramipril da solo. Un dato interessante che emerge dallo studio è che solo la terapia di combinazione è capace di ridurre la progressione da micro- a macroalbuminuria, così come di ridurre l'incidenza di micro/macroalbuminuria de-novo L'esito dello studio ONTARGET non deve perciò indurre i medici a modificare la propria pratica clinica rispetto a quanto già stabilito dalle attuali linee guida per i pazienti nefropatici e proteinurici. Al contrario, l'esito dello studio conferma ancora una volta l'efficacia antiproteinurica della terapia di combinazione per effetto dellla doppia modulazione del sistema RAS. TAKE HOME MESSAGE LA POPOLAZIONE DELLO STUDIO ONTARGET NON È RAPPRESENTATIVA DEI DIABETICI DI TIPO 2,IPERTESI E NEFROPATICI.

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L’identikit del paziente ad alto rischio cardiovascolare in Medicina Generale Dott. Alessandro Filippi MMG

La prevenzione nei soggetti ad alto rischio CV è una priorità chiaramente indicata da tutte le linee guida e rappresenta un punto importante in tutti i piani sanitari, a qualsiasi livello vengano predisposti. Gli interventi preventivi in questo campo sono ben noti, ampiamente condivisi e sono caratterizzati da un rapporto rischio-costo/efficacia estremamente favorevole. Nonostante ciò, l'uso delle terapie raccomandate e il livello di controllo dei fattori di rischio è ben lontano dall'ideale e ciò è causa ogni anno di migliaia di eventi CV potenzialmente evitabili, con costi elevatissimi in termini umani, sociali ed economici. Migliorare è quindi un dovere etico ed un'urgenza sanitaria. L'ottimizzazione degli interventi preventivi deve essere realizzata e, soprattutto, sostenuta nel lungo periodo, solitamente a vita, e deve essere integrata in un progetto globale di salute. Per questo motivo è fondamentale il ruolo del MMG, professionista che segue il paziente e l'intero nucleo familiare per molti anni. Altrettanto importante è la unitarietà di approccio da parte di tutte le figure professionali coinvolte, negli anni, a qualunque titolo nell'assistenza sanitaria al paziente, che, molto spesso, è seguito da più medici. I problemi principali sono rappresentati da: a) mancata prescrizione di farmaci raccomandati, b) insufficiente continuità/aderenza terapeutica, c) inerzia terapeutica a fronte di inadeguato controllo dei fattori di rischio CV. Per migliorare è necessario un approccio nuovo, che coinvolga maggiormente la medicina generale. Per questo motivo la Società Italiana di Medina Generale (SIMG) ha recentemente proposto un documento ( reperibile su www.simg.it) sulla gestione cronica del paziente ad alto rischio CV in medicina generale che vuole essere uno strumento di miglioramento a disposizione di tutti i colleghi. Siamo abituati a considerare i differenti sottogruppi di pazienti a rischio: soggetti con infarto, con arteriopatia peri-

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ferica, con ictus, ad alto rischio secondo l'algoritmo Cuore, ecc. In considerazione della realtà delle cure primarie e delle caratteristiche comuni alle patologie aterosclerotiche, questo approccio appare poco produttivo e potenzialmente fuorviante, rafforzando l'impressione che si tratti di problemi a carico di pochi assistiti, sostanzialmente di pertinenza specialistica. Oltre a ciò l'usuale suddivisione della prevenzione CV in primaria e secondaria appare concettualmente e praticamente superata nel momento in cui il livello di rischio assoluto di questi soggetti può essere determinato sia dalla presenza di malattia CV clinicamente manifesta, sia dall'associazione di più fattori di rischio, sia dalla presenza di “danno d'organo, sia dall'associazione tra eventi, fattori di rischio e danno d'organo tra loro variamente combinati. Il primo passo consiste quindi nell'identificare chiaramente l'intero gruppo dei soggetti ad alto rischio CV. La definizione “operativa” di paziente ad alto rischio è riportata nella tab. 1. È evidente che questo elenco non è esaustivo di tutte le tipologie di pazienti ad alto rischio CV (ad esempio non vengono citate l'ipertensione arteriosa con ipertrofia ventricolare sinistra non rilevabile elettrocardiograficamente, lo scompenso cardiaco, le dislipidemie familiari, il diabete di tipo 1 con altri fattori di rischio o complicanze microangiopatiche), ma, a giudizio del gruppo di lavoro che ha realizzato il documento e in base all'analisi delle LG e della letteratura scientifica, è funzionale ad una strategie unica di prevenzione CV, particolarmente adatta alla MG italiana. Questi pazienti rappresentano circa il 13% della popolazione adulta e, quindi, ogni MMG con 1000 pazienti assiste circa 130 pazienti con queste caratteristiche ed un massimalista circa 200. È immediatamente evidente la responsabilità professionale e la mole di lavoro che ciò implica. È altrettanto evidente che un tal numero di soggetti consente, anche a


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Definizione operativa di paziente ad alto rischio CV Si considerano ad alto rischio CV i pazienti con almeno una delle seguenti caratteristiche 1) presenza di malattia cardiovascolare manifesta* 2) danno renale (GFR stimata < 60 ml/min e/o micro/ macroalbuminuria adeguatamente accertate e riconfermate) 3) diabete mellito di tipo 2 4) ipertensione arteriosa con diagnosi ECGrafica d’ipertrofia ventricolare sinistra 5) rischio stimato con algoritmo Progetto Cuore ≥ 20% a dieci anni Si ricorda che sono ad alto rischio CV i soggetti che presentano anche un solo fattore di rischio estremamente elevato, come livelli di colesterolemia ≥ 300 mg/dl** o PA ≥ 180/110 mmHg. In questi casi l’intervento prioritario è rappresentato dalla correzione del fattore di rischio in questione. * coronaropatia nota (infarto miocardico, procedure di rivascolarizzazione coronarica, angina pectoris), - ictus cerebri/TIA (di origine aterosclerotica), - arteriopatia periferica (patologia aterosclerotica- stenotica, occlusiva, aneurismatica- dell’aorta e delle arterie, con esclusione delle coronarie) ** valore da ricontrollare dopo opportune modifiche stili vita; in questi casi considerare sempre la possibilità di dislipidemie familiari

Tabella 1 livello di singolo medico, di verificare la qualità degli interventi preventivi sulla popolazione assistita. Non tutti questi soggetti sono però attualmente identificati come “ad alto rischio”, soprattutto perché la valutazione sistematica del filtrato glomerulare (con le apposite formule di calcolo quando si richiede la creatininemia) e la ricerca del danno d'organo nei soggetti ipertesi non sono ancora sufficientemente applicate nella pratica quotidiana. I compiti cui la MG è chiamata sono direttamente legati ai problemi sopra riportati: a) assicurare a tutti i pazienti la prescrizione dei farmaci raccomandati, b) garantire la continuità/aderenza terapeutica nel tempo, c) incrementare l'inter-

vento terapeutico in modo da controllare al meglio i fattori di rischio CV, ovviamente sempre nell'ambito del progetto globale di salute condiviso con il paziente. In termini concreti si tratta di: - controllare la PA (< 140/90 mmHg o < 130/80 mmHg se diabete e/o insufficienza renale e/o patologia CCV nota con associato danno d'organo) utilizzando appieno la politerapia - ridurre i livelli eccessivamente elevati di colesterolo (LDL colesterolo < 100mg/dl) scegliendo farmaci e dosaggi idonei a raggiungere questo risultato - prescrivere ASA a basso dosaggio (se non controindicato)* - prescrivere bloccante del sistema renina angiotensina (ACE-I o ARBS)** in pazienti a) con frazione di eiezione VS < 40% b) diabetici con ipertensione e/o danno renale c) ipertesi con danno renale (e patologia aterosclerotica nota) d) pazienti con micro-macroalbuminuria Per ottenere questi risultati è indispensabile un'adeguata organizzazione del lavoro, un approccio sistematico e periodiche verifiche della propria attività, utilizzando un numero limitato di indicatori di qualità; quelli proposti da SIMG sono riportati nella tab 2. Quest'ultimo è un punto fondamentale, in quanto il solo conoscere ciò che si sta facendo è uno strumento potente di miglioramento. Fortunatamente è ora possibile disporre di report automatici senza alcuna fatica e senza alcuna competenza informatica, sia utilizzando software adeguati, sia inserendosi in reti di MMG che garantiscano questo servizio ai partecipanti. * per quanto riguarda l'utilizzo di ASA nei pazienti ad alto rischio per la sola presenza di diabete mellito, le prove di efficacia non sono ancora univoche. ** Si ricorda che si devono scegliere preferenzialmente molecole che abbiano studi di efficacia nei pazienti ad alto rischio CV. Particolare attenzione deve essere posta all'utilizzo dei dosaggi raccomandati in base agli studi clinici e ad ottenere adeguata continuità/aderenza terapeutica (vedi dopo apposito paragrafo). A parità di efficacia, in termini di riduzioni di eventi CV, la scelta deve considerare: a)tollerabilità del farmaco alle dosi raccomandate in pazienti ad alto rischio CV, b) persistenza/aderenza terapeutica, c) costi alle dosi raccomandate in pazienti ad alto rischio CV.

Indicatori di qualità e obiettivi cui tendere Livello minimo da raggiungere*

Livello ideale

Prevalenza pazienti ad alto rischio CCV

10%

13%

Pazienti ad alto rischio CCV con dato abitudine al fumo registrato

90%

100%

Pazienti con alto rischio CCV con almeno una registrazione di pressione arteriosa

70%

100%

Pazienti con ultimo valore registrato di pressione arteriosa ≤ 140/90 mmHg

70%

100%

Pazienti con alto rischio CCV con almeno una registrazione di colesterolo LDL

70%

90%

Pazienti con ultimo valore di colesterolo LDL < 100 mg/dl

50%

70%

Pazienti con alto rischio CCV in terapia con antiaggreganti piastrinici/TAO**

70%

90%

Pazienti con alto rischio CCV e in terapia con ACE-Inibitori/Sartani

70%

90%

* I tempi necessari per il raggiungimento di questi obiettivi possono variare a seconda delle condizioni locali

Tabella 2

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Riassunto delle caratteristiche del prodotto 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Micardis 80 mg compresse 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l'elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1. Indicazioni terapeutiche. Trattamento dell'ipertensione essenziale negli adulti. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L'esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani: Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici: L'uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull'efficacia. 4.3. Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l'uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell'inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell'angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema reninaangiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L'uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l'iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l'uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l'iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibi-

tori, antagonisti del recettore dell'angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell'arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme d'interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell'angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L'insorgenza della iperkaliemia dipende dall'associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L'associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l'uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell'angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l'uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell'enzima che converte l'angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II, incluso telmisartan. Se l'uso dell'associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l'acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l'effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell'angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell'angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l'inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell'AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell'ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell'ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L'effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall'uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l'ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell'effetto antipertensivo. 4.6. Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L'uso degli antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L'uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull'uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L'evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell'esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l'uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l'esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell'ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un'esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l'ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Telmisartan non è raccomandato durante l'allattamento, non essendo disponibili informazioni sul suo uso e sono da preferirsi trattamenti alternativi caratterizzati da un profilo di sicurezza durante l'allattamento, meglio definito soprattutto durante l'allattamento di un neonato o di un bambino nato prima del termine. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull'uso di macchinari. Non


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sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8. Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) era solitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati. L'incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte da tutti gli studi clinici e includono 5.788 pazienti ipertesi trattati con telmisartan. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All'interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Raro: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite. Non noto: Infezione del tratto urinario inclusa cistite. Patologie del sistema emolinfopoietico. Raro: Anemia, trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Non noto: Ipersensibilità, reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Raro: Ansia, depressione. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope, insonnia. Patologie dell'occhio. Raro: Visione anormale. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non Comune: Vertigini. Patologie cardiache. Raro: Tachicardia. Non noto: Bradicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione. Raro: Ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, secchezza delle fauci, dispepsia, flatulenza. Raro: Disturbo gastrico, vomito. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito. Raro: Eritema, angieoedema. orticaria. Non noto: Eruzione, eruzione cutanea tossica, rash eczema. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia. Raro: Artralgia, dolore alla schiena (ad es. sciatica), crampi muscolari, dolori agli arti, debolezza. Non noto: Tendinite. Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico. Raro: Malattia simil-influenzale. Non noto: Inefficacia del medicinale. Esami diagnostici. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, aumento della creatinina nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue. Non noto: Calo dell'emoglobina. 4.9. Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell'uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall'emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall'ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell'angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d'azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell'angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un'elevata affinità l'angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell'angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l'enzima di conversione dell'angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell'uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un'inibizione quasi completa dell'aumento pressorio indotto dall'angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza: L'attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l'inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell'effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l'incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina. Attualmente non sono noti gli effetti di telmisartan sulla mortalità e sulla morbilità cardiovascolare. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve

riduzione nell’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. Il Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all'albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima, (Cmax), e, in misura minore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1. Elenco degli eccipienti. Povidone (K25), Meglumina, Sodio idrossido, Sorbitolo (E420), Magnesio stearato. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. 4 anni. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall'umidità. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al or PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL'AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO Boehringer Ingelheim International GmbH. Binger Str. 173 D-55216 Ingelheim am Rhein. Germania. 8. NUMERI DELL'AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compresse). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL'AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell'ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 19 marzo 2009. CLASSE A Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica - € 28,72 Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.


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