Rassegna Nº9

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Sara Creta 2013 !


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Corto por la igualdad de derechos y contra el racismo

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MENZIONE SPECIALI “per il coraggio, la forza della denuncia e l’importanza delle conseguenze provocate dalla realizzazione del reportage, che è riuscito a portare all’attenzione delle Istituzioni la brutalità e la violenza con cui i diritti umani sono stati violati, avviando dei procedimenti giudiziarie contro i responsabili” - DOC UNDER 30 “questo documentario ci aiuta a non dimenticare l'orrore di ciò che accade dall'altra parte della recinzione di Melilla e a capire meglio perché così tante persone rischiano la vita per fuggire da lì e raggiungere l'Europa” – SOS RACISMO !


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La agonía del inmigrante camerunés Clément a las puertas de Melilla | Política | EL PAÍS

POLÍTICA La agonía del inmigrante camerunés Clément a las puertas de Melilla Cuatro ONG marroquíes denuncian conjuntamente la represión que padecen los subsaharianos La cineasta italiana Sara Cresta rodó la muerte, en el monte Gurugú, de un joven "sin papeles" IGNACIO CEMBRERO Madrid 28 JUN 2013 -­ 23:47 CET

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Archivado en: Melilla Ceuta Guardia Civil Inmigrantes africanos Marruecos Emigración Derechos humanos Inmigrantes Magreb África subsahariana Inmigración ONG Fuerzas seguridad Solidaridad España Migración Sociedad

Clément, inmigrante camerunés, murió en el monte Gurugú, ante la cámara, el 16 de marzo pasado. Estaba herido, no tuvo atención médica. Sus compañeros de infortunio lo enterraron a las puertas de Melilla. La cineasta italiana Sara Creta grabó su agonía. Cinco días antes el joven camerunés participó, de madrugada, en un intento de unos 150 subsaharianos de saltar la valla de Melilla. Un tercio lo lograron, según la Delegación del Gobierno en la ciudad, pero Clément estuvo entre los que fracasaron. La delegación informó de que hubo doce heridos en el asalto, entre ellos dos agentes de la Guardia Civil, pero los testimonios recogidos por Creta prueban que fueron muchos más. Cuatro ONG marroquíes denunciaron hoy, viernes, en una rueda de prensa en Rabat, la represión que padecen los migrantes en la frontera norte de Marruecos que, aseguran, “se ha duplicado desde finales de 2011”. Entre los acusadores figura la acreditada Asociación Marroquí de Derechos Humanos (AMDH), el Grupo Antirracista de Acompañamiento y Defensa de los Extranjeros (GADEM), Foro Alternativas Marruecos y la Asociación Luz de la Inmigración Clandestina en el Magreb (Alecma). Fueron los militantes de esta última ONG los que, el 16 de marzo, recorrieron el monte Gurugú con la cineasta Creta. Tras ser brevemente atendido, de sus heridas en la cabeza, en el hospital de Nador, la ciudad marroquí pegada a Melilla, Clément fue abandonado en el monte. En estado semi comatoso no tiene fuerza para hablar ante la cámara. Las imágenes de su agonía han sido hechas públicas tras obtener la autorización de sus familiares en Camerún. El cortometraje de Creta fue presentado durante la rueda de prensa a la que asistió el hermano de Clément. Los demás subsaharianos heridos y refugiados en el Gurugú, y otros en buen estado de salud, sí se expresaron para denunciar las palizas y los robos que padecen, por parte de las Fuerzas Auxiliares marroquíes, y también los golpes que les propicia la Guardia Civil http://politica.elpais.com/politica/2013/06/28/actualidad/1372440971_006327.html

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La agonía del inmigrante camerunés Clément a las puertas de Melilla | Política | EL PAÍS

española. Varios inmigrantes aseguran que lograron entrar en Melilla, pero que fueron devueltos a Marruecos manu militari. De ser cierto su testimonio la Guardia Civil incumpliría la ley de extranjería. La Asociación Unificada de Guardias Civiles preguntó a mediados de mes al fiscal general del Estado, Eduardo Torres-­Dulce, si los agentes en Melilla pueden estar cometiendo alguna ilegalidad al cumplir órdenes de sus mandos para que expulsen “en caliente” a los inmigrantes que han logrado poner un pie en la ciudad. Esta iniciativa indispuso al delegado del Gobierno, Abdelmalik el Barkani. “Cualquier guardia debería saber cuáles son sus funciones”, afirmó ante la prensa. Las cuatro ONG marroquíes han lanzado una campaña titulada “Nº 9 – Alto a la violencia en las fronteras” para denunciar la represión cotidiana y sistemática de los migrantes y los abusos cometidos contra ellos en la verja de 12 kilómetros y seis metros de altura que rodea Melilla. El número 9 es, con frecuencia, en el fútbol, el delantero o principal responsable de marcar goles. En África subsahariana se llama a veces Nº 9 a los jóvenes que tratan de llegar a Europa.

© EDICIONES EL PAÍS, S.L.

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Marocco. N. 9, cercasi uscita alla frontiera di Melilla | Osservatorio Iraq - Medioriente e Nordafrica IN VETRINA

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Marocco. N. 9, cercasi uscita alla frontiera di Melilla "Number 9 - Stop violence at the borders!". Un video-reportage e una campagna di sensibilizzazione per denunciare le violenze commesse sui migranti alle porte della Fortezza Europa.

Il Marocco, grazie alla sua collocazione alle porte della Fortezza Europa, riesce ad essere uno degli amici più stretti dell’UE. L’ultima "dichiarazione congiunta" è datata 7 giugno 2013 e riguarda la futura instaurazione di un partenariato di mobilità, che faciliti la concessione dei visti ai marocchini (aumento delle 'quote' di ingresso) in cambio della conclusione di un accordo di riammissione per richiedenti asilo e altre categorie "indesiderate". Un altro pezzo che completa il puzzle di intese e politiche di buon vicinato strette tra Marocco e Unione Europea, volte ad assicurare sostegno e investimenti alla monarchia, sempre più implicata nella gestione dei flussi migratori. Dare e avere, questa è la regola. Il tutto era iniziato con la conferenza euro-mediterranea di Barcellona nel 1995: data che segna l'avvio della politica di cooperazione con i paesi del Nord Africa, finalizzata - più che ad avvicinare concretamente le due rive - a trovare nuovi partner economici e commerciali. La strategia dispiegata dall'UE, inoltre, è stata quella di costruire affianco a sé degli spazi sicuri, sviluppando politiche selettive e azioni di controllo per combattere il traffico di migranti "irregolari". Così, dal processo di Barcellona fino alle prime leggi in materia migratoria siglate nel 2003, il Marocco ha portato avanti politiche sempre più condizionate dalle spinte europee di controllo esternalizzato delle frontiere. Ma dove sono i diritti fondamentali in tutto questo mare di accordi e relazioni internazionali? Vivere in un paese che si fa scudo delle direttive europee e che non rispetta tali diritti, non include, ma al contrario viola e discrimina, rende estremamente difficile il passaggio, il transito e la più o meno breve permanenza dei migranti che cercano di entrare, di superare le barriere - naturali e artificiali - che li separano dal Vecchio continente. Qui, nonostante i controlli, gli investimenti fatti in dispositivi di monitoraggio delle coste e dei confini, si rischia ancora la vita per attraversare la frontiera. Dalle colline di Gourougou si vedono l'enclave spagnola di Melilla e la città di Nador, a nord del Marocco. Una manciata di terra che separa l’Europa dall’Africa. C’é una barriera metallica, una frontiera costruita per

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delimitare gli spazi, per controllare; una recinzione che arriva in alcuni punti a 6 metri di altezza, lunga in totale 12 kilometri. È l’icona della Fortezza Europa.

un'informazione indipendente e libera.

Chi vive vicino all’enclave di Melilla, nella foresta di Gourougou, deve proteggersi dalle continue violenze messe in atto dalle forze di polizia marocchina e spagnola. Una quotidianità di maltrattamenti (denunciata di recente anche dalla ong Medecins sans frontières) che è diventata, per chi sopravvive in questa terra di nessuno, l’ossessione che scandisce il tempo. Ostacolare, impedire, bloccare: azioni, elementi, alla base di queste politiche complici attuate da una parte e dall'altra della valla. Il panorama che si estende ai piedi del promontorio racchiude in sé tutte le difficoltà che esistono per chi vuole attraversare, per chi cerca una via di fuga, un transito. C'è un muro, a difendere Melilla, che è diventato un filtro. Un passaggio obbligatorio e un tentativo irrinunciabile, forse l’ultimo, per chi sogna l’Europa. Sono le frontiere stesse che scelgono, decidono, chi far passare e chi mandare indietro. Se sei dentro non possono mandarti fuori, questa è la regola, ma nessuno dalla parte spagnola sembra rispettarla; e quando ti rimettono dall’altra parte, in Marocco, quello che ti aspetta è ancora peggio. Lo denunciano i migranti bloccati alle porte dell’Europa. Quei migranti che cercano di attraversare il muro organizzando i "salti", passaggi forzati con scale di fortuna spesso messi in piedi alle prime ore dell’alba. Un flusso umano che prova a ricavarsi una porta d’entrata.

Soluzioni a questa situazione sembrano non esistere. Le leggi non sono rispettate, mentre i segni di violenza rimangono indelebili sui corpi e mostrano l’amara verità di chi ci ha provato e non riesce a sopravvivere. Allucinante. Clément è lì. Non ha la forza di dire nulla. Immobile davanti alla telecamera, senza parole. Viene caricato in spalla, non parla, non riesce più a respirare, agonizza. L'ultimo soffio di vita: "non ho fatto niente". Clément è un "numero 9". Un centravanti, un attaccante, un giocatore su cui la squadra conta per far gol e vincere la partita. Una metafora calcistica, utilizzata nel gergo dei migranti per identificare colui che è disposto a lasciare il paese d'origine, ad avventurarsi in un lungo viaggio e a rischiare, in nome del proprio futuro e di quello della sua famiglia. La sua storia, assieme ad altre testimonianze che rivelano il persistere delle violenze alla frontiera tra Melilla e Nador, viene raccontata nel breve documentario realizzato al confine sud della Fortezza Europa, con il supporto dell’associazione ALECMA (Association de lutte contre l'émigration clandestine au Maroc). Sono 15 minuti duri, quelli racchiusi nel video-reportage Number 9 - Stop violence at the borders! 15 minuti per dire basta, non è più tempo di voltare lo sguardo altrove, ma di conoscere e di assumerci le nostre responsabilità. Number 9, infatti, è anche il titolo di una campagna che cerca di far luce e attirare l'attenzione sulle condizioni vissute dai migranti sub-sahariani nel regno alawita e nelle enclave spagnole (Ceuta, Melilla) situate nella costa mediterranea meridionale. L'iniziativa - lanciata lo scorso 28 giugno a Rabat dalle associazioni marocchine ALECMA, GADEM, FMAS e AMDH - denuncia gli accordi di "mobilità" discriminatori conclusi il 7 giugno, oltre alla complicità tra Spagna e Marocco nella repressione del fenomeno migratorio. La campagna chiede anche la fine immediata delle violazioni commesse in entrambi i lati della frontiera e delle ritorsioni subite - ad opera della polizia del regno - dai sub-sahariani in attesa di transito nelle regioni

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Marocco. N. 9, cercasi uscita alla frontiera di Melilla | Q CODE Magazine

Marocco. N. 9, cercasi uscita alla frontiera di Melilla Posted in Video | 0 comments Number 9 – Stop violence at the borders!. Un video-reportage, da Osservatorio Iraq, e una campagna di sensibilizzazione per denunciare le violenze commesse sui migranti alle porte della Fortezza Europa di Sara Creta, tratto da Osservatorio Iraq Il Marocco, grazie alla sua collocazione alle porte della Fortezza Europa, riesce ad essere uno degli amici più stretti dell’UE. L’ultima “dichiarazione congiunta” è datata 7 giugno 2013 e riguarda la futura instaurazione di un partenariato di mobilità, che faciliti la concessione dei visti ai marocchini (aumento delle ‘quote’ di ingresso) in cambio della conclusione di un accordo di riammissione per richiedenti asilo e altre categorie “indesiderate”. Un altro pezzo che completa il puzzle di intese e politiche di buon vicinato strette tra Marocco e Unione Europea, volte ad assicurare sostegno e investimenti alla monarchia, sempre più implicata nella gestione dei flussi migratori.

Dare e avere, questa è la regola. Il tutto era iniziato con la conferenza euro-mediterranea di Barcellona nel 1995: data che segna l’avvio della politica di cooperazione con i paesi del Nord Africa, finalizzata – più che ad avvicinare concretamente le http://www.qcodemag.it/2013/07/marocco-n-9-cercasi-uscita-alla-frontiera-di-melilla/

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due rive – a trovare nuovi partner economici e commerciali. La strategia dispiegata dall’UE, inoltre, è stata quella di costruire affianco a sé degli spazi sicuri, sviluppando politiche selettive e azioni di controllo per combattere il traffico di migranti “irregolari”. Così, dal processo di Barcellona fino alle prime leggi in materia migratoria siglate nel 2003, il Marocco ha portato avanti politiche sempre più condizionate dalle spinte europee di controllo esternalizzato delle frontiere. Ma dove sono i diritti fondamentali in tutto questo mare di accordi e relazioni internazionali? Vivere in un paese che si fa scudo delle direttive europee e che non rispetta tali diritti, non include, ma al contrario viola e discrimina, rende estremamente difficile il passaggio, il transito e la più o meno breve permanenza dei migranti che cercano di entrare, di superare le barriere – naturali e artificiali – che li separano dal Vecchio continente. GUARDA IL VIDEO DI SARA CRETA SU YOUTUBE [sz-youtube url="http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=w67k5MkUEWQ" /]

Qui, nonostante i controlli, gli investimenti fatti in dispositivi di monitoraggio delle coste e dei confini, si rischia ancora la vita per attraversare la frontiera. Dalle colline di Gourougou si vedono l’enclave spagnola di Melilla e la città di Nador, a nord del Marocco. Una manciata di terra che separa l’Europa dall’Africa. C’é una barriera metallica, una frontiera costruita per delimitare gli spazi, per controllare; una recinzione che arriva in alcuni punti a 6 metri di altezza, lunga in totale 12 kilometri. È l’icona della Fortezza Europa. Chi vive vicino all’enclave di Melilla, nella foresta di Gourougou, deve proteggersi dalle continue violenze messe in atto dalle forze di polizia marocchina e spagnola. Una quotidianità di maltrattamenti (denunciatadi recente anche dalla ong Medecins sans frontières) che è diventata, per chi sopravvive in questa terra di nessuno, l’ossessione che scandisce il tempo. Ostacolare, impedire, bloccare: azioni, elementi, alla base di queste politiche complici attuate da una parte e dall’altra della valla. Il panorama che si estende ai piedi del promontorio racchiude in sé tutte le difficoltà che esistono per chi vuole attraversare, per chi cerca una via di fuga, un transito. C’è un muro, a difendere Melilla, che è diventato un filtro. Un passaggio obbligatorio e un tentativo irrinunciabile, forse l’ultimo, per chi sogna l’Europa. Sono le frontiere stesse che scelgono, decidono, chi far passare e chi mandare indietro. Se sei dentro non possono mandarti fuori, questa è la regola, ma nessuno dalla parte spagnola sembra rispettarla; e quando ti rimettono dall’altra parte, in Marocco, quello che ti aspetta è ancora peggio. Lo denunciano i migranti bloccati alle porte dell’Europa. Quei migranti che cercano di attraversare il muro organizzando i “salti”, passaggi forzati con scale di fortuna spesso messi in piedi alle prime ore dell’alba. Un flusso umano che prova a ricavarsi una porta d’entrata. Soluzioni a questa situazione sembrano non esistere. Le leggi non sono rispettate, mentre i segni di violenza rimangono indelebili sui corpi e mostrano l’amara verità di chi ci ha provato e non riesce a sopravvivere. http://www.qcodemag.it/2013/07/marocco-n-9-cercasi-uscita-alla-frontiera-di-melilla/

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Allucinante. Clément è lì. Non ha la forza di dire nulla. Immobile davanti alla telecamera, senza parole. Viene caricato in spalla, non parla, non riesce più a respirare, agonizza. L’ultimo soffio di vita: “non ho fatto niente”. Clément è un “numero 9ʺ″. Un centravanti, un attaccante, un giocatore su cui la squadra conta per far gol e vincere la partita. Una metafora calcistica, utilizzata nel gergo dei migranti per identificare colui che è disposto a lasciare il paese d’origine, ad avventurarsi in un lungo viaggio e a rischiare, in nome del proprio futuro e di quello della sua famiglia. La sua storia, assieme ad altre testimonianze che rivelano il persistere delle violenze alla frontiera tra Melilla e Nador, viene raccontata nel breve documentario realizzato al confine sud della Fortezza Europa, con il supporto dell’associazione ALECMA (Association de lutte contre l’émigration clandestine au Maroc). Sono 15 minuti duri, quelli racchiusi nel video-reportage Number 9 – Stop violence at the borders! 15 minuti per dire basta, non è più tempo di voltare lo sguardo altrove, ma di conoscere e di assumerci le nostre responsabilità. Number 9, infatti, è anche il titolo di una campagna che cerca di far luce e attirare l’attenzione sulle condizioni vissute dai migranti sub-sahariani nel regno alawita e nelle enclave spagnole (Ceuta, Melilla) situate nella costa mediterranea meridionale. L’iniziativa – lanciata lo scorso 28 giugno a Rabat dalle associazioni marocchine ALECMA, GADEM, FMAS e AMDH – denuncia gli accordi di “mobilità” discriminatori conclusi il 7 giugno, oltre alla complicità tra Spagna e Marocco nella repressione del fenomeno migratorio. La campagna chiede anche la fine immediata delle violazioni commesse in entrambi i lati della frontiera e delle ritorsioni subite – ad opera della polizia del regno – dai sub-sahariani in attesa di transito nelle regioni settentrionali del paese. Ritorsioni come quelle che hanno provocato la morte Clément, cittadino camerunese deceduto alle porte d’Europa il 16 marzo 2013 a causa delle ferite riportate al cranio e agli arti. Clément aveva tentato il “passaggio” qualche giorno prima, senza fortuna. Fermato dagli agenti marocchini, era stato pestato selvaggiamente prima di essere trasferito all’ospedale di Nador. Debole e malridotto, era stato poi dimesso e riportato agli accampamenti sul monte Gourougou, dove ha concluso la sua agonia. Il documentario è dedicato alla sua memoria. La campagna Number 9, invece, vuole essere uno strumento di pressione per spingere le autorità marocchine ad aprire un’inchiesta ufficiale sulla sua morte.

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“STOP ALLE VIOLENZE ALLE FRONTIERE!”, ECCO IL VIDEODENUNCIA Scritto da Rosa A nna Buonomo

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Un video e una campagna per denunciare le violenze subite dai migranti “a opera delle autorità marocchine e il coinvolgimento di quelle spagnole”, alle frontiere di Melilla. Si chiama “N. 9 – Stop alle violenze alle frontiere!”. La denuncia viene dall’Arci, secondo la quale “a Ceruta e Melilla a partire dall’autunno del 2005 la repressione contro i migranti non è mai cessata e le violenze alle frontiere nel nord del FOT OGA LLE R Y Marocco sono raddoppiate a partire dalla fine del 2011”. Con il lancio del video e della campagna si chiede di far cessare le “violenze” e le “violazioni dei diritti umani nel nord del Marocco”, oltre all’apertura “di un’inchiesta ufficiale sulla morte di Clément e degli altri immigrati deceduti

intorno alle enclaves spagnole”.

http://news.you-ng.it/2013/06/29/stop-alle-violenze-alle-frontiere-ecco-il-video-denuncia/

Clément, cittadino camerunese, aveva tentato di attraversare la recinzione di Melilla, lo scorso 11 marzo. Il tentativo, suo e di un gruppo di migranti, era stato represso con violenza. Il 16 marzo, in occasione di una missione nella foresta di Gourougou condotta dall’associazione Alecma con il sostegno del Gadem e con la regista Sara Creta, i membri della missione hanno assistito alla morte di Clément, deceduto nell’accampamento a causa delle ferite riportate.

http://news.you-ng.it/2013/06/29/stop-alle-violenze-alle-frontiere-ecco-il-video-denuncia/

Le testimonianze nel filmato.

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Emigrazione Notizie - Notizie: ''Picchiati a morte ai confini della Ue''

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''Picchiati a morte ai confini della Ue''

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-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­-­

In esclusiva su Repubblica.it, un estratto del film ''N°9'' di Sara Creta: una videodenuncia dei pestaggi subiti dai migranti da parte della Guardia Civil spagnola e delle forze ausiliarie marocchine ai confini dell'enclave di Melilla. Il titolo del film è un omaggio a Clément, uno dei clandestini morto sotto gli occhi dei documentaristi: il 9 è il numero stampato sulla sua maglia. In occasione della presentazione del film a Rabat, in Marocco, le associazioni per i diritti umani Alecma, Gadem, Fmas e Amdh hanno lanciato la campagna: “N°9 – Stop alle violenze alle frontiere”, finalizzata a sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale sulla brutale repressione

I Film documentari

Iscriviti N°9 -­ GUARDA UN ESTRATTO MELILLA: MAPPA INTERATTIVA (Il confine, l'accampamento) ''COSI' CLEMENT E' MORTO SOTTO I NOSTRI OCCHI'' La testimonianza della regista

filef.info

LA STORIA -­ L'11 marzo scorso un centinaio di cittadini provenienti da vari Paesi africani (Gabon, Camerun, Mali, Burkina Faso, Guinea, Ciad e Senegal) tenta di attraversare il confine tra il Marocco e l'enclave spagnola di Melilla per entrare nel territorio dell'Unione Europea. L'intervento congiunto della Guardia Civil e delle forze ausiliare marocchine si trasforma in un brutale pestaggio: ''Hanno usato pietre e mazze di ferro'' -­ denunceranno i migranti, che vengono respinti in territorio marocchino. Dopo qualche giorno, il 16 marzo, i migranti feriti sono raggiunti in un accampamento di fortuna nella foresta di Gourougou, nei pressi di Beni Enssar, in Marocco, dall'associazione umanitaria Alecma. Tra i soccorritori c'è anche la regista Sara Creta che, con il collega del Camerun Sylvin Mbarga, documenta le conseguenze delle violenze della polizia e raccoglie le testimonianze scritte e audio-­visive delle vittime dell'aggressione. Uno dei feriti -­ Clément, un cittadino camerunese che era stato arrestato, pestato e trasferito all’ospedale di Nador -­ muore sotto i loro occhi: l'ambulanza non arriva in tempo. Era ferito alla testa e aveva un braccio ed una gamba fratturati: lascia la moglie incinta e due bambini.

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IL FILM -­ Da questa esperienza è nato il film di denuncia “N°9” -­ come il numero stampato sulla maglia di Clément -­, e una campagna, “N°9 – Stop alle violenze alle frontiere”, finalizzati a denunciare la repressione subita dai migranti ad opera delle autorità marocchine e il coinvolgimento di quelle spagnole nelle atrocità commesse alle frontiere di Melilla. Le associazioni per i diritti umani chiedono anche l’apertura di un’inchiesta ufficiale sulle circostanze della morte di Clément e di tutti gli altri migranti deceduti intorno alle enclave spagnole in Africa. “N°9” -­ il numero che indica il centravanti in una squadra di calcio -­ è anche il nome che usano alcuni africani per parlare di quelli che lasciano famiglia e paese d’origine e tentano “il passaggio”, l'emigrazione.

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Inferno Mevilla. Migranti massacrati di botte fino alla morte (VIDEO CHOC)

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Mi piace Tweet In un video choc sono testimoniati gli effetti Condividi Condividi 0 dei violenti pestaggi a cui sono sottoposti i migranti che cercano di attraversare il confine tra Marocco e Mevilla, l'enclave spagnola in terra d'Africa. Sotto accusa, in particolare, la Guardia Civil. Attenzione il video contiene immagini forti.

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L'inferno è ai confini della Unione Europea. Poco oltre i confini della "civile" Europa, infatti, si consuma un crimine contro l'Umanità del quale nessuno parla, perchè non interessa a nessuno divulgarlo. Teatro di questo crimine è Mevilla, città autonoma e territorio a sovranità spagnola che si trova sul continente africano, circondata dal Regno del Marocco e dal Mar Mediterraneo. La frontiera è segnata da una serie di SOCIAL: recinzioni parallele alte fino a 6 metri ed estese su 12 chilometri, sormontate da filo spinato e dotate di 291 4 0 dispositivi pesanti di sorveglianza, da una parta la Guardia Civil spagnola , dall'altra le forze ausiliarie marocchine. La foresta di Gourougou è un'altura boscosa nei pressi di Melilla dove si rifugiano i

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http://www.net1news.org/cronaca/inferno-mevilla-migranti-massacrati-di-botte-fino-alla-morte-video-choc.html

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Inferno Mevilla. Migranti massacrati di botte fino alla morte (VIDEO CHOC)

migranti che provano a varcare il confine. Provengono da vari Paesi africani: Gabon, Camerun, Mali, Burkina Faso, Guinea, Ciad e Senegal e periodicamente cercano di attraversare il confine per entrare a Mevilla. L'11 marzo scorso uno di questi tentativi si è trasformato in un brutale pestaggio a caus dell'intervento congiunto della Guardia Civil e delle forze ausiliare marocchine. Una troupe ha filmato le conseguenze di questo vero e proprio crimine consumatosi nel silenzio generale. Dopo qualche giorno, il 16 marzo, i migranti feriti sono raggiunti in un accampamento di fortuna nella foresta di Gourougou, nei pressi di Beni Enssar, in Marocco, dall'associazione umanitaria Alecma. Tra i soccorritori c'è anche la regista Sara Creta che, con il collega del Camerun Sylvin Mbarga, documenta le conseguenze delle violenze della polizia e raccoglie le testimonianze scritte e audio-­visive delle vittime dell'aggressione. Uno dei feriti -­ Clément, un cittadino camerunese che era stato arrestato, pestato e trasferito all’ospedale di Nador -­ muore sotto i loro occhi: l'ambulanza non arriva in tempo. Era ferito alla testa e aveva un braccio ed una gamba fratturati: lascia la moglie incinta e due bambini. Il titolo del film, che essi hanno tratto, è "N°9", è un omaggio a lui dato che era il numero sulla maglietta che indossava. Quello che denunciano i migranti in cui occhi sono ancora terrorizzati al solo ricordo di quello che hanno vissuto è la violenza inaudita con la quale si sono accaniti contro di loro sia gli spagnoli che i marocchini. "E' stato un massacro. Hanno usato dei grossi pezzi di ferro, delle morse e delle pietre e hanno infierito su di noi, anche sulla testa e su chi aveva già gambe e braccia rotte". I migranti puntano il dito sulla Guardia Civil spagnola, la quale li massacra senza pietà prima di rispedirli dall'altra parte dove fanno il loro sporco lavoro le forze ausiliarie marocchine. Quasi implorano l'attenzione lde mondo su di loro :"Aiutateci qui le cose stanno peggiorando. noi cerchiamo solo di attraversare il confine per costruirci un futuro migliore e questi ci massacrano: come possono le grandi nazioni guardarci morire in silenzio. Il Marocco, la Spagna e l'Europa ci guardano morire in silenzio. "La Spagna sa che qui ci sono i neri che muoiono e non fa niente e anche i giornalisti, vengono, fanno qualche foto, ma non cambia niente e nessuno ci assiste" denunciano. E l'Onu? Gli Usa? L'Umanità dove sono? Viene da chiedersi a vedere i volti e i corpi massacrati di poveri sventurati colpevoli solo di cercare un futuro migliore per sè e le proprie famiglie. Se trovi questo articolo su un blog diverso da "net1news.org" si tratta probabilmente di una copia non autorizzata. L'indirizzo originale di questo articolo è: Inferno Mevilla. Migranti massacrati di botte fino alla morte (VIDEO CHOC) scritto da Net1news.

http://www.net1news.org/cronaca/inferno-mevilla-migranti-massacrati-di-botte-fino-alla-morte-video-choc.html

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Marocco: migranti "picchiati a morte" a frontiera enclave spagnola di Melilla, il docufilm-denuncia (VIDEO) - [Agorà Magazine]

rtedì 4 giugno, alle ore 10, il governo riferirà alla Camera sul caso Ilva

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Marocco: migranti "picchiati a morte" a frontiera enclave spagnola di Melilla, il docufilm-denuncia (VIDEO) sabato 29 giugno 2013 di Redazione Cronaca

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Roma, 28 giu. - "N.9 - Stop alle violenze alle frontiere !" Questo il nome della campagna e del video che testimonia "le violenze subite dai migranti ad opera delle forze dell’ordine marocchine e spagnole mentre cercava di attraversare la frontiera a Melilla", enclave iberica insieme a Ceuta in Marocco. E’ quanto denuncia l’Arci, secondo la quale "a Ceuta e Melilla a partire dall’autunno del 2005 la repressione contro i migranti non e’ mai cessata e le violenze alle frontiere nel nord del Marocco sono raddoppiate a partire dalla fine del 2011". "L’11 marzo 2013 il tentativo di un gruppo di migranti di attraversare la frontiera tra il Marocco e l’enclave spagnola di Melilla e’ violentemente represso dalla guardia civil spagnola e dalle forze ausiliarie marocchine. Il 16 marzo 2013, in occasione di una missione nella foresta di Gourougou nei pressi di Beni Enssar, condotta dall’associazione ALECMA con il sostegno del GADEM e alla presenza della regista Sara Creta per documentare le conseguenze delle violenze della polizia contro i migranti, i membri della missione assistono alla morte di Clement, cittadino camerunense che aveva tentato di attraversare la recinzione di Melilla l’11 marzo. Era stato arrestato, pesato e trasferito all’ospedale di Nador. L’AMDH riporta che era stato ferito alla testa e aveva un braccio ed una gamba fratturati. Secondo le testimonianze raccolte, ancora molto debole era stato rimandato nell’accampamento della foreste di Gourougou dove e’ morto a seguito delle ferite riportate. Questa missione ha portato alla realizzazione di un film, "N.9" , e al lancio di una campagna, "N.9 - Stop alle violenze alle frontiere", finalizzati a denunciare la repressione quotidiana e sistematica subita dai migranti ad opera delle autorita’ marocchine ed il coinvolgimento di quelle spagnole nelle atrocita’ commesse contro di loro alle frontiere di Melilla e a pretendere la fine delle violenze e le violazioni dei diritti umani nel nord del Marocco e l’apertura di un’inchiesta ufficiale sulle circostanze della morte di Clement e degli altri migranti deceduti intorno alle enclave spagnole. La versione breve (6 minuti) del filmato, con sottotitoli in italiano, si puo’ vedere al link (AGI)

http://www.agoramagazine.it/agora/Marocco-migranti-picchiati-a-morte

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4/4/2014

Frontière de Mélilia : Clément, Camerounais, 3 enfants, battu à mort le 11 mars (VIDÉO)

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Frontière de Mélilia : Clément, Camerounais, 3 enfants, battu à mort le 11 mars (VIDÉO) Lundi 1 Juillet 2013 -­ 14:45

"Numéro 9" est un documentaire vidéo réalisé par Sara Creta et coproduit par plusieurs associations marocaines de défense des droit des migrants qui donne la parole à une dizaine de migrants rescapés d'une tentative de franchissement de la frontière de Mélilia, le 11 mars. Parmi eux, Clément, Camerounais, est mort au moment de la réalisation du film.

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Les + Lus de la semaine Clément, Camerounais, était marié et père de trois enfants dont l’un d’à peine quelques mois. Il est mort le 16 mars dernier devant la caméra de la réalisatrice italienne Sara Creta, tué pas des membres de la guardia civil espagnole et des forces auxiliaires marocaines pour avoir tenté de 7 0 4 traverser la barrière de Mélilia. Avec les dernières images de Clément et des témoignages bouleversant de ses compagnons du camp de la fôrêt de Gourougou, Sara Creta a réalisé le document vidéo « Numéro 9 », tiré du Mi piace Tweet surnom de Clément, avec le conseil d’ALECMA et de plusieurs autres associations d’aide aux migrants subsahariens au Maroc. Le 11 mars 2013, Clément fait parti des 120 à 200 personnes qui tentent de franchir la frontière de Mélilia, à 4h30 du matin, avec une centaine d’échelles de fortune, au niveau de Farkhana, dans la zone de Yasinen, près de l’aéroport de Mélilia. Au terme de plusieurs heures de lutte, 90 migrants réussissent à franchir la barrière, 5 ont rebroussé chemin et les autres, soit plus d’une trentaine, sont attrapés. « Massacrés » La majorité d’entre eux est prise par les membres de la guardia civil que les rouent de coups de matraques, les « massacrent » selon les termes employés par les hommes eux-­mêmes, les entassent à plusieurs dans les coffres de Toyota et les ramènent du côté marocain. Remis sans autre forme de procès aux forces auxiliaires marocaines, ils sont à nouveau tabassés à coups de barre de fer, de serre-­joint, de batte de base ball, de marteaux, rapportent plusieurs rescapés. Finalement, 25 personnes, seulement les hommes les plus gravement blessés, totalement incapables de marcher sont transportés en ambulances jusqu’à l’hôpital de Nador. Clément est parmi eux. 3 personnes sont déjà dans le coma. Les autres, tous blessés, sont renvoyés à Oujda de l’autre côté de la frontière maroco-­ algérienne. Habitués de ce genre de blessés, le service hospitalier de Nador les soigne à peine. Seules 6 personnes sur 25 resteront plus d’une journée. Chassés par les « Ali » Clément rentre au camps le jour même sans avoir fait de scanner. A ce moment là, il va aussi bien que possible étant donné ses multiples blessures. Le lendemain matin, comme tous les matins, les forces marocaines viennent au campement pour chasser ses habitants. Les migrants remontent plus haut dans la forêt, abandonnant derrière eux les affaires. Restent sur place plusieurs blessés qui ne peuvent pas se déplacer, dont Clément. Les « Ali »,

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Frontière de Mélilia : Clément, Camerounais, 3 enfants, battu à mort le 11 mars (VIDÉO)

eux les affaires. Restent sur place plusieurs blessés qui ne peuvent pas se déplacer, dont Clément. Les « Ali », surnommés ainsi par les migrants subsahariens, sortent Clément de sa tente pour la brûler avec ses couvertures. Ils l’abandonnent couché dans la terre où le retrouvent ses compagnons en redescendant. Son état de santé se détériore rapidement. Ses amis racontent qu’il a froid, ne mange plus et ne sort plus de sa tente. Sur les images de Sara Greta, Clément est facilement identifiable, il s’agit de l’homme au regard totalement hagard, presque terrifié, tremblant, incapable de parler, qui halète, assis sur le sol. Ses amis appellent une ambulance. 6 jours après sa tentative de passage, devant la caméra, devant ses amis, devant les membres des associations venues sur les lieux... Clément meurt. La police arrivera avant l’ambulance.

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Combonifem | Stop alle violenze alle frontiere

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Stop alle violenze alle frontiere

La Campagna “N°9 – Stop alle violenze alle frontiere!” è stata lanciata il 28 giugno scorso insieme alla presentazione del video omonimo di Sara Creta, affinché le violenze alle frontiere settentrionali del Marocco cessino.

AREA MAGAZINE

04.07.2013:

SOMMARIO

Non hanno fatto niente. Le loro parole, i loro visi, sono lo specchio della violenza che, in molte parti del mondo, si sta consumando sulla pelle dei migranti che cercano di trovare un posto migliore nel mondo in cui poter vivere dignitosamente. La Campagna “N°9 – Stop alle violenze alle frontiere!”, lanciata il 28 giugno scorso, è finalizzata a denunciare la repressione quotidiana e sistematica subita dai migranti a opera delle autorità marocchine ed il coinvolgimento di quelle spagnole nelle atrocità commesse contro di loro alle frontiere di Melilla, a pretendere la fine delle violenze e delle violazioni dei diritti umani nel nord del Marocco e l’apertura di un’inchiesta sulle circostanze della morte di Clément, deceduto a seguito delle ferite riportate in occasione di un giro di vite senza precedenti da parte delle forze dell’ordine marocchine e spagnole, e degli altri migranti morti intorno all’enclave spagnola di Melilla, segnata da recinzioni parallele estese su 12 km la cui altezza raggiunge i 6 metri, surmontate da filo spinato e dotate di dispositivi pesanti di sorveglianza da ambo i lati.

EDITORIALE DALLA RIVISTA LA REDAZIONE COPIA OMAGGIO ABBONATI!

solo testo Solidarietà dal panettiere Cosa hanno in comune Messina, Sassari e Napoli? Il “pane in ...

“N°9 – Stop alle violenze alle frontiere!” e il documentario di Sara Creta sono dedicati alla memoria di Clément. Il “N°9” ricorda il centravanti o l’attaccante che deve segnare i goal. Ed è il nome che usano alcuni migranti per parlare di colui che lascia famiglia e paese d’origine e tenta “il passaggio”. Dagli eventi dell’autunno 2005 la repressione non è mai cessata e le violenze alle frontiere nel nord del Marocco sono raddoppiate. Il 16 marzo 2013 durante una missione nella foresta di Gourougou nei pressi di Beni Enssar, i membri dell’associazione Alecma, Gadem e la regista Sara Creta assistono alla morte di Clément, cittadino camerunense che aveva tentato di attraversare la recinzione l’11 marzo. L’Amdh riporta che era stato ferito alla testa e aveva un braccio e una gamba fratturati. Secondo le testimonianze raccolte, ancora molto debole, dall’ospedale di Nador era stato rimandato nell’accampamento della foreste di Gourougou dove è morto a seguito delle ferite riportate.

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«Nella mia esperienza a fianco dei migranti avevo sentito diverse storie di violenze subite e maltrattamenti – spiega Sara Creta –, ma la sensazione di essere impotente davanti alla realtà è qualcosa di diverso. Quei corpi e quelle ferite erano davanti a me, come una mostra dei segni delle frontiere, quei corpi che senza rispetto erano stati colpiti e che ora portavano dentro il segno di chi aveva tentato di attraversare. Clement è li. Non ha la forza di dire nulla. Così pure io, immobile davanti a lui, senza parole. Viene caricato in spalla, non parla, non riesce più a respirare, agonizza. Le sue ultime parole: non ho fatto niente».

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XI | n. 26 | 2 luglio 2013 | www.arci.it | report @arci.it

L’educazione popolare, chiave del cambiamento di Paolo Beni

N° 9 – Stop alle violenze alle frontiere di Alessandra Capodanno Migreurop

Sono trascorsi i primi cento giorni di una legislatura quanto mai complicata. La crisi morde ancora forte e il paese qui, quali problemi si sono risolti, cosa ci aspetta in autunno, quale futuro avrà questo governo nato dallo stallo post elettorale e specchio della crisi della politica italiana. Un governo che nessuno ama ma dal quale tutti si aspettano qualcosa, forte dell’assenza di alternative eppure esposto ai quattro venti di un mare perennemente in tempesta. Si può discutere su luci e ombre dei suoi primi passi, di alcune cose buone e dei molti limiti. Forse il bicchiere è più pieno che vuoto, ma l’impressione è che il governo non avrà comunque vita facile, sottoposto a tensioni trasversali alle stesse forze che lo compongono. Ciò che manca, e di cui il paese avrebbe tremendamente bisogno, è la capacità dei partiti di ritrovare la connessione col sentimento popolare diffuso, quella rivoluzione della politica che abbiamo continua a pagina 2

Il 28 giugno è stata lanciata a Rabat la campagna N° 9 – Stop alle violenze alle frontiere alla presenza di numerosi rappresentanti della società civile marocchina, delle associazioni di migranti e membri della rete euro-africana Migreurop, di cui l’Arci è uno dei fondatori. La campagna promossa dall’associazione di migranti Alecma insieme al Gadem e l’Amdh, il Fmas e il suo progetto media e-joussour tutte le forme di violenza, delle violazioni dei diritti e delle persecuzioni ai danni dei migranti alle frontiere nord del Marocco. N° 9 ricorda il giocatore numero 9 sui campi di calcio, il centravanti o l’attaccante che deve segnare i goal. È anche il termine che i migranti usano in Marocco per parlare di colui che lascia il paese d’origine e tenta il ‘passaggio’. Il passaggio è in questo caso l’attraversamento della frontiera tra il Marocco e l’enclave spagnola di Melilla segnata da tre re-

di dispositivi pesanti di sorveglianza sia dal lato marocchino che da quello spagnolo.

E pesanti, anzi inaudite, sono le violenze esercitate dalla Guardia civil spagnola e dalle forze ausiliarie marocchine contro i migranti che tentano di valicare quest’ultimo muro che li separa dalla ‘fortezza Europa’. Se a seguito degli eventi di Ceuta e Melilla del 2005 la situazione alle frontiere nord del Marocco sembrava essere migliorata, si senza precedenti: i migranti vengono intercettati alla frontiera o durante vere e proprie retate nelle foreste - dove si nascondono in attesa di tentare l’attraversamento della frontiera - o nelle periferie delle principali città marocchine, picchiati, derubati, privati dei documenti di identità e respinti nella terra di nessuno alla frontiera con l’Algeria, nei pressi della città di Oujda. Il video che porta lo stesso titolo della campagna è una prova di queste violenze e proprio la disponibilità di testimonianze scritte e audio-visive spiega la decisione di lanciare adesso questo appello alla mobilitazione. Grazie a queste testimonianze, le organizzazioni promotrici hanno intrapreso azioni legali a livello nazionale continua a pagina 2


2

arcireport n. 26 | 2 luglio 2013

migranti

segue dalla prima pagina

segue dalla prima pagina

invocato con le parole di Tom Benetollo ricordandolo alla Camera nei giorni scorsi: se la politica diventa prerogativa di pochi e non è più strumento dell’impegno di tanti, perde la capacità di servire al cambiamento; bisogna rifondarla dal basso, partendo dai luoghi di vita delle persone, con la cittadinanza attiva che riprende parola nel discorso pubblico. Non a caso l’Arci ha posto al centro della sua

perché sia fatta giustizia sul decesso di Clément, morto durante le riprese del video per le violenze subite in occasione di un tentativo di entrare - insieme a centinaia di altri numeri 9 - a Melilla. A Rabat, le reti internazionali presenti si sono impegnate a dare impulso alla mobilitazione della società civile spagnola affinché nessuno dei responsabili rimanga impunito. Gli strumenti della campagna - disponibili online sul sito - saranno utilizzati anche per denunciare l’accordo di ‘partenariato per la mobilità’ che l’UE ed il

dell’associazionismo popolare per reagire alla crisi; non a caso pochi giorni dopo la Ligue de l’einsegnement, partner di Arci e grande realtà dell’associazionismo francese, ha lanciato nel suo congresso le stesse parole d’ordine. Pur se in contesti molto diversi, l’attivismo civico europeo parla la stessa lingua. Dice che non sarà il mercato a salvarci e che le politiche di sociali e la democrazia; che abbiamo bisogno di un new deal all’insegna del lavoro e dell’economia sociale e solidale, dei beni comuni, della cultura e della laicità, della moralità pubblica, della democrazia partecipativa. Dice che la chiave del cambiamento sta nell’educazione popolare che diventa movimento di protesta e proposta, scambio di saperi e abilità per la vita, strumento per reagire alla barbarie del nostro tempo, conquistare capacità di cittadinanza e potere di azione collettiva. C’è spazio per una nuova alleanza fra istituzioni e attori sociali. C’è motivo di fa motore della trasformazione sociale. Perché quando le persone prendono coscienza di poter essere protagoniste del cambiamento non ci sono obbiettivi fuori dalla loro portata. Non sottovalutiamo la forza di questo messaggio.

COSÌ VICINA ALLE STELLE, COSÌ VICINA ALLA PARTE PIÙ DEBOLE DELLA SOCIETÀ. TI RICORDIAMO COSÌ, GRANDE MARGHERITA.

L’accordo includerebbe una clausola di riammissione in base alla quale il Marocco dovrà riammettere sul proprio territorio non soltanto i cittadini marocchini fermati in situazione irregolare sul territorio dell’Unione, ma anche quelli di paesi terzi che, dal Marocco, hanno raggiunto l’Europa. Un passo avanti nel processo di ‘esternalizzazione’ che vede lo spostamento a

sud e e ad est delle frontiere dell’UE per far sì che – in cambio di vantaggi economici e aiuti allo sviluppo - siano i paesi vicini dell’Unione a fare il ‘lavoro sporco’ e assicurare il controllo delle frontiere europee. La mobilitazione della società civile europea ed africana e della rete Arci è indispensabile per il successo di queste azioni. Ciascuno può contribuire diffondendo il video sui propri siti, blog, pagine facebook. Una diffusione ampia è necessaria anche per evitare ripercussioni sulle organizzazioni di migranti in Marocco e sui migranti stessi. Sensibilizzando sulle violenze subite a questa ed altre frontiere. Raccogliendo fondi - è questa la priorità per Alecma, l’organizzazione più vicina ai compagni di viaggio di Clément - per i migranti nascosti nelle foreste del nord del Marocco e per i familiari di Clément, rimasti in Cameroun senza l’aiuto del loro N°9 Per informazioni: http://saracreta.wix.com/into-the-forest

Fate un segno. Noi siamo qui nella foresta di Sara Creta regista di N°9

Dalle colline di Gourougou si vede l’enclave spagnola di Melilla. A separare questi due territori una barriera metallica che arriva anche a 6 metri di altezza, lunga 12 kilometri. Da una parte il Marocco, l’Africa, dall’altra la Spagna, l’Europa, il sogno. Ammassati nei boschi di Gourougou , sul promontorio che sovrasta il porto e la vecchia fortezza, o nascosti nella vicina Nador, decine di maliani, nigeriani, congolesi ma anche senegalesi e guineani aspettano l’occasione per varcare le temibili frontiere dello spazio Schengen. I dodici chilometri di recinzione che ‘custodiscono’ Melilla, si sono fatti sempre più serrati, le violenze aumentano. A sferrare i colpi sia la Guardia Civil spagnola che la Gendarmerie Marocchina. Il 16 marzo, insieme al compagno camerunese Sylvin Mbarga decidiamo di entrare nella foresta di Gourogou, quella zona di nessuno dove l’attesa e l’ossessione di attraversare la frontiera scandiscono il tempo. Sylvin conosce bene la foresta, qualche mese prima ci aveva vissuto anche lui. Mi accompagna sicuro, segue il sentiero che ci testimonianze e video che mostrassero i segni di violenza. Sappiamo che l’11 marzo c’è stato un tentativo di passaggio forzato, sappiamo che ci sono dei feriti. Siamo in contatto con il capo di quella comunità camerunese che ci parla al telefono, siate veloci la situazione sta peggiorando, abbiamo bisogno di aiuto. Sylvin è membro

dell’associazione ALECMA, formata da ragazzi subsahariani che vivono a Rabat. Attivisti abituati a queste immagini, a queste situazioni. Io no. Nella mia esperienza storie di violenze e maltrattamenti, ma la sensazione di impotenza davanti alla realtà è qualcosa di diverso. Quei corpi e quelle ferite erano come una mostra dei segni delle frontiere. Clément è lì. Non ha la forza di dire nulla. Così pure io, caricato in spalla, non parla, agonizza. Le sue ultime parole: non ho fatto niente. E nemmeno io riesco più a fare niente per lui, quando sento che è morto. Ecco perché ho custodito le ultime immagini della sua morte nonostante le intimazioni della polizia marocchina. Ho custodito quegli ultimi secondi per mostrare a voi cosa succede alle frontiere dell’Europa, per N°9 devono riuscire a bussare alla porta di chi decide, o di chi come me, paralizzato dalla forza delle immagini, mosso dalla sensibilità umana deve dire basta, tutto questo deve N°9. La denunciare le violazioni dei diritti umani uniti alla volontà di aprire un’inchiesta Clément sono gli obiettivi della campagna lanciata a Rabat lo scorso 28 giugno.


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4/3/2014

A.H.C.S: Profughi: violenze alle frontiere e violenze in Europa

In Libia, promossa dall’Europa al ruolo di “gendarme del Mediterraneo” contro l’emigrazione clandestina, torture, pestaggi e soprusi sono la vita quotidiana dei profughi e dei migranti rinchiusi in tutti le carceri e nei campi di detenzione, autentici lager che l’ipocrisia europea si ostina a chiamare centri di accoglienza. E’ eloquente il dossier presentato alle commissioni affari sociali e interni della Ue da parte di don Mussie Zerai, portavoce dell’agenzia Habeshia, circa un anno fa e via via aggiornato con diversi rapporti integrativi. L’ultimo è di queste settimane, corredato anche da una serie di fotografie “rubate” con un cellulare e fatte uscire clandestinamente dal campo di Burshada. Ma l’indifferenza della comunità internazionale non ne è stata scalfita. Nessuna reazione, in particolare, dall’Italia, nonostante abbia stipulato con il governo Berlusconi e rinnovato con Monti un accordo bilaterale che assegna a Tripoli il compito di blindare con ogni mezzo il Canale di Sicilia, bloccando i profughi in mare mentre tentano di raggiungere Lampedusa o la penisola, presidiando la costa per impedire gli imbarchi o arrestando in massa quei disperati nelle città o appena hanno varcato, in pieno Sahara, il confine libico. Non a caso gli oltre venti campi di detenzione sparsi nel paese sono strapieni, già di per sé invivibili per il sovraffollamento e la mancanza di servizi, di assistenza, cibo e persino acqua potabile sufficiente, senza contare i continui maltrattamenti, gli abusi, le percosse, le violenze a cui si abbandonano i militari e i miliziani di guardia. “Un vero inferno”, denunciano tutti i testimoni delle organizzazioni umanitarie. Un inferno destinato probabilmente ad inghiottire ancora migliaia di vittime. Tutto lascia prevedere, infatti, che in Libia come nell’intera fascia dell’Africa settentrionale il flusso di richiedenti asilo e migranti, lungi dal diminuire, continuerà ad aumentare. Una delle vie di fuga dei profughi, specie dal Sudan e dal Corno d’Africa, quella israeliana attraverso il Sinai, si è chiusa. Tel Aviv ha terminato di costruire una impenetrabile barriera di filo spinato lungo il confine egiziano, eliminando di fatto ogni possibilità di ingresso e completando così la politica dei respingimenti nel deserto, prima della frontiera. Contemporaneamente, il governo sta predisponendo l’espulsione di gran parte dei 60 mila rifugiati, soprattutto sudanesi ed eritrei, arrivati negli ultimi anni. E’ lecito attendersi dunque che, sbarrato il Sinai, anche il flusso che passava di lì si riverserà sull’Africa settentrionale e, dunque, sul nostro Mediterraneo. Forse anche per questo corre voce che il trattato tra Italia e Libia verrà riesaminato per arrivare a forme ancora più restrittive. Mentre nessuno sembra ricordarsi e tener conto di violenze tremende come quelle denunciate a Melilla o nelle carceri di Tripoli. Ci sono, del resto, anche altre forme di violenza. Spesso direttamente in Europa, frutto di indifferenza, burocrazia, insensibilità, norme e procedure assurde. Magari hanno meno eco, tra la gente e sui giornali, delle torture e dei maltrattamenti feroci che di tanto in tanto riescono a portare alla luce le denunce del Commissariato Onu per i rifugiati e delle organizzazioni umanitarie. Tuttavia finiscono anch’esse per “uccidere dentro”, a poco a poco, centinaia, migliaia di giovani che hanno lanciato il loro grido d’aiuto all’Occidente, in nome dei diritti umani e delle convezioni internazionali. E’ quanto emerge da una nuova protesta di don Mussie Zerai, questa volta a proposito dei Cara, i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo. In particolare, quello di Caltanissetta. Il caso è stato portato direttamente all’attenzione del ministro dell’interno Angelino Alfano. In base alle procedure, dopo aver ottenuto dalla Commissione territoriale lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, i profughi dovrebbero essere trasferiti nei circuiti dello Sprar, il Servizio per la protezione dei richiedenti asilo, o in altri centri simili, per aiutarne il processo di integrazione in Italia, fino al pieno inserimento nella società. Secondo le testimonianze raccolte direttamente da don Zerai, invece, a Caltanissetta starebbe accadendo esattamente il contrario: “Dopo il pronunciamento della Commissione – racconta il sacerdote eritreo – i migranti vengono messi fuori dal Centro di accoglienza senza aver nemmeno http://habeshia.blogspot.it/2013/07/profughi-violenze-alle-frontiere-e.html

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Profughi: l’Italia conferma alla Libia il ruolo di... Papa Francesco a Lampedusa: monito per un nuovo ra... Che dirà il Papa a Lampedusa? Profughi: violenze alle frontiere e violenze in Eu... ► giugno (18) ► maggio (4) ► aprile (11) ► marzo (10) ► febbraio (22) ► gennaio (17) ► 2012 (193) ► 2011 (416) ► 2010 (504) ► 2009 (506) ► 2008 (115) ► 2007 (53)

News immigrazione Rifugiati Eritrei Eritrean Refugees Eritrea Africa reuters Rifugiati Etiopi Ethiopian Refugees Etiopia Eritrean Hostages in Sinai L'immigrazione clandestina non è più reato. E Panorama ora? Introdotto nel 2009 quando ministro dell'Interno era Roberto Maroni, per volere della Lega e del Pdl, ieri è stato cancellato il reato di immigrazione clandestina. La Camera ha dato il via libera definitivo a un disegno di legge che contiene il ... Related Articles » Immigrazione, Alfano: "Fino a 600mila pronti a La Repubblica imbarcarsi dall'Africa" Immigrazione, Alfano: "Fino a 600mila pronti a imbarcarsi dall'Africa" (lapresse) ROMA -­ "Secondo le nostre informazioni, in Nordafrica ci sono tra 300 e 600 mila persone in attesa di transitare nel Mediterraneo". Lo ha detto il ministro dell'Interno ... Related Articles » Ddl carceri, cancellato il reato TGCOM ... l'iter a Palazzo Madama, torna ora alla Camera. Intanto a Montecitorio è arrivato il sì definitivo al ddl sulle pene alternative al carcere che contiene, fra l'altro, anche la depenalizzazione dell'immigrazione clandestina e le norme sulla messa ... Related Articles » Immigrazione, abolito il reato di clandestinità LiberoQuotidiano.it Con 332 voti a favore e 124 contrari la Camera dei deputati ha depenalizzato il reato di immigrazione clandestina e anche quello sulla coltivazione di marijuana. E' stata inoltre approvata la legge che recepisce una delle riforme sulla depenalizzazione ... Related Articles » powered by

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4/3/2014

A.H.C.S: Profughi: violenze alle frontiere e violenze in Europa

ricevuto tutti i documenti previsti. Per averli devono tornare dopo 40 giorni. Ma nessuno si preoccupa di come, privi di qualsiasi risorsa, senza un alloggio, senza soldi, senza lavoro, potranno vivere in quei 40 giorni. Ovvero, vengono di fatto consegnati ad ogni genere di sfruttamento o anche peggio. Non solo. Per il rilascio del primo permesso e del biglietto per il viaggio verso la località indicata per il soggiorno, è richiesto il pagamento di 127 euro. Può sembrare una cifra non elevata. Ma bisogna tener conto che queste persone sono state letteralmente ‘pescate in mare’, senza un solo euro in tasca. Dal giorno del loro arrivo in Italia sono stati ospiti di centri di accoglienza e, dunque, non hanno avuto alcuna possibilità di lavorare e di mettere insieme qualche soldo per le necessità più urgenti. Ecco perché non hanno quei 127 euro. E’ essenziale, allora, che il rilascio del primo permesso e del documento di viaggio sia a carico dello Stato. Come avviene del resto in tutta Europa. Altrimenti, una volta usciti dal Cara, questa gente si ritroverà allo sbando, per volontà dello Stato stesso. Con in tasca il parere positivo della Commissione territoriale sulla loro domanda di asilo, ma senza denaro, senza cibo, senza alloggio. Costretti a mendicare un piatto di minestra e a dormire dove capita: per strada, in un portone, in una delle infinite baraccopoli di ‘invisibili’ e ‘non persone’ sparse in tutta Italia. Braccia da sfruttare in nero e rischi infiniti di ogni genere”. E’ difficile non definire anche questa una violenza. Sia pure con tutte le “procedure” legali formalmente a posto. E, ovviamente, con effetti immediati sulle persone e un impatto “esterno” molto minori del massacro di Melilla o delle torture libiche. Si potrebbe obiettare che, in tempi di crisi e di ristrettezze come quelli che stiamo vivendo, è difficile per lo Stato accollarsi queste spese. Sarà bene, allora, fare un po’ di conti per capirne l’entità. Secondo i rapporti annuali della Caritas, ogni anno in Italia vengono presentate in media 35 mila richieste di asilo. Nonostante l’opinione diffusa, molte di meno di quante ne ricevano altre nazioni, a cominciare dalla Francia, prima in Europa con una media di 50-­55 mila l’anno. Di queste 35 mila, in genere ne vengono accolte la metà circa. Dunque, 17 o 18 mila che, moltiplicate per 127 euro a testa, portano a un totale di 2 milioni 286 mila euro l’anno. Sembra tanto. Ma è in realtà molto meno dei 3 milioni e 310 mila euro che costituiscono l’ammontare totale delle diarie (3.503 euro ciascuna) per soggiorno, viaggi, ecc. assegnate ogni mese ai 945 senatori e deputati del nostro Parlamento. Se si aggiunge poi il rimborso spese previsto per “l’esercizio del mandato”, pari a 3.690 euro a testa ogni trenta giorni, si arriva a quasi 6 milioni e 800 mila euro. Sempre al mese, è bene ripeterlo. E senza contare i benefit indiretti delle tessere gratis di autostrade, treni, aerei e linee marittime per gli spostamenti nazionali. Ovvero, in soli 30 giorni le “spese” di deputati e senatori ammontano a quasi il triplo di quelle annuali che lo Stato dovrebbe affrontare per consegnare gratis permessi e documenti ai rifugiati. Anzi, per “coprire” questi 2 milioni e 286 mila euro, basterebbe ridurre di soli 200 euro i 7.193 che tra diaria e rimborsi riceve a fine mese ciascun parlamentare. Sarebbe un “taglio” di appena il 2,78 per cento. Pubblicato da Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo a 21:47

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Una fiaccolata per non dimenticare gli Ostaggi nel Sinai

01 febbraio 2011 Campidoglio, fiaccolata per la librazione degli ostaggi nel deserto del Sinai, chiedere che l'Europa si muova per diffendere i diritti umani di centinaia di profughi del Corno d'Africa.

Firma per la liberazione degli Ostaggi nel Sinai http://corneliagroup.altervista.org/blog/firma-­ per-­la-­liberazione-­dei-­progionieri-­nel-­sinai/

Foto Manifestazioni

Sit-­in per chiedere libertà di coscienza, di parola, e libertà politica ed religiosa in Eritrea. Chiediamo anche la liberazione di tutti detenuti politici, giornalisti, obbiettori di coscienza e leader religiosi. Vogliamo un paese Democratico, uno stato fondato su una Costituzione voluta dal popolo Eritreo.

LIBIA: immigrati morti nel Sahara e Meditterraneo

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4/3/2014

No. 9 | Glasgow Refugee Asylum and Migration Network (GRAMNet)

Glasgow Refugee Asylum and Migration Network (GRAMNet) Tag Archives: No. 9 JULY 3, 2013 ·∙ 11:23 AM

In memory of Clément: Stop the violence at the Spanish and Moroccan borders The associations of ALECMA[1], GADEM[2], FMAS[3] and AMDH[4] call for mobilisation to denounce and bring an end to violence at the northern borders of Morocco. They are together launching a campaign in memory of Clément, an undocumented cameroonain migrant, who passed away as a result of wounds inflicted during unparalleled repression by Spanish and Moroccan forces. Repression against migrants has not ceased since the autumn 2005 Sebta and Melilla events, and violence at the borders in the north of Morocco is on the increase since late 2011. On 11th March 2013, a collective attempt at crossing the border between Morocco and the Spanish enclave of Melilla was violently contained by the Spanish ‘guardia civil’ and the Moroccan ‘forces auxiliaires’. On 16th March, the association ALECMA lead a field mission supported by GADEM and accompanied by filmmaker Sara Creta in the forest of Gourougou near Beni Enssar. The aim was to document the consequences of police violence against migrants and to gather written and audio-visual accounts. On site, they witnessed the death of Clément, who had attempted the crossing of the Melilla fence on 11th March. He was arrested, beaten up and transferred to the hospital in Nador. According to AMDH, he had suffered a head wound and had an arm and a leg broken. As stated in testimonies gathered, although still very weak, Clément was sent back to the camp in the Gourougou forest where he died from his wounds. This field mission led to the making of the film “No. 9”, a 15-minute film, as well as a shorter version (3-4 minutes). “No. 9” recalls the player with the number 9 shirt on football pitches: the centre-forward or striker who needs to score goals. Among migrants, “No. 9” is a nickname for a person who leaves his or her family to attempt the ‘passage’, i.e. the border between Morocco and the Spanish enclave of Melilla. This border is embodied by parallel fences with a length of 12km, a height of 6 metres, topped-up with razor-wire fences and integrated into a heavy system of surveillance on both Moroccan and Spanish sides. See the film here:

http://gramnet.wordpress.com/tag/no-9/

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No. 9 | Glasgow Refugee Asylum and Migration Network (GRAMNet)

The field mission also led to the launch of the “No. 9 – Stop violence at the borders!” campaign to denounce the daily and systematic repression of migrants by Moroccan authorities as well as the implication of Spanish authorities in the crimes perpetrated against migrants at the borders of Melilla; to call for the end of violence and violations of human rights in the north of Morocco; and to demand an official investigation into the circumstances of the death of Clément and the other migrants deceased in the surroundings of the enclaves. So far only Spanish, Italian, French and Moroccan media have relayed the campaign. [1] Association lumière sur l’émigration clandestine au Maghreb (Association Shedding Light on Clandestine Migration in Maghreb (an association of sub-Saharan migrants in Morocco)) [2] Groupe antiraciste d’accompagnement et de défense des étrangers et migrants (Anti-racist group of support and defence of foreigners and migrants) [3] Forum des alternatives Maroc (Alternatives Forum Morocco) [4] Association marocaine des droits de l’Homme (Moroccan Association of Human Rights)

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4/3/2014

APDHA se suma a campaña contra la violación de derechos humanos en Marruecos - ABC.es - Noticias Agencias

UEFA LIGA EUROPA

Sigue en directo el partido de cuartos entre el Oporto y el Sevilla FC

Noticias agencias

APDHA se suma a campaña contra la violación de derechos humanos en Marruecos 30-­07-­2013 / 14:02 h EFE

La Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía (APDHA) se ha adherido a la campaña "Nº9 -Basta de Violencia en las Fronteras", iniciada por cuatro asociaciones marroquíes, para denunciar la violación de los derechos humanos en el norte de Marruecos y exigir el fin de la represión. La campaña, presentada a finales de junio, fue emprendida tras una misión llevada a cabo en el monte Gurugú (cerca de Melilla) en marzo de 2013 para documentar las consecuencias de la violencia policial contra los migrantes. Además, la Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía junto a la Federación Andalucía Acoge, la Federación de asociaciones de SOS Racismo y la Asociación ELIN han interpuesto una queja a la Defensora del Pueblo Español, Soledad Becerril. En concreto, le solicitan que requiera al Ministerio del Interior la apertura de una investigación sobre cómo se están gestionando los casos de devolución y rechazo en las fronteras de Ceuta y Melilla y cómo están actuando los agentes de las fuerzas y cuerpos de seguridad del Estado en este ámbito. También demandan a la Defensora del Pueblo que solicite al Ministerio de Asuntos Exteriores que pida a las autoridades marroquíes aclaraciones sobre los hechos descritos en el documental nº 9 y que proponga al Gobierno que se deje sin efecto el acuerdo bilateral de repatriación España-Marruecos hasta que el país magrebí garantice en su territorio el respeto de los derechos fundamentales de los migrantes subsaharianos.

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Kerry viaja a Argelia y Marruecos, los vecinos enfrentados del Magreb Estados Unidos presionó en Naciones Unidas para que la misión de la ONU en la ex colonia, la Minurso, tenga entre sus mandatos el de vigilar los derechos humanos.

28 inmigrantes permanecen seis horas encaramados en la valla de Melilla A las 18:30 horas, todavía quedaban encaramados 10 inmigrantes que no querían descender para no ser expulsados a Marruecos. Libertad, libertad!​, y también han reclamado numerosas veces en ... Twittear

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Por comunidades Andalucía Aragón Baleares http://sevilla.abc.es/agencias/noticia.asp?noticia=1469319&titulo=APDHA+se+suma+a+campa%F1a+contra+la+violaci%F3n+de+derechos+humanos+en+Marr…

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APDHA se suma a campaña contra la violación de derechos humanos en Marruecos - ABC.es - Noticias Agencias

Gobierno que se deje sin efecto el acuerdo bilateral de repatriación España-Marruecos hasta que el país magrebí garantice en su territorio el respeto de los derechos fundamentales de los migrantes subsaharianos.

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La UE y África sellan un pacto contra la inmigración irregular

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4/4/2014

“Nº9 –Basta de Violencia en las Fronteras” - periodismohumano

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“Nº9 –Basta de Violencia en las Fronteras” La campaña fue emprendida tras una misión llevada a cabo en el monte Gurugú (cerca de Melilla) para documentar las consecuencias de la violencia policial contra los migrantes. Los testimonios recogidos en esta misión están presentados en un impactante documental realizado por Sara Creta, traducido al castellano por APDHA. 26.08.2013 · periodismohumano · APDHA-­Sara Creta

Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía (﴾APDHA)﴿ ha solicitado su adhesión a la campaña “Nº9 –Basta de Violencia en las Fronteras” iniciada por cuatro asociaciones marroquíes (﴾ALECMA [1], GADEM [2], FMAS [3] y AMDH [4])﴿ con el objetivo de denunciar la violación de los derechos humanos en el norte de Marruecos y exigir el fin de la represión sistemática que sufren los migrantes por parte de las autoridades marroquíes y españolas.

Queja a la Defensora del Pueblo: La Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía, junto a la F ederación Andalucía Acoge, la F ederación de asociaciones de SOS Racismo y la Asociación ELIN han interpuesto una queja a la Defensora del Pueblo Español solicitando: -­ Que se requiera al Ministerio del Interior a abrir una investigación inmediata sobre cómo se están gestionando los casos de devolución y rechazo en las fronteras de Ceuta y Melilla y cómo están actuando los agentes de las fuerzas y cuerpos de seguridad del Estado en este ámbito.

http://periodismohumano.com/migracion/no9-basta-de-violencia-en-las-fronteras.html

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“Nº9 –Basta de Violencia en las Fronteras” - periodismohumano

-­ Que se requiera al Ministerio de AAEE y Cooperación que solicite a las autoridades marroquíes aclaraciones sobre los hechos descritos en el documental nº 9 y que proponga al Gobierno español que se deje sin efecto el acuerdo bilateral de repatriación España-­Marruecos hasta que el país magrebí garantice en su territorio el respeto de los derechos fundamentales de los migrantes subsaharianos. Decargar texto completo de la Queja presentada ___________________________________________________ Más info en Periodismo Humano

“Nos golpean con piedras en las rodillas y tobillos para que no saltemos la valla de Melilla” 2 6 .1 0 .2 0 1 2 · Je sú s Bl a sco d e Ave l l a n e d a · (﴾N a d o r)﴿

Tras un infructuoso salto a la valla de Melilla varios inmigrantes, con heridas recientes, denuncian que policías marroquíes han intentado romperles las rodillas y los tobillos para “quitarles las ganas de saltar” el muro metálico que separa Europa de África en la frontera melillense con Marruecos. L e e r má s

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Nº9 –Basta de Violencia en las Fronteras | América [...] Fuente: http://periodismohumano.com/migracion/no9-­basta-­de-­violencia-­en-­las-­fronteras.html http://www.rebelion.org/noticia.php?id=173045 Compartir:La Patria GrandeCorreo electrónicoPocketPinterestFacebookImprimirTwitterDiggGooglePinterestLinkedInRedditStumbleUponTumblrMe gusta:Me gusta Cargando… Publicado en Uncategorized [...] Responder

Toma la palabra » ¿Por qué cientos de personas se lanzaron al mar este mes de Agosto para cruzar el Estrecho? [...] metros de altura, coronadas por alambre de espino y precedidas por la temible Sirga tridimensional. Muchos resultan heridos, algunos pierden la vida como se ve, bien en el intento o por resultado de la acción [...] Responder

Paisaje tras las razias contra inmigrantes en el monte Gurugú -­ periodismohumano [...] represión contra la inmigración irregular en el norte del país se cobró en el mes de marzo la vida de Clément, camerunés fallecido en el Gurugú por falta de atención médica tras un intento de entrada en [...] Responder

Razias contra inmigrantes en el monte Gurugú | The Fuckington Post [...] represión contra la inmigración irregular en el norte del país se cobró en el mes de marzola vida de Clément, camerunés fallecido en el Gurugú por falta de atención médica tras un intento de entrada en [...] Responder

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Il fascismo della Frontiera - Diversa Mente - ComUnità - l'Unità

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“Rosarno non deve restare sola e non sarà sparizione di migranti nel Mediterraneo, pogrom lasciata sola”, dichiarava l’allora ministro per contro [...] La violenza che si aggira in Europa contro i migranti, è a volte pudicamente spostata ai suoi margini. Nei centri di detenzione illegali, nelle jungles di transito sulle rotte migratorie. Calais, Patras, Oujda: sottoboschi di campi informali, dove uomini si nascondono tra i cespugli e i rifiuti, in attesa di varcare l’ennesima barriera. Decine di kilometri di recinzioni parallele, sormontate da filo spinato, reti sulle quali gettarsi e scalare veloci, per poi venir ripresi, picchiati e massacrati di botte da poliziotti di frontiera: nuove milizie bianche della fortezza, dove si gioca l’antico ma mai così attuale conflitto tra l’umano e il disumano. Dopo i riflettori sulla strage dell’settembre-­ottobre 2005, dove la polizia aveva sparato sugli “assalitori” facendo ufficialmente 6 morti (ma molto di più secondo le associazioni) e decine di feriti tra i migranti sub sahariani, l’enclave spagnola di Ceuta-­Melilla era ricaduta nel silenzio, mentre in realtà sono raddoppiate le violenze poliziesche. Emietono vittime. Come Clément, un cittadino camerunese che era stato arrestato,

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La Carta di Lampedusa nel 2010. Invece dopo 4 anni, le condizioni 8 febbraio 2014 disastrose in cui vivono e lavorano i braccianti

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pestato l’11 marzo scorso e che muore in diretta, ripreso dalle cinepresa della regista Sara Creta che documentava nella foresta Gourougou (nei pressi di Beni Enssar), la repressione congiunta della Gardia Civil spagnola e delle forze ausiliarie marocchine. Ne è nato il documentario “N°9” – come il numero stampato sulla maglia di Clément -­, che potete vedere su youtube e la campagna “No more violence on borders”. Dopo i pestaggi, abbandonati senza cibo né soccorso i migranti, per la maggioranza, sub sahariani denunciano: “Come possono le grandi nazioni guardarci morire in silenzio? La Spagna sa che qui ci sono i neri che muoiono e non fanno niente, anche i giornalisti, vengono, fanno qualche foto, ma non cambia niente e nessuno ci assiste”. Ma non c’è solo Ceuta e Melilla, la prassi sistematica dei respingimenti di massa da parte della Grecia verso la Turchia e gli abusi sulla frontiera dell’Evros e in mare Egeo, è risaputa e documentata da un recente rapporto di Amnesty, senza dimenticare che nonostante la sentenza della Corte europea dei diritti umani, l’Italia prosegue i respingimenti e rimpatri da Ancona ad Agrigento. Il razzismo istituzionale europeo è stato reso confine – “muro” tangibile di violazioni, sulla pelle degli “altri”, neri. Sulla frontiera, dietro l’eufemismo del “controllo delle frontiere dell’UE”, si sta sviluppando un grumo nero di pratiche invisibili di sopraffazione su altri uomini, deportazioni in mezzo al deserto, abusi, maltrattamenti: torture. Una vera e propria “sparizione organizzata” – dal 1988 sono circa 19mila le persone disperse o il cui corpo e’ stato ritrovato privo di vita per raggiungere l’Europa – frutto di specifiche scelte politiche. Ma non potremmo illuderci a lungo che quei migranti muoiano “a caso” mentre sono passivamente lasciati 4/3/2014 Il fascismo della Frontiera - Diversa Mente - ComUnità - l'Unità “sparire” in mare o pestati a morte, proprio perché migranti. Se non paragonabile ai crimini contro http://diversamente.comunita.unita.it/2013/07/30/il-fascismo-della-frontiera/

l’umanità perpetrati dal nazi-­fascismo, questa complice passività nostra di fronte alla sospensione dello

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stato di diritto per certe categorie, è molto inquietante, perché è il substrato sul quale si sviluppa un lento accetare il disumano in forma anti-­migranti come “normale”. Johan Galtung in un recente articolo “Reinvenzione del fascismo” (Transcend Media Service), scriveva che il fascismo non è solo riconducibile a quello avverato storicamente, ma una “visione della guerra come un’attività ordinario dello stato”, una “profonda contrapposizione contro un nemico omnipresente”, e la costruzione di un “dualismo”. Questa definizione non si adatterebbe perfettamente a descrivere la paranoia istituzionalizzata contro presunti “nemici” da arginare in una guerra permanente della “sicurezza” che prende le varie forme di leggi speciali, detenzioni illegali, respingimenti, torture? Nel laboratorio-­frontiera di violazioni di diritti umani. Sembra una cosa marginale ma in realtà scava nel cuore del continente un fascismo nuovo, della “Frontiera”. Che non può non aver repercussioni, anche interne.

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4/3/2014

Migrants in Morocco: 'Go Home or Face Death'

There, helpless and on their knees, many received more blows with iron bars, clamps, and sticks from the Auxiliary Forces. These paramilitary officers aimed at the migrants’ heads, breaking limbs and crushing faces with their boots. At the end of the ordeal, most of the migrants were loaded into vans to be deported to the Algerian border. From the border, migrants made their way back to Morocco on foot. According to the different witness accounts compiled in the campaign documents, only about twenty-­five of the most wounded, “those who really could not walk,” were brought to the El Hassani hospital in Nador. Among these was Clément, a father who had left Cameroon in the hopes of providing a better life for his family. With a broken arm and leg and suffering from a head wound, Clément was admitted to the hospital with twenty-­four other people, three of whom were in comas. The campaign notes relate how hospital workers refused Clément a scan, as they deemed his wounds “not serious [enough]” Discharged from hospital the same day, without having received any sound medical care, he returned to the forest. There his remaining companions saw his health deteriorate. Clément was no longer eating;; he would complain about feeling cold and not get out of his tent. On 16 March, Clément’s health took a turn for the worse. People around him called for an ambulance, but the ambulance never arrived. Clément, for lack of adequate medical care, eventually died from the injuries inflicted by Moroccan and Spanish forces, leaving his wife and three children in Cameroon. On the day of Clément’s death, Sara Creta, an Italian filmmaker and Sylvin Mbarga, a Cameroonian journalist and member of the migrant association ALECMA, were present in the Gourougou forest. They filmed Clément’s agony and death: Clément died surrounded by other migrants, many on crutches and most visibly injured over their heads and bodies, as they described the daily abuses they face in the forest and at the border. This video forms the basis of the Number 9 campaign, and it has received international coverage by La Repubblica, Mediapart, El Pais, and Yabiladi. It is important to contextualize the events which led to Clément’s death. This tragedy is not an isolated incident. Moroccan NGO’s have noted that there have been some improvements for migrants in Morocco since the autumn 2005 Ceuta and Melilla events. At that time, at least eleven migrants perished and many more were seriously injured during group attempts at crossing the Spanish-­Moroccan border. This tragedy occurred after a summer marked with intense police harassment in the forests. However, since the end of 2011, violence against migrants in the borderlands and elsewhere in Morocco is increasing again. Doctors Without Borders, before stopping its activities in northern Morocco, released its “Violence, Vulnerability and Migration: Trapped at the Gates of Europe” report, highlighting the use of violence by Spanish and Moroccan authorities. The NGO interviewed over one hundred ninety migrants in Nador and Oujda and sixty-­three percent affirmed having been victims of violence. Sixty-­four percent of those acts of violence were attributed to the Moroccan authorities and seven percent to the Spanish forces. GADEM and ALECMA pointed out that although Clément’s death was documented on video, it was not anecdotal. There have been numerous cases of serious allegations surrounding the deaths of other migrants in the borderlands as a result of beatings or falls from the cliffs after being chased by the Auxiliary Forces. Eric William, spokesman for ALECMA, mentioned to me several other cases: Last year another ALECMA member witnessed a cruel scene. Following an attempt at the fence around Melilla, the Spanish forces pushed the migrants to the Moroccan side where they were savagely beaten up. One sub-­Saharan already the ground had his skull crushed by a large stone thrown by a Moroccan agent. A month after the launch of the campaign, violence in northern Morocco has taken even more dramatic proportions as more migrants attempt to cross during the summer. On 23 July, Moroccan media reported that around five hundred migrants attempted to cross the fence around Melilla. One hundred were pushed back by the Civil Guard after having passed to the other side. As Yabiladi reported, Francisco Martinez, Spanish state secretary for interior security, announced that the Spanish government would take measures in collaboration with Morocco, and that some were already “in progress.” Between 23 and 30 July, hundreds of migrants were arrested in northern Moroccan cities such as Tangier, Taourirt, Nador, El Hoceima, Tetouan, and Ksar Lakbir, according to AMDH. Guillaumar, a Cameroonian migrant present in the neighbourhood of Boukhalef in Tangier told me how he was woken up at dawn: “It is as if all the Moroccan forces were there: the military, the gendarmerie, the police, the auxiliary forces, the riot police… As if they had come to arrest Bin Laden here. They started to break the doors and beat up people. When people showed them their passports, they said they had not come for the passports. One woman had a passport with a valid visa and they shouted ‘get on the bus.’ I escaped from the terrace, a Moroccan woman opened her door to me, http://www.jadaliyya.com/pages/index/13463/migrants-in-morocco_go-home-or-face-death

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Migrants in Morocco: 'Go Home or Face Death'

but they stole everything, they took people’s money.” Several witnesses testified to the violence the Moroccan authorities deployed. According to testimonies, the forces of order broke into people’s apartments around four or five in the morning, left them no time to get ready, confiscated belongings (including money and identification papers) and loaded the migrants onto buses. Women, some of whom were pregnant or with babies, minors, refugees, asylum seekers, and even people carrying valid immigration documents were forced into the buses to be deported. They never visited a single police station or a tribunal. Some were taken near Oujda, and others were abandoned in the countryside between Meknes and Fez. Several people were brought to hospital emergency rooms. A Congolese man in his forties was thrown out of a bus on the motorway during an altercation between migrants and the police. He died six days later. While more migrants try to take advantage of the Ramadan period to cross, recent cases of deaths have been reported near the Spanish enclave of Melilla, including at least one on the Spanish side, in unclear circumstances. This surge in violence occurs at a time when the European Union is placing greater pressure on Morocco to sign a readmission agreement. The agreement would require Morocco to readmit migrants who irregularly sought entry into Europe via Morocco. Although in actual practice, as the Number 9 campaign denounces, the Spanish Civil Guard routinely returns people to Morocco with little regard for international legislation. On 7 June 2013, a few days after the death of Clément near Nador, Morocco and nine European Union (EU) member states signed in Strasbourg “a joint declaration establishing a Mobility Partnership between the Kingdom of Morocco and the European Union and its Member States.” While several initiatives exist pertaining to Morocco-­EU migration, such as facilitated visas for businessmen, students, and researchers, the question of a readmission agreement stands up as the key objective. Indeed, the text crucially entails a return to negotiations over the readmission agreement. As migration scholar Abdelkrim Belguendouz describes in a recent article: In other words, Morocco is asked to take on the role of the gendarme of Europe to stop migration flows. A role Morocco has always refused to assume (officially) and, according to us, should continue to reject in respect for human rights. On the same day of the Strasbourg joint declaration signature, human rights associations held a press conference in Rabat. The conference denounced the imprisonment of twenty-­one Senegalese citizens arrested at their embassy in Rabat. During the conference, the Senegalese citizens and the associations condemned the complicity of the embassy. The Senegalese embassy called the police on its own citizens who, ironically, had come to protest about police harassment and abuses. Moreover, the associations drew a parallel between these events and the mobility partnership declaration. Indeed the associations fear that such partnership, “illusionary for the majority of Moroccans,” will lead to “politics that is more and more xenophobic and discriminatory towards other African citizens.” The trade union ODT-­Immigrés, the first migrant workers’ trade union in Morocco, declared that discrimination towards migrants, especially sub-­Saharan, is illustrated by the Moroccan Interior Ministry’s 14 June statement. Moroccan media widely relayed this statement. Stemming from the observation that some European citizens live and work in Morocco without a residency card, the interior ministry gently recommends them “to fill in the formalities relating to their stay and professional occupations with the concerned administrative services.” The ODT-­Immigrés trade union believes this well-­mannered call, which was clearly addressed to European migrants residing in Morocco without proper documentation, is a clear evidence of a “double-­standard” in the Moroccan government’s dealing with migrants. As Samia Errazzouki described in a recent article on this site, state enforcement of racism in Morocco has a long history. Sub-­Saharan migrants, as opposed to European migrants, have not received such courteous administrative reminders from the Benkirane government. Rather, they are beaten and killed. Ten years ago, the United Nations instituted the Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families. It is now time for the Moroccan authorities to respect the rights of migrants as safeguarded by all the international conventions ratified by Morocco. It is also important to effectively implement the existing, but limited, protective measures secured by its own national legislation. Migrants’ rights associations in Morocco recently released a “Report on the Application in Morocco of the International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their Families,” which highlights the shortcomings in Morocco when it comes to respecting the rights of migrants. Spain and other European countries are de facto cautioning what is happening here. While outrage has emerged in Europe over the controversial “go home or face arrest” campaign in the United Kingdom, hardly any European media has relayed the recent incidents in Morocco, which are akin to a “go home or face death” threat. However, in a recent communiqué, MIGREUROP, a network of researchers and activists that denounces the externalization of Europe’s immigration controls and policies, decries the hunt for migrants. Negotiation http://www.jadaliyya.com/pages/index/13463/migrants-in-morocco_go-home-or-face-death

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attempts have barely punctuated this manhunt unravelling in Morocco and Europe’s deafening silence. As researcher Mehdi Alioua recalled, migrants who ten years ago were too scared to go out are now part of extensive activist networks. These networks of Europeans, North Africans, and sub-­Saharan Africans voice their concerns over the abuses of migrants’ rights and dignity. Migrant associations such as ALECMA need the international community to know what is perpetrated in the name of “fortress Europe.” For Eric William, spokesman of ALECMA, “we activist associations refuse to remain silent. Despite the pressures, we will continue to denounce the violence perpetrated against migrants in Morocco.” In fact, for Camara Laye, coordinator of the Conseil des Migrants Sub-­Sahariens au Maroc (CMSM): “It is simple, if we do not do anything, they will suffocate us.” Latest posts in Maghreb:

Foucault, Fanon, Intellectuals, Revolutions

‫ ﺭرﺍاﺑﻌﺔ؟‬ ‫ ﻟﻌﻬﮭﺩدﺓة‬ ‫ ﺑﻭوﺗﻔﻠﻳﯾﻘﺔ‬ ‫ ُﺭرﺷﱢﺢ‬ ‫ ﻟﻣﺎﺫذﺍا‬ : ‫ﺍاﻟﺟﺯزﺍاﺋﺭر‬

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Sebastien Bachelet · Università di Edimburgo https://secure.avaaz.org/en/petition/Campagne_Numero_9_Stop_aux_ violences_aux_frontieres Reply · Like ·

1 · Follow Post · August 10, 2013 at 1:01pm

Sebastien Bachelet · Università di Edimburgo Violence in the borderlands is still ongoing. The man we see carrying his dying friend on his back just returned from the forest with an eye missing. He was shot in the face near the fence around the Spannish enclave. Reply · Like · Follow Post · August 9, 2013 at 9:18pm Remi Boudreau · Colorado State University why can't i share this? Reply · Like · August 9, 2013 at 10:21pm Terry White ·

Follow · Works at International Network of People who Use Drugs

This is another horror, but few if any report it. Reply · Like ·

1 · Follow Post · August 9, 2013 at 6:10pm

Houda Aquil · Ecole Supérieure Roi Fahd de Traduction Odious practices! Reply · Like ·

1 · Follow Post · August 10, 2013 at 6:04pm

Simon Owens This absurd treatment of 'The People Of The Forest' must stop. One way to help do this is to stand amongst these people-literally. When I have the money I will go to Melilla and into the Forest in Morocco and stand with these people...if they want me too. Stop the rushing over the fence...appeal to the Moroccan and Spanish Authorities and ask the World how we solve all these horrendous worldwide immigration and refugee problems. If we want to live in a free and fair world we must stop the horror first. Let's stop it-then ask the questions. Reply · Like · Follow Post · November 23, 2013 at 11:30pm Simon Owens Booked a ticket. Leave Dec 19th. Arrive Melilla 21st Dec. Reply · Like · December 1, 2013 at 7:48pm Facebook social plugin

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“Numero 9ʺ″, l’attaccante che deve fare gol. Oltre frontiera | La città nuova

Corriere Della Sera > Blog > La Città Nuova > “Numero 9″, l’attaccante che deve fare gol. Oltre frontiera

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“Numero 9″, l’attaccante che deve fare gol. Oltre frontiera di Stefano Pasta

“Clément è lì. Non ha la forza di dire nulla. Così pure io, immobile davanti a lui, senza parole. Viene caricato in spalla, non parla, agonizza. Le sue ultime parole: non ho fatto niente. E nemmeno io riesco più a fare niente per lui, quando sento che è morto. Ecco perché ho custodito le ultime immagini della sua morte nonostante le intimazioni della polizia marocchina”. Così Sara Creta racconta come è nato il film di denuncia “N°9”, girato insieme al collega camerunese Sylvin Mbarga nella foresta di Gourougou, in Marocco, una zona di nessuno dove l’attesa e l’ossessione di attraversare la frontiera scandiscono il tempo. Dalle colline di Gourougou si vede Melilla, enclave spagnola in terra africana, spazio Schengen, Fortezza Europa. A separare questi due territori una barriera metallica che arriva a 6 metri di altezza, lunga 12 chilometri, tra filo spinato, cavi d’acciaio, faretti, spray al peperoncino, telecamere e barriere “intelligenti”. “N°9” ricorda il giocatore numero 9 sui campi di calcio, l’attaccante che deve http://lacittanuova.milano.corriere.it/2013/10/03/numero-9-lattaccante-che-deve-fare-gol-oltre-frontiera/

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“Numero 9ʺ″, l’attaccante che deve fare gol. Oltre frontiera | La città nuova

segnare il gol. È il nome che usano alcuni migranti per parlare di colui che lascia famiglia e Paese d’origine e tenta “il passaggio” in Europa. Tra i “numeri 9” e gli accampati di Gourougou c’è mezza Africa (Gabon, Camerun, Mali, Burkina Faso, Guinea, Ciad e Senegal), molti di loro non sono più al primo tentativo di passare “de l’autre côté”. “Questo si chiama inferno” è la frase che ritorna più facilmente sulla loro bocca. “Entrarci non è facile. Per arrampicarci, rischiamo la nostra vita. Se vogliono arrestarci, possono arrestarci. Ma non spogliarci, toglierci il telefono, i nostri soldi, ucciderci”. Dopo i tanti morti del 2005, a Ceuta e Melilla la situazione era in parte migliorata, ma dalla fine del 2011 è scattata una repressione senza precedenti. La pelle nera in Marocco paga pegno : i migranti vengono intercettati alla frontiera o durante vere e proprie retate nelle foreste o nelle periferie delle principali città marocchine. Picchiati, derubati, privati dei documenti di identità e respinti nella terra di nessuno alla frontiera con l’Algeria, nei pressi della città di Oujda. È anche la storia di Clément. L’11 marzo scorso, un centinaio di aventuriers, come li chiamano a sud del Sahara, tenta di attraversare il confine con Melilla. L’intervento congiunto della Guardia Civil spagnola e delle forze ausiliare marocchine si trasforma in un brutale pestaggio: “Hanno usato pietre e mazze di ferro”, raccontano i migranti. La telecamera di Sara Creta arriva il 16 marzo, insieme all’associazione umanitaria Alecma. Clément, un cittadino camerunese che era stato arrestato e pestato, muore sotto i loro occhi: l’ambulanza non arriva in tempo. Era ferito alla nuca e aveva un braccio ed una gamba fratturati;; lascia la moglie incinta e due bambini. Di fronte a queste immagini, di fronte ai tagli alla testa con cui finiscono le ambizioni di una generazione, è difficile non pensare che la violenza che si aggira in Europa contro i migranti è a volte pudicamente spostata ai suoi margini. Tre mesi dopo la morte di Clément, il 7 giugno, i ministri europei riuniti a Lussemburgo hanno firmato un accordo di partnership con il Marocco “per la gestione della migrazione”. Dalla morte di Clément, insieme al documentario, è nata la campagna “N°9 – Stop alle violenze alle frontiere”, per denunciare la repressione subita dai migranti ad opera delle autorità marocchine con il coinvolgimento di quelle spagnole. La campagna, lanciata a Rabat il 28 giugno scorso dalle associazioni Alecma, Gadem, Fma e Amdh, chiede anche l’apertura di un’inchiesta ufficiale sulla morte di Clément perché, come spiega Sara Creta, “questi duri minuti racchiusi nel film devono riuscire a bussare alla porta di chi decide, o di chi come me, paralizzato dalla forza delle immagini, mosso dalla sensibilità umana, deve dire: basta, tutto questo deve finire”. Tags: Confini, frontiere, Marocco, Melilla, Spagna, Stefano pasta 4

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Passpartù: Metà Africa Metà Europa - Amisnet

Passpartù: Metà Africa Metà Europa In Evidenza

Passpartù

25/10/2013

Melilla è la città dei numeri: tredici chilometri di frontiera, sei metri di altezza per le reti che dividono il regno spagnolo da quello marocchino, mille all’incirca le persone che ogni anno saltano la barriera per arrivare in Europa. Se ci fermassimo ai numeri saremmo semplici ragionieri delle migrazioni, le voci dei migranti invece questi numeri li rendono vivi e drammaticamente spaventosi. Ascolta Passpartù:

Ascolta Passpartù: Metà Africa Metà Europa Hide Player | Download

Tanto in città quanto dall’altra parte della frontiera, in Marocco sul monte Gurugù, il rispetto dei diritti umani è praticamente nullo. Le violenze della polizia marocchina e della guardia civil spagnola sono denunciate non solo dai migranti ma anche dalle associazioni locali e dai giornalisti. Melilla appare quindi come una città senza legge o, come la definisce Jose Palazòn dell’associazione Prodein, un grande carcere dove la difficoltà di entrare è nulla rispetto al problema di uscirne per raggiungere la penisola iberica o il resto d’Europa. E mentre chi è riuscito a saltare la valla, la grande recinzione che circonda Melilla, studia i modi per arrivare dall’altra parte del Mediterraneo, chi ancora si trova in Marocco, nascosto tra i boschi o nelle città ai margini della frontiera, prepara gli assalti verso questa piccola metropoli che per molti rappresenta la Spagna, la meta. In uno di questi attacchi ha perso la vita Clement, un giovane camerunense che come tanti altri nutriva il sogno europeo, e mentre la sua salma ancora giace all’obitorio di Nador in attesa di esser rimpatriata altri ragazzi come lui, quotidianamente, mettono in scena la loro personale battaglia contro una valla, una rete, che li separa dal loro obiettivo che altro non è che un continente in crisi: l’Europa. Ospiti della puntata: Josè Palazòn, Associazione Prodein e curatore del blog Melillafronterasur Francesco Bondanini, Ricercatore per l’Università di Colonia http://amisnet.org/agenzia/2013/10/25/passpartu-meta-africa-meta-europa/

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Passpartù: Metà Africa Metà Europa - Amisnet

Nabil, Migrante di origini marocchine Sara Creta, Regista del documentario Number 9 Passpartù: In redazione: Marzia Coronati, Ciro Colonna, Andrea Cocco Alcuni frammenti audio erano tratti dal documentario Number 9 Per firmare la petizione Stop violence at the borders/Fermate la violenza alle frontiere cliccate qui Passpartù, la radio a porte aperte è un programma a cura di Marco Stefanelli Per notizie, suggerimenti e commenti scriveteci a: passpartuitalia@gmail.com Passpartù è trasmesso da: -Radio Onde Furlane (Udine e Gorizia, 90.0) domenica 10.00 (in replica lunedì 19.00) -Radio Onda d’urto (Brescia, Cremona, Piacenza, 99.6) sabato 9.30 -Radio Beckwith (Torino) martedì 14.30 (in replica domenica 9.30) -Radio Città Aperta (Roma, 88.9) sabato 10.50 -Radio Città Fujiko (Bologna, 103.1) sabato 7.30 -Radio Kairos (Bologna, 105.85) sabato 13.30 (in replica martedì 19.00) -Radio Flash (Torino 97.6) venerdì 15.00 (in replica venerdì 20.00)

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Marocco-Spagna. Racconti di frontiera - Amisnet

Marocco-Spagna. Racconti di frontiera Brevi

05/11/2013

La recinzione di Melilla che divide l’Africa dall’Europa sta per esser fortificata proprio in questi giorni con un nuovo fil di ferro, pericolosissimo per chi tenta di attraversarlo, composto da centinaia di lame taglienti come rasoi. Noi abbiamo sentito Sara Creta regista del documentario Number 9 Stop the violence at the borders appena tornata dal Marocco che ci ha spiegato come vivono i migranti dall’altra parte della barricata, sul monte Gurugù nel regno marocchino. La violazione dei diritti umani, il salto della recinzione, la vita in clan etnici di uomini, bambini e intere famiglie sono solo alcune delle cose che Sara ci ha descritto. Ma il progetto Number 9 non finisce qui e ora si propone di portare a casa, in Cameroon, la salma di Clement uno degli ultimi migranti morti alla frontiera per cause ancora sconosciute.

Ascolta Il racconto di Sara Creta dal Monte Gurugù Hide Player | Download

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Stop violence at the borders! | Radio Blackout 105.250 FM

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Venerdì 4 Aprile “Dai monti del Kurdistan” @ Blackout House

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Jooklo Duo + Gelba Written by johnon 13 febbraio 2014

L’ultimo a morire di cui si è saputo è stato un ragazzo FREE JAZZ BLOWOUT Jooklo Duo +

caduto nella notte tra lunedì e martedì scorso dai nuovi

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reticolati approntati dalla Fortezza Europa a Melilla,

House via Cecchi 21/A Continue

enclave spagnola in terra d’Africa che ha adottato quegli

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ordigni in uso anche in valle di Susa e in Palestina, dove le lame inserite (già presenti dal 2006 e poi ritirate sul lato spagnolo) impediscono ogni approccio ai ragazzi

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provenienti dal Sahel e dal centrafrica.

Apri il Player...click

Il racconto di Sara Creta, film-­maker che aveva

Sabato 5 Aprile @ Radio Blackout LIVE! TRASMISSIONI INFORMATIVE

documentato un passaggio di migranti a marzo e anche in

I podcast de IL COLPO DELLA STREGA: la terza puntata (31 marzo

quell’occasione era morto un ragazzo camerunense, la cui salma attende ancora di essere rimpatriata (number 9 Stop violence at the borders! è visibile a questo indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=w67k5MkUEWQ e fa parte di una campagna di sensibilizzazione uscito per la 00:00

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le immagini di quella corsa di gruppo verso il miraggio di entrare in Europa, la concitazione e la pulsione quasi mistica di questi disperati, l’amarezza di chi non ce la fa e nel film ci sono anche le echimosi, i traumi fisici e la rassegnazione di chi viene respinto. Alcuni sono già al SOSTIENI RADIO BLACKOUT !

2014)

prima volta in Marocco il 28 ottobre 2013) restituisce quasi postato da medea

Da Trapani a Gradisca. Etica e affari

quindicesimo tenativo e ogni volta sono botte e rischi di vita. Sara con il suo lavoro di documentazione cerca di mantenere desta l’attenzione su questa tragedia che si consuma nella foresta a ridosso della frontiera dove i ragazzi cercano rifugio tra un tentativo e l’altro di superare le barriere, tra le botte dei poliziotti marocchini e quelle riservate come accoglienza dagli spagnoli.

postato da anarres

I podcast de IL COLPO DELLA STREGA: la seconda puntata (24marzo2014) postato da medea

http://radioblackout.org/2013/11/stop-violence-at-the-borders/

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Number 9 - Stop violence at the borders! | mientrastanto.org

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Sara Creta Number 9 -­ Stop violence at the borders! 2013 Represión en la frontera Al amparo de la política europea de protección de fronteras (representada desde 2004 por la agencia FRONTEX) y en un contexto de crisis económica y xenofobia, la hostilidad de la UE en relación a la emigración del sur no ha hecho más que crecer. Prueba de ello es este espeluznante documental, producido por la Association Lumière sur l’Emigration Clandestine au Maghreb (ALEC-­MA) y Le Groupe antiraciste de défense et d’accompagnement des étrangers et migrants (GADEM), y firmado por Sara Creta, que se adentra en el infierno de la frontera melillense entre Marruecos y España a través de un grupo de cameruneses salvajemente apaleados y reducidos a la condición de no-­personas por la acción represora de las policías de ambos países. El documental está en el origen de una campaña con el mismo título que denuncia la violencia estatal con los emigrantes subsaharianos y reclama la apertura de una investigación oficial sobre las circunstancias de la muerte de uno de los personajes de este documental (Clément), el último de los emigrantes fallecidos en la frontera hispano-­marroquí.

Notas Ensayo Biblioteca de Babel En la pantalla El extremista discreto ...Y la lírica De otras fuentes Documentos Foro de webs Páginas amigas Todos

Al igual que la persona que se ahoga ansía aire fresco, lo único que nuestra civilización tres veces maldita anhela son nuevos mercados;; debe conquistar más países que no posean industria y que produzcan materias primas, de modo que se les puedan imponer las manufacturas "civilizadas". Todas las guerras libradas en la actualidad, bajo cualesquiera pretextos, en realidad son guerras por los grandes premios del mercado mundial.

WILLIAM MORRIS «Facing the Worst of It» (The Commonweal, 1887)

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http://mientrastanto.org/boletin-115/en-la-pantalla/number-9-stop-violence-at-the-borders

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Migrants in Morocco: background | maghrebi-voices.swarthmore.edu

Migrants in Morocco: background January 29, 2014

History Today’s trip–joining a group of mostly AUI faculty and students who have come to distribute blankets to migrant communities around the Moroccan city of Oujda–has been preceded by a fair bit of soulsearching. A member of the migrant community here, a man known as El Adj (say the newspapers, or perhaps El Hajj, the boss) was brutally murdered a few weeks ago, and there were worries that a foreign presence might intensify problematic police attention on the migrant communities. A few days after the original news of his death, we heard more details: that he was a Ghanaian who had been kidnapped by Nigerians at the university; that he had escaped and reported his abduction to the police; that the police were planning to arrest the Nigerians but the Nigerians had gotten to him first; that they had killed and dismembered him as a warning to others who attempted to escape. Karen Smith, the university chaplain leading this trip, is confident there is no danger to westerners, but she still worried some about bringing the students. Two days before we left Ifrane, I was trying to explain to Jeremy what we would be doing in Oujda, but he had heard the word police associated with the trip in some other context and his anxiety-antennae were fully activated. “No, no,” I told him: if there were any danger, we would whisk you away.” But the conversation gave me pause. I had a sudden flashback to the anxiety caused before our departure for Morocco by the news that a French family had been kidnapped in Algeria. “Really?” I said to James that evening. “Last year, we worried about coming to Morocco because it’s next to Algeria, but now we’re going to take the children right to the site of an international kidnapping and murder?” Evidently so. “What kind of a message does it send if the Westerners are too frightened to come?” both James and Karen asked, rhetorically. “Neither the migrants nor the students have the option of staying away, and they are the ones truly at risk.” So here we are, eating our breakfast and listening to Karen give us the background to their story. This newspaper article from August 9, 2013, may mark the nadir of migrant conditions in Morocco.

“We knew there was a problem back in the year 2000,” Karen tells us . “Literally, from one week to the next, the English-speaking congregation in Rabat and Casa jumped from 100 people to 200 people. Before that year, the major trafficking routes ran through Libya, but then either Libya found new ways to block the traffic or the country became more lawless, and the routes shifted to Morocco. http://maghrebi-voices.swarthmore.edu/?p=1163

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Migrants in Morocco: background | maghrebi-voices.swarthmore.edu

A Moroccan friend back in Ifrane will later suggest that Algeria intentionally decided to cause trouble for Morocco by sending the migrants west instead of east. Clearly, as these journal covers of the weekly Maroc Hebdo suggest, the issue of migrants raises many issues in Morocco. Racism, anyone?

But note too that Morocco is being pressed by the EU to patrol European borders–to be the bad cop for European interests. Karen tells us the story behind the map of migration routes (above): “You can start out alone, on foot, but eventually you have to pay someone to tell you where to go: you join up with the traffickers. No one leaves their country lightly. The people I’ve interviewed from Cameroon, for instance, many of them are orphans. In urban centers, the social network has collapsed, and there’s no one to care for these orphans. So you do what you can do: you start walking. Or else people come from the rural communities, and these communities are dying, and they choose one person, a courageous person, to go and find work and send money home. I wouldn’t have the courage, to take that walk. “People come from many places, especially where there is violence and upheaval—from the Congo, from Nigeria, from Cameroon, it could be anywhere. From Nigeria, the road lies through Niger and across the Sahara into Algeria. (At the end of October, 92 migrants–52 children, 33 women, 7 men–died of thirst in Niger when the trucks transporting them broke down. Their deaths sparked a major investigation into the trafficking of migrants through Niger.)

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4/3/2014

Migrants in Morocco: background | maghrebi-voices.swarthmore.edu

Screen grab from “Number 9″

The film is named for a migrant who died during the filming–a man known as Clément, who liked to wear a Number 9 football shirt.

Screen grab from “Number 9″

“Still, despite efforts like the Number 9 campaign, the treatment of migrants continued to worsen. Up to the end of this past summer, policies were more and more draconian. Migrants have been beaten and left in a pit for dead; when I was here earlier this year we spoke with some Cameroonians who had just come back from an attempted crossing and told us about security forces trying to drown them, and they were shaking from the experience. One, I think his name was Abdelrachman, was a little crazed: he could barely speak about it. The idea behind this kind of abuse seems to be to discourage migrants from coming to Morocco, but people don’t realize what they’re getting into when they start down the migration trail—and once they arrive here, they don’t have the resources to make other choices. “The women are the most vulnerable: they have been forced into prostitution, many of them, or assigned a protector, and basically all of them have been raped. They’re really not all right.

http://maghrebi-voices.swarthmore.edu/?p=1163

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4/3/2014

Migrants in Morocco: background | maghrebi-voices.swarthmore.edu

“But this fall, CEI helped put together a report on the migrant situation, and this was presented to the king, and he said publicly that something must be done. Almost immediately, it was announced that Morocco would give work permits to people whose refugee status had been recognized by the UN High Commission on Refugees—though that’s only about 8500 people out of the thousands of migrants in the country.” Morocco has also been angling for a position on the UN High Commission on Refugees and it finally got that position. On the day that appointment was announced, Morocco also proclaimed a jubilee year granting amnesty to some of the 25-45,000 illegal migrants in the country. Trafficking expert Terry Coonan, visiting Ifrane a week after our trip to Oujda, called the pair of announcements a process of “improving human rights practices by increasing Morocco’s visibility.” “So,” Karen concludes, gathering us together to leave for the camps, “there is new hope for the migrants—not that they will achieve their dreams of making a new life in Europe, but that their experience in Morocco might be something less of a nightmare.”

http://maghrebi-voices.swarthmore.edu/?p=1163

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4/4/2014

Strage di migranti made in Spagna

Dalla battaglia di Kiev alla guerra ucraina? Visitatori ultimi 30 giorni: 11191 Articoli letti ultimi 30 giorni: 221046

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Strage di migranti made in Spagna Spagna

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Fermare la Legge Truffa

Martedì 11 Febbraio 2014 17:49

Primo Fronte Secondo Fronte Terzo Fronte

Africa

Ci sono stragi e stragi, morti e morti. Ci sono insomma due pesi e due misure. Non è una novità, ma non bisogna mai stancarsi di denunciarlo. La strage di migranti africani, ad opera della Guardia civil spagnola, avvenuta nell'enclave di Ceuta giovedì scorso, appartiene a quei massacri (13 morti, questo il bilancio) che l'Europa preferisce non vedere. Ben pochi i media che se ne sono occupati, ma riservandogli comunque ben poco spazio. Un'autentica vergogna. Su quanto accaduto a Ceuta pubblichiamo questo articolo di Sara Creta.

Fortezza Europa: morti e respingimenti a Ceuta e Melilla di Sara Creta (Osservatorioiraq)

America Latina Asia

I giovani migranti aspettano nelle foreste adiacenti alle città autonome. Due roccaforti spagnole, pochi chilometri quadrati ben sorvegliati e protetti, in Africa settentrionale. Sono pronti a tutto, dal salto del triplo reticolato fino a sfidare le correnti dello stretto.

Europa Nord America

Economia Lotte di classe Le Nuove Crociate

Visioni del Mondo Crisi Sistemica Strategia rivoluzionaria Geopolitica

L’obiettivo è attraversare la frontiera ed essere ammessi nei Ceti, i centri di permanenza temporanei, dove insieme agli altri compagni d’avventura si attende il trasferimento nella penisola. Negli ultimi anni, il numero di migranti sub-­sahariani in transito in Marocco è aumentato notevolmente. Ceuta -­ insieme all'altra enclave spagnola di Melilla, entrambe situate nella costa mediterranea a nord del paese -­ è la sola porta d’ingresso terrestre per l’Europa. Gli "attacchi" contro la tripla barriera alta 6 metri di Melilla sono intensi, a volte drammatici, e difficilmente garantiscono la riuscita. I tentativi di ingresso a Ceuta invece, meno numerosi, si concentrano sulla spiaggia di Tarajal. Dal lato del mare è più facile entrare, si arriva alla fine del reticolato e si attraversa a nuoto, oppure con l'aiuto di piccole imbarcazioni di fortuna. Così è successo giovedì scorso, quando un gruppo di migranti, dopo aver provato a scavalcare la barriera, si è diretto verso il litorale gettandosi in acqua. Ma il tentativo di penetrare nella Fortezza Europa ha avuto un esito tragico. I corpi di nove persone sono stati trovati nella stessa giornata di giovedì, e altri quattro sono poi stati scoperti venerdì mattina. Morti invisibili, che dovrebbero attirare l’attenzione sulla gestione del fenomeno migratorio, che ormai da diversi anni interessa i territori del Nord Africa. I muri della frontiera mediterranea d’Europa, invalicabili e assassini, sono tornati ad essere protagonisti. Si è trattato del primo tentativo massiccio del 2014 (almeno a Ceuta). Senza dubbio uno tra i più violenti degli ultimi anni. Le circostanze hanno nuovamente messo in discussione l’efficacia delle politiche di contenimento, definite da più voci "criminali" e fortemente lesive del rispetto dei diritti umani. La dinamica che ha portato alla morte dei migranti sarà oggetto di investigazioni. Il difensore civico Soledad Becerril, infatti, ha chiesto di aprire un’inchiesta ufficiale per chiarire fatti e responsabilità. "La Guardia civil spagnola ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeno mentre eravamo in acqua. Per questo alcuni di noi sono morti asfissiati", raccontano alcuni dei sopravvissuti.

Con Marx oltre Marx L'islam e noi

Alcune ong locali hanno ribadito l’uso di proiettili di gomma e del gas. Poi, è arrivata anche la conferma del delegato del governo di Ceuta, Francisco Antonio Gonzáles, che tuttavia ha tenuto a difendere il comportamento degli agenti, che avrebbero fatto ricorso agli equipaggiamenti antisommossa ad esclusivo scopo deterrente. “I proiettili di gomma sparati in aria servono per dissuadere i migranti ad attraversare, mentre le morti sono avvenute per affogamento”.

Grecia: il cambiamento è impossibile senza uscire dall'euro OLTRE L'EURO GLI INTERVENTI VIDEO-­FILMATI Il tabù di Alexis DEL CONVEGNO DI CHIANCIANO TERME # SEMINARIO ECONOMISTI Egitto: la repressione di «Oltre l'euro, per andare dove?»

al-­Sisi

-­ Lo spot di apertura del Convegno -­ L'introduzione di Pasquinelli -­ La prolusione di E. Screpanti -­ La prolusione di S. Cesaratto -­ La prolusione di M. Passarella -­ L'intervento di E. Brancaccio -­ La prolusione di L. Caracciolo -­ La prolusione di W. Mosler -­ La prolusione di N. Galloni -­ La prolusione di A. Ricci -­ La prolusione di G. Zezza # TAVOLA ROTONDA «Quale società per il futuro» -­ L'intervento di Ernesto Screpanti -­ L'intervento di Giorgio Cremaschi -­ L'intervento di Norberto Fragiacomo -­ L'intervento di Claudio Martini -­ L'intervento di Moreno Pasquinelli # LE REPLICHE -­ Ernesto Screpanti -­ Giorgio Cremaschi -­ Claudio Martini -­ Norberto Fragiacomo -­ Moreno Pasquinelli # FORUM «La sinistra, la crisi, l'alternativa» Introduzione di Nello De Bellis -­ Diego Fusaro -­ Francesca Donato -­ Valerio Colombo

http://www.antimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2736:strage-di-migranti-made-in-spagna&catid=127:spagna

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Strage di migranti made in Spagna Due eventi distinti, dunque, per le autorità. Le organizzazioni spagnole aderenti alla rete Migreurop (CEAR, Sos Racismo, Andalucía Acoge, APDHA y Elin), intanto, hanno chiesto la creazione di una commissione parlamentare per indagare sulle pratiche abituali utilizzate nel controllo delle frontiere di Ceuta e Melilla.

Le nostre battaglie Controinformazione

Pratiche già oggetto di proteste e denunce nei mesi passati, seguite all'installazione di lamette in cima ai reticolati di confine che provocano ferite e gravi lacerazioni a chi -­ nella fretta di scavalcare -­ vi rimane intrappolato. Lamette o meno, la pressione migratoria che si vive in questa zona del Maghreb è costante. E la deterrenza non basta, almeno agli occhi delle autorità. A Melilla, la scorsa settimana, la ong Prodein ha pubblicato alcuni filmati di denuncia per illustrare come la Guardia Civil stesse rimpatriando irregolarmente migranti arrivati nell’enclave. Utilizzando una porta nella recinzione, gli agenti hanno riconsegnato i sub-­ sahariani nelle mani dei vicini dall’altra parte del confine. Sotto pressione per il clamore suscitato dalle immagini, il ministro degli Interni Jorge Fernandez Diaz ha dovuto ammettere che "ci sono casi sporadici di respingimento". Sullo sfondo restano le Politiche di vicinato e gli interessi comuni dei due paesi. Nonostante si parli di un nuovo approccio marocchino al tema della regolarizzazione, la discussione sulle politiche migratorie nell’area del Mediterraneo non sembra voler abbandonare le strade già battute. La lotta all’immigrazione continua anche in Marocco, grazie agli accordi di esternalizzazione, e di pari passo proseguono le violenze contro i sub-­sahariani che tentano di scavalcare le recinzioni di confine. Brutalmente massacrati, arrivano negli ospedali delle città marocchine vicine al confine con i segni dei pestaggi e dei ferimenti causati dalle recinzioni. Per chi sopravvive ai terribili trattamenti di respingimento, c'è lo spettro della deportazione nella dura e inospitale area desertica tra l’Algeria e il Marocco. Mentre il governo locale spagnolo cerca una mediazione sul tavolo delle accuse e le autorità marocchine si sforzano di parlare di "accoglienza", sul monte Gurugu -­ accanto a Melilla -­ le comunità di migranti continuano a nascondersi. Non smettono di organizzarsi, di coltivare sogni e di aspettare il momento più adatto per un nuovo "salto". Né le barriere né il riflesso della morte possono fermarli.

-­ Marino Badiale Ali Fayyad – Per una -­ Ugo Boghetta Pace di Vestfalia -­ Fabio Frati

islamica

-­ Leonardo Mazzei

M. R. Dehshiri – Il punto Appelli sull’Iran

P. Larudee: sionismo e pace in Medio oriente Uscire dall’euro! Diatriba con un compagno del PCL (da “Piazza Pulita”) M. De Santi: i pericoli di guerra in Medio oriente Video Verso la Marcia lella Dignita’ (tg Umbria) Leo Gabriel: cosa Pasquinelli: noi e il potrebbe significare uno movimento 5 stelle Stato democratico Assisi 2012 Ernesto Screpanti: la

Z. Birawi: i risultati della catastrofe e la sollevazione ribellione araba

da Osservatorioiraq

Mazzei:nella prospettiva della sollevazione Attia Rajab: le radici della lotta palestinese

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Mikhalis Tiktopoulos – Grecia: elezioni o rivoluzione

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La Siria ad Assisi: incontro con Haytham Manna

H. Piccardo e M. Pasquinelli discutono della Libia http://www.antimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2736:strage-di-migranti-made-in-spagna&catid=127:spagna

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4/3/2014

Radio Onda d'Urto » MIGRANTI: PROTESTE A CAGLIARI E ROMA, MORTI A CEUTA E MELILLA. Cerca: scrivi e previ invio!

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Notizia scritta il 14/02/14 alle 17:28. Ultimo aggiornamento: 14/02/14 alle: 20:29 MIGRANTI: PROTESTE A CAGLIARI E ROMA, MORTI A CEUTA E MELILLA.

ceuta melilla

ITALIA -­ Protesta questa mattina, venerdì 14 febbraio, nel centro di Cagliari dove un gruppo di migranti ha bloccato il traffico nel cuore di Largo Carlo Felice. Esposti striscioni con la scritta: “Dove sono i soldi dell’Unione europea per i rifugiati?”. Poco lontano un’altra protesta organizzata dal presidio di piazzale Trento, l’associazione che ha accolto alcuni dei migranti che, pur avendo ottenuto il permesso di soggiorno, non hanno un posto per dormire. Fissato un incontro lunedi’ in Prefettura per sbloccare la situazione.

Sono invece stati rimpatriati sempre questa mattina due dei quindici migranti detenuti nel Cie di Ponte Galeria a Roma che erano stati protagonisti della protesta delle bocche cucite, nelle scorse settimane. I due avevano fatto richiesta di asilo politico ma sono stati caricati su un aereo e sbattuti fuori dal Paese, come annuncia in una nota il Garante dei Detenuti del Lazio: “Tutti hanno fatto promesse, ma alla fine tutti si sono dimenticati di loro”. In segno di protesta i reclusi dei Cie (42 su 78) hanno iniziato un nuovo sciopero della fame. La notizia del rimpatrio dei migranti arriva alla vigilia della manifestazione che si terrà domani, sabato 15 febbraio, nella capitale per chiedere la chiusura di tutti i Cie, Ponte Galeria in testa. SPAGNA -­ Intanto l’Unione Europea ha espresso oggi “preoccupazione” per l’uso della forza da parte della polizia spagnola contro i migranti che cercano di oltrepassare le barriere, alte oltre sei metri, con tanto di lamette poste in cima, al confine tra Marocco e le roccaforti spagnole di Ceuta e Melilla. A intervenire è stato il commissario per gli affari interni dell’Unione europea, Cecilia Malmström, si è detta “molto preoccupata” per l’uso di proiettili di gomma sparati la settimana scorsa dalle forze di sicurezza spagnole per respingere 1.400 immigrati subsahariani che tentavano di entrare nell’enclave marocchina di Ceuta. “Sono molto preoccupata – ha scritto la Malmström sul suo profilo Twitter – per l’uso di questi mezzi. Spero che le autorità chiariscano presto”. Sul tema solo ieri, 13 febbraio, il ministro Pp dell’Interno spagnolo, Jorge Fernandez Diaz, riferendo alle Cortes, aveva sostenuto che “la Guardia civil ha usato proiettili di gomma per respingere l’attacco degli immigrati, ma che non vi e’ alcuna relazione con la morte dei subsahariani”. Le parole (ipocrite) di Bruxelles e Madrid fanno riferimento a quanto accaduto una settimana fa: giovedì scorso, un folto gruppo di migranti, dopo aver provato a scavalcare la barriera che separa Marocco dalla Fortezza Europa, si è diretto verso il litorale cercando di aggirare blocchi e controlli via acqua. I corpi di nove persone sono stati trovati nella stessa giornata di giovedì, e altri quattro sono poi stati scoperti venerdì mattina. Alcuni sopravvissuti hanno denunciato che la Guardia civil spagnola ha usato contro di loro proiettili di gomma e gas lacrimogeni, provocando così le morti. Per questo le organizzazioni spagnole aderenti

Tweets di @radiondadurto COMUNICATI E APPUNTAMENTI

TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI A SOSTEGNO DI RADIO ONDA D'URTO @MAGAZZINO47 19 APRILE 2014 SABATO 19 APRILE 2014 @CSA MAGAZZINO 47 -­ via industriale Brescia TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI -­ "Aprile 1994" Tour -­ concerto a sostegno di Radio Onda d'Urto -­ CSA Magazzino47 e Radio Onda d'Urto... #12APRILE: ASSEDIAMO IL GOVERNO RENZI, I DIRITTI SI CONQUISTANO A SPINTA. INFO PULLMAN DA BRESCIA. SABATO 12 APRILE, MANIFESTAZIONE NAZIONALE, CONENTRAMENTO ORE 14.00 PORTA PIA: -­ NO TROIKA! -­ CONTRO LE POLITICHE DI AUSTERITA’ E CONTRO LA PRECARIETA’! PERCHE’ I DIRITTI SI CONQUISTANO A... SABATO 5 APRILE: "CTV PARTY", ELECTRO & TECHNO NIGHT @MAG47. BENEFIT CTV PARTY -­ electro & techno night @Mag 47 di Brescia. Quattro realtà musicali bresciane si riuniscono a supporto di Ctv, la telestreet di movimento di Brescia e provincia (clicca qui),... VENERDì 4 APRILE: MERCATO 47 & DE GUSTI BOOKS @MAG47. Venerdì 4 aprile 2014 -­ dalle ore 16 in poi -­ MERCATO47 e DE GUSTI BOOKS dalle ore 16,00: MERCATO 47 Prodotti biologici, naturali, tradizinali, dall’agricoltura contadina e dai piccoli...

ULTIMI VIDEO CTV 03:25 29/Mar/2014

alla rete Migreurop (CEAR, Sos Racismo, Andalucía Acoge, APDHA y Elin) hanno chiesto la creazione di una commissione parlamentare per indagare sulle pratiche abituali di repressione uutilizzate a Ceuta e Melilla. Abbiamo parlato di quanto accade a Ceuta e Melilla con Sara Creta, giornalista free lance, film maker e attivista che ha scritto una serie di articoli sul tema pubblicati su osservatorioiraq.it. Clicca qui per ascoltare o scaricare l’intervista con Sara Creta.

A2A TAGLIA L’ACQUA? RESIDENTI PARALIZZANO VIA MILANO E OTTENGONO IL RIALLACCIO 09:01 27/Mar/2014

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26.3.2014 BRESCIA: OCCUPATO L’UFFICIO NOTARILE PER LE PROCEDURE ESECUTIVE

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ROMA: RIPARTE LA LOTTA DENTRO E FUORI IL CIE DI PONTE… BARI: IMMIGRATI IN RIVOLTA PER IL RITARDO NEI RILASCI DEL… IMMIGRAZIONE: A GRADISCA LA RIVOLTA CHIUDE IL CIE LAMPEDUSA: PARTONO I RIMPATRI, FIAMME E PROTESTE FRA I… LAMPEDUSA: SI CERCANO ANCORA LE VITTIME DELLA STRAGE, 236 IL

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CIE PONTE GALERIA: LA PROTESTE CONTINUANO SCIOPERO DELLA FAME DI UN MIGLIAIO DI IMMIGRATI A CASERTA,… IMMIGRAZIONE: IL VERO VOLTO DI “MARE NOSTRUM”,…

http://www.radiondadurto.org/2014/02/14/migranti-protesta-a-cagliari-e-roma-morti-a-ceuta-e-melilla/

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4/3/2014 Dossier Le altre “Lampedusa” - Clèment non arriverà mai - Famiglia Cristiana Per un ragazzo nato in Camerun, però, entrare nell’“autre côté” può costare la vita. C’è chi ci prova con PUBBLICITÀ guanti pesanti e una scala di rami per superare l’alambrada, come gli spagnoli chiamano la tripla rete metallica, alta sei metri, che difende il confine della “Fortezza Europa” ed è costata 20 milioni di euro all’Unione europea. Sopra i rotoli di filo spinato, capita di vedere morsi di stracci e camicie, ma ormai è difficile che qualcuno ce la faccia. Chilometri di cavi d’acciaio, spray al peperoncino, faretti, telecamere, barriere “intelligenti” e proiettili di gomma permettono alla polizia spagnola di fermare la corsa dei clandestini e “affidarli” ai colleghi marocchini. Racconta un compagno di Clément: «Entrarci non è facile. Per arrampicarci, rischiamo la vita. Se vogliono arrestarci, possono arrestarci. Ma non spogliarci, toglierci il telefono, i nostri soldi, ucciderci». Dopo i tanti morti del 2005, a Ceuta e Melilla la situazione era in parte migliorata, ma dalla fine del 2011 è scattata una repressione senza precedenti. I migranti vengono intercettati alla frontiera o durante vere e proprie retate nelle foreste o nelle periferie delle principali città marocchine. Picchiati, derubati, privati dei documenti di identità. Tra gli accampati di Gourougou, molti mostrano tagli alla testa e i segni lasciati da pietre e mazze di ferro. «La fasciatura… sai, noi attraversiamo la frontiera», ti spiega un giovane maliano. È anche la storia di Clément. L’11 marzo 2013, quando un centinaio di subsahariani tenta di attraversare il confine con Melilla, l’intervento congiunto della Guardia Civil spagnola e delle forze ausiliare marocchine si trasforma in un brutale pestaggio. La telecamera di Sara Creta arriva cinque giorni dopo, insieme all’associazione umanitaria Alecma. Clément, che era stato arrestato e pestato, muore sotto i loro occhi: l’ambulanza non arriva in tempo. Era ferito alla nuca e aveva un braccio e una gamba fratturati; lascia la moglie incinta e due bambini. Così Sara Creta racconta come è nato il film di denuncia “N°9”: «Clément è lì. Non ha la forza di dire nulla. Così pure io, immobile davanti a lui, senza parole. Viene caricato in spalla, non parla, agonizza. E nemmeno io riesco più a fare niente per lui, quando sento che è morto. Ecco perché ho custodito le ultime immagini della sua morte nonostante le intimazioni della polizia marocchina». Insieme al documentario, dalla morte di Clément è nata la campagna “N°9 – Stop alle violenze alle frontiere”, per denunciare la repressione subita dai migranti a opera delle autorità marocchine con il coinvolgimento di quelle spagnole. Potrà servire ai compagni di Clément, che sono tornati alla vita “cachée”, nascosta, nei boschi attorno a Ceuta e Melilla o in edifici abbandonati. Nuovamente con l’ossessione di passare la frontiera, nuovamente col terrore delle retate della polizia. Ai migranti fermati viene infatti sequestrato il cellulare e impedito di avvisare i propri familiari; per giunta, spesso i malcapitati vengono derubati di tutti i loro averi. La paura più forte è quella di essere rispediti indietro, nella terra di nessuno alla frontiera con l’Algeria, nei pressi della città di Oujda.

DISCUSSIONI IN CORSO Siete d'accordo con l'abolizione del Senato?

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Si sente dire: "Che noia queste omelie!" Sei d'accordo?

29

Secessione del Veneto: un pericolo reale?

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Nuovi poveri, fuga di cervelli, imprese, immigrati. Il Governo fa abbastanza per evitare il collasso?

17 A che cosa è servita Tangentopoli?

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Linda, nigeriana, racconta: «Ci hanno portato al confine e ci hanno abbandonato lì, senza niente». Spesso finiscono così le ambizioni di una generazione in partenza, che passa i migliori anni della propria vita sognando la traversata del Mediterraneo e finisce abbandonata in ciabatte nel deserto, lungo un confine tracciato solo sulle mappe. Nella foto di copertina (di Andrew Galea Debono/JRS Europe) un tratto della frontiera tra il Marocco e l'enclave spagnola di Ceuta.

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4/3/2014

Cynical and Macabre 'Politics of Migration' at Morocco’s Borders

Cynical and Macabre 'Politics of Migration' at Morocco’s Borders Consiglia Sebastien Bachelet e altri 69 consigliano questo.

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by Sébastien Bachelet

Feb 24 2014

“Despite a year marked by successive tragedies as a result of the recrudescence of repression, institutional violence and racism, will 2013 mark a historical turn for politics of migration in Morocco? Will foreigners and migrants be recognized into society?” These questions headed an article by Micheline Bochet Milon, a member of the Groupe anti-­raciste d’accompagnement et de défense des étrangers et des migrants (GADEM), in the last issue of the Louna-­Tounkaranké network’s newsletter. At the time, migrants’ associations and NGOs were wedged between hope and caution as several important changes unraveled in Morocco. The most important of these was the unprecedented announcement of an “exceptional” regularization process for “irregular” migrants (e.g. those who lacked appropriate residency documents). Alas, distressing events in Morocco and at the Spanish border, including [Image from the #lasfronterasmatan campaign. Image from Twitter user @fanetin.] the very recent death of at least fifteen migrants outside Ceuta, have rendered even more salient migrants’ yearning for the respect of their rights. Last year, the “issue” of migration sprang to the forefront of Morocco’s political agenda. The scope of daily abuses and racism against sub-­Saharan migrants reached beyond the borders of Morocco and caused public outcry: international media like the Guardian and the BBC reported the harrowing conditions in which migrants live. The endemic racism in Morocco, the human rights abuses, and the controversial involvement of the European Union (EU) were also the subject of two Jadaliyya articles (one by Samia Errazzouki and another of my own) last summer. Since then, the discrepancy between Morocco’s criticisms of the treatment faced by its own diaspora in Europe and the harsh living conditions sub-­Saharan migrants endure in Morocco has become even more conspicuous and untenable. Rapid changes have been taking place. In September 2013, the state-­appointed Moroccan National Council of Human Rights (known by its French acronym, CNDH) released a report, Foreigners and Human Rights in Morocco, which criticized the government’s repressive politics of migration and included a series of recommendations in line with those that had been demanded for years by other civil society members. These demands included recognition of asylum, end to violence, and a more just process of regularization. This report was released after a summer of intense campaigning by NGOs and migrants’ associations, culminating in the publication of another report, “Report on the Application in Morocco of the International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their Families,” compiled by GADEM. The CNDH’s recommendations, deemed relevant by King Mohammed VI, were quickly endorsed by a communiqué from the royal cabinet, further disavowing the government at a time of tension between Prime Minister Benkirane and King Mohammed VI. On 10 September 2013, the king gave instructions for a new, innovative migration politics. EU officials quickly and enthusiastically applauded these initial announcements. So far, the most significant outcomes have been the establishment of an unprecedented operation of regularization for undocumented migrants, which http://www.jadaliyya.com/pages/index/16584/cynical-and-macabre-politics-of-migration-at-moroc

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4/3/2014

Cynical and Macabre 'Politics of Migration' at Morocco’s Borders

started 2 January 2014, as well as the long-­awaited development of a politics of asylum in Morocco. Thus, Morocco has been pressed to acknowledge that it can no longer consider itself a mere transit country and continue abusing the human rights of migrants by stressing they are simply en route to Europe. However, NGOs and migrant associations have remained vigilant. On 4 December 2013, a month before the start of the regularization process, Cédric Bété, a Cameroonian migrant, "fell" from the fourth floor of a building in Tangier during a police raid: another suspicious death involving police brutality which prompted NGO actors to ask if "death squads" were targeting migrants in Tangier despite official avowals for change. On 23 January, Anis Birou, Minister in Charge of Moroccans Living Abroad and Immigration Issues, announced during a meeting with civil society representatives that the regularization campaign had been unfolding under "very good conditions." Migrants had submitted nine hundred and fifty dossiers in Rabat at the time. The minister’s enthusiasm was not entirely shared by NGOs, who pointed to several mishaps. Khadija Elmadmad, law professor and holder of the UNESCO Chair for “Migration and Human Rights,” stressed that: Eighty per cent of the people who will be regularized thanks to this operation are in fact people who are already entitled to a residency card according to international rights to which Moroccan right is subscribed to by virtue of its international engagements. Representatives of migrants’ associations also reported the worries of many migrants who fear the campaign is aimed at gathering information in order to facilitate future deportations. NGOs and migrants’ associations have denounced the regularization criteria (having lived for at least five years in Morocco;; having lived together with a Moroccan spouse for at least two years;; having been employed for at least two years, among others) as too restrictive and extremely difficult to prove. For instance, after decades of criminalization of migration, Moroccan employers remain hesitant in hanging out certificates for fear of reprisals. Hence, the NGOs and associations have created Coordination for the Regularization of Undocumented Migrants in Morocco (Coordination pour la Régularisation des Sans-­papiers au Maroc). Commonly referred to as the ‘Papiers pour Tous’ collective (a nickname reminiscent of a similar movement in France in the 1990s), their objective is the regularization of all migrants on the “mere basis of migrants’ expression of their will.” Set up to monitor the regularization process and inform migrants, the Papiers pour Tous collective has denounced continued police raids and argued for a moratorium on deportation. Since then, the collective has already pointed to several shortcomings, including the rejection of a dossier in Casablanca. The trial of Mamadou Diarra in a military court has also sparked further outrage. On 10 July 2012, a Moroccan soldier died at the Farkhana border post near the Spanish enclave of Melilla, allegedly killed by a stone thrown by a sub-­Saharan migrant attempting to climb over the barrier. (These borders are composed of three sets of fences, equipped with barbed wire. Set up in 2005 by the Spanish socialist Zapatero government, and removed in 2007 in Melilla, though not in Ceuta, following NGOs protestations, the barbed wire has been controversially reinstalled in October 2013, shortly after Spain congratulated Morocco on its new politics of migration.) As stated in a communiqué by Moroccan NGOs and migrants’ associations, the incident triggered a brutal and collective reprisal against migrants. Hundreds of people, including injured migrants, children, and pregnant women were rounded up and deported to the Algerian border. Among them was sub-­Saharan Mamadou Diarra, barely eighteen years old, who spoke neither Arabic nor French, but only Bambara. Diarra has now spent over a year and a half in prison. With few contacts in Morocco, he was an easy scapegoat over the death of the soldier. His lawyer Naïma El Guelaf recalled that “since his arrest, he has been heard by a judge only once, and without the presence of a translator.” In their press release, the associations have asked for the liberation of Mamadou Diarra as well as the suspension of a law which authorizes the trial of civilians by a military court. NGOs’ recommendations ask for Morocco’s actions to be brought in line with international treaties and recent royal engagements: last year, in a communiqué from the Royal Cabinet, King Mohammed VI endorsed the recommendation from the CNDH on the military court which recommended putting an end to this practice. A sit-­in had been organized by migrants’ rights NGOs on 3 February but has been cancelled as the audience was called off until further notice. Mamadou Diarra remains in the Salé prison. GADEM founding member Medhi Aloua had warned that the “radically new politics of migration” would require a national dialogue on the necessity of welcoming foreigners. He declared that failing to do so would amount to “planting the seeds of a future form of racism and xenophobia.” Last year already, anti-­migrant demonstrations in Tangier and http://www.jadaliyya.com/pages/index/16584/cynical-and-macabre-politics-of-migration-at-moroc

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Cynical and Macabre 'Politics of Migration' at Morocco’s Borders

started 2 January 2014, as well as the long-­awaited development of a politics of asylum in Morocco. Thus, Morocco has been pressed to acknowledge that it can no longer consider itself a mere transit country and continue abusing the human rights of migrants by stressing they are simply en route to Europe. However, NGOs and migrant associations have remained vigilant. On 4 December 2013, a month before the start of the regularization process, Cédric Bété, a Cameroonian migrant, "fell" from the fourth floor of a building in Tangier during a police raid: another suspicious death involving police brutality which prompted NGO actors to ask if "death squads" were targeting migrants in Tangier despite official avowals for change. On 23 January, Anis Birou, Minister in Charge of Moroccans Living Abroad and Immigration Issues, announced during a meeting with civil society representatives that the regularization campaign had been unfolding under "very good conditions." Migrants had submitted nine hundred and fifty dossiers in Rabat at the time. The minister’s enthusiasm was not entirely shared by NGOs, who pointed to several mishaps. Khadija Elmadmad, law professor and holder of the UNESCO Chair for “Migration and Human Rights,” stressed that: Eighty per cent of the people who will be regularized thanks to this operation are in fact people who are already entitled to a residency card according to international rights to which Moroccan right is subscribed to by virtue of its international engagements. Representatives of migrants’ associations also reported the worries of many migrants who fear the campaign is aimed at gathering information in order to facilitate future deportations. NGOs and migrants’ associations have denounced the regularization criteria (having lived for at least five years in Morocco;; having lived together with a Moroccan spouse for at least two years;; having been employed for at least two years, among others) as too restrictive and extremely difficult to prove. For instance, after decades of criminalization of migration, Moroccan employers remain hesitant in hanging out certificates for fear of reprisals. Hence, the NGOs and associations have created Coordination for the Regularization of Undocumented Migrants in Morocco (Coordination pour la Régularisation des Sans-­papiers au Maroc). Commonly referred to as the ‘Papiers pour Tous’ collective (a nickname reminiscent of a similar movement in France in the 1990s), their objective is the regularization of all migrants on the “mere basis of migrants’ expression of their will.” Set up to monitor the regularization process and inform migrants, the Papiers pour Tous collective has denounced continued police raids and argued for a moratorium on deportation. Since then, the collective has already pointed to several shortcomings, including the rejection of a dossier in Casablanca. The trial of Mamadou Diarra in a military court has also sparked further outrage. On 10 July 2012, a Moroccan soldier died at the Farkhana border post near the Spanish enclave of Melilla, allegedly killed by a stone thrown by a sub-­Saharan migrant attempting to climb over the barrier. (These borders are composed of three sets of fences, equipped with barbed wire. Set up in 2005 by the Spanish socialist Zapatero government, and removed in 2007 in Melilla, though not in Ceuta, following NGOs protestations, the barbed wire has been controversially reinstalled in October 2013, shortly after Spain congratulated Morocco on its new politics of migration.) As stated in a communiqué by Moroccan NGOs and migrants’ associations, the incident triggered a brutal and collective reprisal against migrants. Hundreds of people, including injured migrants, children, and pregnant women were rounded up and deported to the Algerian border. Among them was sub-­Saharan Mamadou Diarra, barely eighteen years old, who spoke neither Arabic nor French, but only Bambara. Diarra has now spent over a year and a half in prison. With few contacts in Morocco, he was an easy scapegoat over the death of the soldier. His lawyer Naïma El Guelaf recalled that “since his arrest, he has been heard by a judge only once, and without the presence of a translator.” In their press release, the associations have asked for the liberation of Mamadou Diarra as well as the suspension of a law which authorizes the trial of civilians by a military court. NGOs’ recommendations ask for Morocco’s actions to be brought in line with international treaties and recent royal engagements: last year, in a communiqué from the Royal Cabinet, King Mohammed VI endorsed the recommendation from the CNDH on the military court which recommended putting an end to this practice. A sit-­in had been organized by migrants’ rights NGOs on 3 February but has been cancelled as the audience was called off until further notice. Mamadou Diarra remains in the Salé prison. GADEM founding member Medhi Aloua had warned that the “radically new politics of migration” would require a national dialogue on the necessity of welcoming foreigners. He declared that failing to do so would amount to “planting the seeds of a future form of racism and xenophobia.” Last year already, anti-­migrant demonstrations in Tangier and

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Cynical and Macabre 'Politics of Migration' at Morocco’s Borders

accused Morocco of having had recourse to the same disingenuous refutations for the past ten years. Communication2/6 http://www.jadaliyya.com/pages/index/16584/cynical-and-macabre-politics-of-migration-at-moroc Minister Mustapha El Khafi’s assertions that the report was “obviously unfair” since it overlooked Morocco’s “new politics of migration” prompted HRW to issue a statement recognizing that Morocco had made “a bold move” in announcing reforms. However, HRW stands by its report and concludes that only:

If the reforms end up safeguarding the rights of asylum-­seekers and other migrants, Morocco can become a model in northern Africa, where most states treat migrants from the rest of Africa disgracefully. Morocco should start, however, by reining in its own forces when they treat migrants disgracefully. On 15 February, the first residency cards were handed in Tangier, Casablanca, Rabat, and Oujda, six weeks after the start of the regularization process, in highly mediatized ceremonies. NGOs are now scrutinizing the process to assess in what conditions migrants’ applications were granted or refused.

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BOOK SERIES (/ABOUT-­‐US/THE-­‐BOOK-­‐SERIES)

Morocco trials a ‘radically new’ politics of migration for sub-­‐Saharan Africans – By Sebastien Bachelet Posted on January 15, 2014 (http://africanarguments.org/2014/01/15/morocco-­‐trials-­‐a-­‐radically-­‐new-­‐politics-­‐of-­‐migration-­‐for-­‐sub-­‐saharan-­‐africans-­‐by-­‐sebastien-­‐ bachelet/) by AfricanArgumentsEditor (http://africanarguments.org/author/africanargumentseditor/) 2014 could be the year that significant advancements are made in the way that Morocco treats ‘irregular migrants’ within its borders. After last year’s events, which saw Morocco come under pressure for taking steps to address human rights’ abuses, on 1st January, offices for the regularisation of migrants finally opened (http://www.rfi.fr/afrique/20140103-­‐le-­‐maroc-­‐ lance-­‐une-­‐campagne-­‐regularisation-­‐papiers?

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(http://africanarguments.org/wp-­‐content/uploads/2014/01/Morocco_pic.jpg) Outside the Moroccan parliement where new legislation regarding treatment of ‘irregular migrants’ was passed in 2013.

ns_campaign=editorial&ns_source=gplus&ns_mchannel=reseaux_sociaux&ns_fee=0&ns_linkname=20140103_le_maroc_lance_une_campagne_regularisation); however, migrants and NGOs remain cautious. According to controversial estimates by the Moroccan Home Office, Sub-­‐Saharan Africans are the most numerous amongst the 25 to 45 thousand irregular migrants present in the country. Heralding from a variety of socio-­‐economic backgrounds in western and central Africa, migrants have already undertaken a perilous journey, but the last leg of the journey to ‘Fortress Europe’ can prove even more hazardous. To better some light on recent major changes concerning migration in Morocco you need to go back to March 2013, and the death of a Cameroonian migrant we shall refer to as ‘Clément’. On 11th March, along with another approximately 150 sub-­‐Saharan migrants, Clément attempted to cross the border between the Moroccan city Nador and the Spanish enclave Melilla. Waiting for the prayer call at 4.30am, migrants prepared for what they call the ‘shock’ (le choc), or ‘hitting the border’ (frapper). This is no euphemism as they climb on makeshift ladders over the razor-­‐topped fences. This was the start of the ‘apocalypse’ routinely described by migrants as they were subjected to the violence of both Spanish and Moroccan forces. The harrowing accounts of how events unfolded have been collected in a report by the Moroccan migrants’ rights association GADEM (http://media.wix.com/ugd/b25828_6ee419cb01b21001fe01359fdeb80cc7.pdf). Clément was admitted to hospital with a broken leg and suffering from a head wound, along with 24 other people. After having received no sound medical care, he was discharged on the same day. On 16th March, he died in the forest of Gourougou from the injuries inflicted by Moroccan and Spanish forces. The ambulance called for by his friends never arrived. This was not an isolated incident. NGOs and migrants’ associations in Morocco and beyond had noted some improvement since the infamous 2005 Ceuta and Mellia events (http://www.meltingpot.org/IMG/pdf/livrenoir-­‐ceuta.pdf) where at least eleven migrants died, and hundreds were wounded, during some of the first major group attempts at crossing the border to the Spanish enclaves. However, since the end of 2011, those same associations decried a significant escalation of violence against migrants. Before ceasing its activities in northern Morocco, Doctors Without Borders released its “Violence, Vulnerability and Migration: Trapped at the Gates of Europe (http://www.doctorswithoutborders.org/publications/reports/2013/Trapped_at_the_Gates_of_Europe.pdf)” report, highlighting the use of violence by Spanish and Moroccan authorities. The NGO interviewed 190 migrants in Nador and Oujda and 63 percent affirmed having been victims of violence. 64 percent of those acts of violence were attributed to the Moroccan authorities and 7 percent to the Spanish forces. What was significant about Clément’s death was that it did not join the long list of unaccounted for acts of violence. Previously, migrants had been reported to have been killed at the borders, but bodies disappeared and witnesses moved on. On 16 March, Sara Creta, an Italian filmmaker and Sylvin Mbarga, a Cameroonian journalist and member of the migrant association ALECMA (Association lumière sur l’émigration clandestine au Maghreb), were present in the Gourougou forest. As part of an initiative by ALECMA and migrants’ rights association GADEM (Groupe antiraciste d’accompagnement et de défense des étrangers et migrants), Sara and Sylvin initially set out to document the latest attacks; however, they found themselves filming Clément’s agony and death. This video (http://www.youtube.com/watch? feature=player_embedded&v=w67k5MkUEWQ) received international coverage by major media such as La Republica, Mediapart (http://www.mediapart.fr/journal/international/280613/clement-­‐mort-­‐tabasse-­‐pour-­‐avoir-­‐tente-­‐de-­‐gagner-­‐leurope), El Pais (http://politica.elpais.com/politica/2013/06/28/actualidad/1372440971_006327.html) and Yabiladi (http://www.yabiladi.com/articles/details/18147/frontiere-­‐melilia-­‐ clement-­‐camerounais-­‐enfants.html). It also formed the basis of the ‘Number 9: Stop police violence at the borders’ campaign (http://saracreta.wix.com/into-­‐the-­‐ forest).

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The campaign denounces the violence that migrants face when they attempt to access Europe via the Spanish enclaves of Ceuta and Melilla without the proper documentation necessary to enter by legal means. Migrants routinely face beatings, theft or destruction of their possessions, confiscation of their identification documents, illegal refoulement back to Morocco when they have already crossed to Spain, or deportation to the desert between Algeria and Morocco. These are the most common offenses, but represent only a few of the numerous other violations of their physical integrity, dignity and human rights. The Number 9 Campaign and Clément’s tragic death also highlight the growing significance of migrants’ own voices, through migrants’ associations such as ALECMA and CMSM (Conseil des migrants sub-­‐Sahariens au Maroc), within Moroccan civil society. Through connections with NGOs and activists on both shores of the Mediterranean, sub-­‐Saharan migrants have engaged in a counter-­‐discourse which condemns infringements of human rights at the Moroccan-­‐Spanish border and the complicity of the EU. MIGREUROP, a network of researchers and activists that denounces the externalization of Europe’s immigration controls and policies, decried the hunt for migrants in an August 2013 press release (http://www.migreurop.org/article2272.html?lang=fr). On 7th June 2013, Morocco and nine EU member states signed in Strasbourg “a joint declaration establishing a Mobility Partnership between the Kingdom of Morocco and the European Union and its Member States (http://ec.europa.eu/dgs/home-­‐affairs/what-­‐is-­‐new/news/news/2013/docs/20130607_declaration_conjointe-­‐ maroc_eu_version_3_6_13_en.pdf).” While several initiatives exist pertaining to Morocco-­‐EU migration (such as facilitated visas for businessmen, students and researchers,) the question of a readmission agreement stands up as the key objective. Indeed, the text crucially entails a return to negotiations over the readmission agreement. Sub-­‐Saharan Africans are pawns amidst treaties and negotiations over drugs, fishing rights and the status of Western Sahara. Like the majority of Moroccans who are not endowed with an easy mobility, sub-­‐Saharan migrants are on the losing side of such negotiations. As migration scholar Abdelkrim Belguendouz points in an article denouncing the joint declaration (http://www.yabiladi.com/articles/details/18166/maroc-­‐ue-­‐partenariat-­‐mobilite-­‐readmission-­‐migrants.html): “In other words, Morocco is asked to take on the role of the gendarme of Europe to stop migration flows. A role Morocco has always refused to assume (officially) and, according to us, should continue to reject in respect for human rights.” As noted above, Clément’s death was not an isolated incident. Following the launch of the campaign, other deaths and violent incidents (http://www.yabiladi.com/articles/details/18676/deux-­‐migrants-­‐clandestins-­‐perissent-­‐melilia.html) were reported on both sides of the border. In fact, the summer of 2013 was marked by a crescendo of intertwined institutional violence and civil society mobilisation. This peaked with the death of two other migrants. On 24th July, hundreds of migrants were arrested in northern Morocco, including numerous migrants in the marginal neighbourhood of Boukhalef in Tangiers. Once loaded onto buses, they were deported to the Algerian desert; others were abandoned along the roads around Fez. Toussaint, a Congolese migrant was thrown out of a bus and died in hospital (http://www.yabiladi.com/articles/details/18795/maroc-­‐rafles-­‐subsahariens-­‐continuent-­‐congolais.html). He had valid immigration papers. On 14th August, in Rabat, Ismael Faye, a Senegalese pilgrim, was stabbed in the face on a bus (http://www.lemag.ma/Rabat-­‐Arrestation-­‐du-­‐presume-­‐assassin-­‐du-­‐pelerin-­‐senegalais-­‐ Ismael-­‐Faye_a74200.html) by another passenger, a Moroccan soldier, and died from his wounds. The racist character of this latest aggression shocked many in Morocco. Chouki El Hamel’s pivotal study ‘Black Morocco: A History of Slavery, Race, and Islam (http://www.cambridge.org/gb/knowledge/isbn/item6921972/Black%20Morocco/?site_locale=en_GB)’ is a vivid illustration of this. As he puts it (http://www.jadaliyya.com/pages/index/11312/new-­‐texts-­‐out-­‐now_chouki-­‐el-­‐hamel-­‐black-­‐morocco_a-­‐), ‘blacks in Morocco have been marginalized for centuries, with the dominant Moroccan culture defining this marginalized group as ‘Abid (slaves), Haratin (a term that generally meant freed black people or formerly enslaved black persons), Sudan (black Africans), Gnawa (black West Africans), Sahrawa (from the Saharan region), and other terms which make reference to the fact that they were black and/or descendants from slaves’. Institutional racism towards sub-­‐Saharan migrants, regardless of their legal status, is pervasive and has repercussions in many aspects of their lives, including access to health and education. Morocco’s reluctance to respect migrants and enforce the human rights guaranteed by the treaties (such as the United Nations International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families) it ratified, created a dangerous climate whereby racism has become ordinary. Racism against sub-­‐Saharan migrants and dangerous stereotypes are pervasive in Moroccan media too. In November 2012, Moroccan weekly magazine Maroc Hebdo caused outrage with its ‘black peril’ headline (http://www.courrierinternational.com/article/2012/11/09/pourquoi-­‐le-­‐peril-­‐noir-­‐de-­‐maroc-­‐hebdo-­‐ provoque-­‐l-­‐indignation). The death of Ismael brought about a resurgence in mobilisation of NGOs and migrants ‘associations. A ‘stop racism – respect migrants’ rights’ (http://www.gadem-­‐ asso.org/IMG/pdf/Invitation_conference_du_11_1_-­‐2.pdf) campaign was launched in protest. International media such as the Guardian (http://www.theguardian.com/commentisfree/2013/sep/02/eu-­‐ignoring-­‐rights-­‐abuses-­‐morocco) and the BBC (http://www.bbc.co.uk/news/business-­‐23964923) reported the harrowing conditions migrants live in. GADEM, in partnership with numerous other organisations, compiled an unforgiving report which highlighted Morrocco’s shortcomings in matters of migrants’ rights. The ‘Report on the Application in Morocco of the International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their Families (http://www.gadem-­‐asso.org/IMG/pdf/20130802_-­‐_Rapport_alternatif_application_CMW_Maroc_-­‐_VF_envoye.pdf)’ was to be presented at the 19th session of the Committee on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families in Geneva. A large delegation of Moroccan officials was to uptake the difficult task of defending Morocco’s position during the early September 2013 meetings. However, this confrontation between the Moroccan civil society and government in plain sight of the international community took another turn with the release of another report. The CNDH (National Council of Human Rights) released its own report, Foreigners and Human Rights in Morocco (http://www.ccdh.org.ma/spip.php? article10313&lang=fr), quickly endorsed by a communiqué from the royal cabinet (http://www.art19.ma/index.php/societe/1047-­‐maroc-­‐le-­‐roi-­‐prend-­‐connaissance-­‐du-­‐ rapport-­‐du-­‐cndh-­‐sur-­‐les-­‐migrants-­‐et-­‐les-­‐refugies). The report disavowed and heavily criticized Morocco’s politics of migration, deemed too security-­‐oriented. The recommendations, deemed pertinent by Mohammed VI (http://www.jeuneafrique.com/Article/ARTJAWEB20130910153404/), were in line with those of the civil society: recognition of the right of asylum, regularisation of irregular migrants, ending the recourse to violence. Shortly after this coup de théâtre, King Mohamed VI chaired a working-­‐group meeting with members of the government during which he gave instructions for the elaboration of ‘a new vision for a national migration policy, that is humanist in its philosophy, responsible in its approach and pioneering at a regional level’ (http://www.maroc.ma/en/news/migration-­‐royal-­‐instructions-­‐bring-­‐new-­‐vision-­‐national-­‐and-­‐humanist-­‐migration-­‐policy-­‐release). Several of the CNDH report’s recommendations have started being put into place. The dormant Bureau de protection des réfugiés et apatrides (Refugees and Stateless Protection Office) has been (re)opened in September (http://www.maroc.ma/fr/actualites/le-­‐hcr-­‐qualifie-­‐de-­‐grande-­‐realisation-­‐louverture-­‐dun-­‐bureau-­‐des-­‐refugies-­‐et-­‐apatrides-­‐au) 2013. In October 2013, a circular of the Ministry of Education (http://www.leconomiste.com/article/912799-­‐le-­‐maroc-­‐muscle-­‐sa-­‐politique-­‐migratoire) aimed at facilitating access to state schools for migrants’ children was released. Finally, in November, Anis Birou, Minister for Moroccans abroad and (its newly acquired function (http://www.yabiladi.com/articles/details/20213/maroc-­‐nouveau-­‐ministre-­‐stratege-­‐designe.html)) migratory affairs announced in conjunction with Mohamed, the Home Office and Human Rights Minister an ‘exceptional’ operation of regularisation (http://www.jeuneafrique.com/Article/ARTJAWEB20131112143427/) starting 1st January 2014 until the end of that year. These long-­‐awaited developments in Morocco have been met with appraisal and encouragements from United Nations and European Union officials (http://www.lematin.ma/journal/en-­‐marge-­‐de-­‐la-­‐68e-­‐assemblee-­‐generale-­‐de-­‐l-­‐onu_ambassadeurs-­‐et-­‐responsables-­‐onusiens-­‐saluent-­‐-­‐la-­‐nouvelle-­‐vision-­‐du-­‐maroc-­‐en-­‐ matiere-­‐d-­‐immigration/188827.html). Official responses have been enthusiastic; ironically, shortly after the first royal declarations, Spain quickly announced its willingness to help Morocco in enforcing ‘voluntary returns’ (http://www.yabiladi.com/articles/details/20128/l-­‐espagne-­‐aider-­‐maroc-­‐expulser-­‐plus.html) which guarantee ‘the preservation of [migrants’] dignity and the humanitarian situation’. In November, Gonzalo Benito, Spanish foreign minister, announced that Spain was giving advice to Morocco (http://www.yabiladi.com/articles/details/20940/l-­‐espagne-­‐offre-­‐aide-­‐pour-­‐regularisation.html? utm_source=rssfeed&utm_medium=facebook) regarding the regularisation process. As mentioned above, the ‘issue’ of migration is pervasive in the relations between Morocco and the EU. The decisions taken in Rabat are closely examined on the other side of the Mediterranean. A statement by Rupert Joy, EU ambassador in Rabat, in the EU delegation’s September newsletter (http://eeas.europa.eu/delegations/morocco/documents/news/trait_d_union_n_199_fr.pdf) illustrates what is at stake: ‘The [CNDH] report has not only recognized infringements to the rights of migrants which have worried us for a long time, but it has formulated a list of ambitious recommendations for a politics of migration more just and efficient’. The fate of sub-­‐Saharan migrants in Morocco remains entangled in negotiation processes.

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First of all, at national level, the disavowal of the Moroccan politics of migration by the king occurred at a time of tension and disagreement between Mohamed VI and the Prime Minister Benkirane over a wide range of issues, as well as the formation of a new government. Most importantly, the regularisation process grants Morocco more negotiation leverage with the EU, especially in relation to its long-­‐standing refusal to sign a readmission. This treaty – a major tool in the EU ‘border externalisation’ – would force Morocco to readmit on its territory migrants who can be proven to have entered Europe illegally through the country. Morocco also asserted its influence on the African continent by pleading in favour of an initiative called ‘African alliance for migration and development’ (http://www.aufaitmaroc.com/actualites/maroc/2013/10/2/le-­‐maroc-­‐plaide-­‐en-­‐faveur-­‐dune-­‐alliance-­‐africaine_215642.html#.UlVOmxCbrKQ) at a UN meeting last October. Getting closer to sub-­‐Saharan countries has also become a priority for Morocco’s foreign policy agenda (http://www.lejournalinternational.fr/Morocco-­‐s-­‐ diplomacy-­‐to-­‐conquer-­‐sub-­‐Saharan-­‐countries_a1380.html). Recent changes have also helped Morocco secure a place at the UN Council of Human Rights, though not without sparking outrage (http://www.hrw.org/news/2013/11/11/joint-­‐letter-­‐morocco-­‐candidacy-­‐human-­‐rights-­‐council-­‐0). Nurturing a better international image is essential for conducting negotiations over several issues. Morocco has just secured a series of loans, amounting to 4 billion US dollars from the World Bank (http://www.leconomistemaghrebin.com/2013/12/13/la-­‐banque-­‐mondiale-­‐accordera-­‐au-­‐maroc-­‐des-­‐prets-­‐de-­‐quatre-­‐milliards-­‐de-­‐dollars/). New deals have also been signed between Morocco and the EU for a total of 166 million Euros (http://www.lnt.ma/finance/uemaroc-­‐signature-­‐de-­‐4-­‐programmes-­‐de-­‐financement-­‐pour-­‐166-­‐ millions-­‐deuros-­‐92128.html). Overall, Moroccan civil society responded with enthusiasm to recent announcements from the royal cabinet and the government. A genuine interest in the conditions of migrants in Morocco is starting to emerge in various domains. For instance, in a recent report (http://www.ces.ma/Documents/PDF/Rapport%20SSB%20VF.pdf) the Economic, Social and Environmental Council recommended access to basic health services to migrants in an irregular situation. The issue of regularisation has long been on the agenda of migrants associations. In fact, as described above, they have largely contributed to the advent of such unprecedented changes, but they remain cautious. In a recent communiqué (http://www.gadem-­‐asso.org/Pour-­‐les-­‐dix-­‐ans-­‐de-­‐la-­‐loi,178), GADEM acknowledges the government’s efforts and good will, but asks for more efforts into devising a ‘genuinely new’ politics of migration. Most notably, they have called for a moratorium over deportations and readmissions of migrants. Organisations have also called for more consultation and the involvement of migrants’ associations in the regularisation process, which remains shady. The criteria have also been decried as too restrictive. (http://www.lacimade.org/uploads/File/minisites/loujnatounkaranke/Fil%20d%27actualit%C3%A9_LT4-­‐2013_12.pdf) Furthermore, for its reforms to be successful, Morocco will have to address the underlying racism nourished by violent abuse of ‘blacks’, indiscriminately perceived as ‘illegal’ by the police. Maroc Hebdo released a controversial front page (http://www.yabiladi.com/articles/details/19589/maroc-­‐hebdo-­‐recidive-­‐maroc-­‐pris.html) in response to Moroccan government’s initial announcements – illustrated with pictures of sub-­‐Saharan migrants, the headline reads ‘Morocco caught in a trap’. Recent news reports of demonstration (http://www.medias24.com/SOCIETE/7096-­‐Tanger-­‐manifestation-­‐anti-­‐subsahariens-­‐et-­‐montee-­‐du-­‐racisme.html)s against sub-­‐Saharan Africans by Moroccan inhabitants of Tangier neighbourhoods are also a great cause for concern. In the midst of Morocco’s announcements for radical change, Moussa Seck, a Senegalese migrant, died in suspicious circumstances (http://www.yabiladi.com/articles/details/20258/deces-­‐senegalais-­‐tanger-­‐consulat-­‐confirme.html). Similarly, as Spain recently refurbished the barriers around its enclaves with barbed wire (http://www.yabiladi.com/articles/details/20649/melilla-­‐l-­‐espagne-­‐adopte-­‐encore-­‐mesures.html), there have been notices about the erection of a barrier at the Moroccan-­‐Algerian border (http://www.yabiladi.com/articles/details/21247/barbeles-­‐entre-­‐maroc-­‐l-­‐algerie-­‐pour.html) to prevent migrants from passing through. Other worrying news also includes the deportation of migrants caught in northern Morocco at the Mauritanian border (http://www.yabiladi.com/articles/details/21227/maroc-­‐expulse-­‐certains-­‐clandestins-­‐subsahariens.html). It is then with cautious hope that NGOs and migrants’ associations are preparing themselves for further announcements regarding Morocco’s ‘radically new’ politics of migration. There is a need for renewed scrutiny over developments unravelling in Morocco as it prepares to carry out its regularisation process, a task it has not undertaken before. As such, it is important to ensure Morocco does not repeat the same mistakes in its treatment of migrants. Sebastien Bachelet is a PhD student in social anthropolog y at the univerity of Edinburg h.

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4/3/2014 DemoncleanerzineN°9 - stop violence at the borders - Intervista a Sara Creta | Demoncleanerzine Home Musica Recensioni Interviste Cultura&Società Demoncleanerzine > Arti Visive > Cinema > N°9 – stop violence at the borders – Intervista a Sara Creta New Media Arti Visive Cinema Fotografia Teatro Contatti Contattaci Collabora Faq Termini e Condizioni

N°9 – stop violence at the borders – Intervista a Sara Creta

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Immigrazione, speranze e filo spinato: Sara Creta http://www.demoncleanerzine.com/n9-stop-violence-borders-intervista-sara-creta/

documenta l'intolleranza

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Cera una volta l’Africa, nera e cantante. C’erano una volta nomi di popoli e nomi di posti, e lingue nate con la gente. C’erano una volta,insomma, un luogo e un’identità. Che l’antagonista Europa sia arrivata sferragliando e con la bava alla bocca per l’avidità è un po’ troppo fiabesco da raccontare, ma non sarebbe male. Nessuna fiaba è peggiore della realtà. Nelle fiabe c’è un intreccio, una fabula, una fine. Nella realtà ci sono strutture, sovrastrutture, cause, conseguenze,numeri. È certo che viviamo in convergenze complicate e che, in fondo, chi ci capisce è bravo. La psicanalisi si intreccia alla statistica che si intreccia alla sociologia che si intreccia alla politica e compagnia cantante, ma queste immagini dicono una cosa chiara: Clement è morto, ed era un padre. La storia ha losche quinte, costumi di scena devianti. Non di certo si può analizzare l’intera questione coloniale per arrivare a puntare il dito contro un qualche concetto o personaggio. In questo caso, però, come ad ‘Indovina chi’, per trovare il colpevole si possono tenere in piedi le caselle degli Occidentali. In questo caso dobbiamo tornare alla strozzina Europa, che a suo tempo pose i propri mocassini sul suolo africano e con la nonchalance di chi è padrone ridisegnò i confini ad un intero mondo,da brava cristiana lo incivilì e gli insegnò una decente lingua, insomma lo ricreò a sua immagine, utilità e somiglianza manco fosse il Santo Creatore. E l’Africa divenne colonia, e divenne schiava. Oggi sono cambiati i nomi e su carta sono cambiate le cose, ma chissà se finirà la convalescenza di Paesi ridotti più che in ginocchio, più che a terra. In Africa, in quei posti dove non è possibile vivere, è rimasto per molti niente di più che il sogno dell’Europa. È la Terra di ‘Vengo dalla Luna’ di Caparezza, ‘complici i satelliti che riflettono un benessere artificiale’ e così la gente spera di realizzarsi nel porto sicuro della civiltà. E come dargli torto. Come insegnare a chi è schiavo a non idealizzare i padroni, a non voler essere come loro. Chissà se le carte di questo processo al carnefice si potranno mai rimettere insieme, ormai disperse nelle maglie della burocrazia (ovviamente occidentale). I segni che più restano impressi sono quelli ideologici, le immagini emotivamente forti che si depositano nell’inconscio e nelle mentalità, come lo zingaro ladro delle storie di bambini. Come l’ alambrada, barriera di sei metri antiuomo costata 20 milioni all’UE, a protezione di Ceuta e Melilla, enclavi spagnole in Marocco. Se la oltrepassi, sei in Europa. Hai vinto, puoi sperare di mettere entrambi i piedi sulla Terra-Europa e puoi iniziare a vivere da essere umano e non da alieno. Così Clement un giorno parte dal Cameroon. Ha una famiglia, il sogno dell’Europa e di una vita dignitosa. E muore cercando di fare ciò che di più banale nella decantata globalizzazione del mondo odierno si possa fare: oltrepassare un confine. La sua morte è ripresa dal documentario “N°9 – stop violence at the borders“. È triste dover ricordare la ferinità degli esseri umani, che affiora come petrolio non appena le si concede la garanzia della legittimità, la garanzia che non sia peccato, che un’istituzione maggiore si prenderà la colpa. È triste contemplare la facilità con cui ci si rende marionette, cadere in quella banalità del male che Hannah Arendt dolorosamente evidenziò. Sara Creta, giovane giornalista italiana, ha portato il suo documentario “N°9 – stop violence at the borders” (creato in collaborazione con ALECMA, Association lumiere sur l’emigration clandestine au Maghreb) nei villaggi, nelle città, nei festival per raccontare la verità sull’infondato e ingenuo sogno europeo. N°9 è l’attaccante che in calcio segna il gol, e con questo nome si chiamano nell’Africa subsahariana coloro che tentano di arrivare in Europa, di vincere. Peccato che non ci sia nessuna rete, c’è solo l’uomo e nessun arbitro se non l’individuale, troppo svalutata coscienza. Per difendere il confine si arriva davvero all’inverosimile. Recentemente, ci sono stati altri nove morti. I subsahariani si ammassano nelle foreste vicino Ceuta e Melilla, in attesa di riuscire nell’impresa di passare dall’altra parte, molti sono sul monte Gurugù, dove Clement è morto e dove Sara Creta ha girato il suo documentario.

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Sara Creta - Intervista 1.Da dove nasce il tuo interesse per la questione? Ho vissuto in Marocco e frequentato un Master all’Università di Fes. Ho conosciuto alcuni attivisti a Rabat impegnati nella lotta quotidiana contro le violenze. Con ALECMA siamo partiti per il Monte Gurugù. Eravamo io e Sylvan, un altro ragazzo camerunese. Seguivo da tempo la situazione delle Enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, mi interessa da sempre la questione migratoria. Qualche anno fa sono stata in Brasile, dove ho svolto ricerca sulle comunità di italiani in Rio grande do Sul. Anche loro emigrati 100 anni fa, scappavano dalla fame e dalla Guerra. I vecchi profughi, protagonisti della storia moderna, eravamo noi gli italiani. Morti in viaggio e di malattie, spesso discriminati. Mi affascina la storia della migrazione dei popoli. Anche in Italia, mi sono occupata di migrazione irregolare, ho trascorso molto tempo con i richiedenti asilo e i profughi della Libia.

2.Come sei stata accolta dalle persone che hai intervistato? Non è stato facile nemmeno per loro raccontare le violenze subite e le loro storie soprattutto in una situazione drammatica come quella in cui ci trovavamo. Spesso si sentono violati nella loro profonda intimità e sfruttati, merce. A mio avviso, serve sensibilizzare e per fare questo abbiamo bisogno di testimoni, di racconti e di immagini. È stato molto rischioso rimanere nella foresta per girare le immagini che vediamo in Number 9. Mi hanno arrestato e chiesto di consegnare il girato. Ho nascosto le immagini e le ho riportare a Rabat dove ho iniziato a lavorare al documentario. Purtroppo però, siamo arrivati ad un punto che anche le immagini vengono consumate, i numeri dei migranti morti non hanno valore diventano statistiche, perdono nomi e identità. La brutalità contro i migranti irregolari, oggi viene banalizzata dai media, è qualcosa che si ripete all’infinito. Number 9 ha sollevato ulteriormente la questione su un problema dimenticato. Ha mostrato le prove concrete che Clement è morto per la violenza subita. E queste prove sono state portare in tribunale, dove intanto è stata chiesta un’indagine ufficiale. Il suo corpo però è ancora bloccato a Nador, in Marocco.

3.A tuo avviso, perché tutto questo silenzio da parte del mondo rispetto alla faccenda? Non sono d’accordo. Oggi si parla tanto di immigrazione ma forse ci si interessa ancora troppo poco a conoscere gli Altri. I media mostrano gli arrivi, l’emergenza immigrazione, i barconi o i profughi. Ma lo fanno dipingendo il fenomeno in maniera allarmante. Nel nostro mondo globalizzato è importante conoscere l’Altro, la sua storia e la sua cultura, perché ormai gli Altri sono qui. Non è un’emergenza. Questa situazione continua da anni. Sugli autobus, sui banchi dell’Università, nei supermercati e non si può far finta di niente: la nostra società sta cambiando. Dobbiamo riconoscerlo. In Europa, ma anche in Marocco.

4.Quanto peso credi abbiano avuto la questione e gli studi post-coloniali sulla sensibilizzazione rispetto ai temi evidenziati? Possiamo citare Frank Fanon e ‘I dannati della terra’. È un classico anche per analizzare il presente. Abbiamo davanti a noi persone che sono cancellate, irregolari, senza nome hanno smesso di esistere. Sia in Fanon sia nel suo testo vi è oggi un qualcosa di enigmatico e di terribilmente attuale allo stesso tempo che continua a mobilitarci. Il grido disperato, misto all’indignazione. Scelte radicali che perdurano e legalizzano la violenza. Decolonizzazione significava per Fanon lottare. Fanon ci interpella. La realtà dell’impero esiste ancora. L’esistenza di diverse gerarchie, status, cittadinanze, cittadini senza identità, costituisce quello che secondo Fanon era un elemento tipico delle colonie. La lotta per riappropriarsi dei diritti umani fondamentali, negati a questi migranti, è la battaglia per ricostruire e rivendicare la loro esistenza.

5.Perché, ancora oggi e in modo così insistente, si pone filo spinato tra se stessi e lo straniero? Le barriere sono sia fisiche che mentali, ideologiche. Gli stati moderni sono creati sui segni delimitati dei confini, sorvegliati, protetti. Le lame metalliche di Melilla sono considerate dal governo spagnolo uno strumento di contrasto all’entrata irregolare dei migranti. In realtà se si osservano i numeri delle entrate, nei report ufficiali, la cifra non diminuisce proporzionalmente alla violenza utilizzata contro di loro. Questo dimostra che la scelta di proteggere Il confine, militarizzare le frontiere ed investire nella sicurezza non porta ai risultati sperati. Il sentimento che si crea e si diffonde è quello della paura, del diverso. I media non aiutano a capire il fenomeno e spesso quando si parla d’immigrazione irregolare non si conosce a fondo il problema.

6.Quale credi che sarebbe la soluzione più efficace al problema della barriera? Nelle città del Marocco e nelle città autonome di Ceuta e Melilla serve cambiare strategia. Oggi la questione delle migrazioni è diventata un’invasione, il capo espiratorio, il nemico. La violenza perpetrata contro di loro è ingiustificata. Uccidendo i migranti alla frontiera non si risolve il problema all’origine. Serve maggior sensibilizzazione nei paesi da cui queste persone provengono, dove, in alcuni casi, esiste ancora il mito dell’Europa. Sono stata recentemente in Cameroon per girare un altro documentario, abbiamo proiettato insieme ad Alecma ‘Number 9ʹ′. Il documentario è entrato nelle scuole e nei centri di cultura, nei piccoli villaggi e nelle città. Le madri e gli anziani erano sconvolti, sconcertati. I loro figli, partiti all’avventura, non conoscono i veri rischi che http://www.demoncleanerzine.com/n9-stop-violence-borders-intervista-sara-creta/ 3/6 l’immigrazione irregolare determina. Sono increduli davanti alle immagini di un’Europa che non rispetta i diritti umani.

7.Quanto influisce sulla tua vita e il tuo modo di essere l’interesse per le questioni umanitarie? Mi interessa continuar la ricerca visiva sul mediterraneo. Vorrei dedicarmi a questo a tempo pieno. L’ultimo viaggio l’ho fatto in Cameron dove ho conosciuto la famiglia di Clement. La sua storia mi ha colpito, come quella di altri ragazzi che ho incontrato in queste zone di frontiera. Seguo con grande interesse anche i progetti di co-sviluppo. Vorrei portare una radio comunitaria in un piccolo villaggio in Cameroon.. ci sono tante idee per la testa, ma una cosa alla volta. Sempre tempo permettendo.

Intervista a cura di Marina Fastoso

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4/3/2014

De tien beste ideeën voor een humaan asielbeleid

Dit artikel wordt met je gedeeld door correspondent Ernst-­Jan Pfauth Word lid

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3 maanden geleden

Europa schendt voortdurend mensenrechten bij het bewaken van haar grenzen. Dat kan anders. Tot besluit van onze drie maanden lange reis langs de randen van Fort Europa: de tien beste ideeën voor een humaan asielbeleid.

De tien beste ideeën voor een humaan asielbeleid Correspondent Migratie, Religie & Mensenrechten

Karel SMOUTER

Illustratie: Wijtze Valkema (voor De Correspondent)

S

tel, op een dag kopt iedere krant op de voorpagina: ‘Mensenrechten op grote schaal geschonden aan de Europese grens.’ De journaals openen die avond met beelden van een EU-detentiecentrum waar hongerige Syriërs wanhopig de camera inkijken.

https://decorrespondent.nl/597/de-tien-beste-ideen-voor-een-humaan-asielbeleid/16831221-11f54cd7

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4/3/2014

De tien beste ideeën voor een humaan asielbeleid

Er lekken filmpjes uit van West-Afrikanen die al jaren moeten zien te overleven in de bossen van Noord-Marokko, omdat ze Spanje niet in komen. Het filmpje gaat ‘viral’ en haalt Wereld Draait Door. De Nederlandse grensbewakers die aan de Bulgaarse grens Syriërs terug Turkije induwen, doen op het eind van de avond aan tafel bij een verontwaardigde Knevel & Van den Brink hun verhaal. Wat zou er een dag later gebeuren? Mijn inschatting: niet zoveel. Want bij velen heerst de overtuiging dat je een grens nu eenmaal niet kunt bewaken zonder vuile handen te maken. Net zoals veel mensen hun schouders ophalen over afluisterschandalen omdat het ‘nu eenmaal’ de enige manier is om onze veiligheid te garanderen. En wat als de kop boven zo’n stuk zou luiden: ‘Grensbewaking kost tientallen miljoenen.’ Zou dat iets veranderen? Wellicht. Prijzig is het in ieder geval wel, die grensbewaking. Frontex, de

Bij velen heerst de overtuiging dat je een grens nu eenmaal niet kunt bewaken zonder vuile handen te maken

organisatie die de Europese grensbewaking coördineert, heeft een budget van 118 miljoen per jaar en het Eurosurprogramma tenminste 338,7 miljoen euro. Ter vergelijking: voor Europol, het agentschap waarmee Europa ten strijde trekt tegen internationale misdaad, trekt de Europese Commissie 85 miljoen euro uit. Toch zal ook dan weinig gebeuren. Europese belastingbetalers

zullen zeggen dat van een streng beleid tenminste een afschrikwekkende werking uitgaat. En zo’n streng beleid mag best iets kosten. Want we hebben ‘goede redenen’ om onze grenzen zo goed mogelijk te bewaken. ‘Straks komt iedereen deze kant op.’ ‘Het is nu eenmaal crisis.’ https://decorrespondent.nl/597/de-tien-beste-ideen-voor-een-humaan-asielbeleid/16831221-11f54cd7

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4/3/2014

De tien beste ideeën voor een humaan asielbeleid

‘Ze pakken onze banen af.’ Stuk voor stuk invoelbare redenen. Maar het beleid waarmee we die grenzen moeten afdwingen heeft onvoorziene consequenties. Het argument vóór is telkens: er is geen alternatief. We moeten wel. Maar is dat wel zo? Wij, correspondent Maite Vermeulen en ik, stelden deze vraag aan iedereen die we spraken op onze reizen door Europa voor deze serie artikelen. Wat bleek? Die alternatieven zijn er wel degelijk. Grensbeleid kan goedkoper en het schenden van mensenrechten is geen noodzakelijk kwaad. Daarom: hieronder tien manieren om het Europese asielbeleid beter en humaner te maken.

1. Begin asielprocedures op een (Europese) ambassade Migranten op weg naar Europa ondernemen die tocht om híer een asielprocedure te mogen volgen. Want: pas als je eenmaal hier bent, mag je daaraan beginnen. Maar waarom moeten ze die procedures in Europa zelf doorlopen? Het lijkt stukken logischer om in eigen land bij een ambassade van een Europees land aan te kloppen voor je zo’n prijzige, riskante reis onderneemt, om daar je lot af te wachten. In, bijvoorbeeld, de Duitse ambassade in je thuisland of in een veilig buurland kun je informatie en juridische hulp krijgen, om zodoende in te schatten wat je kansen zijn. Of het je reis wel waard is, kortom. Zo ja, dan kun je met een ter plekke verstrekt visum naar Europa reizen. Zo niet, dan word je tenminste niet in een onherbergzaam grondgebied aan je lot overgelaten.

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De tien beste ideeën voor een humaan asielbeleid

2. Wijs een paar grenzen aan als 'humanitaire' corridor Op onze reis langs Europa’s buitengrenzen zagen we met eigen ogen het zogenoemde "waterbedeffect". Je zet in Griekenland een hek neer, waarna de toestroom zich naar Bulgarije verplaatst. Vervolgens sluit je Bulgarije af en stappen mensen in een bootje naar Malta of Oekraïne. En zo verder. Hoe is dat te voorkomen? Europa zou een aantal grenzen

kunnen aanwijzen als

asielgrenzen en op deze plekken voor fatsoenlijke opvang en rechtvaardige procedures kunnen zorgen. Een soort 'humanitaire corridor'. Bij acute noodsituaties, zoals nu in Zuid-Soedan en Irak, is dit een manier om mensen in veiligheid te brengen. In de regio en, indien nodig, in Europa zelf. Door het afgeven van humanitaire visums aan mensen die aan de asielvoorwaarden voldoen,

voorkom je dat

mensen op een toeristenvisum naar Europa reizen en blijven plakken, in de hoop daarna asiel te krijgen.

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