Scripta manent 2007

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all’angolo tra via Goethe e piazza Domenicani. L’esperienza durò circa due anni, dopo i quali mi trovai da solo a gestire tutta l’impresa. Varie ragioni di scelta professionale, economica e nuovi progetti di vita portarono sia Braito che Skuber a lasciare. Devo dire che, nonostante tutto, le cose sono andate anche bene e, per quanto mi riguarda, sono sempre riuscito a vivere sia con quest’attività che insegnando storia dell’arte in un liceo linguistico. Mi trovavo però coinvolto in scelte non permettevano di continuare a fare l’artista. Non c’era tempo, ero troppo impegnato ogni giorno e per tutta la settimana; così, per due o tre anni ho smesso quasi completamente. Ma la voglia di dipingere era rimasta”. La metà degli anni ‘70, riemerge l’artista e la galleria cambia nome “Nei pochi ritagli di tempo, riuscivo a fare qualche lavoretto su carta: acquerelli, che riempivano serate solitarie, gratificanti senz’altro, però con l’idea di non mostrarli. Ero sempre attratto dalla pittura analitica, dalle forme minimali, primarie: questa ortodossia... allora si parlava di prassi quasi marxista. Insomma, questo modo di dipingere mi catturava. Appendevo i lavori in casa, li mostravo agli amici. Via via ho raccolto consensi e inviti a non trascurare questa attività. Mi hanno convinto che avrei potuto fare l’uno e l’altro. Così, tra il ‘75 e il ‘76, ho ripreso a dipingere e nello stesso tempo ho continuato l’attività della galleria cui avevo dato una nuova insegna. L’ho chiamata “Il Sole”, un nome forse un po’ provinciale, ma per me di grande affezione. La linea della galleria e la scelta degli artisti sono rimaste sempre le stesse fin dall’inizio. Per ragioni anche organizzative ho sempre esposto artisti italiani in prevalenza concettuali. Facevo tutto da solo, andavo e tornavo anche fino a Roma a prendermi i quadri. Ho esposto Dorazio, Carrino, Uncini, Aricò, Matino, Marchegiani, Nei momenti in cui

potevo permettermi di affrontare impegni maggiori, ho portato artisti come Fontana, Depero, Novelli, Licini, Burri, Castellani. Tutti artisti oltre regione, ad eccezione di qualche trentino come Senesi, Schmid, Pellegrini, Cappelletti. Tra gli altoatesini, gli unici che interessavano veramente erano Florio Vecellio e Albert Mellauner. Naturalmente, frequentando le varie gallerie, mi incontravo con tutti, ma non c’erano tanti altri con cui condividessi anche il un punto di vista culturale”. Il linguaggio contemporaneo, secondo Bizzarri “Mi sono talmente calato nei miei studi, nelle mie cose, che non riesco a condividere che oggi si parli ancora di forma. Tutte le rivoluzioni del linguaggio avvenute all’inizio del secolo, dalle avanguardie storiche con Kandinski e Klee in poi, mi portano a pensare che la modalità espressiva contemporanea che corrisponde al nostro modo filosofico di pensare, al di là della diatriba tra astratto e figurativo e considerando che anche nell’astrazione ci sia una “forma” mentale”, benché connessa alla distruzione della forma stessa. Questo vale anche nella letteratura. Posso citare l’Ulisse di Joice, oppure, uno che amo e a cui penso continuamente è Ezra Pound-con i suoi Cantos. Insomma, non posso pensare che in arte ci sia ancora una forma. Non vedo quale possibilità ci sia, anche se non escludo nulla a priori in relazione ad un rientro di un certo tipo di figurazione pedissequamente retinica. Penso a Osvaldo Licini, un figurativo tra virgolette, cha fa cose come le Amalasunte. Non sono in opposizione, distinguo una appartenenza, un modo di sentire. Invece, ho intrattenuto rapporti di amicizia personale, ma anche di condivisione culturale con Dorazio e con Burri”. La galleria chiude, l’artista riconquista il suo tempo


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