Carricante grape

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“Lasciamo ben presto le lave………

“Lasciamo ben presto le lave, e ci troviamo allora senza soluzione di continuità in mezzo a un paesaggio incantato che vi sorprenderebbe dovunque, ma ancora di più in Sicilia. Non è che un susseguirsi di frutteti frammischiati a capanne e graziosi villaggi; non c’è spazio sprecato: ovunque un’aria di prosperità e di abbondanza. Osservai nella maggior parte dei campi di grano la vite e gli alberi da frutta che crescevano rigorosamente assieme. Camminando, mi chiedevo da dove poteva provenire questa grande prosperità locale. Non si può attribuirla solo alla ricchezza del suolo, poiché tutta la Sicilia è un paese molto fertile che anzi richiede meno cure della maggior parte di altri paesi. La prima ragione che mi diedi di un tale fenomeno, fu questa: poiché la zona etnea è situata tra due delle maggiori città della Sicilia, Catania e Messina, trova da queste due parti uno smercio di prodotti che non esiste nel centro né sulle coste meridionali. La seconda ragione, che ammisi con più difficoltà, finì ben presto col sembrarmi più convincente. Poiché le terre che circondano l’Etna sono soggette a spaventose devastazioni, i signori e i monaci se ne sono disgustati e il popolo ne è diventato proprietario. Ora la divisione de beni vi è quasi senza limiti. Ognuno ha un sia pur minimo interesse nella terra. E l’unica parte della Sicilia dove il contadino è possidente. C’è da chiedersi ora perché questo estremo frazionamento della proprietà, che molte persone sensate considerano in Francia un male, debba essere vissuto come un bene, e un gran bene, in Sicilia. E’ facile darsene spiegazioni, e si potrà aggiungere anche questo esempio ai molti altri che provano non esserci sotto il sole principî assoluti. Capisco bene, infatti che in un paese molto illuminato, dove il clima incita all’attività, dove tutte le classi hanno voglia di arricchirsi, come in Francia e soprattutto in Inghilterra, l’estremo frazionamento della proprietà possa nuocere all’agricoltura, e quindi alla prosperità interna, poiché impedisce l’impiego di grandi mezzi di miglioramento e di persone che abbiano la volontà e la capacità di utilizzarli; ma quando si tratta di risvegliare e stimolare un popolo infelice semiparalizzato, per il quale il riposo è un piacere, in cui le classi elevate sono intorpidite nella loro pigrizia ereditaria o nei loro vizi, non conoscono mezzo più efficace del frazionamento delle terre. Se dunque io fossi re d’Inghilterra, favorirei la grande proprietà; se fossi padrone della Sicilia, incoraggerei con tutti i mezzi a mia disposizione la piccola. Non essendo né l’uno né l’altro, torno rapidamente al mio diario.” Alexis de Tocqueville, Marzo1827


L’Etna è un vulcano, una Montagna che fa diversa la Sicilia e, nello stesso tempo, la differenza in Sicilia. Etna, il Mongibello, l’Immenso, come la definì Giuseppe Macherione di Giarre, è la vera protagonista delle differenze, della profonda diversità tra la Sicilia orientale e la Sicilia occidentale. Non vi è posto in Sicilia, e forse nel mondo, paragonabile all’Etna. La Montagna di Fuoco è per gli impavidi uno stimolo, per i malvagi un monito! Per chi ne ha compreso l’essenza, una promessa. La profumata ginestra, che vegeta in diverse zone dalla Sicilia, sul Vulcano ha una diversa funzione. Spacca la lava, disgrega le roccia, prepara il terreno al vigneto. Alleata dell’agricoltore etneo, l’odorosa ginestra, ne precede la fatica. L’Homo Etneus, pietra su pietra costruisce i muri per contenere il terreno sciolto, sabbioso. Egli, chino sul terreno, rimuove pietra dopo pietra, dal suo vigneto.

E’ duro il lavoro, tanta la fatica, ma non importa. Quel piccolo pezzettino di terra è il suo! E’ la sua cura, il suo impegno che lo farà fertile, con i preziosi minerali che giungono dalle viscere più profonde della terra. Se le pietre sono tante, serviranno a costruire un piccolo ricovero per se e le proprie bestie. Se il terreno poco, non importa, anche dentro i muretti a secco può vegetare la vite, dare i suoi preziosi frutti. Il vero uomo dell’Etna è prima di tutto Custode della sua vigna. … estratto dal libro La Montagna di Fuoco di salvo foti


Il vitigno etneo CARRICANTE Questo vitigno, sino agli anni 50, era il più diffuso vitigno a bacca bianca della provincia di Catania, occupando il 10% della superficie ad uva da vino. Intorno al 1885 fu anche introdotto nella provincia di Agrigento, Caltanissetta e Ragusa, non trovando però diffusione. Il Carricante è un vitigno autoctono antichissimo dell’Etna, selezionato dai viticoltori di Viagrande. E’ diffuso particolarmente nel versante est (750-950 m.t. s.l.m.) della regione etnea, praticamente nelle contrade più elevate, dove il Nerello Mascalese difficilmente matura o nei vigneti in miscellanea con lo stesso Nerello Mascalese e con la Minnella bianca. Entra nella costituzione dell’Etna Bianco (60%) ed Etna Bianco Superiore (80%) a D.O.C. . Come tutti i vitigni autoctoni etnei, é a maturazione tardiva (2ª decade d’ottobre). Il Carricante, sull’Etna, dà vini contraddistinti da un’elevata acidità fissa, da un pH particolarmente basso e da un notevole contenuto in acido malico, tanto che ogni anno è indispensabile far svolgere, al vino, la malolattica. Il vitigno Carricante se ben coltivato ed opportunamente vinificato da origine a grandi vini bianchi d’inaspettata durata (oltre 10 anni), paragonati ai Riesling alsaziani, in cui predominano sensazioni olfattive di mela, zagara, anice, insieme ad un tipico gradevole nerbo acido al gusto che gli conferisce struttura e longevità.

Le contrade del Carricante. E’ nel comune di Milo, in c.da Caselle, che si trovano i migliori vigneti per la produzione del vino bianco dell’Etna. In contrada Caselle (900-920 m s.l.m.), si produce, in assoluto, il miglior Carricante, nobile ed antichissimo vitigno dal cui succo si ricava l'Etna Bianco Superiore. Qui i vigneti ad alberello, centenari, s’intrecciano con il bosco, con i frutteti, con i noccioleti e con essi condividono le nere terrazze e il vitale terreno. Le viti non sono mai regolari. Diverse una dall'altra, attorcigliate al loro palo di castagno, sembrano orgogliose della loro irregolarità: ogni vite ha una sua storia che il viticoltore conosce bene. In questa contrada, zona limite per la viticoltura, dove spesso il Nerello Mascalese non riesce a maturare bene (insoddisfacente contenuto in zuccheri e polifenoli), il Carricante ha trovato una connaturale ambientazione. I vini ottenuti, particolarmente ricchi di acidità fissa, con un alto contenuto di acido malico (2-5 g/l) detto qui’ “‘U muntagnolu”, hanno bisogno di svolgere la "malolattica"1, se no risultano disarmonici al gusto, tant'è che è uso in queste zone lasciare, dopo la fermentazione, il vino su le proprie fecce fini. In tal modo, in primavera ai primi caldi, si favorisce la "fermentazione malolattica".

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Trasformazione dell'acido malico in lattico che avviene ad opera di alcuni batteri naturalmente presenti nel vino.


A proposito dice Sestini: "I vini poi che si ottengono dalle vigne, che restano in quelle montagne più alte sulle falde del mongibello, per il clima assai freddo si conservano perfettamente tutto l'anno, sopra la feccia o mamma come dicesi in Sicilia, senza essere travasati, maturandosi nella stagione più calda, lasciando quell'acerbità, che portano di natura sua, a tal segno che si rendono atti a resistere alla navigazione." L’Etna Bianco Superiore trova il suo naturale equilibrio chimico-organolettico non prima di due anni dalla vendemmia ed in alcuni casi dopo tre-quattro anni (S. Foti). A tal proposito il Prof. A. Zappalà cosi si esprime: “…. E’ necessario che l’iniziale acidità fissa, spesso sorprendentemente elevata per un vino meridionale, diminuisca, in conseguenza del verificarsi di naturali fenomeni fisici e biochimici (precipitazioni tartariche e fermentazione malolattica) sino al limite per mantenere il vino abbastanza fresco, a volte appena acidulo, affinché arrivi fragrante nella bocca del consumatore e non piatto o, addirittura, molle, come sovente avviene con molti vini bianchi siciliani.”. l’Etna Bianco Superiore, per le sue particolari caratteristiche, è stato paragonato ai Chablis prodotti nello Yonne, in Borgogna (Mazzei)2. Lo scrittore Mario Soldati nella sua pubblicazione “Vino al Vino”, riferendosi all'Etna bianco scrive: - …. così l’Etna Bianco raccoglie e fonde, nel suo pallore e nel suo aroma, nella sua freschezza e nella sua vena nascosta di affumicato, le nevi perenni della vetta e il fuoco del vulcano -.

I profumi del Carricante e la sua mineralità Appena versato nel bicchiere, il vino bianco di Carricante di Milo 100%, mostra la sua natura brillante. Il colore giallo paglierino con accesi riflessi verdi lo conferma. L’odore è intenso, ricco, ampio, fruttato con sentori di fiori di zagara e mela matura, che maturando ricorda molto il miele. Il suo sapore secco con piacevole acidità e gradevolissima persistenza aromatica dal retrogusto di anice e mandorla, stimola lungamente le papille gustative, e dopo ogni bicchiere il palato è pronto per il prossimo. Il tutto è reso fluido da un alcol contenuto di 11,5-12 gradi al massimo. I “sentori minerali” percepiti in un vino, possono richiamare gli stessi elementi minerali presenti nel terroir d'origine. Se il vino è “un vino di vigna”, nel senso che si rispetti l’integrità dell’uva senza particolari manipolazioni in cantina e proviene da un terreno di viva matrice geologica, come le sabbie vulcaniche, la mineralità è una componente che certi vini presentano in modo ben definito, spesso sovrastante sulle altre caratteristiche. La mineralità di un vino è una caratteristica più manifesta al gusto che all’olfatto. Le sensazioni olfattive possono essere fortemente influenzate dal vitigno, dal clima e dal tipo di affinamento. A livello olfattivo le sensazioni minerali si evidenziano maggiormente nei vitigni poco o per nulla aromatici. Probabilmente alcuni microelementi presenti in particolari matrici geologiche possono avere un’azione catalizzante nella sintesi e combinazione di alcuni profumi. Come dire il vitigno è predisposto a certi profumi e sapori che si evidenziano ed esaltano solo in certi particolari terreni. 2

Preside e professore di enologia e viticoltura presso la Scuola Enologica di Catania.


Nella zona etnea, la natura del terreno è strettamente legata alla matrice vulcanica. Può essere formato dallo sgretolamento di uno o diverse tipi di lava, di diversa età e da materiali eruttivi recenti quali i lapilli, ceneri e sabbie. Questi terreni vulcanici, a reazione sub acida, sono ricchi soprattutto in microelementi (ferro e rame, silice e tanti altri). Un vino etneo, spesso indipendentemente dal vitigno, è riconoscibile soprattutto al gusto. E’ al palato dove più si nota una evidente “mineralità”, cioè una sensazione netta di sapidità accompagnata sempre da una piacevolissima e persistente acidità: a volte sembra di mangiare una sottile fetta di limone verde con sopra del sale. Caratteristiche che, anche in presenza di gradazioni alcoliche elevate, rendono i vini mai pesanti, eleganti e persistenti al gusto. Esiste la possibilità che in determinate situazioni, esempio in una vigna vicinissima al mare, esposta ai venti, l'accumulo di sostanze minerali, come la salsedine, il cloruro di sodio, avvenga per via meccanica, cioè per azione del vento, e che questo si rifletta sul vino. Non ci scordiamo che la vite vive all’esterno. E’ influenzata da tutto quello che gli sta attorno e sopra 24 ore su 24, sempre. La salsedine, portata dai venti, può depositarsi sull’uva e con essa arrivare in cantina e quindi nei nostri bicchieri. Inoltre, anche se non scientificamente studiato, si crede che il fiore della vite ha la capacità di assorbire gli odori degli altri fiori circostanti e conservarli nell’acino. Le api in questo hanno una particolare funzione. Nelle vecchie vigne la coltivazione di tanti alberi da frutto e di erbe aromatiche, svolge questa funzione.

La ricerca: estratto da

Antichi vitigni, vecchie e nuove tecnologie per vini di qualità.

Un’indagine scientifica (Indagine sulla natura e sul contenuto di alcune classi di polifenoli in uve prodotte nella Sicilia orientale), durata diversi anni e finalizzata al miglioramento qualitativo nella produzione di vini a DOC dell’Etna, fu svolta, dal 1988 a inizo anni 90, da Salvo Foti in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti: il più importante istituto di ricerca enologica in Italia, allora diretto dal Dott. Rocco Di Stefano. L’indagine prese in esame uve e vini delle più importanti varietà autoctone etnee: Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio a bacca rossa e Carricante, Minnella Bianca e Vesparola (nome locale di varietà non ben identificata) a bacca bianca. Lo studio chimico prese in esame il cosiddetto “profilo polifenolico”, cioè quelle sostanze che formano il colore e la tannicità dell’uva e del vino, e il “profilo aromatico”, ossia quei costituenti (precursori d’aroma) che evolvendosi nel vino ne determinano l’aroma olfattivo, il cosiddetto “bouquet”. Il sistema di allevamento dei vitigni da cui provenivano le uve oggetto d’indagine era quello tipico ad alberello, da sempre utilizzato nella regione etnea. Risultati dell’indagine:

Il Carricante

Questa varietà si rivela a maturazione tardiva. Il mosto, da essa ottenuto, presenta, in genere, un’acidità sensibile e un alto tenore di acido caffeiltartarico. Dal punto di vista aromatico, le uve si rivelano neutre, a scarso tenore di composti terpenici (moscato), ma con la presenza di un interessante precursore aromatico, il TDN 1,1,6TRIMETIL-1,2-DIDRONAFTALENE, che conferisce al vino Carricante, se opportunamente vinificato e invecchiato, note complesse, e caratteri aromatici tipici molto interessanti, riconducibile all’aroma di Riesling invecchiato. © salvofoti


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