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Sindone di Torino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La Sindone fotografata da Giuseppe Enrie (1931). In alto l'immagine dorsale (capovolta), in basso quella frontale. Ai lati delle immagini si vedono le bruciature dell'incendio del 1532 e i relativi rattoppi (rimossi nel 2002).

La Sindone di Torino, nota anche come Sacra Sindone, è un lenzuolo funerario di lino conservato nel Duomo di Torino, sul quale è visibile l'immagine di un uomo che porta segni di maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nella Passione di Gesù. La tradizione identifica l'uomo con Gesù e il lenzuolo con quello usato per avvolgerne il corpo nel sepolcro. La sua autenticità è oggetto di fortissime controversie. Il termine "sindone" deriva dal greco σινδών (sindon), che indica un tessuto di lino di buona qualità o tessuto d'India. Il termine è ormai diventato sinonimo del lenzuolo funebre di Gesù. Le esposizioni pubbliche della Sindone sono chiamate ostensioni (dal latino ostendere, "mostrare"). Le ultime sono state nel 1978, 1998, 2000 e 2010: quest'ultima è iniziata il 10 aprile, e si è conclusa il 23 maggio. Indice 6 Oggetti analoghi alla 1 Storia Sindone

o

1.1 Sindone

o

evangelica

o

6.1 Il Sudario di Oviedo

1.2 Sindone di

o

6.2 Il Mandylion

o

6.3 Il velo della

Torino

2 Caratteristiche generali Veronica

o

2.1 Il lenzuolo

o

2.2 L'immagine

3 Il dibattito sull'autenticità

o

6.4 La Sindone di Besançon

o

6.5 Copie della Sindone

4 Studi scientifici

o o

6.6 Il Graal

4.1 Riproduzioni 7 La Sindone nella cultura

sperimentali popolare 5 La Sindone e l'iconografia di


8 Note

9 Bibliografia

10 Voci correlate

11 Altri progetti 12 Collegamenti esterni

Gesù

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Storia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Storia della Sindone.

Tutti gli storici sono d'accordo nel ritenere documentata con sufficiente certezza la storia della Sindone a partire dalla metà del XIV secolo: risale infatti al 1353 la prima testimonianza storica[1]. La datazione radiometrica con la tecnica del Carbonio 14, eseguita nel 1988, ha datato la stoffa del lenzuolo in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. [1] Sulla sua eventuale storia precedente non vi è invece accordo. I sostenitori dell'autenticità del telo non giudicano attendibile l'esame svolto nel 1988, ipotizzando inquinamento dei lacerti di tessuto prelevati per essere sottoposti a indagine. Ritengono quindi che la Sindone sia l'autentico lenzuolo funebre di Gesù e che risalga alla Palestina del I secolo; essi sostengono inoltre la «suggestiva ipotesi»[1] secondo cui la Sindone di Torino sia da identificare con il mandylion o "Immagine di Edessa", un'immagine di Gesù molto venerata dai cristiani d'Oriente, scomparsa nel 1204 (questo spiegherebbe l'assenza di documenti che si riferiscano alla Sindone in tale periodo) [2]. In questo caso, occorre ipotizzare che il telo di Edessa, che è descritto come un fazzoletto, fosse esposto solo ripiegato più volte e in modo tale da mostrare unicamente l'immagine del volto[1].

Sindone evangelica [modifica] Per approfondire, vedi le voci Sindone evangelica e Storia della Sindone.

Secondo i racconti dei vangeli, dopo la sua morte il corpo di Gesù fu deposto dalla croce, avvolto in un lenzuolo (sindone) con bende e trasposto nel sepolcro. Luca e Giovanni menzionano i tessuti funebri anche dopo la risurrezione. Della sindone evangelica non viene fornita alcuna descrizione circa dimensioni, forma, materiale; viene però indicato che fu utilizzato un telo per il corpo e un fazzoletto (sudario), separato, per la testa [3]. È ipotizzabile che il telo e il sudario siano stati conservati dalla primitiva comunità cristiana. Pur non essendo presente alcun esplicito accenno o riferimento, nei Vangeli, circa la formazione di un'immagine su un qualche tessuto, vi sono indizi in questo senso (si veda più oltre il paragrafo dedicato al Mandylion) in alcuni documenti antichi[senza fonte] Queste notizie sarebbero comunque state tenute nascoste a causa delle persecuzioni e delle credenze giudaiche che ritenevano impuri gli oggetti venuti a contatto con un cadavere.[senza fonte]


A ciò si aggiunga che nel mondo giudaico era severissimamente vietato raffigurare Dio, il che può spiegare la straordinaria attenzione con cui lungamente sarebbe stata occultata l'immagine di Gesù, Uomo-Dio. [senza fonte] Il fondamento teologico dell'avversione del popolo ebraico alla raffigurazione di immagini allo scopo di venerarle (idolatria) è presente sin dall'Esodo: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra"(Esodo, 20, 4).

Sindone di Torino [modifica] Per approfondire, vedi la voce Storia della Sindone.

La più antica testimonianza storica della Sindone di Torino non va più indietro degli anni cinquanta del XIV secolo, quando la Sindone, con modalità che rimangono ignote, comparve nelle mani del cavaliere Goffredo di Charny e di sua moglie Giovanna di Vergy[1]. Il 20 giugno 1353 Goffredo donò la Sindone al capitolo dei canonici della collegiata di Lirey, che egli aveva fondato[4]; la prima ostensione pubblica di tale telo avvenne, pare, nel 1357 (Goffredo era morto l'anno precedente), suscitando negli anni seguenti diversi dubbi sull'autenticità del telo. Nel 1415 Margherita di Charny, discendente di Goffredo, si riappropriò del lenzuolo (ne originò un lungo contenzioso con i canonici) e nel 1453 lo vendette o cedette ai duchi di Savoia. Questi la conservarono a Chambéry in Savoia, dove il 4 dicembre 1532 sopravvisse all'incendio della Sainte-Chapelle du Saint-Suaire, riportandone gravi danni in diversi punti, perforata in vari strati da una goccia d'argento fuso colata dal reliquiario[1]. Nel 1578 venne portata a Torino, dove nel frattempo i Savoia avevano trasferito la loro capitale. L'occasione di tale trasferimento fu la richiesta da parte del vescovo di Milano, Carlo Borromeo, di venerare la reliquia per sciogliere un voto fatto in occasione della peste di Milano. Il trasferimento del telo doveva servire ad abbreviare il viaggio a piedi del Vescovo. Da allora vi rimase ininterrottamente fino al giorno d'oggi, salvo brevi intervalli. Nel 1898 venne fotografata per la prima volta dall'avv. Secondo Pia: in quell'occasione si scoprì che l'immagine impressa sul lenzuolo presentava le caratteristiche di un negativo fotografico. Umberto II di Savoia, ultimo re d'Italia, alla sua scomparsa (1983) la lasciò in eredità alla Santa Sede che ne delegò la custodia all'Arcivescovo di Torino. Nel 2009 la proprietà della Sindone è stata messa in discussione: secondo il professor Francesco Margiotta Broglio, studioso dei rapporti tra Stato e Chiesa, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1º gennaio 1948) la Sindone sarebbe diventata proprietà dello Stato italiano in base alla XIII disposizione, comma 3, e il legato testamentario di Umberto II sarebbe nullo[5]. Tuttavia la Santa Sede avrebbe nel frattempo acquisito la proprietà della Sindone per usucapione in buona fede: sulla questione è stata presentata una interrogazione parlamentare ma non risulta ancora una risposta del governo[6][7].

Caratteristiche generali [modifica] Il lenzuolo [modifica] La Sindone è un lenzuolo di lino di colore giallo ocra, avente forma rettangolare di dimensioni di circa 441 cm x 113 cm, spessore di circa 0,34 mm e massa di circa 2,450 kg[senza fonte]. In corrispondenza di uno dei lati lunghi, il telo risulta tagliato e ricucito per tutta la lunghezza a otto di centimetri dal margine. [8] Il lenzuolo è tessuto a mano con trama a spina di pesce e con rapporto ordito-trama di 3:1. Il lenzuolo è cucito su un telo di supporto, pure di lino, delle stesse dimensioni: il supporto originale, applicato nel 1534, è stato sostituito nel 2002 con un telo simile più recente.


Sono chiaramente visibili sulla Sindone i danni provocati da alcuni eventi storici. I più vistosi sono le bruciature causate da un incendio nel 1532, disposte simmetricamente ai lati dell'immagine in quanto il lenzuolo era conservato ripiegato a formare un plico di 32 strati e le bruciature hanno dimensioni decrescenti man mano che si scende negli strati sottostanti e ci si allontana dalla fonte di calore (il coperchio del reliquiario fu pressato da un oggetto incandescente). Si tratta di un vero e proprio cratere di forma approssimativamente triangolare che Aldo Guerreschi e Michele Salcito hanno ricostruito e presentato al Convegno di Parigi, nel 2002. Dal 1534 al 2002 i fori erano coperti da rappezzi, che sono stati poi rimossi contestualmente alla sostituzione del telo di supporto.

L'immagine [modifica]

L'immagine frontale presente sulla Sindone nel negativo fotografico.

Il lenzuolo riporta due immagini molto tenui che ritraggono un corpo umano nudo, a grandezza naturale, una di fronte (immagine frontale) e l'altra di schiena (immagine dorsale); sono allineate testa contro testa, separate da uno spazio che non reca tracce corporee. Sono di colore più scuro di quello del telo. Ognuna delle due immagini appare essere la proiezione verticale di una figura umana, e non quella che si otterrebbe stendendo un lenzuolo a contatto con il corpo umano (ad esempio il viso dovrebbe apparire molto più largo). L'immagine, come si scoprì nel 1898 quando la Sindone fu fotografata per la prima volta, è più comprensibile nel negativo fotografico. Il corpo raffigurato appare quello di un maschio adulto, con la barba e i capelli lunghi. L'immagine presenta numerose ferite: le più evidenti sono le ferite ai polsi e agli avampiedi e una larga ferita da taglio al costato. Inoltre le ferite


sul capo corrispondono alla presenza di un casco di spine mentre, sul dorso, ferite da sfregamento sono compatibili con una grossa e rozza trave portata a spalle. Sono state inoltre rinvenute in corrispondenza dei piedi e del naso tracce di terra compatibili con una caduta dalla quale deriverebbe la rottura del setto nasale. [senza fonte] Il tutto corrisponde alla tradizionale iconografia di Gesù e al resoconto evangelico dellacrocifissione.[9]

Il dibattito sull'autenticità

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L'autenticità della Sindone — vale a dire se essa sia o no il vero lenzuolo funebre di Gesù — è stata a lungo dibattuta: vi sono state dispute al riguardo già nelXIV secolo (vedi Storia della Sindone). Le discussioni sono riprese alla fine del XIX secolo, quando la prima fotografia della Sindone ha rivelato le particolari caratteristiche dell'immagine e ha suscitato l'interesse degli studiosi su di essa. I numerosi studi scientifici eseguiti da allora non sono serviti a chiarire in modo definitivo la questione, ma solo ad accendere maggiormente il dibattito nel quale si "scontrano" studiosi convinti che la Sindone sia una reliquia e studiosi altrettanto convinti che invece sia un'icona, una raffigurazione artistica. Tra le parti sorgono critiche accese sull'operato dei ricercatori della parte avversa, dibattito che migra sul confronto di convinzioni religiose ed antireligiose. Vi sono tuttavia "scettici" anche tra i cristiani e viceversa ci sono non cristiani convinti che essa sia autentica[10]. Ad alimentare il dibattito, s'è aggiunta la supposizione della grafica statunitense Lillian Schwartz, docente alla "School of Visual Arts" di New York, secondo cui il volto della Sindone combacerebbe con quello di Leonardo Da Vinci e che il telo rappresenterebbe dunque un esperimento di ipotetiche "tecniche pre-fotografiche" ideate dal genio rinascimentale, di cui nulla si sa.[11] Tale tesi, oltretutto, sarebbe sfatata dalla datazione della sindone di Lirey che anticipa la nascita di Leonardo di quasi un secolo. La vivacità di un dibattito che dura da più di un secolo rende ancora attuale, anzi forse più che mai, il commento che Yves Delage fece nel 1902[12]:

« Si è introdotta senza necessità una questione religiosa in un problema che, in sé, è puramente scientifico, con il risultato che le passioni si sono scaldate e la ragione è stata fuorviata. » La Chiesa cattolica in passato si è espressa ufficialmente sulla questione dell'autenticità, prima in senso negativo (nel 1389 il vescovo di Troyes inviò un memoriale al papa, dichiarando che il telo era stato "artificiosamente dipinto in modo ingegnoso", e che "fu provato anche dall'artefice che lo aveva dipinto che esso era fatto per opera umana, non miracolosamente prodotto". Nel 1390 Clemente VII emanò di conseguenza quattro bolle, con le quali permetteva l'ostensione ma ordinava di "dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario"[13]) e poi, ribaltando il giudizio, in senso positivo (nel 1506 Giulio II autorizzò il culto pubblico della Sindone con messa e ufficio proprio[14][15]). Attualmente, la Chiesa cattolica non si esprime ufficialmente sulla questione dell'autenticità, lasciando alla scienza il compito di esaminare le prove a favore e contro, ma ne autorizza il culto come icona della Passione di Gesù. Diversi pontefici moderni, da papa Pio XI a papa Giovanni Paolo II, hanno inoltre espresso il loro personale convincimento a favore dell'autenticità.[16] Le chiese protestanti considerano invece la venerazione della Sindone, e delle reliquie in genere, una manifestazione di religiosità popolare di origine pagana estranea al messaggio evangelico. In un documento del 2005, firmato da 24 studiosi del telo, oltre ad essere riportate le diverse informazioni sulla Sindone disponibili, veniva sottolineato come nessuna delle riproduzioni realizzate fosse riuscita a ricreare tutte le caratteristiche del telo.[17]


Il 6 giugno 2011 un pittore e restauratore veneto, Luciano Buso, afferma che sulla Sacra Sindone, nel volto di Gesù, si troverebbe la firma di Giotto e la data 1315, secondo una tecnica di "scrittura nascosta" tramandata fino ai giorni nostri; la data sarebbe in linea con le contestate analisi al carbonio 14 eseguite negli anni ottanta[18]. Questa notizia venne smentita nei giorni successivi da vari studiosi, fra cui il ricercatore Antonio Lombati, collaboratore del CICAP, e la sindonologa Emanuela Marinelli. Nel merito si è espresso anche Gian Maria Zaccone, direttore del Museo della Sindone di Torino, dichiarando che "per quanto riguarda l'ipotesi che si tratti di un'opera pittorica, bisogna dire che dagli esami del 1978 è stato definitivamente stabilito che non vi siano tracce di pittura" [19].

Studi scientifici [modifica] Per approfondire, vedi le voci Studi scientifici sulla Sindone e Esame del carbonio 14 sulla Sindone.

Sulla sindone, nel tempo, sono stati condotti diversi studi e sono state esposte diverse ipotesi 

Formazione dell'immagine: si sono fatte molte ipotesi sulla formazione dell'immagine della Sindone, nessuna ad oggi conclusiva

Esami sul presunto sangue: i primi esami, eseguiti nel 1973, non rilevarono la presenza di sangue nelle macchie visibili sulla Sindone. Gli esami successivi, svolti a partire dal 1978 con tecniche più moderne, condotte dal microscopista Walter McCrone condussero a risultati analoghi e stante il ritrovamento di pigmenti McCrone arrivò alla conclusione che si trattasse di un dipinto[20]. I lavori di McCrone furono tuttavia respinti dallo STURP (Shroud of Turin Research Project). Successivamente John Heller e Alan Adler [21][22] affermarono di avere rilevato la presenza di emoglobina.[23].

Esame del Carbonio 14: La datazione radiometrica con la tecnica del Carbonio 14, eseguita contemporaneamente e indipendentemente nel 1988 dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, ha dato come risultato l'intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390[1], periodo corrispondente all'inizio della Storia della Sindone certamente documentata.

Esame medico-legale: la posizione del corpo non appare in linea con ciò che avviene in un cadavere [24]. Le mani sono sovrapposte sul pube, ma in un morto ciò non è possibile, poiché la posizione richiede che i muscoli siano in tensione oppure che le mani siano legate (ma sulla sindone non c'è traccia di legacci) [24]. Il rigor mortis (tesi ad esempio sostenuta da Emanuela Marinelli[25]) non giustifica la posizione poiché se i muscoli di un cadavere vengono forzati, questi si rilassano[24].

Esame del tessuto: il tessuto della Sindone è di lino filato a mano. Le fibre sono intrecciate con torcitura "Z", cioè in senso orario, con trama 3:1. Da un punto di vista archeologico le sindoni giudaiche del I secolo conosciute sono diverse da quella di Torino[24] per tessuto, tessitura, torcitura del filo e disposizione intorno al corpo.

Esame palinologico: secondo il criminologo svizzero Max Frei Sulzer, sul tessuto della Sindone sono presenti pollini di diverse specie vegetali specifiche della Palestina e dell'Asia Minore. Il transito della Sindone per questi paesi concorda con la ricostruzione proposta per la storia della Sindone anteriore al XIV secolo. Il lavoro è stato tuttavia criticato pesantemente sia nelle conclusioni (per l'impossibilità di determinare le specie di polline ma solo il genere o la famiglia) sia nelle premesse (impossibilità dei pollini di conservarsi per centinaia di anni).


Datazione chimica: Raymond Rogers ha proposto un metodo chimico di datazione della Sindone basato sulla misura della vanillina presente nel tessuto. Secondo la sua stima, la datazione della Sindone sarebbe compresa all'incirca tra il 1000 a.C. e il 700 d.C. Lo studio però non è ritenuto attendibile: la quantità di vanillina attesa dipende però dal valore medio della temperatura dell'ambiente in cui la Sindone è stata conservata: una variazione di pochi gradi del valore effettivo corrisponderebbe ad uno slittamento di qualche secolo nella datazione. Per dimostrare l'efficacia di questo metodo di datazione e provare, quindi, la discrepanza tra età radiocarbonica ed età da vanillina residua, Rogers doveva prima datare in modo indipendente i suoi campioni sindonici. Inoltre, visto che la vanillina si disperde in base alla temperatura circostante, Rogers doveva stabilire con esattezza quali condizioni climatiche o di (sur)riscaldamento aveva subito la reliquia negli anni. Qui la sperimentazione del chimico americano è particolarmente debole[26].

Dettaglio delle mani. Non c'è accordo tra gli studiosi sulla posizione precisa della ferita; secondo alcuni sarebbe nello spazio tra ulna e radioappena retrostante il polso, come in una crocifissione romana.

Riproduzioni sperimentali [modifica] Per approfondire, vedi la voce Ipotesi sulla formazione dell'immagine della Sindone.

Diversi studiosi hanno lavorato sulla riproduzione di manufatti con alcune caratteristiche proprie della Sindone, utilizzando vari metodi per poter spiegare quale sia stato il processo di formazione dell'immagine. Sebbene siano state prodotte immagini che mostrano similitudini, non è ancora stato possibile riprodurre tutte le peculiari caratteristiche della Sindone. 

Joe Nickell ha "dipinto" un'immagine senza usare pennelli, stendendo un lenzuolo sul corpo di un uomo sdraiato e strofinandolo con un pigmento liquido a base di ocra rossa[27].

Rodante, Moroni e Delfino-Pesce hanno utilizzato il metodo del bassorilievo riscaldato [28].

Nicholas Allen ha usato la tecnica fotografica[29].

Giulio Fanti e collaboratori hanno colorato delle fibre di lino usando un laser a eccimeri. Si tratta della fase preliminare di una ricerca tesa a provare l'ipotesi che l'immagine della Sindone sia stata generata da una radiazione emessa dal corpo umano avvolto in essa[30].

Luigi Garlaschelli ha usato un metodo derivato da quello di Nickell, aggiungendo ad un pigmento una soluzione di acido solforico che ha reagito chimicamente con le fibre del tessuto creando l'immagine, mentre il pigmento è stato poi eliminato sottoponendo il telo a invecchiamento artificiale e successivo lavaggio [31][27].


La Sindone e l'iconografia di Gesù Ritratto di Gesù (a sinistra) su una moneta bizantina (solidus), VII secolo. Un altro ritratto di Gesù (a destra) su unsolidus della stessa epoca.

Nella sua raffigurazione tradizionale, Gesù è rappresentato con la barba e i capelli lunghi, come sulla Sindone. Alcuni studiosi suggeriscono che la Sindone fu in effetti il modello da cui questa raffigurazione fu ricavata (il che dimostrerebbe una sua origine molto anteriore al XIV secolo) [25]. I sostenitori dell'autenticità affermano l'esistenza di notevoli coincidenze, anche in alcuni particolari specifici, tra il volto sindonico e questo ritratto, che si afferma soprattutto a partire dal VI secolo, in concomitanza con la presunta riscoperta del Mandylion a Edessa. Essi fanno notare, inoltre, come le più antiche raffigurazioni del Mandylion mostrino un volto monocromo su tela simile a quello della Sindone[25]. Anche alcune specifiche forme di rappresentazione, come l'imago pietatis (raffigurazione del Cristo morto che sporge dal sepolcro in posizione eretta fino alla vita, con le mani incrociate davanti, in uso dal XII secolo), e dettagli come la "curva bizantina" (la particolare posizione in cui veniva dipinto Gesù crocifisso), si possono spiegare in riferimento alla Sindone [32]. Ovviamente, la somiglianza tra l'immagine presente sulla Sindone e l'iconografia precedente alle prime prove documentali dell'esistenza del telo potrebbe semplicemente essere dovuta alla sua realizzazione medievale, quando questa iconografia sarebbe stata perfettamente nota anche a chi avesse prodotto la reliquia, indipendentemente dai metodi impiegati.

Oggetti analoghi alla Sindone

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Il Sudario di Oviedo [modifica] Per approfondire, vedi la voce Sudario di Oviedo.

La Sindone è stata comparata con il presunto sudario di Gesù conservato nella cattedrale di Oviedo, nelle Asturie in Spagna. Questo è un telo molto più piccolo della Sindone (circa 84x53 cm), che non presenta alcuna immagine, ma solo macchie di sangue. È stato ipotizzato da chi sostiene l'autenticità sia di questa reliquia sia del telo di Torino, che questo sudario sia stato posto sul capo di Gesù durante la deposizione dalla croce, e poi rimosso prima di avvolgere il corpo nella Sindone, avendo quindi il tempo di macchiarsi di sangue, ma non quello per subire lo stesso processo di formazione dell'immagine della Sindone, qualunque questo sia stato. Il sudario sarebbe stato conservato a Gerusalemme fino al 614, poi trasportato in Spagna attraverso il Nordafrica; custodito prima a Toledo, venne trasportato ad Oviedo tra l'812 e l'842. Secondo Baima Bollone, che ritiene di aver individuato tracce di sangue nella Sindone durante gli esami del 1978, anche il gruppo sanguigno delle tracce presenti sul sudario corrisponde con quello rilevato sulla Sindone (gruppo AB), e un'analisi comparativa del DNA da lui effettuata avrebbe rilevato profili genetici simili. Secondo Alan Whanger, ci sarebbero ben 120 punti di contatto tra la disposizione delle macchie sul Sudario e di quelle sul volto e sulla nuca dell'immagine sindonica. La tessitura del telo con torcitura "Z" e la dimensione delle fibre sono del tutto analoghi a quelli della Sindone. Inoltre Max Frei ha studiato i pollini presenti sul tessuto, identificando tredici piante, di cui nove crescono in Palestina; il che ne avvalora


la provenienza da Gerusalemme. Non è rappresentato il gruppo delle piante dell'Anatolia e di Costantinopoli, a conferma del diverso tragitto compiuto verso l'Europa. La datazione con il Metodo del carbonio-14 ha datato il Sudario come risalente al 680 circa, data compatibile con le prime testimonianze storiche documentate dell'esistenza del Sudario in Europa. [33] Se venisse provato che il Sudario e la Sindone hanno la stessa origine, verrebbe smentita la datazione medievale del carbonio 14 della seconda, in quanto il Sudario è certamente molto più antico, sia per la sua presenza documentata ad Oviedo sia per la sua datazione con il carbonio 14, che farebbe risalire entrambe le reliquie al VII secolo, periodo comunque nettamente successivo a quello in cui è vissuto Gesù.

Il Mandylion [modifica] Per approfondire, vedi le voci Mandylion e Storia della Sindone.

Il Mandylion o "Immagine di Edessa" era un telo conservato dapprima a Edessa (oggi Urfa, in Turchia) almeno dal 544, poi dal 944 a Costantinopoli. Le fonti lo descrivono come un fazzoletto che recava impressa in modo miracoloso l'immagine del viso di Gesù. Nel 944, dopo che Edessa era stata occupata dai musulmani, i bizantini trasferirono il mandylion a Costantinopoli: qui rimase fino al1204, quando la città venne saccheggiata dai crociati, molte reliquie vennero trafugate e del sacro fazzoletto si persero le tracce. Come si è accennato sopra, alcuni ritengono che il Mandylion fosse la Sindone piegata in otto e chiusa in un reliquiario, in modo da lasciare visibile solo l'immagine del viso: questa ipotesi è la più accreditata dagli studiosi che sostengono un'origine della Sindone precedente al 1353.[34][1] Questa ipotesi è però contestata da altri autori (ad esempio Lawrence Sudbury [35]), in base ad alcune fonti storiche che parlano di Sindone e Mandylion come di due oggetti distinti: Robert de Clary, ad esempio, nella sua opera La conquête de Constantinople li menziona come entrambi presenti e venerati a Costantinopoli, durante la IV crociata, ma in due luoghi separati. A sostegno di tale ipotesi starebbe il fatto che il Mandylion era esposto alla venerazione dei fedeli e appare assai improbabile che la Sindone fosse, con grave ingombro, mantenuta ripiegata in modo da far vedere il solo volto di Gesù.

Questa voce o sezione sull'argomento storia è ritenuta da controllare. Motivo: Si citano come fonti testi antichi di difficile verificabilità, mentre non ci sono fonti dirette relative alle "recenti scoperte del prof. Zaninotto". Peraltro, il fatto che fonti antiche identifichino del "sangue" sul telo di Edessa (ammesso che lo fosse realmente, stiamo parlando di fonti, peraltro di parte, del X secolo), non si capisce come possa essere prova per identificare i due oggetti. Partecipa alla discussione e/o correggi la voce. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.

La tesi che afferma l'esistenza di due tipologie di raffigurazioni (una parziale: volto; una integrale: volto e corpo), non esclude comunque che uno dei due Mandylia potesse concretamente coincidere con la attuale Sindone. Non si dimentichi che in effetti il vangelo di Giovanni parla dei lini e del sudario posto sul volto, di tal che l'esistenza di due raffigurazioni del volto del crocifisso, può assai semplicemente essere ricondotta alla duplicità dei teli che ne coprirono la figura. Se da un lato, in ogni caso, si deve sottolineare come la descrizione del Mandylion si confonda, a tratti, con quella degli altri Sacri Volti di cui parlano le fonti, in termini persino leggendari, dall'altro depongono, in maniera significativa, a favore dell'identificazione fra l'antico Mandylion di Edessa - descritto come non dipinto da mano d'uomo, ma prodottosi miracolosamente a contatto con il volto di Gesù - e la Sindone, le recenti scoperte del prof. Zaninotto, che indica in tal senso due documenti di eccezionale interesse. L'uno è un resoconto dell'arrivo del Mandylion a Costantinopoli nel 944 d.C. resoconto sostanzialmente coevo, risalente al X secolo, compilato da "Gregorio arcidiacono e referendario della grande


Chiesa di Costantinopoli" (di Santa Sofia) - in cui, parlandosi del Sacro Volto pervenuto da Edessa nella capitale, si specifica (per la prima volta, nei documenti giunti sino a noi) la presenza, su quel telo, di "gocce del sangue sgorgato dal suo (di Cristo n.d.r.) stesso fianco"(Cod. Vat. Gr. 511, fogli 143-150 v.). Dunque su un Mandylion non si era impresso, misteriosamente, il solo volto del Cristo, ma (quantomeno) anche il tronco, sino all'altezza del costato trafitto da un colpo di lancia. L'altra testimonianza è desumibile dal Codex Vossianus latinus (Q 69),conservato nella biblioteca della Rijksunversiteit di Leida. Trattasi di un manoscritto, anch'esso del X secolo, che riporta un racconto dell'VIII secolo, proveniente dall'area siriaca, tradotto in latino dall'archiatra Smirna. Più esplicito ancora dell'arcidiacono Gregorio, l'archiatra ricorda che sul Mandylion è riportata l'impronta di tutto il corpo del Cristo ([tantum non] figuram faciei sed totius corporis figuram poteris cernere). Le antiche fonti - pur contraddittorie nella descrizione degli eventi che diedero luogo alla miracolosa immagine del Cristo - definiscono questo telo: tetradyplon e cioè quattro volte doppio. Dunque, piegato otto volte. Dipanando il logico senso delle emergenze documentali sopra riassunte, non sembra azzardato concludere che uno dei Mandylia (se realmente due erano i teli) raffigurava il solo volto, qualora piegato in otto; risultava invece essere un sudario completo su cui appariva impressa l'immagine di tutto il corpo (nudo, anche se con il pube coperto dalle mani, e forse per questa ragione ritenuto non liberamente ostensibile) del defunto crocifisso, se dispiegato quattro volte per due. [senza fonte]

Il velo della Veronica [modifica] Per approfondire, vedi la voce Velo della Veronica.

Una leggenda sostiene che una donna, di nome Veronica, asciugò il volto di Gesù con un panno durante la sua salita al Calvario; sul panno si impresse miracolosamente l'immagine del volto. Questo racconto è talmente noto che l'incontro di Gesù con la Veronica è una delle tradizionali stazioni della Via crucis. Fino al 1600 circa si conservava a Roma il presunto velo della Veronica; ne fanno menzione anche Dante nella Divina Commedia (Paradiso XXXI, 103-108) e Petrarca nei Rerum vulgarium fragmenta(Componimento XVI, vv. 911) s:Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/Movesi il vecchierel canuto et biancho. È stato ipotizzato che si trattasse della stessa immagine oggi nota come Volto Santo di Manoppello, comune in provincia di Pescara.[senza fonte]

La Sindone di Besançon [modifica] A Besançon, in Francia, a circa 200 km da Lirey, si trovava un'altra Sindone; sembra che vi fosse giunta nel 1208. Era più piccola della Sindone di Torino (1,3 x 2,6 m) e mostrava solo l'immagine anteriore. Era oggetto di un'intensa venerazione, meta di pellegrinaggio ed era ritenuta miracolosa. La Sindone di Besançon scomparve in un incendio nel 1349, ma nel 1377 i canonici della cattedrale annunciarono di averla ritrovata intatta in un armadio. Nel 1794 andò definitivamente distrutta durante la Rivoluzione francese.[36] Alcuni storici ipotizzano che questa, e non quella di Torino, fosse la Sindone che veniva esposta a Costantinopoli fino al 1204; Altri[37] ipotizzano invece che la Sindone scomparsa nell'incendio del 1349 fosse quella di Torino (l'incendio in cui venne data inizialmente per distrutta precede di pochissimi anni la comparsa di quest'ultima a Lirey) e che quella "ritrovata" nel 1377 fosse una copia; altri ancora ipotizzano che proprio la Sindone di Torino fosse una copia effettuata per sfruttare la fama di quella della vicina Besançon ed attirare quindi a Lirey i pellegrini, dubbi che, dopo la prima ostensione del 1357, portarono il vescovo di Troyes, Enrico di Poitiers, a chiedere, senza successo, di esaminare il telo, che venne tenuto nascosto fino al 1389.[36]

Copie della Sindone [modifica]


Sono note circa 50 copie della Sindone, eseguite da vari pittori in diverse epoche. Una tra le più note, realizzata nel 1516 e conservata a Lier in Belgio, è attribuita ad Albrecht Dürer, ma questa attribuzione è controversa[38]. In nessun caso queste copie sono confondibili con l'originale: i segni della pittura sono evidenti, l'immagine ha contorni netti anziché sfumati, spesso vi sono distorsioni anatomiche. Inoltre in molti casi sul lenzuolo è esplicitamente scritto che si tratta di una copia, la data di realizzazione e, a volte, che fu "consacrata" ponendola a contatto con l'originale. Alcune poi non sono nemmeno in grandezza naturale: ad esempio la copia di Lier è un terzo della grandezza. [senza fonte]

Il Graal [modifica] Recentemente lo storico Daniel Scavone ha avanzato l'ipotesi che il Graal, il misterioso oggetto protagonista delle più celebri leggende medievali, non fosse altro che la Sindone [39]. Scavone ipotizza che la leggenda del Graal sia stata ispirata dalle frammentarie notizie giunte in Occidente di un oggetto legato alla sepoltura di Gesù e che ne "conteneva" il sangue; si pensò quindi che si trattasse di una coppa o di un piatto, le forme in cui il Graal è solitamente rappresentato. A supporto di questa teoria Scavone nota che, secondo alcune fonti, il Graal offriva una particolare "visione" di Cristo nella quale egli appariva prima come bambino, poi via via più grande, infine adulto: egli ipotizza che queste fonti riportassero, in modo impreciso, un rituale nel quale la Sindone veniva dispiegata gradualmente (in latino gradalis, da cui secondo questa ipotesi deriverebbe la parola "Graal") e la sua immagine era resa visibile, man mano che il rito procedeva, in misura sempre maggiore, fino ad essere mostrata nella sua interezza.

Un fedele in preghiera dinanzi allaSacra Sindone, custodita nel Duomo di Torino

Inoltre, secondo le sue ricerche, la notizia secondo la quale Giuseppe d'Arimatea (indicato dalla tradizione come custode del Graal) avrebbe raggiunto la Gran Bretagna deriverebbe da un'errata lettura della parola Britio, nome del palazzo reale di Edessa, che sarebbe stata fraintesa per Britannia; il "Britannio rege Lucio" citato da una fonte del VI secolo sarebbe in realtà Abgar VIII, re di Edessa (177-212), che aveva assunto il nome latino di Lucio Elio (o Aurelio) Settimio. Questa teoria si accorda quindi con quella dell'identificazione tra Mandylion e Sindone.

La Sindone nella cultura popolare Al pari di altre reliquie della religione cristiana particolarmente note, la Sindone negli ultimi anni è stata citata o utilizzata nelle opere di diversi scrittori e sceneggiatori.


Nel romanzo Il codice dell'apocalisse di Andrea Carlo Cappi e Alfredo Castelli, che ha come protagonista il personaggio dei fumetti italiani Martin Mystere, la Sindone esposta a Torino è in realtà una copia effettuata da Leonardo da Vinci (grazie alla conoscenza della camera oscura) alla fine del XV secolo, realizzata per permettere alla chiesa di custodire con più sicurezza quella precedentemente esposta. Nel romanzo Leonardo non si limita a farne una mera copia, ma, tramite un antico libro di magia risalente al tempo di Atlantide, rende questa un oggetto magico in grado di "catalizzare" le preghiere dei fedeli che l'adorano, di valenza benefica, ed impiegarle per allontanare le forze malvagie da Torino. Nel libro, un demone - Belial - proclamatosi "Signore del Male", che sta cercando da secoli di scatenare l'Apocalisse, cercherà di disattivarne i poteri, in modo da poter aprire un portale con gli Inferi e far giungere sulla Terra altre creature demoniache.

Note [modifica] 1.

^ a b c d e f g h Il sacro lino: una storia controversa dal sito dell'Enciclopedia Italiana Treccani.

2.

^ Vedi Storia della Sindone#Mandylion.

3.

^ Vedi Giovanni 20, 6-7.

4.

^ Giulio Ricci, L'uomo della Sindone è Gesù, 1989, p. 22.

5.

^ Giacomo Galeazzi (26 maggio 2009). "La Sindone appartiene allo Stato italiano". La Stampa.

6.

^ Atto di sindacato ispettivo. 09 giugno 2009, n. 4-01563. Senato della Repubblica Italiana.

7.

^ Giacomo Galeazzi (28 maggio 2009). Sindone, la proprietà finisce in Parlamento. La Stampa.

8.

^ Descrizione del tessuto sul sito ufficiale

9.

^ [www.icfalcone.it/elaborati/religioni/sindone.doc Vedi pagine 11-12]

10. ^ Ad esempio, tra gli autenticisti Alan Adler e Barrie Schwortz, due membri dello STURP, sono ebrei, mentre Yves Delage, autore di uno dei primi studi scientifici nel 1902, era agnostico.[senza fonte]

11. ^ Studio Usa: Sulla Sacra Sindone Il Volto Di Leonardo Non Di Gesù. Yahoo! Notizie, 01-07-09. URL consultato il 13-07-09. 12. ^ Emanuela Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", edizioni San Paolo (1998) 13. ^ Eugenia Tognotti. Gli scienziati credono nel dubbio. La Stampa, 10-04-2010. URL consultato il 13-04-2010. 14. ^ Giuseppe Berta, "Della Sacra Sindone di nostro signore Gesù Cristo", presso i fratelli Reycend, 1842 15. ^ Pierluigi Baima Bollone, "Sindone la prova", Oscar Mondadori, 1998 16. ^ Il 5 settembre 1936 papa Pio XI distribuì a ad un gruppo di giovani dell'Azione Cattolica delle immagini del volto della Sindone dichiarando: «Non sono proprio immagini di Maria SS., ma [...] del Divin Figlio suo [...]. Esse vengono proprio da quell'ancor misterioso oggetto, ma certamente non di fattura umana, questo si può dir già dimostrato, che è la santa Sindone di Torino...» (L'Osservatore Romano, 7 settembre 1936). Papa Pio XII, radiomessaggio inviato al termine delCongresso Eucaristico Nazionale del 1953: «Torino [...]


custodisce come prezioso tesoro la Santa Sindone che mostra [...] l'immagine del corpo esanime e del Divino Volto affranto di Gesù». Papa Giovanni XXIII, al termine di un colloquio con i gruppi "Cultores Sanctas Sindonis" che gli avevano presentato delle foto della reliquia, ripeté più volte, scandendo le parole: «Digitus Dei est hic!» (16 febbraio 1959). Papa Giovanni Paolo II, dopo l'ostensione privata avvenuta il 13 aprile 1980 in occasione della sua visita a Torino: «La Sacra Sindone, singolarissima testimone - se accettiamo gli argomenti di tanti scienziati - della Pasqua, della passione, della morte e della risurrezione. Testimone muto ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente» (L'Osservatore Romano, 14-15 aprile 1980). Stralcio di un discorso tenuto a Roma da Wojtyła il20 aprile successivo: «la cattedrale di Torino, il luogo dove si trova da secoli la Sacra Sindone, la reliquia più splendida della passione e della risurrezione» (L'Osservatore Romano, 21-22 aprile 1980). Citazioni tratte da Gino Moretto, Sindone - La guida, Editrice Elle Di Ci 1998.

17. ^ www.shroud.com/pdfs/doclist.pdf 18. ^ http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/2011/6-giugno-2011/sindone-firmata-giotto-190806249920.shtml Corrier e Fiorentino, 6 giugno 2011

19. ^ Chiesa: Zaccone, la Sindone non contiene tracce di pittura. 7 giugno 2011 20. ^ McCrone, Walter C., "Microscopical study of the Turin Shroud", Wiener Berichte über Naturwissenschaft in der Kunst. 1987 21. ^ John H. Heller, Alan D. Adler, Blood on the Shroud of Turin, Applied Optics 19(16), 2742 (1980) 22. ^ John H. Heller, Alan D. Adler, "A chemical investigation of the Shroud of Turin", Canadian Society of Forensic Science Journal 14(3), 81 (1981)

23. ^ Si obietta tuttavia che Heller e Adler per le loro ricerche fecero uso del test delle porfirine che tuttavia non è un test specifico del sangue e che darebbe risultati positivi anche su un vegetale. Cfr. Micromega, 4/2010, Articolo di Luigi Garlaschelli, pag. 27 e ss.

24. ^ a b c d Micromega, 4/2010, Articolo di Luigi Garlaschelli, pag. 27 e ss. 25. ^ a b c Emanuela Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit. 26. ^ http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=102011#Punto_3_le_analisi_chimiche_di_RogersSulle analisi chimiche di Rogers] 27. ^ a b "Ecco come ho riprodotto la Sindone in laboratorio", sito del CICAP, 10 ottobre 2009 [1] 28. ^ Aldo Guerreschi, The Turin Shroud and photo-relief technique (2000) [2], p.3. 29. ^ Nicholas P.L. Allen, Verification of the Nature and Causes of the Photo-negative Images on the Shroud of Lirey-ChambéryTurin [3]; The methods and techniques employed in the manufacture of the Shroud of Turin, Unpublished D.Phil. thesis, University of Durban-Westville (1993); Is the Shroud of Turin the first recorded photograph?, The South African Journal of Art History, November 11, 23-32 (1993); The Turin Shroud and the Crystal Lens, Empowerment Technologies Pty. Ltd., Port Elizabeth, South Africa (1998)

30. ^ Giuseppe Baldacchini, Paolo Di Lazzaro, Daniele Murra, Giulio Fanti, "Coloring linens with excimer lasers to simulate the body image of the Turin Shroud", Applied Optics 47(9), 1278 (2008)


31. ^ Philip Pullella, Italian scientist reproduces Shroud of Turin, Reuters, 5 ottobre 2009 [4]; Laura Laurenzi, Sindone. È un falso medievale. Ecco la prova, La Repubblica, 5 ottobre 2009 [5]

32. ^ Emanuela Marinelli, cit., pp. 92-95. 33. ^ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 118 34. ^ Ian Wilson, The Shroud of Turin, Image Books, New York, 1979. 35. ^ Lawrence M.F. Sudbury, Non per mano d'uomo?, Napoli, Boopen, 2007, ISBN 978-88-6223-070-4 36. ^ a b Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 13 e seguenti 37. ^ Daniel Scavone, Objections to the Shroud's authenticity: the radiocarbon date (1993) [6] 38. ^ Remi van Haelst, The Red Stains on the Lier and Other Shroud Copies [7] 39. ^ Daniel Scavone, Joseph of Arimathea, the Holy Grail and the Turin Shroud (1996) [8]; "Joseph of Arimathea, the Holy Grail and the Edessa Icon", Arthuriana 9, 4, p. 3 (1999); Collegamento Pro Sindone (2002) [9]

Bibliografia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Bibliografia sulla Sindone di Torino.

Voci correlate [modifica] Storia della Sindone

 

Sindone evangelica

Mandylion Studi scientifici sulla Sindone

 

Esame del Carbonio 14 sulla Sindone

Ipotesi sulla formazione dell'immagine della Sindone

Iconografia di Gesù

Sudario di Oviedo, altra reliquia cristiana, presunto sudario di Gesù.

Sindone di Akeldamà, una sindone giudaica del I secolo.

Ostensione

Cappella della Sacra Sindone

Museo della Sindone


La copia di Arquata

Altri progetti [modifica] 

Wikisource contiene opere originali di o su Sindone di Torino

Commons contiene file multimediali su Sindone di Torino Articolo su Wikinotizie: Papa Benedetto XVI autorizza l'ostensione della Sindone per il 2010

2 giugno 2008

Collegamenti esterni [modifica] 

Sindone.org - Sito ufficiale

Sindone.it - Centro Internazionale di Sindonologia - Studi scientifici e Museo della Sindone

La Storia siamo noi - Indagine sulla Sacra Sindone

La Sindone di Torino - Sito che esprime una posizione scettica

Il sacro lino: una storia controversa dal sito dell'Enciclopedia Italiana Treccani

Fotografie della Sindone in formato digitale ad alta risoluzione: 

Foto di Secondo Pia (1898)

Foto di Giuseppe Enrie (1931)

Foto dopo il restauro del 2002

(EN)Shroud.com Sito autenticista con studi e foto sulla Sindone

(EN)/ c.s. "Science and the Shroud" 1998, Torino

(EN)Testo di sedici documenti fra il 944 e il 1247 che menzionano la sindone o il mandilion di Edessa

Storia

Studi scientifici

Storia della Sindone · Sindone evangelica · Mandylion · Duomo di Torino · Cappella del Guarini

Studi scientifici sulla Sindone · Esame del carbonio 14 · Ipotesi sulla formazione dell'immagine

Rapporto con Gesù e con l'arte Gesù · Passione di Gesù · Via Crucis · Iconografia di Gesù · Cristo Pantocratore


Altre reliquie correlate

Sudario di Oviedo · Volto Santo di Manoppello · Strumenti della Passione · Vera Croce

Sudario di Oviedo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'arca che contiene il Sudario di Oviedo.

La croce degli Angeli e, sullo sfondo, il Sudario contenuto in un reliquiario di cristallo.

Il Sudario di Oviedo (in spagnolo: Sagrado Rostro, "Santo Volto"), conosciuto anche come Telo di Oviedo, è una reliquia della Chiesa cattolica, costituita da un telo di lino di dimensioni ridotte (circa 0,84 per 0,53 m) conservato nella Cámara Santa della cattedrale di San Salvador ad Oviedo, in Spagna. Le analisi col metodo del carbonio-14 hanno datato il telo al 700 circa[1]. Secondo la tradizione cristiana questo telo sarebbe stato usato per avvolgere il capo di Gesù dopo la sua morte e sino all'arrivo al sepolcro, quando, come d'uso, era stato tolto prima d'avvolgere il cadavere nel lenzuolo diversamente dalla più famosa Sindone di Torino, esso non porta impressa alcuna immagine, ma solo macchie di sangue. Il Sudario viene esposto alla venerazione dei fedeli tre volte l'anno: il Venerdì Santo, il 14 settembre (Festa del trionfo della croce) e il 21 settembre (san Matteo apostolo ed evangelista).

Indice 

1 Tradizione e storia

2 Esami scientifici

3 Il sudario e la Sindone

4 Note

5 Voci correlate




6 Collegamenti esterni


Tradizione e storia

Cattedrale di Oviedo.

Secondo la tradizione, il Santo Sudario fu conservato a Gerusalemme fino al 614. In quell'anno la città fu invasa dai Sasanidi di Cosroe II Parviz, e il sudario insieme ad altre reliquie fu trasportato via in un'"Arca Santa" di legno: viaggiando attraverso il Nordafrica, giunse in Spagna, dove fu conservato a Toledo fino alla prima metà dell'VIII secolo, quando l'invasione musulmana costrinse a trasferirlo; infine raggiunse Oviedo tra l'812 e l'842[2]. L'"Arca Santa" venne aperta nel 1075 alla presenza del re Alfonso VI; è solo da questo momento in poi che il Sudario compare negli inventari delle reliquie della cattedrale, da cui risulta la sua ininterrotta permanenza ad Oviedo fino ad oggi. [2] [3]

Esami scientifici [modifica] La datazione con il metodo del carbonio-14 ha datato il Sudario come risalente al 680 circa[4], data compatibile con la sua comparsa a Toledo. Secondo le ricerche del Centro Spagnolo di Sindonologia, le macchie sul sudario sono di sangue e liquido di edema polmonare, prodottesi in diversi momenti successivi mentre il telo era avvolto sulla testa di un cadavere: inizialmente il corpo era in posizione verticale con il capo reclinato 70 gradi in avanti e 20 gradi verso destra. Successivamente il cadavere fu spostato a formare un angolo di 115 gradi, con la fronte appoggiata contro una superficie dura. Infine fu disteso supino, dopo di che il sudario venne rimosso dalla testa. Secondo gli studi del sindonologo Pierluigi Baima Bollone il sangue risulterebbe di gruppo AB[5]. Il criminologo svizzero Max Frei ha studiato i pollini presenti sul telo e avrebbe riconosciuto specie caratteristiche della Palestina e del Nordafrica, il che confermerebbe il viaggio del Sudario indicato dalla tradizione; sono assenti invece specie caratteristiche del resto d'Europa e della Turchia[5]. Franca Pastore Trosello ha esaminato la struttura tessile del Sudario e rilevato che le fibre sono state filate a mano con torcitura "Z", mentre la trama del tessuto è ortogonale[5]. Anche il Centro Spagnolo di Sindonologia ha effettuato un test del carbonio 14, datando il reperto tra il VII e il VIII secolo, ma i suoi membri hanno sostenuto che questa data potrebbe essere frutto di contaminazioni da funghi. Antonio Alonso, membro dell'Instituto Nacional de Toxicología y Ciencias Forenses, unico istituto non cristiano ad indagare il Sudario di


Oviedo, ha affermato in risposta che «l'unica prova scientifica è quella del Carbonio 14 e dice che la reliquia è falsa», ritenendo errata la tesi della contaminazione, specificando però che, pur non risalendo al primo secolo, lo studio del telo rimarrebbe comunque interessante.[6]

Il sudario e la Sindone [modifica] Per approfondire, vedi la voce Studi scientifici sulla Sindone.

La comparazione del Sudario di Oviedo con la Sindone di Torino è ovviamente di grande interesse, e se venisse provato che essi hanno la stessa origine, ciò costituirebbe un forte indizio a favore dell'autenticità di entrambi. Come si è detto, la presenza del Sudario è ben documentata a Oviedo dall'XI secolo, mentre non risulta che la Sindone di Torino (le cui prime tracce documentate risalgono al 1353) né quella simile di Besançon (le cui prime tracce documentate risalgono al 1208, andata distrutta durante la Rivoluzione Francese), siano mai state in Spagna. Per entrambe le reliquie, il sangue è stato identificato come umano e di gruppo AB (vedi Studi scientifici sulla Sindone#Esame del sangue). Inoltre, secondo Giulio Ricci, la forma delle macchie sul Sudario presenta una compatibilità "molto buona" con l'immagine del volto impresso sulla Sindone e numerosi dettagli coincidono. Dello stesso parere è Alan Whanger che ha contato oltre cento punti di congruenza tra le due figure [5]. La grossezza e la torcitura delle fibre del tessuto corrispondono a quelle della Sindone [5]; la trama invece è diversa, essendo ortogonale per il Sudario e a spina di pesce per la Sindone (vedi Studi scientifici sulla Sindone#Esame del tessuto). Lo studio dei pollini eseguito da Max Frei sul Sudario e sulla Sindone suggerisce la provenienza di entrambi i teli dalla Palestina, ma seguendo due diversi percorsi: Nordafrica e Spagna per il Sudario, Turchia ed Europa orientale per la Sindone (vedi Studi scientifici sulla Sindone#Esame palinologico). In entrambi i casi questi percorsi corrispondono alla tradizione (vedi Storia della Sindone). Va comunque notato che, nonostante numerosi fraintendimenti, in nessun caso il sudario può essere ritenuto un'immagine acheropita del Cristo (cioè una immagine, come si suppone sia la Sindone, sviluppatasi miracolosamente e senza intervento umano): il sudario, infatti, mostra unicamente tratti derivanti da contatto con sangue umano e fisicamente assolutamente normali, senza alcuna immagine che derivi da alcunché di diverso dal contatto tra telo e sangue stesso [7].

Note 1.

^ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 118

2.

^ a b (ES) Centro Español de Sindonologia, ¿Qué afirma la Tradición sobre el Sudario? [1] [2]

3.

^ Enrique López, "Las reliquias y la Càmara Santa de la Catedral de Oviedo", Studium Orvetense, 31 (2003), pp. 154-217. Citato in Antonio Lombatti, La relazione di Enrique Lopez sul Sudario [3]

4.

^ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 118

5.

^ a b c d e Centro Español de Sindonologia, Estudios Científicos [4]; Nace el E.D.I.C.E.S. [5]; Hipótesis sobre la colocación del Sudario [6]

6.

^ Ana Salas, El Instituto Nacional de Toxicología sopesa abandonar la investigación sobre el Santo Sudario, El Comercio, 8 luglio 2007 [7]

7.

^ Lawrence M.F. Sudbury, Non per mano d'uomo?, Napoli, Boopen, 2007, ISBN 978-88-6223-070-4



Voci correlate 

Sindone di Torino

Sindone di Akeldamà, una vera sindone giudaica del I secolo

Velo della Veronica

Mandylion

Acheropita


Velo della Veronica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Santa Veronica e il velo con il volto diGesù, dipinto del 1433 di Hans Memling.

Il Velo della Veronica è una reliquia cristiana. Consiste in un panno di lino, in origine possesso di Santa Veronica, nel quale è impresso un volto che si ritiene essere quello di Gesù. Sono numerose le reliquie cristiane pervenuteci o perdute che la tradizione cristiana ha identificato col Velo della Veronica. Indice

1 Origine della leggenda

2 Reliquie contemporanee

3 Velo, Mandylion e Sindone

8 Immagini simili collegate al Mandylion

o

8.1 Sacro Volto di Genova

4 Note

o

5 La storia

8.2 Volto Santo di S. Silvestro

6 Storia del Velo 9 Immagine di Manoppello 7 Immagini tradizionalmente collegate con il Velo della 10 Arte rappresentativa

Veronica

o

7.1 Basilica di S. Pietro

o

7.2 Il Palazzo Hofburg, Vienna

o

7.3 Monastero del Volto Santo, Alicante, Spagna

o

7.4 La cattedrale di Jaén, Jaén, Spagna

11 Note

12 Bibliografia

13 Voci correlate

14 Altri proget 15 Collegamenti esterni

Origine della leggenda La leggenda del Velo della Veronica si è progressivamente sviluppata lungo i secoli. Nei Vangeli sinottici, composti entro il I secolo, è presente il racconto di una donna anonima che viene miracolosamente guarita da un flusso di sangue toccando Gesù (Mt9,20-22;Mc5,25-34;Lc8,43-48). A parte questo accenno l'emorroissa non viene citata altrove nel Nuovo Testamento.


Nell'apocrifo Vangelo di Nicodemo, scritto originariamente in greco nel II secolo e pervenutoci in diverse redazioni o recensioni, l'emorroissa ricompare durante il processo di Gesù testimoniando inutilmente a suo favore. Nella recensione greca A (cap. 7, tr. it.) l'emorroissa è anonima, mentre nel papiro copto di torino (cap. 5,6 tr. it.) e nella recensione latina (cap. 7, tr. it.) la donna è chiamata Veronica. Il nome è l'adattamento del greco "Berenice" (Βερενίκη), forma macedone corrispondente al greco classico "Ferenice" (Φερενίκη), significante "portatrice di vittoria" (φέρω = portare + νίκη = vittoria). [1] È probabile che nel passaggio dal greco al latino l'assonanza del nome "Veronica" con vera icon (=vera icona-immagine) abbia progressivamente generato nella fantasia popolare la leggenda della "Vera icona" della "Veronica". In passato si riteneva al contrario che il nome della donna fosse derivato dall'immagine. [2] La leggenda fa la sua prima comparsa in alcuni scritti apocrifi tardi appartenenti al Ciclo di Pilato (talvolta erroneamente citato come Atti di Pilato): Guarigione di Tiberio, Vendetta del Salvatore e Morte di Pilato. I tre scritti ci sono pervenuti in autonome redazioni latine medievali (rispettivamente del VIII, IX e XIV secolo) che derivano da una versione precedente andata perduta, probabilmente del VI secolo. [3] La trama dei tre apocrifi è sostanzialmente la stessa: l'imperatore Tiberio gravemente ammalato invia a Gerusalemme Volusiano che punisce i responsabili della morte di Gesù, trova una sua immagine in possesso della Veronica (coincidente con l'anonima emorroissa sanata da Gesù, vedi Mc5,25-34 e paralleli), la conduce a Roma e grazie ad essa l'imperatore è guarito. Nella Guarigione di Tiberio (tr. it.), il testo più antico, l'immagine di Gesù era usata dalla Veronica come cuscino e questo le procurava una buona salute. Aveva fatto dipingere l'immagine "per amor suo". Dopo la guarigione Tiberio adora l'immagine di Gesù e ordina che "fosse circondata di oro e di pietre preziose". Nella Vendetta del Salvatore (tr. it.) non è specificato se l'origine dell'immagine sul panno di lino sia miracolosa o dipinta. Il panno è conservato avvolto in un tessuto d'oro riposto in uno scrigno, è oggetto di venerazione ed è causa di miracoli. La Morte di Pilato (tr. it), il testo più recente, specifica invece l'origine miracolosa dell'immagine in possesso della Veronica: "Quando il mio Signore girava predicando, io con molto dispiacere ero privata della sua presenza; volli perciò dipingermi un'immagine affinché, privata della sua presenza, avessi un sollievo almeno con la rappresentazione della sua immagine. Mentre stavo portando un panno da dipingere al pittore, mi venne incontro il mio Signore e mi domandò dove andavo. Avendogli manifestato il motivo del mio viaggio, egli mi richiese il panno e me lo restituì insignito della sua venerabile faccia".Nel rito popolare della Via Crucis, sviluppato e consolidato nel basso medioevo, è presente una diversa versione della leggenda: la Veronica incontrò Gesù durante la sua salita al Calvario e gli asciugò il volto con un panno di lino. In esso sarebbe rimasta impressa la sua immagine.

Reliquie contemporanee [modifica] Sono numerose le reliquie cristiane pervenuteci o perdute che la tradizione cristiana ha identificato col Velo della Veronica. 

Un'immagine conservata presso la basilica di san Pietro in Vaticano.

Un'immagine conservata presso il Monastero dei Ss. Cosma e Damiano in Tagliacozzo (Aq) copia di quello custodito in san Pietro in Vaticano.

Un'immagine conservata presso la Cappella Matilde in Vaticano.

Un'immagine conservata presso il Palazzo Hofburg a Vienna, in Austria.

Un'immagine conservata presso il Monasterio de la Santa Faz ad Alicante, in Spagna.


Un'immagine conservata presso la cattedrale di Jaén, in Spagna.

Un'immagine conservata presso la chiesa di san Bartolomeo degli Armeni a Genova.

Il Volto Santo di Manoppello (PE)

Velo, Mandylion e Sindone Secondo alcuni storici cristiani le leggende relative al Velo della Veronica, che nelle versioni pervenuteci sono sicuramente a-storiche, poggiano comunque su un dato storico: l'esistenza nell'antichità di una reliquia con il volto di Gesù, il Mandylion (=fazzoletto in siriaco) di Edessa. A partire da questa antica reliquia si sarebbero diffuse in occidente sia copie di essa sia le varie leggende ad esse associate. Quanto alla Sindone di Torino, il legame diretto tra questa e le leggende è inesistente: la Sindone è un lenzuolo funebre e reca impressa una figura intera umana, mentre le leggende, come le icone pervenuteci, sono relative a un panno di limitate dimensioni con il solo volto raffigurato. Secondo i sindonologi autenticisti tuttavia la Sindone di Torino coincide col Mandylion di Edessa, che sarebbe stato esposto alla venerazione pubblica piegato in modo tale da mostrare il solo volto. Secondo questa ipotesi quindi le leggende e le copie occidentali del Velo della Veronica si fondano indirettamente sulla Sindone-Mandylion, e l'esame dei tratti iconografici comuni a veli e Sindone ne sarebbe la prova.

Note 1.

^ Vedi dizionario Liddell-Scottt.

2.

^ Vedi voce S. Veronica nella Enciclopedia Cattolica (1913-1917): "By degrees, popular imagination mistook this word for the name of a person e attached thereto several legends which vary according to the country".

3.

^ Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, pp. 728-732. A sinistra: la Cappella del Volto Santo sulla Via Dolorosa, Gerusalemme.

A destra: "Santa Veronica",scultura di Francesco Mochi (1629-1632).Basilica di S. Pietro.

Il Velo della Veronica, spesso chiamato semplicemente "La Veronica" e noto in Italiano come il Volto Santo, ma da non confondersi con il crocifisso intagliato Volto Santo di Lucca) è una reliquia cattolica, che, secondo la leggenda, ritrae l'immagine del Volto di Gesù non prodotta da mano umana (cioè un Acheiropoieta). La versione più recente della leggenda narra che Veronica da Gerusalemme incontrò Gesù lungo la Via Dolorosa sulla strada verso il Calvario. Quando la donna si fermò per asciugarne il sudore (Latino suda) dal viso con il suo velo, l'immagine di Cristo fu impressa sul panno. L'evento è commemorato da una delle Stazioni della Croce. Secondo alcune versioni, Veronica più tardi si recò a Roma per presentare il panno all'Imperatore Romano Tiberio; il velo possiede proprietà miracolose, in quanto in grado di spegnere la sete, curare la cecità, e talvolta perfino risuscitare i morti.


La storia non è documentata nella sua forma attuale fino al Medioevo e, per questa ragione, non è probabile che sia verità storica. Piuttosto, è più probabile che le sue origini possano trovarsi nella storia dell'immagine di Gesù associata con la Chiesa Orientale conosciuta come il Mandylion, unita al desiderio dei fedeli di poter vedere il volto del loro Redentore. Durante il XIV secolo divenne un'icona centrale nella Chiesa Occidentale – nelle parole del Direttore di Museo Neil Macgregor – “Dal [XIV secolo] in poi, dovunque sia andata la chiesa di Roma, la Veronica è andata con lei ” [1].

La storia [modifica] Non ci sono riferimenti alla storia di Veronica e del suo velo nei Vangeli canonici. Il più vicino è il miracolo della donna che fu curata toccando l'orlo della tunica di Gesù (Luca (8:43-48); il suo nome è più tardi identificato con Veronica dagli apocrifi "Atti di Pilato". La storia fu in seguito elaborata nell'XI secolo aggiungendo che Cristo le diede un ritratto di se stesso su un panno, con cui lei più tardi curò Tiberio. Il collegamento di ciò con la Via Crucis nella Passione, e l'apparizione miracolosa dell'immagine avviene solo intorno al 1380, nel libro internazionalmente popolare, Meditazioni sulla vita di Cristo[2]. È anche a questo punto che altri dipinti dell'immagine cambiano fino a comprendere una corona di spine, sangue, e l'espressione di un uomo sofferente.[3] Sulla Via Dolorosa a Gerusalemme c'è una piccola cappella, nota come la Cappella del Volto Santo [4]. Tradizionalmente, questa è considerata la casa di Santa Veronica e luogo del miracolo [5]. Secondo l'Enciclopedia Cattolica, il nome "Veronica" è una parola composta popolare con la parola Latina Vera, che significa vera, e la parola Greca Icon che significa "immagine"; il Velo di Veronica pertanto fu ampiamente considerato, nel Medio Evo, come la "vera immagine", e la veridica rappresentazione di Gesù, precedente allaSindone di Torino.[6]

Storia del Velo [modifica] Si è spesso ipotizzato che la Veronica era presente nella vecchia chiesa di San Pietro durante il papato di Giovanni VII (7058) dato che la cappella conosciuta come la cappella della Veronica fu costruita durante il suo regno, e questa sembra essere stata l'opinione di scrittori più tardi. Tutto questo è ben lontano dall'essere certo, comunque, dato che i mosaici che adornano questa cappella non si riferiscono in alcun modo alla storia della Veronica. Inoltre, gli scrittori contemporanei non fanno riferimento al Velo in questo periodo. Sembrerebbe comunque che la Veronica si trovava sul posto per il 1011 quando uno scriba fu identificato come custode del panno[2]. Comunque, memorie sicure del velo iniziano solo nel 1199 quando due pellegrini di nome Gerald de Barri (Giraldus Cambrensis) e Gervasio di Tilbury fecero due racconti in tempi diversi di una visita a Roma che facevano riferimento diretto all'esistenza della Veronica. Poco dopo ciò, nel 1207, il panno acquistò maggiore notorietà quando fu mostrato ed esposto pubblicamente da Papa Innocenzo III1297, che garantì anche indulgenze a chiunque vi pregasse davanti. Questa ostensione, tra S. Pietro e l'Ospedale Santo Spirito, divenne un evento annuale e in una di tali occasioni nel 1300 Papa Bonifacio VIII, fu ispirato a proclamare il primo Giubileo nel 1300. Durante questo Giubileo la Veronica fu mostrata pubblicamente e divenne una delle "Mirabilia Urbis" ("meraviglie della Città") per ipellegrini che visitavano Roma. Per i successivi duecento anni la Veronica fu condiderata come la più preziosa di tutte le reliquie cristiane. In seguito al Sacco di Roma nel 1527, le testimonianze circa la sorte del velo risultarono contrastanti. Un testimone del saccheggio dice che la Veronica non fu trovata dai saccheggiatori [7]. Messer Urbano riferì alla Duchessa di Urbino che nella basilica vaticana erano le “reliquie sante disperse et arse, et alcuni dicono anche abruciata la Veronica”, in seguito precisò che “le reliquie sono andate in dispersione. Il Volto Santo è stato robato et passato per mille mani, et andato ormai per tutte le taverne de Roma, senza che homo ne habbi tenuto conto" [8]. Testimonianza estremamente attendibile, afferma Saverio Gaeta, considerato il luogo in cui Urbano si trovava, cuore della Curia vaticana in quelle settimane. Ulteriori conferme


all’ipotesi del furto si trovano in resoconti dell’epoca, raccolti dallo studioso Gustav Droysen [9], ma anche nella Storia dei papi di Ludwig von Pastor: “Venne rubato e messo in vendita nelle osterie di Roma il sudario della Veronica cotanto venerato in tutto il Medio Evo”[10]. Il cardinale Giovanni Salviati, in una lettera da Parigi dell’8 giugno 1527 a Baldassarre Castiglione sosteneva che la reliquia era stata bruciata[11]. Su un’altra lettera, scritta da Roma il 15 giugno 1527 da un servitore dell’arcivescovo di Spalato, si legge: “Et l’è rota l’archa de san Pietro et quella del Volto Santo”[12]. In seguito al furto della reliquia, la Santa Sede reagì evitando qualsiasi fuga di notizie sulla sparizione del velo: i canonici della basilica vaticana, con grande abilità, misero a tacere qualsiasi indiscrezione in attesa di decisioni definitive circa la condotta da seguire per fronteggiare un così drammatico evento [13]. In seguito si decise - in modo conclusivo - di tenere nascosta la sottrazione del velo, poiché l’annuncio ufficiale del furto avrebbe avuto conseguenze nefaste sui pellegrinaggi e sulle offerte in denaro indispensabili per la costruzione della nuova basilica vaticana [14]. Questa decisione implicò la realizzazione di un raffinato piano di disinformazione da parte della Santa Sede per far credere che la Veronica fosse ancora custodita nell’omonimo pilastro della basilica vaticana[15]. In seguito alla richiesta nel 1616, da parte della cattolica regina Costanza d'Asburgo, di una riproduzione dell’immagine della Veronica, papa Paolo V decise, dissimulando il furto, di realizzare un dipinto sostitutivo, proibendo contestualmente la produzione di copie del velo, a meno che non fossero eseguite da un canonico della Basilica di San Pietro e nel 1629 papa Urbano VIIIdecretò la distruzione, sotto pena di scomunica, di tutte le riproduzioni dell’immagine originale[16]. La produzione del falso velo fu affidata a monsignor Pietro Strozzi, che oltre a essere canonico di San Pietro, ricopriva il delicato ufficio di segretario privato di Paolo V: fra il 1616 e il 1617 egli dipinse, oltre al nuovo “prototipo”, almeno quattro o cinque copie destinate alla sacrestia vaticana, alla regina di Polonia, al granduca di Toscana e al vescovo Roberto Ubaldini di Montepulciano[17]. Il giudizio che padre Heinrich Pfeiffer, docente alla Pontificia Università Gregoriana, e uno dei massimi esperti di arte cristiana, assegna al risultato dell’operazione è assai tagliente: “Una nuova creazione, un vero e proprio pasticcio, composto dal ricordo della Veronica, dalla sagoma del Mandylion che si conservava in questo tempo nella chiesa di San Silvestro a Roma e dalla conoscenza della Sindone di Torino, attraverso una copia in misura originale che si trovava a Roma nella chiesa del Sudario”[18]. Il Vaticano non ha mai ufficialmente confermato di non essere più in possesso della reliquia, che tuttora viene mostrata dall’alto del loggiato della Veronica, al termine dei vespri della quinta domenica di Quaresima[19].

Immagini tradizionalmente collegate con il Velo della Veronica

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Ci sono almeno sei immagini esistenti che si somigliano molto e che si pretende siano il Velo originale, una sua copia diretta o, in due casi, il Velo di Edessa. Ogni membro di questo gruppo è racchiuso in una elaborata cornice esterna con all'interno un foglio di metallo dorato, nel quale è praticata un'apertura dove appare il volto; all'estremità inferiore del volto ci sono tre punti che corrispondono alla forma di capelli e barba.

Basilica di S. Pietro [modifica] C'è sicuramente un'immagine conservata nella basilica di San Pietro che si sostiene essere la stessa Veronica venerata nel Medioevo. Questa immagine è conservata nella cappella che si trova dietro il poggiolo nel pilastro sud-occidentale che sostiene la cupola. Sono state registrate pochissime ispezioni nei tempi moderni e non ci sono fotografie dettagliate. L'ispezione più dettagliata registrata nel XX secolo avvenne nel 1907 quando lo storico dell'arte Gesuita Joseph Wilpert fu ammesso a rimuovere due lastre di vetro per ispezionare l'immagine. Egli commentò che vide solo ‘un pezzo quadrato di stoffa leggermente colorata, alquanto scolorita dall'età, che porta due deboli macchie marrone-ruggine, unite l'una all'altra

[20]

.


Ciò nonostante, il volto è ancora mostrato ogni anno in occasione della V domenica di quaresima, la domenica di Passione. La benedizione ha luogo dopo i Vespri tradizionali alle 17.00. C'è una breve processione nella basilica, accompagnata dalla litania romana. Una campana suona e tre canonici portano la pesante cornice fuori sulla balconata sopra la statua di S. Veronica che tiene il velo(Foto). Con questa vista limitata non si vede alcuna immagine ed è possibile solo distinguere la forma della cornice interna.

Il Palazzo Hofburg, Vienna [modifica] Questa è una copia importante della Veronica, identificata con la firma di P. Strozzi nell'angolo destro della cornice interna. Egli era il segretario di Papa Paolo V, e un uomo di cui il notaio vaticano Jacopo Grimaldi riferisce come avere eseguito una serie di sei copie meticolose del velo nel 1617[21]. L'esterno della cornice è relativamente moderno, mentre la cornice interna è di fattura rozza e corrisponde alo schema ritagliato di copie precedenti. Il volto all'interno è molto sporco, più una serie di macchie in cui si possono identificare solo i nudi elementi di naso, occhi e bocca. Questo testimonierebbe dell'autenticità della copia dato che non esiste chiaramente alcun tentativo di miglioramento artistico. Inoltre, il fatto che sarebbe stata copiata dalla copia del Vaticano dopo il sacco di Roma nel 1527 suggerisce che l'immagine originale può essere sopravvissuta a quell'evento. [senza fonte] È conservata nella Schatzkammer dei Tesori Sacri e Secolari della dinastia degli Asburgo, nel Palazzo di Hofburg a Vienna.

Monastero del Volto Santo, Alicante, Spagna [modifica] Questa reliquia fu acquistata da Papa Nicola V da parenti dell'imperatore di Bisanzio nel 1453. Questo velo fu dato da un cardinale del Vaticano a un prete spagnolo, Mosen Pedro Mena, che lo portò ad Alicante nella Spagna meridionale, dove arrivò nel 1489, nello stesso tempo che una grave siccità. Portato in processione il 17 marzo da un prete di Alicante, Padre Villafranca, una lacrima spuntò sulla faccia del Cristo del velo e iniziò a piovere. La reliquia è ora custodita nel Monastero del Volto Santo (Monasterio de la Santa Faz), alla periferia di Alicante, in una cappella costruita nel 1611 e decorata tra il 1677 e il 1680 dallo scultore José Vilanova, il doratore Pere Joan Valero e il pittore Juan Conchillos. La cappella è decorata con dipinti raffiguranti la fine miracolosa della siccità, personalità locali associate alla fondazione della cappella e temi religiosi di giudizio e salvazione. Il Monastero fu ampiamente restaurato tra il 2003-6, insieme alla Cattedrale di San Nicola e alla Basilica di S. Maria nel centro della città, e nel 2006 i tre edifici ospitarono una mostra sulla reliquia con il nome di Il Volto del'Eternità.[22]

La cattedrale di Jaén, Jaén, Spagna [modifica] La cattedrale di Jaén nella Spagna meridionale ha una copia della Veronica che probabilmente data dal XIV secolo e ha origine a Siena. È conservata in una teca accanto all'altar maggiore ed è messo in mostra annualmente il venerdì Santo e nella Festa dell'Assunzione. È nota come il Santo Rosso e fu acquistata dal Vescovo Nicola de Biedma nel XIV secolo. [23].

Immagini simili collegate al Mandylion

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Sacro Volto di Genova [modifica] Questa immagine è conservata nella modesta Chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni, Genova, dove fu donata, nel XIV secolo, al Doge Leonardo Montaldo dall'Imperatore Bizantino Giovanni V Paleologo. È stato oggetto di uno studio dettagliato del 1969 di Colette Dufour Bozzo, che datò la cornice esterna al tardo XIV secolo [24], mentre la cornice interna e l'immagine stessa si crede siano state originate più tardi. Bozzo trovò che l'immagine era impressa su di un panno che era stato incollato a una tavola di legno [25].


La somiglianza dell'immagine con il Velo della Veronica suggerisce un collegamento tra le due tradizioni.

Volto Santo di S. Silvestro [modifica] Questa immagine fu conservata nella chiesa romana di San Silvestro fino al 1870 e si trova ora nella Matilda chapel in Vaticano. It is housed in a Baroque frame donato da una Sorella Dionora Chiarucci nel 1623

[26]

. La prima evidenza della sua

esistenza è il 1517 quando alle monache fu vietato di mostrarlo per evitare competizione con la Veronica. Come l'immagine di Genova, è dipinta su legno e verosimilmente si tratta di una copia. Fu esposta all'Expo 2000 in Germania, presso il padiglione della Santa Sede.

Immagine di Manoppello [modifica]

Immagine diManoppello.

Nel 1999, Padre Heinnrich Pfeiffer annunciò in una conferenza stampa a Roma che aveva trovato il Velo in una chiesa del monastero Cappuccino, nel piccolo villaggio diManoppello, Italia, dove era stato dal 1660. Il Professor Pfeiffer in realtà stava promuovendo l'immagine già da molti anni[27]. Secondo la tradizione locale, un pellegrino anonimo arrivò nel 1508 e lo diede al Dr. Giacomo Antonio Leonelli, che stava seduto su una panchina di fronte alla chiesa. Il dottore andò in chiesa e aprì l'involucro contenente il Velo. Il Velo fu posseduto dalla famiglia Leonelli fino al 1608. Pancrazio Petrucci, un soldato sposato con un membro femminile della famiglia, Marzia Leonelli, rubò il Velo nella casa del padre a Law. Pochi anni dopo, Marzia lo vendette per 4 scudi al Dottor Donato Antonio De Fabritiis per riscattare il marito, prigioniero a Chieti. Il Velo fu dato da De Fabritiis ai Cappuccini che ancora oggi lo possiedono. Questa storia fu documentata da Padre Donato da Bomba nel suo “Relatione historica” successive ricerche iniziate nel 1640. Il Professor Pfeiffer crede che l'immagine è la Veronica stessa, che lui suggerisce fu rubata dal Vaticano durante la ricostruzione che ebbe luogo nel 1506. Egli indica inoltre che è il tessuto posto sopra il volto di Gesù nella tomba e l'immagine era un sottoprodotto delle forze scatenate dalla resurrezione, le stesse forze che egli crede abbiano formato l'immagine sulla Sindone di Torino. In aggiunta egli ha suggerito una storia del velo che torna al I secolo. Le sue ipotesi tuttavia non sono supportate dall'evidenza e non si possono distinguere dalla finzione. Papa Benedetto XVI ha visitato il velo il 1º settembre 2006. Il tessuto è fatto di una fibra rara detta bisso. Secondo Paul Badde,corrispondente del Vaticano per Die Welt, questo è un tipo di tessuto che di solito è presente solo nelle tombe dei faraoni egizi. Alcuni sentono che,nonostante le accuse di origini divine, il volto sul velo a Manoppello è in apparenza conforme alle caratteristiche di un'immagine artificiale. Stilisticamente è simile alle immagini che datano al tardo Medioevo o primo Rinascimento;tipico delle rappresentazioni della figura umana di questo periodo, è ingenuamente eseguito, con numerose


funzionalità stilizzati, dimostrando che l'artista o non ha capito, o non ha voluto rispettare i principi di base della proporzione che si applicano a rendering realistici della forma umana. Inoltre, non c'è evidenza che collega il panno con Roma. In realtà, è lontano dalla certezza che il volto dipinto abbia qualche collegamento con Gesù - uno scrittore suggerisce che è infatti un autoritratto perduto dell'artista Albrecht Dürer (articolo). Un'ulteriore obiezione, avanzata da Ian Wilson, è che poiché l'immagine non reca una somiglianza familiare alle copie conosciute (vedi sopra), non può essere la versione della Veronica che era venerata nel Medioevo [27].

Arte rappresentativa

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Sudario di Santa Veronica, incisione di Claude Mellan (1649).

Ci sono due tradizioni principali per l'iconografia del volto dipinto sul velo. Una tradizione (Tipo I), comune nell'arte italiana, mostra il volto di Cristo con la barba, doloroso, flagellato e spesso coronato di spine. Un'altra (Tipo II), comune nell'arte russa e spagnola, mostra il volto di Cristo più spesso rilassato, con i capelli lunghi fino alle spalle, con una barba spartita in due punte, spesso circondato da un'aureola in cui è inscritta la croce. Tipo I 

Velo di Veronica Domenico Fetti, circa 1620.

Santo Volto di Giambono, XV secolo. Museo Civico, Pavia, Italia.

Santo Volto sorretto da due angeli di Juan Sánchez Cotan, 1620-1625. Monastero di Cartuja, Granada.

Santo Volto di Domenikos Theotokopoulos (El Greco). Convento delle suore cappuccine, Toledo.

Velo di Veronica di Francisco de Zurbarán, XVII secolo. Chiesa parrocchiale di S. Pietro, Siviglia.

Tipo II 

Sudario di Santa Veronica di Claude Mellan, 1649.

Dittico di Santa Veronica con Cristo e la Vergine Maria di Bernardo Martorelli, XV secolo. Museo di Mallorca.

Santo Volto, anonimo, inizi del XVII secolo. Galleria Tretyakov, Mosca.

Santo Volto di Simon Ushakov, 1678. Galleria Tretyakov, Mosca.

Miracolo della lacrima di Juan Conchillos, 1680. Cappella della Vergine del Monastero del Santo Volto, Alicante.


Miracolo dei Tre volti di Juan de Miranda, 1767. Alicante.

Santa Veronica di Antonio Castillo Lastrucci, 1946. Basilica di S. Maria, Alicante.

Note [modifica] 1.

^ ”Seeing Salvation” Immagini di Cristo nell'arte, Neil MacGregor, ISBN 0-563-55111-9.

2.

^ a b Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 175.

3.

^ G Schiller, Iconography of Christian Art, Vol. II,1972 (traduzione inglese dal tedesco), Lund Humphries, Londra, pp. 78-9, ISBN 853313245

4.

^ La Via Doloros - Gerusalemme, Israele

5.

^ ‫ קבצים‬-‫אתרים‬

6.

^ ENCICLOPEDIA CATTOLICA: S. Veronica

7.

^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 113

8.

^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 112; Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, pp. 16-17

9.

^ G. Droysen, Zeitgenössische Berichte über die Eroberung der Stadt Rom 1527, Edizioni Droysen, 1881

10. ^ L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, vol. IV, parte II, Desclée & C. editori pontifici, nuova ristampa, Roma, 1956 11. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 18 12. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 18 13. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 21 14. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 10 15. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 18 16. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 10 17. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 23 18. ^ H. Pfeiffer, Invenzione e verità nella Relazione historica sul Velo di Manoppello, in: AA.VV., Il Volto Santo di Manoppello, a cura di G. Di Pietro, Litografia Brandolini, 2000, p. 22

19. ^ Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, Rizzoli, Milano, 2010, p. 22 20. ^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 63


21. ^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 157 22. ^ Visitor's Guide to the Exposición La Luz de las Imagenes - La Faz de la Eternidad, Alicante 2006. 23. ^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 94 24. ^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 162 25. ^ Wilson, ibid, pag 88 26. ^ Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 193 27. ^ a b Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places, pag 161

Bibliografia [modifica] 

Ian Wilson, Holy Faces, Secret Places,Corgi, ISBN 0-552-13590-9

Janice Bennett, Sacred Blood, Sacred Image: The Sudarium of Oviedo, New Evidence for the Authenticity of the Shroud of Turin. ISBN 0-9705682-0-7

Joan Carroll Cruz, OCDS, Miraculous Images of Our Lord. ISBN 0-89555-496-8

Saverio Gaeta L'ALTRA SINDONE - La vera storia del volto di Gesù" - 2005 Mondadori ISBN 88-04-54684-0

Voci correlate [modifica] 

Santa Veronica

Reliquie attribuite a Gesù

Sindone di Torino

Sudario di Oviedo

Acheropita

Mandylion

Volto Santo di Manoppello

Altri progetti [modifica] 

Commons contiene file multimediali su Velo della Veronica

Collegamenti esterni [modifica] 

The New Schaff-Herzog Encyclopedia of Religious Knowledge

"S. Veronica e il Volto Santo"


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