MA...DONNA

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Ma... donna dell' essere e dell' apparire


...perché la donna è PACE


Introduzione di Sandra Mazzinghi

Le donne coi loro fogli sparsi. Appunti presi a una lezione di cucina o a all’università e su uno spazio bianco, due versi di poesia. Ricette dell’omeopata e dietro, l’inizio di un racconto. Fogli bianchi e immacolati trasformati in un racconto scritto a mano, veloce per non farsi scappare i pensieri, o fogli disegnati con stelle e cuori a tratti distratti mentre si ascolta stufate una riunione di lavoro. Versi di canzoni famose mutati secondo la nostra fantasia. Cassetti e borse e cartelline con l’elastico, che se scappa fa male alle dita, piene zeppe di disegni che, pensiamo, nessuno vedrà mai. O di poesie scritte con la penna o veloci su una tastiera che carpisce i nostri segreti e li fa uscire dalla stampante impietosa. Poesie che hai pudore anche tu stessa a rileggere oppure non le rileggi perché sono pensieri di un periodo tristissimo, oppure, al contrario, sono attimi fotografati su un foglio, di un momento di baci e di amori sfumati chissà dove. E scrivono tutte, le donne, e cantano, e dipingono e fanno smorfie allo specchio da sole o su un palcoscenico davanti a una platea che ha anche pagato per vederle. Scrive la sarta una poesia su cartamodello e scrive una filastrocca Rita Levi Montalcini sui fogli ammucchiati accanto al suo microscopio. Scrive anche la rom Esmeralda nel silenzio di un’alba di un giorno qualunque che passerà con la mano tesa a chiedere. Cantano le operaie cassintegrate delle fabbriche in crisi, e la ragazza che ha appena dovuto abortire dipinge con le dita un cuore grandissimo con la tempera rossa, che sembra fatto di sangue. E recitano stralci di poesie di Alda Merini le donne che si alzano alle quattro per pulire gli uffici di donne strizzate in tailleur che guadagnano dieci volte più di loro, ma che sognano da sempre la libertà di andare al lavoro con jeans e una maglietta che hanno dipinto da sé. Scrivono le donne che spingono il carrello dell’immenso ipermercato mentre nella loro piccola casa sono immerse da liste dei conti e offerte paghi due e prendi tre. Scrivevano pensieri di sogni le donne ammazzate perché volevano essere occidentali, o ammazzate da un uomo che credevano le amasse. Scrivono le donne che ogni mese sognano di non vedere il sangue e sperano e sperano tanto perché tanto Gianna Nannini una bimba l’ha partorita a 54 anni. Fanno opere in creta le donne disoccupate che impazziscono a mandare curriculum


e fare colloqui con sconosciuti, e scrivono le squallide escort. Scrivono anche quelle che si prostituiscono ogni giorno, per strada, per venti euro. Anche loro scrivono, perché almeno mentre il corpo è lì schifato, i pensieri vanno, la testa lavora. E canta anche un po’ stonata la capoufficio che firma lettere scritte da sconosciuti, e intanto i pensieri corrono, dal letto da rifare, ai biscotti che mancano, ai quaderni da comprare alla figlia che li ha finiti, e ne compro uno anche per me, che è finito anche il mio. Le donne, e le Annine, sono donne così che da piccole imitavano il futuro per gioco: sarò una scrittrice, dicevo io. E magari anche qualcun’altra. E sarò medico, parrucchiera, avvocato, moglie, mamma, sarò bella. Bellissima, potente. E brava. Poi magari un giorno dici: sono unica, e lo so, ma sono invisibile, mi vedono un corpo perché sono giovane e bella, mi chiedono un favore perché danno per scontato che sia lì. Ma io sono altro, ti dici, un giorno. E trovi altre come te, e senza pudore, finalmente, apri i cassetti e le borse, e le cartelline e condividi l’arte dello scrivere, del ritmo, della musica, della pittura, del teatro. E dici quindi non sono da sola, non sono “strana”. Sono una donna e ora anche un’Annina. Ed ecco che ogni cosa di questo libro diventa un mondo. È come se vi fosse rastrellato, in queste pagine un pezzo di vita di ogni donna e ne fosse venuta fuori una piccola, impercettibile, ma preziosissima opera d’arte. I libri belli sono quelli in cui ti identifichi, quelli in cui puoi dire “Anch’io!”. La poesia, la musica, la pittura sono potenzialità di ogni persona, è questo che accomuna le Annine. Questa raccolta è amabile, è malinconica, gioiosa e dissacrante e ogni testo è annodato all’altro da un piccolo e lieve filo trasparente, quello dell’essere e dell’apparire delle donne.

Ringrazio l'amica Simonetta Filippi, la Simo, un'artista versatile, ma che ho conosciuto come scrittrice. Grazie Simo, per la tua scrittura, per la tua poesia che leggo da sempre e che ogni volta mi rende più ricca. E grazie per aver avuto l'idea di questo progetto e di averci messo l'impegno, la costanza e la forza di realizzarlo... Perché tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare dicono, ma con Simo no, la sua energia ci ha travolto, ed eccoci qui, alle prime pagine di un libro che all'inizio sembrava un sogno.


PRESENTAZIONE Sarebbe stato riduttivo, pubblicare solo una raccolta di racconti, perché la nostra "avventura" è stata molto di più...

IL PROGETTO Una vignetta umoristica di Massimo Bucchi, un racconto ( DALLE MEMORIE DI...UNA PENTOLA) e un quadro (IL CHIODO FISSO) ambedue di Simonetta Filippi, sono gli input che permettono lo sviluppo di un' idea condivisa da Samanta Mela e Monica Urbani...



È così che il 17 febbraio 2010 nasce

(battezzata dal logo di Giulia Bernini) con lo scopo di realizzare il progetto:

Ma...donna dell' essere e dell' apparire L'OBIETTIVO provocare discussioni e stimolare interpretazioni diverse sull'argomento della donna, del suo essere e del suo apparire, attraverso momenti di elaborazione creativa, proposte artistiche e pubblici incontri.

IL PROGETTO La figura femminile é oggi sempre più succube di modelli commerciali che ne banalizzano la complessità. Con questa serie di iniziative abbiamo voluto "ripensare" l' immagine della donna come altro e diverso da ciò che oggi sembra essere l' unico modello di appartenenza. Provocazione, ironia, cinismo e allegria, sono stati gli


strumenti utilizzati durante le varie fasi dell'iniziativa. Abbiamo voluto esasperare l' importanza che oggi è data all'immagine di sé, così tanto da farla diventare "sacra". La sacralità non è vista in senso negativo, né denigratorio, ma è solo uno stimolo per "giocare", ironizzare, prendere in giro sé stesse, o meglio la figura della donna moderna, come ce la presentano i mass media, oppure glorificare la capacità di apparire.

L' ELABORAZIONE Lavorare in gruppo, all' interno di un laboratorio dinamico, che prevede la partecipazione del singolo legata agli altri, nel quale si supera l' individualità, si recupera la capacità di ascoltarsi ed ascoltare le altre. Il gruppo è tutto, è importante non solo per quello che fa internamente o per il risultato finale , è importante per la sua capacità di produrre emozioni, una trasmissione di emozioni attraverso una rete di persone emotivamente ben disposte che seguono insieme un percorso creativo.

LA REALIZZAZIONE Vengono proposti 4 laboratori di SCRITTURA, TEATRO, MUSICA, ARTE. Solo quello di musica non riesce a raggiungere il numero minimo di iscrizioni previsto, ma gli altri coinvolgono un centinaio di donne di età diverse, dai 20 ai 70 anni (c'è anche Linda, una bambina di nove anni), donne livornesi ma anche di Pisa, Firenze, Roma,Milano, coinvolte da un incredibile passaparola! Donne che hanno colto l'opportunità di esprimere liberamente le proprie idee, sogni e desideri, di esorcizzare storie reali, inventarne di nuove e fantastiche... "lasciandosi andare" a giocare senza paura di apparire, ma con la sola voglia di essere sé stesse.

Hanno inoltre collaborato e partecipato con noi:

l'Associazione P24 il Teatrofficina Refugio


l'Associazione Blu Cammello l'Associazione Fate Ignoranti l'Associazione Teatrale Vertigo il Museo Provinciale di Storia Naturale il Centro Donna di Livorno

IL PRODOTTO FINALE Costruire un “evento” tutto al femminile, da condividere con la città, in una giornata "simbolica" dedicata alla sacralità del quotidiano, una giornata di festa, durante la quale presenteremo mostre, installazioni, performance, musica, video, dove il pubblico è invitato a partecipare o semplicemente a guardare...



Il laboratorio di Scrittura "Scrivere su un oggetto cosĂŹ importante per sĂŠ, da diventare una sorta di sacra reliquia..."


DALLE MEMORIE DI...

Primo episodio Ero veramente il massimo: la linea pulita, essenziale, mi conferiva una superiorità libera da falsità estetiche... non ne avevo bisogno! Curve ben distribuite attiravano inevitabilmente gli sguardi... dapprima increduli, poi sempre più interessati a carpire il mio essere. Si avvicinavano con candido stupore, quasi timorosi di scoprire in me la realizzazione dei loro desideri più reconditi! Ed io concedevo loro di rispecchiarsi, restituendo l' immagine, più vera, di sé stessi. Ero ben consapevole che poi, dentro di me, ne avrei appagato i più bassi istinti umani, anch' io, come in passato, migliaia di altre! Per anni il loro futuro più immediato è dipeso soltanto da me... e li vedevo in trepida attesa, colmarmi di attenzioni... con ansia spiare ogni mia reazione, se pur minima, mai insignificante. E così fino al raggiungimento del risultato finale: massimo godimento o delusione estrema!

Secondo episodio Ultimo giorno dell' anno: febbrili preparativi ci impegnarono senza tregua: una miscela di odori, profumi, essenze orientali, ci avviluppava inebriandoci... ero pronta a dare il massimo di me stessa! L' atmosfera si surriscaldava fino a raggiungere i più alti livelli... Ed iniziò: un vortice di emozioni senza fine ci travolse e più volte, quella notte, ricominciammo, fino a quando le esperienze di ognuno diventarono patrimonio di tutti!

Terzo episodio Ma il tempo passa ed una patina m' avvolge come a volermi proteggere da sguardi


insistenti, da mani incapaci. Sguardi inesperti pronti a ghermire i segreti della mia esperienza. Mani complici di mille proposte. Sguardi sfrontati che vogliono tutto e subito perchè non sanno attendere. Mani che mi cercano e poi indugiano... sicure di trovare quel calore che mi contraddistingue... quel fuoco che mi brucia dentro e ancora non si è spento

... UNA PENTOLA

Dal libro "Paranza" ediz. Erasmo 2007

SIMONETTA FILIPPI

Esordisce come scrittrice nel 2005 con "Ingenuamente bibi", un libro di poesie edito da Dulcinea, nello stesso anno partecipa alla scrittura collettiva di "Acqua leggera" (ETS); segue, nel 2007, "Paranza", edizione Erasmo, un piatto di racconti alla livornese e, nel 2008, sempre con l' Erasmo, "Water Journey" un testo poetico in forma teatrale, un canto d' amore dove la lettura si fa ascolto. A Maggio del 2010 esce "Sirena Spiegata" una raccolta di 50 racconti brevi con allegati due c.d. audio dove sono registrate le voci di altrettanti personaggi livornesi che leggono i testi della scrittrice. Presente in raccolte tematiche edite da Leo S. Olschki e Morgana Edizioni (Pater, Magis, Luna e l' altro) propone i suoi testi in performance di lettura e musica in tutta la Toscana. www.simonettafilippi.com


ED IO MI FECI DONNA

Ed IO mi feci donna gioconda e libera ribelle nei capelli con nodi fitti e duri da strigliare forcine a fissare grovigli di idee...

ed IO mi feci donna davanti a uno specchio e al mio corpo che sfugge che cambia e che balla musica di un disco suonato cent' anni colori rosso calzette sangue pancia che cresce dentro azzurro attesa d' un principe con un sacchetto rosa...

ed IO mi feci donna di gonna fiorita


di anelli orecchini e tintinnio di campanelli e suonerie di cellulare ritmo di un pedalare nella discesa libero...

ed IO mi feci donna nel tempo di una foto nella borsa un pupazzo tessendo fili davanti a una tazzina fumante parole di donne tènere in un ricordo come le pietre forti.


PATRIZIA PASQUI

Patrizia ha tenuto il laboratorio di scrittura.

Laureata in lingue e diplomata alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, dopo aver recitato per anni in compagnie primarie, ha scritto e scrive copioni teatrali, racconti e romanzi. Collabora con l’associazione umanitaria Emergency per cui ha scritto e diretto gli spettacoli teatrali: “Stupidorisiko” e “Farmageddon”, attualmente (2010) in tournée. Oltre che autrice di numerosi copioni teatrali, che sono stati e sono rappresentati, ha pubblicato per l’editore Mauro Baroni “Il dottor Céline – Autoritratto” nella collana Jazz Mediterranea; per la casa editrice IL FILO il romanzo “La voce dell’isola”, con prefazione di Marco Paolini; per le edizioni ERASMO il racconto “En plein air” nella raccolta intitolata “Crepa!” e il racconto “Morire dal caldo” nella raccolta intitolata “Siuski”; per edizioni NEROSUBIANCO l’atto unico “Etiopia detta Pia”, (2009). Riceve vari riconoscimenti tra cui una tesi di laurea presentata dall’Università di Genova (facoltà di Lettere) intitolata “Il teatro di Patrizia Pasqui” e un premio alla carriera per la sua attività nel teatro genovese (2006). Nel 2009 viene premiato il suo monologo teatrale “Etiopia detta Pia” nel concorso PerVoceSola di Cuneo.


LA POETA

La donna, mentre sale sull’autobus, fa una smorfia e inghiotte un verso di dolore: ha sentito la fitta al torace che le ha ricordato tutto, il tutto di cui è prigioniera: la sua vita. La mattina, prima di uscire di casa, aveva coperto con il fondotinta il livido sullo zigomo - col tempo ha imparato a mascherare bene i segni evidenti sul corpo - ma per i dolori interni non c’è alcun trucco da usare, se non stare attenta ai movimenti affinché il dolore non si acuisca. La donna trova un posto a sedere, sistema la borsa in grembo, guarda dal finestrino e, come le capita a volte, comincia a pensare, ma non come fanno tutti: lei sa di essere speciale, lo è sempre stata, fin da ragazza, sebbene fin da allora custodisca dentro di sé il suo segreto, un segreto che non ha mai svelato ad alcuno: lei pensa in rima, i suoi pensieri diventano poesia e lei - così ama definirsi tra sé e sé - diventa “una poeta”. Sotto abiti trasandati, maglia marrone e giacca grigia informe, batte il suo cuore di poeta: oggi, però, non deve battere troppo forte, ché il torace duole. La poeta, oggi, ha quindi pensieri in forma di ballata semplice, dolce, lunga quanto il viaggio in autobus dal lavoro a casa, una ballata che racconta la vita di una donna simile alla sua:

Come sempre ammazzata, come sempre rinata. Le succedeva ogni notte: risuscitava dalle botte. Di niente aveva bisogno: risuscitava in sogno.

Libera dal suo corpo dolorante,


libera da quel porco ignorante che dorme ubriaco nel suo letto che di lei non ha rispetto che puzza di animale che è un rifiuto vaginale! Questo lei pensa e non dice: crede d’essere colpevole, sente d’essere sua complice e soffrire è inevitabile.

A quell’uomo non importa se lei pensa, perché, come; lui la moglie non sopporta, né la chiama mai per nome. Su di lei la rabbia sfoga, e picchiarla è la sua droga. Con la cinghia, con le mani, con insulti disumani. Ogni giorno sono botte: lei è tutte le mignotte, lui l’ammazza e lei muore. E come già Nostro Signore lei risorge, ogni notte, e non ha più le ossa rotte.


Lei nei sogni corre, vola e rinasce ancora e ancora, sa dipingere, ha talento, sa suonare ogni strumento e sa scrivere in cinese, sa parlare giapponese; scrive versi così belli, fa ballate, fa stornelli, è leggera ed è felice non ha mai male al tora… L’autobus ha uno scossone, una buca sull’asfalto; la donna rimane un attimo in apnea, respira cauta, il torace duole; guarda la strada, la riconosce. Ma deve finire la ballata: Quella donna ha due segreti che non dice neanche ai preti: la sua morte vissuta e la sua vita sognata, una morte quotidiana e taciuta e una vita altrettanto muta.

L’autobus frena: è la sua fermata; deve scendere, con cautela. E’arrivata a casa.


PREGHIERINE

Madonnina mia di gesso Io ti prego e mi confesso Sono grassa, sono pigra E vorrei tanto essere magra

Trova un modo per farmi dimagrire, ma senza patire la fame, senza essere costretta a compiere gesti demenziali– sullo scalino, giù dallo scalino, sali, scendi, e poi slancia, pedala, corri, nuota, piega, spingi, e ancora su e giù, su e giù, su e giù. E il peso è sempre quello, anzi, così pesante che tu, o corpo celeste senza materia grassa, non hai idea.

Madonna di gesso, abbi pietà, sospira classica col tuo busto in serie, e salvaci dalla fame e dalle diete.

Madonnina mia di gesso Io ti prego e mi confesso Sono brutta, da rifare Ma ho paura di soffrire

Andare sotto i ferri non è una passeggiata. Problemi che tu, o immagine perfetta, mai ti ponesti: ma noi, che qualche anno fa abbiamo visto due secoli, noi non possiamo esimerci dall’essere levigate, lisce, senza rughe, come te del resto,


compatte. Nel nostro mondo di slogan e pubblicità ci sono nemici insidiosi e tremendi, te ne dico uno su tutti, che senz’altro tu non conosci, un flagello il cui nome fa tremare le vene e i polsi, che aggredisce noi povere donne del duemila, e ci attacca alle gambe: l’orrida buccia d’arancia.

Madonna di plastica, senza bisogno di chirurghi, guida la mano che ci deve tagliare fa che non sbagli col bisturi affilato.

Madonnina mia di gesso Io ti prego e mi confesso Se anche vesto scollacciata Non voglio essere stuprata Io sono ariete, ascendente gemelli: l’esuberanza e la moda mi prendono che non puoi nemmeno immaginarlo: tu vesti classico, in lungo anche di giorno, colori sempre quelli: del resto sei vergine, non so l’ascendente, ma dev’essere tranquillo. Però, anche se tu ami il genere burqa, mica tutte dobbiamo metterci la palandrana, e se ci scopriamo le gambe e le spalle il messaggio non è: “o maschio ignorante e bestiale prendimi con la forza dove siamo siamo, meglio di sera, quando non me lo aspetto e non voglio, in una strada deserta, buttami per terra, bloccami, soffocami, strappami mutande e carni…” No, questo è un equivoco. Ecco, cara amica che stai lassù tra nuvole e cherubini, non potresti in quei frangenti, quando il maschio ignorante e bestiale è caduto nell’equivoco, mandargli, che so… non dico un’illuminazione, è roba grossa, magari un colpo della strega, un colpetto, o un crampo, uno strappetto muscolare, sarebbe perfetto uno strappo al suo attrezzo, non so se si può fare, ma tu puoi ciò che vuoi. Madonna bottiglietta, piena di acqua benedetta, intervieni tempestiva gioca il jolly, se ce l’hai.


Madonnina mia di gesso Io ti prego e mi confesso A volte credo sia uno sbaglio Questa vita e il suo travaglio.

E non intendo il giornalista. Dico solo che a volte c’è di che essere depressi. E, permettimi una critica, tu non aiuti. Cioè, capisco la compostezza, l’aplomb, ma mai una volta che ti si veda ridere! Questa è l’ultima preghierina che ti rivolgo: ridi, dacci l’esempio. Un po’ di humour non è peccato; va bene la commozione, e vanno bene anche le lacrime, ma addirittura di sangue! Questo è splatter, Madonna Santa, film dell’orrore. A te, che abiti le sfere celesti e frequenti la meglio gioventù e la meglio vecchiaia che il mondo produce e produsse, ci rivolgiamo speranzose noi povere donne e da te, o donna esemplare, ci aspettiamo grandi cose. Perlomeno, una risata.

Madonna dipinta, che i miracoli puoi se vuoi, sorridi qualche volta e insegnalo anche a noi.


A proposito del laboratorio Patrizia dice: Cosa ci spinge a scrivere? Come organizzare al meglio sulla pagina quello che proviamo o pensiamo? Cos’è un testo letterario? E ancora: come usare i tempi verbali, la punteggiatura, cosa tagliare? Queste sono alcune delle domande che hanno guidato me e le 23 donne iscritte al laboratorio di scrittura del progetto MA…DONNA. Alcune sono domande tecniche, altre domande più generali e ampie la cui importanza non sta nel condurre ad un’unica – inesistente - risposta, ma nel provocare ricerca, riflessione. Ogni donna che ha partecipato al laboratorio ha provato a trovare le proprie risposte scrivendo un racconto che aveva per oggetto una “sacra reliquia”, cioè un oggetto importante per l’autrice. Questa “sacra reliquia”, diversa per ogni autrice, ha risvegliato in ognuna memorie, sentimenti, dolori o gioie, dando vita a un universo femminile sensibile e variegato. Ogni autrice infatti si è espressa secondo le sue corde, contribuendo a creare una raccolta di racconti che vanno dal genere comico al drammatico, al nostalgico, all’ironico. Leggendo assieme e analizzando i racconti abbiamo potuto vedere e capire molte delle “regole” che aiutano a scrivere meglio, regole utili nel momento in cui si vuole essere letti, in cui si chiede al lettore la cosa più preziosa che ognuno ha: il suo tempo.


Le corsiste


ALICE COPPA: cococò polentona animadora

IL GORILLA

- Eccoci, ci risiamo. Ragazzi tutti fuori! -Buongiorno! -Buongiorno una sega, fuori!

E te dove sei? Ah, eccoti lì, menomale che non ti fai coinvolgere da questi cretini, mettiti qua sul letto che stai più comodo. Non ne posso più , non è possibile che questa camera sia diventata un chill out, capisco che è la più ospitale di tutte, ma questa situazione non può continuare eppure ci sono tante stanze in questa casa, che se ne vadano nella loro! Non ho ragione? Adesso basta, metto a posto. Guarda che casino non ne posso più di questo caos! Forse ho un po’ esagerato ad arrabbiarmi così con i ragazzi... la convivenza non è facile, ma loro studiano, io invece oggi ho avuto una giornata nera al lavoro, non è possibile che devi sempre lottare per farti pagare! Eppure mi sembra di starci nove ore al giorno in quel ristorante! Che dici lo troverò un lavoro normale prima o poi? Te non hai di questi problemi vero? Vorrei tanto fare la tua vita! Non fai niente tutto il giorno te ne stai lì a fare il mantenuto! Dai, non mi guardare così, scherzo! E poi neanche mangi e mi sopporti tutti giorni, sei il mio confidente. Toh, guarda cos’ho trovato: foto di merda! Non voglio neanche più vedere la sua brutta faccia… mi voleva sposare... la faccio in mille pezzi, anzi no, la metto qua tra le altre. Ma dove sono le altre ?

Ragazzi giuro che questa volta vi uccido ! Fancazzisti che non siete altro!


Le mie foto, la mia vita! Non le trovo! Qua non ci sono... magari sul letto? E levati te sei sempre tra i piedi! Trovata! La mia foto tessera... il mio nucleo familiare! Hai visto? Era sotto di te! Ti guardo e sei lĂŹ a pancia in giĂš sul pavimento freddo, sembra che tu stia soffrendo. Scusami scusami non me la volevo prendere con te! Ti ho fatto fare un volo! Ti prendo in braccio e ti stringo sdraiandomi sul letto, mi dispiace davvero non so cosa mi sia preso. In realtĂ so cosa succede: ho nostalgia di casa, ti stringo forte forte e inizio a pensare ... Da quanto ti ho stretto ti ho sformato! Mi ricordo quando eravamo piccoli e andavamo nel passeggino... adesso giri il mondo con me, il mio gorilla...


ALICE DEL CORSO: commessa sognatrice determinata

LA BORSA

"Alice, cosa vuoi mettere dentro la borsa?" mamma mi faceva questa domanda ogni volta che dovevo passare un weekend insieme a papà. Non voleva che mi mancasse niente: dal mio peluche preferito, a diciotto paia di mutandine di ricambio. Secondo lei, anche se si trattava solo di due giorni, non potevo mai sapere di cosa avevo bisogno. Alla fine, quando la borsa era pronta, somigliava a uno strano animale ingobbito e raggomitolato sul punto di vomitare; forse perché aveva ingoiato troppe mutandine. La mia borsa era sempre stracolma, ed io non riuscivo mai a muoverla neanche di un millimetro. La prendeva papà uscendo di casa, non prima di essersi lamentato per il troppo peso. Trascorso il weekend, finivo per riportare la borsa a casa, col contenuto pressochè identico a quando l' aveva preparata la mamma; non usavo mai tutte le cose che c' erano dentro. Mi dimenticavo perfino del perché ce le aveva messe. Del resto, avevo otto anni, non potevo ricordarmi tutto. Non mi ricordavo neanche del motivo per cui i miei genitori non dormivano più insieme; sapevo solo che li avevo sentiti urlare forte, un bel po' di tempo prima. Da allora, un weekend sì e uno no, dovevo dire alla mamma cosa mettere nella borsa.

La borsa per il weekend di papà. Lo zaino della scuola. La borsa per gli allenamenti. La mia vita dentro un involucro. Soffocata oppure al sicuro? Non l' ho ancora capito. Adesso sono qui seduta con la mia borsa rosa, comprata per quindici pound al


mercato do Portobello, l' estate scorsa. La guardo, e vedo una parte di me stessa che ha tutte le cose al suo posto: il cellulare dentro la tasca esterna, il lucidalabbra dentro quella interna, e una penna, casomai dovesse venirmi un' ispirazione improvvisa. Chiudo la cerniera della mia borsa rosa, sependo che i pezzetti di me sono tutti lĂ dentro, ordinati, precisi. Potesse esserlo anche la mia mente.

Apri pezzetti di sogni granelli di pensieri barlumi di ragione rabbia rancore. Chiudi persa per sempre dimenticata forse accantonata distrutta schiacciata. Apri il frastuono del mondo mi desta un secondo la luce filtra allora non sogno.


Chiudi la luce fa male non voglio pensare. Lontano nel buio cuore giace.

Ed ecco: torna la pace.


ANNA CIONI: insegno imparo sogno

BIKINI

La ragazzina entra nella camera grande con il dono stretto nelle mani e chiude piano la porta. Proprio lei, che lascia sempre tutto spalancato! Va a mettersi davanti allo specchio, quello lungo dell’armadio, ed inizia a spogliarsi: la gonnellina scivola sui fianchi e si apre, come un papavero, ai suoi piedi, la maglietta a righe, in tinta, le atterra vicina. La ragazzina si osserva: è lei, la solita Annina con le gambe lunghe e le ginocchia troppo grosse, la vita sottile, le spalle magre sotto i capelli lisci, a cascata. Lo specchio riflette, la ragazzina pure. – Cosa ha mai visto di diverso la zia Cocca?Erano andate insieme a Miramare, chiuse le scuole, a salutar l’estate; scogli caldi, sole che abbaglia, mare che chiama come una sirena… Annina è pronta, nelle sue mutandine da bagno azzurro cielo, pronta a tuffarsi. La voce della zia la blocca, in precario equilibrio sullo scoglio. - Ma Cicci, non puoi più star così, con tutte le tue cosine all’aria! Ormai sei grande. Ci pensa la zia, vai!- Questo tre giorni fa. Ora è lì, si cerca nello specchio: sì, forse il seno è un po’ cresciuto, ma mica tanto… Lo sfiora piano, un brivido, sbocciano due timidi capezzoli, ride, si volta di profilo, si veste di capelli, fa le smorfie. Si decide, indossa il regalo di zia: un bikini, il suo primo bikini. S’inceppa con il reggiseno, mai ne aveva indossati. E si trasforma. Sembri una signorina! – sussurra alla sua immagine. E non sa se si piace, non sa se è contenta, se è troppo da grande, se le darà noia a nuotare, a giocare, oppure se è bella.


Un raggio di sole, sfuggito alle tende, la illumina d’oro e d’oro è la pelle, appena abbronzata , d’oro i capelli, che fanno mantello, d’oro i riflessi del nuovo bikini…

Ma insieme a quel raggio, improvvise, risate di bimbi, voci e richiami come rissa d’ali. Annina è alla finestra. Rita, in giardino, ha una bici nuova fiammante. Annina si riveste e corre fuori.

Bruno Van Dick degrada in turchese sfumato d’oltremare.

Pennellate dense d’avorio, mischiate a madreperla in gocce liquide.

Giallo girasole rovesciato su macchia di corallo scarlatto.


E lĂŹ infilzato, come una farfalla, verde oro, oro antico un bikini.

Bambina si spoglia e si veste di donna.

Lo specchio la svela, la nasconde la chioma.

Un raggio l’accende, l’adombra un pudore.

La vita risplende e si schiudon promesse.

Sospesa rimane tra il prima ed il poi.


ANNALISA BERTOLI: ascolto apertura ciliege

CALZETTE ROSSE

E' arrivata la primavera anche a Barcellona, è nell'aria; il cielo è pulito, sembra che le nuvole si siano dimenticate di svegliarsi. Amelia è ancora nel letto, si lascia nutrire dai profumi del nuovo giorno. Lo sguardo si posa sulle sue calzette rosse buttate là sulla poltrona, proprio come le bacchette di un direttore dopo l' esecuzione di un importante concerto: si riposano, ma non perdono la loro dignità. La giovane Amelia si ascolta nel suo odore che come una bussola la conduce in una sequenza fitta di sensazioni. Quanti ricordi grazie a quelle calzette rosse. Le sue calzette rosse, all'inizio troppo sfacciate quasi impertinenti, poi con il tempo sono diventate rosse, sì rosse come due ciliege rubate di maggio, rosse come la vibrante attrazione che lei ha sentito la prima volta che ha incrociato lo sguardo di quell'uomo. Rosse come la simbiosi dei loro corpi, come il coraggio della clandestinità. Amelia lo sa, quell’uomo non è suo, è di un’altra donna; chissà, forse questo ruolo scomodo rende tutto più eccitante e sofferto.

All'improvviso suona la sveglia: un suono sicuro e penetrante richiama Amelia alla realtà. Con gesti distratti e apparentemente automatici lei si lava, si veste, un filo di trucco ed esce. La Rambla è gremita di gente, sembra che un pezzo di mondo si sia dato appuntamento lì. Amelia è curiosa rallenta il passo ed osserva le persone, i colori, si lascia catturare dai loro sguardi, dalla loro gestualità: “Che fanno tutti?” - pensa - “Tutti qui per lavoro, come me?” La giornata trascorre scandita da impegni e imprevisti ma Amelia non perde il


controllo e, come Arianna, tiene il suo filo. Verso sera torna a casa, è sola, fa una lunga doccia, l'acqua è per lei una fedele amica, l'acqua è accogliente, non le chiede niente, si dà. Tutto sembra calmarsi, la notte avanza, squilla il telefono: è lui. Dopo qualche istante di silenzio Amelia dice: “Sì vieni, ti aspetto.” Mentre lo aspetta, pensa: “Chissà con quale scusa si sarà liberato questa volta…”

Come sempre i loro corpi si riconoscono ed iniziano un dialogo silenzioso ma intenso, fatto di gioco e complicità. Il piacere zampilla con innocenza, i loro corpi sudati si magnetizzano, i brividi si susseguono, l'estasi e poi la resa. La giovane Amelia si trova spossata, sfinita e, di nuovo sola, si rigira nel letto vuoto, che ora le sembra enorme. I giorni passano, tutto sembra immutato, ma è solo apparenza, perché nel corpo di Amelia è sbocciata una nuova primavera. Lei ancora non lo sa, ma forse lo sospetta: il seno è turgido, il ventre è un po’ più teso, le mestruazioni si fanno attendere… il pensiero di Amelia va fulmineo a quell'ultima volta. Sente per un istante l'intensità di quell'incontro: gemiti, sussulti, carezze, sospiri e poi ancora carezze. L'intuizione è stata giusta, quella mestruazione non arriverà, quel ventre, oggi solo teso, è destinato a crescere, a diventare una culla. All'inizio Amelia è pervasa dallo sgomento: con la forza di uno spot pubblicitario ben riuscito le fanno eco nella mente frasi come: "Un figlio è per sempre" , "un figlio ti inchioda", "un figlio non ti lascia scampo", sì insomma: con un figlio si diventa… grandi. Questo susseguirsi di sentenze le tolgono il respiro. Amelia sente che le stanno mancando le forze, si siede sulla tazza del water, respira, si poggia le mani sulla pancia come chi tocca una sfera di cristallo per interrogare il destino. Improvvisamente tutti quei pensieri svaniscono e Amelia sente che ce la può fare, anzi che ce la fa.


Un’immagine vivida si staglia davanti a lei: è il volto di sua nonna che le dice: "Bimba un figlio è pane, la malattia è fame".

Amelia non ha dubbi: quella vita l'ha scelta, ha rotto gli schemi, ha seguito il suo comandamento. Amelia, per dovere di cronaca, informa il padre del bambino pur sapendo già cosa lui dirà di fronte alla inaspettata notizia: indovina il tono delle sue parole, banali, scontate di chi nel gioco dei compromessi non ha più carte da rilanciare. Accettare il frutto di una relazione extraconiugale è davvero troppo, vorrebbe dire perdere lo status del bravo bambino, che cosa direbbe a sua madre, tutta casa e chiesa, che fine farebbe il bravo marito, che compra le paste la domenica per addolcire l'amarezza di una relazione, fatta di ipocrisia e sterile abitudine.

Amelia è consapevole: quell' uomo ha rappresentato un'oasi dove lei si è ristorata, abbeverata, la sua imbarazzante bellezza l'ha nutrita ma oggi sente che non può stare tutta la vita in un'oasi a vedere le carovane che passano. E’ tempo di affrontare la vita con le sue sorprese, i suoi regali e i suoi scherzi.

E’ arrivato l'autunno. Amelia, con la fierezza tipica di una donna in gravidanza, indossa le sue calzette rosse, è pronta per uscire e annusare la sua Livorno. E' sola ma non ha paura, porta in grembo una creatura.

Calzette rosse come due ciliege rubate di Maggio: sì, è vero Amelia ha coraggio. Calze rosse per sentirsi donna,


calze che si intravedono sotto la gonna, calze seducenti NO! Non sono trasparenti, non sono velate, sono colorate: Rosse, come il primo sangue. Amelia si domanda se questo è il prezzo, o la fortuna. Se si ascolta con attenzione, è fiera della sua mancata mestruazione. Con un gesto sbadato si sfiora le sue calzette rosse oggetto di seduzione e già... si vede con il pancione utero di lana che diviene una culla: la giovane Amelia in questa sensazione si trastulla. Oggi è davvero un nuovo giorno Amelia annusa la sua Livorno. Sì, lei e' sola ma non ha paura porta in grembo una creatura. Qui sta la forza, qui il coraggio delle calzette rosse comprate di Maggio.


CARLA GIOLI: psicologa apprendista scrivana

LA PENNA (un incontro)

Appena messo piede nello scompartimento ebbe il senso che quel viaggio sarebbe stato poco piacevole. L’odore dell’aria stanca la spinse a cercare di aprire il finestrino, le fu impossibile farlo. Sistemata la valigia si lasciò andare sul sedile vicino al vetro sapendo bene che quello non era il suo posto: il suo era al centro pressata tra sconosciuti, ma al momento era sola. Non amava viaggiare in treno, perché detestava stare nei luoghi chiusi a contatto con persone estranee, inoltre il treno le ricordava quei sogni di sofferenza infinita, quando, correva correva, ma il treno partiva senza di lei. La scelta della signora Elvira era stata segnata dal fatto che era domenica e le autostrade sarebbero state molto trafficate per il rientro da un periodo di giorni festivi. Lei non si riteneva più capace di affrontare questa realtà convulsa. Sarebbe andata ad abitare per qualche giorno a casa della sorella Nina, sposata con un insegnante milanese, ormai in pensione. La sorella aveva molto insistito perché lei andasse, lamentandosi di vederla di rado; lei non poteva muoversi, a causa dei disturbi che aveva, che si muovesse Elvira che era più giovane e più libera. Queste premesse erano causa di malumore inconfessato che incideva sul viaggio.

La signora Elvira prese dalla borsa delle riviste femminili e iniziò a sfogliarle, se ne stancò presto. Estrasse l’agenda per verificare degli appuntamenti e scriverne altri, cercò la penna. Ebbe un attimo di smarrimento, temette di non averla portata o ancora peggio di averla perduta. Una penna che aveva tutta una storia da raccontare, una penna che era diventata


una strana reliquia;una reliquia talismano che portava sempre con sé. La trovò sul fondo della borsa.

Entrò una ragazza, con uno zainetto militare, che si sedette diametralmente lontana da lei. Entrambe si salutarono con un abbozzo di saluto silenzioso. Subito la ragazza prese a leggere un libro e il silenzio continuò a regnare. La signora Elvira provò un senso di già vissuto. La ragazza seduta nell’angolo opposto somigliava molto a quella che, alcuni anni fa, in un altro viaggio, si era seduta e silenziosa si era chinata sul libro, ma il silenzio, dopo poco, fu interrotto da un frastuono di tacchi, accenni di scuse, scricchiolio di plastiche. Lo stretto vano della porta era diventato la cornice di una colorata figura femminile . Jeans fasciati, morbida giacchina, tre o quattro buste tenute alte, un ancheggiare di glutei e un tonfo soddisfatto di colei che si era messa a sedere.

La signora Elvira rivide il sorriso della nuova arrivata: una collana di denti incredibili che risaltavano sulla pelle scura. Ricordava perfettamente come la ragazza, attenta a non toccare la coetanea, si era insinuata di traverso nel suo angolo allungando le sue prodigiose gambe. Dimenandosi si era liberata dal mini piumino e, toccandosi i capelli, si era tolta una parrucchetta nera di morbidi ricci. Una testa di capelli crespi, tenuti fermi da varie forcine, aveva cambiato la sua immagine. La signora Elvira non seppe trattenere un sorriso e la ragazza bruna, per niente infastidita, ricambiò. In questo gioco di sguardi era entrata la ragazza del libro che la stava sbirciando, la bruna ignorandola continuò a trafficare tra una rivista, una penna che mise tra le labbra e un cellulare a cui tolse la scheda per metterla ad un altro. Nell’armeggiare tra i due la penna le passava da un angolo all’altro della bocca seguendo le lievi difficoltà incontrate.


Attratta da quella bravura, per lei impensabile, la signora Elvira non riuscì a fare a meno di dirle: - Sei brava. Come risposta ricevette una sventagliata di bianco dentale. Aveva gradito il complimento, mentre la ragazza di fronte seguitava con il suo libro come se fosse stata sola. La sua pelle di un chiarore opalescente, slavato accrebbe il contrasto creatosi in quel ristretto spazio, accentuato dall’immobile silenzio dell’una e l’energia che sprizzava dall’altra. Un suono vocale impronunciabile aveva accompagnato uno sventolio di foto. Un ragazzo scuro, tutto muscoli sembrava schizzare fuori dal cartoncino. Il ticchettio della penna attirava volutamente l’attenzione delle altre viaggiatrici. La signora Elvira rispose a quel richiamo chiedendo se fosse il fidanzato. La ragazza bruna, con enfasi, baciava la foto mentre l’altra ragazza rideva. Stava iniziando una piacevole confidenza tra donne quando il treno rallentando si fermò. Era salito un signore che educatamente salutò, poi un giovane grassoccio con un giubbotto pieni di stemmi e un ragazzo rigido nel suo paricollo blu. Quel piccolo spiraglio di complicità femminile venne chiuso dalla opprimente presenza maschile.

La signora Elvira risentiva ancora la noia provata all’ingresso dei tre uomini che sembravano impacciati per la presenza della ragazza scura. Il signore era trincerato dietro un quotidiano, il ragazzo grassoccio masticava una gomma, mentre il giovane in blu scriveva al computer. Come per sfuggire a una tensione insostenibile la ragazza del libro usciva nel corridoio nello stesso istante in cui un cellulare iniziava a diffondere una musica chiassosa: era quello della ragazza dalla pelle bruna. Nello scompartimento risuonarono chioccianti esclamazioni.


Dal silenzio al crepitio di una mitragliatrice Era un litigio, un racconto di qualche disgrazia o che cosa quello di cui la ragazza parlava in una lingua sconosciuta? La penna accompagnava nervosamente la comunicazione battendo sul ginocchio. Il disturbo era palese. La voce sguaiata stava rendendo tutti infastiditi e interdetti sul da farsi.

La signora Elvira ripensando a quel momento riviveva il disagio provato; era stata lei a intervenire per prima toccando il braccio della ragazza bruna facendole cenno di abbassare la voce. - Mia amicca.- Rispose la bruna, con un sorriso felice che sconcertò i presenti, riprendendo in maniera forsennata a parlare e a battere con la penna. La ragazza che era andata nel corridoio si affacciò alla porta. - Fai piano. Per tutta risposta ricevette la solita frase con il solito sorriso. - Mia amicca. La ragazza dalla pelle chiara ci riprovò facendole cenno di abbassare la voce. - Parla piano Imperterrita l’altra continuò. -Mia amicca. La signora Elvira pensando a quella lontana “ amicca”, che immaginava come un punto fermo nel caos della vita della ragazza bruna, raggiunse la ragazza del libro nel corridoio e rise con lei della situazione grottesca dei tre uomini soggiogati da un monologo chiocciante che non sembrava avere fine. Essere intervenute le aveva rese alleate e disposte a piccole confidenze. Il tempo era trascorso, la telefonata terminata. Rientrando nello scompartimento un’altra sorpresa le attendeva.


Comodamente allungata con i piedi sul sedile lasciato vuoto la ragazza bruna si gingillava con la sua penna scarabocchiando il palmo chiaro della propria mano

Il viaggio della signora Elvira era quasi finito, la fermata era prossima, si stava preparando a lasciare il posto. Mentre prendeva la valigia, le tornò alla mente la parte più bella di quel lontano viaggio. Rivide il treno che stava per arrivare a destinazione, il trambusto per riprendere i propri bagagli, i saluti formali e la ragazza bruna che si passava il rossetto sulle labbra e che si sistemava la parrucchetta dai riccioli morbidi. Risentì il suo sentimento offeso mitigato da una mano scura che l’aiutava a prendere la valigia e da un gesto inaspettato che le tendeva la penna dicendo: -Tieni, regalo. Rivide quegli occhi neri brillanti come perle, teneri e docili pronti a farsi perdonare ed amare.

Mentre riordinava i giornali e metteva al sicuro la penna le esplosero nella mente pensieri, sugli usi, i costumi, l’ educazione, la solitudine, l’incapacità di capire il prossimo, il fastidio dei contatti ravvicinati, la povertà di tutto il genere umano… Le era rimasta la penna; non si era sentita di rifiutarla e la conservava come cosa sacra per aver fatto parte della vita di una ragazza dalla pelle bruna che sguaiatamente sfidava il mondo che non l’avrebbe mai capita ma solo giudicata.


CHIARA GASPERINI: lavoratrice sognatrice speranzosa

IL PETTINE

"Anna! Anna!" una voce prorompeva nell'intimità della stanza. Poi, una lama di luce le giungeva dritta dritta sugli occhi. "Anna!" insisteva la voce " è ora di alzarsi... su! ". Anna sbuffava, sollevando il lenzuolo fin sopra la testa. Uno scalpiccio di piedi sulle mattonelle, un risolino a stento contenuto e "Via, Anna, fai la brava bambina..." diceva la mamma e le toglieva il lenzuolo dal viso. "Dai, alzati... ". Ed Anna scendeva dal letto, con gli occhi ancora chiusi, mentre la mamma la guidava fino in cucina: una tazza di latte, tre biscotti e poi di corsa a lavarsi. Infine, il rito dei capelli. Anna si sedeva di fronte al grande specchio della camera e la mamma, sedendo sul letto, le afferrava le ciocche, che la notte aveva tramutato in nodi stretti, stretti come certi viottoli in cui ci si deve mettere in fila, uno dietro l'altro, per camminare. La mamma le poggiava un dito sulla fronte, all'attaccatura dei capelli e con un pettine a denti larghi, s'accingeva al suo lavoro. Striga, striga, striga... Anna la guardava dal riflesso e le sorrideva, l'altra alzava il viso un istante, per ricambiare il sorriso, poi scorreva le dita sulla testa della figlia e le chiedeva: "Ti faccio male?". La bambina scuoteva la testa: "Non troppo.". "Lo sai, Anna"bisbigliava la mamma "se bella vuoi apparire, un po' devi soffrire..." e le gettava addosso uno sguardo, gravido di meraviglia e di orgoglio, che ancora non ci credeva di avere una figlia ed ogni mattina a ritrovarsela, là, ai piedi del letto, addormentata su di una brandina che pareva un guscio di nocciola, le si stringeva lo stomaco per la commozione. "Ti ho mai raccontato la storia della principessa ragnatela?" le domandava, poi, senza attendere una risposta, come ogni giorno gliela ripeteva. "C'era una volta, o forse soltanto l'altro ieri, una principessa che al posto dei capelli aveva fili di ragnatela, che brillavano d'argento alla luce della luna, scendendole lungo le spalle in morbide onde. Ma, ahimè!, qualsiasi cosa vi passasse vicino, rimaneva attaccata: non solo splendide farfalle, ma anche mosche che col loro ronzio procuravano alla principessa un incredibile mal di testa. Così la principessa non poteva correre libera, nel prato, con gli altri bambini, ma doveva restare a guardarli, da dietro la finestra chiusa. La regina non sopportava la tristezza della figlia


e studiava, studiava, studiava per trovare un rimedio. Fino a che, una notte, non ebbe un lampo di genio: inventò un pettine. La principessa a vedere quell'arnese in mano alla madre ne ebbe una gran paura e prese a battere i piedi talmente forte da svegliare tutto il reame. Ma la regina non s'intimidì e striga, striga, striga liberò la figlia da ogni fastidio. Da allora la principessa può correre felice nei campi, con quel pettine sempre in tasca, per liberare le ciocche da ciò che non serve." Finita la storia, la mamma poggiava il pettine sul comò. "E' ora di uscire, Anna!" sussurrava.

"Guarda che capelli!" si dice oggi Anna, ritrovandosi come ogni mattina nello specchio, e si sorride, col sorriso che, tanti anni prima, aveva sua madre per lei. Afferra il pettine e nelle orecchie ha quella vecchia storia, mentre sferra un colpo dopo l'altro contro i nodi con cui la notte ha serrato la sua chioma. Talvolta, sogna d'alzarsi e di ritrovarsi in testa un caschetto, liscio e perfetto, che non ha bisogno di tante attenzioni. Sospira e ritorna a pettinarsi. Ad Anna pare che non sia soltanto una questione d'acconciatura, ma a ben vedere quel groviglio, quella nuvola che si porta sul capo, ha radici profonde, fin dentro il suo cuore. Anna crede che siano i suoi pensieri, più fitti col favore delle tenebre, a ingarbugliarle i ricci. Gli stessi pensieri le rendono spesso le sue giornate un ginepraio, dal quale non sa uscire. Eppure Anna sa di non aver niente da temere, perché sua madre le ha fatto un dono: il pettine della principessa ragnatela. Striga, striga, striga...

Il pettine s'afferra ai suoi nodi, a quelli dei ricci, a quelli dei pensieri, e decide cosa tenere, cosa spezzare. Anna perde qualche capello. Raccoglie quelli caduti nel lavandino e li butta. Torna a guardarsi nello specchio, con le dita ricompone i suoi capelli in un ricamo e lascia alcuni nodi intatti, perché le sembrano belli, come le farfalle sui capelli della principessa ragnatela.

"Su Anna" si dice "è ora di uscire!".


Striga, striga, striga... E' mattina: a denti larghi come braccia il mio pettine s'afferra ai tanti ricci. La notte stravolge le mie ciocche: le gonfia, le tira, le intriga, le scaraventa contro il collo ad attendere soltanto il morso di quei denti.

Striga, striga, striga... Lotto contro ogni nodo, per imprigionarmi in un caschetto: ma ho una nuvola, un garbuglio sopra il capo che ha radici nei pensieri.

Striga, striga, striga... Se donna vuoi apparire, un po' devi soffrire.

Donna? O bella?


Digrignano i denti in bocca poi s'arrendono: giĂ hanno reciso questi denti che ho in mano i brutti ricci e gli inutili pensieri. Donna. Donna.

Ora, la mia chioma è un ricamo, tutto nodi e punte in fuori e, nella trama dei miei ricci, i tormenti della notte volano, come farfalle, dalla pelle del mio cuore


CRISTINA LASTRI: docente poeta donna

IL CELLULARE (tutto intorno a me)

Se telefonando io potessi dire basta lo farei Se telefonando io potessi dire basta lo farei ma la rubrica è vasta e la giornata troppo lunga…

(La suddetta poesia introduttiva è recitata/cantata dall’attrice ‘live’, dopodiché si sentono gli squilli ripetuti di una fin troppo allegra suoneria di cellulare. La donna se lo cerca addosso e nella megaborsa; dopo averla letteralmente svuotata dai molteplici depliant, alla fine lo trova e risponde alla chiamata)

- O Cicci, hai chiamato anche prima? Mah!.. Un sento ‘na mazza!!!

(L’attrice parla, spostandosi continuamente sul palco, assumendo posizioni improbabili)

- Maremmina un c’è campo… c’ho du tacche sole. Sì dimmi… ero occupata? Po’ esse, parlavo con Giamaica e dopo con l’Annina… no ora sono sempre occupata, ma per artri versi: ‘e devo andà a lavorà, sai a produrre quarche cosellina, poi il dà farsi continua, ma in casa: come dì’ “un lavoro proprio” o in-proprio, fai te… Deh ero occupata! O Nini ormai lo dovresti sapè che “la donna è mobile, quar piuma ar


vento”…

(pausa per ascoltare l’interlocutore, mentre passeggia in lungo e in largo sul palco)

- Ma quanti siete ‘osti? Cosa, ahh!! E’ la televisioneee?? Popò di bischero! O spengila, perdìo, ma che si deve patì anche ar telefono?! C’ho l’orecchi paonazzi da quanto me li pigio sull’apparecchio - che fra l’artre ‘ose è quasi novo - Spostati, fai quarcosa! (possibile perdè tempo co’ un baccellone così…)

(L’attrice non riesce a sentire e prova ad alzare il volume della sua voce)

- Pronto? Mi senti? Ti sento!! Mi senti? Prontoo!!

(Fra le interferenze audio, cade la linea telefonica e a quel punto l’attrice, spazientita, guarda il cellulare con odio, fa per scagliarlo lontano, ma ci ripensa)

- Siccome la ‘arma è la virtù de’ forti, ora conto fino a 10 e poi si riparla…

(l’attrice, col cellulare in mano, conta con le dita e mentalmente fino a dieci)

- Via, fammi riprovà, poverino…

(la donna tenta di riprendere la comunicazione interrotta con l’interlocutore maschile)

- No, no, un c’è versi, un dà segni di vita. O è dentro un bunker o ha finito i sordi


all’improvviso; d’artra parte lui è affezionato a quel telefonino, vecchio ‘ome ir cucco! Ohimmei… avrei dovuto lasciallo a casa ir cellulare… forse avrei finito pe’ sta’ meno male. Quasi quasi domani cambio numero di telefonino; e se cambiassi addirittura compagnia? Poi, come dice la pubblicità c’è “l’all inclusive”, sarebbe a di’ tutto ‘ompreso! Se’ondo ‘ome, ci scappa anche ir cinema gratisse! Alla mi ‘ugina, l’è arrivata la “card” tutta d’oro! Sì, telefono per tutti, senza ansia alla risposta! Diamine! Tanto è tutto intorno a me!

(mentre ragiona, l’attrice sfoglia opuscoli a non finire, assalita sempre più dai tentacoli consumistici e dalla poca facoltà di discernere. E’ letteralmente circondata dai depliant, dalle pubblicità che sfoglia per capire la tariffa più conveniente)

- Però devo ‘apì quale tariffa mi ‘onviene…un ruzzino da nulla… Dopo, sentì quanti punti c’ho per avè i premi in palio, sennò mi scadono come lo yogurte… Bisogna fa’ un numerino e loro ti mandano ir sardo, come la banca. Boia, per piglià l’urtimo modello der Nokia (che fa anche troppe ‘ose per i mi’ gusti per via ch’è intelligente, in ingrese “smart”) hai voglia di ricarie! Faccio in tempo a ‘nvecchià parecchio! E se chiedessi un aiutino a casa? M’ha detto ‘na ‘ollega che si possono sommà i punti per fa’ prima a raggiunge’ l’obbiettivo… Poi stai a vede’che ti pare anche regalato… Ma quanto piange sto telefono!... Bisogna sta’ ma di morto attenti alle bollette, artro che lucchetti a’ pali; qui ci vogliono direttamente sul disco de’ numeri, come succedeva tant’anni fa, così la rota un gira più… E se devo di’ le ‘ose alle gente, gli sonerò ir campanello o gliele dirò in ghigna ar momento bono… Beelle mi’ lettere di foglio, quelle ‘ol francobollo, mia ‘uelle di posta elettronia, che se ti c’entra ir virusse ner carcolatore, sei der gatto…Poi dice che quelle ‘mail’, sì quelle letterine, le po’ legge’ chiunque, pe’ controllatti… che mondo! Si va via a fette, come ‘r coomero!! (mentre parla le espressioni della donna avvalorano i suoi sentimenti che variano dallo sconforto, alla nostalgia, alla rabbia)


- La mi’ nonna ogni poino diceva: “E si stava meglio quando si stava peggio”… Allora sarebbe a di’ che Meucci ha fatto danni??... No, via, un diciamo ‘orbellerie… E’ che la gente esagera sempre e, come c’ha quattro televisori dentro ‘asa, minimo minimo ci deve ave’ 2/3 telefonini addosso, magari con tanto di soneria personalizzata… Ma quello che un capirò mai, è che quando un si vogliono fa’ trovà, un rispondono e poi, DOPO, ti di’ono con l’aureola in capo “sai, ero in riunione”… Farsi, che Pinocchio era ‘na giacchettata!! Bisogna anda’ a fiducia o fanne a meno, che forse è la meglio ‘osa. Usallo lo stretto necessario e metteci dentro i numeri utili: per esempio ir 414 pe’ sentì quella vocina che ti riorda quanto credito t’è rimasto, o il 412 della Timme che dice “Trova tutto”: ma anche un cecio in mare o l’aghi ne’ pagliai? Ir 49494 per quando c’è l’emergenza di chiamà un tassì, o il 49186 se una notte, un si sa mai, tu debba dettà un telegramma a chicchessia!

(Uno SQUILLO interrompe il flusso di pensieri della donna)


ELISABETTA POLINI LA TEIERA (è stato un gesto necessario)

Da quando lui si è innamorato di quella donna ho capito quanto sia nella natura degli uomini perdere la testa di fronte a giovani corpi . Così ho iniziato a bere sempre di più… il tè. Io, nostro figlio e un bagaglio a mano, che non puo' contenere quello che vorrei portare via, dopo un lungo viaggio siamo tornati a Livorno. Abbiamo deciso di lasciare andare il marito, il padre, e siamo andati a vivere in un monolocale. La scelta che fanno molti separati che non hanno energia per cercare qualcosa di meglio. Dal fornello al tavolo ci sono due passi che faccio a piedi scalzi pestando le briciole del giorno prima. Tu sei lì rotonda, profumata di erba. Ti appoggio sul tavolo insieme alla tazza, mi siedo e aspetto senza fretta . Poi apro il tappo e guardo attraverso il vapore di pochi secondi il liquido ambrato. L' odore forte del tè al gelsomino che insaporisce l'aria è l’unica sensazione che mi dà sicurezza. Ogni volta che inalo dilatando un po' le narici sento un pezzettino di felicità nel centro del petto che va su e giù come quando mi spingo sull' altalena. Così bevo una tazza dopo l’altra senza zucchero, ne' miele, ne' latte. Ogni tazza che bevo non posso fare a meno di piangere , forse ti sembrerò sciocca ma ho la sensazione che quelle lacrime facciano sparire il dolore che ho dentro.


FLORIANA GEROSA: donna tacitamente vive

IL PORTACHIAVI (tenero)

Sono morbido, color panna e miele, sono un portachiavi a forma di giraffa, mi trovo in un negozio di cartoleria e giocattoli, curiosità varie e sono appeso insieme a tanti altri animaletti di peluche. Sono rimasto solo io della mia specie e se da una parte sono contento di essere rimasto l'unico, dall' altra ho paura di finire nelle mani sbagliate. Ma poi è arrivata lei, una ragazzina bionda di circa dieci o undici anni, dall'aria decisa, che mi ha tolto dal mio gancio e dopo aver dato una rapida occhiata a tutti gli altri mi ha stretto tra le dita dolcemente, con delicatezza, tanto che mi sono sentito sicuro e incuriosito. Poi lei si è spinta oltre, mi ha parlato con confidenza come se fossimo sempre stati amici e mi ha sussurrato che sono proprio io, quello giusto, quello che stava cercando da tanto tempo. Il feeling è immediato, ma è soprattutto il mio orgoglio che sale alle stelle quando la ragazzina, arrivata alla cassa, chiede timidamente alla commessa: " Può farmi un pacchetto regalo? E’ per la mia mamma".

Morbido, leggero, colorato: l’ho stretto tra le mani, lo stringo e mi riporta indietro, a quando me l’hai donato, ed è un momento in cui mi perdo nel tuo sorriso


dolce fresco di bambina, un rituale ogni volta che lo sfioro con le dita, e ci gioco, perché è un gioco il nostro mai finito ed è il tuo gesto, che si ripete ancora e ci rivela il nostro più intimo segreto : due donne, una dentro l’altra, a proteggerci con regole tenute a mente, così che la solitudine va via nel ricordo lontano di cose accadute, materna sacralità, sciarada infinita incantata dal tempo che passa, che poi è favola di donna e di bambina.


GIULIA MARTANO LA FOTO (ricordi lucidi)

Piove, piove, piove… e tanto per cambiare anche oggi piove. Un viaggio! Ecco cosa servirebbe per stemperare il grigiume di queste giornate di maggio inoltrato travestite d’autunno. Un viaggio da qualche parte dove riuscire di nuovo a sentire il sole sulla pelle, il sapore salato d’estate in bocca e la sabbia che si appiccica sulle dita.

E’ in questi momenti che non riesco a fare a meno di tuffarmi nei ricordi e rimanere in apnea di fronte alle migliaia di scatti che uno dopo l’altro hanno saputo cogliere l’essenza dell’attimo. C’è qualcosa di sacro nelle fotografie, esse sono l’incontro di spazio, tempo e anima: è la loro perfetta congiuntura che la carta lucida ci mostra. Quello che esiste fra fotografia e tempo è un legame perfetto di forme e colori come altrettanto perfetto è il sorriso di quel bambino che non avevo mai visto prima e che mai rivedrò: in una viuzza di Casablanca lui se ne stava seduto su un muretto con i piedi scalzi e sporchi davanti al negozio di tappeti, ed è lì che per me rimarrà per sempre. Dicono che le fotografie rubino l’anima delle persone, ma secondo me cercano solo di conservare ciò che la memoria sistema in vecchie scatole etichettate ormai da troppo tempo: “Quindicesimo compleanno”, “Primo giorno di scuola”, “Mamma col pancione”. Sono i dettagli i veri protagonisti, quelli che mai potranno ripetersi e che solo in quei piccoli formati riescono a sopravvivere al tempo. Così una ciocca di capelli sull’angolo della bocca, la macchia di gelato sulla camicia e gli occhi stretti in fessure ma decisi a combattere la luce folgorante del flash, questi diventano ancore di salvezza per la nostra memoria che vaga come una vela fra le onde del tempo. CLICK! Eccola qua fra le mie mani: lucida e intatta. Ne sfioro la superficie con le dita


ripensando a tutte le volte che qualcuno mi ha rimproverato di non farlo per non rovinare la pellicola e provo una certa soddisfazione a poter oggi finalmente trasgredire la vecchia e temuta regola. Dalla foto sgorga una luce radiosa di un pomeriggio estivo di dodici anni fa. Una bambina sorride: è accecata dal sole che irrompe da dietro le spalle del suo papà, autore dello scatto; gli occhietti socchiusi e nascosti ben bene sotto le ciglia. Ha il naso a punta e un gran sorriso di denti storti, ma a lei non importa, in quel momento le interessa solo fare un gran “cheese” come le dice il papà. Fiera dei dentoni ben in mostra, le preme far presto per scendere dallo scomodo posto dove è in posa, o meglio dove mamma l’ha messa in posa: seduta sul bordo di un porta scialuppe si tiene con la manina per paura di cadere. “Uno, due, tre: cheese!” E’ fatta! Il piccolo- grande miracolo della tecnologia si è compiuto di nuovo, l’uomo ha ingannato il tempo nel migliore dei modi possibile e nel mio caso ha intrappolato una bambina di otto anni, una barca della polizia e un’isola.

Si innalza scoscesa dal mare vergine roccia puntellata di verde sotto un cielo smaltato d’azzurro: l’isola è donna.

Il suo respiro di madre è il caldo scirocco che cinge la vita e poi culla.

L’isola ascolta ciò che l’uomo ha da dire


non chiede il perché delle cose, lei sa e tace.

L’ho vista raccogliere parole dalle mani di assassini e poi al tramonto gettarle nel vento come fa con le scaglie di mare.

Castaneli Ada esordirono gli arabi, Egilora cantarono i Greci, Margherita santificarono i frati… Gorgona la chiamiamo noi oggi. Innumerevoli nomi per quel volto di pietra baciato dai secoli. Nella fotografia è lì, accanto a una bambina di otto anni seduta su un porta scialuppe di una vedetta della polizia. Tutto ciò in diciassette centimetri per dodici.


GRAZIA ALDROVANDI: fantasiosa pazza bambina

L' ANELLO

L' orologio della torre aveva battuto nove colpi. Lei se ne stava incollata sulla seggiola ferma, immobile, per non sciupare il suo bellissimo vestito. Le mani raggomitolate sul grembo, la gonna di organdis rosa che avvolgeva il corpicino come se tanti petali si fossero staccati dai rami di un giardino incantato; le scarpette bianche che si appoggiavano appena sul pavimento. Era assorta, pensava all' anello della mamma: lo vedeva ancora tra le dita affusolate e le unghie rosse: brillava, spariva e riappariva, mentre la vestiva, la pettinava e controllava con amore minuzioso ogni particolare... la bimba non cessava mai di guardarlo anche quando l' aveva esortata a comportarsi come una vera signorina: " Tesoro! Stasera abbiamo ospiti e tu sarai la nostra piccola principessa" poi le aveva dato un bacio tra i capelli. Era l' ora... le luci tutte accese, i cristalli sulla tavola, i toni sommessi dei suoi familiari... ma lei non faceva che pensare all' anello, lo vedeva ancora... Era sempre lo stesso della mamma, lo indossava sempre giorno e notte, per lei però ogni volta una scoperta meravigliosa. La pietra nera si pavoneggiava nel giallo lucente dell' oro che la incastonava, la carne bianchissima delle mani la rendeva ancor piÚ importante... ma il fascino vero e proprio era rappresentato dal mistero del fregio scolpito a fuoco nell' onice. All' interno un' aquila reale si appoggiava con i suoi artigli ad una scacchiera a forma di scudo. La piccola aveva chiesto alla mamma cosa rappresentasse: "Cara bambina, questo è lo stemma di famiglia". Lei la guardava con i grandi occhi verdi, ma non capiva; col tempo e con qualche spiegazione in piÚ lo aveva associato ad un mondo lontano e fantastico. Adesso, nell' attesa del pranzo, si era messa a giocare con la fantasia. Ad un tratto l' anello era diventato grande, grandissimo e lei lo aveva attraversato lieve come una farfalla. Ecco!


All' improvviso un cielo con una grande luna gialla un castello si stagliava nel cielo stellato il ponte levatoio si abbassava un batuffolo rosa correva verso il grande portone. Nei saloni immensi la luce delle fiaccole faceva danzare un esercito d' ombre. I giullari variopinti saltellavano qua e lĂ e il tintinnio dei campanelli rompeva il maestoso silenzio, dame parruccate, cavalieri galanti, si inchinavano al suo passaggio. Lei tutta orgogliosa del suo ruolo acquisito, procedeva impettita verso il piccolo trono dorato. L'anello al suo dito medio finalmente brillava orgoglioso di riappropriarsi del proprio mondo.


LUCIA MELONI CINELLI: tenace coraggiosa fragile

LA SACRA RELIQUIA

Il primo "lui" L'amore, la convivenza, le gioie nello scegliere l'arredamento di un bilocale; le luci, le tende, i colori delle pareti, il lucido delle mattonelle per il bagno, la fantasia provenzale per il copriletto, e infine... la cucina, la sede della "sacra reliquia". Per lei una sorpresa: la consapevolezza di riuscire a cucinare, a stirare, a curare il suo "lui". Per lui la rassicurante sensazione di essere in buone mani e non in quelle sbagliate come aveva diagnosticato sua madre. Impeccabile come un cadetto usciva per recarsi al lavoro, non immaginando la delusione e l'umiliazione che ogni giorno, ignorando la "sacra reliquia", riservava alla sua lei. "Ancora troppo infantile, più figlio che compagno" aveva constatato lei confrontandolo a quello che sarebbe diventato…

Il suo secondo "lui" Un vero macho. La sollevava tra le braccia palestrate come uno sposo, varcando la soglia di un nido d'amore. E l'amore non mancava certo, specie quello sessuale, che avveniva nei luoghi meno adatti, alle ore più inconsuete, esibito come omaggio del vero maschio che non deve chiedere mai. Sì, certo, anche tutte le altre fatiche le venivano da lui alleviate, tranne quella di toccare “la sacra reliquia”: toccarla avrebbe svilito il gran bel pezzo d’uomo, com’era solito definirsi, non immaginando, neppure con il senno del poi, che il lenzuolo che da tempo ormai fasciava il corpo della sua lei conteneva un chiaro messaggio: lasciami in pace.

Il terzo “lui” era comparso dopo un lasso abbondante di tempo, utile per assaporare l’euforica


sensazione di libertà e l’orgoglio di essere una single in perfetta autonomia. “Vuoi sapere come cucino il mio cacciucco?” - era andata così quella sera rispondendo a un’amica tra un gruppo di amici ai quali si era aggregato quel “lui”. “Salvia, aglio, peperoncino e abbondante olio, poiché il pesce ne è privo” - aveva specificato – “specie quello povero e liscoso che aggiungo, naturalmente dopo che il polpo, la seppia e il totano sono semicotti.” “Uno schizzo di vino?” era intervenuto quel futuro “lui”. “Certo… certo”- aveva risposto indispettita per la dimenticanza – “ serve durante la cottura… ma dopo la pentola va scoperchiata per farlo evaporare.” “A proposito di vino…” – proseguiva anche se imbranato quel “lui” – “se porto un Chianti posso considerarmi invitato?”

E così era stato. La tovaglia di lino, i piatti del servito buono, i bicchieri di cristallo erano stati, dopo breve riflessione, sostituiti da una tovaglia a quadretti rossi, piatti e bicchieri di ogni giorno (il cacciucco non è mica caviale). Serata riuscita e speciale dunque, con un finale inaspettato che aveva procurato la pelle d’oca sulle braccia di lei: “lui”, nell’accomiatarsi, trasformando la voglia di baci in un “ciao a presto” e in un ammiccante occhiolino, aveva estratto con naturalezza la “sacra reliquia”, piena di rifiuti, dalla sua sede, cioè dalla pattumiera e, annodati bene i legacci, se l’era portata oltre la porta d’ingresso, fin dentro l’ascensore lasciando lei impalata, attonita e felice sull’andito.


MARIANNA MORONI IL NOME

Pisa, 11 gennaio 1971 E' nata: una pallina di neve, la descrive la sua mamma: bianca e rosa pallido, i colori che accompagneranno la sua infanzia. Eugenio o forse Consuelo l' avrebbero chiamata, ma... si chiamerà Annalisa, decidono il babbo e la nonna.

...estate 1985 Quella pallina di neve è rotolata dal nido, si trova sola nel mondo. Ha 14 anni e i suoi colori ad un tratto si confondono in un unico colore, un colore scuro. Lei si inventa una strada da percorrere, una strada rumorosa per le sue delicate orecchie, una strada scura, che non è la sua.

... autunno 1994 Ha 23 anni. Il colore scuro diventa nero, è tutto nero: lei si adagia in quello nero, sempre più morbido e sempre più familiare. Nero fondo, dentro e fuori. Ma qualcosa, come un ronzio nelle sue orecchie ancora sensibili, le dice che sono i colori mescolati che formano il nero.

Ma in quel fondo nero lei si è persa, ha perso la sua identità, ha paura. Che fare? ... Morire? ... Vivere? ...

Montalcino, primavera 2002 C' erano molte persone a quella festa: presentando sé stessa, Annalisa presentava ormai un' altra persona. Quando diceva "Annalisa" non era lei, quel nome le stava stretto, non era più il suo nome.


Da sola, in macchina verso Livorno, cerca un nome che dica chi è lei, che esprima chi è racchiuso nel suo corpo: e lo trova. Trova il nome, un nome che non è più stretto, ma che risuona comodo e rotondo nelle sue orecchie.

Si stempera il nero fondo, riappaiono i colori e lei rinasce, lucertola che sguscia con la pelle nuova, il vecchio nome Annalisa è lì, a terra, e lei rinasce, rinasce... Marianna.

Oggi, giugno 2010 La vita di Marianna non è facile, come tutti Marianna deve lottare e soffrire, ma la vita di Marianna, oggi, è a colori.

Viola non si arrende, interroga il suo compagno di sempre. Viola lo usa e raccoglie, con lui supera ogni cosa...


MONICA URBANI: orientamento forza creatività

MIRROR

Ma quando mi guardo, vedo? Cosa vedo? Cosa posso vedere? Fino a che punto si può leggere dentro con uno specchio? O specchio specchio sei sincero, sei reale? Dimmelo tu fino a che punto posso arrivare... ma ti posso interrogare?

Specchio Amico Guardo. Vedo. Vedo occhi grandi, assonnati; felici? “Ma tu sarai più bella la mattina per chi ti avrà capita la sera prima per quel ragazzo che non ha una bella moto ma il sorriso di chi sa il tesoro che gli hai dato.” (E. Finardi - Arianna) Mi nutro di attimi. Vado.

Specchio Strumento Penso. Scruto. Correggo la posa. Parlo... forse recito. Recito? Provo. “What country, friends, is this? - This is Illyria, lady. - And what should I do in Illyria?”


(W. Shakespeare - Twelfth Night : or what you will) Convinco? Riprovo. Ritorno.

Specchio Nemico Piango. Abbandono le lacrime. Sguardo fisso, indagatore. Voglio capire, non voglio annegare. “Non sento più le lacrime. Scendono giù le lacrime. Non sento più le lacrime. Scendono giù le lacrime.” (Nada – Guardami negli occhi) Smorfie, sorrisi. Un po' di luce. Resto.


NADIA CHIAVERINI: cancelliera donna chimera

LA CAFFETTIERA

Ore 19 di un giorno infrasettimanale. Entra in casa raggiante con una scatola tra le mani.” Guarda che cosa ho comprato! È un’offerta… a sconto… è venuto in ditta il rappresentante …” Lo guardo sospettosa, mentre un atroce dubbio si insinua nella mia mente. “Non sarà mica…ma no! L’ho sempre detto che non la volevo…non c’è più posto in cucina..” Appoggia la scatola sul tavolo, la apre…ed eccola lì! Una elegante e fredda macchina da caffè, acciaio e nera, con il suo beccuccio nero e tutte le spie pronte ad accendersi. E come se non bastasse, un sacchetto di pasticche colorate: le dosi del caffè ai diversi gusti: ”Si farà in un attimo, guarda! Il giallo è Decaffeinato, il Roma è gusto raffinato, il viola è più Intenso, il rosso Vivace, il verde Gustolungo…” Sarà…so soltanto che non la voglio, mi disturba! Non ho più spazio in cucina: tra il lavello e il piano cottura, la fruttiera, il portaposate, il fornino e la tisaniera…

Per una settimana tutti l’hanno usata in tutti i momenti della giornata, provando tutti i gusti disponibili. Io mi sono limitata ad assaggiare svogliatamente, previa insistenza. In verità, non ci trovo neppure tutta questa differenza di sapore! il gustoforte per la colazione, quello dopo pranzo per la digestione, il leggero per il dopocena…e quanto si inquina con gli involucri plastificati! Dopo circa dieci giorni di questo tour de force, la perfida macchina ha dato segni di stanchezza. Ha iniziato a centellinare il prezioso liquido in poche gocce a tazzina, gusto….Imbevibile! Bruciatoasprigno. Consulenza: occorre un altro pezzo per l’anticalcare. Perfetto!

Intanto ogni mattina, appena sveglia, in vestaglia, scarruffata, arrugginita, ignorando la new entry più giovane e sinuosa, ho continuato ad usare la mia fedele moka,


quella classica da tre tazze, con “l’ominocoibaffi” della pubblicità. Mi è sempre piaciuto svitarla in due pezzi, riempirla con l’acqua fino al punto giusto, a metà della valvola interna, inserire il filtro, riempirlo delicatamente con qualche cucchiaino di caffè, sempre la solita marca, senza pigiarlo troppo. Mentre aspetto, osservo fuori dalla finestra, respiro forte, rifletto, prendo tempo… Finalmente gorgoglia! Immancabile qualche goccia si versa sul fornello. Pazienza, è il segno che il caffè è pronto. Prendo la mia solita tazza- delservitodiquandomisonosposata- della giusta misura, né troppo piccola, né troppo grande, non come quelle che vanno di moda ora…, come si chiamano…, alte e strette, che per bere occorre un becco da cicogna! Prelevo il cartone di latte dal frigo, ne scaldo due dita- non c’è niente di peggio che un cappuccino scuro tiepido!anche in piena estate!- e finalmente verso tutto il contenuto fumante e odoroso della moka- tre tazzine abbondanti! Assaporo il caffè appena appena macchiato, così.. amaro, inzuppando qualche biscotto secco, le antiche marie, per dolcificare il tutto. Adesso la giornata può iniziare.

Blatera blatera blatera gorgoglia e borbotta lenta soffia e sbuffa in attesa

dolce agonia la nascita scivola giù la mescita impregna l’aria della cucina toglie il torpore della mattina

sollevo la tazza alle labbra


assaporo l’ambrosia scuro nettare odoroso dissolve ogni presagio uggioso

inonda le vene l’aroma linfa vitale, forza quotidiana.

Affronto la giornata.


PAOLA BELLONI: agronoma cinefila cinofila

GLI ORECCHINI (perline bianche) Per le loro piccole orecchie di plastica, appena visibili sotto i capelli neri o dorati ho sempre costruito orecchini. Bastavano dei normali spilli e delle perline… Ogni mattina ne scelgo un paio. Non so proprio uscire senza. I primi, non li ho mai dimenticati.

Estate 1974 Sono in vacanza a P. e ho un pensiero fisso: voglio gli orecchini. Ma non quelli con la clip, che non si usano più, quelli con il buco. Molte delle mie compagne in città già se lo sono fatto e alle loro orecchie scintillano delle belle campanelle d’oro. I giorni trascorrono lenti tra le mattinate in spiaggia e i pomeriggi nel fresco delle stanze scavate nelle mura medievali: nuotate e letture, arrampicate sui bastioni e letture. Noto orecchini su tutte le orecchie che mi passano accanto e ne soffro con tutta la vitalità dei miei quattordici anni. Sotto l’ombrellone, la mamma parla con le sue amiche e con mio padre di politica, di libri, di cose di famiglia, del tempo, di figli e… di orecchini mai! (Sul mio viso nubi temporalesche) Sabina, la figlia della nostra vicina di ombrellone, ha appena finito gli esami ed è arrivata a P. per fare un po’ di mare. Li vedo subito, anche all’ombra. Sono a forma di stellina. - Guardi un po’ cosa abbiamo regalato a Sabina per la promozione. - Ah ma che belli, davvero carini e il buco lo aveva già sua figlia? - No, no se l’è fatto per l’occasione - Ma non è una cosa cruenta? - Ci vuole un attimo ed è indolore. E a Francesca quando li regalate?


(Sul mio viso sole pieno) Nel vecchio paesino medievale molti ristoranti, nessun orefice o donnina che voglia correre il rischio di trapassare le orecchie di questa giovane forestiera. L’idea: l’ospedale di N. In macchina non faccio che aprire e chiudere il piccolo astuccio nero dove riposano, sul morbido velluto color bordò, un paio di orecchini con delle perline. Sono piccoli, con una perlina bianca vicino al gancetto d’oro rosso ed un’altra, un po’ più grande, a forma di goccia che pende appena sotto l’orecchio. Li ha portati mio padre, che ci raggiunge ogni fine settimana, da casa. Erano lì, abbandonati in un cassetto. La nonna Carolina li aveva dati alla mamma, che però non ha il buco. La mia insistenza li aveva risuscitati alla sua mente. Il corridoio dell’ospedale ci regala un po’ di conforto dalla calura e dalla accecante luce esterna. Ci siamo. Mamma chiede ad un infermiere a chi si deve rivolgere per farmi bucare le orecchie. Sul volto dell’uomo un’ espressione incredula che finisce in un sorrisetto quasi di scherno. - Il buco? Qui all’ospedale? Non si è mai sentito nulla di simile. - Sa, mia figlia Francesca… magari si può chiedere a un dottore… Il dottore… oddio… ma farà male? (Nuvole e sole sul mio viso) Buco uguale orecchini, belli e brillanti, come le mie amiche. Buco uguale vero e proprio foro nel mio, proprio mio orecchio, fatto di carne, una parte di me. Nel frattempo la voce, lì al piano terra, si è sparsa e si è trovato un medico disponibile ad operare. Mi stendono sulla barella. È fredda. Ho i brividi. Guardo il soffitto altissimo, ho la nausea. Ora mi alzo e scappo via. Non posso, ho sempre detto di essere coraggiosa.


La mano del medico guida gentile l’ago nei lobi delle mie orecchie, poi passa il filo di sutura. Non ho sentito quasi niente. Riprendo calore e forza. Ecco i miei orecchini, se pur di filo nero! Apro l’astuccio con la certezza che è solo una questione di tempo e poi le due piccole perle bianche orneranno i miei lobi. E così è stato. Non di sole perle si sono impreziositi ma pure di orecchini con pendenti di pietra verde, di plastica nera a goccia, lunghi con le pietrine viola, a catenella, con le stelline, a cerchio e di vetro blu, d’argento con pendente a cuore, di madrepora rossa a bottone, d’ambra, d’oro rosso a triangolo, d’argento a forma di foglia… Quelli con le perline tenuti da parte, nella loro scatolina nera e di velluto bordò, indossati solo in occasioni speciali.

Estate 2010 - Ma tu zia, tu quando te lo sei fatto il buco? - Nel 1974. E tu non hai paura? Hai solo otto anni, se vuoi puoi farlo quando sei più grande… Io ne avevo quattordici. Ho risposto di no, che voglio gli orecchini come quelli di Giulia e Martina, però non con la pallina… col ciondolo! Hanno preso una specie di pistola ma finta però e poi me l’hanno messa vicino, vicino all’orecchio. Non ho sentito male, anche se ho un orecchio piccolino piccolino, e neanche lo sparo. Li cambio sempre… anche la mattina e il pomeriggio. Ce ne ho tantissimi. I più belli sono quelli con le due perline bianche che mi ha regalato la zia Francesca, erano in una scatolina piccolina nera e di velluto rosso. Perline bianche su desiderose orecchie, mani adolescenti appuntarono.


Vetro blu, verde, plastica nera, madrepora, ambra, oro rosso, argento in forma di: pendente, pallina, stellina, cerchio, triangolo

ogni giorno mani adulte su caute orecchie appuntano.

Perline bianche, per occasioni speciali.

Perline bianche su piccolissime orecchie di bimba mani adulte appunteranno.


PATRIZIA RAMINGHI LA BICICLETTA (C4)

Una bellissima giornata d’agosto, sono in vacanza, finalmente non lavoro. Basta col dolore umano, voglio leggerezza, ridere, respirare, divertirmi. Esco con lei che adoro, l’unica negli ultimi anni, a darmi gioia, calore, entusiasmo. Mi rigenera, spazza via ogni pensiero, cambia il mio umore, è un antidepressivo. E’ lei che amo e non la lascio per niente al mondo. E’ blu fiammante, monoscocca, leggera, veloce, la indosso come un cappotto, ci sto bene in tutte le posizioni, mi fa riposare, correre, godere. La sua voce è dentro me. Lei è ammiccante, complice, mi invita ad andare anche quando piove e fa freddo. Noi usciamo sempre, comunque. E’ un’irresistibile compagna di viaggio. E’ lei. E’ la mia bici. E’ la C4. Quanti acquazzoni abbiamo preso insieme, quante paure: il Romito in discesa sotto una pioggia scrosciante è un Canyon, quante tempeste di pioggia venendo giù dal Gabbro, un film dell’orrore, lo dico sempre, è da pazzi! Non ho voglia di correre, mi sono detta quella bellissima domenica d’agosto, non voglio stressarmi con la ruota, voglio guardare il parco naturale, la scogliera fino a Catiglioncello, godermi gli scorci di verde e le calette azzurre, respirare il mare, fino a sentirmelo addosso. Mentre penso tutto questo sento dietro me un brusio di voci e di catene: è lui, lo riconosco, è il gruppo. Mi supera, io mi metto al lato per facilitarne il passaggio. E’ bello, colorato, lunghissimo, stamani è anche più bello, sembra non finire mai, ma quanti siamo? Scorre veloce come scivolando, è un sfilata di emozioni senza fine, una lunga lingua, è una sensazione eccitante, irresistibile. Li guardo tutti uno ad uno, ecco mi sono accanto: dai andiamo… agganciati, cosa aspetti? Impossibile sottrarsi. Sono al Sonnino, aumento la pressione, salgo sui pedali e mi butto giù nel discesone di Quercianella a “tutta”. L’ho raggiunto, c’è l’ho fatta, “sono felice”, sono alla ruota,


alla sua coda. Davanti a me Roberto, vive in Germania, ma l’estate torna a Livorno con noi, mi affido sempre volentieri a lui, è rapido, ma sicuro. Dopo l’ultima curva, la cosa è improvvisa, Roberto comincia a sbandare, non controlla più la sua bici, non capisco perché, ma sto già pensando che, allargandomi sull’altra corsia, lo posso evitare. Sembra un tempo lunghissimo, ma è un attimo, la velocità è incalcolabile… Roberto cade davanti a me… mentre io, col pensiero mi sento già oltre, col corpo sincronicamente impatto su di lui, a velocità sostenuta e comincio a volare. L’urto è violentissimo, i pedali si sganciano, la bici vola in carbonio, in direzione opposta. Nella mia testa una miscela di colori intensi, una grande macchia di colori lampeggia nei miei occhi: rossi, gialli, viola, sono i colori del gruppo che si fondono come su una tavolozza: insieme al verde e al blu del mare. Io volo contro cieli e sfondi incandescenti, in un universo immaginario, in uno spazio surreale, simbolico, onirico, sopra di loro, come in una rappresentazione di Chagall. Di un tratto, il sogno s’infrange, io atterro sull’asfalto, col culo per terra: confusa tra il sogno e la realtà. Le mie gambe si muovono ancora, la spalla sinistra duole, mi sento le ossa rotte. Il dolore è profondo, insistente. Roberto mi viene incontro, dall’alto discende zoppicando, abraso e un po’ malconcio, con la mia bici in spalla. La C4, la guardo, è integra e ancora bella, fedele anche agli urti. Lui si avvicina e piegandosi su di me con tono affettuoso mi dice: “ mi hai dato un bel colpo eh… ma quanto pesi?” Poi allontanandosi, continua a parlare a voce alta, rivolgendosi anche agli altri: “Io sto bene, ma la mia bici è distrutta… maledetta ghiaia!” Molti intorno mi incoraggiano: “come stai?” Non respiro… Qualcuno mi passa la sua borraccia: “ bevi che ti passa”! Sono spaventa, piango e mi dico: non respiro, non ce la faccio: non respiro più! A sirena spiegata: arriva l’ambulanza, due giovani ragazzi mi raccolgono. Il medico a bordo sembra aver già capito: “coste rotte, subito la mascherina dell’ossigeno e narcotico endovena”. Un'ondata di rilassamento piacevole e di sollievo dall'ansia: il dolore si allenta, mi sento protetta, tenuta da braccia potenti, mi addormento. Sogno i miei meravigliosi percorsi, Casale Marittimo, sono nell’alto del colle: Casale Vecchio, il Castello e le sue mura, poi discendo verso Bolgheri, l’esalazioni profumate del bosco mi raggiungono, aria, vento sul mio viso, mentre respiro ossigeno dalla mascherina, mi assalgono intensi profumi di resina. Ora mi


arrampico sopra Castellina Marittima, avvolta dai gelsomini e dalle tamerici, rivedo luoghi, climi e atmosfere conosciute, ad un tratto di soprassalto il risveglio, sono al Pronto Soccorso. Ora è la realtà che sembra un sogno: reparto Medicina d’Urgenza, non c’è tempo da perdere: “ è un pneumotorace”!

E’ blu fiammante, leggera e veloce. Ci sto bene sopra in tutte le posizioni. Spazza via ogni pensiero, mi fa riposare, correre, ridere, respirare. Con il vento sul viso, profumi di resina, gelsomini e tamerici, mi infonde gioia, calore, entusiasmo. E’ bella, gioiosa, ammiccante, complice, compagna di viaggio. La sua voce è dentro me, mi rigenera, cambia il mio umore. E’ lei che amo E’ la mia bici. E’ la C4.


ROBERTA GATTABRUSI: segretaria sognatrice perfettina

LA FORCINA (una pettinatura importante)

Un pomeriggio tranquillo in ufficio, il telefono aveva squillato poco, così Robi aveva potuto portare avanti il suo lavoro di segretaria senza interruzioni quando ad un certo punto suonò il suo cellulare. Accolse con piacere quel suono, sicuramente… qualcuno dei suoi. Guardò il display: Max! Il suo adorato fratellino! Da quando lui esercitava la professione di acconciatore nel cinema, lo vedeva poco, era sempre in giro per il mondo ma si sentivano spesso. "Ciao! Come stai?" Max rispose: "Senti ti rubo solo due minuti lo so che stai lavorando, ti andrebbe di accompagnarmi alla premiazione del David di Donatello? E’ a Roma, venerdì 7 maggio" (Max era candidato per la categoria acconciatori con il film di Virzì). Robi, senza alcuna esitazione, senza pensare ai suoi impegni familiari, senza pensare agli impegni di lavoro rispose: “Sì! Certo che posso! Grazie!” Incominciò ad organizzarsi mentalmente per quell’evento. Si sentiva un po’ come Cenerentola, quando all’ultimo momento viene invitata al ballo e subito va in soffitta a rovistare dentro il baule per cercare qualcosa di carino da indossare. Robi, appena arrivata a casa, aprì il suo armadio e dopo aver cercato un po’ trovò un vestito nero di velo, rifinito di velluto con i laccini. Si, era carino, elegante, magari avrebbe potuto metterci un coprispalle nero. Le scarpe: sandali neri con tacco a spillo. La borsetta, in pelle nera, piccola, la misura giusta per tenerci il portafoglio, gli occhiali, un pacchetto di fazzoletti di carta (per asciugare le lacrime in caso di una vittoria di Max). Orecchini con brillantino in oro bianco come la catenina. E la pettinatura? A quella ci avrebbe pensato Max!


Finalmente arrivò il giorno della partenza. Nel pomeriggio Robi prese il treno che l’avrebbe portata a Roma. All’uscita della stazione trovò l’autista che l’aspettava, la fece salire in macchina e l’accompagnò in via del Corso all’Hotel Plaza. Hotel bellissimo! Maestoso con un arredamento in stile, grandi tappeti ovunque; alla reception la accolse un signore con gli occhiali che con estrema gentilezza le presentò il biglietto di invito per la cerimonia del David e la chiave della camera 327, che avrebbe diviso con Max. Più tardi Max la raggiunse. Si abbracciarono, risero, Robi era anche un po' commossa: erano cinque mesi che non si vedevano. “Non puoi immaginare quanto sono felice di essere qui… e con te”, disse Max. Il giorno dopo iniziarono i preparativi per la serata di gala. Robi indossò il vestito nero, coprispalle e sandalino nero tacco a spillo. Poi si sedette davanti allo specchio aspettando che Max la pettinasse. Movimento di spazzola, divisione dei capelli in varie ciocche appuntate prima con le mollette poi con le forcine raccogliendo tutti i capelli in un morbido “chignon”; un tocco di piastra per lisciare alcune ciocche che scendono intorno al viso; una spruzzatina di lacca ed ecco fatto! Robi si guardò allo specchio muovendo la testa per osservare la pettinatura in ogni sua angolazione: una pettinatura perfetta che le stava molto bene. Le ricordava l’attrice Audrey Hepburn. Alle 17,30 arrivò l’auto che accompagnò Robi e Max all’auditorium: davanti all’entrata lunghi tappeti rossi. Scesero dall’auto… Lui smoking nero, lei tubino nero; luci dei riflettori; vicino a loro attori, attrici, registi; flash dei fotografi, grida delle persone che acclamano e salutano; riprese televisive. Robi si sente una diva, si atteggia fino all’ingresso del teatro. Le viene indicato il suo posto riservato, vicino a Max. I fazzoletti di carta le servono, anche se Max non ha vinto. L’emozione è comunque incontenibile.

Il giorno dopo Robi appena sveglia si guarda allo specchio e la bellissima pettinatura è ormai solo un ricordo.


Alle 14,00 è già sul treno diretto a Livorno. Si siede vicino al finestrino e durante il viaggio si addormenta e sogna… sogna la serata appena trascorsa, Robi protagonista di una serata di gala… quando ad un certo punto si sveglia e dal finestrino legge un cartello: Livorno Centrale. E’ arrivata, ma la serata… solo un sogno? Robi improvvisamente avverte un fastidio nella manica della maglia che indossa: che cosa c’è che le buca… infila una mano nella manica ed estrae una forcina per capelli! Ma guarda, una forcina che Max le aveva messo per l’acconciatura. Allora non è un sogno, e la forcina ne è la prova. Robi ripose nella borsa la forcina, sapeva che non se ne sarebbe mai più separata: era il ricordo di una pettinatura importante.


SABINE PASCARELLI: sento ergo sum

LA PIETRA

La mia pietra è femmina, e non per l’articolo. Sarà per come sta lì, sul mobile della cucina dove faccio tutto, bella, larga, invisibile ma presente. Non ha un solo nome, ne ha tanti: nomi del tipo “colei che corre veloce con il vento”. Ovviamente non fa al caso suo. A volte si definisce come “colei che colpisce l’apriscatole che così entra nella scatoletta”. Questo nome spiega bene la sua funzione primaria, un nome utilitario. Quando, con gli anni, il nostro rapporto si è approfondito, le ho dato altri nomi. “Colei che conosce tutte le mie ricette”, oppure “colei che non fa commenti stupidi”. L’ho conosciuta meglio proprio attraverso questa storia dei nomi. ”La mia amica pietra”, non suona triste e banale rispetto a “colei che ama il sole e le stelle”? Più volte lo pronunciavo, più mi piaceva questo bellissimo nome. L’avrei voluto dare ad una figlia. Vedevo la pietra nel buio della cucina e ad un tratto mi sentii in colpa. Così l’ho presa tra le mie mani e l’ho portata sul terrazzo. Ho scelto quel bel vaso con i nasturzi gialli ed arancioni e l’ho poggiata sul terriccio. È stata lì in vacanza per più di una settimana; sole, ma anche ombra, di notte le stelle ed il compiersi della luna piena proprio in quei giorni, il canto degli usignoli. Ogni tanto una lucciola. Dopo qualche tempo cominciò a mancarmi. Me la sono ripresa, l’ho lavata con un poco di sapone per i piatti, e le ho trovato un posto nuovo, ancora più vicino alle mie mani quando taglio le cipolle, le carote, quando sbuccio le patate, quando preparo panini. “Colei che adora il profumo delle verdure ”, il suo prossimo nome.

Spesso la tocco, la accarezzo. È liscia, un po’ bruttina, piena di mistero. Sono sicura che ha un’anima e che comunica con me. È lei che mi fa sapere i suoi nomi, non sono io che gliene do.


Quando sono arrabbiata e mi viene da prenderla per lapidare qualcuno, è lei che mi calma. “Colei che ha il cuore pacifico”.

Dispensatrice di sogni, insegnami il tuo canto,

con il tempo

Mi è cara la pietra nella mia cucina, grigia scura con sottili linee chiare, liscia, grande come il palmo della mia mano, di irregolare bellezza.

Ho bisogno di lei ogni qualvolta apro una scatoletta: la peso nella mano, la giro per trovare il punto giusto, il mio calore penetra la sua freddezza e poi,


la mia intenzione unita alla sua forza, colpiamo l’apriscatole che senza più resistenza entra nel coperchio argenteo. Niente più, niente meno.

Abbiamo colpito anche il legno duro dei rami di lillà - per il loro bene, perché potessero con facilità assorbire l’acqua del vaso. E, con delicatezza, il gambo delle rose, qualche volta…

Poco le importano le nostre umane vicende. Emozioni rimbalzano come onde dalla sua superficie tutta d’un pezzo. Le si confà il lento scorrere di pensieri come acqua

o come nuvole bianche nel loro informale susseguirsi senza lasciar traccia nei pensieri. Leggerezza, stranamente.


Mi chiedo se una pietra desideri la roccia madre

nel momento di colpire un essere umano lapidato a morte. Se muore anche lei, per rinascere nei secoli a venire sotto l’amore costante di sole, pioggia, vento, divenendo costanza sua.

Vi assicuro che ho visto come il suo solitario paesaggio mutò con il mio sguardo, in quel breve eterno istante quando la mia vibrazione d’amore compenetrò la sua.


SAMANTA MELA: bella ricca intelligente

IL PRINCIPE (voglia d' azzurro)

Lui: Un destino segnato. Una vita di caccia alla volpe, bianchi destrieri, mostrine d’oro. Sa che la incontrerà, la bacerà, e il tutto sarà compiuto.

Lei: Una vita monastica in trepida attesa che si compia ciò che deve essere.

I fatti: S’incontrano e vivono per sempre felici e contenti.

Analisi attualizzata dei personaggi

Lui: “Che palle un destino segnato! “ “ La caccia alla volpe ? See… oggi si pratica caccia di ben altro genere… uhm… come dire… la preda la consumi in una botta e via” “Una mostrina d’oro? Si una per ogni donna su cui hai fatto ginnastica !” “Il mio destriero è una machissima harley, nera, con una marmitta rumorosamente cromata !”


“ l’armatura? Mah l’unica arma che mi sono comprato è una bellissima cintura D&G d’effetto, utilizzabile anche in caso di rissa in discoteca… una cintura che lascia il segno. Sono un tipo alla moda, viaggio con un giubbino Belstaff e un paio di scarpe Hogan ... è vero, sì sono un po’ scomode ma chi se ne frega usano a bestia!”

Lei: “oimmei Signore Dio ti prego, ti supplico, fammi incontrare un bel fio, griffato come mi garba a me, possibilmente ricco, che si sappia vestire, intelligente almeno quanto me, con l’ipod, la moto, insomma con quelle caratteristiche che ti distinguono dal popolino…” “Menomale… stasera tornerò a ballare, mi metto … uhm… dunque, minigonna girotopa, tacco 12… uhm… non è che con il tacco 12 resto incastrata nelle listarelle del parquet, quelle che ci sono sul cubo più alto?! … uhm… no, ecco… sono perfette”

Analisi attualizzata dei fatti

Lui: Harley rombante, musica roboante, cocktail spiombante, sguardo bombardante.

Lei: tacco alto, gonna corta,


musica alta, attesa breve.

Aggancio.

Dieci anni dopo

Lui: sempre rigorosamente griffato

Lei: maniaca dello shopping

Lunedì

Lavoro

Lunedì

Lavoro- piscina

Martedì

Lavoro- gabbionata

Martedì

Lavoro

Mercoledì Lavoro

Mercoledì Lavoro- piscina

Giovedì

Lavoro - gabbionata

Giovedì

Lavoro

Venerdì

Lavoro- cena con amici

Venerdì

Lavoro- piscina

Sabato pomeriggio: ipercoop, “però se non piove si va in città.” Sabato sera: pizza e multisala “deh ci sono i pop corn freschi e poi è troppo più spaziale” Domenica mattina: pranzo dai suoceri un fine settimana sì e uno no. Domenica pomeriggio: primo fine settimana Livorno, secondo Pisa, terzo Lucca, quarto Firenze all’occorrenza Barberino Ikea.

Come non essere estremamente felici di questa intensa relazione pregna di amore, armonia e poesia? … eh, peccato però che le cose belle durano poco.


Dieci anni dopo infatti i due iniziano a non sopportare più questo altissimo standard di vita, sentono che al loro rapporto manca qualcosa. Essì mica si vive di pane amore shopping e poesia, serve qualcosa che tenga vivo il rapporto. Iniziano i primi screzi. I rapporti sessuali si fanno sempre meno frequenti, uno l’anno, il 31 dicembre, perché è risaputo che chi non tromba l’ultimo dell’anno, non tromba tutto l’anno. Le offese iniziano a fioccare anche in pubblico. Si malmenano, anche se a detta di testimoni lui “n’ha dato un ciaffone ma lei l’ha provocato, quella zoccola”. “Dopo l’ospedale, le denunce, le liti furibonde delle famiglie, lui e lei si lasciano.”

Lui: trova un'altra, si diceva che ce l’avesse già prima, eh ! Comunque è un uomo e come tale abituato a vivere con una donna che lo gestisce e lo organizza attenta a convincerlo di aver deciso. Per lui non resta che cominciare un altro girone infernale.

Lei: tenta di trovare se stessa ma non ha ancora capito cosa sta cercando “vorrei che i principi fossero in vendita al supermarket con le controindicazioni sulla manica, vicino al prezzo, così sì che riuscirei ad essere disperatamente felice”. Ma la realtà è dura, soffre di solitudine e comincia a guardarsi intorno cercando di impegnare il tempo in modo utile: inizia una corsa frenetica verso la sua luce interiore. Prova nell’ordine: danze collettive, tarocchi, meditazione trascendentale, new age, seminari di ufologia, massaggi ayurvedici, astrologia, musicoterapia, aromaterapia, irrigazione del colon, un fine settimana in convento, l’altro al workshop sulla reincarnazione, l’altro ancora al seminario sul sesso tantrico, energie universali, corsi di yoga, thai chi, pittura, teatro, scrittura creativa e chi più ne ha più ne metta. Nonostante tutto è sempre attenta a tenere chiuso il suo cuore a doppia mandata. Riuscendo in quello che fa acquista fiducia e comprende la semplicità di essere individuo. In un luogo sicuro, intimo, morbido, caldo, riesce a togliersi la sua maschera e a perdonarsi per aver vissuto nel mito dell’illusione. Sorride e prendendosi un po’ in giro si scrive una:


Storiella La mamma, la nonna, le zie ed anche le amiche mi avevano raccontato che un giorno sarebbe arrivato una principe vestito d’azzurro, biondo, occhi chiari, sarebbe venuto con un bianco destriero, mi avrebbe presa tra le braccia e portata in un castello, dove saremmo stati per sempre felici e contenti. Ora, le cose non sono andate proprio come me le ero immaginate e, come noi donne sappiamo fare benissimo, ho iniziato a trovare giustificazioni, nonostante, tecnicamente parlando, le caratteristiche principesche fossero ben definite nelle descrizioni. Ho giustificato nell’ordine: un pelato, uno con gli occhi scuri, uno senza destriero, uno che non ce la faceva ad alzarmi, uno che non aveva un castello e perfino uno che non era vestito d’azzurro.

Adesso che sono cresciuta, cambiata – diciamo “maturata”, per non dire invec… chiata e infatti non lo dico, dico invec…e che sono soddisfatta e mi accorgo che anche l’azzurro principesco è cambiato, è maturato, è un azzurro diverso: assomiglia all’azzurro cielo sereno, ma differisce per alcune impercettibili gradazioni di colore date dalle nuvole trasparenti color alba o tramonto, dalle nuvole benefiche color pioggia. E’ un azzurro che forse non esiste ma che sento il più vicino al mio essere… rosa. Un bellissimo azzurro “concediti fiducia”.


SANDRA MAZZINGHI: scrittrice mamma innamorata

IL PORTAFOGLI (per i dischi e per il pinguino)

Non so nemmeno come ci sia finito tra le mie cose, so solo che ce l’ho ancora. Odora di vecchio, del suo triste stantio ed è così stinto dal suo nero originale, la piega centrale distorta dagli anni. Ricordo che quando mi arrivò in eredità c’erano solo tre monete: una da cinque, una da dieci e una da cento lire. Spesi tutto per un piccolo album da disegno a quadretti: adoravo inventare le cornicette. Quelle tre monete le consideravo una sorta di strano patrimonio che lui mi lasciava insieme ai suoi dischi in vinile, musica nascosta in cerchi neri concentrici che io gli chiedevo e che lui mi comprava, subito. Infilavo quel cerchio magico nel giradischi rosso: e io danzavo per lui, solo per lui, al centro della stanza, con passetti da bambina, un po' come la Dorothy di Oz nelle sue dolci traversie. «Ancora nonno, rimettilo ancora quel disco!» «E basta, ora cambiamo disco, mettiamo... Il cuore è uno zingaro!» «Ma quello non lo posso ballare, dài: non è così veloce!» E allora il nonno rimetteva ancora quel disco che piaceva a me. Poi prendeva il portafogli, forse per controllare se i soldi gli bastassero, prima di dirmi: «Andiamo a comprare l’ultimo di quel capellone, quello che corre a perdifiato sulla spiaggia, quello che si chiama... Claudio, ma non Villa, insomma, avrai capito!» «Baglioni nonno, Baglioni, la so a memoria, sì, almeno la canto tutta! Andiamo!» E così allungavo la manina verso la sua di mago batterista. Quando la chiudeva mi abbandonavo in quella piccola prigione e abbassavo lo sguardo, per camminare ancora e perdermi da sola con lui nei piccoli baci dei nostri passi.


E ancora me lo ricordo al bar, con il portafogli in mano. Quando lo apriva, con le sue dita lunghe e affusolate, mi diceva: “Prenditi un pinguino, a me un granulato”. Ero così piccolina, non ci arrivavo nemmeno al banco del bar, ma ero davvero io, con tutto il calore della sua fiducia, con i suoi soldini caldi come biscottini in una mano. Soldi di foglio nel suo portafogli non ce n’erano mai stati molti, spiccioli sì. Eppure era un gran signore, dentro e fuori, e con quel portafogli di pelle nero - all' epoca nero originale- e quando poi lo toccava, e lo apriva come in un soffio e diventava l'incanto di un piccolo libro di favole e di fate turchine indimenticabili, per scorgere quel poco che mi bastava per rendermi sperduta e felice: un disco, un pinguino. Era quello tutto il mio mondo: con lui. E la sua voce che mi dice: “ A Livorno esisti solo te e i Quattro Mori” è ancora nella mia testa, incastonata, come la più preziosa delle pietre. A volte vedo ancora i gesti delle sue mani, che sfogliano il portafogli nei miei occhi innamorati, mani bianche e lunghe, in quel nero notturno non ancora stinto né stantio, quando lo apriva e quando mi diceva... E io non so come ci sia finito tra le mie cose, e trentasei anni fa c’erano solo centoquindici lire: per me un tesoro immenso. E c’era tutto l’amore, tutto il bene che mi voleva lui. Adesso, che strano, dopo averlo pensato mi odora già di altro: di fresco, di viali all'aperto e di lampadine in fila con l'orchestra, e vedo mio nonno sullo sgabello davanti alla sua batteria, appena un dolce tremore del suo lontano swing... ma di spegnere la luce e aspettare che finisca il disco.

È nero era nero perché adesso e' stinto stantio portafogli di lui. Lui era mio nonno


occhi celesti mani affusolate intrigato dalla musica. Giocava con me e per me suonava tamburi e percussioni, comprava per me quarantacinque giri e io mi libravo per lui. Mi libravo e vibravo al suono delle sue bacchette magiche al suono delle spazzole suono pi첫 dolce e trascinante. Era mio alleato, ero la sua preferita era spesso in miseria con allegria E spiccioli nel portafogli nero per un gelato, per un disco, non mancavano. Adesso sfioro il portafogli annuso tanfo di vecchio di stantio di chiuso.

Ma il mio cuore bussa battiti scanditi a tempo di un lontano swing.


STEFANIA FILIPPI: insegnante leale girovaga

IL CENTRINO

Un filo lega le donne di tutti i tempi. Il filo che annodano o fermano su una stoffa, il filo che parla. Praga è magica, misteriosa, sta per spiccare il volo lasciandosi alle spalle tutto ciò che di bello e buono, fino ad oggi, ha conservato gelosamente. Davanti a me, maestoso, si presenta il castello; sotto il cielo invernale i giardini sottostanti si inchinano al suo volere ; un’auto d’altri tempi aspetta e seduta su una panchina una signora, curva su se stessa, lavora finemente all’uncinetto. Dalle sue mani nascono cristalli di neve. I nostri sguardi si incontrano, mi avvicino e, in un improbabile inglese, parliamo. Orgogliosa la signora mi presenta la sua merce. Scelgo un centrino, lo pago e lei, in segno di gratitudine, mi regala un’ arancia: ne prende una anche lei dal suo sacchetto ed insieme cominciamo a mangiare e a parlare. Parliamo come amiche, quando improvvisamente mi mostra una foto:la porta sempre con sé , le ricorda i momenti passati con lui, mi chiede se lo conosco. Parliamo in italiano, più o meno mi racconta la sua fulminea Italia, le racconto la mia Italia. Passa qualcuno, lei si irrigidisce, mi saluta, si allontana. Io entro nel castello… ho in mano il centrino. Ancora oggi credo che quella signora fosse Praga: malinconica del passato, proiettata verso il futuro, imprigionata al presente.

Un filo, una donna, le donne. Praga:


magica, misteriosa, spicca il volo senza più memoria. Il castello, i giardini, la panchina, una donna, l’ uncinetto, il filo. (cielo d’ inverno) dalle sue mani nascono fiocchi di neve: centrini. Un’arancia,foto,ricordi, inglese,italiano,parole. Due sguardi di donne, un saluto.

Il filo – il passato il cristallo di neve – il futuro il centrino – il presente.

Un filo lega le donne di tutti i tempi.


SUSANNA PEROSSINI: artista passionale irrequieta

IL GIRADISCHI La musica mi prese quando ero piccina. Mi annoiava tutto quello che mi circondava e le cose che volevo, non erano mai mie. Ma in sala c’era qualcosa di intoccabile che riuscii a fare mio ben presto: il giradischi. In casa, avevamo pochi dischi, ma erano bellissimi: FRANK SINATRA, PETULA CLARK, GIMMI FONTANA, MINA. Io sgattaiolavo con i miei 4 anni in sala, senza nessun permesso e accendevo il giradischi, che imparai ad usare subito e questo mi fece conquistare la fiducia dai miei genitori che mi permisero di usarlo. Con la musica giravo, giravo e giravo e quello stordimento a mo’ di danza SUFI mi faceva proiettare con la musica nei luoghi di provenienza di quelle melodie. Senza conoscere i luoghi, immaginavo la mia AMERICA con gli attori e i vestiti e quel clima da commedia che si percepiva dai film, che tanto mi piaceva. Poi il mio BRASILE esotico e caciarone colorato e caldo, pieno di occhi neri e sorrisi bianchissimi. Era per me come fare una passeggiata nei miei paradisi preferiti. Queste immagini erano fatte di musica e di colori e il benessere mi giungeva da molte parti ed il mio corpo si abbandonava sempre più, senza impedimenti. Sola, nascosta dagli sguardi più pericolosi che già mi circondavano con la loro indifferenza, ad un certo punto, ballai e poi cantai. Finalmente un gioco interessante che non mi veniva negato, come gli amatissimi giochi dei miei fratelli, tanto belli, quanto intoccabili. Così feci richiesta dove sarei stata ascoltata e cioè da mia nonna, ed ebbi un mio giradischi e una mia piccola discoteca che, però, era a casa dei nonni, dove io chiedevo di andare spesso e dove il clima che si respirava, era morbido e accogliente ed era bello anche annoiarsi, perché comunque ero circondata dall'amore. Nel salottino ordinato della nonna, accanto al divano di buclee marrone, c'era il mio giradischi , il mio regno era lì. Ho cantato a squarciagola le canzoni di San Remo, con il pubblico delle amiche della nonna che sorseggiavano birra accaldate dall'estate, e sempre con quel giradischi, ho sognato l'adolescenza che si avvicinava, nei pomeriggi, quando i nonni facevano il pisolino.


In prima e seconda elementare ebbi la fortuna di avere una maestra che oltre ad essere dolcissima e adorarmi ci faceva fare Canzonissima in classe. Io ero la bambina più felice del mondo. Potevo portare il giradischi e la musica anche a scuola. Quell'estate poi al mare imperversava in tutti i Jukebox LUGLIO, una canzone di Riccardo Del Turco, molto estiva ed allegra e sulle sue note seppi che l'anno seguente avrei cambiato scuola. Quel periodo di due anni felici era sul finire e non dovevo dimenticarmi quanto si poteva essere felici a scuola, con i compagni e in una parte della famiglia.

Ancora oggi, almeno una volta l'anno, penso a quel periodo e ancora oggi mi ricordo l'importanza di tenere la felicità a portata di mano con i ricordi preziosi trattenuti dalla musica, per poterli tirare fuori quando serve fiducia. E da allora i lettori musicali si sono susseguiti nella mia vita, con la loro evoluzione tecnologica e continui aggiornamenti,come un diario di bordo, preciso nello scandisce l ritmo, la melodia e il languore o l’adrenalina del momento colorando la colonna sonora della mia vita, che scorre. Sempre presenti nei momenti di difficoltà, come di gioia, incoraggiandomi con le musiche simbolo ognuna di una ricchezza già acquisita, da poter riportare alla pelle con un clic. Il giradischi portò la musica che scardina la mente. L'ho selezionata nel tempo e dalla vita. Così che rompesse i miei ponti ed invadesse i territori estremi dei miei desideri inespressi e irrompesse violenta sulle mie ferite. Con me inerme a tanta foga così ben congegnata. Da sterminare le mie ultime difese e rendermi libera di soffrire la mia terra lesa senza più scuse che mascherano i miei dolori. Finalmente lavata dalle mie giuste lacrime un po' stanca mi rialzo e spengo l'Ipod.


Scrittrici invitate


AGLAIA VIVIANI

Fiorentina,ha pubblicato racconti, saggi e articoli sulle connessioni fra donne, storia e letteratura, e un volume di poesie "Corpo a Corpo", Morgana, 2008. Tiene corsi sulla scrittura dell'io per Griselda Scrittura, ed è insegnante di scuola superiore.

SCUOLA, LA SACRA RELIQUIA

Sarà solo quella dove insegno, o tutte le scuole ormai somigliano a conventi...? Questo dubbio mi ha colto un pomeriggio, ben oltre l'orario di servizio, sulle scale in pietra del vetusto edificio dove insegno da oltre un decennio: una fila ordinata di donne, abito sobrio, occhi bassi e capelli raccolti, marciava silenziosa dietro al preside, a mo' di suorine grigie col priore. Poteva trattarsi di una riunione disciplinare, di qualche importante commissione, o perfino del famigerato Gruppo Qualità. Perché, se già un'alta percentuale del corpo docente è notoriamente al femminile, sono quasi solo donne le persone che ogni giorno, con il loro impegno, mandano avanti la scuola e fanno sì che funzioni a dispetto dei sabotaggi dall'alto e dal basso: sobbarcandosi il coordinamento di classe e quello di dipartimento, i corsi di recupero, i progetti più onerosi e gli incarichi di collaborazione, su su fino al Vicepreside, che manco a dirlo spesso è una lei e assume il titolo di Vicaria (Badessa sarebbe più appropriato, ma difficile da declinare al maschile per quei pochi vicepresidi che ancora resistono). Gli uomini sono troppo furbi per farsi incastrare da lavoro extra scarsamente retribuito, di dubbia soddisfazione e talvolta legato a serie responsabilità. Noi, invece, sembriamo aver fatto voto di obbedienza e povertà come le monache; infatti non ci ribelliamo di fronte a nessuna decurtazione di stipendio, tempo, libertà. Sorvolo sul voto di castità, perché quattro ore di riunione pomeridiana funzionano meglio del bromuro: dopo una giornata passata a scuola, aneli al letto per schiantarti nell'oblio. Ma noi missionarie della didattica non troviamo pace neanche nel sonno: qualche notte fa mi sono svegliata in un bagno di sudore, perché stavo sognando che


ci avevano spediti in viaggio d'istruzione coatto a L'Aquila (costava poco, e il risparmio è l'imperativo categorico in ogni decisione concernente l'istruzione); una mia collega mi ha invece raccontato un incubo ricorrente, vagamente dickensiano, in cui siamo canute e decrepite, ma sempre in cattedra perché continuano ad alzare l'età pensionabile. E allora, chi ce lo fa fare...? Forse il fatto che siamo dannatamente in gamba, iperqualificate benché sottopagate, e ci rode star lì passive spettatrici della Scuola che affonda...? Per noi professoresse, per noi maestre, la scuola è importante, maledizione. E' questo che ci frega. Per cinque anni tiriamo su classi di ragazzini; a volte mangiamo o viaggiamo con loro; spesso ci passiamo più tempo insieme che con i nostri figli; insegniamo e impariamo. E poi li lasciamo andare, convinti che, se loro sono il futuro, nel futuro c'è speranza malgrado tutto. Le mie ragazze (perché anche la scolaresca è quasi tutta al femminile) “da grandi” non vogliono fare le veline, ma il medico, l'avvocato, il farmacista; qualcuna perfino l'insegnante. Per molte di loro, incredibile, la cultura è ancora un valore. E allora far sì che la scuola funzioni diventa un atto di resistenza alla banalità imperante e massificata, un atto di resistenza contro chi vuole le donne belle, stupide e disponibili. Forse è davvero per questo che siamo proprio noi, le ex allieve di Evelina De Magistris, a non mollare la nostra Sacra Reliquia, la Scuola.


GABRIELLA GIANFELICI

Gabriella è una poeta, nata a Roma, dove ancora vive, ha pubblicato le raccolte di versi "Scrivi, ti scrivo", "Come le radici dell' albero", "La notte innocente", "L' angolo della vita", "Essere lo spazio vuoto fra due righe" con la casa Editrice Pascal. Sue opere sono presenti in numerose riviste, come "Prospektiva" e "Il chiasso largo" e antologie come "Poesia d' amore" pubblicata negli Oscar Mondadori. Blu e verde. A forma di mela. Piccolo e rotondo. Agganciato ad una spilla da balia, piccola anch’essa. Bottoncino regalato anni fa, molti anni fa… da una bella bimbetta bionda. Pegno d’amore, pegno d’affetto. E’ sempre con me, un talismano, un ricordo profondo in cui trovare forza, un filo che mai si spezza e che anzi porta spruzzi di vita, rammendi di ore trascorse e vissute. Ti voglio bene, tanto mi disse, e il mio cuore si dilatò per l’amore che provavo. In questa buffa meletta trovo poesia, tuffi nel mare, desideri. Profumo di tenerezza, ricordi di lotta e di vita che si affastellano e creano girotondi di pensieri. Questo è l’oggetto che non dimentico mai, lì vi ho racchiusi attimi e attimi, ideali e riflessioni. Spesso il minuscolo oggetto riesce a nascondersi al mio sguardo, il borsellino lo protegge e lo coccola, quando riappare sotto le mie dita e ai miei occhi ne sono felice. Piccolo e rotondo. A forma di mela. Blu e verde.


Ha anche una minuscola foglia: ora è vicino al mio foglio di lavoro. Ne sono felice.


MARIA PIA MOSCHINI

Nasce nel 1939 a Firenze, dove vive. Scrittrice, si dedica da molto tempo al Teatro di Parola Poetica, ai racconti "noir", alle "performance" interattive. Ha realizzato svariati Piccoli Libri d' Artista con il marchio " Intravisioni" da lei creato, ed ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Fra queste ricordiamo: "Bataclan-piccoli teatri di ambientazione", Ed. Gazebo,1996, Firenze. "In versile perenni-poesie", Ed. dell' Erba, 2000, Firenze." La pissera" Saggio ironico al femminile con Rosaria Lo Russo e Liliana Ugolini, Ed. Ripostes, 2003. "Abitare il fantasma" Racconti "noir", Ed. Gazebo, 2005, Firenze. "Il salottino degli ospiti invisibili" , Ed. Gazebo, 2010, Firenze. Collabora con Morgana Edizioni di Alessandra Borsetti Venier e con "Griselda scrittura" a cura di Sandra Landi. E' presente in molte antologie e riviste letterarie. E' redattrice della rivista di Letteratura e Conoscenza "L' area di Broca"

CORRENDO A DISCREZIONE DEL VENTO

Tentò di piantare il chiodo nel centro della parete, il quadro aspettava appoggiato a una vecchia sedia: una mareggiata irosa, con in lontananza un brigantino inglese, un' agile imbarcazione che era solita solcare il mare proprio di fronte al promontorio di Montenero, noto per i naufragi e per le grazie ricevute. Il dipinto infatti era un ex-voto, che riportava in basso una dicitura scritta con grafia incerta, in cui si spiegava che il capitano e l' equipaggio si erano salvati grazie alla Vergine Maria, correndo a discrezione del vento. Era stata questa la frase che l' aveva spinta ad acquistare l' opera, in sé beneaugurante, ma anche lievemente minacciosa. Il chiodo incontrò però una strana resistenza metallica, un ostacolo, simile a una scatola murata. Quella casa era stata anticamente un convento, lei aveva acquistato


due celle contigue con grande sacrificio, ma ora aveva un rifugio, un tetto. Chiamò un vecchio muratore e cercò di far estrarre dalla parete quel contenitore. Non fu cosa facile: lo "scrigno" era stato assorbito dal muro come un dente nell' alveo. Finalmente la scatola fu a disposizione di Ida, detta Idina, per le sue proporzioni minuscole, gracili. Insieme all' uomo provò ad aprirla e quando il coperchio si sollevò, all' interno comparvero delle foto sbiadite, color seppia, un guanto, una reliquia. Suore giovani, vecchie, nel giardino, intorno a un pozzo. 1890, la data era stata tracciata dietro una figura bianca, aerea, una suorina giovane, leggera. Idina provò un brivido. Si riconobbe subito. Era lei, non c' era dubbio, lei. Anche il guanto, la reliquia, le erano familiari. Quale strano destino l' aveva ricondotta lì, in quelle celle, in quel luogo? Navigando nella procella, l' imbarcazione aveva sfidato le tempeste fino a quel porto, alla percezione che tutto torna: un' altra occasione di vita, un' altra storia. Quante volte si torna e perché? Forse per chiudere una parentesi, per sciogliere un voto, per chiedere perdono? Ida finalmente comprese, ricordò come in sogno la falsa vocazione, il supplizio della clausura, il disamore per le sorelle, la malattia quasi invocata, un' autodistruzione simile a un suicidio. Ora era lì, per chiedere perdono. Si recò a Montenero con il cuore in gola. L' immagine della Vergine spandeva il suo amore da sopra l' altare maggiore come un sole. Ida si sentì folgorata, pulita, nuova. Era tornata per chiedere perdono. Non si inganna Dio e tanto meno se stessi. Sempre. Questa è la regola.

Dal libro "Il salottino degli ospiti invisibili" Edizione Gazebo


Il laboratorio di Teatro


PAOLA PASQUI ha seguito il laboratorio di teatro. Paola, ci racconta, che "Nasce bambina obesa a Livorno il 25 luglio 1966, ma sarà solo nel 1996, che trova la sua vera strada come comica e cabarettista nella compagnia livornese Vertigo, vincendo il premio Gianni Lenci come migliore attrice per la commedia "Chissà chi ce l’ha"nella Rassegna viareggina Teatroestate. L’attività di Paola Pasqui prosegue in parallelo fra teatro e cabaret nel corso degli anni. Fra le idiosincrasie di Paola, tutte le forme artistiche che prevedono un eccessivo sforzo fisico, quali danza, mimo, etc (Paola è nota per pagare cifre astronomiche in palestra ogni anno, senza frequentare mai!) e i servizi fotografici (ancor oggi, dopo anni e anni di attività, si trova sprovvista di un book di foto artistiche che non risalga alla recita delle elementari!)."

Del laboratorio ci dice:

Il laboratorio teatrale nasce "avvantaggiato" dal lavoro precedentemente portato avanti nel laboratorio di scrittura. Siamo infatti partite dal lavoro fatto sulla reliquia nel laboratorio di scrittura per rielaborarlo in forma teatrale, o meglio, corale. Infatti l’intento non era, né avrebbe potuto essere,quello di creare un testo teatrale standard da far recitare alle partecipanti, bensì di mettere in scena un lavoro corale che partisse dalle suggestioni del laboratorio di scrittura per diventare altro. Ed ecco che da alcune poesie abbiamo preso parole, suoni, fonemi ripetuti, da racconti gioiosi sono nate narrazioni intense e viceversa, in un lavoro che può apparire di stravolgimento, ma che ha cercato di conservare intatte le emozioni. Molte delle partecipanti non avevano nessuna esperienza teatrale, ma, dopo un’iniziale titubanza, si sono tuffate nella mischia, portando energie nuove e vitali, e suggerendo idee di rara efficacia.


Un laboratorio faticosissimo, perché ha richiesto a tutte un impegno come attrici, registe, sceneggiatrici, scenografe; faticosissimo anche da un punto di vista fisico, perché abbiamo lavorato molto sul corpo, sui movimenti alternati alla parola, per creare una giusta energia. E tuttavia, nonostante l’impegno e la fatica costante richiesti, la performance teatrale è scaturita in modo molto fluido e naturale, in un bellissimo scambio e "prestito" , quando non addirittura "rapina" degli input nati dalle reliquie, personalissime, di ciascuna. È stato particolarmente interessante vedere come nessuna abbia opposto resistenza nel vedere la propria reliquia, poesia o racconto, utilizzati da altre persone. Fino a farmi pensare che, davvero, c’è un filo che lega tutte le donne del mondo…

SPETTACOLO FINALE:

CANZONCINA DI SIMONETTA, REGISTRATA DALLA BIMBA , CHE SARA’ SOLA IN SCENA A GIOCARE

ED IO SARÒ UNA DONNA COI NODI NEI CAPELLI MI GUARDERÒ ALLO SPECCHIO SARAN SEMPRE PIÙ BELLI

E BALLERÒ CENT' ANNI CON LE CALZETTE ROSSE POI CANTERÒ PIÙ FORTE STUDIANDO LE MIE MOSSE


E ME NE ANDRÒ NEL MONDO IN SELLA ALLA MIA BICI A VOLTE SOLITARIA OPPUR CON TANTI AMICI

IN GIRO PER LA TERRA CON LA MIA BORSA VUOTA LA VOGLIA DI CONOSCERE LA VITA CHE È UNA RUOTA

SE ARRIVERÀ UN BEL PRINCIPE CON UN SACCHETTO ROSA SARÒ UN' INNAMORATA FELICE E SOSPIROSA

MI METTERÒ UNA GONNA GLI ANELLI E GLI ORECCHINI SARÒ UNA MAMMA ALLEGRA SE AVREMO DEI BAMBINI

ED IO SARÒ UNA DONNA DAVANTI A UNA TAZZINA CUCINERÒ LA VITA


IN UNA PENTOLINA

A TUTTE LE MIE AMICHE RACCONTERÒ LE FOTO E RIDEREMO INSIEME O PIANGEREMO UN POCO.

SARÒ UNA DONNA LIBERA RICORDERÒ IL MIO NONNO...

MA ANDIAMO A CASA, MAMMA... PERCHÈ CI'HO TANTO SONNO...

ENTRANO TUTTE IN SCENA, FERME (EVENTUALMENTE ESCE LA BIMBA, SE PER LEI È STRESSANTE RIMANERE).

STEFANIA CON UN FILO PASSA PER LEGARE TUTTE INSIEME E DICE : C’E’ UN FILO CHE LEGA TUTTE LE DONNE DEL MONDO LE LIBERA E’ UN FILO CHE SLEGA TUTTE LE DONNE DEL MONDO

LE ATTRICI COMINCIANO A CAMMINARE IN LUNGO E IN LARGO. SI FERMANO ESCE FUORI GRAZIA E DECLAMA GIOIOSA:


IO FUI LA VELINA, LA DESIDERATA, LA FOTOGRAFATA, FUI LA BELLEZZA CHE NON EBBE BISOGNO CHE DI SE’, FUI IL CORPO (IMPROVVISAMENTE S’INTRISTISCE) FUI LA PIU’ TRADITA RIENTRA NEL GRUPPO.

RIPRENDONO A CAMMINARE. SI FERMANO.

ESCE FUORI ALICE E PRENDE LA BORSA ALICE : (RIPETE) ANNINA, COSA VUOI METTERE DENTRO LA BORSA? TUTTE RIPETONO 3 VOLTE: ANNINA, COSA VUOI METTERE DENTRO LA BORSA? ANNINA, COSA VUOI METTERE DENTRO LA BORSA? ANNINA, COSA VUOI METTERE DENTRO LA BORSA? ALICE: (PARLA OPPURE LEGGE) MAMMA MI FACEVA QUESTA DOMANDA OGNI VOLTA CHE DOVEVO PASSARE UN WEEKEND INSIEME A PAPÀ. NON VOLEVA CHE MI MANCASSE NIENTE: DAL MIO PELUCHE PREFERITO A DICIOTTO PAIA DI MUTANDINE DI RICAMBIO. MA IO VOLEVO METTERCI I MIEI ORECCHINI! RIENTRA NEL GRUPPO. TUTTE RIPRENDONO A CAMMINARE, SALTELLANDO, IN MODO INFANTILE. SI FERMANO. ESCE TIZIANA E PRENDE GLI ORECCHINI

TIZIANA: (A BRACCIO -RICORDA COME LE PIACEVANO GLI ORECCHINI DI QUELLE DUE BAMBINE) MONICA E SANDRA DISPETTOSE GIOCANO E SI MISURANO GLI ORECCHINI ESCLUDENDO TIZIANA CHE CONTINUA A CHIEDERE :


CHE BELLI, LI POSSO PROVARE? POSSO GIOCARE CON VOI? TUTTE COMINCIANO A FARE: MA CHE BEL CASTELLO MARCONDIRONDIRONDELLO, ECC. , TIZIANA NON RIESCE A ENTRARE NEL GIROTONDO. SFUMA IL GIROTONDO.

TUTTE INSIEME: ANNINA, COSA VUOI METTERE DENTRO LA BORSA? ESCE FUORI GIULIA E DICE: UN BIKINI, IL MIO PRIMO BIKINI! ESCONO ANNA E SIMO, SI METTONO TUTTE E TRE DAVANTI. GIULIA PRENDE IL BIKINI E SI GUARDA COME IN UNO SPECCHIO SIMO : (LEGGE) LA RAGAZZINA ENTRA NELLA CAMERA GRANDE CON IL DONO STRETTO NELLE MANI E CHIUDE PIANO LA PORTA, PROPRIO LEI CHE LASCIA SEMPRE TUTTO SPALANCATO! LA RAGAZZINA SI OSSERVA :E’ LEI, LA SOLITA ANNINA, LE SPALLE MAGRE SOTTO I CAPELLI LISCI, A CASCATA GIULIA: COS’HA MAI VISTO DI DIVERSO LA ZIA COCCA? ANNA: MA CICCI, NON PUOI PIU’ STAR COSI’, CON TUTTE LE TUE COSINE ALL’ARIA! ORMAI SEI GRANDE! GIULIA: SI’, FORSE IL SENO E’ UN PO’ CRESCIUTO, MA MICA TANTO…(SI MISURA IL REGGISENO SUI VESTITI, COMPIACIUTA) SEMBRI PROPRIO UNA SIGNORINA! SIMO: E NON SA SE SI PIACE, SE E’ CONTENTA, SE E’ TROPPO DA GRANDE, SE LE DARA’ NOIA A NUOTARE E GIOCARE OPPURE SE E’ BELLA. UN RAGGIO DI SOLE , SFUGGITO ALLE TENDE, LA ILLUMINA D’ORO E D’ORO E’ LA PELLE, D’ORO I RIFLESSI DELLA PELLE ABBRONZATA, D’ORO I RIFLESSI DEL NUOVO BIKINI…MA INSIEME A QUEL RAGGIO , IMPROVVISE, RISATE DI BIMBI.

TUTTE RIDONO E GRIDANO: RITA, HA UNA BICI NUOVA FIAMMANTE! ENTRA PATRIZIA VESTITA DA CICLISTA CON LA BICI, GIULIA VA DA LEI ECCITATISSIMA. PATRIZIA, ESALTATA: E’ BLU FIAMMANTE, LEGGERA E VELOCE. CI STO BENE SOPRA


IN TUTTE LE POSIZIONI TUTTE RIDONO E SI ESALTANO, MOSSE ORGASMICHE PATRIZIA: E’ BLU FIAMMANTE, LEGGERA E VELOCE. CI STO BENE SOPRA IN TUTTE LE POSIZIONI TUTTE RIDONO E SI ESALTANO, MOSSE ORGASMICHE (PAROSSISMO)

PATRIZIA: E’ BLU FIAMMANTE, LEGGERA E VELOCE. CI STO BENE SOPRA IN TUTTE LE POSIZIONI PATRIZIA VA VIA, IN BICI, SI CALMANO.

TUTTE INSIEME: ANNINA, COSA VUOI METTERE DENTRO LA BORSA? ESCE FUORI PAOLINA: UN PETTINE! CORO: STRIGA, STRIGA, STRIGA! PAOLINA E SUSANNA ACCANTO SUSANNA: È MATTINA: A DENTI LARGHI COME BRACCIA IL MIO PETTINE S’AFFERRA AI TANTI RICCI CORO: STRIGA, STRIGA, STRIGA! PAOLINA: SE DONNA VUOI APPARIRE , UN PO’ DEVI SOFFRIRE SUSANNA: DONNA? O BELLA? DIGRIGNANO I DENTI IN BOCCA, POI SI ARRENDONO PAOLINA: ORA, LA MIA CHIOMA È UN RICAMO, TUTTA NODI E PUNTE IN FUORI E NELLA TRAMA DEI MIEI RICCI PAOLINA E SUSANNA SI METTONO SCHIENA A SCHIENA E DICONO: I TORMENTI DELLA NOTTE VOLANO, COME FARFALLE, DALLA PELLE DEL MIO CUORE CORO: VOLANO, COME FARFALLE, DALLA PELLE DEL MIO CUORE


PAOLINA E SUSANNA RIENTRANO NEL GRUPPO.

TUTTE INSIEME , SFALSATE: BLATERA BLATERA BLATERA GORGOGLIA E SBUFFA LENTAMENTE, SOFFIA E SBUFFA IN ATTESA BLATERA BLATERA BLATERA GORGOGLIA E SBUFFA LENTAMENTE, SOFFIA E SBUFFA IN ATTESA BLATERA BLATERA BLATERA GORGOGLIA E SBUFFA LENTAMENTE, SOFFIA E SBUFFA IN ATTESA BLATERA BLATERA BLATERA GORGOGLIA E SBUFFA LENTAMENTE, SOFFIA E SBUFFA IN ATTESA (L’ULTIMA VOLTA È UN SUSSURRO) ESCE SAMANTA SAMANTA: IMPREGNA L’ARIA DELLA CUCINA, TOGLIE IL TORPORE DELLA MATTINA

APPARE DANIELE BALDANZOSISSIMO DA DIETRO LE QUINTE (SE C’È DANIELE, ALTRIMENTI ESCE SAMANTA CON IL PRINCIPINO)

SAMANTA: LUI. UN DESTINO SEGNATO, UNA VITA DI CACCIA ALLA VOLPE, BIANCHI DESTRIERI, MOSTRINE D’ORO, SA CHE LA INCONTRERA’, LA BACERA’, E IL TUTTO SARA’ COMPIUTO. IO: UNA VITA MONASTICA IN TREPIDA ATTESA CHE SI COMPIA CIO’ CHE DEVE ESSERE. ESSI (INDICA DANIELE E LEI STESSA) S’INCONTRANO (SI AVVICINANO TITUBANTI) E VIVONO PER SEMPRE FELICI E CONTENTI SI GUARDANO, S’INTRISTISCONO. SAMANTA: O ANCHE NO. DANIELE ESCE MESTISSIMO, SAMANTA RIENTRA NEL GRUPPO.


ESCE SANDRA E PRENDE IL PORTAFOGLIO . SANDRA: NON SO NEMMENO COME CI SIA FINITO TRA LE MIE COSE , SO SOLO CHE CE L’HO ANCORA. ODORA DI VECCHIO, NEL SUO TRISTE STANTIO ED E’ COSI’ STINTO DAL SUO NERO ORIGINALE, LA PIEGA CENTRALE DISTORTA DAGLI ANNI. ESCE MARISA E VA DA SANDRA: ANNINA, LO VUOI METTERE NELLA BORSA? SANDRA SCAPPA, PIANGENDO.

ESCE ANNALISA: ACCETTARE IL FRUTTO DI UNA RELAZIONE EXTRACONIUGALE E’DAVVERO TROPPO , VORREBBE DIRE PERDERE LO STATUS DEL BRAVO FIGLIO, COSA DIREBBE SUA MADRE, TUTTA CASA E CHIESA, CHE COSA DIREBBE SUA MOGLIE, CHE FINE FAREBBE IL BRAVO MARITO, CHE FINE FAREBBE IL BRAVO MARITO? CORO: CHE FINE FAREBBE IL BRAVO MARITO? CHE FINE FAREBBE IL BRAVO MARITO ESCONO E LA CIRCONDANO CLAUDIA , MONICA E ROBERTA , LE CAMMINANO INTORNO CON VIOLENZA, LEI CERCA DI NASCONDERSI, DI DIFENDERSI CLAUDIA: UN FIGLIO E PER SEMPRE! MONICA: UN FIGLIO T’INCHIODA! ROBERTA: UN FIGLIO NON TI LASCIA SCAMPO! LE GIRANO INTORNO SEMPRE PIU’ VELOCEMENTE E GLIELO RIPETONO OSSESSIVAMENTE ANNALISA URLA: NOOOOOOOOOOOO!!! LUCIA ESCE DAL GRUPPO, VA VERSO DI LEI E L’ACCAREZZA LUCIA: BIMBA, UN FIGLIO E’ PANE, LA MALATTIA E’ FAME ANNALISA: (SI CULLA) UTERO DI LANA CHE DIVIENE UNA CULLA. IO SONO SOLA MA NON HO PAURA RIENTRA NEL GRUPPO.


ESCONO IN 4 (VEDERE CHI), SI METTONO IN FILA INDIANA ED ESCONO DI LATO QUANDO DEVONO PARLARE 1: LA TEIERA. E’ STATA UN GESTO NECESSARIO 2: ABBIAMO DECISO DI LASCIARE IL MARITO, IL PADRE, E SIAMO ANDATI A VIVERE IN UN MONOLOCALE 1: LA TEIERA E’ STATO UN GESTO NECESSARIO 3: COSI’ BEVO UNA TAZZA DOPO L’ALTRA SENZA ZUCCHERO, NE’ MIELE, NE’ LATTE 1: LA TEIERA E’ STATO UN GESTO NECESSARIO 4: OGNI TAZZA CHE BEVO NON POSSO FARE A MENO DI PIANGERE 1: LA TEIERA E’ STATO UN GESTO NECESSARIO ESCE DAL GRUPPO UNA 5° , E DICE: FORSE TI SEMBRERO’ SCIOCCA, MA HO LA SENSAZIONE CHE QUELLE LACRIME FACCIANO SPARIRE IL DOLORE CHE HO DENTRO. RIENTRANO TUTTE.

ESCE MONICA, PRENDE LO SPECCHIO MONICA: MA QUANDO MI VEDO , VEDO? COSA VEDO? COSA POSSO VEDERE? FINO A CHE PUNTO SI PUO’ LEGGERE DENTRO UNO SPECCHIO? CORO: O SPECCHIO SPECCHIO SEI SINCERO, SEI REALE? MONICA: DIMMELO TU FINO A CHE PUNTO POSSO ARRIVARE…MA TI POSSO INTERROGARE? CORO: SMORFIE, SORRISI, UN PO’ DI LUCE. RESTO. MONICA: RESTO RIENTRA NEL GRUPPO.

ESCONO 3 (?) IN ORDINE DI ETA’ DALLA PIU’ GIOVANE ALLA MENO GIOVANE.


CORO: IL PRIMO LUI

1: (LA PIU’ GIOVANE) L’AMORE, LA CONVENIENZA, LE LUCI, LE TENDE, I COLORI DELLE PARETI, IL LUCIDO DELLE MATTONELLE PER IL BAGNO, LA FANTASIA PROVENZALE PER IL COPRILETTO, E INFINE…LA CUCINA, LA SEDE DELLA SACRA RELIQUIA, RELIQUIA CHE LUI NON TOCCO’ MAI CORO: IL SECONDO LUI 2: UN VERO MACHO. MI SOLLEVAVA TRA LE BRACCIA PALESTRATE COME UNO SPOSO, VARCANDO LA SOGLIA DI UN NIDO D’AMORE. TUTTE LE FATICHE MI VENIVANO ALLEVIATE, TRANNE QUELLA DI TOCCARE LA SACRA RELIQUIA: TOCCARLA AVREBBE SVILITO IL GRAN BEL PEZZO D’UOMO. CORO: IL TERZO LUI 3: ERA COMPARSO DOPO UN LASSO ABBONDANTE DI TEMPO, UTILE PER ASSAPORARE L’EUFORICA SENSAZIONE DI LIBERTA’ E L’ORGOGLIO DI ESSERE UNA SINGLE IN PERFETTA AUTONOMIA. SERATA RIUSCITA E SPECIALE CON UN FINALE CHE MI AVEVA PROCURATO LA PELLE D’OCA…LUI CON UN GESTO INASPETTATO, LUI, IL PRINCIPE… RIENTRA DANIELE, SE C’E’, SEMPRE VESTITO DA PRINCIPE, LEI LO GUARDA RAPITA CORO: AVEVA ESTRATTO CON NATURALEZZA LA SACRA RELIQUIA, E ANNODATI BENE I LEGACCI, SE L’ERA PORTATA OLTRE LA PORTA D’INGRESSO …LEI, IMPALATA, ATTONITA E FELICE , RESTA. DANIELE DOVRÀ COMPIERE GESTI AMPI, USCIRÀ CON IL SACCO DELLA SPAZZATURA, POTREBBE FARLE UN BACIAMANO, ATTEGGIAMENTI PRINCIPESCHI AL MASSIMO, LEI RIMARRÀ STUPITA E FELICISSIMA, RAPITA DA QUESTO GESTO.

SI APRE IL GRUPPO, ESCO IO DALLE QUINTE VESTITA DA MADONNA, CON LACRIME DI SANGUE MOLTO VISTOSE DIPINTE SUL VOLTO, REGGENDO UNA CORNICE E


TUTTE LE ANNINE VERRANNO IN SEQUENZA A POSARMI LA LORO RELIQUIA LEGGENDOMI LA LORO POESIA.

ALICE DEL CORSO MADONNINA ASSAI IMPEGNATA MA DI ME, TI SEI SCORDATA? SE NON LO SAI, MI CHIAMO ALICE E VORREI FARE LA SCRITTRICE

ANNA CIONI MADONNINA, IO NON SON BELLA, FAI CHE ALMENO RESTI SNELLA, CHE NON ABBIA MAI I PANINI E STIA BENE ANCHE IN BIKINI.

MARISA TALUCCI MADONNINA MIA DI GESSO IO TI CHIEDO SE M'É CONCESSO DI PORTARTI TANTI CERI SE MI RIPORTI UN PO' DI MARE PER POTERE MEGLIO AMARE

ANNALISA BERTOLI MADONNINA DELLA TOSSE IO TI REGALO LE MIE CALZETTE ROSSE


MA PER FAVORE NON TI ARRABBIARE CON LORO HO TROVATO IL CORAGGIO DI OSARE PER TE IL ROSSO È TENTAZIONE SII CLEMENTE DAMMI LA TUA BENEDIZIONE

CARLA GIOLI PENNA PENNINA LA DATA SI AVVICINA TI SCALDO SUL MIO CUORE PER FARTI FUNZIONARE CHIARA GASPERINI MADONNINA ASSAI SPECIALE CHE STAI BUONA SULL' ALTARE IO TI PREGO SCENDI SVELTA HO BISOGNO D' ASSISTENZA. CLAUDIA MAZZONI MADONNINA DI LIVORNO IO TI PREGO OGNI GIORNO E SE PROTEGGI IL CORDONCINO POI RISCHIARI IL MIO CAMMINO.

CRISTINA LASTRI MADONNINA MIA ALL'ALTARE SE TI PREGO, UN MI LASCIARE! TE LO DICO IN DIGITALE SPIPPOLANDO UN FO DEL MALE...

FLORIANA GEROSA


O MIA DOLCE MADONNINA TU CHE A ME ASCOLTO DAVI SENTI QUESTA PREGHIERINA, OFFRO IN CAMBIO IL PORTACHIAVI

MONICA URBANI SPECCHIO AMICO, DAI RIFLETTI SPECCHIO NEMICO A ME I DIFETTI GRADINI DI PIETRA, SPECCHIO STRUMENTO AIUTAMI A SALIRE SENZA TORMENTO

NADIA CHIAVERINI IL CAFFÈ NON È UNA DROGA È UNA FORZA MISTERIOSA O MADONNA TI CONFIDO SOLO A LUI IO MI AFFIDO

PAOLA BELLONI MADONNINA MIA TE LO CONFESSO SPESSO HO UN LOOK ASSAI DIMESSO MA ALLE ORECCHIE NON POSSON MANCARE BIANCHE PERLINE DA SFOGGIARE PATRIZIA RAMINGHI MADONNINA MIA DI GESSO IO TI PREGO E MI CONFESSO


SE ANCHE VADO TROPPO IN BICI FAI CHE IO NON CADA PIÙ

ROBERTA GATTABRUSI "MADONNINA MIA DIVINA TRA I CAPELLI HO UNA FORCINA! FA CHE RESTI A LUNGO IN TESTA PER POTER ESSER LA PIÙ BELLA DELLA FESTA!". SAMANTA MELA OH MADONNINA, MADONNINA SANTA, RICORDATI IL MIO NOME, SON SAMANTA SE AVESSI UN BEL PRINCIPE DA CONSEGNARE VOGLIO ESSERE CERTA CHE NON TI POSSA SBAGLIARE

SANDRA MAZZINGHI MADONNINA DI MONTENERO IO TI PREGO PER DAVVERO SE INCONTRO IR BENTIVOGLIO TI REGALO IL PORTAFOGLIO

STEFANIA FILIPPI MADONNINA MIA DI GESSO IO TI PREGO E MI CONFESSO SCIOGLI IL CRISTALLO DI NEVE


FAMMI ESSERE PIÙ LIEVE SUSANNA PEROSSINI CARO IL MIO BEL GIRADISCHI L'IRONIA MI FAI TROVARE E LA VIA PER CONTINUARE A TE AFFIDO IL MIO MALORE MEDICINA DEL MIO CUORE.

ARRIVA SIMONETTA, MI TOGLIE LA CORNICE, MI LIBERA DAL VELO DELLA MADONNA, MI STRUCCA DALLE LACRIME , LEGGE: ED IO MI FECI DONNA GIOCONDA E LIBERA RIBELLE NEI CAPELLI CON NODI FITTI E DURI DA STRIGLIARE FORCINE A FISSARE GROVIGLI DI IDEE…

ED IO MI FECI DONNA DAVANTI A UNO SPECCHIO E AL MIO CORPO CHE SFUGGE CHE CAMBIA E CHE BALLA MUSICA DI UN DISCO SUONATO CENT’ANNI COLORI


ROSSO CALZETTE SANGUE PANCIA CHE CRESCE DENTRO AZZURRO ATTESA D’UN PRINCIPE CON UN SACCHETTO ROSA

ED IO MI FECI DONNA DI GONNA FIORITA DI ANELLI ORECCHINI E TINTINNIO DI CAMPANELLI E SUONERIE DI CELLULARE RITMO DI UN PEDALARE NELLA DISCESA LIBERO…

ED IO MI FECI DONNA NEL FOTOGRAFARE IL TEMPO TESSENDO FILI DAVANTI A UNA TAZZINA FUMANTE PAROLE DI DONNE TÉNERE IN UN RICORDO COME LE PIETRE FORTI (A QUEL PUNTO IO MI LIBERO DEL TUTTO DEI PARAMENTI DA MADONNA) E URLO: E IO MI FECI DONNA!


Il laboratorio di Arte CLARA ROTA, milanese, residente da qualche anno a Livorno, ha seguito il laboratorio di arte. La sua passione per la carta,da sempre la porta a sperimentare l’universo cartaceo in tutte le sue forme, dal restauro, al design, alla decorazione e allestimenti di mostre. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive con le sue sculture cartacee. Docente all’accademia di belle arti NABA di Milano dal 2003. Conduce un laboratorio d’arte tessile in un centro di igiene mentale Blu Cammello a Livorno. La carta è l’elemento base del suo percorso espressivo, ma non disdegna altri materiali soprattutto tessili con i quali si diletta tra abiti, costumi teatrali e sculture. Clara ci dice del laboratorio: Il laboratorio ha l’obiettivo di confrontarsi e divertirsi tra donne sul “fare femminile”, quel fare delle donne che “cura”, del quale non si parla mai, ma senza le mani delle donne, che mondo sarebbe? Il laboratorio, oltre alla costruzione dell’evento, concepito come un grande happening da fruire in un giorno, si concentra sulla sacralità del quotidiano, attraverso i gesti, gli oggetti, i desideri e i sogni, una sorta di rito collettivo per costruire individualmente un” ex voto”, nel quale ogni donna esprime, con le proprie abilità, i pensieri, le emozioni, l’ironia… per farne una piccola “opera d’arte” al femminile.


Un particolare ringraziamento all' artista Gloria Campriani di Firenze che ha partecipato con noi al progetto realizzando il suo exvoto: IL NIDO


"Pianta qui il tuo fioretto"


L' 8 Dicembre 2010, durante la mostra, era attiva una performance chiamata "PIANTA QUI IL TUO FIORETTO", i visitatori sono stati invitati a scrivere un loro fioretto su un cartoncino già pronto, scegliendone a piacere la forma e il colore, e a piantarlo con un martello su una struttura in legno disposta in croce, deposta per terra, al centro dell' entrata alla chiesa, scegliendo anche il proprio chiodo, fra quelli messi a disposizione. La partecipazione ha superato le previsioni, finiti i cartoncini, alcuni hanno scritto su quelli degli altri...

I FIORETTI

NON PICCHIERÒ PIÙ NESSUNO

ALTERNERÒ I MIEI SILENZI CON LE PAROLE

SARÒ SEMPRE PIÙ GENEROSA VERSO CHI HA BISOGNO

HO DECISO: PRENDERÒ IL TORO PER LE CORNA

APRIRE IL MIO CUORE A TUTTI

ASCOLTARE SENZA PREGIUDIZIO

BASTA! NON CI GIOCO PIÙ AL GIOCO DEGLI ALTRI, ORA SONO GLI ALTRI A GIOCARE AL MIO! PROMETTO CHE PRIMA DI PARLARE CONTERÒ FINO A 3!!!...


FACCIAMO FINO A 10?

NON SO COSA NON FARÒ PIÙ, CERCHERÒ DI SOFFRIRE MENO POSSIBILE, CREDO.

NON TI PENSO PIÙ!

OH, SE IMPARASSI A NON ANDARE SEMPRE FINO IN FONDO!

PROMETTO DI ESSERE SEMPRE PUNTUALE

PROMETTO CHE IMPARERÒ A ESSERE PIÙ LOQUACE

CERCHERÒ DI DARMI UNA MOTIVAZIONE AL SENSO DELLA VITA!

INIZIERÒ FINALMENTE A FARE L' ARTISTA SERIA!

VORREI CHE LA MIA VITA FOSSE PIÙ BELLA. GRAZIE

VOGLIO VIVERE PIÙ IN MODO PIENO LA MIA VITA!!

MORDERSI LA LINGUA E CONTARE FINO A 10 PRIMA DI


PARLARE...PROMETTO!

AVRÒ UN SORRISO PER TUTTI

PROMETTO DI LASCIARE QUI IL PORTO DELLE ILLUSIONI DOVE HO DIMORATO FINO AD OGGI

DA DOMANI SMETTO DI DUBITARE

O ALMENO CI PROVO

VAI CON CALMA E SEPARA

NON LO FACCIO PIÙ MAI PIÙ

TRASFORMARE LA RABBIA IN AMORE

PENSERÒ PIÙ POSITIVO

SARÒ GENTILE E RISPETTOSA CON TUTTI

CERCHERÒ DI TROVARE L' EQUILIBRIO INTERIORE E ANDRÒ IN CULO A TUTTI

FINALMENTE IN PENSIONE FARÒ UN PO' DI VOLONTARIATO


NON SARÒ TANTO BUONA

IL MONDO È MIO!

ESSERCI, COMUNQUE

ASCOLTA, BENE, MEGLIO CHE POSSO...

SE TORNI...SI!

SE DIO ESISTESSE BISOGNEREBBE UCCIDERLO (BAKUNIN)

PROMETTO DI LASCIARE QUI TUTTI I MIEI "MA..." E DI PROSEGUIRE IL MIO PERCORSO DI "DONNA"!

FINALMENTE IN PENSIONE...IL TEMPO È MIO!!

GIURO CHE NON RINGHIERÒ PIÙ A CHI MI CAREZZA

CONTINUA... LAVORARE CON LE DONNE È SEMPRE UN' ESPERIENZA EXSTRAORDINARIA NON DOBBIAMO AVERE PAURA DELLE PAROLE, EMOZIONI,


SENSAZIONI, DI AMARE, PENSARE, OSSERVARE, CAPIRE VIVERE!

GESTO GESTIRE GESTATO GESTAZIONE

NUOVO GESTO

NUOVA VITA

È FINITO IL TEMPO

IL TEMPO DI CAMBIARE

PROMETTO CHE MI CAMBIERÒ PIÙ VOLENTIERI

NIENTE SERVE A NIENTE, MA IO VADO A PASSI P...


E come mi disse una volta, a scuola, una bambina: "Ho giocato e mi sono divertita, se ciavete coraggio... rifatelo!" SIMO


Le Annine AGLAIA VIVIANI-ALICE COPPA-ALICE DEL CORSO-ANITA LUPERINI-ANNA CIONI-ANNALISA BERTOLI-CARLA GIOLICHIARA GASPERINI-CAROLINA NUTI-CLARA ROTACLAUDIA MAZZONI- CRISTINA LASTRI-DANIELA FARANOELISABETTA POLINI -ELENA NUTINI-ERIKO-FLORIANA GEROSA-GABRIELLA GIANFELICI-GIULIA BERNINI-GIULIA MARTANO-GIULIANA BULGARELLI -GLORIA CAMPRIANIGRAZIA ALDROVANDI-GRAZIA ZUCCA-L' AURA-LINDA DI PACO-LOREDANA BERTAGNI-LUCIA MELONI CINELLIMARCELLA CANNALIRE-MARIA GAROFALO-MARIA PIA MOSCHINI-MARIANNA MORONI-MARISA TALUCCIMONICA URBANI-NADIA CHIAVERINI-OLIMPIA DE ROUTTE- PAOLA BELLONI-PAOLA PASQUI-PATRIZIA PASQUI-PATRIZIA RAMINGHI-ROBERTA FASSI-ROBERTA GATTABRUSI-SABINE PASCARELLI-SAMANTA MELASANDRA MAZZINGHI-SILVANA LEVI-SILVIA PIERISIMONETTA FILIPPI-STEFANIA FILIPPI-SUSANNA PEROSSINI-TIZIANA BONANNI


INDICE

Presentazione

Il laboratorio di scrittura RACCONTI E POESIE: DALLE MEMORIE DI... Simonetta Filippi ED IO MI FECI DONNA Simonetta Filippi LA POETA Patrizia Pasqui PREGHIERINE Patrizia Pasqui

1. IL GORILLA Alice Coppa 2. LA BORSA Alice Del Corso 3. BIKINI Anna Cioni 4. CALZETTE ROSSE Annalisa Bertoli 5. IL REGALO Carla Gioli 6. IL PETTINE Chiara Gasperini 7. IL CELLULARE Cristina Lastri 8. LA TEIERA Elisabetta Polini 9. IL PORTACHIAVI Floriana Gerosa 10. LA FOTO Giulia Martano 11. L' ANELLO Grazia Aldrovandi 12. IL SACCHETTO ROSA Lucia Meloni Cinelli 13. IL NOME Marianna Moroni 14. MIRROR Monica Urbani


15. LA CAFFETTIERA Nadia Chiaverini 16. GLI ORECCHINI Paola Belloni 17. LA BICICLETTA Patrizia Raminghi 18. LA FORCINA Roberta Gattabrusi 19. LA PIETRA Sabine Pascarelli 20. IL PRINCIPE Samanta Mela 21. IL PORTAFOGLI Sandra Mazzinghi 22. IL CENTRINO Stefania Filippi 23. IL GIRADISCHI Susanna Perossini

Scrittrici invitate SCUOLA, LA SACRA RELIQUIA Aglaia Viviani NE SONO FELICE Gabriella Gianfelici CORRENDO A DISCREZIONE DEL VENTO Maria Pia Moschini

Il Laboratorio di Teatro TESTO SPETTACOLO FINALE Paola Pasqui

Il Laboratorio di Arte PIANTA QUI IL TUO FIORETTO LE ANNINE

Impaginazione a cura di Simonetta Filippi Copertina di Giulia Bernini


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