2009 A mani libere

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occorre uscire dai piagnistei, dagli alibi di comodo e dalle dubbie furbizie e incominciare a progettare insieme il futuro della nostra regione. Le situazioni che limitano i diritti e le libertà degli individui, anche quando sono atroci e radicate, non sono irreversibili, e, pertanto, anche una realtà complessa e difficile come la ndrangheta potrà essere affrontata e superata anche se richiederà tempi molto lunghi e un impegno serio e coordinato a livello locale, nazionale ed europeo.

3. Germina Buttitta, docente responsabile della Consulta Provinciale degli studenti. Hanno preso parte al progetto sette ragazzi della Consulta. E tutti hanno mostrato fin dall’inizio una grande apertura nei confronti dell’idea e delle finalità del progetto del Museo della ndrangheta. E “A mani libere” è la prova concreta di questo atteggiamento positivo. È stato un percorso partecipato e sentito, perché non si trattava della solita conferenza sulla legalità o sulla lotta alla criminalità organizzata. I ragazzi hanno sentito di avere tra le mani qualcosa che stavano costruendo loro. Qualcosa in cui si stavano avventurando personalmente. E sono stati disponibili a dire la loro. Sono nati i racconti e le vignette, ma cosa ancora più importante siamo riusciti a costruire una rete di scuole e di studenti che può essere la nostra forza, al forza del progetto. Certo i ragazzi hanno dovuto abbattere un muro, appunto, per riuscire a raccontare e a mettere nero su bianco qualcosa che li riguarda da vicino. Che sentono e vedono con i loro occhi. Ma a poco a poco, nell’arco di un anno di lavoro, è cresciuta una maggiore consapevolezza da parte dei ragazzi. E una forza più grande per parlare del tema in questione. I ragazzi spesso hanno il coraggio, ma non

hanno la forza di dire ciò che accade intorno a loro. Credo che questo progetto in questo senso li ha aiutati molto. Ne dovranno passare ancora di generazioni per capire se questa sfida culturale che anche il progetto del Museo della ndrangheta si propone avrà i suoi frutti. Ci vorrà del tempo. Ma una cosa è certa il seme è stato gettato. I ragazzi hanno infranto il loro silenzio. Un muro simbolico ha idealmente unito la provincia di Reggio Calabria a Berlino. Muro come negazione della libertà, muro come paura o ancora peggio indifferenza, come “duri cocci aguzzi di bottiglia”. Ma la sintesi comune delle tante storie racconta anche di speranze, proiezioni, obiettivi da raggiungere, desiderio di cambiamento e lo scrivere è diventato per ciascuno di loro catarsi, analisi, sfogo, denuncia, necessità di “vuotare il sacco”; di presentare, mediante la sempre eterna meraviglia della scrittura, una realtà verosimile, frutto non di una utopia irrealizzabile ma slancio verso il possibile. Questo percorso insieme ha reso palpabile e concreto il mondo circostante, lo ha fatto vedere con altri occhi: con occhi scrutatori di una realtà che prima passava davanti senza essere captata (forse perché non la si voleva capire) e poi ad un tratto … ecco che si vede per quello che è. La possibilità di esprimersi, anche graficamente, ha dunque permesso ai ragazzi di presentare una loro realtà, una realtà “capovolta” ma non per questo meno concreta e riconoscibile. E se si pensa che buona parte del lavoro si è svolto a scuola tutto ciò appare quasi miracoloso ed in controtendenza con chi liquida le nuove generazioni con un mix di inerzia e disimpegno, interessate solo alle chat o a navigare su youtube. Invece questi stessi ragazzi si trovano a vivere situazioni reali che hanno voluto in questo libro raccontare ed illustrare, convinti che il proprio contributo possa dare un forte stimolo a condividere, studiare e conoscere per cambiare questo mondo che li circonda.

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